Linee semplici nell’abito e nell’acconciatura, ora, e la donna affascina per la sua grazia e la sua bellezza. Un tocco sapiente la ravviva e il soffio d’un profumo irreale la TABACCO D'BARÀR circonda per farne una visione di sogno. 1

DA UN’ DELIZIOSA.... UN DELIZIOSO FILM

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RACCOLTA DI COMMEDIE DI OGNI EPOCA DIRETTA DA LUCIO RIDENTI CONTERRANNO DUE OPERE CHE PER LA PRIMA VOLTA HANNO UNA VERSIONE ITALIANA

FERDINAND RAIMUND (1790- 1836)

In tutte le librerie, è in vendita: IL DISSIPATORE G U A R D A COMMEDIA IN TRE ATTI PRIMA VERSIONE E PRESENTAZIONE DI GRAZIA E FERNALDO DI GIAMMATTEO CHI SI VEDE! Copertina a colori del pittore R E G O S A DI MAJNSUETO FEJNIiNl Scrittore-attore notissimo nella sua patria, «ancor oggi, Raimund fu il maggiore e più significativo esponente di quel « teatro popo­ lare viennese » che fuse in complesso armonico le contrastanti * tendenze del seicento barocco austro-bavarese: l’influsso persistente CONTIENE LE COMMEDIE IN UN ATTO: della commedia dell’arte, l’opera in musica italiana e lo « SchuI- dmama » dei Gesuiti. Attore estroso e brillante, se mai altri ve ife APPUNTAMENTO IN PA­ furono sulle ribalte viennesi dell’epoca, egli interpretò le opere dei commediografi popolari suoi contemporanei, e presto divenne il be­ STICCERIA * STUFI DI niamino dei pubblici del « Leopoidstaedter Theater » e del « Joseph- FARE I FURBI * VIVERE sta ed ter Theater ». Sulla scìa di costoro (ed in aperta opposizione con gli austeri epigoni della tradizione « classica ») Raimund iniziò SEMPRE COME ORA * LA egli stesso a scrivere una serie di «fiabe sceniche» (Carlo Gozzi DATTILOGRAFA SI SPOSA aveva avuto fortuna), tipica e singolarmente viva espressione, nono­ stante l’irrealtà dello svolgimento drammatico, della mentalità e Ritroviamo amici e nemici, i dell’ambiente di nel suo fulgore imperiale. De più apprez­ sogni dei nostri vent’anni e le zate furono il « Contadino milionario » e « Il re delle Alpi e il mi­ disillusioni di poi, l incertezza santropo ». Il capolavoro di Raimund fu indiscutibilmente « Der del tempo presente e, mal­ Verschwender » (Il dissipatore), scritto nel 1834, due anni prime della grado tutto, la gioia di vivere morte: è opera della piena maturità, nella quale all’elemento fanta­ stico e e un residuo di artificiosità barocca, si sposa una vena di * schietta umanità. In Italia « Il dissipatore » non è mai stato tradotto. Casa Editrice “IL BALCONE,, ■ Milano - Via Sandro Sandri, 2 . JUAN RUIZ DE ALARCÓN (1580- 1639)

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Di una nuova invasione. Non si tratta, naturalmente, di una operazione bellica, ma di una assai più modesta « invasione » teatrale, consigliata dal cronista del quotidiano « L’Unità », edizione di Torino, ai frequentatori del Teatro Carignano della nostra città. La sera del 30 dicembre scorso, la Compagnia di Isa Miranda, con Filippo Scelzo, ha rappresentato una commedia fra quelle comunemente dette di « repertorio », già nota da anni agli stessi torinesi, ed apparsa la prima volta in Italia il 15 gennaio 1949, al Teatro Quirino di Roma: «Fascino» di Winter. Nessun «avvenimento particolare», dunque; soltanto la recita di una normale commedia, così, come il giorno prima ne era stata rappresentata un’altra, ugualmente normale: «La maestrina» di Niccodemi. L’indomani della rappresentazione, il cronista dell’« Unità » ha pubblicato queste pa­ role: « Stabilendo che il monte Himalaia sia la cima più elevata dell’idiozia umana, dobbiamo subito dire che ieri sera Isa Miranda, come prima attrice, e Filippo Scelzo, come direttore artistico, hanno piantato su questa cima la loro vittoriosa banderuola. Teatro semivuoto: il pubblico dimostra maggiore intelligenza di certi attori che si ostinano a voler essere volgari buffoni credendo con questo di attirare la gente. Ieri sera tutti i limiti della sopportazione seno stati sorpassati; ci siamo meravigliati che il pubblico ad un t a c c u i n o certo momento non abbia invaso il palcoscenico per fare cessare la pagliacciata che vi si rappresentava ». Per la stessa commedia, alla sua prima indicata rappresentazione, Ermanno Contini — critico drammatico tra i più seri e meglio preparati — aveva scritto: « Grande e meritato successo: l’autore ci ha fatto ascoltare una bella, forte, commossa opera di umana poesia, quale da tempo non sentivamo. Successo tanto più interessante in quanto è rischiosamente conquistato con una coraggiosa presa di posi­ zione contro alcuni di quegli ideali morali che spesso conducono gli uomini ad azioni innaturali e dannose non diversamente da come ve li conducono le loro brame. « E’ la comune idea di onestà che viene qui discussa e per così dire revisionata; ma ciò accade senza presupposti, quasi senza intenzioni polemiche, per la sola forza dei fatti umani che si impongono al di sopra dei pregiudizi con la loro irresistibile per­ suasione. Non è quindi nè una commedia di idee, nè una commedia sociale, ne una commedia a tesi; è semplicemente una commedia, una situazione, un conflitto, un con­ trastare di sentimenti e di passioni nel quale ciascuno ha ragione, nessuno è malvagio, e l’egoismo, che può sembrare ad un certo punto il sentimento e la passione più forte, cede il passo ad una comprensione che spinge ugualmente tutti verso la rinuncia e il sacrificio. E’ una commedia, insomma, nella quale contano solamente i fatti umani e la morale vien ricavata non traverso la convenzione, ma traverso una spregiudicata e perciò autentica valutazione della loro realtà. « Il successo è stato grandissimo: sei chiamate al primo atto, otto al secondo, undici al terzo, otto al quarto ». Con questo atto di nascita, la commedia vive ancora, e varie Compagnie l’hanno reci­ tata in questi anni, in tutta Italia. Ultima, in ordine di data, la Compagnia di Isa Miranda. Alla rappresentazione del 31 dicembre, mentre più calorosi erano gli applausi che chiamavano gli attori alla ribalta, Isa Miranda si è fatta avanti, e con accorata com­ mozione, ha riferito al pubblico le parole apparse, al mattino, sul giornale « L’Unità ». Ha detto, umilmente, che gli attori possono e debbono accettare la critica, i suggeri­ menti validi, i consigli disinteressati, ma riteneva e domandava il giudizio dei pre­ senti, se non fosse un po’ ieccessivo diritto di libertà di critica, giungere agli insulti come « volgari buffoni » ed all’incitamento ad « invadere il palcoscenico ». Sempre più accorata, ma con scherzoso tono, si è domandata, ed ha domandato, che cosa volesse significare « invasione » nel suo caso particolare: violenze agli attori? distruzione delle scene? fuoco alle suppellettili e perciò al teatro? Il pubblico, che gremiva la sala, ha avuto uno di quegli slanci di affettuosa generosità che solo gli spettatori delle « serate normali » sanno avere, ed — in piedi — ha fatto ad Isa Miranda ed ai suoi compagni, una manifestazione di cordiale simpatia. Era l’ul­ tima recita della Compagnia al Teatro Carignano di Torino: attori e pubblico, ancora una volta, come da secoli, uniti in quella che è la vera passione teatrale, si sono detti la stima e l’affetto, la simpatia e l’augurio.

COLL AB O RAT O RI

MARCEL ACHARD: ADAMO, commedia in tre atti # Articoli e scritti rari (nell’ordine di pubblicazione) di GIORGIO PROSPERI; FRANCESCO BERNARDELLI; ANTON GIULIO BRAGAGLIA: VINICIO MARINUCCI; C.BEYLIN; CHARLES DULLIN; FERNALDO DI GIAMMATTEO; VITO PANDOLFI; RENATO SIMONI; BROOKS ATKINSON; GINO CAIMI; I. KRUTI; MARCEL PAGNOL * In coper­ tina: BRINI: Simbolo della commedia «.Adamo-» + Seguono le cronache fotografiche e le rubriche rarie. GIORGIO PROSPERI COMPIACIMENTO DI

SUPERARE LO SCANDALO

Quando Adamo, la commedia di Marcel Achard, fu rappresentata a Roma la prima volta, noi scrivemmo di dichiararci soddisfatti di averne sostenuta la rappresentazione. Noi, l’abbiamo detto più volte, siamo per la libertà. Alla massoneria dei pederasti preferiamo il loro libero sindacato. Se la storia di questi ultimi anni ci ha insegnato qualche cosa e proprio una profonda sfiducia nella censura, nei plotoni d3esecuzione, in ogni forma di epurazione dall3alto. Il mondo è pieno di martiri. Ci mancherebbe un martirologio dei pederasti sotto le speci dell3arte. Noi siamo del parere che se una società non e capace di difendersi da se e di eliminare con le proprie forze certe tossine e vana fatica imporle una moralità che non sente e che non gra­ disce. Meglio lasciarla sfiatare. Così ogni persona assumerà il proprio volto e ogni cosa si ridurrà alle proporzioni che le si confanno. E gli spettatori ingenui che si son visti parare din- nanzi codesto dramma di un omosessuale, imparino a loro spese che il teatro è una cosa seria e s3injormino, prima di cadere come aeroliti su una poltrona, qual è il valore dell’autore, e quale Vargomento della commedia, e se merita d’esser visto dal figliuolo o meglio ancora dalla figliuoletta. Leggano i giornali, si scuotano dalla loro poltroneria e lascino in pace lo Stato. E3 sommamente pericoloso, non Vabbiamo sperimentato abbastanza?, affidare agli altri la propria difesa. Chi ci difende una volta e fatale che rivendichi dei diritti. Al mondo non si dà nulla per nulla. Queste considerazioni preliminari, sulle quali possiamo dire di aver raggiunto una interiore e pacificata certezza, ci furono confermate dal sintomatico contegno del pubblico allo spettacolo di cui stiamo parlando. Il qual pubblico, notammo allora, poteva distinguersi come segue: una pattuglia di intransigenti difensori della morale; una pattuglia di altrettanto intransigenti difensori delVarte. Fra costoro, che potrebbero essere Vestrema destra e la estrema sinistra del- dell3assemblea, una vasta palude che costituiva il centro e che applaudiva per rappresaglia contro ii moralisti, per ostentazione del proprio cosmopolitismo e per quelVamor dello scandalo che possiede tutte le assemblee scarsamente dotate di personali convinzioni e moralità. Val la pena di rilevare che, anche ingioiellata ed impellicciata, la provincia resta provincia. Perciò le nostre simpatie e la nostra attenzione sono rivolte sopratutto agli estremisti delle due parti ai quali vorremmo ricordare che la vera moralità e sempre libertà, cioè un aspetto delVarte; e che Varte, dValtra parte, per la verità e V universalità che la sospinge, non può non essere morale. L3argomento del dramma, è questo : Una giovane donna va a svenire in un tranquilla casetta dei sobborghi parigini. Il padrone di casa e suo figlio la soccorrono. La donna rinviene e lentamente riacquista la memoria de$ passato, che in un primo tempo aveva perduto. Ricorda che il suo amante, Massimo, la sera prima Vha abbandonata. Massimo ha un amico, un famoso direttore d’orchestra. Si telefona a costui perchè convinca Massimo a soccorrere la disperata fanciulla. Il musicista accorre in luogo di Massimo. E qui ha inizio un capzioso ed equivoco duello fra la donna e l’uomo, che finalmente si rivela inna- morato di Massimo. La povera Eva allibisce. Telefona a Massimo e Massimo sembra optare per lei; ma poi interviene al telefono il musicista e Massimo sembra di nuovo ripreso dal demone di costui. Finalmente, allorché svanito Veffetto della suggestione, il povero Adamo in- voca disperatamente il soccorso di Eva, la donna, piena d’orrore per le nuove rivelazioni deX musicista, rifiuta. Massimo, abbandonato alla propria debolezza, si uccide. Da tale argomento si può dedurre, per chi ama le vistose conclusioni, una vittoria di Eva. Ma non è qui il riscontro morale della vicenda, sibbene nel modo come essa è condotta e nei valori intrinseci che se ne ricavano. I quali, oltre la trovata tecnica del lunghissimo atto in tre tempi, imperniato sulla drammatica telefonata che vuole indicarci come l’anima di Massimo in realtà non esista, ma prenda volta a volta il valore dell’anima della donna e di quella del musicista, non superano i limiti di un compianto sentimentale, laddove la figura del musicista, nonostante il sottile e programmatico demonismo, si atteggia secondo un charme di maniera, da rivista in rotocalco, salvo a rivelare alla fine, questo moderno Satanasso, una anima da povero diavolo. Siamo ancora, con tanto lusso di situazioni psicologiche e drammatiche e con un morto per telefono, alla commedia. Vittoria di Eva, vittoria dell’amore? Ma no, amici miei, vittoria del compromesso, vittoria del lieto fine, cioè in definitiva vittoria della commedia sul dramma. Siamo ad un moralismo che non lascia il segno, alla disfatta di un’infatuazione, che tut­ tavia consente qualche scorreria su un terreno minato. Questo è piaciuto enormemente al pubblico, soprattutto per il mondano compiacimento di superare lo scandalo. DRAMMA IN TRE ATTI DI MARCEL A C H A R D TITOLO ORIGINALE DELL’OPERA «ADAM»: VERSIONE ITALIANA DI CARLO LARI

Lancelot —■ Sei sicuro che non ne sia restato L E P E R S O N E un po’ di ieri? LA SCONOSCIUTA (CATERINA) - UGO SAXEL Gian Francesco — Sicurissimo. L’ho bevuto io LANCELOT - GIAN FRANCESCO, suo figlio - poco fa. Lancelot — Che ignobile generazione! CARLOS Gian Francesco (scoraggiato) — Non riesco a prendere «Carmen»... Ma dov’eri andato? ÈVA: «Adamo, prendi la mia mano e tienila stretta, perchè Lancelot — In giardino. (Accenna alla finestra). ecco Satana e noi possiamo anche perdere l’amore»-, Gian Francesco (sprezzante) — E quello tu lo ELISABETTA BROWNING chiami giardino? Lancelot —■ E’ un giardino, e un orto, per di più. Eccone la prova. (Toglie di tasca un pomodoro). La stanza di soggiorno Gian Francesco (con ammirazione) — Un po­ di una villa modesta, sulla modoro ! strada da Paiigi ad Or­ Lancelot (rettificando) — H pomodoro! Credo léans, vicino ad Antony che per quest’anno sarà il solo. Bello, non è vero? La stanza è arredata graziosamente, ma non ric­ (Lo lustra con la manica della giacca). camente, con una quantità di mobili ed oggetti di­ Gian Francesco -— Dovresti dargli un po’ di cera. sparati. In primo piano, una porta che dà sulla Lancelot (sognante) — Si potrebbe forse man­ cucina e sulla stanza da pranzo. In fondo, una giarlo in insalata? larga finestra attraverso la quale s’intravede uno Gian Francesco — Non oserei mai. Lancelot — O forse semplicemente, così, con un di quei piccoli giardini della periferia. A destra po’ di sale. dello spettatore è collocato un largo divano, mobile Gian Francesco — Non subito, in ogni caso... essenziale del salotto. Radio e telefono, indispen­ Godiamocelo un po’. sabili in una villa alla periferia. Siccome la strada Lancelot — Peccato che non ce ne siano altri. è separata dalla casa per mezzo del giardino, si ha Gian Francesco — Ah sì! Peccato! la fortuna di sentire le automobili soltanto quando Lancelot — Tu scherzi! Ne avremmo potuto fare la porta si apre. delle conserve meravigliose! (All’alzarsi del sipario, Gian Francesco, accanto Gian Francesco — Posso dirti quello che penso alla radio, sfoglia un giornale e cerca una stazione. di te? Rumori nell’apparecchio). Lancelot — Dillo con educazione. Lancelot (entra affaccendato) — Hai fatto il Gian Francesco — Sei un sognatore, povero papà. caffè? Lancelot — Un sognatore? Bada, non ti per­ Gian Francesco (deciso) — No, non ho fatto il metto... caffè. Gian Francesco — Delle conserve col raccolto Lancelot —■ Avresti la bontà di dirmene la ra­ di un pomodoro all’anno? Lancelot — Certo, il giardino è troppo piccolo. gione? Gian Francesco — Ed è il più grande di Antony. Gian Francesco — Volentieri. Perchè oggi è Lancelot — E poi dà sulla strada. Non c’è di peg­ mercoledì. gio pei giardini. Lancelot — E allora? Gian Francesco — Proprio così. Gian Francesco — Allora il mercoledì tocca a te Lancelot —• Ma non mi scoraggio, guarda. La fare il caffè. pioggiarella di stanotte ha fatto molto bene all’in­ Lancelot (.amaro) — Non sei davvero gentile. salata. Io ho già spazzato. E sai che ho i dolori reuma­ Gian Francesco — Questo mi fa molto piacere. tici in questi giorni. Lancelot — Quello che mi dà sui nervi è il merlo. Gian Francesco — Oh! Alla gamba! Gian Francesco — Ah! T’ha svegliato? MARCEL ACHARD

Lancelot — No, se ne è andato. Lancelot — Perchè sai, le donne... ho una mia Gian Francesco — Me lo aspettavo. Da qualche opinione in proposito. tempo non ci si trovava più bene. Gian Francesco — La conosco e la condivido. Lancelot — E ne so la ragione. Il nostro albero Lancelot — Bambole, veleno e simili, piccola cosa non ha più abbastanza foglie. che cinguetta, no, dicono di adorarti e, appena volti Gian Francesco (seduto a terra fa movimenti le spalle, se ne vanno con un ufficiale. ginnastici) — E’ una bella disgrazia! Gian Francesco (commosso) —• Papà! Lancelot — Proprio così. Che ora è? Lancelot —- Sì... Ed era tua madre... Figurati le Gian Francesco — Mah! Cima un’ora e mezzo altre! fa, erano quasi le otto. Gian Francesco ■— Me lo figuro! Lancelot —■ Allora, le nove e un quarto? Lancelot — Non voglio scoraggiarti, bada. Sembra Gian Francesco — Sì. che ce ne siano anche delle buone. Io non ne ho Lancelot — Dunque oggi non hai lezione? conosciute. Gian Francesco —? No. Gian Francesco — Non prendertela. Bel tempo, Lancelot — Allora, hai rifatto i letti? eh, stamani? Gian Francesco (.rettificando) — Ho rifatto il Lancelot —■ Sì. (Va alla porta) Non lo avrei « mio » letto. creduto, dopo la nebbia di stanotte. (Movimento) Lancelot (infuriato) — Finirai coll’irritarmi tanto C’è qualcuno al cancello. che uno di questi giorni prenderò una donna di Gian Francesco —• E dunque? servizio. Lancelot —- Ma quella vuol entrare! Gian Francesco (sospendendo i movimenti) _ Gian Francesco — E’ una donna? Ehi, ehi! Non facciamo scherzi. E i quattrini per i Lancelot •—• Sì. Oh! Ha un’aria strana. Ecco... miei minuti piaceri? Entra! Lancelot — Li darò a lei. Stammi bene a sentire. Gian Francesco (eccitatissimo) — Davvero?... (Sì Io già lavo i piatti. E odio lavare i piatti. Ma se devo sente suonare un campanello dallo squillo molto anche rifarmi il letto i giorni in cui tu non hai le­ modesto. Gian Francesco raggiunge il padre) Si zioni... ferma... Ma, guarda, è molto carina. Gian Francesco — Va là, me lo rifarò da me... Lancelot — Di’ la verità, la conosci? Lancelot — E passa bene l’aspiratore sotto i mo­ Gian Francesco — Affatto. bili. La settimana scorsa, le ho fatte io le faccende. Lancelot — Non verrebbe così senza una ra­ Gian Francesco (si rialza) — Oh! Che barba!.., gione... Sono sicuro che la conosci. (Fa per uscire, Lancelot lo ferma). Gian Francesco — Ti giuro di no. E non restia­ Lancelot — Sei in collera con me? mo qui come due imbecilli. Facciamo fìnta di nul­ Gian Francesco (indulgente) — Non sono in col­ la. Prendiamo un’aria disinvolta. (Prende la rivista lera con te; soltanto ti sei ritirato troppo presto Radio e si mette a leggere, in piedi, con un piede dal commercio. sopra una sedia). Lancelot — E’ vero! Ma mi annoiavo troppo a Lancelot — Hai ragione. (Prende dal tavolino bottega. La chincaglieria non era la mia vocazione; il pomodoro e ci gioca a palla. Un momento di si­ ma siccome ero piuttosto un bel ragazzo, ho avuto lenzio. Una donna appare sulla soglia. Ha l’appa­ la disgrazia di piacere a tua madre. Bisognava vi­ rente età di ventidue o venticinque anni. E’ pal­ vere, e allora mettemmo su quel piccolo negozio. lidissima e sembra molto stanca. Indossa un ve­ Gian Francesco — Se tu avessi aspettato altri stito da sera nero, semplice ed elegante. Al suo in­ dieci anni a ritirarti, adesso non saremmo costretti gresso i due uomini si alzano. La donna li guarda ad abitare alla periferia e potremmo concederci il a lungo prima di parlare). lusso di una donna di servizio. La Sconosciuta (con uno sforzo) — Domando Lancelot — Quando tua madre se ne andò, non scusa... Non potrebbero... ebbi il coraggio di continuare. Che vuoi? Sono gio­ Lancelot — Che cosa? vane, ma di colpo mi sentii vecchio. (Una pausa; si La Sconosciuta — Non mi potrebbero... (Cade siede) Si vede, del resto. (Scuotendo la testa) Tu a corpo morto). hai la fortuna di fare un mestiere che ti piace. Lancelot (accorrendo verso di lei) — Ma che Gian Francesco (sorridendo) — Non lo faccio cos’ha?... Signora! ancora. Gian Francesco (che lo ha preceduto) — Signo­ Lancelot — Che discorsi son questi? I tuoi studi rina! non vanno bene? Lancelot — Ah, è svenuta! E’ proprio svenuta! Gian Francesco — Sì, sì, molto Portiamola sul divano, presto. Lancelot (seriamente) —■ C’è qualche storia di Gian Francesco — Sì. Prendila per i piedi. donna? Lancelot — Sì. (La portano sul divano, in pri­ Gian Francesco — Neppure un aneddoto. mo piano, a sinistra). Lancelot — Me lo diresti? Gian Francesco — Dammi il cuscino grande. Gian Francesco — Te lo direi. Lancelot (agitato) — Ecco, ecco! ADAMO

Gian Francesco — Com’è pallida! Gian Francesco (sorridendo, con molto garbo) Lancelot (tornando) — Sembra stia per morire! — Perchè lei era svenuta. Gian Francesco (■ascoltandola) —< No, no. Il La Sconosciuta — Come, ero svenuta!? respiro è regolare. Bisognerebbe farle anniusare Lancelot (un po’ aggressivo) — Sì. Cinque mi­ dei sali. nuti fa, lei è entrata qui, in casa di persone che Lancelot — Una parola! Chi lo poteva preve­ lei non conosce, perchè lei non ci conosce, vero? dere? La Sconosciuta (guardando attentamente l’uno Gian Francesco — C’è in casa un po’ d’aceto o e l’altro) — No. d’acqua di Colonia? Lancelot —■ E’ entrata, ha detto: «Non po­ Lancelot (irritato) — Aceto o acqua di Colonia? trebbero...» e poi... punfete!... è caduta lunga, di­ Gian Francesco — Quello che vuoi: per farle stesa per terra. delle frizioni. (Lancelot esce in fretta. Gian Fran­ La Sconosciuta (con un lieve sorriso) — Punfe­ cesco guarda con ammirazione la Sconosciuta che è te!... (Bidè decisamente). sempre immobile). Lancelot — Non sappiamo altro. Lancelot (rientrando con l’acqua di Colonia) — La Sconosciuta — Ho chiesto: Non potrebbero?... Ecco. Ora che ci penso... Non credi che bisogne­ Lancelot — Sì. rebbe tirarle la lingua? (E siccome Gian Francesco La Sconosciuta —■ Cosa avrò voluto dire? alza le spalle) Si fa sempre così. Lancelot — Lo domanda a me? Gian Francesco — Agli annegati. (Le friziona le La Sconosciuta (riflettendo) — « Non potreb­ tempia con acqua di Colonia). bero»... Che cosa? Lancelot (chinandosi su di lei) — Oh! ma è ter­ Gian Francesco (che non l’ha mai abbandonata ribile... Così giovane... con lo sguardo) —• « Indicarmi » per esempio, « la Gian Francesco (allontanandolo) — Le togli strada di Antony? ». l ’aria. Apri la finestra piuttosto. Lancelot -— Per chiedere informazioni sulle stra­ Lancelot (premuroso) — Sì, sì. de, non c’è bisogno di entrare nelle case; basta chie­ Gian Francesco (le friziona il collo). derle a un passante. Lancelot (disperato) — Ma non rinviene... non La Sconosciuta (a Gian Francesco) — Natural­ rinviene... E’ una sincope... Vedrai che morirà qui. mente. (Continuando a cercare) « Non potrebbe­ Gian Francesco — Non gridare in questo modo. ro? ». Lancelot — Telefoniamo a un medico. Gian Francesco — C’è un mezzo più semplice. Gian Francesco — Non varrebbe la pena di (Le siede accanto) Dove andava? farmi studiar medicina. Lancelot — Ecco. Lancelot — Oh! Non sei ancora medico... La Sconosciuta (dopo un secondo inquieta) — Gian Francesco — Prendila sotto le braccia. Non lo so. Sollevala. Lancelot — Ma via! E’ inaudito! Non sa dove Lancelot (sollevandola) — E’ leggera come ima andava? piuma. (La mettono a sedere sul divano). Gian Francesco (al padre) — Aspetta, aspetta. Gian Francesco (costringe la Sconosciuta ad (Alla Sconosciuta) Quando è uscita di casa? annusare l’acqua di Colonia) — Quest’acqua di Lancelot — Ecco. Colonia non vale niente. La Sconosciuta (con la stessa esitazione e con Lancelot — L’aceto neppure... dunque... inquietudine crescente) — Non lo so. Gian Francesco — Via, andiamo, che cosa ha Gian Francesco (guardando la Sconosciuta) — Com’è carina! fatto ieri sera? Lancelot — Ecco. Lancelot — La conosci? La Sconosciuta — Scusatemi. Non lo so. Gian Francesco — Ti dico di no. Lancelot — Ci prende in giro. Lancelot —■ E’ molto strano che una donna Gian Francesco — Forse no. venga a svenire in abito da sera in casa di gente La Sconosciuta (molto stupita) — Prima di che non conosce. tutto, che faccio qui? Gian Francesco — Pare che muova le palpebre. Lancelot — Stavo per domandarglielo io. .Aspetta! (Le dà un forte schiaffo). La Sconosciuta — Dove siamo qui? Lancelot (stupefatto) ■— La schiaffeggi ora? Lancelot —• Ma come... Gian Francesco •—• E’ un sistema eccellente. Gian Francesco (rispondendo con esattezza) — Lancelot — Dagli, allora! Lei è sulla strada di Chevreuse a quattordici chi­ Gian Francesco (le dà un secondo schiaffo. La lometri da Parigi, in un piccolo villaggio che si Sconosciuta rinviene e gli dà a sua volta uno chiama Antony. schiaffo con tutte le sue forze). La Sconosciuta (angosciata) —- A quattordici Lancelot (indignato) — Com’è violenta! chilometri da Parigi?... Che ci faccio io? La Sconosciuta (con risentimento) — Perchè mi Lancelot (a Gian Francesco) — Ah senti, mi fa ha dato uno schiaffo? perdere la pazienza! MARCEL ACHARD

Gian Francesco — Dove abita lei? Lancelot — Ha l’abitudine di perdere così la Lancelot — Ecco. memoria? La Sconosciuta (con la stessa angoscia) — Non La Sconosciuta (correggendo) — No. Ho l’abi­ lo so. Non lo so più. tudine di ricordare. So perfettamente che prima, Lancelot (duramente) — Non ha domicilio. Lei ricordavo tutto. non ha domicilio? Gian Francesco — Intanto dovrebbe riposarsi. La Sconosciuta (quasi con umiltà) —- Oh! sì. La Sconosciuta — Se vogliono. Ho un domicilio, ve lo assicuro. Ve lo giuro! Ma Gian Francesco — Dovrebbe dormire un poco. non so dove. La Sconosciuta (alzandosi con modo brusco) — Lancelot — Lei, certamente, abita a Parigi, se No. No. Dormire no. Non voglio dormire. porta un abito come quello. Lancelot — Perchè? La Sconosciuta — Sì! Credo. La Sconosciuta (camminando, seguita da Gian Lancelot — In quale quartiere? Montmartre? Francesco) —• Ho paura di dormire. Questo lo ri­ Grenelle? Belleville? Neudly? Passy? Il quartiere cordo, che non devo dormire. (Un momento di si­ Latino? L’Etoile? lenzio. I due uomini si guardano), Gian Francesco — Ma se ti dice che non se ne Gian Francesco — Ha fame? ricorda! La Sconosciuta (in un mormorio, a se stessa) Lancelot — Come si chiama? — Oh! no, dormire no. Lo so che non devo dormire. La Sconosciuta (disperata) — Non so il mio Gian Francesco (con molto garbo) — D’accordo. nome, neppure quello. Non dormirà. Lancelot (.al figlio) — Ma ci capisci qualcosa tu? La Sconosciuta (a se stessa) — Ah! dormire... Gian Francesco (le si avvicina, le prende la Grazie tante... Non voglio dormire mai più. testa e le guarda gli occhi) — E’ un caso d’amnesia Lancelot (che ha perso la pazienza) — Ma se parziale. Molto più frequente di quel che tu non le diciamo che non dormirà. creda. Gian Francesco (seccato) — Non parla con te. Lancelot — Ma prende all’improvviso, così? Lancelot — Lo so, ma fa perdere la pazienza lo Gian Francesco — Sì. stesso. Lancelot -— Allora, potrebbe succedere anche a Gian Francesco — Eppure deve sentirsi molto me? (Siede dall’altra parte della Sconosciuta). stanca. Gian Francesco — Certo. La Sconosciuta (sedendosi sopra una poltrona) Lancelot — Ah! (Alla Sconosciuta, più gentil­ — Sì. come lo sa? mente) E’ molto tempo che non ricorda più? Gian Francesco — Ha camminato tutta la notte. Gian Francesco — Come vuoi che lo sappia? La Sconosciuta (stupita) — In scarpine di raso? La Sconosciuta — Oh! sì, molto tempo. Gian Francesco — In scarpine di raso. Gian Francesco — Ebbene, vedi, questo non lo Lancelot — E con questa nebbia. credo. La Sconosciuta — Ho camminato nella nebbia? Lancelot (incredulo) — Ma il suo nome lo saprà? Gian Francesco — Sì. Senza cappello, in abito La Sconosciuta — Mi chiamo... Mi chiamo... da sera e con scarpine di tela di ragno! Lancelot —• Simona, Cristina, Dionisia, Giaco- La Sconosciuta (angosciata) — Ma perchè? mina... Gian Francesco — Lo sapremo dopo. Ha fame? Gian Francesco — Non vorrai ricominciare... La Sconosciuta — Sì. Molta fame. La Sconosciuta — Mi chiamo... Gian Francesco (al padre) — Lo vedi? Se tu Lancelot (suggerisce in fretta ancora un nome) ■avessi fatto il caffè! — Luciana... (Si alza). Lancelot (contrito) — Sono desolato!... La Sconosciuta ■— No. La Sconosciuta — Il caffè non mi piace. Gian Francesco — Papà. Lancelot (premuroso) — C’è un po’ di brodo di Lancelot — Scusami, ma ad un tratto ho avuto verdura... quello di ieri sera. la certezza che si chiamasse Luciana. La Sconosciuta — Benissimo. Gian Francesco — Non si affatichi. Non cerchi Gian Francesco (molto autoritario) — Mettilo più. a riscaldare. La Sconosciuta (indicando Lancelot) — Ma se Lancelot (docilmente) •— Sì. (Con ribellione im­ vuole assolutamente saperlo... provvisa) Potresti però parlarmi su un altro tono! Gian Francesco (autorevole) — Dille di non cer­ Gian Francesco — Va, dunque. care più. Lancelot (esce, brontolando). Lancelot — Non cerchi più. Gian Francesco — Ma, a parte la stanchezza, La Sconosciuta (sollevata) — Grazie. In verità che è molto naturale, non si sente male? mi faceva molto male. La Sconosciuta — Mi sento benissimo. Lancelot — Dopo tutto è abbastanza carina. Gian Francesco — Non avverte dolori alla testa? La Sconosciuta — Me lo ricorderò. Oh! son si­ La Sconosciuta — No. Quando non mi sforzo cura che me lo ricorderò... Ho l’abitudine... per ricordare. ADAMO

Gian Francesco (.guardando a un tratto i capel­ Lancelot — Non si chiama Francesca? (Gian li della Sconosciuta, con un grido) — Oh! Francesco alza le spalle). La Sconosciuta (spaventata) — Che c’è? La Sconosciuta — No. Gian Francesco — Ma perchè non lo ha detto Lancelot — Ah! Mi pareva che Francesca le prima? Lei sanguina. stesse bene. La Sconosciuta (terrorizzata, raggomitolata su La Sconosciuta (bevendo con entusiasmo) — se stessa, porta le mani alla testa) — Sanguino? Non lo sa? Pare che io sia ferita! Gian Francesco — Ha una ferita al cuoio ca­ Lancelot (sussultando) — Come? Ferita? La Sconosciuta — Sì. pelluto. La Sconosciuta -— Deve essere una cosa molto Gian Francesco — Sì, ma non gravemente. La Sconosciuta (un po’ mortificata) — No, non dolorosa. Gian Francesco (esaminando la ferita) — Sem­ è grave. bra che l’abbiano colpita con un oggetto contun­ Lancelot — Ferita? Ma allora, noi assistiamo alla fine di un dramma. (La Sconosciuta si siede dente. La Sconosciuta (terrorizzata) — Oh! e prende la tazza di brodo). Gian Francesco — Chi l ’ha battuta? Gian Francesco — Non esagerare. La Sconosciuta (comicamente seccata) — Non Lancelot — Non esagero. Del resto, ha proprio lo so. le dico. l’aspetto di una creatura... da dramma. Gian Francesco (esaminando la ferita) — Però Gian Francesco (ironico) — Ti pare? non c’è riuscito. Lancelot — Oh sì! Quel pallore, quegli occhi La Sconosciuta — Cosa? troppo grandi, quella bocca troppo piccola... Sol­ Gian Francesco — Se lui voleva faJrle male, tanto, quello che non capisco, è che non ricordi non c’è riuscito. nulla. Perche io, se fossi stato ferito, anche leg­ La Sconosciuta — Perchè lui? germente, me ne ricorderei, amnesia o no. Gian Francesco (imbarazzato) — Dico così, a La Sconosciuta (timidamente) — Forse sono ■caso. stata ferita. La Sconosciuta — Può darsi che sia stata una Lancelot — Ma sì, ma sì. Lo avrà ingannato, quel pover’uomo, naturalmente. donna... Gian Francesco — Una donna? Lo ricorda ora? Gian Francesco (protestando) — Che idea! La Sconosciuta •— No. Ma perchè vuole che sia Lancelot — Che idea? Ma con quegli occhi, an­ stato un uomo a colpirmi con un oggetto? che se volesse essere fedele, non lo potrebbe. Gian Francesco (esaminando sempre la ferita) La Sconosciuta — Non lo potrei assicurare: ma — Però, per fortuna è superficiale. mi sembra che fossi fedele. Lancelot (incredulo) — Qualcuno che avrebbe La Sconosciuta — Meglio così. Perchè vorrei tradito... questo non le ricorda nulla? alzarmi. (Si alza. Con lo stesso accento di prima) La Sconosciuta — Nulla. Ho paura di addormentarmi. Non mi lascerà ad­ Gian Francesco (avvicinandosi a lei) — E qual­ dormentare, vero? cuno che avrebbe amato? Gian Francesco — Glielo prometto. La Sconosciuta (interrogando) — Crede che que­ La Sconosciuta (lo guarda) — Grazie. E’ stra­ sto avrei potuto dimenticarlo? no, lei somiglia a qualcuno. Gian Francesco — Come tutto il resto. Gian Francesco — A qualcuno che lei conosce? La Sconosciuta — Non è giusto. (Breve silenzio). La Sconosciuta — Non saprei. (Dopo un mo­ Gian Francesco — Del resto, papà, questa feri­ mento di silenzio) O a qualcosa, forse. ta insignificante non c’entra per nulla in quello Gian Francesco (un po’ smontato) — Forse. che le accade. (Siede). Lancelot — Meglio così. La Sconosciuta (si guarda intorno) — E’ carina Gian Francesco —• E’ uno choc mentale che ha questa casa. Che bel pomodoro! determinato tutto. Gian Francesco — Peccato che non sia qui mio La Sconosciuta (che segue avidamente là spie­ padre. Glielo dirò. Gli farà piacere. gazione) — Ah! Crede? Sì. La Sconosciuta (si guarda intorno) — Non ca­ Lancelot — Mi fai ridere col tuo choc mentale. pisco perchè sono venuta in questa casa. E’ stata investita da un tassì, ecc. Gian Francesco — Lei non ci è venuta. Stava La Sconosciuta (che s’interessa molto) — Non per perdere le forze. Ha capito di non poter an­ mi meraviglierebbe affatto. dare avanti. Non ha voluto cadere in istrada. Ed Gian Francesco (meditando) — Lei ha avuto un è entrata nella prima casa che ha trovato. dispiacere violento e inatteso. La Sconosciuta (con grande sincerità) — Com’è Lancelot — Un dispiacere? Un dolore, almeno! intelligente! Gian Francesco —• Un dispiacere terribile... Lancelot (entrando) — Ecco il suo brodo di ver­ Qualcuno che è morto improvvisamente, forse. dura. (Con intenzione) Francesca. La Sconosciuta (con un grido) — Oh no! non La Sconosciuta — Francesca? voglio... MARCEL ACHARD

Lancelot — Vedi, le fai male colle tue supposi­ Lancelot — E’ molto curioso che questo se lo zioni idiote. ricordi. La Sconosciuta (mormorando fra sé) — Oh no, La Sconosciuta — Per carità! Sono stati così questo no. Non voglio che sia morto. gentili. Non mi lascino tornare all’ospedale... Farò Lancelot (con grande gentilezza) — E’ una cosa quello che vorranno. Li aiuterò. Avranno certa­ che dice lui, ma non ne sa niente. mente bisogno di qualcuno, qui? La Sconosciuta — Oh no! Non lo potrei soppor­ Lancelot (in un sogno) —■ Potrebbe lavare i tare. Non voglio. piatti... Lancelot (esasperato) — Ma se le dico che non La Sconosciuta — Tutto quello che vorranno. ne sa niente! Ci sono dei momenti in cui è insop­ Lancelot (risoluto) — No. Sarebbe una stupidag­ portabile. gine. Non possiamo tenerla. Gian Francesco (riflettendo) — O forse un di­ Gian Francesco — Perchè no? spiacere d’amore. Lancelot — Potremo avere delle noie con la po­ La Sconosciuta — Neppure, non voglio neppur lizia. questo. Gian Francesco — Che ne sai? Lancelot — Oh allora se non vuol niente... Lancelot — La cercheranno. Se si trattasse di un La Sconosciuta — Pare che siano terribili i di­ spiaceri d’amore. povero ubriacone, nessuno se ne occuperebbe. Ma una bella ragazza come lei non può essere abban­ Lancelot — Ci si fa l’abitudine... donata da tutti. La verranno a cercare. Io, se l’aves­ Gian Francesco — Ma, povera piccina, qualcosa si perduta, la reclamerei. di terribile deve esserle accaduto. Gian Francesco (ridendo) — Oh! Papà... La Sconosciuta •— Perchè? Potrei essere sol­ La Sconosciuta (soddisfatta) — Lei mi reclame­ tanto malata. rebbe, vero? E’ quel che penso anch’io: mi reclame­ Lancelot — Sarebbe troppo semplice. ranno. Gian Francesco — Ma lei non è malata. Lo ha Lancelot (all’improvviso) — A proposito di poli­ detto lei stessa di sentirsi benissimo. Ha solo per­ zia... Ora che mi viene in mente... Forse ha ucciso duta la memoria. qualcuno. Lancelot (per consolarla) — Proprio così. Gian Francesco —- Non dire sciocchezze. La Sconosciuta (protestando) — Dallo schiaffo Lancelot (alla Sconosciuta) — Ha ucciso forse in poi ricordo tutto benissimo. Loro sono stati anzi qualcuno? molto gentili. La Sconosciuta (inquieta) ■— Mio Dio!... Gian Francesco — Ma prima?... Niente?... Lancelot — Pare che le ricordi qualcosa. La Sconosciuta (come perduta in un sogno) — La Sconosciuta — Forse ho ucciso qualcuno. Niente. Prima, sono nel buio. O piuttosto in mezzo Lancelot — Hai sentito? Niente dispiaceri amo­ a una gran nebbia bianca. rosi... Ma questo sì, lo ammette. Lancelot (riflettendo) — Che peccato! Aveva La Sconosciuta — Oh!... E’ possibile. forse dei bellissimi ricordi. Lancelot — Che mentalità! (Prende a un tratto La Sconosciuta ■— No. Niente. Non ricordo nien­ il giornale. Gli altri due leggono al di sopra della te. (Un lungo silenzio) Ma che importa? sua spalla. S’immergono tutti e tre nella lettura Lancelot — Come, che importa? (A Gian Fran­ del giornale e lo leggono mormorando le parole). cesco) E’ mia cosa che può andare per le lunghe La Sconosciuta — Ecco! questa faccenda? Lancelot (legge) — Una ricca signora ottanta­ Gian Francesco — Molto per le lunghe. duenne assassinata. (Si ferma subito e scorre l’ar­ Lancelot — Ah! ticolo coll’occhio) Oh! senti, senti... Senta... Gian Francesco — Giorni. Mesi. La Sconosciuta (quasi con allegria) — Sono io? La Sconosciuta — Oh, Via, via! Lancelot — Stia zitta. No. Non è questo... (Volta Lancelot- — Mesi? Non possiamo tenerla qui per la pagina e si porta vicino al divano. Continua): dei mesi... « Terribile dramma a Lione ». Troppo lontano. (Una Gian Francesco — Ma può ritornarle la memo­ pausa) Ah! «Una donna scomparsa»... (Si siede e ria a un tratto... basta il minimo incidente. Gian Francesco legge al di sopra della sua spalla. Lancelot — E’ molto aleatorio. Bisogna portarla Prosegue) : « La signorina Francesca Prieur (com­ all'ospedale, che ne dici? mentando): vedi, Francesca... (legge) ventidue an­ ni... figlia del professor Prieur, direttore dell’Ecole La Sconosciuta (drammaticamente) — All’ospe­ des Chartes, avenue du Bois, 26, è scomparsa da ieri dale. Non voglio andare all’ospedale. l’altro dal domicilio paterno. (Commentando) In Lancelot — Ricomincia. tanto questo coincide... (Leggendo) Indossava un La Sconosciuta — E’ terribile l’ospedale. Sa di abito nero (sottolineando): nero; colorito pallido tristezza. Di povertà. E poi è tutto bianco, come (sottolineando) pallido : occhi azzurri ». (Alla Sco­ la mia vita. nosciuta) Ha gli occhi azzurri, lei? ADAMO

La Sconosciuta ■—• Un’altra cosa che non so. Gian Francesco (esaltato) — Ricorda. Comincia (iChiedendo con molto interessamento) Come sono? a ricordare. Gian Francesco (osservandola) — Azzurri in cer­ Lancelot — Credi? ti momenti... e grigi in altri... Gian Francesco — Distingue già la roba che non La Sconosciuta (delusa) — Oh!... Non mi piac­ è sua. ciono. Lancelot — Questo è il momento di parlarle di sua madre. In generale, è un espediente che riesce. Lancelot (eccitatissimo) — Ma sta’ a sentire, Gian Francesco — Oh! dunque, è lei. (Leggendo) Bruna, alta un metro e ot­ tanta. (Posa il giornale) Ah! Ora non ci siamo più. Lancelot — Forse è stata più fortunata di te. (Alla Sconosciuta, gentilmente) Non ricorda sua Gian Francesco — No. madre? La sua mamma? Lancelot (arrendendosi all’evidenza) — Bruna, un La Sconosciuta — No. metro e ottanta. Non coincide. Non è lei. Lancelot — Allora, proverò parlandole di un La Sconosciuta (sedendosi) — No, non sono io. figlio. Peccato! Non mi dispiaceva... Gian Francesco (con violenza) — Ma non ha figli! Lancelot — Del resto non ci saremmo dovuti in­ Lancelot (ironico) — Avrà aspettato te! gannare. Questa ragazza non è istruita, è chiaro. Gian Francesco — In venti minuti l ’hai già presa Parla come me. per una milionaria, per una sgualdrina, per una di­ Gian Francesco — Oh!... sai, l’istruzione del gior­ sperata, per una omicida, per una ladra, e ora anche no d’oggi. la prendi per una madre di famiglia. La Sconosciuta (esprimendo un dubbio) — Non­ Lancelot — Potrebbe anche essere tutte queste dimeno... cose. Lancelot — Però è un fatto che nessuno la re­ La Sconosciuta (imparziale) — Sarebbe curioso. clama. (Lo guarda). Gian Francesco — E’ sola nella vita. Lancelot (per farsi capire) — Fa’ la nanna, bel Lancelot — Eh, via! piccini... (Passa innanzi a lei come se portasse in La Sconosciuta (.con una strana voce) — « Non braccio un bambino). resterai mai sola nella vita, tesoro mio ». (I due La Sconosciuta (fredda) — Avevo capito. Cer­ uomini si guardano. Un momento di silenzio) Chi cavo. ha detto così? (Si rialza di coivo. Con forza) Chi Gian Francesco — La prendi anche per un’idiota? m’ha detto così? Qualcuno me lo ha detto. Non La Sconosciuta (triste) — Ha ragione. molto tempo fa. Sento il suono della voce che me Lancelot — Ma no, via, volevo spiegarle... l’ha detto. Gian Francesco (improvvisamente) — Ho un’idea. Lancelot (con molto interessamento) — Non ri­ Come non ci abbiamo pensato prima? (Dicendo cosi conosce la voce? entra nella stanza vicina e ne esce subito con uno La Sconosciuta — No. specchio). Lancelot (con sincerità) — E’ una voce bianca, La Sconosciuta — Uno specchio! come tutto il resto. Lancelot — Ottima idea. Si riconoscerà. La Sconosciuta (sedendosi) — Sì. Una strana La Sconosciuta — Non oso. voce. Una voce che non vuol dir nulla. Lancelot — Non abbia paura, è molto graziosa. Lancelot — Dev’essere quella di suo marito. (La ^Sconosciuta prende lo specchio, lo alza lenta­ Gian Francesco (alzando le spalle) — Ma non è mente, scoprendo prima la bocca, poi gli occhi, poi sposata, certamente. la fronte. Si guarda con avidità). Lancelot (ironico) — Ora mi dirai che è ragazza? La Sconosciuta (in un crescendo drammatico) — Oh! Non mi piaccio. Non mi piacciono i miei occhi. Gian Francesco — Non ha la fede. Non mi piace la mia bocca. No, no, non sono io. Io Lancelot — Oggi le donne non la portano più. non sono così. A lui non piacerebbe questa faccia. Ed è una cosa molto immorale. Però ha un anello. Se, naturalmente, questa è la mia faccia... (Si avvicina a lei e guarda l’anello). Gian Francesco — Chi, lui? La Sconosciuta (guardandosi la mano) — Oh, La Sconosciuta (porgendogli lo specchio) — Ten­ guarda!... Carino... ga. Non voglio più vedermi. Mi detesto. Perchè non Lancelot — L’anello le farà ricordare certo qual­ sono bella? Ne ho bisogno, io... Ho bisogno d’esser cosa. Perchè insomma un anello è un ricordo... E’ bella. vero che i ricordi, per quello che se ne fa lei... Lancelot — Ma lei è molto bella... La Sconosciuta (colla sua voce bizzarra) — E’ La Sconosciuta — Non abbastanza. Non abba­ un anello... molto carino... Non deve esser mio. stanza. Dal momento che sono così sola. Lancelot —- Ci siamo. L’ha rubato... Gian Francesco -— Ma lui non le ha detto che non La Sconosciuta — Come quest’abito... Io non ho sarebbe mai sola? mai avuto un abito così bello. La Sconosciuta — Sì sì, lo ha detto. Quando? MARCEL ACHARD

Gian Francesco — Non molto tempo fa. La Sconosciuta (con vivacità) — E’ per i miei La Sconosciuta — Molto tempo fa. Quand’ero capelli, lo so... bèlla. Gian Francesco — Una fibbia da cintura. Lancelot — E quando era bella? Lancelot (sincero) — E’ commovente, una borsa La Sconosciuta (tornando in sè) — Quando?... è di donna. Tutte queste piccole cose... una domanda sciocca. Gian Francesco (contando) — Quattro, sei, sette Lancelot — Molto sciocca. (A Gian Francesco) franchi! Non è andata bene. Lancelot (commosso) — Sette franchi! La Sconosciuta — Oh, Dio! Mi sento male. La Sconosciuta (inquieta) — Oh! dev’esserci di Lancelot — Non è niente. E’ perchè si è vista più... nello specchio. (La fa sedere). Gian Francesco (che torna a guardare) — No. La Sconosciuta (sorpresa della spiegazione) — Lancelot — Sette franchi! Non è certo una ladra... Ah! Gian Francesco — Un rossetto! Un lapis magnifi­ Lancelot — Le darò qualcosa che la rimetterà a co. (Mostra un brutto mozzicone di lapis). posto. (Si dirige verso il pianoforte). La Sconosciuta — Com’è brutto! La Sconosciuta (riavendosi a poco a poco) — Che Lancelot — Non ti sembra magnifico? cosa è? Gian Francesco — Un fazzoletto. Lancelot — Vecchio cognac. (Apre il pianoforte, Lancelot (con ammirazione) — Un nastro, della ne tira fuori una bottiglia) Dov’è il cavatappi? (Lo cipria, un rossetto, un fazzoletto e un brutto moz­ trova sulla tastiera del pianoforte e ritorna verso zicone di lapis. Ah! sono bene armate... la tavola). Gian Francesco — Non c’è altro. E sarebbe di­ Gian Francesco (che ha tentato di stappare la sastroso se non ci fossero questi due pezzi di carta. bottiglia col cavatappi) — Non riesco ad aprirla. La Sconosciuta — Ah! Lancelot — Dà qui, buono a nulla. (Tenta inva­ Gian Francesco — Non vuole che li legga? no) Non ci riesco neppure io. La Sconosciuta — No. La Sconosciuta — Un piccolo colpo deciso. (Pren­ Gian Francesco — Li legga lei... de la bottiglia tra le ginocchia e tira. Il tappo cede) La Sconosciuta — Ho paura... Ecco. Lancelot — E’ necessario. Lancelot (dopo averla guardata) — Ah! bene... (Le versa da bere). La Sconosciuta (prendendo un frammento di lettera su carta azzurra) — Non ha importanza. La Sconosciuta — Ne aprivo spesso. A lui piaceva E’ una lettera strappata. il cognac. Gian Francesco — Ma che c’è nella lettera? Lancelot — Ah! gli piaceva il cognac? La Sconosciuta (leggendo) — Ci sono sei righe La Sconosciuta (dopo aver bevuto) — Guardi!... sempre più strette. Nella prima c’è scritto « così Anche a me piace. (Ne beve ancora) Ne bevevo spesso. carina » ; nella seconda : « come venerdì » ; nella ter­ za: «piccola mia», nella quarta: «sempre»... Lancelot — Un’alcolizzata.v non ci mancava che questo... Lancelot —■ E’ molto bello!... La Sconosciuta — C’è ancora « piccola » e l’ulti­ Gian Francesco (senza rispondere) — Permette ma riga: «ti amo più...» (lasciare la battuta in che dia un’occhiata al suo vestito? A volte le sarte sospeso). mettono la loro etichetta. (Osserva la giacchettìna che la Sconosciuta aveva lasciata cadere) Niente. Gian Francesco (geloso) — Vorrà dire : « Ti amo più di tutto » o qualcosa di simile. Lancelot — E la sua borsa? Doveva avere una borsa... Le donne hanno sempre una borsa... Lancelot — E non le ricorda nulla? Le dice che l’ama più di tutto e non le ricorda nulla? La Sconosciuta — Sempre. Gian Francesco — Un momento! Un momento! Gian Francesco — L’avremmo vista. Sull’altro pezzo di carta, c’è un numero di tele­ Lancelot — Potrebbe essere andata a finire sotto fono... un mobile. (Cercano). La Sconosciuta (tremante) — Ah! Gian Francesco (raccogliendola dinanzi alla por­ Lancelot — Che numero è? ta) — Eccola! Le era caduta. Gian Francesco (guardando la Sconosciuta con La Sconosciuta — La mia borsa! La mia borsa! angoscia) — Opera, 04-50. Lancelot — E’ proprio sua! Non è come l’anello. La Sconosciuta (ripetendo) — Opera, 04-50? Gian Francesco (vuotando la borsa sulla tavola) Gian Francesco ■— Lo chiamo? ■— Prima di tutto, il portacipria... La Sconosciuta (s’alza di colpo, guarda Gian La Sconosciuta (s’incipria subito) — Grazie. Francesco, si versa del cognac, beve d’un sorso e di­ Gian Francesco — Il vostro bocchino. ce) — Sì. La Sconosciuta (sorpresa) — Fumavo? Gian Francesco (forma il numero. La Sconosciuta Gian Francesco — Un nastro nero. lo guarda con ansietà, Lancelot pure) — Pronto! ADAMO

Opera 04-50? Oh! (Riattacca) Le «Galeries La- a ieri sera; io, adorata. Se qualche volta avessimo fayette ». (La Sconosciuta scoppia in una risata litigato, se avessimo avute delle discussioni... Ma no. stridula). Il nostro accordo era meraviglioso, era la felicità La Sconosciuta (tremante, sul punto di svenire) perfetta. Non me lo potevo proprio aspettare. — Ah! è buffo. Davvero buffissimo... Lancelot — Certo, certo! Lancelot — Ora sviene di nuovo. La Sconosciuta (con forza) — E c’è dell’altro. La Sconosciuta (battendo i denti) — No, ma deve Qualcosa che non capisco. Qualcosa di terribile. La riconoscere che è buffissimo. mia disgrazia non è naturale. (Violentemente) No. Lancelot (■annientato) ■— Buffissimo. No. Per niente naturale. E’ strana. So che si dice Gian Francesco — Dal momento che il numero sempre così. Ma io son sicura d’aver ragione. non ci rivela niente, bisogna tornare alla lettera: Lancelot — Ahimè, povera piccina! (Durante il dialogo che segue, ciascuno dei due le La Sconosciuta (abbandonandosi al suo dolore) — Avevo solo lui, io. E lui lo sapeva. Lo sapeva. Non tiene un braccio che scuotono ad ogni battuta). ho amici, io. Non ho parenti. Non ho neppure un Lancelot — Ma sei testardo. Se ti dice che non mestiere. (Si alza e passeggia) Il mio mestiere era le ricorda nulla. Neppure quando le hai detto che di amarlo. Ho vissuto per lui. Tutti lo potrebbero lui l’ama più di tutto. dire. Tutti, I suoi amici, scherzando, dicevano che Gian Francesco — Forse non è questo che le di­ facevamo senso. Non ce n’è uno che m’abbia fatto ceva. la corte, neppure uno, tanto lo amavo. Li avevo sco­ Lancelot — Che cosa le diceva, dunque tu che sei raggiati. Eppure ero carina. Ora loro non possono tanto furbo? rendersene conto. Sono brutta, ora. Da che non mi Gian Francesco — « Ti amo più » forse non vuol ama più, non significo più nulla. dire « ti amo più di » ; forse vuol dire « non ti amo Lancelot — Ma come è avvenuto? più ». (La Sconosciuta si erge improvvisamente, li­ La Sconosciuta — Una lettera. Una lettera come vida). le altre. Una piccola lettera azzurra, proprio come le altre. Non ha osato dirmelo, quel vigliacco! Non La Sconosciuta (smarrita) — «Non ti amo più.», avrebbe potuto. Mi ha portata a pranzo. Mi aveva « Non ti amo più ». (Urla e si alza in piedi di scat­ comprato questo bel vestito. Senza dubbio perchè to) Massimo! Massimo! Amore mio, non è vero, fossi più bella per piangere. Siamo andati a ballare. non è possibile! Tu mi hai scritto così? (Ai due uo­ Era allegrissimo. Capiscano bene: allegrissimo. Sa­ mini che ascoltano, allibiti) Dopo tre anni. Loro peva che la lettera era partita, ed era allegrissimo. non sanno che cosa sono tre anni d’amore E non M’ha detto di andare a letto presto. Sì, anche que­ auguro loro di saperlo. (Con orgoglio commovente) sto ha fatto. Ha voluto accorciare la mia ultima Io, io ero tutto per lui. (Temendo di non essere cre­ serata... E gli ho obbedito. Arrivando a casa, ho tro­ duta) Sì, ero tutto per lui, fino a ieri sera. O, forse, vato questa lettera maledetta. L’ha fatta recapitare l’altro ieri. Che giorno siamo? mentre ballavamo. Gian Francesco — Mercoledì. Lancelot —- E’ orribile! La Sconosciuta — No. Era ieri. Era ieri, martedì. La Sconosciuta — E’ orribile, vero?... Dopo, non Oh! Ricordo tutto, ora. Ricordo tutto e così rapida­ so più nulla. Non saprò mai quello che ho fatto dal mente. Così orribilmente presto. (Con orrore) Quel­ momento che ho ricevuto queste lettera fino a quan­ lo che m’ha detto, ieri, un momento prima di scri­ do mi sono trovata qui con loro. Devo aver cammi­ vere quella lettera!... Perchè era proprio mi mo­ nato tutta la notte, camminato come una pazza! mento prima... E il piccolo gesto che ha fatto, quan­ Vorrei tornare ancora a questa notte. Vorrei non ri­ do mi ha lasciato, significava dunque questo. (Si cordarmi più. (Singhiozza seduta sopra una sedia). abbandona sul divano. Urla) Non voglio più sapere. Lancelot — Crede che lo abbia fatto per un’altra Non voglio più ricordarmi. Voglio essere come un donna? momento fa. Ero gaia, ero felice un momento fa. La Sconosciuta -— Come posso saperlo? Può darsi. Avevo dimenticato tutto. Voglio dimenticare ancora. Ma allora dovrebbe essere una persona che non lo Massimo! ama. Perchè chi lo amasse, dopo di me... Lancelot (mettendole una mano sulla spalla) — Lancelot — Che pensa di fare? Povera piccina! La Sconosciuta — Non posso far nulla. La Sconosciuta (rialzando la testa) — Lo sanno Lancelot — Bisogna lottare. quello che mi ha fatto? La Sconosciuta — Bisogna tirarsi un colpo di Lancelot (con bontà) — Sì. Disgraziatamente, sì. rivoltella. La Sconosciuta — No, non possono saperlo. Non Lancelot — Bisogna cercare di riprenderlo. (A è soltanto il fatto di un uomo che lascia una donna. Gian Francesco che ha assistito immobile e quasi Questo, sarebbe già orribile. Ma non potevo aspet­ disgustato a questa esplosione di dolore) Ma di’ tarmelo, mi comprendano. Sono stata adorata fino qualche cosa, tu. MARCEL ACHARD Gian Francesco (nervoso) — Sì, bisogna cercare La Sconosciuta — Lo conosce? di riprenderlo. Lancelot — Lo sentiamo spesso alla radio. La Sconosciuta (scuotendo la testa) — No. E’ inu­ La Sconosciuta — E’ un uomo molto originale, tile, assolutamente inutile. ma molto gentile. Kléber, 90-97. Gian Francesco — Andiamo! In questo momento Lancelot -— Kléber, 90-97. (Forma il numero e starà cercandola. aspetta) Pronto! Casa del maestro Saxel? Potrei La Sconosciuta — Lei pària come se lui mi amas­ parlargli? (Un momento di silenzio) Farà un’ecce­ se. Invece mi ha lasciata, non lo capisce?... (Urlan­ zione, ne son sicuro. do)i Lasciata... Non si butta la gente nella Senna per La Sconosciuta (con vivacità) — Ditegli che è da ripescarla subito dopo. parte della signorina Caterina. Lancelot — Ma insomma se sapesse il male che Lancelot -— Da parte della signorina Caterina. le ha fatto... (S’impazientisce) E’ una cosa molto importante. La Sconosciuta (con ironia selvaggia) — Era Molto, molto importante. La signorina Caterina sta proprio quello che lui voleva. Proprio quel che vo­ male. (Stupefatto) Ha tolto la comunicazione. leva. Non voleva che questo... che io lo dimenticassi Caterina — «Lavora, non si può disturbare». completamente. C’ero riuscita così bene e invece Hanno detto così, è vero? sono guarita. Lancelot — Sì. E « ritelefonate tra due ore ». Me Lancelot (.sconvolto, asciugandosi una lagrima) — l’ha ripetuto quattro volte. Non mi ha neppure chie­ Povera ragazza! (Si asciuga gli occhi). sto dove avrebbe potouto richiamarmi. Lo avrei La Sconosciuta —• Dio ha capito che non avrei schiaffeggiato. potuto sopportare questa grande disgrazia. Allora Caterina (con ironia dolorosa) — Oh! quando il mi ha concesso di venire a saperla in due volte. maestro lavora ! Con un piccolo intervallo per riposarmi. Lancelot — Mi scusi se ho detto che stava male. Lancelot (categorico) — Bisogna fare qualcosa. Caterina —- Niente. Niente. (Va al telefono e La Sconosciuta — Che cosa? forma febbrilmente un numero). Lancelot — Come si chiama? Gian Francesco (con un poco di disprezzo) — Ah! La Sconosciuta —- Massimo David... Un bel nome, Gli telefona però? non è vero? Caterina — Pronto. Casa di Massimo David? So­ Lancelot — Dove abita? no la signorina. (Colle lagrime nella voce) Come La Sconosciuta — Rue de la Faisanderie, 10. « quale signorina »? Cene sono delle altre dunque? Siete voi, Pietro? (Prende l’apparecchio e lo porta Lancelot — Vicino al Bois de Boulogne, vero ? con sè) Non riconoscete la mia voce? Non mi dovete La Sconosciuta (alzandosi) — Sì. dire che non è in casa, è per una cosa molto grave. Lancelot —- Che numero ha di telefono ? (Insistendo) Non capite dunque? (Lancelot le mette La Sconosciuta — Per che fame? una sedia dietro per farla sedére, ma lei non vuol Lancelot — Come, per che farne? Ma per farlo sedersi) Gravissima per lui. Non per me, per lui. venir qui, e immediatamente. (Urlando) Non mentite. Non fate la voce cortese. La Sconosciuta — A quale scopo? Vi ho troppo sentito mentire con quella voce. So che Lancelot (che s’impazientisce) — E’ inaudito, c’è. Forse è lì, vicino a voi. Ditegli che gli devo par­ sentir dire certe cose. lare. Non me la prenderò con voi, ve lo giuro. Voi La Sconosciuta — Non gli telefonerò. obbedite agli ordini, è naturale. Ma voglio parlargli. Lancelot — E’ troppo stupido! Assolutamente. La Sconosciuta (sedendosi) — Non voglio telefo­ Lancelot — Gli dica che è malata. nargli. Non voglio mendicare la sua pietà e i suoi Gian Francesco — E’ la verità, del resto. rimorsi. Caterina — Sono malata, Pietro. Deve venirmi Gian Francesco — Ha perfettamente ragione. a trovare. Se Margherita fosse ammalata, voi ci La Sconosciuta —- Ma cercherò di sapere perchè... andreste. Pietro! Ve ne prego. (Con grande scorag­ Perchè ha agito in questo modo. Ho un amico che giamento) Bene, bene. (Siede) Benissimo. Ho capito. forse potrà dirmelo. E’ anche amico suo. Forse glie Non è in casa. Perfettamente. Ho capito perfetta­ io avrà detto, a lui... il perchè. mente. (Sta per riattaccare, poi cambia idea) Pron­ Lancelot — E’ stato forse suo padre che gliel’ha to! Pronto! Volete dirgli allora, appena sarà tor­ Imposto. Quando sono ricchi sono terribili, a quan­ nato, che sono in casa del signor... to si dice. Lancelot (suggerendo) — Lancelot... Gian Francesco — Credi di essere ancora al Me­ Caterina (ripetendo) — Lancelot. dioevo? Lancelot — Sulla strada di Chevreuse. Telefono: La Sconosciuta — Il mio amico si chiama Ugo Bemy, 14-19. Ad Antony. Saxel. Caterina — Ad Antony. Sì, Antony: come il Lancelot — H direttore d’orchestra? nome. ADAMO Gian Francesco (con accento di superiorità) — Non crederai che amerebbe a tal punto uno che non fosse meglio di me. (Un momento di silenzio). La stessa scena, alle Lancelot — Però io non avrei mai indovinato due del pomreiggio che si chiamava Caterina. Gian Francesco — Neppure io. (iMncelot e Gian Francesco hanno finito di far Lancelot — Non importa. Però non ce la siamo coiasione. Lancelot sta per uscire portando un cavata male. vassoio). Gian Francesco — Da che punto di vista? Lancelot — Non hai mangiato niente. Lancelot ■— Per due persone che non sono abi­ Gian Francesco — Non ho fame. tuate alle donne, ce la siamo sbrogliata bene. Pensa, Lancelot — Io sì. Tutte queste emozioni mi hanno se fosse capitata a Chaussin... dato appetito. Gian Francesco — Disgraziata! (Ride). Gian Francesco — Avremmo dovuto svegliarla, Lancelot — Ah! Sì! Disgraziata. (Una pausa) Ma forse. che cosa ne sarà di lei! Lancelot —■ Ma che! Chi dorme mangia. Nel caso Gian Francesco (con l’aria di chi sa il fatto suo) suo, poi... Perlomeno fin che dorme non soffre. (Lan­ — Si innamorerà di un altro. celot esce col vassoio, mentre Gian Francesco corre Lancelot — Non credo. Tutti noi non abbiamo alla porta della camera e guarda per il buco della a disposizione che una certa quantità d’amore. serratura. Una pausa. Rientra Lancelot; Gian Fran­ Certi si esauriscono in un solo grande amore. Come cesco torna in fretta a sedersi). Caterina, e come me. Gli altri pagano in più rate. Gian Francesco (sognante) — Se questo è l’amo­ Spero che tu sarai di questi ultimi. re, non è allegro! Gian Francesco (incredulo) — Credi che non Lancelot (colla tassa di caffè in mano) — Non potrà amare nessuno all’infuori di Massimo David? soffrirà sempre in questo modo, non dubitare. Un Lancelot — Lo temo. (Un breve silenzio). giorno si ricorderà anche dei momenti belli. Quando Gian Francesco — Scommetto che non si farà non lo amerà più. neanche vedere. Gian Francesco (profondamente) — Non avrei Lancelot — Sono almeno le due. creduto le donne capaci d’un sentimento così sin­ Gian Francesco (guardando l’orologio a polso) cero. — Le due e cinque. Lancelot —■ Le donne sono capaci di tutto! Lancelot (scoraggiato) — Ed è qui dalle nove Gian Francesco — Che crisi di disperazione ha e mezzo! avuto!... Gian Francesco (indignato) — In cinque ore, Lancelot —- Credevo che ci morisse fra le braccia. non ha trovato il tempo di correre qui. Dopo quello Gian Francesco — E diceva certe cose... Io pian­ che gli abbiamo fatto dire! gevo come uno stupido. Lancelot — Io solo gli ho telefonato quattro Lancelot — E io? Ora ti faccio ridere. Avevo volte. Ho spiegato tutto al domestico. Minutamente. gli occhi così pieni di lacrime che c’è mancato poco (Siede a cavalcioni sopra una sedia). non andassi ad inciampare nella poltrona. Gian Francesco — Son sicuro che quel David Gian Francesco (invidioso) — Oh! Se potessi era in casa. Solo, è un vigliacco. Ha paura di quello essere amato così! Lancelot — Non te lo auguro. E poi, non ti capi­ che ha fatto. terà, sei troppo buono. Quando amano così è sem­ Lancelot — Poteva anche essere uscito. pre per un Massimo David che s’infiammano. (Si Gian Francesco (asciutto) — Non tenterai dì versa del cognac nella tazza). scusarlo, è vero? Gian Francesco (con acredine) — Ti piace que­ Lancelot — No. sto nome: Massimo? Gian Francesco — Ed io ho chiamato il maestro Lancelot — Non troppo. Ma insomma, bisogna Saxel. esser giusti; non se l’è scelto da sè. (Beve il cognac). Lancelot — Che diavolo fa, anche lui? Gian Francesco — Dev’essere molto elegante, Gian Francesco — Gli ho parlato personalmente. biondo, alto, genere Champs Elysées. Lancelot (curioso) — Cotn’è? Simpatico? Lancelot — In ogni modo, io me lo immagino Gian Francesco — Molto. Mi è sembrato dispia­ bello. centissimo di quello che è accaduto a Caterina. Gian Francesco — Mi ha detto che somigliavo Lancelot — Verrà? a qualcuno. Bisogna che glie lo domandi. Forse a Gian Francesco — No. lui. Lancelot (deluso) — Peccato! L’avrei conosciuto Lancelot — Tu non hai molto il tipo Champs volentieri. Elysées. Gian Francesco — Andrà in cerca di Massimo Gian Francesco — Pure, forse gli assomiglio. In e lo manderà al più presto possibile. (Un silenzio). peggio, naturalmente. | ¡Lancelot — E’ un buon direttore d’orchestra Lancelot (indignato) — Perchè in peggio? vero? MARCEL ACHARD Gian Francesco (all’improvviso) — Papà! La ri­ Caterina — Quello che è triste, è che se ora mi voltella. diranno che è venuto, non ci crederò più. Lancelot (allibito) — Quale rivoltella? Gian Francesco — Mio padre ne è dolentissimo. Gian Francesco — La rivoltella è in camera tua? Caterina — Che ora è? Lancelot —■ Nel cassetto del comò, sì. Lancelot (imbarazzato) — Gian Francesco, che Gian Francesco — E se la trova... ora è? Lancelot (.spaventato, alzandosi di colpo) — Non Gian Francesco

Caterina (esasperata) — Ma allora perchè non Carlos (entra. E’ mi autista di alta classe. Gio­ viene? vane, abbastanza bello. Meravigliosamente vestito Gian Francesco — Perchè è un vigliacco. d’una livrea superba che stona singolarmente in Caterina — Crede dunque che non verrà? quest’ambiente. Porta guanti con paramani. Non Gian Francesco (con vivacità) — Non dico que­ si toglie il berretto). sto. Lancelot (a Carlos) — Che volete, voi? Caterina — Lei sarebbe venuto? Carlos — Scusino. Devo aver sbagliato. Gian Francesco — Oh! Io non avrei scritto Lancelot —• Credo anch’io. quella lettera. Carlos (con degnazione appena dissimulata) — Caterina — Soprattutto se io lo avessi amato. Non è qui sicuramente: Gian Francesco — Anche se non mi avesse Lancelot — No. Sicuramente. amato. Gian Francesco — Che volete? Caterina (siede di fronte a lui) — Mi trova gra­ Carlos — Cerco una persona. ziosa? Gian Francesco — Una donna? Gian Francesco (.con fervore) — Adorabile. Carlos — Sì. Come lo sa? Caterina — E sono piuttosto carina, no? Gian Francesco — Perchè è qui. Gian Francesco — Adorabile, le dico. Carlos — La signorina Caterina è qui? Caterina — Lei capisce che si possa smettere Gian Francesco — Sì. di amarmi da un momento all’altro? Carlos (con disdegno) — Qui? Gian Francesco (con forza) — Proprio no. Lancelot — Ah! Siete lo « chauffeur » della si­ Caterina (con civetteria involontaria) — E non gnorina Caterina? ho quasi dormito. Ed ero quasi impazzita. Carlos (protestando) — No. Gian Francesco — Lo so. Lancelot — Infatti mi avrebbe meravigliato. Caterina — A lei, piacerei. Carlos — E’ vero che è malata? Gian Francesco — Pazzamente. Lancelot (indignato, a Gian Francesco) — Non Lancelot (pensando che il discorso va troppo è neppure venuto lui! Ha mandato il suo autista. oltre, si avvicina a Caterina) — Ohè!... ragazzi... Carlos — No. Il signore è qui. Aspetta in mac­ Dico... Caterina (seguendo la sua idea) — Vede, gli china. piacerei. E se fossi la sua amante... Lancelot — Andatelo a chiamare allora... Non Gian Francesco (delirante) — Oh allora... penserete che vi terremo qui per raccontarvi i fatti Lancelot (furioso) — Ma io non voglio che gli nostri. parli così. Si monterà la testa. Carlos — Non ci tengo. (Carlos esce). Caterina -— Certo no. Sa benissimo che non si Gian Francesco (sconfitto) — E’ venuto. tratta di questo. Lancelot — Ti secca vero? (Guardando attra­ Lancelot — Ma non si tratta che di questo! verso i vetri della finestra) Oh! Che magnifica Caterina — Lei non capisce. Mi vede disperata, macchina! Non ne ho viste di simili che all’espo­ e cerca di spiegarmi. sizione dell’automobile. Lancelot (un po’ irritato) — E io le dico che Gian Francesco — E lui? certe spiegazioni non servono a nulla. Lei farebbe Lancelot — Oh! A me non farebbe certo perdere meglio a cercar di dormire. la memoria. Caterina (docilmente) — Volentieri. (Alzandosi) Ugo (entra. Ugo Saxel è un uomo di trentasette Forse sognerò che Massimo viene. anni, coi capelli precocemente incanutiti. Il con­ Lancelot — Ecco... ecco... trasto è tanto più violento dato il suo viso giova­ Caterina (volgendosi a Gian Francesco) — Ma nissimo. E’ vestito con una ricercatezza e una ne­ la ringrazio molto, sa. (Esce. Una pausa). gligenza che sono l’una e l’altra un effetto di arte Lancelot (sedendosi, con severità) — Non t’in­ raffinata. Si muove con la graziosa indolenza dei namorerai mica di questa ragazza? felini, di cui ha le terribili collere). Gian Francesco (che stava sognando) •— Cosa? Lancelot — Ah! eccovi! Ve la siete presa con Lancelot — Non t’innamorerai mica di questa calma! ragazza? Ugo — Mi aspettavano? Gian Francesco — Perchè no? Lancelot — Da cinque ore soltanto. Lancelot — Come, perchè no? In primo luogo Ugo — Mi rincresce molto. perchè è mezza matta. Lancelot — Non faccia il furbo. Questa faccenda Gian Francesco — Questo a te piace. non mi riguarda, badi bene. Ma non se la caverà Lancelot — Non sai nemmeno il suo cognome. facendo dello spirito. Avrebbe bisogno piuttosto di Gian Francesco — E allora? un po’ di cuore. Lancelot — E poi non devo darti spiegazioni. Ugo — Io no. Non credo. Te lo proibisco, ecco tutto, te lo proibisco. (Bus­ Lancelot (indignato) — Lei no? Ecco una povera sano) Avanti! (Si alza). figliola che è diventata quasi pazza per lei. MARCEL ACHARD

Ugo (intenerito) — Poverina! Gian Francesco (aggressivamente) — Non po­ Lancelot — Ha camminato tutta la notte in tevamo pensare che in un caso simile avrebbe abito da sera e scarpette di raso. Lei le ha asse­ mandato un amico, vero? stato un colpo così terribile che non sapeva più nè Ugo (senza guardare Gian Francesco, a Lance­ chi era, nè dove andava. lot) — Delizioso, vostro figlio. Carattere molto sim­ Ugo (core un lieve schioccare della lingua) — E’ patico. (Lo guarda) Secondo violino. terribile ! Caterina — Sono contenta di vederla. Lancelot — So quello che mi dirà : « All’amore Ugo (scusandosi) — Avrei dovuto venir prima. non si comanda. Quando non si ama più, non si ama Specialmente perchè mi avevano fatto sapere che più ». stavi male. Sei stata male? Ugo — Non le dirò certamente niente di simile. Lancelot — Molto. « Quando non si ama più, non si ama più » è trop­ Caterina — Oh! non voglio cercare d’intenerirla. po complicato per me. Del resto io penso che al­ Ugo (teneramente) — Puoi farlo. l’amore si comandi. Caterina — Avrei avuto piacere che Massimo mi avesse vista stamani, perchè si rendesse conto Lancelot (smontato) — In tutti ì casi, mi pare di quel che aveva fatto di me. Ma siccome ora è che un uomo che è stato amato come lei è stato troppo tardi, non parliamo più del mio male. amato da Caterina, dovrebbe comportarsi bene con lei. Lancelot — Gliene parlerò io a Massimo, glielo giuro. Conti su di me. Gian Francesco — Soprattutto alla sua età. Ugo — E sei perfettamente stabilita, ora? Ugo (voltandosi) — E’ suo figlio? Caterina — Sì. Lancelot — Sì, è mio figlio. (Urea pausa. Ugo Ugo — Voglio dire: ti si può parlare? Saxel guarda di nuovo Gian Francesco) E, come Lancelot (inquieto) — Non sino a questo punto. vede, è del mio parere. E’ ancora molto fragile. Ugo —■ Le assicuro che non mi sono comportato Caterina (con disperazione) — E’ lei che mi deve male con Caterina. Voglio molto bene a Caterina. parlare? Lancelot — Capisco che lei si senta a disagio. Ugo —- Sì. Ugo — Ne ho forse l’aria? (A Gian Francesco) Caterina (con un grido) — Allora Massimo non Ho l’aria di essere a disagio? verrà? Gian Francesco — Niente affatto, ma è ancora Ugo — Non dico questo. peggio. Lancelot (tra i denti) — Non sì sa mai quello Lancelot — Ma insomma lei è qui, e questo è che dice. l’essenziale. Vado a svegliare Caterina dal momento Ugo (contrariato) ■— Avrei dovuto venire prima che essa ci tiene. Ma le confesso che non la ca­ dì colazione. Soprattutto perchè stavi male. Ma pisco. temevo di non trovare un ristorante da queste Ugo — Ah! Ma, tutto sommato, dorme7 parti. (Posa il bastone sul divano, vi getta il so­ prabito, poi riprende il bastone). Lancelot — Non vorrà fargliene un rimprovero! Caterina — Naturalmente. Ugo —• Rimproverarla di dormire? Che strana Ugo — No, ha fatto male. Ti prego di scusarmi. idea! Volevo dire: Tanto meglio se, tutto sommato, Lancelot — Noi li lasciamo soli... dorme. Ugo (sottovoce a Lancelot, con un timore che Lancelot — E’ vinta dalla stanchezza, ecco. Oh! ha una sfumatura di disgusto) — Non si allon­ non voleva dormire. (A Gian Francesco) Non è tani. Se per caso svenisse... vero che non voleva? Ha lottato finche ha potuto. Lancelot — Oh! Non temete. E’ già superato. Del resto, quando dico che dorme, in realtà son­ Andiamo, Gian Francesco. Passa, ti dico. (Esco­ necchia. no, dopo che Gian Francesco ha guardato a lungo Ugo — Sì, sì. Ho capito. Caterina. Ugo Saxel resta volutamente silenzioso, Caterina (entrando bruscamente) — Chi c’è? quasi lo facesse per divertirsi. Almeno pare). (Vede Ugo) Ah! Caterina — Son contenta che sia venuto. Ugo (.molto gentilmente) — Ti chiedo scusa, so­ Ugo (sorridendo) — Davvero? no soltanto io. (Le tende la mano. Caterina va Caterina — Molto. Lei è stato sempre così buono verso di lui). con me. Lancelot (sorpreso) — Lei non è Massimo David? Ugo (bonario) — Senza volerlo. Si vede che sono Caterina —- E’ il maestro Saxel. (Ugo le accarez­ buono per natura. za i capelli e la bacia sulla fronte) Caterina — Anche Maddalena è stata molto buona. Lancelot — Perchè non dirlo subito? Ugo — Ah sì, Maddalena. Ugo (sorridendo) — Quando ci si crede celebre, Caterina — Sta bene? è sempre un po’ seccante non essere riconosciuti. Ugo -— Veramente, no. Ah sì, sì, benissimo, grazie. Non leggono i giornali, loro? Caterina — Sa quello che m’è successo? Caterina — L’hanno scambiato per Massimo? Ugo — No. ADAMO

Caterina (stupita) — Non glielo ha detto? se creduto che non me ne importava niente, sa­ Ugo (con noncuranza) — No. Ci adoriamo, Mad­ rebbe venuto. Lo avrei rivisto! Lo avrei rivisto! dalena ed io. Ma le nostre vite sono molto diverse. Ugo — Devo dirti che è un po’ colpa mia. Voleva Infatti non le ho telefonato stamane. venire, io gliel’ho impedito. (Ha gettato il bastone Caterina — Ah! sul divano e va verso Caterina). Ugo (sorridendo) — Del resto, sei divertente. Che Caterina — Come? cosa te ne importa di Maddalena? Chi t’interessa Ugo — Dal momento che tutto era finito, ho pen­ in questo momento è Massimo. (.Parlando, dirige sato che era meglio... la punta del bastone verso il petto di Caterina). Caterina (terribile) — Ma di che s’immischia lei? Caterina (gravemente) — Sì. Ugo (bruscamente) — Vuoi rivederlo? Ugo (un po’ canzonatore) — Non ti riconosco più Caterina — Sì, sì. Come sei timida oggi! Ugo — Ci tieni molto? Oppure hai la sensazione Caterina — Non tanto quanto lei crede. Mi sento che sarà spaventoso per tutti e due? meglio da che lei è qui. Dal momento che scherza Caterina — Voglio rivederlo. Anche se fosse per vuol dire che le cose non sono così gravi. l’ultima volta. Ugo (coti vivacità) — Non scherzo affatto. Cosa Ugo — Ti avverto che sarà sicuramente per l’ul­ ti fa credere che io scherzi? tima volta, purtroppo. Caterina — Sì, sì. Lo sento. Il tono un po’ faceto Caterina — Voglio rivederlo. Voglio conoscere con cui mi parla... Se tutto fosse finito, non mi l’ultima parola che mi dirà, l’ultimo gesto che farà. parlerebbe così... Pensi. Non so neppure qual è l’ultima parola che Ugo — Quale tono? m’ha detto. Caterina — Lei si diverte, me ne accorgo. Ugo (va ad aprire la porta e chiama) •— Carlos! Ugo (sordamente irritato per la giustezza del­ (A Caterina) Manderò Carlos a prenderlo. l’osservazione) ■— Ti giuro proprio di no. Sono molto Caterina — Oh, sì! Se lo rivedo, tornerà a me; seccato, anzi. ne son sicura. Caterina — Ma via! Ugo (con grazia) — Non tornerà a te. Non il­ Ugo — Povera piccina! luderti. Caterina (gridando) — No, no. Questo no. Caterina — Saprò parlargli, saprò trovare le pa­ Ugo — Non so come fare a dirtelo. role che bisogna dirgli. Caterina — E’ finita? Veramente finita? Ugo — E’ esasperante, nelle donne, questa mania Ugo — Veramente finita. (Un breve silenzio). di sperare. Caterina — Massimo sa quello che m’è successo Caterina (con violenza) — Ma bisogna che io stanotte? speri. Che altro potrei fare? Ugo (indicando la porta da cui è uscito Lance- Ugo — E’ proprio una frase da donna, questa. lot) — Il tuo vecchio amico s’è incaricato di dir­ Caterina — Sono una nonna. glielo. Ha telefonato quattro volte. Ha raccontato Ugo (sedendosi) — Ebbene, spera... se ci tieni. tutto, per filo e per segno. (Carlos entra). Caterina — E Massimo lo ha saputo? Carlos — Il signore ha chiamato? Ugo — Era vicino all’apparecchio. (Batte dei Ugo — Carlos, andrete a prendere il signor Mas­ colpi sui cuscini del divano col bastone). simo. Caterina — Lo dice per disgustarmi di lui. Carlos (stupito) — A casa sua? Ugo (giocando col bastone) — Non voglio disgu­ Ugo — Naturalmente, a casa sua. starti di lui. Caterina (desolata) — E’ vero, era in casa. Caterina — Sì. Per bontà. Ugo — Come bisogna dirtelo? (A Carlos) E voi Ugo — Per bontà? che aspettate? Caterina — Lei pensa: «Poiché Massimo non Carlos — Il signore vuole che vada subito? l’ama più, è meglio che lei lo disprezzi ». Ugo — Naturalmente. Ugo (col bastone orizzontale dietro la testa) — Carlos — Ma il signore sa bene che il signor Mi credi migliore di quello che non sia. E disgra­ Massimo... ziatamente credi anche Massimo migliore di quello Ugo (freddissimo) — Siete strano, oggi, Carlos. che non è. Carlos — Ah! bene, signore. Perfettamente, si­ Caterina — Allora, non verrà? gnore. Ugo (tracciando delle linee col bastone a terra) Ugo — E di corsa, vero? — No. Ha mandato me al suo posto. Carlos — Certamente, signore. (Esce). Caterina — Al suo posto? Vigliacco! Vigliacco! Caterina — Ugo, crede che sia possibile? Ugo (appoggia il mento sul pomo del bastone) — Ugo — Che cosa? Massimo non è stato mai molto coraggioso. Caterina — Crede che non voglia più saperne Caterina (gridando) — Non avrei dovuto dirgli di me? che ero malata. Non avrei dovuto dirgli che ero Ugo — Ti risponderà lui stesso tra poco. Non disperata. Ha avuto paura del mio dolore. Se aves­ voglio darti inutilmente un dispiacere. MARCEL ACHARD

Caterina — Ah! che non mi venga a dire che è Allora, avete combinato tutto fra voi tre col cugi- perchè l’ho ingannato. Non è vero. Lo giuro, lo netto? giuro... Caterina — Che cosa abbiamo combinato? Ugo — E poi, anche se ti amasse ancora, questo Ugo -— Niente di meglio per intenerire l’infedele cosa potrebbe cambiare? che questo delirio, passeggero del resto. Caterina — E’ strano che lei ripeta continua- Caterina — Lei può credermi capace?... mente « Se ti amasse ancora ». Egli mi ama ancora. Ugo — Su, confessa, non glielo dirò. Ugo — Sii ragionevole! Caterina — Ma è ignobile! Caterina — Prima di tutto, che ne sa lei? Ugo —- Niente affatto. In amore tutti i mezzi Ugo — Quando amano, gli uomini sono molto sono buoni. differenti l’uno dall’altro. Ma il loro modo di non Caterina — E’ forse proprio per questo che mi amare più è sempre lo stesso. ha lasciata. Perchè non conosco tutti questi mezzi. Caterina — Sì, esiste la sua lettera. Ma appunto Ugo (molto sorpreso s’appoggia al pianoforte) — quella lettera non sembra scritta da lui... Allora, sarebbe vera questa storia della tua pazzia? Ugo — Eh, via! Caterina -— Crede che potrei inventare una cosa Caterina — Esiste il fatto dell’assegno. Ma an­ simile? che per quello... A Massimo non sarebbe mai venuta Ugo (con ammirazione sincera) — Le donne so­ quell’idea, da solo. no straordinarie. Lo ami fino a questo punto? Ugo — Vuol dire che avrebbe dimenticato di la­ Caterina — Certo! Non lo sapeva? sciarti del denaro? Ugo —• Proprio no. L’amore d’una donna dopo Caterina — Forse. tre anni... (Gesto vago e sprezzante) Non sapevo che Ugo — Non farlo peggiore di quel che è. tu fossi un fenomeno. Caterina — Non è peggiore. Niente sarebbe peg­ Caterina (con orgoglio puerile) — Ebbene, sì, lo giore di quello che ha fatto. A quest’ora egli sa sono. già che io ho stracciato il suo assegno. Ugo — E poi avevi tale una fiducia in lui... Cre­ Ugo — Lo hai stracciato? E come farai a vivere? devo che tu ti calmassi. (S’avvicina al telefono). Caterina ‘ (più triste) — Ah, sì, come farò a vi­ Caterina —• Calmarmi? Perchè avrei dovuto cal­ vere? Ma non è perchè non ho più il suo assegno... marmi? che non so come farò a vivere. Ugo — Non so. Mi pare che succeda sempre così. Ugo (prendendole la mano) — Mi fai molta pena. Caterina — Se non la conoscessi, in certi mo­ Caterina (si piega verso di lui, sperando oltre menti penserei che lei non ha cuore. ogni speranza) — Non è possibile. C’è qualcosa che Ugo (guarda all’improvivso l’orologio) —- Per­ non capisco. (Staccando le parole) C’è qualcosa metti? (Forma rapidamente un numero. Caterina che non capisco. lo guarda ansiosamente. Forse egli telefona a Mas­ Ugo — E’ Massimo che tu non capisci... simo. Aspettava probabilmente che fosse tornato Caterina — Siamo stati così felici... a casa. Caterina gli rivolge la parola con un po’ Ugo — Forse non basta. di speranza). Caterina — Oh! del resto... Caterina — A chi telefona? Ugo (alzandosi) — La felicità è un fragile le­ Ugo (facendola tacere con un gesto) — Zitta! game. Non più solida d’un nastro, o d’un nodo... (Ascolta e riattacca senza dir nulla) Volevo sapere Caterina (guardandolo) — Lei è uno strano l’ora! (Rimette l’orologio tre minuti avanti e rico­ messaggero. mincia a passeggiare). Ugo (sempre camminando) — Può darsi. Non ho Caterina (cambiando tono all’improvviso) — So il senso delle situazioni delicate. che le effusioni sentimentali le fanno orrore, e che Caterina — Vede che muoio e fa della lettera­ a lei non piace intenerirsi. Tuttavia lei mi è ami­ tura. co, Ugo. Ugo — Oh! Tu non muori. Ugo — Può essere. Caterina — Non lo dica troppo. Per poco non Caterina —- Non vuole ammetterlo, ma lei è stato sono impazzita, questa notte. sempre molto gentile con me. Ugo — Non esageri un poco? Ugo — Può essere. Caterina — Lo domandi a questa brava gente che Caterina — Mi faceva dei regali, aveva delle at­ mi ha ospitata. tenzioni che non ingannano una donna. Ugo — Ma appunto... questa brava gente... mi Ugo — Le donne s’ingannano da sè. Nessuno le inganna. (Siede sul panchetto. Caterina si è avvi­ pare che s’interessi straordinariamente di te. cinata a lui). Caterina — Chiunque, in un caso simile... Caterina — L’ho fatta ridere spesso. Ugo (interrompendola) — Non credo. Questo Lan­ Ugo — Spesso. celot non è forse un po’ tuo parente? Caterina (con violenza) — Lei può fare tutto - Caterina (indignata) — Che orrore! per me. Massimo la conosce soltanto da un anno, Ugo (fingendo di fraintendere il suo grido) _ ma lei ha su di lui un’influenza assoluta. Farà Perchè « che orrore » ? Ha l’aria di un buon diavolo. quello che lei gli dirà di fare. ADAMO

Ugo (sempre sorridente) — Vuoi che « ordini » Caterina — So che le racconta tutto. a Massimo di amarti? Ugo — Tutto che cosa? Caterina — Non sia cattivo. Caterina — Tutta la sua vita, tutto. Ugo — Ma che cosa vuoi che io faccia? Ugo — Ha fiducia in me, sì. Caterina — Niente, niente. Mi scusi. (Silenzio). Caterina — Le racconta tutto. Le ha detto per­ Ugo — Dovresti capire che nessuno può farci sino delle cose della nostra intimità, delle cose che nulla, altro che te. veramente avrebbero dovuto essere soltanto no­ Caterina — Le ho già chiesto scusa. (.Brevissimo stre. E’ vero? silenzio). Ugo — E’ vero. Ugo — Sei così abbattuta. Mi fai molta pena. Caterina — Le dice tutto. Anche queste cose. Caterina -— Non si disturbi. (Distillando le parole) Ed ama un’altra donna e Ugo —i Se lui non ti ama più, perchè dovrebbe non gliela fa conoscere. Non trova che è strano? essere colpa tua? Tu sei pronta ad accusarti. Ma Ugo •— Strano? No. Perche strano? forse la colpa è sua. Caterina — Le chiedo scusa per quello che sto Caterina — Sua? per dirle. Ugo — Se ama qualcun altro. Ugo — Questo è il momento del mio gran di­ Caterina (con forza, incredula) — Ne ama spiacere? un’altra? Caterina — Sì. Ugo — Non può essere che così. Tu non sei cam­ Ugo (melodrammaticamente) — Coraggio! biata. E son sicuro che ti trova sempre egualmen­ Caterina — Se lei non sa chi è questa donna, te graziosa. Soltanto può darsi che sia preso da forse è perchè lei non deve saperlo. un altro amore... Ugo (dopo aver riflettuto, sinceramente) — Non Caterina — Da un altro amore? Da un altro capisco. amore? Chi? Non vediamo mai nessuno. Caterina — Non vuol capire. Ugo (rettificando) — Tu non vedi mai nessuno. Ugo — Se credi che sia facile. (.Prende lo specchio che era sulla tavola). Caterina (con tatto) — Si ricorda del nostro viaggio a Capri? Caterina — E’ bella? Ugo — Benissimo. Fu piacevolissimo. Ugo (si guarda nello specchio) — Beh!... Caterina — Lei non ha notato nulla in quei Caterina — Lei la conosce? quindici giorni? Ugo — No. Ugo (gesto vago) — Confesso... Caterina (come se avesse fatto una scoperta Caterina (impazientandosi) — Neppure la par­ molto importante) — Ah! Lei non la conosce? tita di pesca? Ugo (canzonatore, esagerando anche lui questa Ugo — Quale partita di pesca? importanza) — No. Non la conosco. (Depone lo Caterina — Il giorno che si sono perduti, al­ specchio). meno a quanto dissero. Caterina (risolutamente) — Oh! Ma questo Ugo — Non ricordo che si sia perduto nessuno. cambia tutto! Caterina —• Lei era piuttosto inquieto. Voleva Ugo — Non mi pare. andare a cercarli con le torce. Caterina — Sì, tutto. Ora potrò lottare. Ugo — Ti assicuro che non me ne ricordo. Ugo — Ma via!... Caterina — Non ha notato nemmeno che erano Caterina — Se ama un’altra donna, non è poi sempre insieme, in carrozza? così grave. Credevo che fosse stanco di me. Ugo —■ Vuoi dire con Maddalena? Ugo — Non è forse la stessa cosa? Caterina — Sì, con Maddalena. Caterina — Affatto. Affatto. (Lentamente, per­ Ugo (con vigorosa ironia) ■— No? chè riflette intensamente) E’ vero. Io ero cieca, Caterina — Mi ascolti, Ugo: Massimo non è più ma dopo quello che lei mi ha detto, troppe cose lo stesso da che vi abbiamo conosciuti, lei e Mad­ mi vengono in mente! dalena. Ugo (prendendo molto interesse) — Ah! Ah!... Ugo — Come? Come? Credi che si tratti di Mad­ Caterina — Una quantità di particolari. dalena? Ugo — Quali? Caterina — Sì, mi scusi. Caterina — Non so se posso... Ugo (la guarda in silenzio prima di dire dura­ Ugo — Te ne prego. mente) — Prendi Massimo per un imbecille? (Si Caterina — E’ una cosa estremamente delicata. alza). Ugo — M’incuriosisci. Caterina (a disagio) — Come, un imbecille? Caterina — Non vorrei darle un dispiacere. Ugo (sprezzante) — Te lo puoi immaginare in­ Ugo — Un dispiacere? A me? namorato di quel manichino? Caterina — Ma sì, a lei. Caterina — Ma cosa dice? Ugo — Mi stupirebbe. Ugo — Di quella bambola di porcellana? Caterina (decidendosi) — Massimo non le na­ Caterina — Ugo, non capisco più. Lei adora sconde nulla, non è vero? Maddalena. Ugo (sorpreso) — Che c’entra? Ugo — Io? 25 MARCEL ACKARD

Caterina — In ogni modo, l’ama molto. Con lei Caterina — La prego! (Ugo siede dinanzi alla è d’una gentilezza... d’una premura... radio e gira il bottone. Si sentono alcune battute Ugo — Sono una persona educata. di un lambeth-walk). Caterina — Ci sarebbe forse qualcosa di nuovo? Ugo (.ascolta un poco infastidito) — Qùesto non Ugo — Non c’è mai nulla di nuovo con Madda­ m’impedisce di partecipare ai tuoi dispiaceri. lena. Caterina (siede) — Lo so. (Chiamandolo) Ugo! Caterina — Allora non capisco. E’ carina. Ugo (gentilmente) — Un momento. Ugo — Carina? E’ bella e ci tengo molto. Lancelot (apparendo) ■— Hanno aperta la ra­ Caterina — E’ più che bella. dio? Allora possiamo rientrare? Ugo •— Più che bella, sì, hai ragione. Caterina — No, no. Se ne vada, la prego. Caterina — Ed ha, però, molte qualità, dal mo­ Lancelot (disgustato) — Ma scherziamo! Non mento che la tiene con sè. hanno mica bisogno d’essere soli per ascoltare la Ugo (che ha ripreso a passeggiare) — In primo radio? luogo non parla. Ed è una qualità enorme, dato Caterina — Devo ancora dirgli qualche cosa. quello che potrebbe dire. In secondo luogo sa ascol­ Qualche cosa di grave. tare. Per questo sì, ascolta bene. Coi suoi grandi Lancelot -— E per questo hanno bisogno della occhi vuoti, così comodi perchè vi si può vedere musica? Mettano al massimo, allora, che possa tutto quello che si vuole... Insomma è un’idiota. E sentire anch’io. (Esce malcontento). questo consente di farle credere quasi tutto. L’Annunziatore — Ed ora, cari ascoltatori, vi Caterina —• Era un po’ quello che mi preoccu­ trasmettiamo la celebre «Rapsodia in blu», di pava. A Massimo non dànno noia le donne idiote. Giorgio Gerswhin, diretta dal maestro Ugo Saxel. Ugo (furioso) — Non dire sciocchezze. Massimo Caterina — Il maestro! non degna neanche di uno sguardo una ragazza Ugo — Sempre, la Radio-Parigi. (Il disco stride. come Maddalena. Non la guarda neppure, ti dico. Si sentono le prime battute. I due ascoltano in si­ In un anno non le ha detto dieci parole. Ma te io lenzio. Dopo qualche momento Ugo Saxel dirige immagini Massimo, lasciare per lei una ragazza macchinalmente). come te? Caterina (dopo un momento) — Magnifico! Caterina — E’ vero. Ugo (cessando di dirigere, ascolta) — Zitta! Ugo — Oh! Certamente lei ha tentato. Ha cer­ (Ascolta intensamente, poi gira il bottone. Silen­ cato di prendertelo. Tenta sempre. zio). Caterina (tremante di rabbia) — Ha tentato? Caterina (cortesemente) — Oh! Ugo — Massimo me lo ha raccontato. Ne ab­ Ugo (alzandosi in piedi) —- Era quello che volevo biamo riso di cuore. sapere. Bisogna che cambi il contrabbasso. Caterina — A lei? (In un balzo raggiunge Ugo) Caterina — Ah! Il suo mestiere! Come lo ama! Perchè lo ha raccontato a lei? Ugo — Io sono come le mucche delle Alpi. Si Ugo — Quello che è veramente strano, è che appende loro una campanella al collo ed esse gui­ anche questo è successo durante una partita di dano l’armento. E quando la campanella vien pesca. Ma non a Capri, a Belle-Isle. Ci conosceva­ tolta, muoiono. (Scusandosi) Ma io ti parlo dei mo appena. Lei ha fatto di tutto, pare. Con una fatti miei... stupidità... Caterina (all’improvviso va verso di lui) — Ugo, Caterina — E lei se Tè tenuta? Se Tè tenuta lo io lo so perchè è così contento... stesso, pure odiandola? Ugo — Guarda! Guarda! Ugo (con profondo disprezzo) — Odiarla? Ma Caterina — So perchè non si comporta con me se ti dico che è inesistente! (Un silenzio). come con un’amica molto infelice. Caterina — E’ orrìbile! Non le pare orribile? Ugo — Perchè? Ugo — Del resto, l’ho lasciata. Lei non lo sa an­ Caterina — Ugo, lei è contento che Massimo cora. Ma l’ho lasciata. Glielo dirò domani o do­ mi abbia lasciata... mani l’altro. Ugo — Io? Caterina — Tutti si lasciano, in questo mo­ Caterina — Sì, contento. Contento. Ne sono si­ mento. cura da quando l’ho vista. Cerca di nasconderlo, Ugo — Oh, per lei non ha importanza. ma non ci riesce. Caterina — E’ strano che Maddalena abbia cer­ Ugo — Davvero? cato di prendermi Massimo. Caterina — E so anche perchè. Ugo — Non è strano, è una cosa da far ridere Ugo — Brava! come pazzi. Caterina -— Me n’ero già accorta. La sera di Caterina (ostinata) — No, è strano. Natale... nella porta a tamburo. Ugo (guardando l’orologio) — Scusami. Non ti Ugo (un po’ inquieto) — La porta a tamburo? arrabbiare. La nostra conversazione è interessan­ Caterina — La porta girevole, se preferisce. tissima. Ma, alle due e venti, Radio-Parigi tra­ Ugo — Quale porta girevole? smette la registrazione su disco della « Rapsodia in Caterina — Da «Albert». blu » diretta da me, e sono le due e diciannove. Ugo — Che è successo, la sera di Natale, da « Al­ Permetti? bert»? Nella porta girevole? ADAMO

Caterina — Lei mi ha stretto il braccio. Ugo — Sei stata qualche cosa di meglio che Ugo — Credi? un’amante. Caterina — Due volte e ha detto: «Caterina»... Caterina — Una madre? Ugo — E poi? Ugo — E poi, dopo quello che hai sofferto... Caterina — Nient’altro. Soltanto, ha voltata la Caterina — Sì, eh? testa. Allora ho capito tutto. Ugo — Puoi chiedermi qualsiasi cosa. Allora, Ugo (con un sogghigno) — Beata te! amici? (Le prende la mano. Caterina dà un balzo Caterina — Oh! Lei è molto abile. Sa fare, lo indietro). riconosco. Caterina — Ah! Non mi tocchi! (Come a una Ugo — Credi che sappia fare? sgualdrina) Non toccarmi tu! Caterina — Soltanto sbaglia. Perchè io amo Ugo — Sei eccessiva. Massimo. Lo amerò sempre, (.Una pausa) E di lei Caterina — Lo avevo ben visto che eri soddi­ non vorrei mai saperne. sfatto. Non sapevo ancora perchè. Ma questo, al­ Ugo (le dà, sogghignando, un buffettino sulla meno, lo avevo indovinato. gota) — Povera cocca! (Il gesto è d’un’insolenza Ugo — Ne convengo. talmente pieno di disprezzo, che Caterina indie­ Caterina — Hai un aspetto fiorente! Strano! Da treggia disgustata. I due si guardano in faccia. ieri sei ingrassato. Ti fa bene la felicità! Non hai Lungo silenzio). più il tuo profilo di lupo... Sei bello. Caterina — Dunque... era vero? Ugo (modesto) — Oh, bello!... Ugo — Che cosa? Caterina — Sì, bello. E vieni a offrirmi la vo­ Caterina — Quello che si diceva. stra amicizia... Che gentile pensiero! La vostra Ugo (sogghigna ancora) — Si dicono tante cose! amicizia!... Non è un’idea di Massimo, questa. E’ verso il divano). un’idea femminile. Caterina — Non volevo crederlo. Pensavo che Ugo (ripete sogghignando) — Sei molto ecces­ la gente fosse cattiva. siva. Ugo -— Forse è anche cattiva. Caterina — Ma non gridi vittoria troppo presto. Caterina — Allora, Dimitri SmimOif, .fu per Ugo — Neppure tu. causa sua? Caterina — Posso benissimo riconquistare Mas­ Ugo — Povero Dimitri! simo. Caterina (ripetendo) — Fu per causa sua? Ugo — Non ti ci proverai nemmeno. Ugo (con un gesto vago) — Cosa vuoi farci? Caterina — Chi me lo potrà impedire? Lei. Caterina — Fu per causa sua che tentò di ucci­ Forse? dersi? Ugo — Non ti ci proverai nemmeno. Non lo Ugo — Era assurdo. ami più. Caterina — Olga mi aveva avvertita. Mi aveva Caterina (con violenza) — Io? detto di diffidare di lei! Ugo — Non lo sai ancora, forse. Ma non lo ami Ugo •— Povera Olga! più. Caterina — Non le avevo creduto. Per via di Caterina (con disprezzo) — Non dovrei amarlo Maddalena. più per questa sciocchezza? Ugo — Cara Maddalena! Ugo — Conto sul tuo disprezzo. Sono assoluta- Caterina — E dopo tutto, Dimitri, era compren­ mente tranquillo. sibile, perchè insomma Dimitri... Caterina — Tanto tranquillo? Ugo — Mentre, Massimo, non è assolutamente Ugo (schiacciante) — Ma non riuscirai neppure comprensibile... a soffrirne. Caterina — Assolutamente. Caterina — E’ tanto sciocco, quello che dice. Ugo — Son contento che tu abbia capito. Ugo — Prova dunque a piangere, ora. Non ci Caterina — Non ho capito. So. Ma non ho ca­ riuscirai. pito. Caterina — Mi meraviglierebbe. Ugo — Mi basta che tu sappia, in ogni modo. Ugo (con calma esasperante) — Non lo ami più. Credevo che non ci saremmo arrivati mai. Non lo ami più. (Squilla il telefono). Caterina -— Sì. (Silenzio). Caterina (trasalendo) — E’ lui! Ugo (colla stessa calma) — Lui non telefonerà. Ugo — Ti resteremo amici, Massimo ed io. Come del resto non verrà. Caterina (immobile e livida) — Grazie. Caterina — Sono sicuro che è lui. Ugo — In qualsiasi circostanza puoi contare su Ugo — Lo so. (Insistendo) So, capisci bene, che di lui e su di mé. Massimo non telefonerà. Caterina — Grazie. Caterina -— Glielo ho proibito lei? Ugo — Lo hai amato molto, e molto bene. Ugo — Rispondi! (Nuovo squillo di telefono: Ca­ Caterina — Grazie. terina esita) Rispondi! Ugo — Lo hai aiutato ad uscire da quell’ambien­ Caterina (va al telefono) — Pronto! Pronto! Sì. te in cui si fossilizzava. (Molto semplicemente) Buon giorno, Massimo. (Il Caterina — Non è vero? sipario cade lentamente). — ss MARCEL ACHARD

Caterina — Bravo. Compiangimi anche. E’ il col­ mo. (Pausa, poi gridando) Sì, sono stata male. Sì. La stessa scena degli atti Ero come impazzita. Sì. Ho camminato tutta la precedenti, cinque minuti notte nella nebbia. dopo il secondo atto Ugo — Non vuol crederlo, non è vero? Caterina — E che vuol dire? Non è questo l’im­ (Al levarsi del sipario, Caterina e Ugo Saxel ur­ portante. Sì, sono stata male, molto male (Massi­ lano tutti e due al telefono. Caterina tiene ancora mo evidentemente cerca di rispondere ma Cateri­ l’apparecchio e, accanto a lei, Ugo Saxel, per farsi na lo interrompe) Ma perchè trovi questo fatto sentire, grida a squarciagola contemporaneamente tanto straordinario? Hai l’aria di credere che non a lei). ne vali la pena. (Una pausa) Ah! Ugo (gridando) — Mai! Mai! Mai! Non ho mai Ugo (con indifferenza, avvicinandosi) — Che detto niente di simile. Massimo, tu mi conosci, non dice? è il mio stile. Caterina (ad Ugo) — Dice che sei stato tu a de­ Caterina (nello stesso tempo, gridando) — Te lo cidere tutto. Lui non voleva mandare la lettera, giuro, Massimo, mi credi, vero? Mi conosci. Sai pare. che non dico bugie, io. Ugo (rivoltandosi) — Ah! questo, poi... (Si porta Ugo (gridando) — Va bene, io le dico le bugie, rapidamente accanto a Caterina). ma tu sai come. Non così stupidamente, almeno. Caterina (a Massimo, molto freddamente) — Rifletti. (Caterina, sempre col ricevitore all’orec­ Ti passo Ugo. chio, si allontana portando con sè l’apparecchio. Ugo (al telefono) — Dunque, pare che tu non Ugo glie lo toglie di mano, e la segue). volessi mandare la lettera! (Pausa. Impazienten­ Caterina (nello stesso tempo) — Sta attento, dosi) Va bene, va bene. Ma non me lo hai detto Massimo. E’ cattivo. Vuol rendere irreparabile la tu che t’annoiavi con lei? cosa. Caterina (straziata) — Oh! Ugo (passa dietro a Caterina tenendo sempre Ugo — Ah! Ti secca che lei sappia la verità? l’apparecchio) — Ma è irreparabile. Siete più di­ Allora non m’immischiare nelle vostre faccende. stanti che se vi foste lasciati da due anni. Intesi? (Tende il ricevitore a Caterina) Tieni! Caterina (insieme con lui) — E’ tanto cattivo, se tu sapessi. Non credere una parola di quel che Caterina (al telefono con tristezza) —- Sì. sì. (Di ti dice, ti scongiuro. nuovo in piedi, camminando) Non gridare così. Al­ Ugo (urlando) ■— La vostra situazione è dispe­ lora, con me ti annoiavi? (Pausa brevissima) Non rata. Non si regge più in piedi. Non è stata mai gridare, ti dico. (Pausa) Sarà diffìcile spiegarlo. molto solida, del resto. Ugo (sogghigna) ■— E probabilmente piuttosto Caterina (urlando) —■ Fallo tacere! Fallo ta­ lungo. (Colla punta del piede, spinge un panchet­ cere! Non voglio più sentirlo. Voglio parlarti, io. to dietro Caterina). Ho il diritto di parlarti. Fallo tacere! (Ugo ha Caterina — Sì, sì, sì. (Piano) Bugiardo! (Pausa. smesso di parlare prima di lei. Caterina smette Più forte) Bugiardo! (Pausa. Ugo la prende per anche lei un po’ sconcertata. Si guardano). le braccia e la fa sedere per forza sul panchetto. Ugo •— Non è possibile parlare in queste condi­ Essa urla) Bugiardo! zioni. Ti cedo il posto. (Le rende l’apparecchio e si Ugo (passando dietro a lei) — E’ molto bugiardo. allontana succhiandosi la mano che è rimasta Caterina (a Massimo) — Come osi dirmi una graffiata durante la lotta). cosa simile? Non c’è una parola di vero. Caterina (al telefono, carezzevole) — Massimo, Ugo — Ci scommetterei. mi credi, vero? Caterina — Sei anche vile. Perchè non hai 11 Ugo (fa un movimento) ■— Non ricominciare, ora; coraggio delle tue azioni? (Pausa) Bene. Rico­ se no, torno io. nosci di aver fatta una sciocchezza. Ne sei pen­ Caterina — Massimo, caro, lo so che sei buono, tito. E’ tutto quello che voglio sapere. (Grida) E’ in fondo. Soltanto sei un debole. tutto quello che voglio sapere. Ugo — Molto comodo. Ugo — E’ testardo, non è vero? (Siede sul brac- Caterina — Ma non ripetere sempre la stessa ciuolo della poltrona). cosa. (Continuando a parlare, si libera dal filo Caterina — Serba la tua pietà per quando avrò telefonico che le si è attorcigliato intorno, posa l’ap­ l’emicrania. Questa nottata non ti riguarda. Sta­ parecchio a terra per liberarsi i piedi, poi lo ri­ notte non sapevo. Non entri per nulla in quello prende e va fino al divano) Non me ne importa, ti che m’è accaduto stanotte. dico, non me ne importa. (Pausa) Sei inaudito. Ugo (a Caterina, piano) — Parli così poco della Non ti chiedo delle scuse. In casi di questo ge­ tua amnesia! Si potrebbe credere che non fosse nere, o si perdona, o non si perdona. Io ti ho per­ vera. donato. (Pausa) Neppure questo m’importa. (Posa Caterina (facendo un balzo sul panchetto ove bruscamente l’apparecchio sul divano e si siede). siede e come parlando a Lancelot che è entrato, Ugo (facendo mia constatazione) — Evidente­ ma si dirige invece a Ugo) — Ah! tu, lasciami in mente, non ti sa parlare. pace! ADAMO

Lancelot (sorpreso) — Oh! mi scusi. Ugo — Non oso pensarci. Ugo — Non ci disturba affatto. Caterina (ripetendo le parole di Massimo) — Lancelot — Un minuto solo. (Va ad aprire il Non è possibile che sia finita tra noi. pianoforte, prende di sulla tastiera le forbici da Ugo —- Stavo per dirlo io. giardino). Caterina (si alza) — Tra lui ed Ugo è un fatto Caterina (a Massimo) — E’ Ugo che è ignobile, puramente intellettuale. ima volta di più. Ugo (senza espressione) — Puramente. Ugo (pianissimo) — Esagera. Caterina (come sopra) — Soltanto io coarto. Lancelot — Mi accorgo che non hanno finito. Farà quello che vorrò io. Caterina (a Lancelot, continuando ad ascoltare Ugo (avvicinandosi al telefono) — Permetti? Massimo) — No. Caterina (a Massimo, in tono quasi comico) — Ugo — Personalmente, credo di sì. Ma loro non Ti passo Ugo. sono di questo parere. Ugo (a Massimo, duramente) — Non vedo trop­ Lancelot — Comunque, appena si saranno mes­ po la necessità di tante menzogne. (Pausa) Come, si d’accordo, ce lo faranno sapere! (Esce). non mentisci? (Con furore) Come? Non puoi fare Caterina (a Massimo) — Ah, non potevi dor­ a meno di lei? mire? (Pausa) Perchè? Perchè non bisogna dirlo Caterina (con orgoglio puerile) — No. Non può a Ugo? fare a meno di me. Ugo (alzando le sopracciglia) — C’è qualche cosa Ugo (a Massimo, duramente) ■— Non balbettare, che non mi vuol dire? almeno, quando me lo dici. Caterina (a Massimo) — Ugo è forte. Fortissi­ Caterina — Non balbetta affatto. mo. Può sentire tutto. (Ad Ugo) Non è vero? Ugo — Allora, non puoi fare a meno di lei? Ugo — Assolutamente tutto. (Al «no» di Massimo) Guarda! Guarda! Quando Caterina (si è alzata e gli porge il ricevitore at­ la sera davi come pretesto il restare da tua ma­ traverso la tavola) — Diglielo tu. dre per non vederla, era perchè non potevi fare a Ugo (si è sollevato a metà per parlare al tele­ meno di lei? fono) ■— Posso sentire tutto. (Torna a sedersi). Caterina — Non sapeva ancora d’amarmi a Caterina (posando il telefono sulla tavola) — questo punto. Vedi, allora, che cos’è? (Siede anche lei. Una pau­ sa piuttosto lunga) Senti, se sei idiota, dillo Ugo (al telefono) — Attento! Massimo! subito. E’ questo che vuoi nascondere ad Ugo? Caterina ■— Non lo suggestionare. Ugo — Una cosa puerile, scommetto. Ugo (a Massimo) — Hai coscienza di quello che Caterina — Non vuole che tu sappia che m’ha fai? Chi ha scritto «Non ti amo più»? Non sono telefonato stanotte, appena sei andato via. stato certo io. Ugo (non così impassibile come vorrebbe sem­ Caterina — Ma si. brare) — E’ puerile, infatti. Ugo (a Massimo) — Quando uno scrive « Non Caterina — Che vuoi che importi ad Ugo? ti amo più », quando si ha questo terribile corag­ Ugo — E’ quello che mi chiedo anch’io. gio, significa che se ne è sicuri, non credi? Caterina (a Massimo) — Mi avresti detto que­ Caterina — Tu vuoi suggestionarlo. sto? (In tono di trionfo) Mi avresti detto questo? Ugo (siede anche lui) — Massimo, non è bello Allora, perchè non mi hai telefonato prima? Sai quello che fai. Questa ragazza ti ama davvero, che son qui dalle nove di stamane. ho potuto rendermene conto. Non hai il diritto di Ugo —• Colpa mia, anche questa, senza dubbio. farle del male, gratuitamente. E’ una creatura Caterina (a Massimo, con enfasi) — Ah! eri molto retta, straordinaria. con Ugo? Caterina (urlando nel telefono, piegata su di Ugo — Lo sapevo. Ugo, tira a sè il filo dell’apparecchio) — Non voglio Caterina — E non osavi parlare in presenza che mi difenda. Fa’ quello che vuoi, Massimo. di Ugo? Ugo (come se non sentisse l’interruzione, a Mas­ Ugo — Povero piccino! simo) — Sarebbe ignobile ingannarla. Caterina •— Sei sicuro di quello che dici? Sì? Caterina (urlando nell’apparecchio) — Inganna­ Ripetilo. (Lentamente, distillando ogni parola con mi finché vuoi, Massimo, ma non ascoltarlo. esaltazione) Non sapevi d’amarmi così... Ah! non Ugo (a Massimo, scoraggiato, sospirando) ■— Ri­ sapevi d’amarmi così. (A Ugo) Non sapeva d’amar­ cominciamo. (A Caterina porgendole il ricevitore) mi così. Mi ritiro. A te! Ugo (sorridendo) — Neppure tu. Neppure io. Caterina — No. Non ho più niente da dirgli. Nessuno lo sapeva. (Va verso la porta e guarda fuori). Caterina (a Ugo) — Mi ama come non ha mai Ugo — Neppure io. (A Massimo) Non gridare amato in vita sua. tanto. Vedi che non abbiamo tolta la comunica­ Ugo — Naturalmente. zione. (Pausa) Ma, prima di tutto, a chi parli? Caterina (ripetendo a Ugo le parole di Massimo) A lei o a me?... La tua frase si adattava a tutti e — Che sarebbe di lui senza di me? due. (Pausa) Perfettamente, ti ascolto. (Lunga MARCEL ACHARD pausa) Ti dico che ti ascolto... Sii più chiaro. (.Dopo di Maddalena. Mi par di sentirli i suoi sarcasmi. una lunga pausa, con soddisfazione evidente, seden­ Sarà stato molto spiritoso. E Massimo ha comin­ dosi) Ah! sì? Ah! bene! ah! benissimo. ciato a vergognarsi di me. Ogni giorno un pochino Caterina (inquieta) — Che dice? di più. Non siamo molto intelligenti, noi donne. Ugo (senza rispondere, a Massimo) — Ti chiedo Chissà quante volte avrò giustificato le sue critiche, scusa. Non avevo capito. senza accorgemene. E siccome il mio amore per Caterina (tornandogli vicino) — Cosa c’era da lui era una cosa del tutto naturale, lui ha finito capire? per vederlo con i suoi occhi. Pino a questa notte Ugo (a Massimo) — Hai ragione. Soltanto, bi­ in cui, proprio per colpa sua, stupidamente mi ha sognava dirlo subito. perduta. Allora, non s’è più ricordato delle mie Caterina (con violenza) — Mentiva? piccole stupidaggini, ma soltanto del mio grande Ugo (a Caterina) — No, no. amore, che gli manca,va. Caterina — Che cos’è che l’ha calmato all’im­ Ugo (indicando il telefono) — Interessantissi­ provviso? mo. Ma non credi che lui si debba annoiare molto, Ugo (a Caterina) — Niente. Una cosa che mi dall’altra parte? ha detta. Caterina (prendendo il ricevitore) — Massimo, Caterina (battendo il piede) — Che cosa? sfammi a sentire. Uc-o (coll’orecchio al ricevitore, a Caterina, fer­ Lancelot (entrando) — Scusino. mandola col gesto) — Un secondo, permetti? Mas­ Caterina (a Massimo) — Un momento. Non simo sta parlando. posso parlarti, ora. Non essere nervoso. Caterina (ostinatamente) — Che cosa? Lancelot — Faccio la figura dell’importuno. Ugo — Niente che ti riguardi. Ma, vorrei dirvi... questa stanza ci serve. Caterina (togliendogli il ricevitore dalle mani) Caterina (gentilmente sorridendo) — Prego. — Massimo, che hai detto ad Ugo? (Silenzio) Non Lancelot — Li avrei fatti salire di sopra. (Ama­ mentire ! ro) Ma i letti non sono rifatti. E poi di sopra non Ugo (ripetendo come poco fa) — E’ molto bu­ c’è il telefono. giardo. Ugo — Ma noi stiamo benissimo, le assicuro. Caterina — Che hai detto ad Ugo? (Pausa) Caterina — Sì, sì. Come, niente? Era esasperato. Era arrivato al Lancelot (esitando) — E’... sèmpre la stessa punto di parlarti bene di me. E, a una tua frase, comunicazione? torna sorridente, ti dice «Ah! bene! Ah! bene, Ugo — Sempre. ho capito». Che cosa ha capito? (Un silenzio. Ca­ Caterina — Sì, sì. terina ascolta a lungo Massimo) Giurami che dici Lancelot — Ma... chi ha chiamato? Loro? la verità. Ugo — No, Parigi. Ugo — Oh! ì giuramenti, sai... Lancelot (rassicurato) — Ah! bene. Caterina (a Massimo) — Resta al telefono. (Po­ Caterina (sperando di farlo tacere) — Massimo, sa il ricevitore sulla tavola; categorica) Massimo ti dico che in questo momento non posso. non le ha detto nulla. Lancelot — E’ Massimo? Ugo (ironico) — Ah! Caterina — Sì. . Caterina — Comunque, niente che giustifichi il Lancelot (donchisciottesco) — Non vuole che suo compiacimento e la sua aria di trionfo. gli dica io due paroline? Ugo — Sei deliziosa. Caterina — No. Grazie. Caterina —■ E’ una cosa che lei ha eseguito per Lancelot — E’ carino, adesso? me. Per farmi credere a un complotto tra di voi. Caterina — Molto. Massimo non capiva niente ai suoi «Ah! Bene», Lancelot — Eccone un altro che non sa quello nè ai suoi « Dovevi dirlo ». che vuole. Ugo — Non capiva niente? Ugo (sogghignando) — Giustissimo (Lancelot Caterina — Assolutamente niente. esce). Ugo — Come sei scema! Caterina (sempre in piedi vicino alla tavola, Caterina (avvicinandosi ad Ugo) — Hai paura col ricevitore in mano, a Massimo) — E’ andato che ti sfugga, vero? (Gli accarezza ì capelli: Ugo via. Era il padrone di casa... (Su un altro tono) ha un sussulto) La telefonata di questa notte, Allora, ecco, Massimo. Appena Carlos sarà da te, appena sei andato via, il coraggio che gli occorre mi verrai a prendere sulla strada di Chevreuse. per osare di dirti che mi ama ancora. (Siede sulla Ce ne andremo via insieme. E mi giuri che non spalliera della poltrona di Ugo) Sei preoccupato, rivedrai mai più Ugo. (Pausa) Scegli. O lui o me. confessalo ! Solo a questa condizione. (Pausa) Giuralo. (Pau­ Ugo — Ti sembra? sa) Grazie. Ti aspetto. (Riattacca. Ad Ugo) Non ha Caterina (china su di lui) — Massimo è debole. avuto un attimo di esitazione. (Si avvia verso il Ugo •— A chi lo dici! divano). Caterina — Da un anno che lo conosce, lei ha Ugo (alzandosi) — Ah! Le sue menzogne erano avuto tutto il tempo di parlargli di me. Come parla abili, lo riconosco. E’ molto intelligente. 30 ADAMO

Caterina (indicando il telefono, siede sul divano, Ugo — Assomiglia a un levriero. prende il bastone di Ugo) — Lui intelligente? Po­ Caterina — Secondo me, a un gabbiano. vero amore! Ugo — Non vedo in che. Ugo (.un po’ superiore) — Ti sembra stupido? Caterina — Glielo ha detto che assomiglia a Caterina — Stupido? No. Ma se lei sapesse di un levriero? che parliamo quando siamo insieme! Lo trovo su­ Ugo — Sì. perficiale perfino io. Caterina (allegramente) — Ne sarà stato furi­ Ugo (passeggia) — Con te non parla. Ti risponde. bondo. Gli sembrano idioti. Caterina — Lo crede un intellettuale? Pensa Ugo — Con me, li trova nobili. E’ vero che dice quello che gli viene alle labbra. E’ un tale chiac­ forse che si divertisse a sentirla leggere Keats e Shelley? E in inglese, per giunta! (Ugo strappa il chierone. bastone dalle mani di Caterina) Lui che non ca­ Caterina — E’ chiacchierone, ma sa esser di­ screto. pisce neppure i films. Ugo — Non in quello che riguarda te, in ogni Ugo — T’ha detto che si annoiava? caso. Caterina — Lo divertono il tennis, il foot-ball, Caterina — Neppure in quello che riguarda lei. 1 pettegolezzi, le cravatte e i vestiti. (Ride) E’ stato lui a dirmi che lei porta il busto. Ugo — Te lo costruisci un po’ troppo a tua Ugo (stringendosi la vita per provare che non è immagine. vero. Sogghigna) — Come si può dire una cosa Caterina — Ha cercato per dieci giorni di farsi simile.. regalare la sua cravatta gialla. (Ugo siede accan­ Caterina — Non sempre. Le sere di concerto. to a lei) E ho riso molto la sera che gliel’ho (Come Ugo al secondo atto) Ne abbiamo riso di vista. Allora mi ci divertivo. cuore. Ugo — Hai letto il suo libro? Ugo (alzandosi furioso) — Facevate davvero Caterina — Che libro? Ha scritto un libro? delle conversazioni da imbecilli. Ugo —■ Su Byron. Bellissimo. Disgraziatamente Caterina — E’ quello che le sto dicendo. Non non l’ha ancora terminato. Caterina (beffarda) — Sì, deve averne scritto è intelligente. Ugo — Finirò col crederlo. (Ugo siede, con una due capitoli. gamba allungata sul panchetto. Posa il bastone Ugo (sogghigna) — Uno e mezzo. Caterina — Perchè è intelligente, forse, ma è sulla tavola). tanto pigro... Caterina — E’ pieno di contraddizioni, Massimo. E piace proprio per questo. Sembra tanto forte ed Ugo (con entusiasmo) — Incredibilmente. Non è è debole, sembra sincero ed è bugiardo; è pigro neppure più pigrizia. E’ poltroneria. e si alza alle quattro del mattino per portarmi in Caterina (sognante) — Pigro, goloso, bugiardo, campagna; è goloso, e si metterebbe a dieta per e un po’ vile. otto giorni se gli dicessi che ingrassa, è bello e Ugo — Ebbene, non ti senti meglio a parlar di non lo sa, è simpatico e non sa servirsene. (Si lui tranquillamente? Caterina (si erge, indignata) — Non parlo di alza) Vuol imparare tutto ed ha orrore dei libri. lui tranquillamente. Parlo di lui e basta. E’ violento e sempre mezzo addormentato. E’ la Ugo — E ne parli con me. tigre che si crede un gattino. E’ un bambino un Caterina — E ne parlo con lei. Non ha impor­ po’ pazzo. Lo adoro. tanza, dal momento che fra poco sarà qui e ce Ugo — Capisco tutto, ora. Ciò che egli ama in ne andremo via insieme. te, è l’idea che ti sei fatta di lui. Io lo vedo qual è. Ugo — Sì, sì. Questo non lo diverte, forse. (Caterina va verso Caterina — Del resto, non si rallegri troppo pre­ la porta). sto. Vedo anche i suoi pregi. E’ buono. Caterina — Forse... Ugo — E quello che trovo ignobile, è questo Ugo — Non lo so. dono di sognare che avete voialtre donne. Che Caterina — E’ generoso. Ugo — Aspetta che abbia danaro. cosa non riuscite a fare di un povero essere come Caterina — E’ delicato. Massimo? Ugo — Può darsi, non me ne intendo. Caterina — La vostra punizione forse è proprio Caterina — E’ allegro. di vederli esattamente come sono. Ugo — Non credo. Ugo (attaccando bruscamente) — Perchè do­ Caterina — E’ giovane. vremmo essere puniti? Ugo ■— Dicono. Caterina — Perchè? Caterina — E’ affettuoso. Ugo — Siete voialtre signore che avete decre­ Ugo — Lo dice lui. tato che è male. Siete voialtre che ci obbligate a Caterina — Tutti possono fargli del male. cercare delle scuse poetiche. Ugo — Ti sembra questa una qualità? Caterina — Lei cerca delle scuse? Caterina — Enorme. Ed è così bello quando è Ugo — Non faccio soltanto questo, nella vita... infelice. (Alzandosi) Ma ne cerco. MARCEL ACHARD Caterina — E ne trova? Ugo (s’è seduto sull’angolo opposto a Caterina) Ugo (passeggia) — Basta guardare te. — E ora non più? Caterina ■— Me? Caterina — Dò del tu anche a delle persone Ugo (dietro il pianoforte pare quasi un confe­ che non mi fanno schifo... renziere) — Tu e tutte le altre, non significate Ugo — Tanto meglio. nulla. Avete dei corpi stupidi. Strapiombate da Caterina (si avvicina a Ugo) — Potresti veder tutte le parti. piangere una donna, tu? Caterina —- Non abbiamo la linea moderna? Ugo — Oh! benissimo. Molto a lungo. E con Ugo — Non troppo. piacere, anche. Caterina — Non siamo aerodinamiche? Caterina — Pure, ti ha sconvolto che io abbia Ugo •— Neppure. Che c’è di più sciocco di quel strappato 1’assegno di Massimo? seno, per esempio? (Accenna al seno). Ugo —■ Non Sconvolto. Sorpreso. Piacevolmente Caterina (.imbarazzata) — Ti sembra sciocco? sorpreso. Ugo •—■ Assurdo. Anche quando è perfetto. Il Caterina — Credi che Massimo strapperebbe che è raro. un assegno? Caterina (sfidandolo) — Non tanto poi. Ugo (senza esitare) — No. Ugo (torna innanzi al pianoforte e vi si ap­ Caterina — Hai conosciuto degli uomini ca­ poggia) — Esteticamente, non si può difendere. paci di farlo? Caterina (in fretta) — Non parliamone più. Ugo — Non molti. Quelli che ho conosciuti li Ugo — Non si può difendere, ma pure si difende. hanno messi in manicomio. Caterina — Per fortuna. Caterina (trionfante) — Ci trovi almeno di­ Ugo — Tu, per esempio, piaci molto. sinteressate? Caterina — Anche così strapiombante? Ugo —■ Però mai e poi mai Maddalena strap­ Ugo — Il cuginetto lì (indica la camera) sono perebbe un assegno. sicuro che è innamorato di te. Caterina — Sei scoraggiante. Caterina (con insolenza estrema) — Ti piace? Ugo (concludendo) •— Vi trovo superflue. Ecco. Ugo — Sei pazza. Siete il superfluo della vita. Caterina — Se ho ben capito, che piacciano o Caterina — Ci trovi superflue? no, che siano amate o no, le donne sono con­ Ugo —- E’ bellissimo e importantissimo il su­ dannate? perfluo. (Un silenzio; Caterina lo guarda). Ugo —■ Non significa nulla, semplicemente. Caterina — Così, i tuoi sogni sono gli stessi dei Sono animaletti familiari. Sempre più familiari, miei. del resto. Perchè si sono accanite a distruggere Ugo — Non sogno mai. Ricordo. il loro mistero. Un cane che abbaia, è interessante, Caterina — Un colpo di tosse, una bestemmia, perchè uno cerca d’immaginare quello che abbaia. un passo pesante per le scale. Ecco i tuoi ricordi. Per uno che capisse il linguaggio dei cani, non Per gli altri uomini sono una minaccia. Per te, un avrebbe nessun interesse. (Sogghigna lievemente) ricordo. Gli uomini si accanivano a cercare di compren­ Ugo — Anche una minaccia. dervi, e voi non siete state soddisfatte finché non Caterina — Ma non ti ripugna a toccare una hanno saputo che non c’era nulla da comprendere. giacca da uomo che sa di tabacco? Non ti ricorda Caterina (ride di gusto) — Molto divertente. la tua? Ugo — E non vi siete fermate a questo. Avete Ugo — Io non fumo. (Brevissimo silenzio). voluto essere facili in tutti i modi. Facili a farvi Caterina (seguendo un’idea, indicando il tele­ comprendere. Facili a farvi prendere. fono) — Anche Massimo trova che il seno è Caterina — Oh! sciocco? Ugo — Vi siete ridotte tutte a questo punto. Ugo (cortesemente si alza, nervoso) — Non lo so. (Con un disprezzo indicibile, a bocca aperta come Caterina (assorta) — Mi stupirebbe. per fingere ammirazione) Ali!... non siete vera­ Ugo (con una voce bizzarra) — Non tutti hanno mente più delle conquiste! gli stessi gusti del professore Bernier. Caterina — Oh! insomma... Ugo — Avete rinunziato alla vostra ultima arma : Caterina (indietreggia con orrore, resta un se­ al pudore. Il pudore, ora, è una virtù maschile. condo senza parlare) — Le ha detto anche questo? Caterina (piegandosi verso di lui) — Hai del Ugo (ghigna) — Strano collegio, quel Parabère. pudore, tu? Non ci manderei una mia sorella. Ugo (allontanandosi) — Non parlo di me. Caterina ■— Tutti i miei segreti, le ha detto, Caterina — Ah! meno male. perfino questi. Ugo — E poi, deciditi una buona volta. O mi Ugo — Ma che speri, tu? Da dieci minuti sto dai del tu, o mi dai del lei. Questo cambiare ogni a guardarti trionfare. Credi davvero che non cer­ cinque minuti mi dà ai nervi. cherà più di rivedermi? Caterina — Ti dò del tu. Ma mi dispiace. Non Caterina —■ Me lo ha giurato. avrei mai creduto di poterti dare del tu. Ti am­ Ugo —- Non ti aveva giurato di tenerti il segreto? miravo troppo. Ti rispettavo. Caterina — E’ vero. 33 ADAMÜ Ugo — Io so tutto di te, piccola. E tu non sai Ugo — Che cosa? niente di me, tranne che porto il busto le sere Caterina (molto stanca, improvvisamente) — di concerto. Di me non ti diceva niente, mentre E’ semplicemente finita. Non soffro più. Vi vedo per ore e ore mi raccontava tutto di te, del pro­ dibattere tra le vostre menzogne, come se non fosse fessor Bemier Ano alla notte del 14 luglio. per me che le dite. Caterina — Mi vergogno. Ugo (indignato) — T’ho mentito, io? Ugo — Che disastro, eh? quella notte del 14 lu­ Caterina ■— E’ male. E’ stupido. E’ nauseante. glio! Lo amavi troppo, che vuoi farci? non dovevi (Siede presso la tavola, prende il ricevitore e, for­ obbedirgli. mando il numero) Ha ragione. Non lo amo più. Caterina — Non gli perdonerò mai di avermi Ugo — Te lo avevo detto. fatto vergognare dinanzi a lei. (Un silenzio). Caterina — Se sapesse che disprezzo!... Ugo —- Tu non mi davi noia, sai. Ugo (interrompendola) — Ti avevo detto anche Caterina — Non le davo noia? questo. Ugo -— No. E neppure ora. Tutto può benissimo Caterina — Pronto, Massimo? (Pausa) Volevo ricominciare come prima. soltanto dirti di non disturbarti. (Pausa) No, non Caterina — Crede? vengo neppure io. (Pausa) E’ finita, Massimo. Non Ugo — Ti assicuro che non mi dài noia per voglio rivederti più. (Pausa) No, Massimo, ci sono nulla. Non più di Maddalena. Massimo sì, sarà cose per cui non s’ha voglia di soffrire. Non ho imbarazzato. La sola differenza che c’è, è che tu voglia di soffrire per questo. (Pausa) No. Nessuna ora saprai. Potremo ricominciare tranquillamente speranza, Massimo. Addio. ad andare in giro tutti e quattro. (Sguardo di Ca­ Ugo (le toglie il ricevitore dalle mani. Caterina terina; Ugo spiega) Con Maddalena. si allontana e si siede sul divano) — Pronto, Mas­ Caterina — Perchè, lei si tiene Maddalena? simo? (Ascolta con stupore enorme) Ma che hai? Ugo — Certo. Se tu resti, io mi tengo Madda­ (Inquieto) Ma non piangere così. Non capisco una lena. Le risparmierai un gran dolore. parola di quello che dici. (A Caterina) Ti supplica Caterina — Continuerà a trascinarsi dietro due di parlargli. donne? Caterina — No, è inutile. Ugo — Ma io adoro la compagnia delle donne, Ugo •— Non vuole. (Ascolta) Ma in fin dei conti, non fraintendermi. Non posso fare a meno delle ha ragione. Fa quello che le hai chiesto. (Ascolta) donne. Adoro chiacchierare con loro. Che dici? Che dici? (Angosciato) A me dici questo? Caterina — E lei crede che chiacchiereremo? (Con pietà) Sì, caro. (A Caterina, smarrito) Ma è Ugo — Perchè no? Visto che Massimo ha biso­ spaventoso. E’ in uno stato... Devi assolutamente gno di te. parlargli. (A Massimo) Sì, ti parlerà. Caterina — Non lo credo. Caterina — No, Ugo, non ho nulla da dirgli. Ugo — Ma sì, ma sì. Sarai tu a farti raccontare Ugo (Le porta il telefono) — Basta colle scioc­ i fatti miei. chezze. Cinque minuti fa, eri pronta a perdonargli Caterina (va rapidamente alla porta) — Biso­ tutto. Non rifiuterai ora di rispondergli. (Siede gna che Massimo venga qui. Presto! accanto a lei). Ugo —■ Lasciagli il tempo di vestirsi. Fare il Caterina — Cinque minuti fa. bagno... radersi... Sono sicuro iche è ancona in Ugo — Soffre. E’ spaventoso. E’ disperato. casa mia. Caterina — Non posso fare più niente per lui. Caterina — Cosa dice? Ugo — Ma quel ragazzo muore. Non hai sentito? Ugo — Dico che Massimo è ancora a casa mia. Non te ne importa? Non capisci dunque? Si è in­ Caterina —■ Non è possibile. Parlava da casa gannato. Ama solo te. Ma devi parlargli, lo ca­ sua poco fa. pisci. Ugo •— E’ molto bugiardo. Caterina — Gli dica che sono uscita e che non Caterina — Ma andiamo, se m’ha telefonato può raggiungermi. stanotte da casa sua, dopo che lei se n’era andato. Ugo — Non posso far questo. Ti vuol parlare. Ugo — Così ti ha detto. Aggiungendo prudente­ Lo sento che trema di speranza attaccato al te­ mente che non si doveva dirlo a Ugo. lefono. Caterina -—- Massimo ha passato tutta questa Caterina (senza odio) —• Si soffre, eh? notte da lei? Ugo — Non vuol più sentire la mia voce. Mi odia. Ugo — Secondo una formula consacrata. Te ne supplico, parlagli. Se davvero non lo ami Caterina — Questa notte... e non s’è ancora più, ripetiglilo almeno, che sappia che non è per alzato! colpa mia. Che io ho fatto quel che potevo. Vuoi Ugo — Chi lo sa? che te lo chieda in ginocchio? Caterina (con disgusto) — Ah! Caterina (a Ugo) — E’ vero che lo ami! (Prende Ugo —• Sono stato molto corretto. Non sono il ricevitore. A Massimo) Massimo! No, non ral­ stato io a denunciarlo. (Silenzio). legrarti. (Con una specie di magnanimità) Sono Caterina (con disgusto) — Ah!... (Lentamente, venuta al telefono perchè Ugo mi ha supplicato di come uscendo da un sogno) E’ finita! farlo. (Pausa) Inutile, Massimo, me ne sto alla MARCEL ACHARD tua lettera. E’ finita tra noi. (Posa il ricevitore e Ugo — Dovresti farti viva con Maddalena. Sarà Ugo lo riprende: Ugo parla a Massimo continuan­ molto sola, ora. (Escono). do a passeggiare). Gian Francesco (ritto fuori, nel vano della fine­ Ugo — Massimo, non hai il diritto di far que­ stra) — Cosa succede? sto. E’ ignobile. (.Ascolta un momento, poi getta Caterina (rialzando la testa) — Ah! è lei? con furore, l’apparecchio a terra). Gian Francesco — Li ho visti uscire. Non va Caterina — Non lo avrebbe creduto capace di via col maestro Saxel? Che farà? (Scalvalca la tanta passione! (Malinconicamente) Non lo cono­ finestra). scevamo nè lei nè io. Caterina — Non me lo chiedo neppure. Lancelot (entrando bruscamente) •— Che sta Gian Francesco (le si arwicina) — Devo dirle succedendo? (Vedendo il telefono per terra) Cos’è tutto prestissimo, mentre mio padre non c’è. questa roba? Caterina (con un debole sorriso) — Tutto, che Ugo — Vieni con me, Caterina. cosa? Caterina — No. Gian Francesco (solenne e frettoloso) — Può Lancelot — Chi ha gettato il mio telefono per contare su di me. Assolutamente. Dica lei quello terra? Chi ha gettato il mio telefono per terra? che vuole. Lo farò. (Lo raccatta). Caterina — Ah! Ah! Ugo (a Caterina) — Te ne prego. Non mi rive­ Gian Francesco -— Del resto lo sa. Da che è drai più. venuta. Subito. Ha capito subito. Non ha bisogno Caterina — No! (Ugo prende il soprabito e se ch’io parli. Del resto, vi sono tanti modi di tacere. lo mette, mentre Lancelot parla). Caterina (canzonatrice) — Lei taceva con tutta Lancelot — Dico a loro. Non è possibile. E’ l’anima? un’ora che me ne sto in cucina ad aspettare che Gian Francesco — Non rida. Non sono così gio­ abbiano finito di spiegarsi. Ed ora gettano per vane come sembro. Naturalmente, le sembrerò un terra il telefono. Non può andave avanti così. Vo­ po’ sciocco a venirle a parlare d’amore nel mo­ glio esser buono, ma non minchione. Nessuna di­ mento in cui è stata sul punto di morire per un scussione poteva obbligarli a gettare i telefoni per altro. terra. (Ricolloca il telefono sulla mensola). Caterina — Perchè? mi parla d’amore lei? Ugo — Caro signore, non mi resta che ringra­ Gian Francesco — Sì. E se oso parlargliene è ziarla della sua gentile ospitalità. perchè so bene quello che dico. Se non fosse una Lancelot — Niente. Niente. cosa seria, sarebbe un delitto. Ugo (indicando il telefono) — Posso servirmi Caterina — Molto seria? ancora del telefono? Gian Francesco — A lei posso dirlo. Ero piut­ Lancelot — Se funziona ancora... tosto scettico. Non credevo all’amore. Ma quando Ugo — Vorrei chiamare un tassì. Ilio veduta soffrir tanto, mi son detto « E’ possi­ Lancelot — Non c’è posteggio ad Antony. bile dunque? E’ dunque vero che le donne amano Ugo -— Ma non c’è nessun modo?... anch’esse? ». Allora, l’ho adorata. Lancelot —• Sì, ho un amico, Chaussin, che Caterina — Perchè ero capace di soffrire? abita qui accanto. Autista. Fa servizio notturno. Gian Francesco — Non le chiedo di rispondere Forse accetterà. ai miei sentimenti. Le chiedo solo di dirmi che se Ugo — Avrebbe la bontà di accompagnarmi da n’è accorta. lui? Caterina — Me ne sono accorta. Lancelot — Subito? Gian Francesco — Nonostante tutti i suoi dolori? Ugo — Per prendere un tassì. (Prende il bastone Caterina — Sì. che era sulla tavola). Gian Francesco — E’ meraviglioso. Lei è mera­ Lancelot — Andiamo. vigliosa. Ugo (a Caterina) — Non vuoi un po’ di denaro? Caterina — Mi trova meravigliosa, oggi? Non è Caterina — Lei sa che gli assegni, io li straccio. difficile, lei. Ugo — Quelli di Massimo. Ma i miei? Gian Francesco — Non lo creda. Sono molto Caterina — Grazie no. (Si alza) Addio, Ugo. difficile. Ma lei è così intelligente... Lancelot -— Come? Non va con lui? Caterina — E’ la mia intelligenza che le piace? Caterina — No. Gian Francesco (vivamente) — L’amavo egual­ Lancelot — Ma allora, resta? mente quando era pazza. Caterina — Ne parleremo fra poco. Il signor Caterina — Ah! davvero?! Saxel ha fretta. Gian Francesco — E’ guarita presto. Probabil­ Lancelot — Che strana idea. Dal momento che mente non valeva la pena di soffrir tanto. prende un tassì. Caterina — Infatti. Caterina — Il signor Saxel ha molta fretta. Gian Francesco — Allora, crede che io possa Lancelot (di cattivo umore) — Bene, bene sperare?... Ugo (sulla soglia della porta, si volge) — Arri­ Caterina — Come sperare? vederci, Caterina. Gian Francesco — Sperare che lei mi ami. Caterina — Arrivederci. Caterina — Mi pare che corra un po’ troppo. 34 ADAMO

Gian Francesco — Perchè mio padre sta per Caterina — Non dica sciocchezze. (Lancelot ap­ tornare. pare. Gian Francesco vedendo il padre, resta im­ Caterina (commossa) ■—■ Caro Gianni! barazzato. Caterina si volge verso Lancelot) Signor Gian Francesco — Mi chiamo Gian Francesco. Lancelot, vuole affittarmi una camera? Ci tengo molto. Lancelot — No. Caterina -— E’ un po’ lungo per dirlo con te­ Gian Francesco •— Papà, via! nerezza! Caterina — Ma pagherò, sa? Gian Francesco •— Gianni è così banale! Lancelot — No. Prima di tutto non ho una Caterina — Gian Francesco, sono molto com­ camera. mossa. Gian Francesco ■— La mia, e io dormirò qui. Gian Francesco — Sì. E poi? (Indica il divano). Caterina —■ Ma devo avvertirla. Sarò molto egoi­ Lancelot — No. sta d’ora innanzi. Gian Francesco •— Lei? Caterina — Non vorrei tornare a Parigi. Mi pare Caterina — Molto, molto egoista. che qui sarei meno sola. Gian Francesco ■— Allora, sono proprio l’uomo Lancelot — No. che ci vuole per lei. Non le chiederò nulla, io. Vo­ Gian Francesco — No. No. No. Ma perchè? Che glio prima guarirla. E ho, del resto, più probabilità ti prende? di un altro di riuscirvi, perchè sono medico, dopo Lancelot — No. tutto. Caterina — Com’è cattivo! Caterina — E’ un bravo medico. Gian Francesco — Stupido, soprattutto. Gian Francesco — Oh! Sia pure egoista. Non Lancelot — Meno di te, forse, bambino. Caterina, ho neppure voglia di baciarla. ho cercato di aiutarla il più che ho potuto... Non Caterina — Ah!... voglio che renda a lui il male che le hanno fatto. Gian Francesco — In questo momento, sarebbe (Rudemente) Non voglio neppure che gli faccia ignobile pensarci non è vero? quello che hanno fatto a me. Caterina — Sì, sì. Caterina — Ma lei è matto! Gian Francesco — Più tardi, non dico! Ora de­ Lancelot -— Lei non è cattiva, lo so. Ma non vo proteggerla. Lei ha bisogno d’una persona forte pensa che è pericolosa. (Sedendosi) Tutto la di­ accanto a sè. verte dopo quello che ha passato. E, per ragioni Caterina — E lei è forte? che non capisco, non è più così afflitta. Solo, glielo Gian Francesco — Con lei da difendere? Oh, sì! dico, questo ragazzo è nuovo al giuoco. È’ come era Caterina — Che dirà suo padre? lei ieri sera. Gian Francesco — Ho paura di mio padre solo se Gian Francesco (furioso) — No! Ma che figura lei non s’interessa a me. mi fai fare? Caterina — Sì. Sì. Lei non trova sciocco il seno? Lancelot —■ Insomma, siamo intesi? Non ne Gian Francesco (stupito) — Che dice? voglio sapere. (Ugo Saxel è entrato. E’ livido. Parla Caterina — Niente. Lei non potrebbe sopportare con indifferenza, ma appare in preda a una vio­ di vedermi piangere, lei? lenta emozione interiore). Gian Francesco — Per causa mia, no. Ma dovrò Ugo — Sai, Caterina, credo che sia necessario sopportarlo quando lei penserà a Massimo. che tu torni a Parigi con me. Caterina — Non penserò più a Massimo. Caterina —- Le ho già risposto poco fa. Gian Francesco — E’ gentile a dirmi così... Ma Ugo — Dovresti venir con me, Caterina. purtroppo... Caterina ■— Basta!... (Siede sul bracciolo della Caterina (si alza, nervosa) — Ah! non cominci poltrona). a parlarmi di Massimo ogni cinque minuti. Ugo ■— Il tuo posto non è qui, in questo mo­ Gian Francesco — Glielo prometto. (All’improv­ mento. viso) Volevo anche dirle... Caterina — Non voglio più parlare con Massi­ Caterina (gli si avvicina) — Che cosa? mo. Mai! Gian Francesco — Non cerchi la sua matita. Ugo — Bisogna che tu venga, credimi. L’ho rubata. Gian Francesco (veemente) — Ma se le dice che Caterina — Non l’avrei cercata. non vuol più parlargli! Gian Francesco — Avrei preferito prendere il Ugo — Non gli parlerai più. Mai più. fazzoletto, ma si sarebbe scoperto subito. Lei ne Caterina — Perchè? aveva tanto bisogno. Lancelot (ad Ugo) — Com’è pallido! Caterina (mettendogli una mano sulla spalla) Caterina (violentemente inquieta) — Ugo! Che — Lei è buono, Gian Francesco. c’è? Perchè non è partito? Gian Francesco (addolorato) —- Si vede tanto? Ugo (si fa innanzi lentamente) — Ho avuto un Caterina — Che è buono? Sì, si vede. pensiero gentile. Ho voluto avvertirlo del mio ri­ Gian Francesco — Non sono fortunato. Pare che torno. Ho telefonato dal caffè. in amore non serva. Caterina (con un grido) — Ugo! MARCEL ACHARD Ugo — Anche Massimo aveva avuto un pensiero Caterina (lo raggiunge) — Eh sì! gli piaceva gentile. vivere. Caterina — Non s’è... Ugo — Gli piaceva? Una vita piatta, una vita Ugo — Sì. Ha fatto come Dimitri. (Indicando noiosa... la nuca) Soltanto, lui, non ha sbagliato il colpo. Caterina —• Era una felicità banale, certo. Non Caterina (s’abbatte sul panchetto singhiozzando) potete capirla, voialtri. Avete bisogno di rimorsi, — No, no, no!... di disordine, di paura. Soltanto, la vostra felicità Lancelot — Ma allora... somiglia tanto all’infelicità che Massimo non l’ha Gian Francesco (rudemente) — Sta’ zitto! voluta. Ugo (piegato su Caterina) — Ah! no. Non que­ Lancelot (intontito) — La felicità di chi? Di sto. Niente lagrime. Non eri più la sua' donna. chi parla? Ora non vorrai fare la vedova! Gian Francesco — Ma sta’ zitto una buona volta! Caterina — Povero piccolo Massimo! Caterina (con esaltazione) — Fortunatamente Ugo (con odio) — Perchè piangi? Era finita tra voi non amate la felicità. Fortunatamente voi siete voi due. Glielo hai ripetuto anche troppo. Conti­ dannati. Ed è giusto. E’ giusto. nua ad essere finita, capisci? Più finita che mai. Ugo — Quando si conosce il vostro paradiso, Caterina — Allora... perchè soffro tanto... tanto? non si rimpiange troppo. Gian Francesco (ferito) — Caterina! Caterina — La odio tanto, se sapesse! Che cosa Caterina — Che ho fatto? ha fatto di Massimo! Ah! Non era il Massimo che Ugo — Sì, che hai fatto? Lui piangeva. Ti sup­ amavo io... (Gridando) Quello che amavo non si plicava. Non avevi che da dire una parola. Una sarebbe ucciso. Quello che amavo avrebbe capito parola di speranza. Non dovevi che mentire un che poteva riprendermi. po’. Fino a domani. Neppure. Fino al mio arrivo Lancelot (inebetito dallo stupore) -—- Non so a casa. Bastava. Lo avrei salvato. Cinque minuti assolutamente di che cosa parlino. dopo, avrebbe riso come un matto della sua dispe­ Gian Francesco — Io sì. (A Ugo) Se ne vada. razione. Era fatto così. Soltanto, quella parola tu Lancelot — Non puoi parlare al maestro Saxel non l’hai detta. Volevi sbarazzartene subito. Ieri su questo tono. morivi per lui, e oggi, non potevi neppure aspet­ Ugo (va verso la porta) —• Perchè no? Stia tran­ tare un’ora per lasciarlo. quillo, ragazzo mio. Caterina (smarrita) — Non sapevo. Caterina — Vengo con lei. Ugo — Era così contento quando credeva che tu Ugo (violentemente) — No, non abbiamo biso­ lo amassi ancora. Ora ecco. Non lo sentirò più ri­ gno di te. dere, mai! Caterina — Lo ha detto lei. Il mio posto non Caterina (con disperazione) — Io lo sento. è qui. Ugo (col pugno chiuso, fa un gesto di dispera­ Ugo —• Ho sbagliato. Hai trovato la tua vera zione) — E’ stupido! E’ stupido. cornice. (Secco) No. E’ morto in casa mia. Ha Gian Francesco — Se era troppo infelice... scelto di morire in casa mia. E tu non ci entrerai, Ugo (va verso Caterina, la fa alzare) ■—• Lascia che ti guardi, Caterina. Da quando ho saputo... te lo giuro! Gian Francesco — Meglio, le rende un servigio. ho questo desiderio di guardarti. Vorrei sapere per­ chè un uomo s’è ucciso per te. Ugo (sarcastico) — Resta ad Antony, Caterina. Caterina (con un tono stanco) — Massimo non Lancelot (correggendo) — Per qualche giorno. s’è ucciso per nessuno. Gian Francesco (con sfida) — Resti. Resti per Ugo (selvaggio) —• Non far la modesta. E’ stato guarire, per riprendere forza. proprio per te. Ti guardo senza cattiveria, te lo Ugo (contemplando i due giovani) —■ E’ mera­ giuro, e nonostante il mio dolore, senza dolore. Per viglioso essere donna. cercare di capire. E non posso. Caterina —- Come? Caterina — Neppure io. Ugo — Tu già speri. (Esce lentamente mentre Ugo (con furore) — Che cosa c’è dunque in te cala il sipario). che potesse mancargli tanto? Mancargli tanto da impedirgli di vivere? FINE Caterina — Forse soltanto il mio amore. L’amo­ re di una donna, Ugo, di qualsiasi donna. Un amo­ re come il mio; uno forse non riesce più a farne Questa commedia, (recitata (per da (prima volta in Italia, meno, quando lo ha perduto per colpa sua. a Roma, ned novembre 1945, dia avuto ad interpreti: JLa Ugo — Il tuo amore? Cosa gli offriva il tuo amore? Sconosciuta, Laura Adani; Ugo Saxel, Vittorio Gassman; Zafficelot, Ernesto Calindri; Gian Francesco-, Tino Carraro; (S’allontana da lei). Carlos, Nino Capuano. Caterina — Con me aveva voglia di vivere. Tutti i diritti sono riservati all’autore a mezzo del suo Ugo (sogghignando) — Voglia di vivere? rappresentante in Italia. RUGGERO ROGGERI

Ruggero Buggeri e Fattore più imitato. Si può anche dire che imitarlo e facilissimo, e che quant’egli appare sottile e affascinante, altrettanto stucchevoli sono i suoi imitatori. Naturalmente rifanno Vesteriorità, la «macchietta» di Ruggeri. Poi ce Vartista mirabile; e questo nessuno lo rifa. Intorno al suo volto pallido s’addensano trasparenze cristalline che lo isolano; il suo gioco scenico non è per nulla confidenziale; e il prestigio ormai leggen­ dario del suo tratto non e quello soltanto del dandy, del marchese di Priola, del dongio­ vanni elegantissimo, malinconico e sprezzante; è qualcosa di più profondo e impegnativo. Perchè il temperamento di Ruggeri s’è formato sotto i segni discordi dello stupore e di una scettica galanteria. Il trasalire nel presentmento del dramma che già incalza, lo scatto tosto represso da un’accoratezza improvvisa, il pensoso e subitaneo dolore che si dilata sotto le ciglia inarcate, ebbero, hanno, un che di meravigliato, come s’egli uscisse or ora dal famoso sonno di settecent’anni, il sonno della Figlia di Jorio. Ma a far pungente e moderna la dizione un po’ cantante e trasognata, ecco l’umore ironico, signorilmente beffardo, ecco la distratta e mordente piacevolezza dell’uomo di mondo. Aligi corretto da Guitry. Con questa perplessità e questa sprezzatura Ruggeri s’avviò a disegnare le svelte figurine del suo teatro minore. Fu la slanciata « silhouette » di Zakouskine, avventuriero in tuba color tortora, primo Novecento, che nel Bosco sacro ballava la czar da con Lyda Borelli, furono le paro­ lette appena suggerite, le svogliatezze, gli estri, i capricci dell’Altalena, della Mantellina scozzese... Anche Ruggeri, come tutti, pagò il debito al tempo suo, e, prima dell’altra guerra, era, diciamo così, un « decadente », nel senso letterario e squisito della parola. Non solo per la czarda faceta, ma avvicinandosi alla tomba di Ofelia egli quasi procedeva a passo di danza, e poi, lutto nero e attillato, con le grandi braccia ad arco, lasciava cadere una pioggia di fiori. Sotto le inquietudini e variazioni c’era un fatto preciso : il connubio di uno stato poetico e di una coscienza intellettuale. Al di là delle belle parole, ornamentali e musicali, il ce­ lebrato declamatore di Bacco ie Arianna si protendeva ansiosamente a scrutare, a riecheg­ giare, in sillabe ben numerate, l’invisibile, delFuomo, il mistero, Il Piccolo Santo : una delle sue grandi interpretazioni. Nel personaggio del povero prete, che ancora ricorda e accenna primaverili versi d’amore, Ruggeri faceva trascorrere non solo il chiuso terrore di una tremenda passione, ma, come in Aligi, il tremito di cose inconfessate, che ci smemorano e ri rapinano. E Amleto fu la sua prova maggiore e più discussa. Un Amleto parziale e personale: da tutto quell’affanno, dai dubbi e rimorsi e fantasmi, egli trasse soprattutto la sottigliezza logica e discriminatrice, il rigore quasi scolastico della meditazione. Non tanto i vaneggiamenti e le illusioni di una creatura umana, quanto il ripensamento di quel vaneggiare... L’intelligenza vale per Ruggeri quanto l’istintiva espressività dell’attore. E ai confini dello spettacolo, tra fantasia e personaggio, tra interprete e pubblico, egli si riserba un margine sottile, onde regolare, solo e dominatore, scettico e appassionato, il gioco stretto della vita e della finzione. Siamo a Pirandello, ai limiti di quella lucidità fantasticante, siamo alla dialettica, all’ironia dell’Fmrìco IV. L’intelligenza può essere un pericolo per ogni artista. In Ruggeri fu incitatrice, regola­ trice. E’ per virtù d’intelligenza ch?egli ridusse a lievissime proporzioni i suoi mezzi espres- sivi. Da un segreto, magari da un piccolo segreto, d’amore, d’ironia, d’intuizione, si schiarisce la faccia del personaggio, e tu ci scorgi, con la figura immaginaria, l’intenzione di lui, inter­ prete e giudice. A questo pulito conviene citare una delle più alte rappresentazioni sceniche che noi si ricordi: i Tristi amori nell’edizione del ’42. Per anni e anni Ruggeri aveva rap­ presentato Tristi amori; ma solo allora fu compiuto e perfetto. Non un’incrinatura. Il segno teatrale appena accennato era già scomparso, e rimaneva, viva, la creatura. Si sarebbe detto che la capace esperienza dell’attore conquistasse e via via annullasse le posizioni sceniche, lasciando sole, a riflettersi nel grigio della commedia, le immagini e la malinconia. Con arte infinita egli s’era eliminato. Non più il mattatore e le sue battute, ma un mondo evocato, affetti apprensioni tristezze, una « piccola città » nella sua atmosfera « realista » e poetica. V’è in Tristi amori, come già altra volta scrivemmo, qualcosa che si coglie a mezz’aria, negli accenni domestici, nel fraseggio distaccato e breve. Spazio deserto, di memorie e di attesa, ansietà tenue che dilaga per le vie, le piazze, d portichetti della vecchia provincia, là ove pare che amore e disinganno debbano passare così, trascorrere senza esito, senza perchè, verso non so che suprema indigenza. Ruggeri non campeggiava più, maestro d’arte, in Tristi amori; ma inseriva il suo destino di personaggio nella vita della commedia, e lasciava che intorno crepitasse sommessamente una tenerezza infinita e inespressa di sogni che svaniscono. Quel che si è detto può anche servire a certi giovani attori scheletrici, schematici e presuntuosi: sappiano essi, che a raggiungere la nuda purezza dell’arte non basta gettar via sprezzantemente le chiavi e i segreti del mestiere, — chè senza mestiere non si fa nulla — ma. si deve, quei segreti, dominarli, assimilarli, annullarli. Francesco iBernardelIi PLATEA E PALCOSCENICO:

IL TEATRO PER ALMENO TRE SECOLI, DA NOI, EBBE IL POTERE D’ESSERE E, PER VIRTÙ DI QUESTO, IL RISO O IL PIANTO FACEVANO MASSA

Il mestierantismo di molti comici, imborghe­ Il colto e raffinato snob borghese « à la page » siti ai nostri giorni, ha fatto smarrire il gusto che si precipita a « fanatizzare » per Cécile Sordi di « far la commedia » ; mentre il pubblico, sma­ o per i Sakharoff, equivale lo snob intellettuale, liziato, disincantato e scettico dei teatri del miscredenti della finzione scenica, due sacrileghi centro ha perduto il candore indispensabile per disturbatori. instare in commedia». Oggi una folta schiera di aspiranti registi, di L’attrazione verso il mito e la fede in esso, allievi attori, di autori falliti, di teatranti insod­ la simpatia per l’assurdo comico, e un prestito disfatti, vanno a disturbare il sereno giudizio dì credulità sono in platea le basi della tragedia che dovrebbe emettersi ad una prima rappre­ e della commedia. Lo scetticismo è il veleno della sentazione. Non meno di cinquanta critici si finzione scenica. riuniscono a capannelli, per influenzarsi secondo Da molti anni noi ripetiamo con Gorgia il un « animus » personale che, alle volte, ha per­ Sofista : « La rappresentazione è un inganno che fino radici politiche! A Milano uno stuolo di fa onore all’ingannatore e all’ingannato ed in battaglieri fischiatori ha ripetuto il fenomeno cui è divenuto vergognoso non soltanto non saper degli Sciacalli del vecchio Basile che, dopo l’altra ingannare bene, ma, perfino, non lasciarsi in­ guerra, perseguitò le platee romane per degli gannare sensibilmente ». anni; oppure rinnova le gesta delle spedizioni La platea, tanto più se composta dei così,detti punitive più recenti (e ricorderemo l’ultima ai intellettuali, è povera dello spirito santo che> danni del Don Giovanni involontario, lavoro vede il miracolo! Solo per i semplici e i puri, a antinterventista e antifascista, di Vitaliano Bran- teatro, « verbum caro factum est ». Gli altri non cati, rappresentato al « Teatro delle Arti » con speciale tolleranza ma fatto fischiare da Pa­ sanno più ridere, non sanno più sentire. lazzo Brasclii per suggestione di un regista del Si consideri che le platee delle prime rap­ Guf e per opera d’una squadra di studenti capi­ presentazioni sono oggi costituite da intellet­ tanati dal Segretario del Guf di Roma che io, tuali, e da « assenti », intrusi anche pagando il come direttore del Teatro, feci prendere dalle biglietto. guardie, e fu allora che egli si dichiarò coman­ Il ricco che oggi acquista la poltrona, è sfi­ dato ufficialmente dal Partito). duciato, stufo, sazio di svaghi, prende tutto alla Possiamo immaginare come un pubblico di leggera, con senso di superiorità sfottente, osten­ questa fatta « partecipi » alla finzione! tando pazienza e rassegnazione. Va a teatro con tono di sufficienza, giacché piove, e in qualche Non nego che anche tal sorta di partecipazione parte bisogna andar a digerire. La sua ostenta­ al teatro è utile più che l’indifferenza; qui stiamo zione di scetticismo vuol essere una prova di parlando non della ribellione dello spettatore, superiorità intellettuale. E’ c’è sempre in platea ma della sua adesione collaborante. qualcuno che deve farla notare, questa superio­ Disse in un Congresso del Teatro Max Rein- rità, e parla forte per far ridere, ai danni della hardt: «Io penso all’attore-spettatore. Poiché scena. Non sa stare in commedia un simile spet­ il talento drammatico dello spettatore è quasi tatore e crede, invece, d’essere maestro di questo. decisivo quanto quello dell’attore. « Recitale davanti a un pubblico sprovvisto Sarebbe a lui preferibile il borsaro nero — me­ di talento teatrale, di talento di attore, è cosa glio ancora la sua famiglia — che, essendo sem­ terribile! Lo spettatore deve far la commedia pre popolo e non ancora « borghese », tanto anche lui, perchè nasca il vero teatro, quest’arte meno intellettuale, parteciperebbe alla finzione ch’è la più cara, la più potente, la più diretta e con cuore primitivo. che riunisce in sè tutte le altre». Ma lo spettatore « che parla », che più si| Ancora peggio è recitare avanti ad un pub­ agita durante e dopo la recita, è il normale fre­ blico che si rifiuta di partecipare, e sta lì ostile, quentatore (che spesso sbafa). a scorgere tutti i difetti ed a sperarli, per poter E’ questo tipo che, interrogato sul valore di dimostrare il proprio acume! Novi è più, allora, una compagnia straniera arrivata a Roma, ri­ in ballo il talento creativo dell’autore, quanto il spose : « stupendo complesso : non c’è che dire » : talento critico dello spettatore: tutt’altro gioco, e, invitato a precisare i comici migliori, rispose che non può condurre mai alla finzione, al mi­ « lui, ma anche lei : impareggiabile » ; eppoi si racolo della illusione. seppe che un ritardo aveva impedito il debutto Il pubblico ha disimparato il gioco. Se si ac­ della compagnia. cetta un gioco bisogna essere giocatore: cono- UN FENOMENO COLLETTIVO PROVOCATO IN PLATEA DAL PALCOSCENICO: RITROVANDO LE COMUNI SORGENTI NATIVE DEL SENTIMENTO DI UNA RAZZA

scere i patti, condurcisi con prontezza e spirito; sole capaci di destare i cuori ad una immediata ma, soprattutto, saper stare al gioco, qualità e sincera emozione', vale a dire alla collabora­ non tanto di mestiere o di tecnica, quanto zione del a pubblico-attore », in questo collettivo d’animo. sforzo per una finzione illusoria, elevata a gran­ Noi stessi non sappiamo più stare al gioco di de allegorìa, per questo diventata mito. una parte del teatro antico ma i più non sanno Il fenomeno elettrico di palcoscenico pòlo stare nemmeno a quello d’oggi. Il teatro antico, positivo - platea polo negativo, avviene, con la non ringiovanito dalla manipolazione registica, scintilla e la luce, quando si toccano gli spiriti risulta ben morto. O che fosse già morto pure da una parte e dall’altra per comunione di quello contemporaneo? E’ l’unica ipotesi! credenza. Ma noi non facciamo l’antico senza rispettosa­ Tra le poesie drammatiche che sono morte mente rinverdirlo', nè facciamo il contempora­ non è certo quella che riposa sui valori eterni neo « usato » : abbiamo altri « ghiribizzi » rico­ dell’istituto teatrale. Ma necessita che il pub­ noscibili'. ci ispiriamo al grande teatro di tutti blico si rieduchi in semplicità, e venga a teatro i tempi, quello teatrale, e i particolari di cia­ nella disposizione di purezza che possiede la fa­ scuna scuola non ci distraggono dalla grande coltà di leggere nei misteri. Per vedere come linea, generale. vera la finzione, dobbiamo credere alla finzione. Il grande teatro parla ai cuori semplici e per Ci dobbiamo disporre nello stato di ricettività questo è di ogni luogo e di ogni tempo. E’ quello indispensabile, e dimenticare, se è possibile, d’es­ che resiste e si giudica più alle repliche che alle sere « intellettuali ». Purtroppo tante volte anche corrotte « premières » mondanamente letterarie. a me capita di ridere di una situazione scenica Il giudizio delle prime rappresentazioni è sem­ che fa, arrabbiare, o incontra seccatissimi gli pre inquinato da troppi elementi passionali, e spettatori meno agili e meno disposti; capita non è ispirato da, serenità, per la penetrazione anche a me di trovarmi triste quando ridono gli avvenuta anche nel pubblico comune di nozioni altri, mentre mi viene da rìdere quando gli altri polemiche, concetti di tendenza, elementi impuri. non se la sentono affatto. « Non che sia morto il teatro — ha scritto Raf­ A teatro, invece, anche noi tecnici dobbiamo faello Piccoli — ma è morta l’anima della folla cercar d’esser semplici e primitivi, nonostante il che comprende, che ama, che odia, buona, sen­ tirocìnio. Ci si diverte di più a stare davanti alla sibile, violenta, crudele, religiosa, voluttuosa, iro­ finzione come un bambino, che come un « esper­ nica; è morto il compagno necessario del poeta, to ». TJn teatrante che sa stare a teatro proprio il'pubblico d’Eschilo, d’Aristofane, dei Misteri come un bambino è Gordon Craig. E’ una bel­ cristiani, di Shakespeare; è morta la persona lezza averlo in platea. Viene, poi, su in palco- che è fuori del dramma, lo spettatore che la­ scenico, tutto commosso e vibrante, partecipe grima, ohe grida, gode e ride, che si flagella, che come un attore che esce di scena in quinta. si esalta. Io non so quale musico o poeta non Ecco un cuore candido, un intellettuale pu­ vorrà piangere questa morte, ma non so quale ro, non un intellettuale viziato. non ne vorrà un poco, nell’amarezza, godere, La più bella recita della mia vita l’ho data al pensando che di questa morte son morte un poco « Politeama » di Lecce, con Pioggia davanti tutte le poesie drammatiche, che quella vita a un pubblico di popolo e soldati. Erano una aveva contribuito a far vivere ». massa di cuori che ondeggiava, avanzava, re­ Il Teatro per almeno tre sècoli, da noi, ebbe trocedeva, si rattrappiva, si espandeva, parte­ il potere d’essere un fenomeno collettivo provo­ cipando alla passione del prete-uomo e soffren­ cato in platea dal palcoscenico', e, per virtù di do alla sua tragedia. Ricordo una triste, deso­ questo, il riso o il pianto facevano massa ritro­ lata voce, esclamare alla fine : « chillo povero vando le comuni sorgenti native del sentimento prevete ’nnamurato! ». di una razza. E Pioggia è un copione orribile, scritto ma­ Chi recitava non era in nulla diverso da chi le, tagliato male, tradotto peggio. Ma esso ascoltava; e gli impulsi erano veraci, le parole contiene un teatro umano potente, eterno, uni­ erano le stesse; per ciò il palcoscenico era il versale; e pertanto io me ne sono sempre in­ coro della platea. fischiato se, come copione, è proprio porcheria: Quando la commedia erudita del Cinquecento esso « funziona », fa tacere gl’intellettuali e ac­ riusci a « vivere », lo potette in virtù dell’im­ cende i semplici, che sanno ancora stare in missione di autentiche vene popolaresche■: le commedia. Auton iiiialio SèragagUa di due mondi, tra Laura ed il « visitatore ». Qui la Morelli, che ha latto di una larva un angelo terreno, reca alla sua E IL MIRACOLO DE «LO ZOO DI VETRO» creatura anche il dono di uno splendore mortale. Entrata in Tra i molti prodigi scenici ormai compiuti da Rina Morelli, un regno che non ha più la certo la più miracolante tra le fate delle nostre ribalte, quello de maiuscola, ma che serba del­ Lo Zoo di vetro ci appare come il più significativo e quintessen- l'altro l'immacolata, beatificante ziale. La potenza evocatrice della Morelli opera in un giuoco dia­ immanenza, la Morelli soc­ fano, terso, magicamente solido e trasparente come ii cristallo. chiude appena la porta della Laura Wingfield, Textra-umana protagonista della commedia di sua umanità di donna, della sua Tennessee Williams, si muove in un mondo sidereo, illuminato da femminilità. Quanto basta per freddi riflessi e da agghiacciate bellezze, sostenuto da evanescenti giustificare la meraviglia e la basi, animato dall'alitare di ogni presenza tangibile o immateriale certezza del suo interlocutore, ed immediatamente infranto dal contatto di qualche forza che di tutti noi. non sia transustanziata, al pari delle piccole forme dì vetro di cui lei ama circondarsi. II lirico simbolismo, l'irreale allusività dì Sui suoi doni, sulle sue qua­ questo personaggio è evidente. Ci sono al mondo delle creature lità, sui suoi attributi terrestri che non sono quasi per nulla terrene, sembra dirci l'autore, ed il la Morelli ha mantenuto sempre loro passaggio, in quest'epoca di violenza e di brutalità masche­ la porta socchiusa. Perchè sa rate d'inconsistenti idealismi, è confortevole ed ispirante, va re­ ch'essi sono veri per la sensi­ ligiosamente preservato nel tempio dello spirito. Laura Wingfìeld, bilità di una spiritualizzata ma­ per incarnarsi e divenire creatura viva oltre che sentimento poe­ teria, e che la poesia non si tico, ha bisogno di un intervento assai più miracoloso di quello può schiudere che nell'intimo. che compiono tutte le sere dietro le ribalte i maghi e le latine con Quasi timorosa di profanare la gli iridati cappelli di carta, di un effluvio suscitatore che valga a sua magìa e di disperdere i suoi trarre le sue labili membra dai sudario delia poesia e ad inion- poteri, la Morelli ha sempre dere in esse l'energia e la Unía vitale. Rina Morelli ha compiuto preferito innalzarsi ad attin­ quest'ultimo dei suoi canonizzanti prodigi sotto i nostri sguardi gere la sublimazione o ritrarsi, trepidi e stupefatti, dando vita ad una iorma raggiante di nubi e in luminosa vedetta, nel suo di sogno nella sospesa, rarefatta dedizione dei nostri animi di spet­ castello incantato anziché sco­ tatori. prirsi, abbandonarsi come don­ La chiave di questa mirifica inumanazione è nelle facoltà trans­ na. La poesia come arma prima umananti di questa attrice, le cui virtù soprasensibili si chiudono di vita, si potrebbe dire in sin­ con sereno fulgore dal piccolo scrigno prezioso della sua entità física. Poche attrici sono vicine, come lei, alla santità dell'arte. tesi. Nè trovi fallace quest'as­ Ed è appunto questo raro miracolo ultimo, avvenuto nel così inu­ serzione chi rammenti la sua suale senso inverso dei prodigi recitativi, che ci ia accendere in « dannata » di A porte chiuse. suo onore la nastra face. Lo scatenarsi della Morelli rima­ Attraverso Rina Morelli, Laura Wingfield ci apporta un mes­ neva anche allora fondamental­ saggio molto più ricco ed intenso di quello che non possa recarci mente interiore, un gran tumul­ mediante le sue parole scritte. L'etereo ilusso della vita, ella ci to nero, che vibrava e luceva rammenta, è la più sacra delle nostre realtà. Basta il suo scintil­ di perverse radiazioni ma che lìo superno a giustificare un'esistenza. La verità delle cose è nella restava serrato nel magnete ne­ loro essenza poetica, quella dei sentimenti nel loro potere vivifi­ fasto e inesauribile che lo pro­ catore. Se la Morelli ci avesse « detto » le frasi di questo linguag­ duceva é lanciava soltanto i gio vero oltre la carne, noi le avremmo ascoltate approvandole: bagliori ustionanti della cer­ ma ella le ha « vissute » e noi le abbiamo fatte nostre, accoglien­ tezza e della forza del proprio dole come un seme fruttuoso. La Morelli ci ha reso periettamente maligno trionio. Quella volta credibile nella vita questa spirituale realtà. Ed ha saputo mo­ indimenticabile Rina Morelli strarci i genuini, gii autentici incanti ascondibili sotto un grigio, era scesa, con vampe sublimi, patetico velo crepuscolare. nel fuoco dell’ interno; oggi, Perchè Rina Morelli non accende le sue luci agli artifizi piro­ quasi a voler superare il pro­ tecnici dei giuochi di bravura, che non lasciano se non fumo e digio di Orfeo, ha toccato, con rimpianti, ma le infiamma ad una ad una a quel fuoco dello spi­ adamantino fervore, l'armonia rito, che sarà il solo ad ardere dopo che saranno svaniti gli uni­ e la purezza delle sfere superni. versi. Così, quando il loro sfolgorìo è completo, ciò eh'esso illu­ Ed in entrambe le volte, non mina risplende d'una bellezza e d'una verità trascendenti. Trova dobbiamo dimenticarlo, ha avu­ in tal modo la sua condizione, la sua scintilla ed il suo plasma to a guida e compagno Luchino suscitatore quel colloquio, quel dialogo commosso sulle soglie Visconti. Vinicio Marinucci La grande attrice Vivien Leigh, nella commedia di Thornton Wilder The Skin of Our Theeth (Salvi per un pelo) — mi

della Compagnia «Old Vie» come’ Polonio, in Amleto Nella foto a sinistra : Laurerice Olivier, in Re Lear - Vivien Leigh e Laurence Olivier, recitàùo in questo, momento a JLondra Nelle tre foto di questa pagina. Evi Maltagliati, bella ed elegantissima, in Casa Cuori nf r anta di G. B. Shaw (Foto Signorelli, eseguite per noi)

ha ottenuto al Teatro Odeon di Milano, un nuovo successo personale, recitando « Casa Cuorinfranto » idi G. B. Shaw. Questa nostra attrice, veramente esemplare, per l’impegno e la disciplina del suo lavoro, per l’amore al Teatro che non le è mai venuto meno, intervistata dal « Corriere Lom­ bardo », ha dichiarato: « Non è presunzione af­ fermare che facciamo miracoli. In 13 giorni ab­ biamo provato e messo in scena due lavori, Shaw e Molnar. E in quali condizioni! S’è dovuto tro­ var rifugio al Circolo di Cultura senza palcoscenico, con un’acustica sbagliata. Una vita massacrante, un sacrificio continuo, un selezionare la giornata rubando le ore ai pasti ed al sonno. Oggi ho fatto colazione dal parrucchiere, con un vassoio sul lavabo; per il pranzo non c’è stato tempo. E poi ci sentiamo isolati e trascurati ufficialmente. Sono stati stan­ ziati 320 milioni per la lirica, e soltanto briciole mal distribuite alla prosa! Il nostro è l’unico Paese civile che nó.i faccia nulla per il teatro di prosa ». Jean Louis Barrault, ha recitalo - come è J. P. Sartre, autore di La putain respecte use, ha suscitatoli n Francia risaputo - Amleto: i pareri sull’interpreta- un vespaio: consensi ed indignazione: Hélène Bossis (nel disegno), Pinterprete di zione sono discordi; le polemiche infinite La putain respecleuse, sopporta tutte le sere il baccano che rinnova ad ogni recita

Laura Adani e Benzo Giovampietro, in Pick-up Girl al Teatro Nuovo Elena Zareschi e Tino Carraro, in una scena di Esuli di J. Joyce, al Teatro della di Milano. L’esordiente Giovampietro si è fatto molto apprezzare Basilica di Milano. Tutti gli interpreti di questa commedia hanno recitato molto bene (Foto Signorelli)

Ruth Ford, Claude Dauphin e Annabella, Ernest Truex, attore americano, in Androclo e il leone di nell’edizione americana di A porte chiuse G. B. Shaw. L’autore, invitato ad assistere alla rappresentazione, ha di J. P. Sartre. Titolo inglese: No Exit risposto da Londra: «Non posso: ho novantanni; consideratemi estinto» A corredo della nota informativa sulla Polonia, della pagina accanto, diamo — in immagini — alcune delle più significative opere che si rappre­ sentano in Quella Nazione. Nella grande foto, sopra: CRACOVIA: in un apposito teatro si recitano com­ medie nelle quali gli attori hanno tra loro, personaggi simbolici, delle marionette. Si chiama « Teatro del­ l’attore grottesco » ed ha un vivis­ simo successo. ^ Nella foto a sini­ stra: VARSAVIA: Teatro del Popolo: si recita il dramma II trasloco di Rostwowski, noto autore polacco. & Nelle due foto sotto: a sinistra, VAR­ SAVIA: si recita Cammino all’al­ ba di Poplawski. L’azione è nel 1944; Varsavia è in fiamme. # A destra, VARSAVIA: un’altra scena della commedia di Poplawski Cammino all’alba; i piccoli attori hanno ef­ fettivamente partecipato all’insur­ rezione della loro città. IN PRIMA LINEA NELL’AR­ (raso al suolo con tutto il quar­ tiere di Powisla), il Teatro Nazio­ TE DRAMMATICA EUROPEA nale e il Grande Teatro, il Teatro Letni, il Teatro Maly. I teatri mi­ nori del centro e della periferia PANORAMA DEL TEATRO non esistevano più. L’unico teatro che potesse esse­ POLACCO DEL DOPOGUERRA re ricostruito, con minori diffi­ coltà, era il Teatro Polski, che « La cultura polacca, in quanto fattore coordinante dell’attività di pure era completamente incen­ tutto il popolo, era stata destinata, dall’invasore tedesco, ad una diato all’interno. Prima di appic­ totale distruzione; pertanto essa deve essere totalmente ripristinata care il fuoco all’edificio, i tede­ e rafforzata nelle sue molteplici funzioni, poiché rappresenta un ele­ schi asportarono tutto ciò che vi mento decisivo della rigenerazione del popolo e dello Stato. Sarebbe era di utilizzabile. Il palco gire­ inutile ricordare l’influenza della cultura sull’anima del popolo: non vole era gravemente danneggiato, ci sono, si può dire, bisogni di ordine materiale il cui soddisfacimento la platea era un ammasso di rot­ non sia condizionato dal livello della cultura generale, dal numero tami. Il direttore Szyjman, che e dalla ricchezza dei suoi focolai e dei suoi centri di irradiazione ». venne a posto a capo del teatro Queste sono parole di un polacco, che ha obiettivamente esaminato (oggi divenuto Teatro di Stato) la situazione culturale del suo paese, dopo la dura esperienza del­ s’impegnò ad inaugurare la nuo­ l’occupazione nazista. In nessun altro paese, mai, una occupazione va stagione nell’anniversario del­ militare fu tanto spietata e funesta per la cultura, quanto in Polonia, la cacciata dei tedeschi. E così durante gli anni che vanno dal ’39 al ’45. Nel sistematico piano di avvenne: il 17 gennaio il Teatro annientamento della cultura polacca i tedeschi non potevano non polacco di Stato, iniziò la propria includere il teatro, forza fra le più vive e importanti della vita intel­ attività. lettuale di una nazione. Del vecchio e attivo teatro polacco non rima­ Questo fu il primo regolare sero, dopo il passaggio dei nazisti, che frammenti disarticolati e teatro ad entrare in funzione. informi; ciò che i bombardamenti e le vicende belliche non distrus­ Ma ancora prima, quando a Var­ sero, venne eliminato da una corrosiva penetrazione della propa­ savia non tutti gli incendi erano ganda politica d’infimo ordine e valore. I teatri furono trasformati stati domati e la popolazione fa­ in luoghi tedeschi dì divertimento, e, dove era possibile, in strumenti ceva lentamente ritorno alle pro­ per la più smaccata diffusione della pornografia e della deprava­ prie case, esìstevano piccoli teatri zione fra la gioventù polacca. provvisori nel sobborgo di Praga, Quasi tutti gli attori polacchi si rifiutarono di collaborare e pre­ che avevano ripreso il lavoro im­ ferirono abbandonare, la loro professione; molti di essi scelsero i\ mediatamente dopo la fine dei combattimenti. Nel loro reperto­ mestieri, certo meno umilianti, del cameriere o del commesso, piut­ rio vi erano opere di attualità, tosto che prestarsi alla subdola azione propagandistica dei tedeschi. scritte dopo la liberazione, ed al­ Molti polacchi ricordano d’aver visto servire nei caffè attori illustri cune commedie di Ibsen. come Cwiklinska, Leszczynski, Adiventowicz e Wegrzyn. Pochissimi Il Teatro polacco di Stato ha furono coloro che si adattarono a recitare. rappresentato, dalla sua inaugu­ Tale era stato il dissesto provocato dall’occupazione che, quando razione ad oggi, quattro comme­ venne il momento di ricostruire, ci si trovò dinanzi ad un vuoto pau­ die: Lilla Veneda di Stomacici, roso: non v’erano più teatri, non v’erano più attori, non v’era più con la regìa di Osterwa e l’inter­ nulla. Non si poteva contare sugli attori giovani, chè il lungo periodo pretazione, nel ruolo di protago­ di inattività aveva esautorato le scuole di recitazione; una scuola nista, della nota attrice Barszc- drammatica, organizzata clandestinamente, non era stata in grado zewska; La fortuna o il nome, de­ (ed è comprensibile') di svolgere un’attività proficua, quando v’erano liziosa commedia di Korzeniow- cose ben più urgenti di cui preoccuparsi. ski, con l’interpretazione di Do- Tra i vecchi attori le perdite erano state spaventose. Era venuto a miniak; la commedia satirica II mancare uno dei più grandi attori e organizzatori del teatro polacco, pappagallo, con la quale esordì il Stefano Jaracz, che si ammalò nel campo di concentramento di giovane autore polacco Corcelli; Oswiecim e finì la sua vita nell’estate del 1945. Durante l’occupazione e, infine, Pezzi grossi di Balucki, morirono, uccisi dai tedeschi o fiaccati dalle lunghe privazioni, quegli in occasione di una serie di rap­ ottimi attori che erano Stanislawa, Wysocka, Stanìslawski, Wegierko, presentazioni del decano della Halscza e Znicz. Il grande attore polacco Junocza Stepowslci era morto scena polacca, Solski. agli occhi della nazione, prima ancora che i partigiani avessero fatto Gli altri teatri, dopo la rappre­ giustizia; e come lui furono Malicka e Boguslaw Samborski, gli altri sentazione di opere « attuali » due attori importanti (gli unici, si può dire) che collaborarono con i (come Proibito l’ingresso agli e- tedeschi. Molti attori avevano abbandonato la Polonia nel settembre stranei, cronaca della vita degli del ’39 e non erano più tornati : tra questi si contavano personalità di attori-camerieri durante l’occu­ primo piano: Modzelewska, Smorarska, Eichlerowva, Mila Kaminska, pazione, scritta dall’attrice Gula Slalslca ed il regista Ziembìnski, Buczynska; La strada dell’alba, All’inizio della prima stagione del dopoguerra mancavano non solo imperniata sull’ insurrezione di gli elementi direttivi e l’indispensabile materiale umano, ma anche, Varsavia, del giovane scrittore per quel che riguarda Varsavia, i teatri ove fosse possibile riprendere Peplowski; e II ritratto del gene­ il lavoro. I tedeschi incendiarono o fecero saltare con le mine gli rale, di Giulio Virski, il quale ha edifici che i bombardamenti non avevano distrutto : il Teatro Ateneum trattato abilmente il tema della riforma agraria), hanno voluto possibili. Si sta studiando, ad mettere in scena opere di gran­ esempio, la creazione di teatri le­ di commediografi, soprattutto gati ad una organizzazione cen­ moderni; è da ricordare, tra que­ trale dei sindacati professionali o sti, l’edizione di Village Wooing a grandi associazioni culturali. dì Bernard Shaw, che ha avuto Su tutte queste iniziative deve come intelligente interprete l’at­ dominare il postulato fondamen­ trice Lidia Wysocka. tale: creare un teatro pianifica­ Le città di provincia hanno to, statale, e concentrare e coor­ avuto il privilegio di ospitare gli dinare su di esso tutti gli sforzi attori che Varsavia non poteva organizzativi. all’inizio scritturare per mancan­ « Un altro grande problema è za di teatri. Attualmente le città quello del repertorio. Anch’esso di Lodz, Cracovia, Torun, Wro- deve costituire un importante e- claw, Katovice, Bydgoszcz, Poz- lemento della politica culturale nan e Szczecni posseggono uno dello Stato. Il problema del re­ o più teatri stabili, senza con­ pertorio è una medaglia a due tare le Compagnie di passaggio facce: da una parte è espressio­ e gli Sperimentali. In questi tea­ ne dei processi letterario-creativi, tri, e segnatamente a Lodz, Cra­ e dall’altra delle necessità e del­ CHIRLES DULLIN covia e Poznan, recitano i miglio­ le aspirazioni sociali. Per i primi ri attori delle scene polacche. si esige la massima libertà. Oc­ DICHIARA DI DOVER MOLTO Sono state rappresentate, oltre a corre sottolineare che la libertà numerose commedie di giovani non è un’astrazione, ma un be­ AL TEATRO GIAPPONESE autori, opere del repertorio clas­ ne concreto dell’individuo e del­ Nel suo recente volumetto « Souvenir sico, polacco e straniero. et notes de travail d’un acteur » — la società. Vogliamo che il teatro sul quale avremo occasione di ritor­ Per coordinare l’azione dei va­ della Polonia democratica respi­ nare per l’importanza di alcuni ar­ ri teatri, e dare un indirizzo uni­ ri a pieni polmoni, ed abbia pie­ gomenti essenziali alla formazione tario all’attività scenica polacca dell’attore, ed agli apporti del regista na coscienza della libertà crea­ allo spettacolo — Charles Dullin espri­ (e ciò nel quadro delle riforme trice, ma desideriamo altresì che me alcune sue considerazioni sul Tea­ sociali ed economiche che si stan­ tro giapponese, che sono senza dubbio no attuando in ogni settore della esso eduohi la nazione finora co­ interessanti non come novità, perchè sì poco educata, così pericolosa­ ciò è risaputo, ma per l’utilità tratta vita nazionale, dall’agricoltura, da Dullin sul rinnovamento, da parte oJl’industria, alle università), il mente minata da tradizioni a- sua, dello spettacolo teatrale. Ministero della Cultura e dell’Ar­ narchiche e da un tragico don­ te ha, creato un Consiglio del chisciottismo. H 11 vecchio teatro giapponese mi ha Teatro, cui appartengono critici « Nella lotta per la formazione sempre attratto in modo particolare teatrali, eminenti registi e atto­ del nuovo individuo polacco, che e devo anche confessare ciré gli de­ possieda maturità di pensiero e vo molto3 giacche è proprio studiando ri. Uno dei membri. Leone Krus- le sue origini e la sua storia che ho cJcowski, ha sinteticamente espo­ di azione, il teatro può e deve affermato le mie idee su un rinnova­ sto, alla seduta inaugurale, il essere un efficace strumento. Sa­ mento dello spettacolo teatrale. programma di azione del Consi­ rebbe tuttavia un male, ed un pe­ Anche lasciando da parte ciò che glio. Citiamo i punti principali ricolo, se questo compito venis­ in una rappresentazione giapponese della sua relazione, che ci pare se attribuito esclusivamente al­ è specificamente locale, e scartando rivesta un particolare interesse. lo Stato, al Governo e ai suoi i pericoli di un virtuosismo che con­ « Vogliamo eliminare dai nostri organi esecutivi. Occorre, invece, duce talvolta ad un abuso dei « truc­ piani tutte le forme commerciali che questo difficile e delicato chi del mestiere », Vuso che Vattore del teatro, come azienda che compito sia compreso anzitutto giapponese può fare del proprio cor­ commercia con l’arte, anche se da coloro che fanno il teatro, che po, della voce e dei suoi gesti, e è mascherata sotto l’aspetto pseu­ ne sono il sangue e il corpo ». è sempre una lezione di cui dovrem­ do-cooperativistico. Il Teatro è Insomma: teatri stabili, orga­ mo approfittare. una questione pubblica : come ta­ nizzati e finanziati dallo Stato, Uattore giapponese parte dal rea­ le dovrebbe essere una istituzio­ e piena libertà creativa per i lismo più meticoloso e giunge alla ne pubblico-giuridica. Di tutte le sintesi per un bisogno di verità. Da commediografi. Non è difficile noi, la parola « stilizzazione » evoca possibili soluzioni organizzative, scorgere in questo programma subito una specie di estetismo fisso, la forma del Teatro di Stato l'influsso della concezione tea­ di mimica fiacca e docile; da loro sembra essere, sulla base di mol­ trale sovietica, rigidamente pia­ la stilizzazione e diretta, eloquente, te esperienze, nostre e altrui, la nificata; ma è necessario notare più espressiva della stessa realtà. Ogni forma migliore, la più stabile e subito che questo influsso si ri­ loro gesto è improntato ad un tratto matura dal punto di vista della verbera unicamente sulla struttu­ acuto che gli dona tutto il suo va­ pianificazione. ra pratica del teatro polacco e lore. Se un attore giapponese dà un «Serie riserve suscita, invece, non tocca il centro vitale, la pro­ calcio, non tocca, naturalmente, Vav- l’organizzazione dei Teatri Muni­ duzione drammatica. Questa è, versarlo, ma Vesecuzione del movi­ cipali, e devo purtroppo consta­ forse, la via vigliore per conci­ mento è così esatta che riesce a dare tare che nella Polonia odierna liare le due esigenze, nel nostro Vimpressìone della brutalità più che essi sono fonte di preoccupazioni tempo insopprimibili, della liber­ se il gesto fosse veramente compiu­ e di inquietudini più che di en­ tà individuale e della organizza­ to; così, quando colpisce con la spa­ tusiasmi. Esistono altre soluzioni zione Sociale. C. Sìeylin da e sfiora appena Vavversario, basta il piccolo gesto secco col quale egli finge di estrarre il ferro dalla ferita per dare la sensazione delVarma pe­ netrata profondamente nella carne. In altri momenti, alcuni suoi gesti ARMANO SALACROU: L’ARCHIPEL LENOIR s’impongono come i gesti rituali d’un officiante. Il corpo dell’attore giap­ ponese non è soltanto duttile come © Nove personaggi, tragici e comici allo stesso tempo, danno vita quello del più abile ballerino, ma all’ultima « tragèdie en un acte » scritta da Salacrou, e non ancora sembra proprio creato dal teatro stes­ rappresentata: L’Archipel Lenoir. Nove personaggi chiusi in se stessi, so e per il teatro. L’educazione che fasciati di ipocrisia, di pregiudizi, di malvagità; tra di loro non si egli riceve, quando a noi ci viene comprendono, nè lo possono perchè parlano linguaggi diversi, non insegnato di evitare tutto ciò che è si amano, perchè l’amore vuole sincerità e partecipazione totale alla « teatrale », l’ha specializzato all’ec­ vita e ai sentimenti degli altri, ed essi vivono soltanto del proprio cesso per cui ritiene la perfezione egoismo, della propria grettezza spirituale. La provincia francese, della tecnica, lo scopo essenziale del­ si comprende subito, la più squallida e inutile provincia francese, l’attore; prima di essere un intel­ è l’ambiente della loro esistenza. Tutto vi è fisso ed immobile, e guai lettuale, infatti, egli è uno strumento a tentare di incidere sull’equilìbrio che la lunghissima consuetudine il cui meccanismo deve essere per­ ha stabilito; il solo pensare a questa possibilità sarebbe un delitto. fezionato senza posa. «Non si debbono toccare le cose immobili», dice il sottotitolo del­ Basta entrare per un momento nel­ l’opera; « Vi sono idee immobili che non si debbono toccare —- l’intimità di questi uomini per ren­ chiarisce meglio un personaggio nel corso dell’azione — altrimenti dersi conto a quale punto la loro esse si mettono in movimento, e termina la nostra pace. Nessuno le arte li possiede. Tanto da dare l’im­ può più chetare ». pressione che se dovessero smettere La famiglia Lenoir ha la sua onorabilità da difendere; essa ha di recitare, cesserebbero di vivere. datai il nome ad un liquore conosciuto in tutti i Paesi, bevuto da Essi devono molto alle marionette ed tutti. Il liquore Lenoir è la « cosa immobile » più importante, quella alle maschere. Questa forma elevata dinanzi alla quale si possono, e si debbono, sacrificare le passioni dell’arte drammatica ha lasciato in loro tracce profonde ed è, senza e le aspirazioni degli individui. I membri della famglia Lenoir non dubbio, grazie ad esse che hanno sono uomini, sono etichette da bottiglie di liquori: se il prodotto appreso a servirsi del loro corpo famoso, per una causa qualsiasi non si vendesse più, essi scompa­ come mezzo d’espressione spesse vol­ rirebbero, come le etichette, e perderebbero il loro denaro, e la loro te più eloquente del viso. vita. Questa, soltanto questa, sarebbe la tragedia. Fuori del liquore, L’uso della maschera coincide con e delle etichette, la vita non conta più. i più bei momenti del teatro: il La terribile causa, che potrebbe distruggere tutto, si profila per più raffinato, ad ogni modo. Arlec­ un istante, minacciosa, e fa tremare di folle paura i rispettabili chino, senza la sua maschera, è di­ Lenoir, gli onesti Lenoir. Essi riuniscono un solenne consiglio di ventato un insipido travestimento famiglia (.anche questo è nella tradizione, è « cosa immobile ») per carnevalesco. Perchè gli attori han­ decidere sul da farsi, per trovare una via d’uscita che salvi il nome no abbandonato « la maschera » op­ dei Lenoir, e, con esso, la marca del liquore. La seduta memorabile pure hanno, a poco a poco, smesso si svolge nella notte del 3 luglio 1935, nell’austero salone del castello di dipingersi? Io non credo sia per della famiglia, al centro del dipartimento del Calvados: sono presenti delle necessità artistiche. Al cine­ il vecchio Lenoir, capo e un tempo animatore della famiglia e del­ ma, Vobbiettivo ingrandisce il viso l’industria, i suoi figli Victor e Marie-Thérèse, il genero Adolphe e gli dà tutta la sua eloquenza; a Robec-Lenoìr, Marie-Bianche, figlia di questi ultimi, la contessa teatro, per esprimere, l’attore deve Hortense Cazette, sorella di Adolphe, il visconte Charles-Auguste, spesso esagerare le sue intenzioni, e cognato della contessa, la principessa Charlotte Boresku e suo ma­ se qualcosa può essermi spiaciuta rito, il principe Ferdinand. Avverte Salacrou, nella didascalia ini­ negli spettacoli giapponesi, è forse ziale: « Tutti questi personaggi si credono in buona fede e, se sono la pesantezza della mimica fatta evi- ridicoli, Vattore non lo deve sapere; il pubblico è là per questo ». dentemente per permettere all’attore Attenti a questa indicazione, se si vuole afferrare il tono dell’opera di esagerare la sua virtuosità. Ag­ e comprendere per qual ragione è stata definita « tragedia ». giungerò anche che in questo senso gli attori giapponesi sono dei « mae­ Che cosa è accaduto? Il nonno Lenoir aveva■ attirato nel suo stri » incontestabili. Certo è assai dif­ ufficio, da giovane, la figlià sedicenne di un operaio della fabbrica ficile, per un occidentale, astrarsi dal e le aveva usato violenza; il padre, « cocciuto come un mulo », non mistero che sviluppa per lui un viso perdonò, e continuò a ripetere, per anni e anni, a Lenoir: « tutto asiatico, e sfuggire alla stranezza di si deve pagare », rifiutando tutte le sue proposte di accomodamento una lingua le cui sonorità agiscono e persino, morta la signora Lenoir, l’offerta di sposare la ragazza sui suoi nervi, ma non sii può negare oltraggiata. Ora l’operaio è riuscito a promuovere un’azione giudi­ la forza che si sviluppa dall’ordine ziaria contro il vecchio Lenoir, ed un poliziotto è giunto al castello drammatico d’uno spettacolo come per arrestarlo e tradurlo in carcere. Il principe ha potuto indurre quello, a cui si unisce la scelta de­ il poliziotto ad attendere sino al mattino seguente. V’è tempo tutta gli strumenti che compongono l’or­ la notte per decidere giacché il processo non si deve fare: il nome chestra, il tono essenzialmente dram­ « Lenoir » non deve essere legato ad alcuna azione giudiziaria, non matico della musica, i suoni, le voci deve fare il giro dei giornali, accoppiato ad una immorale, e ora umane, i rumori, per produrre una (dopo tanto tempo) ridicola accusa. Sono d’accordo, senza discus­ impressione da cui si sviluppano i sione, poiché sanno che, in caso contrario, sarebbe per ognuno la princìpi dell’arte teatrale. rovina. Dice Adolphe, interpretando il pensiero comune: « Questa Osarles Dullin sera noi siamo minacciati da un completo fallimento : la nostra fortu- ______47------na, il nostro nome, l’avvenire te cambiate nome e ricomparite stesso del liquore che si chiama sull’altra faccia del pianeta, con Lenoir, e la cui marca non può un nuovo passato ed un futuro essere associata ad un crimine. che potrebbe essere imprevisto ». MMMTÛ Il sangue stesso della famiglia, No, è impossibile : la « morale » (sincerità ed ipocrisia qui si con­ della famiglia non lo permette­ fondono), i vostri figli che non po­ rebbe. « Benché — risponde A- tranno più sposarsi ». Vogliono dolphe — sia meno antico del * Al « Théâtre Marigny » è stata salvare la loro fortuna, i Lenoir, e vostro, io tengo al mio nome, si­ rappresentata l’attesa commedia mettono a nudo, in quest’ansia, gnore; da troppo tempo sono av­ di Armand Salacrou Les nuits de il loro egoismo, l’infima sostanza vezzo a pronunciarlo con orgo­ la colère. Ha ottenuto un grande delle loro persone: Victor si ri­ glio per lasciarlo qui, nel fango, successo. «L’autore — dice Ga­ vela uno stupido gaudente; Adol- e per portarne un altro in esilio: briel Marcel — ha saputo perfet­ phe un caparbio presuntuoso; Ma- un nome che sarebbe falso. Io tamente dimostrare come delle rie-Thérèse, una donna troppo non sono di quelli che fuggono. persone mediocri, ma oneste, interessata agli affari per rende­ E non indietreggerò dinanzi a quando la (bufera soffia attorno re credibile il suo lacrimoso sen­ nulla, per difendere l’onore della a loro, possono essere trascinate timentalismo; Hortense, una vol­ famiglia ». a commettere un atto mostruoso gare bigotta; il visconte un bor- Il mattino s’avvicina, non v’è che in tempi normali non avreb­ ghesuccio desideroso di sistemar­ più tempo per discutere. Il vec­ bero mai avuto nemmeno la si; il principe un intellettuale chio deve uccidersi, subito. Ri­ forza di guardare in faccia. Vi sciocco e decadente; la princi­ mane Adolphe con lui, e lo assale sono delle situazioni che rendono pessa, una fatua, donnetta priva con rinnovata ferocia. Gli porge una certa onestà impossibile ed alla fine la rivoltella. Il nonno la in cui o ci si eleva al disopra di di scrupoli morali. Victor, in una prende. Una lunga pausa. E tut­ sua battuta, li definisce : « Noi se stessi o si cade al disotto del to, inaspettatamente, si capo­ proprio livello, nel tradimento. siamo come piccole isole, ben se­ volge; Salacrau fa scattare la parate le irne dalle altre, che vi­ Tutto questo appare con la più molla della sorpresa, in una ra­ grande chiarezza in questa nuova vono ciascuna per sè. Insomma, pidissima, stupenda scena riso­ opera di Salacrou, estremamente ci son tante piccole isole: esse lutiva. commovente. Si è a Chartres, nel formano un arcipelago: l ’arcipe­ I l Nonno — E se io sparassi su 1944. Giovanni, che è un inge­ lago Lenoir. Le piccole isole sono voi invece che a me? gnere chimico e fa parte di un circondate dal liquore: l’isola Adolphe — Siete pazzo? piccolo gruppo della resistenza, Adolphe, l’isola Victor, l’isola I l Nonno — Ora, voi siete al s’incarica di far saltare un treno Marie-Thérèse ». L’unica che si mio posto! d’esplosivo, destinato al vallo ribella a quest’ordine costituito, Adolphe — Nonno! atlantico. Per proteggerlo, il ne­ perchè è giovane e sa di poter I l Nonno — Con la morte sul mico l’ha fatto precedere imme­ foggiare con le proprie mani li­ viso, non assume di colpo un al­ diatamente da un treno viaggia­ bere una nuova esistenza, è Ma­ tro aspetto, la vita? tori. Al fine di evitare dei morti rie-Bianche, che era stata desti­ Adolphe — Ma non sparerete, inutili, occorrerà dunque riuscire nala, dal consiglio di famiglia, a dico. a mettere l’ordigno nel breve in­ sposare il visconte; ella se ne va I l Nonno — Come ci si sente tervallo fra i due treni. Ma in gridando, un po’ grottesca e sto­ soli, non è vero? quel momento giunge una pattu­ nata: «Une ile flottante!». Adolphe — E a che servirebbe? glia tedesca che intravvede un Come districarsi dalla penosa uomo fuggire, e spara. Giovanni, I l Nonno — Così non dovre­ ferito al braccio, va a rifugiarsi situazione in cui la tardiva accu­ te soffrire del mio disonore. presso un amico d’infanzia, Ber­ sa ha gettato la famiglia? V’è un Adolphe •— Vi ordino di re­ nardo Bazire, un uomo ohe per solo modo, quello consigliato dal stituirmi... (Lotta fra i due. Il rimanere assolutamente tran­ principe: il suicidio del vecchio sipario scende rapidissimo. Si ode quillo si è sempre tenuto fuori Lenoir. La famiglia, unanime, ap­ una detonazione. E il sipario toc­ dalla politica. E’ tardi, e Bernar­ prova e si scaglia sul vecchio rim­ ca il suolo). do non aprirebbe la porta se non becillito, ferocemente, sadicamen­ Un’aria di grottesca crudeltà attendesse il medico per una sua te, per convincerlo ad uccidersi. avvolge la miserevole fine della bimbetta malata. Giovanni, per Il nonno non vuole, si sente an­ famiglia Lenoir. Perchè la famì­ prudenza, spiega di essersi ferito cora legato alla vita, si difende, glia è finita, veramente, annien­ accidentalmente. Bernardo è un impreca, implora. Ma non serve: tata dalla tragedia che essa stes­ poco scettico; comunque mette a il muro dell’egoismo famigliare sa ha voluto, per salvare il proprio disposizione di Giovanni la ca­ gli si erge dinanzi, altissimo e onore. « Il proprio egoismo — cor­ mera degli ospiti. Dopo qualche saldo, indistruttibile. istante giunge un miliziano che regge Salacrou, con questa bril­ dice di essere in cerca di un ter­ « E allora ribellatevi — urla il lantissima soluzione drammatica principe, preso dalla sua esalta­ rorista ferito che deve essere na­ — soltanto il proprio egoismo. E scosto nei dintorni. Siccome sa zione cerebrale — mutate il vo­ cioè tutto, giacché altro non vi che il medico deve passare dai stro modo di vivere! Abituatevi era nell’animo dei Lenoir ». Non Bazire, chiede che sia mandato rapidamente ad un’altra morale vi potrebbe essere condanna mo­ immediatamente al posto di me­ ed accettate il processo come una rale più atroce. dicazione, appena verrà, per cu­ distrazione. Partite tutti stanot- F. S)i Giammaiico rare i feriti dell’attentato. Ber- nardo ne è sconvolto, ed appena successo e la critica è stata con­ naggio di Don Giovanni. In essa, il miliziano esce, tra lui e la mo­ corde nel definirla inferiore a infatti, Don Giovanni non è un glie avviene una scena, che si tutte le altre di questo eccellente libertino che corre dietro alle ra­ può dire, senz’altro, un capolavoro autore. «Il rifiuto di un mondo gazze per un semplice riflesso be­ di verità e d’umanità. Bernardo stupido e corrotto — dice Francis stiale, e neppure un ossessionato e la moglie, infatti, sono indigna­ Ambrière — l ’orrore delle virtù sessuale, ma un’anima esigente, ti al pensiero che Giovanni sia che conducono ad una morte presa dell’assoluto, che ha rice­ venuto a comprometterli; essi consentita, un’esasperata ricerca vuto dal destino una specie di non comprendono nulla di quella della purità e dell’assoluto, il nul­ missione e ohe sveglia in ogni attività « terroristica » che pare la dell’amore umano, sono i temi donna qualche cosa di grave e loro insensata ed incompatibile che i quattro personaggi di Ro­ di eterno. Il Don Giovanni ideali­ con i doveri di un vero e buon meo et Jannette cercano di di­ sta e mistico, insomma, in con­ francese. La donna è qui netta­ mostrarci. Un padre debole ed trapposto al Don Giovanni epi­ mente peggiore dell’uomo, come ubbriacone, un borghese di men­ cureo di Tirso da Molina. La si e potuto constatare in simili talità ristretta ed ostinata, imo commedia è stata trattata con vi­ casi. Ella Ifinisce con l’andare a scettico arido e sarcastico, una gore e finezza e, soprattutto, con cercare il miliziano, dicendo tut­ ragazza corrotta che usa la sua una franchezza e lucidità nel­ tavia che spera di non trovarlo, corruzione come un’arma contro l’esame dell’amore carnale che ma che vuole assolutamente po­ la mediocrità, formano l’umani­ legittimano le sue arditezze. In ter dire, quando la si interroghe­ tà concepita da Anouilh. Eccetto essa, infatti, Don Giovanni ap­ rà, che aveva (fatto il possibile il primo atto, condotto con la pare vestito di una specie di in­ per avvertirlo. dura ed arida maestria che cono­ nocenza pur restando demoniaco. Giovanni riappare: la sua fe­ sciamo ad Anouilh, tutto il resto Ma è un demoniaco più intimo e rita lo fa terribilmente soffrire e è una serie di dialoghi nei quali più sottile e più maligno, forse, di non riesce a prendere sonno. Ap­ ognuno, a turno, viene a deporre quello che la tradizione gli ha at­ pena di fronte a Bernardo nota la sua parte di bravura: Federi­ tribuito. E’ l’apparente innocenza che il tono amichevole di poco co, il laborioso ed il volitivo, de­ di Don Giovanni, infatti, che prima è cambiato. Poi ritorna la stinato dalla madre a sposare getta le donne che avvicina nella moglie con il miliziano, che non una buona massaia, che improv­ confusione e nel tormento. La lu­ è « riuscita » a non trovare, il visamente scopre dire il vero bene ce ch’egli irradia è quella che Lu­ quale si fa credere il medico e è altrove; Jannette, la ragazza cifero dispensa a coloro che sono trascina Giovanni in un’imbo­ vagabonda; Luciano, suo fratello, i suoi emissari, i suoi rivelatori, scata. Il giorno dopo arrivano abbandonato dalla moglie, come i suoi « angeli » come è detto nel alla casa di Bernardo gli amici lo fu suo padre, ed a cui il di­ Vangelo; Don Giovanni è stato di Giovanni per avere notizie del spiacere ha lasciato un’amarezza dunque sulla terra per secondare ferito e la verità viene scoperta. terribilmente letteraria e sempre il demonio distruggendo le anime Ma la casa è accerchiata dai te­ pronta ad espandersi in aforismi. femminili, trasmettendo la sua deschi e dai miliziani che hanno Tuttavia, ciò che dicono questi luce nelle donne che seduce sve­ teso una trappola. E qui la scena personaggi, è tutt’altro che indif­ gliandole. Ma le ridesta all’orgo­ del massacro. Dopo di che si sen­ ferente e riescono a far amare glio della conoscenza e porta lo­ te ancora Giovanni, nella prigio­ la loro rivolta ed entrare nel vivo ro le chiavi del mondo e la dop­ ne, che detta una lettera d’addio dei grandi problemi ch’essi sol­ pia rivelazione del bene e del per la moglie prima di essere fu­ levano. Il male è che si rimane male. Da qui la patetica bellezza cilato: lettera semplicissima, dal toccati da ciò che dicono, ma non delle sue vittime per sempre stra­ tono più vero ed autentico. La da ciò che fanno per provarlo, e ziate e votate ad un eterno con­ scenografia, in parte mobile, ha si è quindi nell’impossibilità di flitto. Questa commedia sana, ro­ permesso il passaggio diretto tra credere alla loro realtà. Natural­ busta e mirabilmente imbastita è la casa ed il luogo dell’attentato mente, anche l’interpretazione inoltre scritta in una lingua viva e di ritornare in seguito alla non poteva essere perfetta, giac­ e piena. Dal punto di vista delle casa. Ma la prigione non è raffi­ ché i personaggi sono tutti im­ idee, essa è anche della nostra gurata materialmente. possibili. eccetto la madre bor­ epoca. Bellissima la messa in sce­ L’interpretazione, in linea ge­ ghese ed il padre ubbriacone che, na ed ugualmente belli i costumi nerale, è stata eccellente. Made­ essendo convenzionali, sono stati di Raymond Faure. Eccellente la leine Renaud, straordinariamente i soli ad essere interpretati otti­ regìa di Louis Ducreux. Mirabil­ naturale ed incosciente nel perso­ mamente da Odette Talazac e mente recitate le parti femminili naggio della moglie di Bernardo. Robert Vattier. Gli altri, Lucien da Mary Morgan e Jeanne Pérez, Ugualmente bravo Desailly nella Denise Cardi e Jacqueline Bras­ parte di quest’ultimo. Jean-Louis Nat nel personaggio di Federico, Barrault sobrio e commovente in Michel Bouquet in quello di Lu­ seur. Intelligente e bravo Maurice quella di Giovanni. Meno apprez­ ciano e Maria Casares nella parte Escande nel personaggio di Don zabile la recitazione di Marie-Hé­ di Jannette, sono stati tutt’altro Giovanni ». lène Dasté nella parte abbastan­ che convincenti ». ¥ Al i Théâtre Variétés » è stata za schematica della moglie di * Al Théâtre Saint-Georges » è rappresentata la commedia Cesa­ Giovanni ». stata rappresentata la commedia re di Marcel Pagnol. « L’opera — * Al « Théâtre de l’Atelier » è di Suzanne Lilar Le Burlador. dice Francis Ambrière — chiude stata rappresentata la nuova com­ « La commedia — dice Francis definitivamente il dramma ab­ media di Jean Anouilh Romeo et Ambrière -— è una spiegazione bozzato in Marius e ripreso in Jannette. L’opera non ha avuto intelligente e fondata del perso­ Fanny. Questa trilogia marsiglie- se offre tutti i caratteri di coe­ renza e di necessità di un vero ciclo, e presenta inoltre un vigore di composizione poco frequente QUESTA negli autori moderni, giacché ri­ spetta l’unità di luogo e di azio­ ne. La prima commedia del ciclo non è, insomma, che il punto di partenza. La seconda ci mostra i IL VOTO - Scene popolari di Salvatore Di Giacomo e Goffredo Cognetli- personaggi vinti e l’ordine falso Compagnia del Teatro Quirino diretta da Ora/.io Costa, con Sarah Ferrali, che si instaura per sostituire, be­ Camillo l’ilolto, Salvo liandonc e la partecipazione straordinaria di Bella ne o male, l ’ordine naturale di­ strutto. Nella terza, il tempo, che Slarace Sainati c Giuseppe Porcili. Regia di Ettore Giannini. - Roma, Tea­ è galantuomo, s’incarica di ri­ tro Quirino, 30 dicembre 1946. mettere le cose a posto. Panisse Protagonista dello spettacolo, questa volta, il regista Ettore Gian­ muore e, come nelle romanze me- nini. Giannini ha diretto lo spettacolo con grande maestria tecnica, dìoevali. il nobile cavaliere e la con un ricco e agitato senso di vita, con estroso gusto decorativo. fiera damigella finiscono col ve­ In stato di grazia pittorico, ha tentato di raffigurare la natura e la dere il loro amore coronato. Ma- storia di Napoli e del suo popolo, con immaginazione penetrante e rius e Fanny si ritrovano alla sensibile. In taluni felici momenti ha restituito alla scena il potere fine, dopo le lunghe sofferenze di rappresentare e di evocare una situazione storica della nostra na­ con le quali hanno pagato i loro tura umana : la possibilità di rivelarne il contenuto sentimentale. errori, e si uniscono per vivere Il movimento corale dei molti personaggi, il fondersi della luce e dei insieme una maturità senza sto­ colori nelle masse armonicamente equilibrate della costruzione sce­ ria fra la vecchiaia consolata di nica (ideata con abilità e coerenza da Aldo Calvo), l’irrompere delle Cesare, d’Onorina e del piccolo musiche e dei canti (per quanto a volte inopportuni, e oleografica­ mondo amico che li circonda. Ce- mente armonizzati da Gervasi) hanno conferito a questa piazzetta sarìetto, loro Aglio, che ha 20 an­ di Napoli, nelle pause drammatiche, nelle espressioni affidate pura­ ni. ed è appena marsigliese, giac­ mente alla mimica e alla melodia, una potenza emotiva, un senso ché ha passato la sua adolescen­ fatale e simbolico, che potrebbe ricordare quanto dai tempi di Gol- za nelle scuole di Parigi; il sipa­ doni ci dicono le piazzette di Venezia. Ma si deve purtroppo aggiun­ rio si chiude sulla sua partenza gere che tutto questo non è apparso in definitiva che periferico, che è, lo sentiamo, senza ritorno : esterno. Illustrativo, anziché significativo. L’ingegno del regista ha la sua carriera è altrove ed altro­ messo in opera svariate e fantasiose forme sia di espressione che di ve sono i suoi amori. Così si chiu­ decorazione, ha fornito suggestioni di toni e di colori: ma non ha de il circuito mettendo Ane non potuto ovviare che piuttosto parzialmente ai gravi inconvenienti che soltanto alla perturbazione get­ la riesumazione del dramma di Di Giacomo e Cognetti portava con tata, vent’anni prima, in una fa­ sé, sia per il suo scarso rilievo artistico, sia perchè presentata e re­ miglia dalla rivolta d’uno dei citata in lingua, da attori per la maggior parte lontani dalle carat­ suoi, ma a tutta un’epoca. Si sen­ teristiche napoletane. Lo sforzo d’intelligenza e di arte teatrale, l’im- te infatti Auttuare nell’opera la pegno delle costruzioni e delle figurazioni, per quanto volenterosi e dolcezza triste delle cose Anite, illimitati, non hanno potuto rappresentare Napoli che dall’esterno, sottolineata da piccoli tocchi de­ non ci hanno fatto scorgere la sua vera natura, come invece talvolta licati. All’infuori di qualche fa­ così felicemente hanno potuto fare i comici napoletani, dagli Sca­ migliare, infatti, non vi sono più ramuccia ai Pulcinella, dagli Scarpetta ai De Filippo. clienti nel bar della Marina una Il voto ha un’ottima fattura tecnica, ma le situazioni, i perso­ volta frequentato da tanti av­ naggi, il dialogo, sono sempre, o quasi, convenzionali, e non si ventori e nel quale le piccole ven­ distinguono dalla media produzione dialettale della fine del secolo ditrici esotiche venivano a ven­ scorso. Gli altri drammi di Salvatore Di Giacomo possiedono ben dere i loro frutti dai nomi strani altre qualità di schiettezza. Si aggiunga poi che la versione italiana, e le loro cianfrusaglie orientali. per quanto accurata, non poteva non essere inferiore al testo (vi Un mondo muore ed un vecchio sono maggiori probabilità di rendere adeguatamente nella nostra quartiere si trasforma. Cesariet- lingua un testo straniero che un testo dialettale). Gli ottimi inter­ to è lì per dirci che la vita con­ preti, Sarah Ferrati, Camillo Pilotto, Salvo Randone, Edda Alberimi, tinua o. piuttosto, ricomincia; Bella Staraee-Sainati (meno Giuseppe Porelli, napoletano), sono re­ ma, naturalmente, ricomincia al­ stati inevitabilmente inferiori al compito, perchè non erano in grado trove. Le stesse follie rinasceran­ di dare schiette intonazioni napoletane alle battute (per quanti sug­ no in altri luoghi sotto nuove gerimenti possa avere dato Giannini, napoletano) e d’altro canto, apparenze, fra le stesse gioie e gli alle prese con tipi e personaggi assolutamente napoletani, si sono stessi dolori. E’ la grande legge visti forzati ad assumere dall’esterno gesti, atteggiamenti e appoggia­ dell’umanità che quest’opera ric­ ture dialettali con evidente e talora fastidioso artificio. Così, è sem­ ca e sana ci ricorda con la forza brato molte volte di vedere una Napoli interpretata da stranieri persuasiva e la discrezione di con preoccupazioni veriste e quindi, per forza di cose, con accenti mezzi dei grandi artisti. Eccel­ continuamente stonati. Stupisce come uomini di teatro del valore di lente l’interpretazione di Milly Giannini e di Costa, direttore della Compagnia, non abbiano com­ Mathis, Orane Demazis, Henri preso l’assurdo della situazione e del compito che si sono assunti. Vilbert, Raymond Pellegrin, Brun, Il senso comune sarebbe bastato a far apparire persa in partenza la Dupuy e Alibert ». causa difesa con tanta intelligenza ed amore. Inoltre: non vi sono forse classici italiani degni di ironico, un poco misterioso, sem­ di senso di responsabilità; non essere riportati alla ribalta? La pre pronto a dire a tutti le più mai in contatto con la vita, ma Compagnia del Teatro Quirino, scottanti verità, è il vero annun­ moventisi nella convenzionalità. che non ha fini speculativi, ciatore della tempesta. I loro amici non valgono molto. non potrebbe piuttosto offrire Per raccontare ciò che avviene Appartengono tutti a un mondo la possibilità ai migliori dei no­ intorno a lui e descrivere le fi­ che poggia su deboli basi; sono stri giovani drammaturghi — gure che lo circondano bisogne­ senza discrimine, senza volontà, che vengono confinati nelle ri­ rebbe far troppo lungo discorso; senza serie passioni. Nessuno la­ viste o alla radio: cito a caso, basti dire che la sua villa è un vora. Consumano i giorni in bril­ Pinelli e Fabbri, Joppolo e Trie­ porto di mare. Vi entra chi vuo­ lante e serena incoscienza, men­ ste, Zerboni e Gigliozzi ■— di le, trova chi lo accomoda con tre il vecchio capitano sogghi­ avere degne esecuzioni e di pre­ le sue valige in una stanza sen­ gna e vorrebbe inventare un sentarsi finalmente alla ribalta? za chiedergli chi è, e rimane là esplosivo che distruggesse l’uma­ Tanto più che lo spettacolo, pur a suo agio. Il capitano ha l’aria nità. Quando hanno danaro, lo riscuotendo ogni sera un caloro­ di non curarsi degli ospiti, ac­ spendono subito. sissimo successo, richiama uno colti senza sorpresa e presto Tra gli ospiti, particolarmente scarso pubblico (poco pubblico dimenticati. Egli ha due figlie significante è una giovinetta, fi­ può affrontare gli alti prezzi di che gli sono indifferenti. Finge glia di un inerme e mutile e ingresso, e gli alti costi del fo­ anzi di non riconoscere una di poverissimo galantuomo. Ella è glio paga e delle scenografie non esse, maritatasi senza la sua ap­ disposta a sposare un affarista si rifanno). Non costituisce certo provazione e tornata dopo molti maturo e assai ricco, che ha be­ un affare più di quel che sareb­ anni ai lari patemi. neficato suo padre, animata da bero le rappresentazioni di gio­ Queste due figlie sono mogli viva riconoscenza. Apprenderà vani autori. i Tito i*¡indolii mediocri, brevemente innamora­ ella stessa più tardi che, inve­ te, disamorate poi e pronte alle ce, vagheggia quel matrimonio 3$c CASA CUORINFRANTO, comme­ civetterie anche eccessive e sfio­ per desiderio di vivere fastosa­ dia in tre alti di G. B. Sliavv. (Com­ ranti l’impudenza. Nè l’una nè mente. E, intanto, si innamora pagnia Maliagliati Renassi, al Teatro l’altra ha solidità morale; en­ un poco di un signore che le Odeon di [Milano, il 24 dieem. !94(i). trambe una mezza cultura: e racconta ammirabili e romanze­ sono futili, impulsive, egoiste, sche azioni compiute da lui. Questa commedia che, nell’ul­ superficialmente cerebrali per Per quelle belle storie ella esce timo atto, ci fa udire i fragori conformismo mondano, e prive dalla monotona realtà e conduce di un bombardamento aereo, è la mente svagata in paesi lu­ stata scritta prima dell’altra minosi dove si compiono gesta grande guerra, quando non se ne ardite. Purtroppo quel principe parlava ancora; e, nella sua ap­ COMPAGNIA ICET azzurro è — ed ella non lo sa­ parente giocosità, che talora so­ peva — il marito di una delle miglia alla buffoneria, voleva es­ AL TEATRO EXCELSIOR DI figlie del capitano, bell’uomo, sere, ed è stata, profetica. MILANO, IL 20 NO VEMBRE 1946 che inventa quelle audaci im­ Perchè si intitoli Casa Cuorin- prese per il piacere di credere franto non mi è chiarissimo: a CRONACA un poco in esse e di sentire in­ meno che non si, debba inten­ torno a sè, calda e rapita, la sim­ dere la casa dove la realtà delude Tre atti di LEOPOLDO TRIESTE patia delle donne. tutti, e il vecchio cuore roman­ * Le evasioni dalla verità quo­ tico, tra ottimista e gaudente, tra tidiana, per quella gente, sono, sensibile e appassionato, non è Uno dei nuovi autori italiani tra i press’a poco, tutte di questo ge­ più che un ricordo. meglio preparati e più validi alla forma­ nere: immaginazioni vaghe e Una Casa Cuorinfranto è, nel­ zione del nuovo repertorio nazionale vacue, e placide sognosità: non le intenzioni di G. B. Shaw, tut­ aspirazioni ideali; e la giovinet­ ta l’Europa. Questa sua opera * ta di cui ho parlato, delusa da è in parte allegorica o simboli­ PUBBLICHEREMO LA COMMEDIA quell’inganno, disincantata di sè ca ed in ogni personaggio è a- DI LEOPOLDO TRIESTE, IN UNO e del ricco fidanzato, alla fine dombrata una categoria umana. DEI PROSSIMI FASCICOLI trova conforto associandosi al Capo della famiglia, in questa Nota. - Nel dare notizia deWavvenuta pessimismo idealistico del vec­ commedia, è un vecchio lupo di rappresentazione a Milano di Cronaca chio capitano. mare, il capitano Shotover che in « Ribalta italiana » del n. 26, ab­ Tutti i personaggi della com­ biamo pubblicato che questa opera sembra smemorato, anzi svanito, era già stata recitata a Roma e pub­ media si sfilacciano e sfaldano ma nel quale lampeggia, di tan­ blicata. Siamo incorsi in errore, giac­ sempre di più. L’affarista formi­ ché l’opera cui facevamo cenno è La to in tanto, qualche cosa tra il frontiera, dello stesso Leopoldo Trie­ dabile è costretto a riconoscere diabolico e l’angelico. Bizzarro, ste, e non Cronaca. di essere un capitano di indù- strie, che di industrie sa po­ aveva ima gran parte da soste­ commedia non è riuscito a met­ chissimo, e un uomo politico nere e non se n’è lasciata schiac­ tere a fuoco, come avrebbe dovu­ che ignora i gravi problemi di ciare, anzi ha mostrato buone to, i suoi personaggi; essi vivono governo e non conosce che i ma­ possibiltà. Il Carraro, con sobria in quella cronaca, come in altro neggi obliqui contro gli avversa­ comicità, il Verdiani, il Felieiani ambiente simile. La « pineta del ri. E le donne che flirtano si ri­ e tutti gli altri hanno rappresen­ Tombolo » fa da fondo e coro, velano sempre più incapaci di tato molto briosamente, però ma non è insita nelle ricerche in amore. Tutto è, intorno ad esse con qualche colorito italiano, la modo positivo. La commedia non e ai loro uomini, artificio, pic­ commedia, che è di costume bri­ è riuscita, perciò, a diventare ar­ colo stolto mondo « ottimo per tannico. te: è rimasta cronaca. La mes­ vivei'ci tutto al più qualche mo­ Il pubblico ha ascoltato con sinscena è quanto mai realistica mento di oblìo ». A risvegliare continua allegria la commedia e la recitazione colorita ma este­ quegli incoscienti viene improv­ gustando le invenzioni. I para­ riore da parte dell’Hinrich, del visa, neppure sospettata, la guer­ dossi, le antitesi, i capovolgimenti Rissone, dell’Almirante, della Si- ra. Scoppiano vicino alla casa, e le impertinenze shawiani e ap­ vieri, della Sperani, del Bonucci. dove sono promiscuamente rac­ plaudendo ripetutamente gli in­ Il pubblico del Teatro dell’Arte, colti, le bombe, crollano i muri terpreti. Renato Siinonì che è un pubblico un po’ parti­ vicini. Nella Casa Cuorinfranto, colare, ha applaudito dopo ogni cioè nell’Europa, che non s’ac­ * Al Teatro delle Arti di Milano, atto con contrasti alla fine. corge del proprio dissolvimento è stata rappresentata, il 21 di­ e dove i popoli si frequentano * A scopo benefico ed in rap­ cembre, una nuova commedia presentazione diurna, è stata rap­ ma non si conoscono e non si in tre atti: La città proibita, di presentata a Roma, al Teatro amano o dove non ci sono solida­ Enzo Mancini. La commedia è na­ Eliseo, nel mese di dicembre, la rietà, serietà di pensiero, coscien­ ta dalla cronaca: si svolge, infat­ commedia di Paul Claudel Lo za delle crisi che si preparano, ti, nella ormai tristemente nota scambio. ma incompetenza, giuoco di ri­ pineta del Tombolo, in Toscana, L’opera, riconosciuta concorde­ valità interessate o puntigliose, in questo dopoguerra. Il pubblico mente dalla critica come la più sfruttamento senza scrupoli fal­ ha creduto di poter essere illumi­ umana tra quelle del grande si idoli scientifici economici ed nato su ciò che è accaduto, ed poeta francese, presenta anche estetici e soprattutto una im­ ancora accade — sembra — in difficoltà di interpretazione. La mensa leggerezza, le bombe ur­ quel desolato pezzo d’Italia, tra densità del pensiero, la moltepli­ lano la sveglia e annunciano le prostitute e trafficanti, prigio­ cità dei riferimenti filosofici nel­ inevitabili catastrofi. nieri dispersi, negri disertori e le battute dei protagonisti, la stes­ La commedia non rivela chia­ altra gente d’ogni razza. Ma tut­ sa ieratica, biblica austerità del ramente tutto ciò. E per questo to sommato abbiamo incontrato linguaggio (praticamente intra­ il suo gioco di stravaganze, di poche persone. Un magro cam­ ducibile) fanno di questi tre atti sarcasmi, di facezie, non appog­ pionario che forse voleva essere un altissimo testo letterario, ma giato a una vicenda organica, esemplare ed è riuscito soltanto una difficile « occasione » di mes­ appare talora o caricato o sfoca­ schematico : un negro che coman­ sa in scena per un pubblico scar­ to, tanto più che, di famiglie da a tutti, anche ai bianchi, samente educato come il nostro. scombinate come questa del ca­ quasi vindice di una razza in­ Volenterosi ma inferiori al com­ pitano, il teatro inglese e ameri­ gannata; un losco trafficante, uc­ pito, gli attori Ermanno Randi, cano recente ce ne ha fatto co­ ciso dopo il secondo atto; la mo­ Claudio Gora, Enza Giovine e Mi­ noscere molte, naturalmente as­ glie di un cavatore apuano fi­ randa Campi. Scene e costumi di sai meno significanti. Se si tiene nita là dentro per fame: un ra­ Maria Signorelli. Regìa di Jacopo conto di ciò che l’autore non di­ gazzino che il trafficante aveva Darca. ce, ma ci invita a intendere, que­ acquistato a Napoli per tremila sti tre atti pur essendo, nella po­ lire; il cavatore apuano venuto # La Compagnia « Ruggeri-Ada- lemica, spesso strettamente bri­ ad umiliarsi con la speranza di ni», ha rappresentato, il 3 gen­ tannici, acquistano un acuto sa­ salvar la moglie. E poi il coro, naio 1947, al Teatro Nuovo di pore anche per noi. Se si bada uomini e donne intenti soprat­ Milano, la commedia in tre atti solo alla esteriorità la commedia tutto a ballare il boogie-woogie. di Melchiorre Lengyel Angelo, diverte, ma anche sconcerta con La fuga della donna non rie­ nuova per l’Italia,, ma già nota la sua divagante amenità. sce e il cavatore ci lascia la a Londra ed a New York, e so­ La regìa di Guido Salvini è pelle, mentre il negro e un suo prattutto conosciuta, nel suo sog­ apparsa intelligente, efficace, in­ getto, in tutto il mondo, per il gegnosa e pittoresca. Gli attori compare finiscono nelle mani de­ film di Marlene Dietrich, tratto hanno recitato tutti piacevolmen­ gli M. P. dopo una polemica tra dalla commedia, e proiettato con te, in modo particolare Evi Mal­ due ufficiali alleati, conclusa con lo stesso titolo. Angelo, non è tagliati, con uno stile tra mon­ l’affermazione che la guerra ha più « una commedia » dopo quel dano e fatuamente serio e alle­ tra l’altro procacciato la libertà celebre film, ma rimane valida gramente scanzonato, leggiadro e di- dar vita a istituzioni come il la pellicola di Lubitsch, e questa assai fino; Benassi ha fatto del Tombolo. considerazione valga per tutte le vecchio capitano una figura di Un teatro che nasce dalla cro­ riserve fatte alla commedia. Tan- vivo rilievo con felice estro ori­ naca è perfettamente valido, se più che dal suggestivo film, alla ginale. Molto bene hanno reci­ documentato: il recentissimo e- prima rappresentazione in Ita­ tato il Gallina e la brava signora sempio di Pick-up Girl ne è la lia, sono passati più di dieci an­ Ferro. La giovane Tina Pema, riprova. Ma l’autore di questa ni. Se si è voluto riferirsi a quel- la suggestione bisogna dire che di vita usuale, nella stanza da apparecchio radio, ora la minac­ s’è fatto un calcolo sbagliato. La pranzo della casa dei Gibbons, cia di ima rivoluzione, ora la commedia non ha la grazia del in un sobborgo di Londra. Nar­ paura di una guerra che Cham- film: è anzi grossolana, di una rare gli sviluppi dei suoi nove berlain sembra avere scongiura­ crudezza arbitraria e superficiale quadri è quasi impossibile, e del to. Mentre gli uomini lottano per che la povertà dell’intrigo e la resto una narrazione anche mi­ i loro piccoli affanni e credono esteriorità delle parole rendono nuziosa non darebbe che una nella forza della loro esperien­ oggi poco credibile. pallida idea di ciò che la comme­ za, un nuovo uragano che non Essa affronta il tema scabroso dia significa realmente. Di fatto dipende da nessuno di loro si ad­ dell’indipendenza sessuale della’ essa racconta, con garbo singo­ densa sopra le case nelle quali donna, anzi del diritto a questa larissimo, la storia di una fami­ hanno creduto di circoscrivere la indipendenza che secondo il Len- glia d’impiegati dalla fine della propria esistenza e di risolverne gyel può sussistere anche accan­ guerra del 1918 alla vigilia della i problemi. Quale la conclusione? to a un vero amore. A parte ogni guerra del 1939. E’ la rappresen­ Lo dice il vecchio Frank al nipo­ altra considerazione, il tema tazione dei piccoli borghesi di tino in fasce che non lo può an­ rientra nel numero di quelli che Londra, così diversi dai piccoli cora intendere: « è inutile cer­ per loro natura il palcoscenico borghesi russi dell’inizio del se­ care pace e serenità fuor che in rifiuta. Bisogna poi dire che la colo. Ma la commedia si dilata se stessi ». storia di Evelyn, di Charles Su­ in un significato più ampio. Fuo­ La commedia è bella, oltre che therland suo marito, e del capi­ ri e dentro di essa, compie il suo per il suo significato, per la ca­ tano Scott ch’ella ha incontrato cammino un’altra storia, quella stigatezza con la quale è con­ in una casa di appuntamenti e del mondo. Ora è la notizia di dotta, per il suo linguaggio che che poi finge di non riconoscere uno sciopero dopo la prima vit­ è tutto espressivo senza mai usci­ incontrandolo in casa propria, toria, ora l’acquisto del primo re dalla normalità, per la sua non esce dai limiti dell’equivoco architettura che è solida e piena teatrale. Non valgono a darle anche se Coward ha avuto l’av­ un senso particolare nè la spie­ TRA DUE FASCICOLI PUBBLI­ vertenza di cancellarla a poco a gazione che ne deriva tra mo­ CHEREMO DUE OPERE DI poco. Questo piccolo mondo è glie e marito, nè la conclusione ECCEZION ALE INTERESSE, opera di grande finezza, forse ottimistica della rappacificazione PUR COSÌ VARIE E LONTANE troppo aerea e delicata per la finale. Al contrario l’equivoco è E CONTRASTANTI FRA LORO grossolanità e l’insipienza del talmente scoperto, e spesso ridi­ pubblico milanese della prima colo al di là dell’intenzione, da rappresentazione, che non ha le­ far dimenticare l’assunto fred­ A U P R È S D E sinato la stupidità dei commenti damente polemico del commedio­ intempestivi. grafo. Angelo è una causa persa E’ già molto che una platea in partenza; in tutta la comme­ M A B L O N D E così intemperante (anche a tea­ dia non s’incontra nessuna verità di MARCEL AC,HARD tro la maleducazione cresce di di accenti drammatici, o umani, Je n’aime que les histoires d’amour. giorno in giorno) abbia ripetu­ o poetici, o ironici. Tre atti di Je ne comprends bien que les histoi­ tamente applaudito ogni atto con cattivo teatro. res d’amour. Et la seule chance que crescente calore. Bisogna dire « Auprès de ma blonde » peut avoir, La recitazione è stata volon­ c’est que le public les aime bien che la recitazione è stata eccel­ terosissima, ma nè Buggeri, nè lente. Luigi Cimara ha recitato l ’Adani potevano dare ai prota­ aussl- « Marcel Achard ». Parigi: 8 maggio 1946, Théâtre de con una misura, ima intelligenza gonisti il carattere che non han­ La Michodière. e un gusto veramente rari ed è no. Meglio che a loro ciò è riu­ Milano: 3 dicembre 1946, Teatro Odeon. stato ammirevole. Tutti gli altri scito al Calindri. lo hanno benissimo assecondato: Applausi non molto convinti da Lilla Brignone, che è attrice dopo il primo atto, più calorosi intensa quanto naturale, a Lia dopo il secondo, deboli con con­ Zoppelli, a Paola Veneroni, alla trasti alla fine. Guelfi e all’Angeleri. Bravi anche # La Compagnia « Luigi Cimara- Edoardo Toniolo, il Santuccio, il Lilla Brignone», ha rappresen­ Cocchi e il De Bernardi. tato, il 4 gennaio 1947, al Teatro GIOVENTÙ * La stessa sera del 4 gennaio, Excelsior di Milano, la comme­ a Milano, al Teatro Odeon, la dia in tre atti e nove quadri di Compagnia di Evi Maltagliati, Noel Coward: Questo piccolo MALATA ha ripreso la commedia di Mol- mondo. Anche quest’opera di Co­ (KRANKHEIT DER JUGEND) nar: Il cigno. Un vivissimo suc­ ward, giunge a noi preceduta dal COMMEDIA IN TRE A TTI DI cesso, anche in questa nuova edi­ successo di un film molto inte­ zione, recitata con finezza can­ ressante, desunto dalla commedia FERDINAND BRUCKNER dida da Evi Maltagliati; con gu­ da David Lean, col titolo La fa­ VERSIONE ITALIANA di G. e F. di GIAMMATTEO sto ironico da Esperia Sperani; miglia Gibbons. Ma a differenza Questa commedia, è un terribile do­ con bel calore da Tino Carraro; cumento umano e sociale, che va di « Angelo », Questo piccolo letto e meditato soprattutto oggi, con divertita scanzonatura dal mondo rimane alla ribalta una perchè il problema ch’essa mette a Feliciani e con la solita comple­ commedia valida che la pellicola fuoco, con tanta, spietata, inumana crudezza, è, fra i problemi dell’at­ tezza dal Benassi. Gli applausi non ha intaccato. Una bellissima tuale dopoguerra, forse il più vasto sono stati cordialissimi ad ogni commedia che mostra vent’anni ed inquietante. atto. IL TEATRO AM ERICANO

-LA FATUA PRESUNZIONE CILE TUTTE LE IDEE ATTUALI IN QUESTO ARTICOLO - SIANO AMERICANE O INGLESI,

* Dopo un mese di stentate repliche, fra il cre­ vivono in condizioni dì spaventosa indigenza. A scente disinteresse del pubblico, l’aspro dramma giudicare dalle notizie che giungono da parecchi di Sartre, Huis Clos, è stato ritirato da Broadway. paesi europei questi stanno ora importando da E’ caduto. Poiché esso non conteneva nessuna noi alcune commedie per ristabilire i contatti con delle abituali attrazioni del teatro commerciale, una cultura straniera. Eppure la Francia, nono­ non si può trarre alcuna considerazione morale stante che sia devastata e impoverita dopo una da questa caduta. Huis Clos è una commedia terribile guerra ed una occupazione dilaniatrice, desolata e macabra, inutilmente verbosa; è ur­ ha espresso dal suo seno alcuni commediografi i tante senza essere congegnata con finezza, e quali, come Sartre, rappresentano l’odierno li­ occupa soltanto la metà di ima serata normale. vello mentale di uno dei popoli più intelligenti Al pubblico comune, che vuole trascorrere a del mondo. Alcuni scrittori francesi hanno già teatro una piacevole serata, non aveva nulla da riacquistato sufficienti forze ed ima bastevole ar­ offrire se non qualche conturbante brivido; e ticolazione intellettuale per esprimere idee pro­ ciò, com’è ovvio, non basta per fare affollare il prie e originali sui rapporti dell’uomo con il sel­ botteghino. Secondo me, i suoi pregi superano vaggio mondo d’oggi. Poiché essi non scrivono i difetti, ma questo non è per il momento l’es­ commedie secondo gli schemi di levigatezza for­ senziale. Se una commedia deve gareggiare, a male che hanno successo a Broadway, qui non condizioni di parità, con Borri Yesterday e possono attendersi che l ’insuccesso, come nel Happy Birthday, è necessario che offra al pub­ caso, appunto, di Huis Clos di Sartre e di An ti­ blico qualcosa di più attraente dì quel che Sar­ gone di Anouilh, rappresentata a febbraio del­ tre ha sognato con la sua filosofia. l’anno scorso. Gli è che noi abbiamo bisogno di Questo, tuttavia, non risolve il problema della un teatro sperimentale, dove opere di questo opportunità o meno della rappresentazione di genere possano essere rappresentate. Molte di Huis Clos in un teatro che, sia detto per inciso, esse probabilmente sarebbero destinate ad un ha accolto sul suo palcoscenico quella miserevole pubblico limitato, e non avrebbero successo nel cosa intitolata Loco. Se il nostro teatro non vuol teatro commerciale, dove i costì sono favolosi e morire esaurito nella noia (per non parlare della proibitivi. Ma è essenziale per la cultura ameri­ sua organizzata e sfrenata corsa al guadagno), cana che si possano avere frequenti contatti con deve aprire le porte, e permettere un costante le idee provenienti dall’estero. La fatua presun­ afflusso del pensiero contemporaneo delle altre zione che tutte le idee attuali e importanti nel parti del mondo. teatro siano americane o inglesi, è una delle più Dopo la prima guerra mondiale, il teatro di comode forme di suicidio. Broadway conobbe un periodo di considerevole Sartre è un uomo interessantissimo. Dopo aver attività, derivatagli in gran parte dall’estero. vissuto la tormentosa esperienza della disfatta Broadway si gettò sulle commedie francesi, ita­ del proprio Paese, ed aver visto prevalere i tradi­ liane di Pirandello, cèche, ungheresi, spagnole, tori e i distruttori, egli è risoluto a non credere russe, apportatrici dì nuove idee e di nuove tec­ mai più ai sogni e alle illusioni. L’esistenzialismo niche. E’ stato, quello, il periodo più felice e fe­ è un po’ come l’ancora di salvezza e la scappatoia condo che il teatro di Broadway abbia mai co­ per coloro che non hanno più la forza di credere. nosciuto. Il « Theatre Guil », attenendosi ad una Tutte le notizie concordano nel riferire che molti concezione intemazionale del teatro, divenne uno giovani, in Francia, prestano fede alla nuova fi­ dei centri artistici più progressivi di tutta l’Ame- losofia. Personalità della estrema destra e della rca. estrema sinistra la odiano. Probabilmente la re­ Attualmente il teatro russo sta morendo per stante parte del popolo francese se ne infischia. mancanza di contatti con i teatri degli altri Pae­ Per comprendere l’esistenzialismo si dovrebbe si. Se il nostro teatro continuerà a considerarsi leggere il volume sartriano di 700 pagine L’Etre autosufficiente, morrà per la stessa ragione. et le Neant : cosa che io non farò mai, a meno che Dopo la seconda guerra mondiale, non possia­ non venga chiuso in prigionie per dieci anni. Le mo evidentemente trarre molte idee e tecniche mie informazioni al riguardo sono tutte di secon­ nuove dai paesi che sono stati distrutti e che ora da mano. Tra l’altro, mi dicono che, in quel li- E IMPORTANTI NEL TEATRO - AFFERM-A BROOKS A TK1NSON È UNA DELLE PIÙ COMODE FORME DI SUICIDIO»

che siamo venuti pubblicando, per rendersi conto bro, Sartre dichiara che l’uomo è responsabile della situazione, non troppo lieta, dell’attuale teatro soltanto verso sè stesso; Dio è un elemento di americano. Lassù, a Broadway, l’aria viene a poco a poco a mancare; e per ama intendiamo, soprattutto, peso irrilevante. L’uomo è libero di agire, ma intelligenza, originalità, genuino senso drammatico. Le deve agire per essere libero. Se l’uomo non sce­ cause di questa gi'aduale asfissia (che Atkinson denun­ glie una linea d’azione sociale o politica, non è cia con tanta chiarezza) sono complesse e difficili da valutare. I commediografi autentici si stanno rare- un Essere ma il nulla. Dal punto di vista del­ facendo in modo impressionante: i vecchi, gli O’Neill l’esistenzialismo, il mondo è assurdo, come Sar­ e gli Anderson (per citare due nomi da tutti cono­ sciuti) si mantengono sulla breccia gloriosamente, ma tre ripetutamente nota, ed è pieno di angoscia e cominciano a dare segni di stanchezza; i meno anziani di disperato disordine. Insomma, questa sembra tacciono: i giovani mostrano d’essere privi di reali ca­ pacità espressive. Il lucore che ancora ci pare di vedere la filosofìa di un uomo che è stato sconfìtto in tal in Broadway è un falso lucore, che nasconde povertà misura da non avere più nulla da perdere. spirituale e fiacco conformismo. <* Gli schemi di levi­ gatezza formale » domvinano, soli e incontrastati, il Sartre, comunque, (saggio o non saggio che campo. Non dimentichiamo che le commedie di quegli sia il suo filosofare) è un uomo intelligente, acuto, americani che facciamo oggetto della nostra ammira­ zione, sono tutte di qualche anno fa e non trovano, versatile ed assai fecondo; egli ritiene che l’esi­ ora a Broadway, neppure la possibilità di riprese. stenzialismo si addica alla sua sconvolta e scon­ Escludale, dalla stagione in corso, The Iceman Cometh volgente esperienza. Di questa filosofìa noi dob­ (Di O’Neill, Joan of Lorraine di Anderson e Another Bart of thè Foresi di Lillian Hellman, e troverete un biamo tener conto ogni volta che esprimiamo un deserto di luoghi comuni, o poco più. Il « Teatro Ame­ giudizio sul mondo intellettuale di oggi. Se Sartre ricano di Repertorio » tenta, nobilmente, di galvaniz­ zare gli spiriti con accurate riprese di classici; ma, ha scritto, con Huis Clos, una commedia che non è lecito chiedersi, li vogliono poi i classici, gli ame­ ha avuto successo a Broadway, ciò non prova che ricani? Le condizioni finanziarie dei teatri di Broad­ way non sono floride: le spese di produzione sono egli non sia stato tanto abile da imitare la for­ enormi e assai raramente vengono compensate dal mula di Broadway. A lui la formula di Broadway successo, quando successo c’è. Basti questa cifra: per mettere in scena una commedia musicale, il genere non interessa; la tiene nello stesso conto di un che sembra più \gradito al pubblico newyorkese, occor­ vecchio cappello. Nè egli crede che l’analisi psi­ rono 200 mila ìdollari. Noi, in Italia, non conosciamo ancora tutto il buon cologica dei personaggi, sulla quale si basa la tèatro americano degli anni scorsi. Vi sono ancora maggior parte della nostra letteratura, abbia im­ alcune belle commedie che meriterebbero la nostra portanza nei confronti dei problemi del mondo più viva attenzione e il nostro plauso, oltre le solite, citatissime, di Oonnelly, Odets, Wilder, Irving Shaw e attuale. « Le difficoltà che incontra la politica di quei pochi altri che ognuno conosce. Ma fuori di internazionale non derivano dalle personalità queste, che attendiamo, non v’è altro. Non si annun­ cia altro, il teatro americano vive con Loco, Happy degli uomini che ci guidano — ha affermato in Birthday e The Fatei Weakness: ossia con ennesime un eccellente articolo pubblicato nel numero di ripetizioni della formula di successo. A questa Situazione non si rimedia con le parole, nè giugno del « Theatre Arts ». — Gli scioperi negli con i rimpianti. Una via potrebbe ¡essere proprio Stati Uniti non rivelano conflitti di personalità quella, indicata da Atkinson, così acutamente: un ri­ fra industriali e operai ». Egli vuole scrivere bre­ torno all’Europa. Ma è una via che gli americani tro­ vano diffidile da seguire. Huis Clos è stato un in­ vi, asciutte commedie sulle situazioni in cui oggi successo: ili pubblico di Broadway, chiuso nel suo con­ l ’uomo si trova. formismo, non ha capito. Ha detto che Sartre è troppo Le sue idee, buone o cattive che siano, sono le intelligente, troppo cerebrale. Può darsi; anzi, è sen­ z’altro cosi. Ma egli ha espresso qualcosa di nuovo, ■uniche idee nuove che da parecchio tempo a qualcosa che Si rivelerà, forse, con l’andare del tempo questa parte qualcuno abbia risolutamente lan­ e l’approfondirsi delle esperienze, come demento vitale ciato; esse investono la base stessa della nostra della nostra civiltà. La stessa cosa, suppergiù, disse, quel pubblico, per letteratura comune. Stabilito che il valore di di­ Antigone dì Anouilh. E, si noti, queste due sono le vertimento delle opere sartriane è limitatissimo uniche commedie (a parte O Mistress Mine dell’in­ se non microscopico, rimane l’esigenza che com­ glese Terence Rattigan) giunte dall’Europa dopo la fine della guerra. Atkinson afferma che è errore gra­ medie sperimentali di questo genere possano es­ vissimo la presunzione di essere autosufficienti, e non sere rappresentate al di fuori della produzione si può non essere d’accordo con lui. normale di Broadway. Brooks Atkinson La voce di questa sofferente Europa, anche se è roca e incerta, è ancora la voce dell’intelligenza, e merita di essere ascoltata. L’Europa ama (e quante volte A questo importante orticolo di Brooks Atkinson che è, forse, il migliore e più agguerrito critico dram­ lo ha dimostrato!) il teatro americano. Ora, forse, può matico americano, occorre qualche riga di commento. restituire quanto ha avuto, e può aiutarlo a non Al lettore è bastato seguire le « ribalte americane » morire. r ri a. so) di Harry Segali è piuttosto insolito, e vale la pena di rac­ contarlo. Essa, prima di essere- rappresentata in teatro, fornì lo spunto per un ottimo film girato quattro o cinque anni fa da AI Da un romanzo di Mary Ellen Hall, intitolato Here Comes Mr. Chase, Thomas Job ha tratto la Jordan (Ecco il signor Jordan). materia per un forte dramma am­ Poi, silenzio. L’anno scorso, la bientato nella Corno-vaglia, fra commedia apparve al Teatro di gente semplice e primitiva : Land’s Bucks County, nella Pennsylva­ end (rappresentato al « Play- nia, in « prima assoluta », con il house»), che potrebbe tradursi: titolo Heaven Can Watt (Il cielo Dove termina la terra. Per valuta­ può aspettare). Ora, per la se­ re nella giusta misura la fatica conda volta, appare sulle scene, dell’autore, od anche semplice- al Teatro « Coronet » di Manhat­ mente per afferrare appieno i si­ tan, con il titolo che abbiamo gnificati riposti della sua opera, riferito e che speriamo sia defini­ occorrerebbe aver letto il romanzo tivo. In America si crede che le- della Chase, giacché la commedia buone commedie diano sempre evoca con troppa approssimazione origine a pessimi film (gli esempi NEL PROSSIMO FASCICOLO PUB­ il senso tra leggendario e realisti­ sono infiniti, e non è proprio ne­ co che certo doveva scorrere tra cessario sprecare spazio per citar­ BLICHEREMO LA NUOVA OPERA DI le pagine del racconto scritto. Lo ne qualcuno); ora invece, si dà il sviluppo dei temi è enigmatico, caso che una mediocre commedia PAUL VINCENT forse volutamente; visto sulla sce­ sia stata trasformata in un film na suggerisce rimpressione di ima memorabile. No, in verità, non serie di quadri staccati e indipen­ metteva conto che ci sciupassero CARROLL denti, di ognuno dei quali non si quel bel ricordo, facendoci vedere, è ancora colto il tono che già è tardivamente, la commedia. Il trascorso e trasformato in un al­ film era fantasioso, intelligente, tro quadro, di tono tutto diverso. pieno di gustose trovate, sorretto E’, detta in breve, la storia di due da un’atmosfera di sogno quanto donne che amano lo stesso uomo. mai azzeccata e viva; la comme­ Una di queste donne è schiva, dia è pesante, scricchiolante e pura, liliale; l’altra è l’opposto: macchinosa. Qualche buon mo­ (IL SAVIO NON HA PARLATO) pratica e risoluta. Posto dinanzi mento, qualche riuscita notazione- TRE ATTI E DUE QUADRI all’alternativa di scegliere fra le dialogica rappresentano tutto il due, l’uomo trova una terza il­ magro attivo. Si tratta di questo: U celebre poeta irlandese è autore di logica (illogica, si badi, perchè nel Joe Pendleton, un promettente « L’ombra e la sostanza » ed « Il cor­ dramma non è abbastanza giusti­ pugile, viene fatto morire, cin- siero bianco », opere che hanno avuto ficata) decisione, e da una sco­ quant’anni prima del tempo, da anche da ¡noi la più larga risonanza e gliera dirupata si getta in mare. la maggiore attenzione. « L’ombra e un troppo zelante, come dire?, la sostanza » è conosciuta in Italia in Uno strano sacrificio, che fa­ emissario della Morte. Poiché il due edizioni (con Elsa Merlini e Scel- rebbe pensare ad un melodramma Cielo non sbaglia mai, il signor zo; con Edda Albertini e Ruffini) ed di gusto discutibile, se continua- « Il corsiero bianco » — da noi pubbli­ mente, nel corso dell’azione, l’au­ Jordan, incaricato delle « opera­ cato nel fascicolo 414 della vecchia se­ tore non ci volesse riportare, con zioni celesti », cerca di trovare rie — ha avuto ad interpreti Paola specifici richiami contenutistici e qualche corpo disponibile per Borboni, iSalvo EEtandone e Piero quell’anima involatasi troppo 'Carnabuci. Con questa nuova opera formali, alla veneranda leggenda il poeta irlandese riprende con vee­ di Tristano e Isotta. Tuttavia presto, in modo da permettere al menza, ma nello spirito travagliato del questo insistere sul senso della pugile di continuare la sua car­ mondo moderno, la polemica della ri­ tragedia, e sulla sua ineluttabi­ riera. Un certo Famsworth, mi­ volta dell’uomo contro la sopraffazio­ lità, manca di precisa definizione lionario, viene ucciso nel bagno- ne. Sul frontespizio dell’opera, PAUL teatrale e, ciò che più vale, del dalla moglie e dal suo amante; VINCENT CARROLL ha riportato, da « Il folle » di Padraic Pearce, questi minimo indispensabile crescendo il signor Jordan ne approfitta per versi: drammatico. Gli attori principali, cacciare l’anima di Joe nel corpo Helen Craig, Shirley Booth (le di Farnsworth, per un mese. Sotto •* Poiché i saggi non han parlato} parlo io due rivali), Walter Cay e Theo- che son solo un folle ; le spoglie del milionario, Joe si dore Newton, raggiungono un innamora di Bette Logan, e ri­ Un folle che è vissuto nella sua follia, tono recitativo di notevole misura e mai seppe esser prudente... e di buona efficacia, guidati, con prende la sua carriera di pugile, mano non certo eccezionale, da ma Farnsworth, indignato, fa E’ un’opera mirabile, dì alta poesia Robert Lewis. Donald Oenslager udire dall’inferno il suo grido di e grande significato morale e sociale, ha disegnato le scene con un gu­ protesta. Così l’anima di Joe tras­ che si conclude, oltre che con la migra un’altra volta e va a finire dedizione della propria esistenza alla sto simbolico non sempre appro­ causa della libertà, con l’invocazione priato. nel corpo di un pugile che proprio al Signore perchè illumini la vita Il caso della commedia Wonder- allora i « gangsters » avevano uc­ dell’uomo ed abbia pietà di lui. ful Joumey (Viaggio meraviglio- ciso per impedirgli di vincere il campionato del mondo. Qui Joe riella, notissima in America, si Il leone, umano, acrobatico e trova finalmente la sua pace, e impernia sulla avventura di un pronto a ricambiare una buona l’amore anche, poiché la ragazza modesto attore di provincia che azione, è stato recitato con im­ che egli ama, riconosce, attraverso va a Broadway, vi conosce i più pegno da John Becber. Victor gli occhi, la sua anima. Questa grandi trionfi e poi l’insuccesso, Jory ha dato mia buona prova finale, è la scena più bella e poe­ e torna alla fine nel suo piccolo di sè, e delle sue capacità recita­ tica della commedia. teatro, dove ancora l’attende la tive, nella parte del comico Fer- Le parti di rilievo sono state moglie fedele. Gli interpreti sono, rovio, combattuto fra la pietà ed recitate con poca convinzione: questa volta, Bert Lahr, attore i suoi istinti guerreschi. Philip Donald Murphy, il pugile, si è simpatico e comunicativo, e Jean Bourneud ha interpretato con dimostrato piuttosto manchevole Parker, che riscatta volonterosa­ corretto senso umoristico la parte e piatto (i suoi colloqui con il si­ mente il fiasco di Loco. Eccel­ dell’imperatore, mentre June Du- gnor Jordan avrebbero potuto es­ lente la regìa di Hopkins, che prez ha dato considerevole auto­ sere ben più divertenti); Sidney curò anche la prima edizione rità al personaggio di Lavinia. Blackmer se la cava un po’ me­ glio con il signor Jordan, ma Fay Baker, la moglie assassina, e Francés Weller, la ragazza che Joe ama, non fanno quasi alcun sforzo per dare sapore e signifi­ cato al loro personaggi. Una novità di scarsa importan­ za è Lovely Me, di Jacqueline Su- sann e Beatrice Cole, due attrici che si sono messe a scrivere com­ medie. Qui si racconta, con poca facoltà d’inventiva e ancor meno umorismo, la vecchia storia del­ la donna sposatasi innumerevoli volte e sempre a corto di quat­ trini. La donna è una russa, can­ tante di locali notturni, che vive, piena di debiti e di preoccupazio­ ni, in un suntuoso appartamento a New York. Tra l’altro, deve pu­ re pensare ad una figlia d’intelli­ genza precoce, che ella vorrebbe mandare all’Università di Har­ vard. Quando sta per risolvere, brillantemente, la sua situazione Il «Teatro Americano di Repertorio a di Nuova York, è una istituzione di finanziaria, sposando un multi­ notevole importanza, poiché affianca alile opere moderne (commedie nuove che hanno un eccezionale numero di repliche), quelle che le nuove genera­ milionario, le piombano in casa zioni non conoscono o conoscono solo alla lettura, e le vecchie non debbono due dei precedenti mariti, e com­ dimenticare. Da Shakespeare, a Ibsen, Barrie, Shaw, Pirandello, ecc. il pro­ plicano tutto. Naturalmente, le gramma di questa stagione comprende alcune opere tra le più significative di questi autori. ¥ Nel disegno: Margaret Webster (a sinistra), attrice e cose si potranno accomodare, e la regista, come Signora Borgman, in « Gian Gabriele Borgman » di Ibsen. donna saprà uscire d’impiccio A destra: Èva Le Gallienne, come Contessa de la Briere, in «Ciò che ogni con grande abilità e sorridente donna sa » di Barrie. grazia. Non si capisce bene che cosa voglia essere questo lavoro: se commedia, se farsa, se divaga­ portandola al successo. Lo stesso Margaret Webster, nel suo lavoro zione sentimentale. Molte situa­ riesce a fare, in questa ripresa. di regista, ha messo soprattutto zioni non sono credibili e la co­ Ma a Bert Lahr, indubbiamente, in rilievo gli elementi comici del­ micità è spesso forzata. Tanto spetta il merito maggiore. la commedia, traendone gustosi per far ridere, le autrici hanno Il Teatro Americano di Reper­ effetti. Scene e costumi appro­ introdotto un tizio che suona torio, dopo Shakespeare, Barrie e priati sono stati disegnati da continuamente il piano, un ma­ Ibsen, ha affrontato Shaw, riesu­ Wolfang Roth. niaco di cani ed un marmocchio mando quella divertente comme­ Precedeva Androclo e il leone, che molesta tutti. Gli attori fan­ dia che si intitola Androclo e il un atto di Sean O’ Casey, Pound no del loro meglio, da Luba Ma­ leone, con ottimo risultato. La on Demand (Una sterlina a ri­ lina a Mischa Auer, a Millard commedia venne rappresentata chiesta), lieve scherzo su uno Mitchell. per la prima volta a New York schema quasi di vaudeville. Er­ Al « Teatro Belasco » è stata nel 1915 da Granville Barker, e nest Truex e Philip Bourneud ripresa una fortunata commedia venne ripresa dieci anni più tardi sono stati i protagonisti, non di George Manker Watters e Ar­ dal « Theatre Guild ». eccessivamente divertenti. Altri thur Hopkins, Burlesque, rappre­ Emest Truex ha divertito nella interpreti : Margaret Webster, sentata la prima volta nel 1927 parte di Androclo, che nelle Cavada Humptìrey ed Eugene con l’interpretazione di Hai Skel- vecchie edizioni era toccata a Stuchmann. «ino Caimi ly e Barbara Stanwyck. La sto- O. P. Heggie ed a Henry Travers. New York, gennaio. TUTTI I FIG LI DI DIO HANNO LE ALI*

IL TEATRO NÉGRO

È ENTRATO NELLA STORIA DELLE ARTI

«nativo» è ingenuo, grezzo, a forti contrasti ed a forti emozioni e si basa — al pari di quello scritto dai bianchi — sui particolari pro­ blemi sociali dei negri in America, nascenti quasi tutti dai loro rap­ porti di vita con i bianchi. Nel vaudeville e nella rivista, invece, si espandono Uberamerite l'innata musicalità e fa prorompente, fanciul­ lesca allegria, che giacciono, spesso sopraffatte da contingenze ambien­ tali, nell'animo del negro. Alle origini letterarie non di colore del più elevato teatro negro d'America troviamo, come in quelle similari della drammaturgia nazio­ nale, il nome di Eugenio O'Neill, con il suo lirico-sociale ossessionante Imperatore Jones e con i due atti di Tutti i figli di Dio hanno le ali (una fraise del famoso spiritual negro Heaven, beaven), nei quali è svolta la tragedia di un matrimonio misto tra un negro evoluto ed una Di Anna Lucasta, roriginalissima commedia di bianca. Mac Connelly, dopo i suoi ormai classici Verdi pascoli, che Philip Yordan, interpretata da tutti attori negri, Brooks Atkinson giunse a definire «la Divina Commedia del teatro abbiamo pubblicato varie fotografie nel fascicolo del lo novembre. Questo disegno riproduce il moderno », non ha più scritto per il teatro negro. Due autori, invece, cartello pubblicitario del lavoro, che si rappre­ si sono quasi esclusivamente dedicati ad esso: Paul Green e la coppia senta a Nuova York dall’agosto 1944 Dorothy-Du Bose Hayward. Con i suoi atti unici ed i suoi drammi regolari, la maggior parte dei quali vide la luce nel teatrino dell'Uni­ H Un settore di alto rilievo, nel versità di North Carolina da lui creato, Paul Green ha recato il più complesso del teatro americano, è notevole contributo di autore al teatro negro. In Abraham'» bosom (Nel costituito dalle opere scritte sui seno di Abramo), The field god (Il dio del campo), Lonesone road negri e per i negri e dai loro inter­ preti di colore. Nettamente distinto (Via solitaria, dal titolo di uno dei più suggestivi e nostalgici blues), dagli altri, esso è completo in tutti Run, sweet chariot (Corri, dolce cocchio, titolo idi uno spiritual) e il i suoi quadri — artistici, tecnici e recente Native son (L'indigeno) costituiscono degli autentici classici commerciali — e va complessiva­ del teatro di colore. Dorothy e Du Bose Hayward sono gli autori di mente sotto il nome di «Negro Porgy e Porgy e Bess (che fornirono un libretto a George Gershwin) e theatre », sia che gli autori delle di Mamba's dlaugbters (Le figlie di Miamba), tratti dai loro K omonimi opere in esso rappresentate siano rolmanzi di vita negra e basati su corde sociali e sentimentali. Partico­ bianchi oppure no. L'unica collu­ lare rilievo assumono, nel repertorio di colore americano, Ste-vedore, sione con elementi razzialmente un dramma interamente di carattere sociale di Paul Peters e George eterogenei si verifica infatti nel Sklar, Run, little. ehillun (Correte, piccoli) di Hall Johnson, nel quale contributo creativo dei testi, i più apparve in tutta ila sua poderosa suggestività il coro negro che da lui rilevanti e significativi dei quali prende nome, Mulatto, Roseamne e, per il suo valore storico, The sono dovuti a scrittori non negri. nigger di Edward Sheldon, uno dei migliori commediografi delle ori­ Lo sviluppo del teatro negro è, gini, la cui opera costituisce il primo lavoro « negro » che presentii naturalmente, in diretto rapporto una maturità e quindi una rilevanza artistica. Nel 1941, alcuni dilettanti con il numero• dei cittadini di co­ negri di Harlem misero in scena, con notevoli risultati, Naturai nan, lore degli Stati Uniti d'America e un dramma di Theodore Browne, loro confratello di razza. Grandi suc­ con il loro sempre più rapido e sempre meno ostacolato progresso cessi negri attuali sono Deep are thè roots- (Profonde son le radici) di intellettuale. In tutti i quartieri ne­ Arnaud D'Usseau e James Gow, dramma di un reduce negro e della sua donna bianca, Anna Lutìasta di Philip Yordan, storia di una pro­ gri delle grandi città (Americane — stituta, e la riduzione del romanzo di Lillian Smith Strange fruii (Strano e non soltanto delle grandi — esi­ stono dei piccoli teatri locali, si­ frutto), sui problema dei sangue-misti. mili a quelli periferici nostrani, in Indubbiamente, la quantità e la qualità dei testi per il teatro di co­ cui prolifica una produzione negra lore sono in forte minoranza nei confronti del gran numero di attori di terz'ordine, drammatica, comica che la razza negra trapiantata in America esprime ininterrottamente. Si c di vaudeville, e che costituiscono rendono pertanto necessari degli cAdattamenti di opere non negre, alcuni un preziosissimo vivaio di attori dei quali assumono, nella nuova veste, originali e spesso notevolis­ e di attrici. Questo teatro negro simi pregi. Rammentiamo il Macbeth «all-Negro» messo in scena da Orson Welles al « Federai Thea- dizione teatrale negra in America Simsms, Home is thè hunter (Il cac­ tie », le due versioni negre della sono da ricercare nella minstrelsy, ciatore è a casa) di Samuel Kootz celebre operetta di Gilbert e Sulli- ¡orma di trattenimento a base di ed altre pregevoli commedie ori­ ven II Mikado, intitolate The hot canto, danza e brevi scene recita­ ginali. Un teatro professionale è Mikado e The swing Mikado, ed te, che i ricchi piantatori del sud invece sorto nel Bronx, altro quar­ una rielaboraziione della Carmen offrivano ai loro amici. I minstrel tiere di New York, ad opera di battezzata Carmen Jones. La per­ shows divennero successivamente William F. Duna e George D. Gir­ degli spettacoli regolari, a paga­ sene, col proposito di favorire so­ sonalità e l'intraducibilità del tea­ prattutto l'avvento di nuove ope­ tro negro sono dimostrate dal non mento, ed i loro .esecutori degli at­ re teatrali di autori di colore. Un essersi mai verificata, neppure per tori professionisti. Bisogna giun­ autorevole critico americano di­ curiosità, la trasposizione inversa, gere tuttavia al 1919 per avere chiarava di recente: « L'importan­ di un'opera nata « negra » sulle l'ingresso di un attore negro sui za dell'attore negro nel teatro ame­ scene « bianche ». palcoscenici di Broadway, in un la­ ricano è dimostrata dal fatto1 che Attraverso le sue qualità d’intel­ voro serio e in una parte seria. oggi egli è parte integrante del ligenza, di sensibilità e d‘innato L'attore fu Charles Gilpin, il per­ nostro mondo dello spettacolo, sia senso del teatro, l'attore negro sonaggio quello di un ecclesiasti­ nel teatro di prosa che in quello americano ha saputo elevarsi dal­ co nell'Àbramo Lincoln di John musicale, sia nel cinematografo le piccole parti comiche o coreo- Drinkwater. Poco dopo, Gilpin fu che alla radio. Gli attori negri di­ grafiche alla piena equiparazione salutato come una grande rivela vertono milioni e milioni di ameri­ ■con i suoi colleghi di altra razza. zione ne L’imperatore Jones. Nel cani ed ottengono, in ricambio, la Recentetmente, tuttavia, un critico 1921, uno dei massimi attori negri, gratitudine e l'affetto di tutti gli americano si doleva che i pregiu­ Paul Robeson, giunse alla celebrità spettatori del nostro Paese». dizi dei proidiucers di Broadway, in con Tutti i figli dii Dio hanno le ali. base ai quali sulle scene «ufficiali» Infine, nei 1930, si ebbe il «feno­ s'insiste ancora troppo nel manie- meno » Verdi pascoli, che aprì in­ nere il personaggio negro in uno discriminatamente le porte dei stereotipato cliché, impedissero a maggiori teatri d'America agli at­ un grande numero di talenti di ve­ tori di colore e rese indimentica­ nire alla lupe delle ribalte della bile il suo protagonista, Richard Grande Via Bianca o di giungervi Harrison. 11 temperamento estroso, troppo tardi, come accadde per colorito, ritmico e fantastico dei Charles Gilpin, Richard Harrison, negri trova nel vaudeville e nel Evelyn Ellis, Rose Mie Clendon e varietà un ottimo terreno per la Leigh Whipper. La guerra ha inci­ sua .estrinsecazione e dai fragorosi so però profondamente su questa palcoscenici di questi sono giunti situazione. Oltre trecento negri — alle più pure atmosfere della pro­ circa un decimo di tutti gli artisti sa attori come Dooley Wilson, ingaggiati — si sono prodotti sui Georgette Harwey, Canada Lee vari fronti e nelle retrovie di guer­ ed Ethel Waters. Quest'ultima, ra nei complessi appositamente grande cantante di blues, riportò allestiti, richiamando l'attenzione uno straordinario successo con Le sull'importanza del contributo ne­ figlie di Mamba e dimostrò succes­ sivamente l'eccezionale ricchezza gro in tutti i campi dello spetta­ Impressione di Aaron Douglas per The Emperor colo. 11 sindacato degli attori negri della sua gamma interpretativa in Jones (L1.Imperatore Jones) di Eugene O1 Neill d'America, da meno di duecento una commedia musicale ricca di New York, 1945 iscritti che contava nel 1940, è poetici brani di prosa, Qabin in thè giunto ad annoverarne attualmente sky (La capanna nel cielo), di E noi aggiungiamo, a conclusio­ più di mille. Lynn Rool. In Harlem, il quartiere ne di questa nostra rapida e som­ Il primìo- attore negro di cui si ab­ negro di New York, è sonto1 un maria rassegna, che il teatro ne­ bia notizia fu un certo Ira Frede­ complesso di teatro sperimentale e gro è ormai entrato nella storia rick Aldrldige, nato nel 1810 a scuola drammatica, « The American delle arti non come una semplice Baltimora, o a New York, secon­ Negro Theatre », promosso da Fre­ curiosità ma per un singolare com­ do dicono altri, e figlio di un ca­ derick O'Neal, Abraham Hill ed al­ plesso di valori di freschezza, di po senegalese. Egli fu al servizio tri, che in breve tempo ha saputo umanità e di lirismo, che hanno del celebre Kean, il quale riconob­ ascendere ad un alto livello orga­ ragggiunto espressioni di un'altez­ be il suo talento, lo coltivò e giun­ nizzativo e conseguire risultati ar­ za pari a quella toccala da altri se ad affidargli la parte di Otello tistici di notevolissima rilevanza, popoli di assai più antica tradizio­ mentre egli impersonava quella di quali la già citata Anna Lucaeta, ne e di .assai più vasta esperienza Iago. Ma le vere origini delia tra­ che ha rivelato l'attrice Hilda spettacolare. Vinicio Marinucci nazionalisti — e, mentre esaltava IL TEATRO SOVIETICO, le figure dei suoi eroici co­ struttori, rafforzava negli ascol­ tatori la persuasione che la vitto­ TEA TR O P O LITIC O ria, l’awenire e la vita spettano ad una Ucraina protesa verso, ALEKSANDR KARNEICIUK, IL MAGGIORE TRA I COMMEDIO­ l ’attuazione del socialismo sotto GRAFI RUSSI, HA SCRITTO ALCUNE OPERE CHE SI POSSONO la guida del partito di Lènin e ASCRIVERE AL GENERE «COMMEDIA POLITICA » : GENERE di Stalin. IMPORTANTE, MOLTO DIFFICILE ED ANCORA MOLTO RARO Questo pensiero costituisce la essenza ideale del dramma La di­ Di Aleksandr Karneicd'uk abbiamo parlato nel capitolo Gli scrittori dei reali­ struzione della squadra. La dia­ smo socialista del panorama ’del teatro russo, oggi. Ir.ampio saggio che segue, scritto dal critico sovietico I. Kruti, collaboratore della « Literatumaja Ga- lettica della vittoriosa saggezza zetai» di Mosca, fornirà al lettore un quadro completo della personalità di politica di Lènin, espressa oppor­ questo commediografo, che è fra i più Importanti della scuola letteraria so­ tunamente nella situazione stori­ cialista ’naSrU.K.S.S. ca dell’estate del 1918 coll’affon- damento della nostra squadra del Un’intima passionalità, un’implacabile intransigenza, un’assoluta Mar Nero, costituisce il tema di veridicità, ed il patriottismo sovietico più profondo, contraddistinguo­ no le creazioni di Aleksandr Kameiciuk, questa eccellente commedia. Que­ Nelle sue opere migliori vengono impostati acuti problemi della st’opera su Lènin ribadisce il vita nazionale contemporanea, la quale trova in esse, non un sempli­ concetto che qualunque disac­ ce riflesso freddo, indifferente, apatico, ma una chiara espressione, cordo con Lènin o titubanza sul profondamente artìstica, di quelle caratteristiche tendenze progres­ riconoscimento che egli è nel sive che ne formano il motivo dominante e dirigente. giusto, sempre ed in ogni caso, L’espressione varia secondo una gamma molto estesa, dalla satira conduce al tradimento della ri­ irosa ai voli patetici; ma, in ogni caso, le opere di A. Karneiciuk voluzione e della patria. spingono lo spettatore sempre più avanti verso l’innovazione, verso Nel successo del primo e del se­ l’ardimento, verso la creazione. Schiavo e padrone, al tempo stesso, condo piano quinquennale, tra le di questo generoso anelito, il drammaturgo è riuscito a creare tutta audaci imprese in tutti i settori una serie di espressioni positive di caratteristici tipi contemporanei. dell’attività generale, maturarono Egli ci presenta i suoi protagonisti, non come semplici osservatori i temi delle sue produzioni suc­ della vita, ma come attori, innovatori, rivoluzionari: figli fedeli del cessive. Nel Platon Krecet e nel popolo, che sanno per quali ideali, esso vive e combatte. Tali sono Banchiere egli esaltò la gente Artem e Nadia (.Isola pietrosa), Oksana e Stizenj (La distruzione della rinascente Ucraina. Il rac­ della squadra), Platon Krecet, Roman Krucia (Il banchiere), Cesnok conto del presidente del « Kol­ (Nelle steppe dell’Ucraina), Ogniev (Il fronte). choz » — Bestanjko — sul come Si è talvolta rimproverato a Kameiciuk che alcune sue commedie, venne consegnato con grande come II viaggio di mister Perknis nel paese dei bolscevichi e Ve­ solennità ai contadini dello stes­ nite a Zvonkooje siano di tipo illustrativo e didattico, se non addi­ so villaggio il documento che li rittura pedantesco. Può darsi che, entro certi limiti, questo sia anche investe stabilmente della padro­ vero. Ma ricordo che Belinski, pur condannando la tendenza ad as­ nanza sulle terre, costituisce la servire lo slancio artistico ad una eccessiva ragionevolezza e ad una tipica espressione letteraria di logica troppo piatta, affermò decisamente che « anche se la comme­ quel grandioso evento storico con dia didattica è, per sua natura, una creazione forzata e sofferente, cui i contadini dell’Ucraina han­ pure, quando nel suo motivo fondamentale sta un’ironia profonda, e no, finalmente, coronato il loro quando nella forma in cui viene espressa, vibra un impetuoso entu­ appassionato sogno secolare: la­ siasmo, allora essa non vale meno di qualunque commedia artistica ». voro libero nella loro terra libe­ E pertanto ricordiamo che sono appunto l ’entusiasmo verso il predo­ ra. Come il Platon Krecet è l’ope­ minante pensiero sociale e statale, l’ironia, la sincerità e la convin­ ra dedicata ai figli del contadino zione, che costituiscono i più saldi pregi delle ultime opere di A. ucraino (ai quali l’autoritià sovie­ Karneiciuk : opere che possiamo ascrivere al genere di « commedia tica spalancò tutte le vie verso politica», molto importante, molto diffìcile ed ancora molto raro. la libera espansione della loro Pur nella varietà dei generi drammatici nei quali lavora il nostro attività) così il Banchiere costi­ autore, la sua creazione è tutta permeata da un’idea fondamentale e tuisce, in ultima analisi, l’opera da un unico sentire. Il popolo ucraino, i suoi destini storici, la sua esaltatrice di tutti quegli altri fraterna indistruttibile unità col popolo russo, le sue vittorie socia­ lavoratori cui l’organizzazione so­ liste, il suo grande avvenire, determinano senza possibilità di devia­ zioni, i soggetti ed i temi delle opere di Kameiciuk. E, d’altra parte, vietica restituì la dignità umana anche l’espressione artistica (tonalità elevata, sceneggiatura agile, e ridonò la felicità. particolare efficacia del monologo cantato e delle metafore d’alto sti­ Quando A. Karneiciuk sceglie le) è profondamente nazionale e popolare. Le opere L’isola pietrosa come argomento gli avvenimenti e L’assalto furono scritte da Kameiciuk negli anni in cui il popolo dell’ottobre 1917, egli ci presenta d’Ucraina, in concorde operosità con tutte le repubbliche della Rus­ Lènin quale protagonista della sia, realizzava con tenacia, a volte eroica, il progetto dei grandi la­ liberazione dell’Ucraina. Nell’ope­ vori del primo piano quinquennale. Il drammaturgo smascherò allora ra La verità, il culmine dell’emo­ i nemici della ricostruzione socialista della sua patria — i borghesi tività e dell’entusiasmo viene rag- giunto in quela scena in cui Lènta raccomanda al partito dei bolscevichi il contadino ucraino Taras Golota. SCRIVERE UJNA COMMEDIA La commedia Nelle steppe del­ l’Ucraina e l’altra, che ne costi­ ■ Scrivere una commedia vuol dire narrare nello spazio di tre tuisce il seguito, I partigiani nelle ore, mediante un dialogo, una storia. Ma una sola, giacché tutte steppe dell’Ucraina hanno come le commedie mancate raccontano parecchie storie. punto di frattura lo scoppio del­ la guerra. Spicca così più netta­ HI Una commedia che non può essere sintetizzata in tre righe, mente il contrasto fra la prima, e il cui riassunto non comincia per « Un uomo... » o « Una pervasa della gioia di vivere, pie­ donna... », è una commedia che già incomincia ad essere ìnconv na d’allegria e di speranze (nella prensibile. quale si esaltano gli organizza­ tori dei « Kolchozi » e si bolla a 9 Si direbbe che ci sia un tono particolare per il personaggio principale. Quando un personaggio secondario prende quel tono, fuoco l’indolenza dei molto ab­ è un’altra commedia che incomincia. Allora gli spettatori tos­ bienti) e la seconda, che riflette siscono e si rivolgono verso le vicine. tutta la tristezza della nazione invasa e che è permeata dall’eroi­ H Si può rifare qualunque commedia dal punto di vista di un smo di tutta la massa popolare. personaggio qualsiasi. Dopo Edipo re, Britannico, Cirano, si Sono sempre la vita e gli interessi può scrivere Giocasta, Narciso, Rossana o Cristiano. del popolo sovietico che spronano il genio creativo di Karneiciuk, ■ Starei per dire che una commedia non comporta che un solo personaggio, il quale gira su se stesso per mostrarci i suoi dif­ così negli anni felici della pro­ ferenti aspetti. Gli altri sono disposti in cerchio a lui, e non sperità socialista, come nelle ore vi stanno che per replicare alle parole, e non hanno che una delle prove più dure. Ed è ap­ faccia illuminata, come le lanterne dei ladri. punto riferendosi ad uno dei mo­ menti più tragici della guerra pa­ 51 Prendi sempre come titolo il nome di un personaggio: esso ti triottica, ohe lo scrittore compose ricorderà continuamente quale commedia stai scrivendo. I ima delle sue opere fondamentali : capolavori del teatro si chiamano Edipo, Fedra, di Cid, Poliuto, Il fronte. Essa lanciò un ap­ Amleto, Shylock, Cirano, Aiglon. pello, diede l’allarme, risvegliò ; cuori e coscienze; venne dettata 52 Devi fornire due ore e mezzo dì spettacolo. Non di più, perchè accorciando gli intermezzi danneggi il proprietario del bar, e da un elevato sentimento pa­ rischi di far perdere allo spettatore l’ultima corsa del tram. triottico che spinse l’autore a dire Non di meno, perchè il pubblico vuole il corrispettivo del da­ apertamente quanto la lenta e naro che ha speso. timida condotta di guerra di ta­ luni alti comandanti ostacoli il SI Ripeti la prima scena del primo atto al principio del secondo, successo delle operazioni militari. a beneficio dei ritardatari. Scrivi, al principio (Fogni atto, una Il fronte fu l’opera che, nel piccola scena inutile, per attendere che le poltrone finiscano di scricchiolare. Riserva un tratto di spirito — possibilmente il momento di massima tensione migliore —• per i finali d’atto: il pubblico ti giudica soprat­ della guerra patriottica, offrì al­ tutto dai finali. l’arte sovietica la possibilità di rivelare a piena voce alcune gra­ ® Alla lettura, i versi di Rostand, se li confrontiamo con quelli vi deficienze, e concorrere così al di De Musset o di Baudelaire, sembrano vetri, ma in scena conseguimento della vittoria. brillano come diamanti. In questo modo la vita della Ucraina Sovietica, i successi del­ ¡SS Nessun critico di pittura s’è mai sognato di giudicare un fon­ la sua trasformazione socialista, dale di teatro con gli stessi criteri coi quali giudicherebbe un il rafforzamento della sua sovra­ quadro. 1 critici di teatro, invece, giudicano le commedie come farebbero coi libri. Essi paragonano la filosofia di un autore nità, le lotte, le conquiste e le drammatico a quella di un Bergson, la sua poesia a quella di vittorie del popolo ucraino sotto un Valéry, la sua lingua a quella di un La Bruyère. In questo la guida del partito di Lènta e di modo, secondo quei critici, tutti gli autori di teatro sono super­ Stalin, furono sempre le basi e ficiali, hanno un falso lirismo e scrivono male. l ’alimento costante di quanto an­ dava creando lo scrittore-patrio­ 9 II grande merito di Racine: ha scritto opere di teatro come ta. E poiché egli si rivolse sem­ si dipinge un fondale: a grandi colpi di scopa. Ma, poi, sopra le pre alle più pure fonti della crea­ grandi macchie di rosso o di giallo, ha dipinto, l’uno accanto zione popolare, il popolo rico­ all’altro, migliaia di piccoli quadri, non più da decoratore, ma da pittore. Lo spettatore non può vederli perchè sono troppo nobbe se stesso nei personaggi lontani; ma dopo la commedia, se va sul palcoscenico, li am­ espressi dal suo genio creativo. mira. Ecco perchè Raoine è uno dei pochi autori di teatro che I. Kruil guadagna ad essere letto. Marcel I’agnol (Versione italiana di Giovanni Ferreri) Si tratta, evidentemente, sem­ che orientare gli attori meno do­ pre dello stesso concorso-fanta­ tati verso le professioni minori, sma che secondo il bando invia­ sempre relative ed interessanti lo toci dal prof. dott. Amedeo Tosti, spettacolo: suggeritori, costumi­ scadeva il 15 dicembre. Poiché il sti, parrucchieri, tappezzieri, ecc. nostro fascicolo doppio è uscito Sono stati infine iniziati i lavori il primo gennaio, dicevamo nel per la creazione di un teatro, an­ « Taccuino » dell’inutilità della nesso alla scuola, dove gli allievi informazione. possono cominciare a prendere Invece l’annuncio di proroga contatto col palcoscenico. avrebbe potuto essere ancora va­ * Secondo una deliberazione del­ lido, almeno per dieci giorni, se la Giunta romana, Ettore Petro- il comunicato, come è stato man­ lini dovrebbe avere una strada di dato d’ufficio alle prefetture, che Roma intitolata al suo nome nel l’hanno poi diramato il giorno « nuovo quartiere degli artisti ro­ sette, fosse stato mandato a noi mani ». Poiché la deliberazione direttamente quando la proro­ non ha mai avuto pratica attua­ ga è stata decisa. Encomiabile zione, in una lettera ad un quo­ servizio del teatro, alla presiden­ tidiano di Roma, Ettore Petroli- za ecc. ecc. ni, figlio del grande attore, espri­ * Il problema delle Scuole di me il desiderio, non certo per arte drammatica, è divenuto im­ vanità personale, che la strada di portantissimo in tutti i Paesi; Roma sia veramente dedicata a suo padre. DIARIO A Parigi è stato istituito un Centro di formazione professio­ E giacché parliamo di strade DI CHI FA E DI CHI DICE nale dello spettacolo la cui am­ e di grandi attori, non c’è per­ missione è completamente gra­ sona che faccia parte del teatro ^ Una parte del « Taccuino » tuita. Scopo ideale del Centro, e che non conosca la vergogna di del fascicolo scorso primo gen­ Torino per avere, una passata naio, era dedicato all’ormai con­ di Jean Meyer che lo dirige, è quello di formare sia degli attori giunta comunale, dedicata alla corso-fantasma per una comme­ capaci di presentarsi al Conser­ più grande fra tutte le attrici e dia, indetto dalla presidenza del vatorio nazionale, come di indi­ non d’Italia soltanto — Eleonora consiglio dei ministri; servizio per rizzare i mediacri alle occupazio­ Duse — non ima strada e nem­ il Teatro. Dicevamo come il prof, ni necessarie allo spettacolo. Un meno un vicolo, ma un sudicio dott. Amedeo Tosti ci avesse certificato di studio professionale passaggio quasi ignorato dagli scritto affermando che « del ban­ dato agli allievi alla fine dei cor­ stessi torinesi, che da Piazza San do è stata data notizia, in tutti si, permetterà loro di esercitare Carlo, attraverso un androne, i modi possibili, attraverso la sbuca in via Principe Amedeo. Sì stampa e la radio ». Infatti, il la professione. Insegnano: Pierre Renoir, il grande attore e regi­ tratta di un muro di cinquanta « Servizio del Teatro presso la metri, sporco dalle più oscene di­ presidenza, ecc. » continua a dar­ sta; Maurice Donneaud, della Comedie-Frangaise; Robert Ma­ citure, con addossati i detriti del­ ne notizia: le case adiacenti in riparazione. La « Gazzetta d’Italia » del 9 nuel, pure della Comedie-Fran­ gaise; Jean Le Gott, Billis. Oltre questo muro che porta, in gennaio, pubblica nella sua se­ alto, sull’angolo della via Princi­ conda pagina, graziosamente in­ Questo per ovviare alla partico­ lare situazione creata dalle nu­ pe Amedeo, il nome glorioso di corniciato, un corsivo dal titolo Eleonora Duse, non c’è altro. « Tempestività », che riportiamo merosissime scuole private di re­ citazione, le quali, a scopo di lu­ Sembra impossibile, ma è esatta­ interamente : mente così. Negarville, il nuovo « Tramite la prefettura, rice­ cro e qualche volta in buona fede, prodigano consigli, più o meno sindaco di Torino, ci faccia la viamo un comunicato il quale ci validi, a dei neofiti pieni d’ardore, grazia di riparare a tale scon­ annuncia che la presidenza del ma il più delle volte assoluta- cio: faccia togliere quella targa consiglio dei ministri — servizio mente incapaci. Gli allievi am­ da quel passaggio sempre deserto del teatro — ha bandito tra gli messi al Centro vengono seguiti che non ha alcun bisogno di in­ autori italiani un concorso per dagli insegnanti: classi di trage­ dicazione. E se ad Eleonora Duse un lavoro drammatico in più atti. dia, commedia, dizione e corsi di non si può intitolare a Torino « Lodevolissima l’iniziativa del­ educazione fisica, danza e scher­ una strada degna, se ne faccia la presidenza del consiglio dei mi­ ma, sono stati istituiti; come pu­ a meno. nistri di incrementare il teatro re, per i meglio dotati intellet­ * La « Compagnie du Marais » italiano, n curioso, però, si è che tualmente, vi sono corsi di lette­ di Bruxelles, formata di giovani il comunicato porta la data del ratura e storia del teatro. L’al­ attori, ma già esperti, ed i prin­ 7 gennaio 1947 e la data di sca­ lievo riceve, inoltre, un pasto cipali di primissimo ordine, ha denza del concorso è fissata alla giornaliero gratuito, ed il Cen­ esordito a Parigi, al Teatro del- mezzanotte del 10 gennaio 1947. tro ospita coloro che vengono da l’« Oeuvre», con la commedia Tre giorni di tempo. fuori e non hanno casa a Parigi. di Ferdinand Bruckner Gioventù « Tre giorni, a pensarci bene, Il Centro ha poi aggiunto alle malata. Titolo francese: Le mal sono un po’ pochi, anche per classi d’arte drammatica, dei cor­ de la jemesse. La singolare, cru­ Giannini o per Sacha Guitry ». si di scenografia ed intende an­ da e crudele opera di Bruckner, è stata accolta molto favorevol­ mente da una critica già a priori guardinga e riservata, e gli at­ SOTTOSCRIZIONE A FAVORE CASA DI RIPOSO ARTISTI DRAMMATICI tori hanno vinto la loro battaglia con tanta fortuna che i migliori Tra i sottoscrittori, segnati nella lista del fascicolo scorso, uno di — Raymond Rouleau, Jean Ser­ essi aveva desiderato mantenere l’incognito alla sua generosità. D. R. erano le iniziali di questo amico, e con quelle sole iniziali del vais, Solange Moret, Madeleine suo nome, per tutta la vita, aveva aderito ad ogni gesto di solida­ Ozeray, Tania Bachalova, Lucien­ rietà umana. Con dolore e grande rimpianto, abbiamo appreso che, ne Lemarchand — sono stati in­ improvvisamente, mentre era a Roma negli ultimi giorni dell’anno, vitati dai diversi teatri francesi ed in procinto di partire per Nuova York, in viaggio di affari, Delfo a non ritornare in patria e stabi­ Rivetti è morto. Ricordiamo ai nostri compagni beneficati la esem­ lirsi a Parigi, a Les Lettres Fran­ plare figura di questo grande industriale biellese, che ha onorato, con le opere e col cuore, la sua vita e quella dei suoi. E nell’ester- çaises » dando questa notizia in ■nare alla Famiglia il nostro profondo rammarico, a sua memoria ed neretto, aggiunge: Ecco dei no­ onore, la Reverendissima Madre Superiore della Casa di Riposo de­ mi che Parigi vedrà per molto gli Artisti Drammatici, farà dire una Messa in suffragio, nella Cap­ tempo su tutti gli striscioni mu­ pella della Casa stessa, in Bologna. rali teatrali. Ma pur perdendo, * Abbiamo fatto cenno, nel fascicolo scorso, come per iniziativa sia pure in modo così vittorioso, dell’amico Guglielmo Cortese, sia stato dato, a Roma, a villa Malta, i suoi migliori elementi, la « Com­ un ballo benefico a favore della Casa di Riposo, patrocinato dal Sindacato Attori di Prosa e dalla nostra Rivista. Abbiamo ringra­ pagnie du Marais » non si scio­ ziato i compagni che si sono, molto cortesemente, prestati alla riu­ glierà perchè, dice Raymond Rou­ scita della festa, ma abbiamo involontariamente omesso il nome di leau, il direttore: ” ho a Bruxel­ Salce, che Ha recitato in « trio » con Celi e Mazzarelli. Molta gra­ les, una riserva altrettanto eccel­ titudine anche a Salce, come a tutti coloro che hanno dato, con lente” ». Quest’« avventura » co­ spirito di solidarietà, la loro collaborazione. Primi, s’intende, Gu­ stituisce uno dei fatti più sor­ glielmo Cortese e Giuseppe Giacone, Segretario del Sindacato; poi Margherita Bagni; Memme Sacerdoti; Tullio Carminati; Camillo prendenti di una Compagnia di Pilotto e la signora Pilotto; l’ing. Huido Gatti, della Lux-Film, prosa giacché gli attori non han­ Pio Campa, il doti. Morandi; il comm. Spernanzoni; il doti. Sac­ no abbandonato il loro direttore, centi, Daniela Palmer. Seno state versate al 'prof. Re Riccardi, Pre­ ma si sono rimessi alla sua de­ sidente della Casa di Riposo, L. 100.833. L’incasso è stato di 161.500, cisione. Raymond Rouleau non ma le tasse, malgrado l’interessamento del Segretario del Sindacato, poteva che « consegnare la fortu­ (non sono state ridotte di un centesimo e perciò 43.619 lire le ha in­ cassate l’erario. Per l’orchestra, trasporti, biglietti, pubblicità, sono na » con le sue stesse mani ad state spese 17.048 lire. La direzione amministrativa di Villa Malta, ognuno di essi. E ci pare un gran generosamente, ha pagato la seconda orchestra e varie altre spese. titolo d’onore per la sua carriera Rinnoviamo il nostro ringraziamento e diamo il di insegnante artistico. DICIANNOVESIMO ELENCO «accolte dalla signora Rosalia ♦ Organizzata da Guglielmo Cor­ Rivetti, dai suoi amici: ino. tese, ed affidata all’amministra­ Raccolte dalla signora Maria Strona; comm. Adolfo Fila; Rosa Aymone Marsan: Wally dott.'Nino Saettone: Poppino tore Piero Monaldi, esordirà al Castelbarco Toscanini, lire Sozzi ...... L 5000 Teatro Excelsior di Milano, dopo 1000; Carlo Cravenna, lire Rosalia Rivetti...... » 5000 1000; Tullio Fossati, lire Maria Rosa Aymone Parsati, In la conclusione delle recite dì Lui­ 1000; Ing. Valtolina, lire memoria di Delfo Rivetti . » 5000 gi Cimara, una formazione ar­ 1000; Lilja Brignone, lire n Filo DRAMMATICO, gruppo tistica diretta da Luigi Almiran­ 1000; 'Luigi Cimara, lire sperimentale di Torino . . » 2256 1000; Corruzzi, L. 500; Signora Mari, in memoria di te comprendente oltre l’Almi- «uccia Lodigiani, i. 1000; Febo Marj ...... , 2000 rante, Margherita Bagni, Leo­ Camillo Ricordi, L. 1000; Per |a vendita del nostro « In- 'N. N., L. 1000; Pia Bas- dice fascicoli arretrati », nardo Cortese, Ernes Zacconi, sotto, L 500; Guido Van- per inserzioni in « Bibliote- Olga Villi. La Compagnia inizierà zetti, 'L 1000; N. N., lire ca » e piccola somme di let- 1000; Maria Rosa Aymone tori » 1930 le rappresentazioni con II buon Marsali, in luogo di fiori per Vittorio Gassmàn . . . . . b 1500 ragazzo, tre atti di Kennet Hor- ¡l’esordio di Laura Ad ani, al Compagnia di prosa della Radio Teatro Nuovo di Milano, di Torino (versamento di Di- ne; e darà, durante la perma­ L. 3500 ...... L. 15.500 cembre)...... » 1150 nenza in quel Teatro, Appunta­ Compagnia Buggeri-Adam: Rug- Vittoriano Sorarri...... » 1000 gero Ruggerì, L. 3000; Lau- Renato Perugia, in memoria dei­ mento a Senlis di Jean Anouilh; ra Adani, L. 2000; Luigi l’amico Mario De Vellis . » 1000 Gli indifferenti dal noto roman­ Visconti L 2000; Ernesto Un'amica per una Messa in suf- Calindri, L. 500; Galliam, fragio di Mali.|0 De Ve|,j . » 500 zo di Alberto Moravia; Partita a ¡L. 200; Alberici, L. 200; Oott. Alberto Bianchi . . . » 500 quattro di Nicola Manzari; La Pucci, L. 200; Volonghi, li- Graziano Levi...... » 500 migliore amica di Wan Duren; Il re 200; Riva, L. 200; Cap- Ivonne Cotti Copparo (Ferrara) » 500 ¡pellina, L. 100; Pelitti, lire Nico Pepa, e Clara Auteri . . » 400 cucciolo di André Birabeau. Sarà 100; Bonazzi, L. 100; Le- Giulio Trevisani...... j> 300 ripresa Candida di G. B. Shaw porani, 'L. 100; Moro, lire Gruppo d’Arte Indipendente di 100; Pandolfini, L. 100; Chiavari . . » 200 ,Pa;,^tÌV-Lre 100; Giovampietro, 10^ SPa.daJn L. 100; Per una ...Messa in suffragio di ^ lr-n Marchi, L. 100; Angelini, . » l 5?. iL. 100; Tommasi. L. SO . » 9650 Annibale Betrone...... » 100 ■Dott. Remigio Paone, della _ , . \ CQ e Sagit >, e « Spettacoli Er- Totale L 59.636 repi » per incassi serali con Totale preced. L. 956.693 biglietti di favore, al Tea- . ~ _ tro Nuovo dì Milano . » 5500 lOidlG L. I.Ulu»o29 BIBLIOTECA: NEL Dell’eccedenza al MILIONE, diremo al prossimo fascicolo, PROSSIMO FASCICOLO ca a morsi la gola del signorotto e CONCETTO Di trasporta fuori di scena la sua don­ na caricandosela sulle braccia. « Pare che si imbarazzino troppo se devono parlare. Allora siedono. Tutti, nomini e donne, fanno il ge­ IHB sto di grattarsi la testa. Cercano del­ -"L’attore — dice Hegel -— con le idee o dei pidocchi? Sono attori, tutta la persona, il viso, la fiso­ e agiscono. Sono gelosi gli uni de­ nomía, la voce, ecc. entra nell’opera gli altri — mi dice Lugnè-Poè — d’arte ed il suo compito è di iden­ come delle tigri. Spingono questa ge­ tificarsi completamente con la parte losia fino all’esibizionismo, e quan­ che rappresenta. Sotto questo rap­ do si presentano a ringraziare il porto, il poeta ha il diritto d’esigere pubblico, Grasse respinge verso d'1 che l’attore entri interamente nella fondo della scena, dii signorotto che parte che gli è assegnata, senza ag­ lo aveva frustato e schiaffeggiato: giungervi alcunché di suo, e che si una cosa che era già tanto penosa, comporti come egli ha concepito e rasenta ora l’incredibile ». sviluppato poeticamente il personag­ gio. L’attore deve essere, per così L’aggettivo « grande » non ha in dire, lo strumento dell’autore, una teatro lo stesso 'significato che al­ spugna che s’impregna di tutti i co­ trove: vuol dire solamente «di sta­ lori e li rende inalterabili. Il timbro TE R31 OC A U T E R IO tura mie dia ». della sua voce, la maniera di recitare, Teatro. L’autore ¡dice al critico : i gesti, la fisonomía, tutta la mani­ L’avv. Roberto Bellandi, Via Baia, — Fareste meglio a scrivere delle festazione esteriore ed interiore, esi­ monti, 10 - Roma, in data 16 dicem­ buone commedie. gono un’originalità conforme alla bre, ha inviato a noi questa lettera: — Anche voi — risponde il cri­ parte determinata. L’attore, infatti, « Spett. Direzione, bo avuto occasio­ tico. come uomo vivente, ha, sotto il ne di leggere il vostro fascicolo nu­ rapporto dell’organo, dell’esteriore, -•' A teatro la parola « corruccio » dell’espressione fisionomica, la sua mero 25 (15 novembre 1946) « Il si pronuncia con trentasei erre. originalità innata che è forzato sia Dramma » e francamente sono ri­ di cancellare per esprimere una pas­ masto eccessivamente deluso in spe­ ❖ Il direttore d’orchestra è sem­ sione od un tipo, sia di mettere cie per quella commedia « Caldo e pre un attore; i suoi gesti rispon­ d’accordo, con i tratti fortemente freddo » ! dono esattamente alla sua parte, si individualizzati dal poeta, i diversi E’ per questo che io mi permetto dà continui pugni nella cavità dello personaggi del suo ruolo». offrirvi la mia collaborazione alla stomaco, raccoglie una nota, fa quale voi corrisponderete, valutando «ssst!—» con un dito sulle labbra, il valore del mio lavoro e le condi­ si slancia, accenna comi un passo di I COLLABORATORI: MARIO APOLLONIO - FRANCE­ zioni del mercato monetario di que­ danza, dà una sciabolata all’orizzonte SCO BERNARDELLI - ANTON sto disgraziato periodo. con la punta della sua bacchetta, la­ GIULIO BRAGAGMA - ALES­ Incomincio coti una novità, vale scia cadere le braccia : ha finito. SANDRO BRISSONI - GINO CALMI - ERMANNO CONTINI - SILVIO a dire con due commediole futuri- '•' Qualcuno vuole aiutare Ruggeri D’AMICO - TERNA LO O DI GIAM- ste; riservandomi per dopo qualche MATTEO - DIEGO FABBRI - EN­ cosa di più serio. od infilare il soprabito. RICO FULCHIGNONI - LORENZO — Lasciate! lasciatomi fare! — GIGLI - STEFANO LANDI - Con distinti saluti. VINICIO MARINUCCI - VITO NOTA - Tutto 11 corsivo è sottoli­ •Lee. — E’ la mia sola ginnastica. PANDOLFI . FRANCESCO PA- neato nella lettera de’.l’aw. Roberto SINETTI - ENRICO PRAMPOLINI Bellanidi, via Raiamonti, lo - Roma. * Un papavero solo, nel mezzo di - GIORGIO PROSPERI - GIANNI un campo di erba medica; è impor­ PUCCINI - GIANNI RATTO - ♦ Le mogli degli autori, dicono : tante. In ogni Compagnia cìè un at­ LUCIO RIDENTI - RENATO SI- « Andate a cercare mio marito dopo tore che considera il palcoscenico MONI - ACHILLE VESCE. il secondo atto! E’ cosi nervoso! Mi ¡in campo di erba medica. sa porterete sue notizie ». A questo mo­ do esse dirigono le battaglie delle # Il Teatro è un mestiere nel qua- PAUL ARNOLD - JEAN-LOUIS le bisogna sempre ricominciar da BARRAULT - GASTON BATY - prime rappresentazioni : danno anche JEAN-JACQUES BERNARD - il segnale degli applausi, povere capo e dimostrare che si ha del ta­ JAMES BRIDIE - JVOR BROWN lento a della gente che non ne ha. - FERDINAND BRUCKNER - AL­ •donne, e qualche volta rimangono BERT CAMUS - PAUL VINCENT sole ad applaudire, ma in fin dei CARROLL - ALBERT CHARTRE - conti è .per loro che gli autori scri­ Proprietà artistica e letteraria riservata alla JEAN COCTEAU - FERDINAND Sirie. Ed, Torinese, Corso Valdocco, 2 - Torino CROMMELYNCK - FRANZ THEO­ vono le commedie. Ma?! E il tea­ DOR CSOKOR - ASCHLEY DU­ tro? E’ vero, l’avevo dimenticato: LUCIO RIDENTI KES - CHARLES DULLIN - T. S. Direttore responsabile ELIOT - SIMON GANTILLON - c’è anche il teatro' ». (Dal Diario dì ROSAMOND GILDER - NORRIS Renard: 1900). La Rivista non pubblica commedie non richieste HOUGHTON . KAREL KRAUS - dalia Direzione. I manoscritti non si restitui­ EDITH J. R. ISAACS - LOUIS 4* Jules Renard (Diario: 13 gen­ scono, e non si inviano risposte personali per JOUVET - GABRIEL MARCEL - ali articoli non pubblicati. Nei casi in cui per GEORGES NEVEUX - ANDRE’ naio 1908) « Giovanni Grasso sem­ OBEY - STEVE PASSEUR - ER­ bra un lupo. Taglia il pane con un impossibilità materiali non è stato possibile WIN PISCATOR - ROLAND PUR- colpo tremendo, pianta il coltello tener conto degli eventuali diritti di Editori e NAL - FIORA ROBSON - AR­ Autori, « Il Dramma » si riserva di regolare MANO SALACROU - JEAN PAUL nella tavola, si getta veramente ai con loro ogni eventuale eccezione. SARTRE - GB. SHAW - OSSIA piedi della sua amante, piange, spac­ (Pubbl. autorizzata A.P.B. - N. P. 313). THRILLING - HENRI TROYAT - NORMAN TWIST - JEAN VILAR - CHARLES VILDRAC. IL PRIMO NUMERO DI

SARÀ DEDICATO A

LITTORE

Un gruppo di uomini di primo piano nel Teatro europeo e americano, .> 1— cuni di essi attori prima di diventare maestri, espri­ mono i loro concetti, con­ cretano le loro esperienze sulla recitazione moderna in rapporto alla nuova ma­ teria drammatica; secondo la «tradizione», i metodi validi ancora veri, e le ne­ cessità della scena di oggi. Questi maestri si chiamano : Louis Jouvet; Jean Louis Barrault; Lucien Nat; Char­ les Dullin; Jean-Jacques Bernard; Jean Cocteau; Erwin Piscator; Flora Robson; J. B. Priestley, ecc.

Gli attori potranno riflet­ tere sulle loro possibilità ; coloro che vogliono diven­ tarlo, trarranno utile inse­ gnamento. Chi si .interessa di teatro, troverà la valida lezione per essere comme­ diografo, regista, sceneg­ giatore, ecc., poiché tutte queste attività fanno capo, •prima di tutto, all’ attore. «T» s~3 <2? «Q /W \«p Tpcvora/VYIQ cp

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COLLANA DELLE OPERE TEATRALI DI AUTORI DI RISONANZA MONDIALE DIRETTA DA LUCIO RIDENTI

TUTTO IBSEN IN Dell’ormai famoso volume IBSEN edito dalla SET, contenente le 15 opere più significa­ tive (dal 1862 al 1900) del Grande norvegese — nuovamente tradotte da scrittori e critici UN SOLO VOL UME di indiscusso valore — abbiamo conservato per gli amatori del libro e per gli appassionati NELL’EDIZIONE di Teatro, 500 copie in finissima carta di lusso, appositamente fabbricata, rilegate in mezza pelle, con fregi oro. La rilegatura è da « amatóre » ; ogni volume è differente, ha perciò DI LUSSO IN il pregio della fattura, pelle e carta diversa. Queste copie vengono stampate AD PER­ SONAM. Ogni volume, cioè, porterà il nome del compratore sul frontespizio e con le CARTA SPECIALE seguenti parole: «Questa copia è stata stampata per X... Y...». N U M E R A T A Ogni ordinazione deve essere accompagnata dall’importo di L. 1500 senza di che non si può nè stampare il nome nè eseguire la rilegatura. Tutte le richieste vanno E RILEGATA fatte esclusivamente alla Amministrazione della SET, corso Valdocco 2, o, per maggior D A A MA T OR E sicurezza e sollecitudine, fare i versamenti sul c/c postale intestato alla SET, n. 2/6540.