LE MELE DI ADAMO

Sito: http://www.adamsaebler.dk/ --- http://www.teodorafilm.com/film/mele_adamo/index.htm Anno: 2005 Titolo: Originale Adams aeler Durata: 94 Origine: DANIMARCA Genere: COMMEDIA, DRAMMATICO Produzione: TIVI MAGNUSSON, MIE ANDREASEN PER M&M PRODUCTIONS, AUGUST FILM & TV, DANMARKS RADIO Distribuzione: TEODORA FILM (2006) Data uscita: 28-04-2006

Regia: Attori: Adam Ivan Nicolas Bro Gunnar Paprika Steen Sarah Ali Kazim Khalid Lars Ranthe Esben Ole Thestrup Dottor Kolberg Gyrd Lofqvist Poul Nikolaj Lie Kaas Holger Peter Reichhardt Nalle Tomas Villum Jensen Arne Emil Kevin Olsen Christoffer Pede Lambert Jorgen Rasmus Riise Jakob Ole Remming Solvej Christensen

Soggetto: Anders Thomas Jensen Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen Fotografia: Sebastian Blenkov Musiche: Jeppe Kaas Montaggio: Anders Villadsen Scenografia: Mia Stensgaard Costumi: Jane Whittaker Effetti: Hummer Hoimark, Peter Hjorth

Trama: Adam, un giovane convinto neonazista, viene condannato a svolgere servizio sociale di riabilitazione. Suo compito e quello di assistere Ivan, il sacerdote di un piccolo centro. Ivan chiede ad Adam di cucinare una torta con le mele dell'albero che cresce dinanzi alla chiesa. Nel frattempo, però, la natura si accanisce contro l'albero: uccelli, vermi e lampi lo attaccano rovinandone i frutti. La concezione del mondo dei due uomini si scontra: Ivan crede che sia il Diavolo che li vuole mettere alla prova, invece Ivan - convinto che l'Inferno e il Paradiso neppure esistano - è convinto che sia opera di Dio.

Critica: Bisogna riconoscere una cosa alla cinematografia danese: non sembra avere paura di niente. Dio e il Diavolo, la medicina e gli enigmi del cervello, la follia, l'insania e i misteri della percezione. Tutte cose che non paiono adatte alla giocosa leggerezza della commedia. Eppure Anders Thomas Jensen, regista 30enne che si è formato alla scuola di von Trier sceneggiando le opere Dogma, con Le mele di Adamo confeziona una cupa e sorprendente black comedy dove accade sempre ciò che non ti aspetti. Appena uscito di prigione il neonazista Adam è obbligato a passare un periodo di riabilitazione presso una chiesa dove il pastore — affetto da una patologica incapacità di accettare la crudeltà del reale — riunisce attorno a sé una piccola comunità di matti. Il compito di Adam sarà quello di cucinare una torta di mele, utilizzando i frutti dell'albero del prete. In questa landa desolata, dove si scatena il furore biblico degli elementi e si accaniscono le sfighe di una vita maledetta, Adam dovrà scegliere

1 tra la verità e l'illusione. Una decisione giusta non c'è, sembra suggerire l'autore, e se viene data è solo un'ultima menzogna. (Silvia Colombo, Rolling Stone - 27/04/2006)

Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen, film danese conclusivo di una trilogia dedicata ai derelitti dalla società dal regista trentenne, conferma le grandi qualità cinematografiche mostrate a volte dal cinema del Nord. Sono ammirevoli la capacità di mescolare comicità e tragedia, la fotografia straordinaria (Sebastian Blenkov) dei paesaggi di campagna immersi nella nebbia o affogati dal diluvio; l'interpretazione perfetta di Ulrich Thomsen (già protagonista di Festen, L'eredità, Non desiderare la donna d'altri); il gruppo degli interpreti eccentrici e insieme dolorosi (un tennista obeso, un arabo pronto a sparare, una malata di nervi incinta, un medico bonario e sadico); i repentini scoppi di violenza; la giovane energia intellettuale dell'autore. Un neonazista (svasticata tuata sul polso, ritratto di Hitler in camera) appena uscito di prigione viene mandato in una comunità di recupero in un vicariato di campagna, sotto il controllo di un pastore protestante. Si comporta male, naturalmente. Quando il sacerdote lo spinge a trovare uno scopo ai suoi giorni, risponde beffardamente di voler fare una gigantesca torta di mele con i frutti del giardino. Ma l'albero di mele, come gli esseri, umani raccolti nel vicariato, sembra costantemente colpito dalla sfortuna: viene attaccato dai corvi, poi dai vermi, poi dai fulmini. Il sacerdote, vedovo, padre di un bambino paralizzato, malato di tumore, con santa letizia ignora e altera la realtà per proteggersi dal dolore. Ma tutto cambia quando il protagonista insinua: «Se fosse Dio che ti perseguita, e non Satana che ti mette alla prova? Dio ti odia...». Il dubbio salva il sacerdote dal dogmatismo, salva persino la sua vita dalla malattia distruttiva; tutore e tutelato riescono a costruire un'amicizia complice. Le idee sono provocatorie alla maniera dei ragazzi; ma la concreta materia dl racconto è più sottile e sensibile, più rivelatrice di un talento che i film precedenti del regista avevano già lasciato intuire. (Lietta Tornabuoni, La Stampa - 28/04/2006)

La mela è frutto problematico. Sin dagli albori dell'umanità. Almeno così ci raccontano. Ora un nuovo Adamo deve confrontarsi con il frutto. Non più proibito, ma obbiettivo di riscatto. L'Adamo in questione è un non più giovanissimo naziskin. Lo incontriamo che scende da un autobus e subito si affretta a graffiarne la carrozzeria. Poi prende la strada di una chiesa persa nel paesaggio. Non lo fa per devozione. È stato inviato laggiù perché uscito di galera e perché Ivan, un sacerdote, gestisce una sorta di comunità di recupero. Gli altri ospiti sono un paio di personaggini bizzarri. Uno è cleptomane, con un trascorso di giocatore di tennis e di aggressore di donne, l'altro è un afghano rapinatore di chioschi di benzina, solo però quelli di una certa marca, perché avrebbe derubato la sua famiglia, quindi intende risarcirsi in quel modo. Ivan è non meno stravagante dei suoi ospiti. Sempre pronto nel porgere l'altra guancia, a costo di farsi spaccare ripetutamente la faccia, nasconde un suo segreto, ma è fermamente convinto che l'importante nella vita, soprattutto per ritrovare se stessi e la retta via, sia avere un obiettivo. E il neonazi glielo spiattella per prenderlo in giro: fare una torta di mele. Il prete non si scompone, anzi, gli affida la cura del melo antistante la parrocchia in modo che, quando sarà il momento di cogliere i frutti, Adam potrà perseguire il suo obiettivo. Già nella presentazione dei personaggi Anders Thomas Jensen (che con questo titolo conclude una sua inconsueta trilogia) tende a spiazzare, a fare in modo che non sia subito chiaro chi sia la persona che ci si trova di fronte. E prosegue su questa linea per tutto il racconto con sussulti di irriverenza che possono anche arrivare a infastidire tanto sono provocatori e scorretti, non solo politicamente. Nel frantoio della parrocchia sperduta finisce di tutto: figli, gravidanze, violenze, nazisti, handicappati, immigrati, medicina, scienza, religione, fede e chi più ne ha più ne metta. Diavolo compreso. In Danimarca Le mele di Adamo ha fatto incetta di premi locali (miglior film, sceneggiatura e luci, oltre a essere stato nominato per regia, interprete principale e attore non protagonista e trucco) e per la sceneggiatura era stato anche nominato per gli European Film Award senza peraltro vincere. E forse la chiave dell'interesse per questo titolo sta proprio nella sceneggiatura, nella capacità di assemblare situazioni paradossali e al limite con apparente naturalezza e senso del ritmo narrativo. Spuntano le pistole e sembrano rievocare la gag che fu di Bud Spencer (poi replicata anche da Spielberg nei Predatori con Harrison Ford), questa volta però l'obiettivo non è un cattivone bensì un albero. Si ride a denti strettissimi, certo, quando sbucano gli amici neonazi del protagonista e vengono ridicolizzati e brutalizzati, c'è più gusto rispetto a situazioni più scivolose in termini di «buon cattivo gusto». John Waters aveva insegnato cosa significa. Anders Thomas Jensen sembra essere più un seguace di Waters che dei dogmi nati in Danimarca. Forse però lascia qualche perplessità in più il fatto che lo spirito nordico è più raggelante, c'è qualcosa che lascia un retrogusto amaro e la risata è un po' meno liberatoria e più perplessa. È comunque innegabile che queste mele siano un bocconcino avvelenato alla perfezione con un dosaggio diabolico. Ne esce una società a pezzi che induce a riflettere sull'animo umano e i suoi perversi percorsi. E se il maligno sembra appartenere totalmente a Adamo, la fiammella di speranza che quella bizzarra comunità apre suona più come escamotage (di nuovo narrativo) che come prospettiva. Eppure il film intriga nel suo non essere riconducibile a generi preordinati, sfuggente e a suo modo efficace. Quasi fosse la versione grottesca di altri titoli danesi che negli ultimi anni hanno agghiacciato le platee con i loro racconti di cinismo esasperato. Buon segno per quella cinematografia minuscola in termini numerici, ma capace di imporsi all'attenzione del mondo cinematografico. Che magari non sempre apprezza, ma ha imparato a fare i conti con i nipotini di Andersen. Il quale, in fondo, confezionava storielle piuttosto cattive. (Antonello Catacchio, Il Manifesto - 03/05/2006)

2 Adam è un truce nazista costretto a scontare il resto di una pena in un centro di recupero. Lo gestisce Ivan, pastore protestante quantomeno bizzarro, con un'idea squinternata del "Bene". Tutti, nella piccola casa-famiglia, hanno uno scopo preciso: quello di Adam sarà di fare una torta con le mele che crescono in giardino. Tra lui e il dolciume fatto e finito si interpongono corvi, gatti, ladri ciccioni, strambi rapinatori arabi, ex camerati, un medico piuttosto laido e un ex nazista (di quelli veri) che gestiva un campo di concentramento. Le vie del Signore sono infinite e costellate di tentazioni: se anche l'epilogo di questa singolare lotta tra Male e Bene è scontato, non lo è il percorso intermedio, fatto di momenti e situazioni che dimostrano come nessuno sia in fondo come sembra o come il proprio ruolo (di buono o di cattivo, di cretino o di furbastro) si possa facilmente ribaltare. La cosa davvero riuscita del film è il punto di vista: se il mondo che ci circonda è totalmente surreale, il primo a strabiliarsene - e noi con lui - è proprio il fascistone Adam, interpretato alla grande da Ulrich Thomsen (Festen, L'eredità). Riuscire attraverso la follia a riportare alla realtà un tizio che gira con il santino di Hitler ci pare il più diabolico dei contrappassi. (Mauro Gervasini, Film TV - 04/05/2006)

Un non più giovane naziskin (è Ulrich Thomsen, ormai il volto più noto del cinema danese post-Dogma, vedi Festen o L'eredità) scende da un autobus. È appena uscito di galera, deve trovare la parrocchia alla quale è stato affidato per la riabilitazione. Il sacerdote che la gestisce (Mads Mikkelsen) guida un microcomunità bizzarra. Un ex tennista obeso e alcolizzato, un pakistano che rapina benzinai di una specifica compagnia, una donna che alterna volontariato nel terzo mondo e debolezze alcoliche. La riabilitazione consiste nell'avere un obiettivo e perseguirlo. Quello di Adam è curare un albero di mele per fare una torta al momento opportuno. Inutile dire che il nostro eroe, si fa per dire, non è minimamente interessato alla faccenda. La malvagità sembra essere la sua unica caratteristica. E al sacerdote che porge l'altra guancia lui rifila ulteriori botte. Gli scontri sono grotteschi, sanguinari e disperanti. Su questa falsariga il regista, Anders Thomas Jensen (Mifune Dogma 3, The King Is Alive) confeziona un'opera perfettamente scorretta, capace di sbeffeggiare religione, nazismo, handicappati, luoghi comuni in un crescendo delirante, imprevedibile e a tratti irresistibile. Giusto primo premio al Noir in festival di Courmayeur. (Antonello Catacchio, Ciak - 30/05/2006)

Riuscitissimo melodramma su peccato e redenzione. Dalla Danimarca, in veste politicamente molto scorretta Riuscitissimo melodramma al contrario su peccato e redenzione. Candidato dalla Danimarca all’Oscar come miglior film straniero, Le mele di Adamo si fa beffe del cliché, rileggendo la parabola in chiave grottesca e politicamente molto scorretta. A confermare la parentela con ironia e dissacrante sarcasmo dei dogmi alla von Trier sono anche biografia di regista e protagonista: il primo, Anders Thomas Jensen, ha sceneggiato Mifune; il secondo, Ulrich Thomsen, era il fratello dello straordinario Festen. Ancora più cupo e stralunato di allora, questa volta è l’Adam del titolo: naziskin minaccioso (e apparentemente intrattabile), inviato a redimersi nella piccola comunità di padre Ivan. Uno sognatore e irrimediabilmente ottimista, l’altro manesco e taciturno: nell’abisso fra questi opposti poli, le premesse per gli imprevedibili sviluppi della vicenda. Singolare viatico per la redenzione di Adam, stabilisce il pastore, sarà il confezionamento di una torta di mele. Una missione che si rivela quasi impossibile e costellata da un crescendo grottesco e paradossale. La situazione della comunità precipita, ma il serafico Ivan non fa una piega: alle follie degli altri ospiti, un cleptomane obeso e disadattato e un immigrato afgano ossessionato dagli americani, risponde con una fiducia sempre più incrollabile e paradossale. Nel pirotecnico finale, il più sano si rivela incredibilmente proprio Ivan. La redenzione è compita. Il film straordinario.(www.cinematografo.it)

Malattia, sindrome Down, nazismo, incesto, riabilitazione, crimine: sono gli ingredienti di una storia che riesce ad essere lieve nella sua circolarità, mai morbosa, una favola nera su un lento apprendistato alla vita, sull’imperscrutabilità degli eventi … e su quanto sia difficile preparare una torta di mele. Appena scarcerato, il neonazista Adam viene assegnato per tre mesi a una comunità di recupero guidata da un pastore protestante, Ivan, che gli assegna il compito di badare all’albero di mele per farne una torta una volta mature. Aggressivo e scontroso, il giovane si ritrova con altri due ex galeotti che hanno scelto di prolungare il soggiorno: un cleptomane alcolizzato e un rapinatore pakistano. E poi qualche anima in pena, come la ragazza rimasta incinta con buone probabilità che il figlio nasca handicappato. Intorno ad Adam si infittiscono strani segnali: il ritratto del Fuhrer continua a staccarsi dal muro, la Bibbia continua ad aprirsi sul libro di Giobbe, i corvi neri si affollano intorno all’albero, Ivan continua a parlargli del diavolo che lo mette alla prova. Il prete sembra un esaltato, e Adam non trova di meglio che pestarlo a sangue, vedendosi porgere l’altra guancia. Quanto ai compagni, sono molti gli indizi di furti reiterati, alla faccia delle redenzione. Tra scenari bucolici e atmosfere cupe, musiche hitchcockiane e comportamenti spiazzanti, ad Adam si rivelano poco a poco sofferenze, difficoltà, realtà distorte: Ivan e le sue tragedie familiari, la sua capacità di rimozione costante e sistematica della realtà che nasconde una spiegazione allarmante. Nel frattempo, le mele passano dai corvi ai vermi mentre il passato dei compagni emerge con chiarezza; anche il vecchio Paul, reduce dai campi di concentramento, in realtà vi lavorava come ufficiale. E gli amici neonazi incombono malintenzionati… Le mele di Adamo è una grottesca storia di rinascita, cupa e vagamente apocalittica, ben calibrata nella spietatezza dello sguardo, ora cinico ora compassionevole, con un umorismo nerissimo. È un ritratto di piccoli, irresponsabili uomini “senza pelle” e senza radici, attraversati da un barlume di umanità, con un finale beffardo nel quale tutti troveranno il proprio equilibrio, per quanto sottile, e un posto nel mondo. Il giovane Anders Thomas Jensen, sceneggiatore del bellissimo Non desiderare la donna d’altri e sulfureo regista di (due macellai che si trovano a vendere carne umana con soddisfazione della clientela), ha radunato i migliori attori 3 danesi, espressione di una cinematografia a 360 gradi con una forte propensione a narrare il dolore, le pulsioni umane meno confessabili, i collassi familiari, le situazioni estreme in cui si perde tutto e si può ricominciare. Un cinema laico, con un radicato senso della drammaturgia, sorprendente e stimolante. ( www.fice.it )

Anders Thomas Jensen ha confezionato un noir ironico e originale, ambientato in una sperduta chiesa della campagna danese. Una black comedy agrodolce come un mela, un film che tiene in sospeso lo spettatore fino all'ultimo. È Le mele di Adamo, l'ultima opera del danese Anders Thomas Jensen, dopo Flickering Lights, del 2000, e The Green Butchers del 2003, che insieme vanno a comporre una trilogia dedicata ai disadattati e agli strambi di Danimarca. Il film ha vinto l'edizione 2005 del Noir in Festival di Courmayeur, ed è stato presentato nella selezione ufficiale del Sundance Film Festival 2005 e in quella del Festival di Toronto dello stesso anno; è la terza convincente prova registica del 36enne Jensen, già sceneggiatore di numerosi film danesi degli ultimi anni, fra cui due pellicole realizzate secondo il DOGMA95: The King is Alive (Il re è vivo, 2001) selezionato a Cannes, nella sezione Un Certain Regard, e Mifune (Mifune, 1998), di Søren Kragh-Jacobsen, Gran Premio della Giuria e Orso d'Argento a Berlino. Il protagonista del titolo è Adam (Ulrich Thomsen), un neo-nazista che, appena uscito di prigione, viene mandato in una comunità di recupero organizzata in un vicariato di campagna, sotto la tutela di padre Ivan (Mads Mikkelsen), un pastore protestante. Nella comunità ci sono Gunnar (Nicolas Bro), ex campione di tennis diventato alcolista, e Khalid (Ali Kazim), giovane immigrato arabo con una passione per le armi e per un linguaggio "colorito". Il pastore Ivan, che guarda la vita con un estremo – quasi grottesco – ottimismo, e non fa altro che porgere l'altra guancia, crede che ognuno debba porsi un obiettivo. L'obiettivo che sceglie Adam è particolare: preparare una torta con le mele dell'albero più bello del giardino. Ma il naïf Ivan lo prende sul serio, e fa di tutto per mandare avanti il "progetto-torta". La natura, però, si accanisce sull'albero di mele, che prima viene attaccato dagli uccelli, poi dai vermi e, infine, deve subire i fulmini di un violento temporale. Queste vicende – ben sottolineate dalla musica di Jeppe Kaas – innescano un'acuta considerazione sul dualismo fra bene e male, ispirata al biblico libro di Giobbe; una riflessione fra Adam e Ivan che coinvolge anche lo spettatore, portandolo a porsi delle domande che avranno una risposta solo alla fine del film. Una commedia che più nera non si può, verrebbe da dire; ma allo stesso tempo, Le mele di Adamo è una pellicola caratterizzata da momenti di humor quasi surreale, dosati con attenzione ed efficacia, che permettono al regista di rendere con ironia temi importanti come l'amore e la religione. Bene tutto il cast, ma è da segnalare l'ottima interpretazione di Ulrich Thomsen, noto al pubblico italiano per Festen, L' Eredità e Non desiderare la donna d'altri; sicuramente uno degli attori scandinavi più quotati del momento, tanto da essere è considerato l'erede di Max Von Sidow. Altrettanto convincente è stato Mads Mikkelsen, un nome collegato ai più grossi successi cinematografici danesi degli ultimi 15 anni, e già interprete nei primi due film di Jensen. Determinante il loro contributo alla riuscita di un film comunque ben scritto e ben diretto, che sa parlare con leggerezza di questioni che così leggere non sono.(www.primissima.it)

Un film di Carl Theodor Dreyer girato da Quentin Tarantino. La lotta fra Bene e Male, fede e nichilismo, vista come l'incrocio fra una "black comedy" e un western politicamente scorrettissimo. Una disputa filosofico-religiosa zeppa di elementi prelevati dal presente più scottante neonazisti, immigrati islamici, turismo sessuale ma condotta con la libertà di tono e la feroce impudenza tipiche del miglior cinema danese contemporaneo.Terza regia di un autore nato nel '72 che qualcuno ricorderà come sceneggiatore dell'irresistibile Mifune , questo Le mele di Adamo è un concentrato di provocazioni e cinismo che colpisce basso per mirare in alto. L'obiettivo è ricondurre una serie di temi e problemi apparentemente astratti alle loro basi più sanguigne e quotidiane. Mentre il tono paradossale e le trovate a raffica garantiscono il divertimento. Ghigno da criminale, cranio rapato da skinhead, l'Adamo del titolo (il grande Ulrich Thomsen) è un neonazista fresco di galera spedito a rieducarsi nel vicariato di campagna di padre Ivan, un pastore protestante in sandali e bermuda che qualsiasi cosa accada invece porge sempre l'altra guancia. Un santo, un illuminato o forse un pazzo che vive in un mondo tutto suo e pur di contrastare il Male è pronto a negare la sua stessa esistenza. Insomma un imperdonabile ipocrita agli occhi del violento Adamo, che invece conosce solo la legge del più forte e appena prende possesso della sua stanzetta appende al muro la foto di Hitler (irresistibile il lunare dialoghetto al riguardo). Attorno a questi due opposti campioni del Bene e del Male, si muovono gli altri ospiti del vicariato: l'immigrato Khalid, terrorista e rapinatore; l'obeso Gunnar, ex-campione di tennis, cleptomane, stupratore pentito; e l'ultra40enne Sarah, tornata incinta da una vacanza in Indonesia e terrorizzata all'idea di partorire un piccolo handicappato. Con tutti Ivan si impegna a predicare il Bene negando cittadinanza al Male. Anche perché lui stesso, come scoprirà il sempre più disgustato Adamo, è perseguitato dalla sventura come il biblico Giobbe. Ma è anche vivo, benché molto malato, contro ogni legge scientifica... Ci si può aggrappare alla fede oltre ogni evidenza (anche l'albero di mele in giardino, le mele con cui il neonazi vorrebbe sfornare una torta come prova di buona volontà, è preso di mira da vermi e uccellacci), o come invece sostiene Adamo bisogna almeno riconoscere il caos, il dolore, le sciagure che perseguitano Ivan fin dall'infanzia? Fra episodi surreali (spari in faccia, fulmini che cadono dal cielo, eventi miracolosi) e impennate di calcolato cattivo gusto, Le mele di Adamo porta tutti verso una incredibile redenzione generale, a sua volta irrisa nel beffardo finale. Arduo forse seguire fino in fondo i paradossi e le provocazioni dell' enfant terrible Jensen. Ma se lo stile sposa cinismo ed eclettismo (altro che Dogma...), la libertà dello script è un salutare calcio al conformismo. (Da Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 28 aprile 2006)

"Opera di Anders Thomas Jensen, un autore già affermato come sceneggiatore e premiato con l'Oscar per il cortometraggio, 'Le mele di Adamo' ha compiuto un notevole cursus honorum, incluso il massimo premio al Noir di Courmayeur. Va 4 apprezzato come una metafora dura e limpida, che in un precario recupero di ottimismo approda a un messaggio tutt'altro che ovvio. Quando ci si imbatte in una realtà inaccettabile come la sovradescritta adunata di Roma si intuisce (e 'Le mele di Adamo' lo conferma) che per ricondurre certi forsennati alla ragione poco servirebbero le lezioni di storia, i ragionamenti politici o le norme comportamentali; ed è inutile illudersi di risolvere qualcosa attraverso trattamenti di gruppo. La cura può solo essere individuale e ogni volta il terapeuta dovrà mostrarsi disposto, come padre Ivan, a giocare tutto se stesso e a confidare nell'imponderabile che i credenti chiamano miracolo." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 28 aprile 2006)

"Fra violenze, resurrezioni e altri eventi più o meno soprannaturali, 'Le mele di Adamo' prende gusto a dinamitare le aspettative di chi lo guarda, prima di giungere a un finale circolare e beffardo che chiude una serie continua (e forse un po' pleonastica) di sorprese. Dirige Anders Thomas Jensen che non risparmia lo humour nero intinto di crudeltà." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 29 aprile 2006)

Note: - PREMIO MIGLIOR FILM AL COURMAYEUR NOIR IN FESTIVAL 2005. - FILM FEST HAMBURG, 2005: Audience Award - REYKJAVIK INTERNATIONAL FILM FESTIVAL, 2005: Audience Award - WARSAW INTERNATIONAL FILM FESTIVAL, 2005: Audience Award - EUROPEAN FILM ACADEMY NOMINATIONS, 2005: Best script - DANISH ENTRY FOR THE 78TH ACADEMY AWARDS NOMINATIONS - ROBERTS AWARDS (DANISH OSCARS), 2005: Best Film, Best original script, Best special effects, Audience Award

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