Strage di Rovetta Non riuscimmo a fermare gli inglesi> ( Eco di , L' del 15/05/2008 ) Stampa - Guida "Strage di Rovetta Non riuscimmo a fermare gli inglesi" Parla Rocco Zambelli, 92 anni, partigiano della Brigata Camozzi "Fra loro c'era il Moicano". Vennero fucilati 43 giovani fascisti Segue da pagina 1 Rocco Zambelli parla nel soggiorno della sua bella casa, il grande camino in un angolo. Dentro al camino un televisore a cristalli liquidi. Rocco Zambelli ha 92 anni. In quell'aprile del 1945 era un giovane sacerdote, aveva ventinove anni ed era il cappellano delle formazioni partigiane, in particolare stava con Giustizia e Libertà, con la Brigata Camozzi. Rocco Zambelli parla nella sala dalla grande porta finestra, fuori c'è un cielo limpido. Dice: "I ragazzi della Tagliamento si erano arresi, avevano consegnato le armi. Dovevano essere processati regolarmente e non fucilati a quel modo. Noi ci indignammo. Il comandante della Brigata Camozzi era Bepi Lanfranchi, era mio amico, e Bepi era contrario a questa cosa. So che riuscì a salvare uno di quei ragazzi, a nasconderlo dal prete di Rovetta. Ma non riuscì a opporsi alla decisione degli inglesi. Eravamo troppo deboli in Valle Seriana, la Camozzi era ridotta a una ventina di uomini, c'erano gruppetti... Gli inglesi erano arrivati con i paracadute, erano odiosi. Noi non li potevamo vedere. Loro arraffavano tutte le provviste che venivano lanciate con i paracadute. Loro mangiavano e noi pativamo la fame, in montagna. Non li potevamo vedere. E poi c'è stata questa cosa dei ragazzi della Tagliamento. Io sto perdendo la memoria, faccio fatica a ricordare. Ma mi ricordo bene che io ero sceso con il primo gruppo giù alla prefettura di Bergamo e venni a sapere della fucilazione e protestai subito con il responsabile, quello che comandava a Bergamo in quei giorni, come si chiamava... Buttaro, si chiamava Buttaro". Rocco Zambelli si ferma, cerca le parole. I nomi, i particolari si perdono. Ma restano chiari i concetti. E Zambelli li ribadisce: ""Consegnateli a noi che ci pensiamo noi" dissero ai nostri. E il Bepi non è riuscito a opporsi. Il Bepi era uno buono. Noi partigiani veri non volevamo vendette, non volevamo uccidere i fascisti e di certo non in quella maniera. Volevamo la legalità. Era successo anche con quei fascisti che scappavano con il treno, li abbiamo presi credo a o a ... vennero portati in questura a Bergamo. Nessun spargimento di sangue. Della Brigata Camozzi ricordo anche Gasparini di che era un ufficiale dell'esercito italiano, un artigliere. Era un gentiluomo". La vicenda della strage di Rovetta rappresenta una delle pagine più oscure e tragiche del primissimo dopoguerra: quarantatre giovani militi della Divisione Tagliamento della Repubblica Sociale di Salò, Divisione utilizzata soprattutto nei rastrellamenti di partigiani sulle montagne, vennero uccisi contro il muro del cimitero del paese. Era il 28 aprile 1945. Dopo quegli eventi venne aperto un processo giudiziario che si risolse con un nulla di fatto. La vicenda venne rimossa, sotterrata, nascosta negli archivi polverosi e oscuri dell'inconscio collettivo. Una pagina troppo negativa. Una vergogna. Si ricominciò a parlarne prima timidamente negli Anni Novanta, in seguito al cambiamento del clima politico e culturale, uno dei tanti, piccoli e marginali effetti del crollo del Muro di Berlino. La vicenda venne tirata fuori dai luoghi oscuri in cui era stata seppellita e cominciarono i dubbi, fioccarono le domande, l'ansia di scandalo e magari anche di revisionismo, nel senso peggiore del termine. I partigiani non erano inclini a parlarne, ma questa reticenza non faceva bene alla verità. Silenzi, disguidi, fraintendimenti. Ma come erano andate realmente le cose? Il 27 aprile del 1945 l'albergatore del Passo della Presolana, Franceschetti, accompagnò con la bandiera bianca un gruppo di soldati della Divisione Tagliamento a Rovetta. Erano militi di stanza al Passo della Presolana, guidati dal sottenente Roberto Panzanelli. Solo uno dei 49 legionari era bergamasco e raggiunse subito il suo paese, , a piedi. La discesa dal Passo a Rovetta venne fatta con le armi in pugno e non tutti nella compagnia erano così convinti di cederle, secondo le poche testimonianze raccolte. Il gruppo arrivò a Rovetta alle 19.30 di quel 27 aprile, ci furono colloqui fra Panzanelli, Franceschetti e il maggiore Pacifico del Cln locale il quale rassicurò l'ufficiale della Tagliamento circa la consegna dei militi all'autorità competente. Vennero alloggiati in un primo momento nelle scuole elementari poi, per ragioni di sicurezza, vennero portati in montagna, rinchiusi in una baita, in località Zenier. La mattina dopo vennero riportati nelle scuole. Il maggiore Pacifico dichiarò di essere certo che non ci fossero pericoli di sorta e che sarebbero stati consegnati ai reparti alleati come prigionieri di guerra. Ma in quella mattina del 28 aprile la situazione precipitò. Che cosa accadde? Furono i partigiani bergamaschi a decidere l'esecuzione? Oppure furono gli inglesi, in particolare il Moicano? E perché questa decisione? Sul tema sono stati pubblicati negli ultimi mesi due volumi, uno di Angelo Bendotti, direttore dell'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e uno di Grazia Spada, insegnante, nipote di uno dei ragazzi uccisi quel giorno. Angelo Bendotti nel libro presenta un'intervista inedita al Moicano, al secolo Paolo Poduje, istriano al soldo dei servizi segreti britannici, intervista fatta poco prima che morisse. Nell'intervista Moicano si addossa completamente la responsabilità della decisione. Grazia Spada dopo avere analizzato i materiali esistenti anche negli archivi britannici ha dato un'altra spiegazione: la fucilazione venne voluta dalla Camozzi per ristabilire la sua egemonia militare nella zona. Rocco Zambelli, testimone di quei giorni presenta una verità molto vicina a quella sostenuta da Bendotti. Ha detto: "Ci siamo chiesti tante volte perché gli inglesi avessero voluto fare una cosa del genere. A noi non piacevano gli inglesi. Noi abbiamo pensato che loro sono rimasti negli ultimi mesi in Bergamasca, ma non hanno fatto niente, hanno solo ben mangiato. E allora a quel punto, approfittando della debolezza della Camozzi, hanno voluto fare pesare la loro presenza, hanno voluto in qualche modo superare i partigiani. Mi hanno detto che anche la gente di Rovetta non voleva questa cosa. Non siamo riusciti a evitare che uccidessero quei ragazzi. E poi quanti eravamo noi della Camozzi? Eravamo troppo deboli". Paolo Aresi. ( Eco di Bergamo, L' del 15/05/2008 )