n.5 gennaio/febbraio 2013

magazine

Cinema Unchained Alla riscoperta del politico

SOMMARIO

EDITORIALI 5 L’ora del vero mentire 7 24 febbraio

APPROFONDIMENTI IL VOLTO DELLA POLITICA 9 Della forma politica. Note a margine 13 Fermo immagine 18 Werner - l’uomo lupo

COVER 21 Jessica Chastain. Lo sguardo alieno della grazia

CUORE SELVAGGIO OSCAR 2013 26 Film socialisme? 29 Un Oscar al presidente SOMMARIO

OSCAR 2013 Candyland 36 Una storia di immagini. Photogallery 33 degli Oscar 42 Chi vince e chi perde 46 Capolavori senza Oscar

FILM DEL MESE LINCOLN In principio era il verbo 51 Daniel Day-Lewis. Un attore per il 54 nuovo mondo Lincoln. Il controluce della storia 57

ULTIMI BAGLIORI Django Unchained 60 Cloud Atlas 62 The Master 63 Qualcosa nell’aria 65 Cercasi amore per la fine del mondo 69

FACES Nagisa Oshima. Ancora in fondo al pozzo 80 Audrey Hepburn. Dentro la favola della 72 vita FUORICAMPO 85 . Scorsese e il diabolico whisky formato TV n.5 gennaio/febbraio 2013 magazine L’ora del vero mentire Cinema Unchained di federico chiacchiari Alla riscoperta del politico Per una singolare coincidenza schiavitù; mentono entrambi i pro- quest’anno la notte degli Oscar tagonisti del film di Tarantino, cac- coincide con le Elezioni Politiche ciatori di taglie e di corpi d’amore, Sentieri selvaggi italiane, proprio mentre il cinema in un mondo dove la menzogna magazine americano dell’ ”era Obama” ha dei cappucci del KKK viene messa n.4 novembre/dicembre 2012 sfornato una serie di grandissimi alla berlina; e la menzogna è tut- film, come non accadeva da anni, ta dentro le pratiche della tortura Mensile di cinema e tutto il resto... che - con stili ed approcci diversi - degli americani nella loro caccia Ottimizzato per tablet 10” sono terribilmente e profondamen- a Bin Laden, così manifestamen- te politici. te raccontate dalla Bigelow da ri- Direttore responsabile Ed ecco questo numero che da tre sultare quasi “normali” - come se Federico Chiacchiari aree ben distinte - riflessione sul avessimo mai visto un Direttore Editoriale “politico”, speciale sugli Oscar, americano torturare qualcuno, al Aldo Spiniello Film del mese - si è ritrovato ad cinema! O uccidere donne disar- essere un multiforme contenitore di mate… -; mente il protagonista del Redazione parole e riflessioni su quei 4-5 film, film di Redford e tutti i suoi “com- Simone Emiliani, Carlo Valeri, quasi tutti candidati agli Oscar, che pany”, sfuggiti ad un passato rivo- Sergio Sozzo stanno illuminando il cinema del luzionario, mai rimosso eppure da Hanno collaborato a questo 2013: Lincoln, Zero Dark Thirty, nascondere; mente Ben Affleck nel numero Django Unchained, The Company suo gioco di ricostruzione di un fin- Massimo Causo, Daniele Dottorini, You Keep, Argo e, quasi sicura- to, ma che sembri vero, film, per Tonino De Pace, Emanuele Di Porto, mente, Promised Land, di Gus Van salvare gli ostaggi nascosti nella Leonardo Lardieri, Francesco Maggi, Sant. Sul perché sono film “politici” casa dell’ambasciatore nell’Iran Pietro Masciullo, Margherita Palazzo ci dilungheremo nelle prossime pa- della rivoluzione; mente, ma non gine, come pure sul come hanno vi raccontiamo troppo, anche uno Progetto Grafico Giorgio Ascenzi ridisegnato la geografia dell’im- dei protagonisti del film di Van maginario politico americano, con Sant, che ci svela la vera natura del Redazione una “potenza di fuoco” visiva, ma capitalismo, così ossessionato dal Via Carlo Botta 19, 00184 Roma. anche verbale, che non si vedeva risultato da non esitare a costruire Tel. 06.96049768 dai tempi della “New Hollywood”. dei veri e propri progetti di menzo- Mail redazione e amministrazione Tra i tanti temi e figure che emer- gna, per raggiungerli. [email protected] [email protected] gono quella che più ci colpisce, Siamo di fronte a un cinema che, forse perché così paradossalmente attraverso la menzogna, svela la Supplemento a messa in luce da questa assoluta complessità del reale. La menzo- www.sentieriselvaggi.it libertà d’espressione, è la menzo- gna non è sempre negativa, non gna. Tutti questi film vivono dentro è sempre “del nemico”, non è Registrazione del tribunale di Roma una piccola/grande menzogna, quasi mai “visibile”. Ma è sempre n.110/98 del 20/03/1998 e il mentire è parte integrante del eticamente discutibile. E l’etica si (edizione cartacea) n.317/05 del 12/08/2005 loro progetto narrativo (e politi- sposta dall’azione alla destin/azio- (edizione on-line) co?). Mente Lincoln, sul possibile ne. L’occhio del cinema guarda e tavolo di pace, come il senatore riflette sulla Storia, sapendo che il Thaddeus Stevens, per fare appro- Cinema è sempre finzione e la Sto- vare la legge che porrà fine alla ria è l’arte della menzogna.

5 Video 24 febbraio di aldo spiniello

Quando abbiamo iniziato a pensare a questo nu- Perché i film fanno politica. Sicuramente si getta- mero di Sentieri magazine, non riuscivamo a dar no a capofitto nella tempesta della storia, di que- forma netta a un’idea, da cui, d’altro canto, non sta storia d’oggi. Sì, se dovessi davvero pensare eravamo capaci di liberarci. Volevamo provare a a un’immagine di partenza di questo numero è fare un numero che s’interrogasse sul rapporto tra quella di Lincoln che si allontana verso il suo de- la politica e l’immaginario. Quanto la politica è stino, dopo aver dato corpo al suo disegno. ancora in grado di connettersi, attraverso l’imma- Lincoln riafferma davvero una democrazia della ginario, al reale, alla nostra vita concreta, i nostri parola, quella che ci sembrava definitivamente af- sogni e bisogni? Quale aggancio ha ancora con fondata con le navi da crociera di de Oliveira e di il suo pubblico, cioè con noi cittadini? Questione Godard? O è solo l’inizio di un’altra sfida, quella che ha a che fare, ovviamente, con le prossime di un dialogo da ritrovare nella confusione delle elezioni politiche del 24 febbraio. Chi, come, per- lingue e delle immagini? ché, quale altra storia riesco a intravedere dietro Lincoln, Zero Dark Thirty, Django, Argo e, ancora l’opacità del manifesto? Torna alla mente la pro- oltre gli Oscar, The Company You Keep e Promi- fezia di Debord secondo cui l’Italia sarebbe sta- sed Land si pongono, con una coerenza estrema, to l’avamposto dello spettacolo integrato. Com’è proprio nel punto di crisi tra la rappresentazione andata davvero? E come va oggi che il fuoco d’ar- e la vita, tra l’idea e il compromesso. Sono film tificio del “ventennio” sembra aver perso il suo politici perché ci costringono a scegliere tra l’or- splendore? Le domande restano lì, appese, vaga- dinaria finzione/funzione e l’ipotesi di un’altra re- no come nuvole di fumo nella confusione invo- altà. E non è un problema teorico. Riguarda la lontaria dei nostri “brainstorming”. Anzi, lo scolla- maledetta pratica del quotidiano, la magnifica mento evidente tra il grigiore di ogni prospettiva e condanna che condividiamo con tutti gli altri: re- l’orizzonte ideale rischia di diventare una zavorra alizzare la nostra storia giorno per giorno. Com- insuperabile, la pietra tombale di ogni altro pos- piuto il racconto, si resta soli come Lincoln, come il sibile discorso e sconfinamento. Ma ecco che la Tony Mendez di Ben Affleck, fuori “dal giro” come coincidenza con un altro evento pretesto, la notte Redford. Come tutti. Si esce in dissolvenza. Ma la degli Oscar, ambiguo e affascinante tassello di un democrazia della solitudine è forse il primo passo immaginario globalizzato, rilancia le suggestioni. verso un mondo mai visto. 7 Il volto della politica Della forma politica IL VOLTO DELLA POLITICA note a margine

di daniele dottorini

Due film hanno aperto il 2013 rilanciando con sospensione di alcune delle regole democratiche. forza uno degli interrogativi più urgenti in questa Ciò che è straordinario nel film di Spielberg è pro- fase di trasformazioni e smarrimenti; un interro- prio la capacità di raccontare un atto di fondazione gativo che riguarda il ruolo, la forma possibile, (Lincoln fonda la nuova costituzione degli Stati Uniti l’origine e il destino della politica. Fuori da ogni d’America) come racconto di genere (biopic, legal retorica demagogica e populista/qualunquista, il o political thriller) in cui tutto è affidato alla parola cinema USA anche quest’anno marca, con forza, affabulatrice, seduttrice, lenta e dalla pronuncia la sua capacità di creare sguardi e forme critiche quasi strascicata di Day-Lewis/Lincoln. La parola attraverso il lavoro infinito sui generi. Due film, dunque, la parola fondatrice, che si dissemina dunque: Lincoln di Spielberg e Zero Dark Thirty di nelle aule del parlamento, come nelle feste, nelle Bigelow, due film che raccontano la genesi, la fon- stanze della White House e nei comizi pubblici. La dazione della politica e la sua scomparsa, la sua parola che convince, seduce, trasforma un’oppo- dissoluzione. Il primo, con il suo teatro di parola sizione in un’adesione, un voto contrario in un voto (teatro cinematografico), che non si fonda su rego- a favore. La parola che tace solo nei campi lunghi le preesistenti – Lincoln non porta avanti la sua bat- o nelle lente panoramiche dei campi di battaglia, taglia appoggiandosi ad una sovranità democrati- degli incontri in campo aperto, là dove si concre- camente legittimata, ma basando la sua sovranità tizza il controcampo della politica, il reale, forse. sullo stato di eccezione dovuto alla guerra civile, Se Lincoln fonda una politica che trae da sé la che gli concede poteri straordinari e sancisce una propria sovranità (la democrazia fondata sulla

9 CUORE SELVAGGIO

sospensione della democrazia), il film della Bige- parola efficiente o di comando, operativa o ricat- low rovescia tutto questo, lo dissolve in un film che tatoria, interrogante o torturante, falsa o masche- racconta la fine della politica come orizzonte de- rata. Rimane il cinema, puro, straordinario, di una sertico. Nella caccia ininterrotta a Bin Laden, ciò delle registe americane più talentuose e lucide che conta è l’ossessione della sua cattura, non c’è oggi come oggi (basti pensare alle terribile e subli- spazio né tempo per ripensamenti, dubbi, ricer- me insieme sequenza dell’attacco delle forze spe- che ulteriori. Tutto è permesso, tutto è necessario ciali alla casa rifugio di Bin Laden, alle morti, alle per arrivare all’obiettivo finale. La figura fondatri- uccisioni atroci, il tutto secondo il timing e il ritmo ce, di garanzia del presidente scompare, rimane di puro cinema di una sequenza da antologia). un’ombra, uno spettro. L’unica volta che appare Fondazione e dissoluzione del politica, dop- è da uno schermo televisivo, in una dichiarazio- pia polarità entro la quale si muove il cine- ne pubblica in cui nega il coinvolgimento degli ma USA, con la sua forza di legge e di genere. USA in pratiche di tortura o di violazione dei di- Questa capacità, ricordata all’inizio, di legare ritti umani. Il team che sta discutendo della pros- strettamente la forma del genere alle trasforma- sima tattica per la cattura di Bin Laden si ferma zioni del politico è qualcosa che ha di fatto at- un attimo ad ascoltare e a vedere l’immagine del presidente, per poi tornare, un attimo dopo, alla discussione. Loro hanno torturato e compiuto atti che sospendono i diritti umani, ma non c’è alcuna politica in grado di legittimarli o sospenderli. Non esiste più una comunità che si configura contro un nemico da rendere concreto – è la teoria di Carl Schmitt – esiste solo il nemico, l’altro assoluto. In Zero Dark Thirty, Kathrin Bigelow mostra, se- condo la logica portata all’estremo del genere (il war movie, il detective movie), la dissoluzione del politico; nel deserto mediorientale o nelle stanze di Langley o Washington non circola la parola af- fabulatrice, seduttrice e fondante di Lincoln, ma la 10 IL VOLTO DELLA POLITICA traversato in mille modi la storia del cinema sta- messa in questione di tutto. Il cinema americano è tunitense, costruendo la sua epica e il suo mito. lucido e inquietante in questo, lo è sempre stato. Ma la riflessione può andare oltre, e chiedersi Ciò che il cinema italiano è riuscito a fare, nei come si configura, se si configura, una riflessione suoi momenti migliori, è proprio dare forma alla sulla forma politica nel cinema italiano contempo- propria concezione del politico: la politica è una raneo, che di fatto non ha (se non in alcuni mo- forma debole, e il potere è sempre diffuso, oscu- menti – come durante la stagione del cinema di ro, nascosto. Le figure del politico appartengono genere degli anni sessanta e settanta – e in una spesso alla tradizione del grottesco, genere feroce forma particolare soprattutto – la commedia) affi- a volte solo in apparenza, così come la commedia dato al racconto di genere la sua capacità di creare si muove e si è sempre mossa tra critica e accetta- immagini e sguardi critici sulla contemporaneità. zione del potere. Questa duplicità è la condanna Che ne è del politico, della sua dissoluzione o ri- e l’ambiguità della maschera, che rischia sempre fondazione, nel cinema italiano contemporaneo? di rivelare solo in parte e di accettare in fondo che In un cinema che non ha mai creduto nella forza il mondo sia governato attraverso le maschere e fondante della parola e tantomeno nell’ossessio- il carnevale. Allo spazio della parola e dell’osses- ne della macchina? Quello che il cinema USA rac- sione (i due poli del cinema americano) il cinema conta è la forza, la potenza di una struttura, di una italiano ha spesso contrapposto la festa e il carne- macchina che procede anche al di là di ogni so- vale, il funerale e il gran ballo, le maschere gioio- vranità chiara, sempre sospeso tra potere oscuro se e oscene del potere, che viene spesso mostrato e contropotere dell’individuo. Sarebbe interessan- come spazio vuoto, illegittimo, privo di sostanza te, in questo senso, avvicinare le figure simili, ma eppure reale. È lungo questa linea che si muove fino ad un certo punto, di Jessica Chastain in ZDT negli ultimi anni il cinema di Garrone (Reality) o di e Claire Danes in Homeland, la straordinaria se- Albanese/Manfredonia (Qualunquemente o Tutto rie targata Showtime: tanto la prima è totalmente tutto niente niente) o, per tornare un po’ indietro, assorbita dalla sua ossessione quanto la seconda l’imagerie grottesca di Sorrentino ne Il divo. A vol- basa la sua forza proprio sulla sua bipolarità, let- te tutto questo negli ultimi anni si è ripetuto però in teralmente: sull’essere, cioè sospesa tra la dedi- modo stanco, come un cinema di epigoni, che non zione alla causa (trovare il terrorista infiltrato) e la riesce se non in parte e in alcune schegge, singoli

11 CUORE SELVAGGIO

film o sguardi a rinnovare la ferocia e la profondi- importanti di questi ultimi anni, proprio perché la tà di sguardo che è stata di Fellini, di Ferreri o Pa- dimensione del politico che lo attraversa ha a che solini, di Ciprì e Maresco, di Moretti, di Monicelli. fare con i corpi collettivi di uomini e donne che Forse allora non è (o non è solo) lungo la linea hanno creduto di fondare o di poter fondare una del grottesco e della maschera che è possibile collettività, un nuovo soggetto politico. Un film che trovare i segni più importanti di un ripensamen- lucidamente disegna la ferita a partire dalla qua- to della forma politica nel cinema italiano, ma è le si costruisce la democrazia debole italiana e al lungo un’altra linea, più accidentata, meno visibi- tempo stesso ne rintraccia la forza (che non ha le nella sua continuità, dai contorni meno defini- a che fare con icone e fantasmi del potere, ma ti, che è – possiamo chiamarla così – la linea di con i corpi vivi dei soggetti che, almeno in alcu- un cinema del reale: la linea cioè che affronta la ni momenti hanno “fatto” storia). È lungo questa trasformazione della politica a partire dalle mu- via che si intrecciano allora le visioni. Non solo tazioni del reale stesso, dei corpi e dei soggetti le visioni di un cinema che rilegge il passato alla che lo abitano, di chi agisce o è impossibilitato ad luce della contemporaneità (è la linea di Belloc- agire al suo interno, una linea che non ha paura chio, di Buongiorno, notte come di Vincere), ma di confrontarsi con ciò di più sfuggente ed inde- è la linea di quegli autori che si muovono lungo finibile esista per il cinema (e per il pensiero): il il confine mai netto del cinema del reale, da Le- reale, appunto. Ma proprio la sua indefinibilità, il onardo di Costanzo a Stefano Savona, da Felice suo mistero, fa sì che il legame dei soggetti con il D’Agostino e Arturo Lavorato a Paolo Pisanelli, mondo possa essere lo spazio attraverso cui mo- da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti a Giovan- strare un rapporto debole tra soggetto e comuni- ni Cioni, Pietro Marcello, Bruno Oliviero e molti tà, un rapporto problematico con lo spazio della altri nomi di un cinema senz’altro vivo e aperto, politica, quel sentimento debole dello Stato che ha consapevole e teorico, oltre che poetico. Perché tra l’altro attraversato la storia di questo Paese. la forza di questo cinema è nel rintracciare quei Una linea rosselliniana questa, aggiungiamo, legami deboli ma vivi che costituiscono il territorio perché è Rossellini il cineasta che di fatto ha inau- politico di un immaginario. Legami frammentati gurato uno sguardo o lo ha rilanciato con forza e dispersi, moltiplicati nelle tante realtà che co- nella modernità. Ecco allora tornare alla memoria stituiscono il nostro Paese. Ma legami che costi- altri esempi, altre visioni che forse possono indivi- tuiscono la diversità, l’anomalia forse, senz’altro duare i tratti salienti di questa linea. La memoria la peculiarità di uno sguardo che rintraccia la scorre nel tempo e ritrova le immagini di Noi cre- forma politica nel dettaglio e nella diversità, più devamo di Mario Martone, uno dei film italiani più che nella macchina o nella forza della parola. 12 fermo IL VOLTO DELLA POLITICA immagine di massimo causo

Sono al volante della mia auto, in città. tica della canzone in sé, una cosa come questa Supero il piccolo cantiere aperto dalla squadra non sai nemmeno come scriverla, senza inciam- di tecnici comunali, intenta ad issare uno di quei pare tra tautologie e pleonasmi (“la cosa”: rileg- tabelloni destinati alla pubblicità elettorale, che go e penso che, a sinistra, tutto sommato siamo nei nostri borghi siamo abituati a veder montare rimasti all’indicibile comunicativo ideologico di e smontare con frequenza all’incirca semestrale quei tempi là...). Mi consolo scoprendo che, come (fare e disfare: mia nonna l’avrebbe definita “l’ar- me, gli ascoltatori di Radio Capital, interpellati dai te dei pazzi”). conduttori, avrebbero scelto piuttosto People have Sospiro: ci risiamo! the power, poi però penso che, tutto sommato, la Ai microfoni di Radio Capital, intanto, il “fuoco canzone di Patti Smith sarebbe adatta anche ai amico” dell’etere di Repubblica sbeffeggia (e dagli pentastellati furori di popolo dei grillini e realizzo torto...) la scelta di Bersani di Inno di Gianna Nan- una volta di più che, alla fine della fiera, è tutto nini come inno della campagna elettorale del PD: un bel pasticcio. Non sarà un caso se, a livello di a parte la mesta paccottiglia protoneopostroman- sistemi comunicativi, questa campagna elettorale 13 è sinora una delle più povere di idee e squallide per qualità dei contributi che si sia vista nel nostro paese. Roba da far rimpiangere i santini che ti in- golfavano la buca delle lettere... Del resto, siamo pur sempre nel paese in cui le campagne elettorali confliggono con il Festival di Sanremo: spostiamo le elezioni o spostiamo il festival? Ai massimi livelli istituzionali se n’è di- scusso seriamente, sapete, mica era una battuta di Crozza. Il che dice pur sempre qualcosa sul gioco comunicativo che le consultazioni elettora- IL VOLTO DELLA POLITICA li innescano, una sorta di cortocircuito mediatico tra programmi, volti, satira, comunicazione istitu- zionale, propaganda di partito, omelie vescovili, chiacchiere da talk show. Notano gli osservatori che questa volta mancano i comizi: un po’ tutti i politici virtualizzano la loro comunicazione, niente più bus itineranti, strette di mano, bagni di folla. Fa eccezione il masaniel- lo Grillo, che, salvato dalle acque dello stretto di Messina e in perfetta tenuta messianica, si fa car- ne nelle piazze reali dopo essersi autogenerato da grattarsi l’America... Ma si direbbe piuttosto (non creato) nella piazza virtuale del web, della che il concept generale della campagna del PD stessa sostanza del padre Casaleggio, uno che di lavori proprio sull’idea di un partito che guarda posizionamento in rete se ne intende. in faccia la realtà e pratica la coerenza. A iniziare Certo è che, collocandomi a sinistra, la malinco- dal fatto che, se ho bisogno di un inno scelgo una nia che mi lascia in cor il duo tosco-emiliano Nan- canzone che si chiama Inno, inutile sprecare tem- nini-Bersani, qualcosa me la dice: lo so, voi perfidi po e royalty. Pazienza se poi comunico qualcosa state pensando alla connivenza con la sfiga del che ondeggia tra malinconici ricordi (di che?) e povero Pier Luigi, che, alla vigilia del pasticciaccio vento che soffia (da dove? verso dove?) e vita che brutto di MPS, s’è andato a scegliere come inno la torna “nel freddo che sarà, sei vita quasi libertà”... canzone di una rockstar senese, sì insomma, roba Il messaggio è l’umore, evidentemente, la retta via

14 IL VOLTO DELLA POLITICA è smarrita e allora ci si affida alle sensazioni, inuti- le prendere appunti sulle agende, meglio piuttosto guardare alle emozioni suscitate dai ricordi e dal- le attese. L’abborracciato video che accompagna l’Inno è una sorta di casus belli comunicativo tra la retorica di partito (bandiere che sventolano, bagni di folla, abbracci di militanti, strette di mano coi notabili del PD, foto istituzionali...) e l’umanesimo del leader (così bene sdoganato da Crozza), col suo sorriso ponderato, con la parabola a portata di battuta, con la “brava gente” che si rimbocca le maniche con pragmatismo di rimonta da anni ‘50. “L’Italia giusta”, dice lo slogan... In questo senso, il ritratto di famiglia in bianco e nero davanti al distributore Esso del papà, che campeggia in cima alla biografia di Bersani, indi- cizza molto bene questa traccia da realismo italia- no che il PD vuole imprimere alla sua campagna, un po’ Ossessione un po’ Il grido, anche se poi è Tornatore ad esser preso a prestito per sbeffeg- patti con l’assurdo di una angoscia che inficia la giare La migliore offerta quotidiana del televen- dolcezza dei due momenti di vita d’amore. Ango- ditore Berlusconi ed è Luca Miniero, benvenuto a scia che, a ben guardare, è il vero prodotto spon- Nord e Sud, a sedere sulla sedia del regista de Il sorizzato dai due video, come a dire: hai voglia bacio e Il parto, i due spot del PD che fanno un po’ tu di innamorarti e fare figli, ma guarda che hai di cinema in questa campagna elettorale. Anche da sudare, penare, pagare... Il momento storico qui l’immaginario è da starter familiare, prodromi impone onestà da pater familias, non volgarità da di una lunga vita da affrontare con coraggio e imbonitore: di questo al PD va dato atto. La ma- determinazione, pazienza se bisogna scendere a linconia del ricordo cantato in coda dalla Nannini

15 dei contributi è bassissimo anche per i partiti più grandi, un po’ ovunque si tende a lavorare sullo smascheramento della menzogna altrui e la nar- razione che viene fuori non è di un paese o di un mondo, ma di un sistema politico che davve- ro non sa più guardare alla realtà, nemmeno ora che quella realtà gli esplode sotto i piedi. La campagna del PDL, per esempio, persegue la prassi masturbatoria della personalità del leader reiterando con esilarante (e terrificante) fedeltà concetti/slogan che dalle origini della sua “di- IL VOLTO DELLA POLITICA scesa in campo”, alla salita sul predellino (Meno male che Silvio c’è), sino all’attuale resurrezione, restano sempre tali, basati su una comunicazione meramente pubblicitaria e prettamente ideologi- ca, nel suo essere strutturata su una concettualità (“mi ricordo di te”) è, del resto, l’offerta speciale monolitica, avulsa dal contraddittorio nel suo es- della promessa di un futuro radioso, dalla lonta- sere verticistica. Ovviamente il populismo impone nanza del quale potremo ricordare con un sorriso da un lato una sovrabbondanza di “gente”, un’in- le nostre paure di oggi... Ruvida finezza di una vasione di sentimenti in carica emotiva, un’esclu- campagna che per il resto lascia poco spazio ai sione del nemico, che viene indicato per allusione giochi subliminali, alle allusioni. e espulso da quel sogno di benessere orgiastico Anche a guardare gli altri schieramenti, è tutto un che vorrebbe inficiare. In quest’ultima campagna, lavoro comunicativo da bassa macelleria pubbli- se possibile, il culto della personalità è ancora più citaria. A parte il fatto che (sarà la fretta, sarà la esposto e radicato, diffuso in una miriade di spot scarsità di mezzi economici) il livello qualitativo che si basano sull’immagine di Berlusconi, fissan-

16 IL VOLTO DELLA POLITICA dola tra l’altro più che in immagini in movimen- schermo pieno, a illustrare le parole del leader. to, in scatti singoli alternati con effetto slideshow Del resto, che questa sia una campagna a corto di sull’enfasi degli inni che reggono il pathos della idee innovative, lo dimostra il fatto che persino Sel, comunicazione. Un fermo immagine che neutra- per tradizione molto avanti quanto a sistema co- lizza lo scorrere del tempo, quasi ad eliminare municativo, si aggrappa per il suo spot non a una l’effetto rebound del déjà vu delle passate campa- dimensione reale, concreta, piena, ma al rimando gne: è tutto già stato detto, mostrato, visto, basta di una virtuale comunity web che gioca a Ruzzle far scorrere l’album della memoria per ricreare su uno smartphone molto stilizzato e fa scadere il il feeling, per ritrovare i momenti dell’innamora- tempo componendo i nomi dei soliti noti . mento tra il popolo e il suo duce. Direte: e Mario Monti? Al momento, a livello di Va detto, però, che questo della mancanza di mo- spot risulta non pervenuto... vimento, delle immagini fisse, tra foto, diagram- mi, didascalie... è un elemento che accomuna NOTA significativamente un po’ tutte le campagne di queste elezioni. Oltre che per quella del PDL, vale Rimandiamo al sito www.archivispotpolitici.it anche per quella del PD (lo spot di Inno né è pieno che propone il prezioso lavoro di raccol- zeppo), ma persino una forza come il Movimento ta, catalogazione e diffusione on line degli 5 Stelle, che, vista la sua natura populistica e “di piazza”, pure potrebbe ambire a una dimensione spot elettorali italiani realizzato nell’am- più corale per l’immagine della sua comunica- bito di un progetto di ricerca dell’Uni- zione, ci si affida con esiti davvero semplicistici. E versità degli Studi di Roma Tre. Sul sito quando non lo fa, come nello spot elettorale alle- sono disponibili in streaming gli oltre stito da M5S Piemonte, piuttosto che puntare sul- 450 spot politici raccolti dal gruppo di la flagranza della realtà, si affida alla voce fuori lavoro, prodotti in Italia dai partiti e dai campo di Grillo che argomenta le sue posizioni principali soggetti politici e istituziona- contro la “casta” alternate a generiche immagini li a partire dagli anni Settanta ad oggi. di repertorio ambientale o a didascalie sparate a

17 Werner l’uomo lupo di leonardo lardieri IL VOLTO DELLA POLITICA

Stavolta non si tratta di Werner Herzog, anche se e i propri contrari, l’amore dell’unificazione che il titolo richiamerebbe istintivamente alla memo- conservi la propria specie. Ma il mondo intorno a ria il suo cinema visionario, di storie ai limiti della sé, quello più “sensato”, ha lasciato le primalità in ragione umana. Questa volta non ancora, maga- forma impura, sempre più frammiste con l’impo- ri chissà… Werner, l’uomo lupo, ulula nella notte tenza, insipienza e l’odio, e aggiungeremmo una ma non ha quattro zampe. È un ex paracadutista bestiale indifferenza. Werner Unchained, ricorda dell’esercito tedesco, che dal 1972 dorme, man- Django, bastardo in gloria, digressivo, irriveren- gia, caccia e gioca con e come i suoi amati lupi, te, brutale, profano. Sfacciatamente inaffidabile che lo riconoscono come capobranco. E come e tremendamente serio, senza nulla togliere alla ogni leader che si rispetti, quando si tratta di man- giocosità. Ma quella stessa frammentarietà, che giare è il primo a cibarsi della preda, strappan- l’illusione cinematografica da tempo tenta di libe- do la carne cruda con i denti per ricordare la sua rare, è fatta quindi non tanto dalla storia, ma da autorità, per poi lanciarla agli altri lupi che se ne storielle, aneddoti, fatti isolatamente straordinari, ciberanno seguendo la gerarchia del branco. Non manifestazioni impure che uniscono l’immanen- lascia le briciole, ma opera secondo le “primalità za alla trascendenza. Quelle stesse storielle rac- dell’essere”. Potenza dell’essere e dell’agire, sa- contate, senza tregua, da Lincoln, curvo sull’im- pienza per una sensibilità universale con se stessi maginario in controluce, testimone che consegna 18 IL VOLTO DELLA POLITICA

la parola, la suspense, all’azione, che sia chiu- esprime col linguaggio del grottesco tarantiniano sa e immobile nella sala telegrafista o libera di e fa nascere un apologo, una favola allegorica espandersi nel vecchio sud, dove i cacciatori di o, sotto l’apparenza della farsa, una satira tra- taglie raccontano di Sigfrido e Brunilde (l’amore gica e atroce. Una mascherata da trivio imposta di Django). Altra storia nella storia, altro mito wa- ai valori astratti, morali e religiosi dell’umanità. gneriano che trapassa la “psicogeografia” del ge- La situazione che ci racconta è di quelle, al limite nere, trasudante e colma di passione. Proprio da del possibile eppure credibilissime, paradossale quelle storielle bisognerebbe ricostruire il nostro risvolto di quella società claustrofobica e piena immaginario, pazientare e ascoltare, dimenticare di convenzioni che Werner ha saputo scardinare il tempo, almeno per un attimo, anche se il tempo pezzo dopo pezzo, affondando i suoi denti nella è soprattutto attimi, ancora una volta frammen- carne predata, nella società che pratica una falsa ti. Nelle storielle potremmo incontrare o ritrovare onestà, che in apparenza accetta le norme comuni il nostro eroe, la nostra strada, o semplicemen- e in segreto le trasgredisce. Ma di Werner, Djan- te l’ideale di libertà. Lavato via il sangue, resta go e Lincoln, questa società ne avrebbe davvero solo inventare una nuova storia, ancora un’altra, bisogno? A febbraio, dopo Sanremo, muore la magari che abbia tra gli interpreti un io simboli- (passata) Repubblica, il canto del cigno diretto da co da sopraffare per rompere le catene appunto, Monti, Bersani e Berlusconi, lo spread, la piadina quelle dello Zio Tom nero, servile e diabolico, il e la mela marcia, morsa da Adamo e molti altri domestico della “Casa Bianca” Stephen (Samuel milioni di italiani. Muore la passata Repubblica, e L. Jackson). Così, ma questa storia è stata già rac- la nuova cerca il suo leader, che neanche l’imma- contata, Sigfrido potrà giungere infine di fronte al ginario cinematografico può stavolta inventarsi. cerchio di fuoco e attraversarlo. Vede la figura in Potrebbe però, sempre l’immaginario cinemato- armatura che giace addormentata, e dapprima grafico, immaginare la morte del passato, proprio pensa che sia un uomo. Ma, dopo che ha rimosso perché della morte, alcuni credono, non si può l’armatura, si accorge che si tratta di una donna. fare esperienza, perché fuori dalla vita. Ma dentro Quella vista per lui sconosciuta lo colpisce, non lo schermo, la morte ritornerebbe in vita, perché sa cosa fare, e per la prima volta nella sua vita capace di contenere la condizione umana. Essere sperimenta la paura. Bacia Brunilde, svegliandola nel cinema, è “essere nel mondo” e quindi “essere dal suo sonno. Dapprima esitante, Brunilde è poi nella morte”. Morire la propria morte, solo al ci- vinta dall’amore di Sigfrido, e rinuncia al mondo nema è possibile. Smascherare la società terapeu- degli dei. Insieme, i due cantano “l’amore lucente tica di realtà virtuali, disarmare la realtà della fine e la morte ridente”. Django, Werner, Lincoln, l’uo- o della morte, buttando un pesciolino rosso nello mo, la bestia e la virtù, tre anime e una grande scarico, perché non c’è cosa più terrificante, oltre opera. La drammaturgia di Spielberg incontra e si la morte del corpo, del morire della luce. 19 EDITORIALE Jessica Chastain Lo sguardo alieno della grazia COVER di pietro masciullo

Video

Nei titoli di coda di The Tree Of Life Jessica Cha- de gli occhi, dissolvenza in nero, creazione. Dopo stain è presentata solo come Mrs O’Brien. Non ha questa lunghissima sequenza ritroveremo non a un nome. E, di fatto, non ha neanche un cogno- caso il suo volto sorridente di giovane sposa. È me: O’Brien è acquisito dal marito interpretato da nata la Grazia. Brad Pitt. Pertanto: chi è Jessica Chastain per Ter- Chi è Jessica Chastain per Al Pacino? La seduzio- rence Malick? È una voce innanzitutto, che dà for- ne sfrenata, incondizionatamente bella e violen- ma all’informe ed enigmatica presenza che apre ta dell’irresistibile Salomè rivista da Oscar Wilde. il film. “Mother”. È la madre, il femminino sacro, “There is Jessica Chastain, who I really believe is la via della grazia che “non mira a compiacere se the only reason I made the movie” dichiara Pa- stessa, accetta di essere disprezzata, dimenticata, cino nella conferenza stampa veneziana del suo sgradita”...ma dai cui occhi tutti noi (spettatori) bellissimo Wilde Salome. Il corpo sensuale e per- iniziamo a guardare. A un’attenta ri-visione del formante in scena (danza, canto, dizione perfetta) film di Malick sembra che il fluido smottamento della giovane attrice calamita letteralmente ogni temporale e spirituale si produca nel solo sguardo inquadratura dell’happening teatral/filmico di Pa- di Jessica Chastain: i celeberrimi e dibattuttissimi cino, che da vecchia gloria hollywoodiana le pre- diciotto minuti dell’alba dei tempi iniziano proprio annuncia un destino segnato: “appena l’ho vista nello sguardo interrotto di Mrs O’Brien che chiude ho pensato che fosse quella giusta, dovevo averla gli occhi disperata per la morte del figlio. Chiu- prima che il mondo scoprisse le sue potenzialità”. 21 In basso Wilde Salome

Potenzialità di un corpo alieno e performante che profondamente lo stile di vita di Jessica), all’inizio produce Cinema con la sola presenza in scena. della sua carriera cinematografica. Una carriera Ecco, sono queste le due polarità che caratteriz- che dopo brevi apparizioni in importanti serie Tv zano Jessica Chastain: lo sguardo associato a come E.R., Veronica Mars e Law and Order, spicca un viso dagli aggraziati lineamenti botticelliani in il volo verso il grande schermo con il ruolo da pro- un corpo minuto, sensuale e performante che è il tagonista nel film indipendente Jolene che le vale perfetto strumento di una tecnica d’attrice frutto di il premio come miglior attrice al Festival di Seattle. un intenso e duraturo training tra danza, teatro, Una piccola ma significativa parte nel film Il De- canto. Jessica N. Howard nasce a Sonoma, Nord bito di John Madden e poi la consacrazione defi- California, nel 1977 e all’età di sette anni viene nitiva al Festival di Cannes 2011 dove è presente folgorata da una rappresentazione teatrale di un con due dei film più ammirati, discussi e premiati: COVER musical di Andrew Lloyd Webber che vede insieme Take Shelter di Jeff Nichols e ovviamente The Tree alla nonna. Come ha recentemente dichiarato, tra of Life, l’attesissimo ritorno alla regia del maestro le lacrime, alla consegna del Golden Globe vinto Malick che vince la Palma d’Oro. quest’anno per Zero Dark Thirty: “fare l’attrice è Dalla creazione di Malick all’apocalisse di Nichols: stato il sogno di tutta la mia vita, anni e anni di i deliri paranoici di in Take Shel- provini e lotte per arrivare a questo momento”. Di- ter possono essere percepiti, compresi, sentiti da plomata a Sacramento, una borsa di studio della noi spettatori solo perché filtrati dal punto di vi- Julliard School le apre le porte di New York dove sta altro di una moglie fedele e ferita che lotta farà parte per anni del Drama Division’s Group per una pace sentimentale. E si percepisce tale 32 che le consente una robusta carriera teatrale controcampo anche grazie ad una stupefacente e in film studenteschi/sperimentali. Cambia co- naturalezza recitativa, con tempi di azione/reazio- gnome, in Chastain, acquisendo quello da nubile ne in scena così intimamente cinematografici da della madre (una chef vegana che ha influenzato ricordare le performance di una delle più grandi

22 FACES

attrici americane di sempre: Gena Rowlands. Pro- prio come la divina signora Cassavetes, Jessica Chastain riesce a esprimere un’endemica grazia anche in personaggi difficili, a volte sgradevoli, sempre complessi e umanissimi nel loro travaglia- to arco di trasformazione. E proprio come Gena la sua carriera è costantemente ai “bordi” di Hol- lywood, dividendosi tra grandi produzioni, teatro e progetti indipendenti. Una filmografia, ancora breve, che denota già una sottile indagine sui Miti e sulla Storia d’Ame- rica: il suo è anche un viaggio d’attrice attraverso i generi. Dal melodramma classico The Help, al noir malato Le Paludi della morte, dal gangster neoclassico Lawless al war movie ri-formato ai Video tempi della guerra al terrore Zero Dark Thirty. I suoi personaggi, principali o di contorno, evoca- no sempre uno sguardo alieno e da prospettive scentrate rispetto al contesto: in Lawless è Mag- gie, una splendida e sofisticata donna di città che piomba nel paesaggio rurale della Virginia degli anni ’20 e si insinua in una famiglia “mitica” di rudi contrabbandieri di alcool ai tempi del proibi- zionismo. Lei diventa l’unica ragione di fuga senti- mentale per lo statuario Forrest di Tom Hardy, che non osa sfiorarla e la brama solo da lontano. Da altre “stanze”, da un altro cinema… ma Maggie frantuma gli equilibri di genere (classico) e ribalta la prospettiva in una splendida sequenza dove un campo-controcampo, da stanze separate, produ- ce il muto scambio di sguardi. Ed è lei che irrom- pe, nuda ed eterea, in camera di Forrest pronun- ciando una frase quanto mai rivelatoria: “volevi passare il resto della tua vita a guardarmi?”. Stessa dinamica nel melodramma di Tate Taylor

23 COVER

The Help dove il panorama del profondo Sud il terribile fantasma delle torture che deve “guar- americano, a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, è abi- dare” e avallare, produce dilemmi in noi spettatori tato “canonicamente” da personaggi archetipici: al di là di ogni Storia. Fascinazioni e turbamenti bigotte signore razziste e orgogliose cameriere di che hanno a che fare con un linguaggio primo. colore vessate dalla società. Quello di Celia Foote Insomma, proprio come Terrence Malick, Al Paci- (ruolo che varrà a Jessica Chastain la sua prima no o Tate Taylor…anche Kathryn Bigelow sa bene candidatura all’Oscar come miglior attrice non che il corpo/sguardo alieno di Jessica Chastain protagonista) è di gran lunga il personaggio più produce Cinema. Semplicemente. complesso e interessante del film. Una scheggia impazzita e senza regole che appare istantane- In alto: Zero Dark Thirty amente aliena(ta): presenza “volgare e abietta” In basso: The Tree of Life per gli altri personaggi, da tenere al margine del- Nella pagina precente la comunità, ma che riesce a sprigionare infinito Foto grande: Lawless candore ed empatia in noi spettatori. Una fragilità Foto piccole, dall’alto in basso: The Help, esibita che ricorda gli ultimi personaggi interpre- Le paludi della morte, Jessica Chastain ai tati da Marilyn, tragicamente fuori dai suoi film e Golden Globe totalmente dentro il personale dramma di donna/ icona americana. E poi, ovviamente, il ruolo della vita in Zero Dark Thirty. Ancora una volta (esatta- mente come per Maggie o per Celia) il personag- gio di Maya non ha un passato: non sapremo il suo cognome, dove vive, cosa le piace, chi ama. Semplicemente irrompe nel film e negli equilibri codificati e deraglia le prospettive: il duello di una Nazione intera contro l’Immagine del Terrore in- carnata da Osama Bin Laden diventa lentamente un duello privato, senza spazi o tempi riconoscibi- li, quasi metafisico, solo tra Maya e il suo terrore. E lo scontro, il crash, che si produce tra l’innata grazia che anche questo personaggio sprigiona e 24 Oscar 2013 Film socialisme? di aldo spiniello OSCAR 2013

Qualunque cosa accada, una cosa gli Oscar di caso, il dia, quella parola non è in grado di pas- quest’anno già l’hanno detta. Dopo gli anni del sare ancora attraverso gli altri, modularsi e fon- grande riflusso, della nostalgia passatista, del dersi a partire da altre voci che non siano quelle trionfo strategico della scrittura e della costruzio- del potere (i soldati, in fondo, ripetono il discorso ne a tavolino, culminati nella vittoria di The Artist, del presidente). C’è semmai il sofismo dell’anti- l’America riscopre il presente e, forse, il futuro. logia, ma quella parola manipolatrice, quell’af- Gli Oscar di quest’anno pongono il problema di fabulazione che si muove per figure retoriche e un’altra forma delle cose e ridiventano una rifles- infingimenti è sostanzialmente un prologo, una sione sulle prospettive e risposte della politica ri- decisione a monte. O una semplice premessa. spetto alle sfide della contemporaneità. Perché stabilita la libertà, resta da realizzare l’u- Il balbettante, incerto discorso del re diviene il di- guaglianza, miraggio evanescente appena perce- scorso di un presidente sommerso, assorbito dalla pibile nel campo lungo del futuro. La “menzogna” folla, ridotto a un punto nel quadro del tempo, cui è costretto Thaddeus Stevens, per un’esigenza eppur ancora capace di far sentire la sua voce. tattica che non appartiene alla sua indole e so- In Lincoln Spielberg fonda ancora una comunità, prattutto alla sua vita (l’uguaglianza, in fondo, dopo le macerie della guerra civile, sulla parola, l’ha già realizzata a casa, nel calore del suo letto), sul potere arcano del Logos. Ma manca, in ogni assomiglia ben più a una verità: “sì, gli uomini 26 Nome. Il vero nome del premio è Academy Award of Merit. L’appellativo Oscar ha in- vece origini controverse. Secondo alcuni fu un’impiegata dell’Academy of Motion Pictu- res Arts and Sciences, Margareth Herrick, a lasciarsi andare a una similitudine fra la sta-

tuette e l’aspetto estetico di un suo zio chia- OSCAR 2013 mato Oscar. presidente, costringendolo ad abitare le stanze oscure della propria solitudine, ne elide l’imma- gine, rimette in discussione le forme spettacolari del suo potere e lo obbliga ad agire nell’ombra. La macchina, per funzionare bene, non deve fare rumore. O, forse, l’idea è qualcosa che ha valore solo se si traduce nella concretezza delle cose, ben oltre il vuoto empireo delle forme senza sostanza. Solo se fatta carne, se tradotta nel mondo, può davvero penetrare anche l’immaginario. Le libere associazioni del maestro Lancaster Dodd sono dei vaneggiamenti imprigionati nella quarta dimen- sione di un mondo fuori dalla realtà. Lincoln, in- vece, è Lincoln, innanzitutto perché ha abolito la schiavitù. Non perché ha pronunciato il discorso di Gettysburg. non sono ancora uguali”. In ogni caso, c’è ancora fede nella possibilità del Se davvero si vuol leggere Lincoln come un film Mito di fondare la storia. E, allora, diviene di col- obamiano, bisogna almeno convenire che, più po ammissibile che sia il Mito stesso a riformu- che una glorificazione o una rappresentazione del larla, a cambiarla, a rimetterla in sesto. Le fanta- presente, Spielberg pone una questione di princi- scientifiche Argonautiche di Ben Affleck, B-movie pio, un problema e un programma per il futuro. assurto a piano d’emergenza, realizzano l’esfil- Ridimensionando la presenza pubblica del “suo” trazione dal carcere della realtà, fino alla libertà

27 dell’invenzione impossibile, della rimessa in gioco norme (in tutti i sensi) Quentin rimane comunque dell’imprevisto nella permeabilità di una messin- nostalgico del figurativo, si aggrappa ancora alla scena sempre perfettamente riadattabile. Ma ri- potenza delle icone o alla residuale permanenza mane il problema fondamentale. Chi o cosa ha in di alcune figure di un immaginario al tramonto. mano le fila della storia? Chi narra e perché? La Sembra intuire la necessità di una rivolta totale, voce narrante corrisponde o no all’attore? Forse è quando comincia, magnificamente, a perdere l’Editore a far la letteratura, mentre Tony Mendez tempo. E quindi lascia intravedere la possibilità resta un anonimo agente. Rimettere in discussione di un tempo diverso. Ma dimentica, poi, di can- la struttura del mondo significa svelarne le con- cellare l’unica cosa che dovrebbe far esplodere, nessioni segrete, liberare altri punti di vista e rac- ben oltre il set, che comunque, suo malgrado, re-

OSCAR 2013 contare un’altra storia. Nella sostanza e/o nella sta un fantasma del reale: l’affascinante dittatura forma. dello spettacolo. Proprio quello che nega, invece, Lincoln e Zero Dark Thirty possono davvero esse- Redford, che rimette in discussione la propria im- re considerati due film speculari. In uno c’è una magine e arresta il plot in una fuga a perditempo. parola fondante, in un altro c’è la sua dissoluzio- Nulla torna. Quindi, la perfetta ciclicità di un ne, nella terribile ed esasperante deriva dell’azio- mondo-macchina che ambisce all’eterno è una ne. Eppure sembrano, da fronti diversi, condurre pia illusione. Sì, è Redford, probabilmente, l’O- in un certo senso un’unica battaglia contro una scar di un cinema (eccola qui la parola!) davvero forma spettacolare comune, contro un’imperante unchained. Peccato non sia candidato. La sua po- economia della narrazione, dei sentimenti e delle litica è anonima. Come la nostra. idee. “Devi essere ancora capace di stupire” dice Thaddeus Stevens ai suoi accoliti. Ridefinire cioè Origini. La prima edizione datata 1929 in- la linea dell’orizzonte. La politica come costante coronò il capolavoro americano di Friedrich sovversione dell’ordinario. Quella che prova a Murnau, Aurora, ma allo stesso tempo lasciò mettere in atto Tarantino, che coglie alla perfe- a secco un altro classico del cinema muto zione la nascita di un’estetica pop che rimescola i americano, il bellissimo La Folla di King Vi- valori dell’alto e del basso. Ma nella sua furia, l’e- dor.

28 Un Oscar

al presidente OSCAR 2013 di francesco maggi

Ha giurato su due bibbie, una appartenuta al 16° Non più la possibilità di un nuovo inizio ma delle presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, l’al- risposte forti e convincenti al presente. Alla reces- tra ricorda Martin Luther King. sione, alle divisioni sociali e razziali, ad un welfare Obama si affida alle parole alla storia per aprire più solidale. Un Comandante in campo capace di il suo secondo mandato. Al mastodontico Lincoln risollevare la fiducia e l’orgoglio. La verità su ciò che lo scruta alle spalle. Il 44° inquilino della Casa che siamo e quello che dobbiamo al nostro futuro. Bianca lo cita nel suo discorso dopo il giuramento Sono le pellicole in corsa per l’Oscar a bussare ‘’i patrioti del 1776 non combatterono per rimpiaz- alla Casa Bianca per avere quelle risposte. Così zare la tirannia di un re, o i privilegi di pochi senza la caparbietà incisa nel volto e nelle parole del regole. Ci consegnarono una repubblica, un gover- potente Lincoln cinematografo di Spielberg assu- no, del popolo, che viene dal popolo e agisce per mono più di un significato. Come la guerra dei il popolo’’. Sono le parole di Lincoln a Gettysburg, droni e la morte “nascosta” di Bid Laden dell’ul- uno dei discorsi più conosciuti del presidente re- timo Zero Dark Thirty della Bigelow. La missione pubblicano che mise fine alla schiavitù. Obama impossibile della libertà grazie all’illusione del ci- si affida alla potenza del sogno, come già aveva nema in Argo di Ben Affleck. La vendetta del pi- fatto nel 2008. Ma oggi a quell’immaginario di stolero nero Django contro i negrieri e il Ku Klux speranza e cambiamento, di fuga dall’oscuranti- Klan nel devastante western di Tarantino. Senza smo repubblicano di G.W. Bush, si chiede altro. dimenticare le ombre ingombranti dei padri in The 29 La legge del DGA. Da anni il Directors Guild of America è l’indice più attendibile per pronosticare l’Oscar alla regia. Nelle tante edizioni passate infatti in sole sei occa- sioni il regista vincitore del DGA non ha poi no della Casa Bianca. È stata proprio Hollywo- avuto l’onore di alzare al cielo la statuetta: od a suggellare nel gennaio 2008 la fine dell’era nel 1968 Anthony Harvey per Il leoned’inver- Bush e la nascita dell’uomo nuovo. Un film come no (Oscar a Carol Reed, Olivier!), nel 1972 Io sono leggenda, intepretato dal Will Smith, usci- Francis Ford Coppola per Il padrino (Oscar a to nel gennaio del 2008 quasi in contemporanea Bob Fosse, Cabaret), nel 1985 Steven Spiel- con l’insediamento in mondovisione, voleva es- berg per Il colore viola (Oscar a Sidney Pol- sere (pur senza accedere agli Oscar) la massima lack, La mia Africa), nel 1995 Ron Howard consacrazione e glorificazione del nuovo avvento. per Apollo 13 (Oscar a Mel Gibson, Bravehe- La speranza delle minoranze pronte finalmente art), nel 2000 Ang Lee per La tigre e il dra- a scalare il sogno americano accompagnate per gone (Oscar a Steven Soderbergh, Traffic), OSCAR 2013 mano da Obama. Oggi quel sogno sembra ritro- nel 2002 Rob Marshall per Chicago (Oscar a varsi più sfocato, errante ed inquieto nel Django di Roman Polanski, Il pianista). Tarantino. O nel buio dell’azione militare del film Master di P.T. Anderson. della Bigelow. È il cinema a non credere più nella Le analogie e le antitesi delle pellicole che si sfide- politica del “yes we can”? ranno la notte del 24 febbraio, mentre qui in Italia La storia delle candidature al premio Oscar può sarà il D-Day delle elezioni 2013, sembrano tim- venirci incontro. Da sempre segnano un tenden- brare in maniera preponderante il nuovo percorso za, ma non dicono la verità. Intendiamoci pos- della politica americana democratica del “4 more sono sorprendere (raramente) o restaurare (il più years”. La storia avvincente del primo presidente delle volte). Aprire conflitti e dibatti tra spavaldi nero che aveva fatto piangere l’America e mezza supportes degli esclusi eccellenti o scaldare le Europa, quest’ultima alle prese con svuotati mo- casse dei bookmakers. È certo però che in oltre delli e vecchi stereotipi era stata sedotta dalla new ottantanni hanno acquistato, grazie al peso pro- wave americana, oggi sembra troppo lontana. Il duttivo mondiale delle major e del marketing, la presente degli States è più complesso. Fronti di capacità di indicare una direzione (un modello?). guerra sopiti, ma mai domati. La crisi economi- Il primo mandato di George W. Bush, 2001, alla ca che incide più di quanto galoppa la ripresa e notte più glamour di Los Angeles ci si scopre più le riforme interrotte o sbiadite da compromessi al reazionari. Vincono la lotta alla droga in Traffic ribasso e qualche titubanza di troppo hanno fatto di Soderberg, miglior regia, e la devastante for- singhiozzare il percorso della politica dell’inquili- za visiva del Il Gladiatore di Ridley Scott, miglior

30 FESTIVAL DI ROMA

film. Mentre l’anno successivo è il riconciliante A trebbe arrivare a Washington. Beautiful Mind di Ron Howard ad aggiudicarsi le Nel 2008 la notte degli Oscar incorona No Count- due statuette più prestigiose. Gli americani dopo ry for Old Men di Joel e Ethan Coen: si apre l’era l’11 settembre sono avvolti dalle debolezza di una di Obama. Dopo aver dato nell’edizione prece- Nazione vulnerabile nel proprio sistema e inde- dente 2007 i due Oscar di peso a The Departed di cifrabile nei sentimenti. La fabbrica del cinema Scorsese. Una sorta di spatiacque tra la visione or- non ha mai amato molto la famiglia Bush, ma in mai senza via d’uscita dei repubblicani e la nuova piena seconda Guerra del Golfo (2003) gli echi epoca democratica alle porte. È Daniel Day-Lewis dell’Iraq e della cattura di Saddam non sembrano ne Il petroliere di P.T. Anderson a portarsi a casa arrivare fino al Kodak Theatre. Vincono infatti il la statuetta come miglior attore. Sarà un caso ma musical Chicago di Rob Marshall, miglior film è l’interprete inglese è in cima ai pronostici anche lo struggente Il pianista di Polansky, che si aggiu- quest’anno per il suo Lincoln e vedremo più avanti dica la statuetta per la regia. Mentre il sanguino- quali vaticini lo sottolineano. Ma è Milk di Gus Van so ritratto delle radici della Grande Mela, Gangs San l’anno successivo ad imporsi, con la vittoria di of New York di Martin Scorsese accende il record Sean Penn e la miglior sceneggiatura originale, negativo di premi con un pesante 0 a 10. Non tra i film più ispirati dalla politica di Obama. La è aria per chi vuole scavare nel profondo dell’a- storia del primo politico gay ad essere eletto ad nima. Rispunta però tra i documentari Bowling a una carica politica negli Stati Uniti e poi assassi- Columbine di Michale Moore, da sempre spina nel nato è il paradigma del nuovo corso della Casa fianco dell’ammistrazione Bush. Quando il serafi- Bianca. E anche lo strapotere di The Millionaire di co presidente texano batte Al Gore sul fil di lana Danny Boyle, lo stesso anno, appare come l’evi- dei voti ricontati in Florida, per gli Stati Uniti si dente rafforzamento di un cinema internazional(e) aprono altri quattro anni di governo repubblica- ista. Prepotentmente dalla parte degli ultimi sep- no. Per molti una sonora sconfitta. A stravincere pur a Bollywood. nel 2005 è il lucido e cupo The Million Dollar Baby L’apice dell’effetto Obama arriva a sostegno del di Clint Eastwood che batte The Aviator. Nel 2006 flebile coraggio dei votanti dell’Academy quan- il cortocircuito dei premi appare inevitabile, vince do nel 2010, a sorpresa, si accorgono dopo una Crash regia di Paul Haggis contro film piuttosto superficiale dimenticanza di The Hurt Locker di politici come Good Night, and Good Luck di Cloo- Kathryn Bigelow che, nonostante un botteghino ney e Munich, di Spielberg. Ma a Chicago si inizia assai scarso, batte Avatar, The Blind Side, District a parlare di un avvocato afroamericano che po- 9, An Education, Bastardi senza gloria, A serious 31 È difficile raccordare in un unica direzione i temi e i titoli, i registi e le suggestioni che ogni anno irrompono sul palcoscenico degli Oscar. Fiutare un legame o un’influenza tra ciò che accade nelle stanze del potere e chi alzerà in aria quella statuet- ta d’oro. L’industria mainstream e la creatività in- dipendente si intrecciano e respingono nel sistema americano. Si odiano, ma poi trovano improvvisi amori che ci regalano film assoluti. Si utilizzano a vicenda per trascinare le opinioni o per influenza-

OSCAR 2013 re le lobby. O accade che la politica diventi una storia da raccontare sul grande schermo. Tanto da diventare uno spazio speciale nella notte degli Oscar. Gli elettori “graduati” dell’Academy sem- brano appassionarsi anche nell’era di Wikipedia e Youtube ai grandi personaggi in carne e ossa della storia presente o passata. Guardando con attenzione solo le ultime cinque edizioni dei premi Oscar nella categoria del miglior attore protago- nista, si osserva che è andato ad attori o attri- man, Precious e Tra le nuvole. Poi è solo un len- ci che si erano calati nei panni di capi di stato to e strisciante passo indietro verso le sicurezze di o politici. Nel 2007, Forest Whitaker vince con il pellicole lontane dalla forza dirompente del mes- suo micidiale Idi Amin in L’ultimo re di Scozia; nel- saggio politico del 2008. Il discorso del re di Tom la stessa edizione Helen Mirren batte le colleghe Hooper si impone su Il cigno nero di Darren Aro- con la sua Elisabetta II in The Queen; Nel 2009, nofsky, The Fighter, di David O. Russell, Inception Sean Penn convince, come detto prima, in Milk. E di Christopher Nolan, I ragazzi stanno bene di Lisa nel 2011, Colin Firth si immola nei panni di Gior- Cholodenko, 127 ore di Danny Boyle, The Social gio VI in Il discorso del re aggiudicandosi l’Oscar. Network di David Fincher, Toy Story 3 - La grande Nel 2012, Meryl Streep è una strepitosa Thatcher fuga di Lee Unkrich, Il Grinta di Joel e Ethan Coen in The Iron Lady. Insomma Day-Lewis (Lincoln) e e Un gelido inverno di Debra Granik. Jessica Chastain (l’agente Cia che ha stanato Bin Fino al distacco completo avvenuto nel 2012 con Laden in Zero Dark Thirty) hanno più di qualche la truffa dello sguardo messa in atto dall’opera- possibilità. zione Miramax per The Artist, una notte al museo del cinema. Il film di Michel Hazanavicius caccia Italiani da Oscar. Il primato spetta a Ber- nelle ritrovie Paradiso amaro di Payne, Hugo Ca- nardo Bertolucci con L’ultimo imperatore, che bret di Scorsese, Midnight in Paris di Allen, Mol- nel 1987 arrivò a giudicarsi ben 9 statuette. to forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry, Sono complessivamente 49 i premi Oscar L’arte di vincere di Bennett Miller, War Horse, di segnati dal tricolore. Il primo titolo di que- Spielberg, The Tree of Life, regia di Terrence Ma- sta lista prestigiosa è Sciuscià di Vittorio De lick. L’unica pellicola a resistere a questo vento Sica, vincitore come miglior Film straniero gelido della crisi dello sguardo che ha accecato i nel 1947. Prima di Bertolucci l’anno di grazia votanti dell’Academy nelle ultime edizioni, e sem- è stato invece il 1963 con l’Italia che riuscì a bra destinato a calmarsi e a cambiare direzione portare a casa ben tre statuette: Film stra- nell’edizone 2013, è The Help di Tate Taylor. La niero (Otto e mezzo), Costumi in b/n (Otto pellicola in cui si rintracciano gli echi lontani della e mezzo), Sceneggiatura originale (Divorzio grande impresa della vittoria di Obama nel 2008. all’italiana). A questi si devono poi aggiun- In cui una storia personale diventa l’ispirazione gere i 4 premi alla carriera andati a Sophia per ricordare la grandezza e la forza delle bat- Loren (1990), Federico Fellini (1992), Miche- taglie per i diritti civili in grande Paese a stelle e langelo Antonioni (1994), Dino De Laurentiis strisce. (2000). 32 Candyland

di sergio sozzo OSCAR 2013

Non puoi distruggere Candyland! Ci sarà sempre una Candyland!

Da schiavo a pop star, il coon Django dà fuoco Unchained fosse insomma insospettabilmente un alla sua Candyland e poi fa il pagliaccio a caval- remake mascherato di Beverly Hills Cop 3 di John lo agghindato con gli abiti dei padroni bianchi, Landis/Eddie Murphy)? come un Jimi Hendrix del Far West che incendia Noi non riusciamo più a vedere, signori. L’incipit la propria chitarra elettrica sul palco di Monterey, di Lincoln di Spielberg è talmente e puramente ci- clown di colore per il sollazzo di un’audience di nematografico (cruenta battaglia in corso in punta visi pallidi universitari per bene: Tarantino veste di baionetta inzaccherata di sangue, obiettivo che Jamie Foxx (che in patria ha una discreta carriera stringe sul soldato di colore che sta raccontando da soul man al fianco di compari tipo Kanye West) la sua straziante storia di guerra al Presidente la come Prince o magari Miles nel periodo elettrico, cui figura resta fuoricampo) che malaugurata- e poi lancia a briglie sciolte la sua wild thing – ma mente non fa che ricordare la struttura delle serie siamo sicuri che Candyland sia una nuova meta- TV belliche spielberghiane come Band of Brothers fora, l’ennesima nel cinema dell’autore di Bastar- o The Pacific, tutte introdotte dalle interviste in stile di senza gloria, di una Hollywood piantagione a documentario ai reduci che danno il là alla narra- tema da radere al suolo? E se invece l’orizzonte, zione degli eventi. E chiunque non abbia guardato diremmo l’immaginario, fosse un altro (se Django solo I Bellissimi su Rete 4 negli ultimi dieci anni si 33 VENEZIA 69

rende conto sin dalle prime sequenze che un serio gli Oscar 2013, The Master, volendo estremizzare discorso critico su Zero Dark Thirty non è possibile è una puntata di In Treatment in costume, frullata senza tener conto almeno delle prime cinque sta- con Il nipote Picchiatello (con tanto di sequenze gioni di 24 di Brian Grazer/Ron Howard (creatura musical in duetto – I’d like to get you on a slow con cui il film di Kathryn Bigelow spartisce tra le boat to China...). E Argo con l’idea di diretta TV altre cose anche l’assurda accusa di agiografia gioca con consapevolezza e pazzeschi azzardi sin della tortura a scopi investigativi...). dai titoli di testa, passando per il rischiosissimo Dove si trova Candyland, sul grande schermo o montaggio alternato tra la lettura pubblica del- tra gli angusti confini di un monitor domestico? lo script da parte degli attori nei variopinti abiti Finanche la punta più ostinatamente autoriale de- di scena e i dispacci delle donne-portavoce del commando iraniano alle telecamere del mondo intero: la menzogna del cinema si scontra con l’incapacità manifesta di mentire propria della TV, che ha sempre rossanobrazzescamente ragione. E il cinema scompare: più che altro, conferma di non essere mai esistito, di essere solo stato imma- ginato. È il cinema di un immaginario che non c’è, frazio- nato negli episodi autoconclusivi delle sceneggia- ture di Mark Boal per la Bigelow (ogni puntata ha il suo titolo e il suo coprotagonista differente, già dai tempi di Hurt Locker), che sostituisce, come fa

Nomination/Premi da record. Spetta a due film il record del più alto numero di can- didature ricevuto. Si tratta di Eva contro Eva di Joseph L. Mankiewicz (6 premi) e Titanic di James Cameron (11 premi) entrambi con 14 candidature. Titanic con i suoi unidici premi condivide con Ben Hur di William Wyler e Il signore degli anelli - Il ritorno del re di Peter Jackson anche il primato del film più premia- to.

34 lucidissimamente Tony Kushner, la figura di Lin- Katharine Hepburn. Con quattro Oscar coln per intero all’istantaneo talking book dei suoi è l’attrice più premiata di sempre. Record aneddoti, delle sue frasi e dei suoi discorsi celebri: ineguagliato anche tra i colleghi di sesso Lincoln non esiste, così come non esiste Bin Laden maschile. I quattro Academy Awards sono (e nemmeno Quentin Tarantino: si è fatto saltare rispettivamente per: La gloria del mattino in aria) – siamo nel teatro sbagliato se vogliamo OSCAR 2013 (1934), Indovina chi viene a cena? (1967), assistere all’attentato, e nella casa sbagliata di Il leone d’inverno (1968), Sul lago dorato Abbottabad, tutti lo pensano ma nessuno lo vuole (1981). dire a voce alta (So far as I know, there are no peace commissioners in the city or likely to be in di un aeroporto. Bella “lezione di cinema”, si sa- it). Ha un bel dannarsi Lancaster Dodd a tentare rebbe detto un tempo: o è ancora più avventato di ricordarsi dove ha conosciuto per la prima volta Spielberg che troncando di netto la sequenza di Joaquin Phoenix: Paul Thomas Anderson ha so- proclamazione del 13esimo Emendamento prima stituito la sequenza del loro primo incontro, sulla che venga promulgato, staccando su Lincoln in uf- nave dove Freddie Quell si è imbucato, con una ficio che gioca col figlio e sente le campane di giu- dissolvenza in nero. bilo dell’armistizio, in sostanza è come se avesse Abdicando la spettacolarità a favore della serialità rigirato Lo Squalo senza lo squalo? televisiva, questo cinema della scarnificazione ruo- Lincoln è senza ombra di dubbio il titolo più avan- ta attorno alle parole, che son l’unica cosa che gli zato tra tutti quelli in lizza (nonostante vesta una resta, e le svuota rendendole uguali davanti alla parrucca a celare la sua vera natura, come Tom- legge, come il monologo sulla frenologia di Leo- my Lee Jones), però l’Oscar per il miglior film nardo Di Caprio in Django Unchained: da questo quest’anno per forza di cose sarebbe giusto e punto di vista, la vertigine più minimale è para- sacrosanto andasse comunque a Argo. Ma non dossalmente quella di Ben Affleck, che costruisce il quello di Ben Affleck, bensì per cristallina coeren- climax di tensione del suo film su di un passaggio za il b-movie, mai girato sul serio, firmato dal pro- banalissimo com’è l’attraversamento del check in duttore Lester Siegel di Alan Arkin.

35 Una storia di immagini Photogallery degli Oscar OSCAR 2013 a cura di pietro masciullo

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1973 L’indiana SacheenVideo Littlefeather ritira l’Oscar al posto di Marlon Brando, premiato per Il padrino

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1999 De Niro e Scorse- se consegnano l’Oscar alla carriera a Elia Kazan, ma la platea si divide. MoltiVideo non sono d’accordo: Spielberg non si alza, Nolte e Harris Tradizioni di famiglia: Sofia Coppola vince il suo 2004 non applaudono. primo premio Oscar per la Miglior sceneggiatura originale di in Translation.

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2005 Trionfa Million Dollar Baby e Clint East- wood prende ancora la “mira”: Miglior Film e Mi- glior Regia per lui.

2006 A sorpresa vin- ce Crash di Paul Haggis e Jack Nicholson consegna il premio con il suo vecchio ghigno.

2007 I “Bravi Ragazzi” Spielberg, Lucas e Coppo- la festeggiano il loro vec- chio amico Martin Scorse- se trionfatore della serata con The Departed.

37 OSCAR 2013

2007 Finalmente un Oscar, anche se alla carriera, per il plurinominato e mai vincitore Ennio Morricone. Grandissi- ma commozione in sala e premio presentato dal leggenda- rio “Buono” Clint Eastwood.

2008 Una splendida e raggiante Marion Cotil- lard festeggia il suo Oscar come Miglior attrice prota- gonista per La vie en rose.

38 2008 Uno dei rarissimi sorrisi sfoggiati dai fratelli Joel e Ethan Coen che fe- steggiano insieme a Scor-

sese l’Oscar al Miglior Film OSCAR 2013 e Regia per Non è un Pae- se per Vecchi.

2009 Sean Penn vince come miglior attore per Milk e arrivano a festeg- giarlo illustrissimi colleghi e amici: Robert De Niro, Michael Douglas, Antho- ny Hopkins, Ben Kinghsley, Adrian Brody.

2010 Trionfa The Hurt Locker su Avatar e James Cameron tenta scherzosa- mente di vendicarsi dell’ex moglie Kathryn Bigelow.

39 2011 Un incredulo Chri- stian Bale vince l’Oscar come miglior attore non protago- nista per The Fighter. OSCAR 2013

2011 Dopo una lunghis- sima e gloriosa carriera ar- riva il momento della vitto- ria anche per il grande Jeff Bridges in Crazy Heart.

40 2011 Una delle più divertenti e bizzarre con- duzioni degli ultimi anni: i giovani e “alternativi” Anne Hataway e James OSCAR 2013 Franco.

2012 La miglior attrice non protagonista per The Help Octavia Spencer non riesce a trattenere le lacri- me.

2012 Il miglior attore per The Artist Jean Dujardin si fa cullare dalla miglior attrice per The Iron Lady Meryl Streep.

41 Chi vince e chi perde

di emanuele di porto

I fattori che influenzano le scelte dell’Academy e il peso dei produttori: una storia “economica“ OSCAR 2013 degli Oscar

La storia degli Oscar ha quasi un secolo e ha dato no: questa è la lista che comprende gli unici sette vita ad una lunga serie di leggende e di luoghi eletti che hanno un posto nella classifica dei cin- comuni. Una delle certezze più condivise è lo spiri- quanta film più ricchi di tutti i tempi e che hanno to conservatore delle scelte dell’Academy. Questo vinto l’Oscar per il miglior film. Gli altri quaranta- pensiero ha diffuso l’idea che le statuette vadano tré si sono dovuti accontentare della consolazione solo ai film più amati dal pubblico: è una convin- dei premi tecnici e ancora più spesso sono stati i zione che nasce dalla pioggia di premi a successi grandi sconfitti della serata. Avatar si presentò alla epocali come Via col vento e come Ben-Hur, dal cerimonia del Kodak Theatre con nove candidatu- ricordo della notte trionfale di Titanic e dalla de- re e con una dote da quasi ottocento milioni di lusione per la vittoria di Forrest Gump su Pulp Fic- dollari ma venne sonoramente battuto da The Hurt tion. L’elenco di questi episodi non è casuale e va Locker e il suo misero bottino da diciassette milio- implementato con le affermazioni di Tutti insieme ni. L’evento venne accolto come una clamorosa appassionatamente, de La stangata e de Il padri- eccezione, ma è accaduto più spesso di quanto si

42 Clint Eastwood. È diventato nel 2004 con Million Dollar Baby il più anziano regista premiato, ricevendo l’Oscar a 75 anni. In totale il regista di Lettere da Iwo Jima ha col- lezionato come regista quattro nomination e due vittorie (Gli spietati, Million Dollar Baby). OSCAR 2013 grafia e del montaggio. Il mito della convenziona- lità dell’Academy e della scarsa attendibilità delle sue decisioni nasce da alcune evidenti mancanze: Orson Welles ha dovuto dividere con Herman J. Mankiewicz il suo unico Oscar per il copione di Quarto potere e Stanley Kubrick non ha mai cen- trato l’obbiettivo nonostante nella sua carriera sia stato candidato complessivamente per tredici vol- te. Il catalogo dei mostri sacri che non hanno mai fatto il discorso di ringraziamento è sterminato e Martin Scorsese vi ha tolto il suo nome solo nel 2007 con The Departed. Il regista è il protagonista di uno degli esempi più citati quando si parla del- lo scarso coraggio nelle assegnazioni: nel 1981, possa immaginare. L’edizione del 1983 è abba- Toro scatenato perse contro Gente comune. La de- stanza emblematica: E.T. è il quarto incasso della cisione dei votanti può essere discutibile ma non è storia del cinema ma non riuscì a spuntarla con- una prova della loro scarsa lungimiranza e nem- tro Gandhi, che fu solo l’undicesimo bottino del meno della loro tendenza ad assecondare i gusti suo anno di distribuzione. Il film di fantascienza generalisti del pubblico: nessuno dei due film era di Steven Spielberg venne sconfitto non solo nella stato un trionfo commerciale ed entrambi erano categoria più ambita ma perse anche le sfide del- stati considerati “restricted” dalla censura. L’edi- la regia, della sceneggiatura originale, della foto- zione del 1966 è stata l’ultima in cui un titolo sen-

43 Post Mortem. Sono due i casi in cui l’Oscar è andato ad attori scomparsi prima della cerimonia. Oltre al recentissimo omaggio a Heath Ledger, premiato come attore non protagonista per Il cavaliere oscuro, ricor- stema per capire chi possa essere il favorito: la diamo anche Peter Finch, attore protagoni- storia dimostra che le scelte dell’Academy ricado- sta in Quinto potere di Sidney Lumet. no con frequenza su un certo tipo di film e so- prattutto su un certo tipo di distribuzione. Questo conferma la sola caratteristica ricorrente di tutte le cerimonie dal 1929 all’Hollywood Roosevelt Hotel a quella che Seth MacFarlane presenterà al Dolby Theatre: l’Oscar è un’occasione in cui Hollywood promuove sé stessa e spesso il film che vince è quello che si è saputo vendere meglio non tra il pubblico ma direttamente tra i giurati. L’Oscar più OSCAR 2013 richiesto viene assegnato alla produzione e il fat- tore determinante è quello di sapersi conquistare i membri con un trattamento riservato. La diffusio- ne limitata e la circolazione nei selected theatres za limitazioni della MPAA ha ricevuto l’Oscar per comincia alla fine dell’autunno e quasi sempre è il miglior film ed è chiaro che l’avvento della New il punto di partenza di un film che vuole arrivare Hollywood ha cambiato anche le abitudini dell’A- almeno ad una nomination: il percorso raggiunge cademy: l’ultimo spiraglio della tradizione è stato il suo culmine con il primo resoconto dei Golden Tutti insieme appassionatamente. La premiazione Globe ed è l’onda di questi premi che decide su del 1968 aveva raggiunto il compromesso de La un’eventuale wide release. È in questo momento calda notte dell’ispettore Tibbs e aveva respinto decisivo che un film può ottenere o meno il con- l’attacco di Gangster Story e de Il laureato. Il 1970 senso del pubblico: un blockbuster ha meno pos- aveva dovuto accettare Un uomo da marciapiede sibilità di un piccolo incasso, ma molto spesso la e da allora in poi i film per adulti hanno portato cifra migliore è un bottino che si aggira intorno ai a casa la statuetta per ben ventitré volte... Tutti cento milioni di dollari. Questo iter è stato valido questi elementi contribuiscono a dare l’idea che il per almeno la metà delle volte dal 1980 ad oggi successo commerciale e l’accessibilità del pubbli- ed è stato vincente nelle ultime cinque edizioni: co non sono i metodi più affidabili per prevedere non è un caso che gli ultimi venti anni della storia le probabilità che un film possa vincere l’Oscar. degli Oscar siano stati dominati da una casa di Questo non elimina la possibilità che esista un si- produzione/distribuzione che si è dedicata soltan-

44 to a questo lato promozionale. I fratelli Weinstein uscita a spuntarla in solo poche occasioni e il gra- hanno piazzato sei film vincenti in soli venti anni dimento della giuria le ha preferito molto di più il e sono sempre arrivati almeno alla nomination musical: il dramma d’insieme e le storie di riscatto prima attraverso la Miramax e adesso attraverso personale, il film storico e il biopic sono i terreni la loro compagnia personale. I due hanno colti- su cui i votanti si sono rifugiati più spesso. Un film vato film da Oscar sin dal 1993: sono stati pre- di fantascienza non è mai stato premiato, Rebecca OSCAR 2013 miati complessivamente per più di settanta volte è l’unico giallo, i polizieschi si contano sulle dita e hanno ricevuto quasi trecento nomination. Da di una mano e i western hanno iniziato a vincere allora solo per tre volte hanno mancato almeno solo in termini rievocativi con Balla coi lupi e Gli un posto nella rosa dei candidati finali. L’abilità spietati. Qualsiasi analisi è attendibile nei limiti dei due ha raccolto un’eredità che è iniziata non del fatto che può sempre essere sempre smenti- appena le major hanno dovuto arrendersi all’in- ta dal verdetto della cerimonia: questa alternanza fluenza degli indipendenti: la storia degli Oscar è tra abitudine e novità è uno dei più grandi motivi cambiata radicalmente dalla fine degli anni ses- di fascino di questa auto-celebrazione hollywoo- santa e nel decennio successivo i film della United diana. Le sorprese possono arrivare ma non sono Artists hanno vinto sei volte. Gli anni ottanta sono mai scontate e non si verificano mai a comando: stati segnati da quattro successi dell’ormai scom- c’è sempre la sensazione che il nostro film preferi- parsa Orion Pictures e il suo fiuto ha dato delle to non abbia avuto il trattamento che meritava.... delusioni agli studios. Il tributo per Sleepers come Amadeus e Platoon poteva essere prevedibile ma i cinque Oscar de Il silenzio degli innocenti sono un miracolo di marketing: è stato il primo thriller ad essere eletto come miglior film. Un’altra stra- da per intuire le intenzioni dell’Academy è proprio quella del genere: la statuetta ha dimostrato di avere una preferenza diffusa per alcuni film e un ostinato ostracismo verso altri. La commedia è ri-

45 Capolavori senza Oscar di carlo valeri

Da Quarto potere a The Social Network, una panoramica sui grandi sconfitti della storia OSCAR 2013

Due anni fa la 83esima edizione degli Academy ad esempio, quanto sia infrequente per l’Academy Awards sta avviandosi alla conclusione quando premiare la miglior regia senza accoppiarla con il Steven Spielberg sale sul palco per consegnare premio al miglior film. Negli ultimi vent’anni è ac- l’ultimo premio della serata, l’Oscar al miglior caduta solamente tre volte tale incongruenza: nel film. Pochi istanti prima Tom Hooper ha appena 1998 con Shakespeare in Love che superò sul filo vinto il suo premio per la regia de Il discorso del di lana Salvate il soldato Ryan (premio alla regia re, lasciando con le mani nel sacco l’acclamato per Spielberg), nel 2000 (miglior film Il Gladiato- David Fincher di The Social Network. Durante ogni re, miglior regia Steven Soderbergh per Traffic) e cerimonia, il premio al film dell’anno arriva sem- nel 2005 con la sorpresa forse più grande degli pre a un punto della serata in cui chi ha una certa ultimi anni: Crash di Paul Haggis premiato come dimestichezza con le tradizionali strategie degli miglior film mentre tutti già stavano preparando Oscar sa già che i giochi sono ormai fatti e scon- le prime pagine per Brokeback Mountain (miglior tati. Una legge non scritta ma ricorrente sancisce, regia ad Ang Lee).

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Ma torniamo a Spielberg e al premio che sta per anni. Il fatto che spesso i film amati dalla critica assegnare. Salvo sorprese i pronostici portano non arrivino a vincere l’ambita statuetta è un inci- dritti a un preciso vincitore, che è appunto Il di- dente di percorso che non sconfessa la similitudine scorso del re, e il regista americano prima di an- di approccio che costringe sia giurati che critici a nunciare il vincitore si concede un saggio pream- misurarsi con il cinema in quanto contenitore che bolo che da solo racconta perfettamente storia, agisce su rapporti mediatici, estetici ed etici estre- fascino e crudeltà degli Academy Awards: “Chi mamente labili, a volte irrimediabilmente conven- vincerà questo premio entrerà nella famiglia de Il zionali. Del resto c’è forse qualcuno oggi capace Padrino, Il cacciatore e Un uomo da marciapie- di affermare che il pluripremiato Kramer contro de, gli altri andranno a fare compagnia a Furo- Kramer sia un film migliore di Apocalypse Now? re, Quarto Potere, Il laureato e Toro Scatenato”. Probabilmente no. Eppure la sera del 14 aprile Spielberg apre la busta: “And the Oscar goes to… 1980 il film di Benton si aggiudica ben 5 statuette, The King’s Speech!”. The Social Network – che nel battendo nettamente il capolavoro di Coppola e corso della serata ha vinto tre statuette (sceneg- lasciando intendere una linea “politica” e in parte giatura, montaggio, colonna sonora) – è entrato intimista che l’Academy porterà avanti per gran nella famiglia dei “grandi looser”. parte del decennio successivo (gli Oscar a Gente L’aneddoto spielberghiano ci ricorda come, nel- comune, Voglia di tenerezza, Rain Man, A spasso lo sfogliare gli annali delle edizioni passate degli con Daisy segnano infatti con decisione gli anni Academy Awards, si entri facilmente in un perverso Ottanta). gioco di (ri)valutazione in base al quale gran parte Rivista retrospettivamente la sconfitta agli Oscar della Storia del Cinema viene relegata ai margini di Apocalyspe Now (che vinse solo per fotografia del palcoscenico, accontentandosi spesso di rico- e suono) sembra quasi anticipare quella rottura prire il ruolo degli sconfitti di classe. Gli Oscar che tra gli Academy Awards e la New Hollywood che sono soprattutto un evento-spettacolo, misurano nell’anno successivo porta il capolavoro “male- da sempre il successo o l’insuccesso di un’indu- detto” di Michael Cimino I cancelli del cielo ad stria cinematografica senza per forza di cose do- versi preoccupare di fare Storia (del cinema) o Attori/Attrici senza Oscar. Almeno due scrivere il futuro della narrazione per immagini. grandi nomi tra gli attori spiccano per non E non sono necessariamente un indice di qualità. aver mai vinto un Academy Award nono- Per certi versi non è azzardato fare dei parallelismi stante un alto numero di nomination: Peter tra gli Academy Awards e la critica cinematografi- O’Toole (8 candidature), e Richard Burton (7 ca. In entrambi i casi ci si ritrova a dover stabilire candidature). Tra le attrici invece ci sono De- al tempo presente attributi di merito con il rischio borah Kerr, Thelma Ritter e Glen Close con di ritrovarsi poi a rivedere il giudizio a distanza di sei nomination a testa. 47 avere una sola nomination per la scenografia. Apocalyspe Now e I cancelli del cielo nella loro John Williams. Incredibile il record del ambizione smisurata, sia artistica che produttiva, compositore, fedele collaboratore di Steven segnano il punto di non ritorno di quella libertà Spielberg, che in totale ha ottenuto ben 48 incondizionata che gli studios negli anni Settanta nomination, risultando l’artista più nomina- decidono di concedere ai giovani registi america- to nella storia degli Oscar. Cinque le statuet- ni. È una battaglia artistica nel corso della qua- te vinte da Williams: Il violinista sul tetto, Lo le l’Academy decise di schierarsi a difesa di una squalo, Guerre stellari, E.T. l’extraterrestre, tradizione che Coppola, Cimino e gli altri movie Schindler’s List. brats tentano invece di scalfire dall’interno. È la stessa punizione che deve subire Orson Wel- trita che vede esponenti mirabili (alcuni dei quali OSCAR 2013 les nel 1941 con Quarto Potere. La pellicola quasi hanno avuto soltanto il tardivo riconoscimento di unanimemente considerata come la più impor- un premio alla carriera), tra cui Alfred Hitchcock, tante e rivoluzionaria della storia del cinema fi- Charlie Chaplin, Stanley Kubrick, Howard Hawks, nisce subito con il rivelarsi drammaturgicamente Robert Rossen, Robert Altman, George Lucas, e stilisticamente troppo complessa per i giurati Ridley Scott, Michael Mann e Sidney Lumet. È una dell’Academy, che su nove nomination assegnano famiglia da cui persino uno come Martin Scorse- al film di Welles un unico Oscar per la sceneggia- se ne è uscito solo recentemente, con l’Oscar per tura. Quarto Potere è a distanza di anni il lussuo- The Departed del 2007, e alla quale, se togliamo so padre dei grandi capolavori “senza Oscar” e l’Academy Award per la sceneggiatura di Pulp Fic- Orson Welles (che nel 1942 vide tornare a mani tion, appartiene lo stesso Quentin Tarantino. vuote anche il suo secondo film da regista, L’orgo- L’esempio di Pulp Fiction è del resto illuminante su glio degli Amberson) il primo dei grandi maestri a come di fronte alla modernità di stile e approccio non aver avuto il privilegio di innalzare il premio. autoriale, gli Academy Awards finiscano spesso Quest’ultima è una famiglia estremamente nu- con l’arroccarsi in difesa, preferendo opere, al- meno sulla carta, più convenzionali. Candidato a sette categorie, il film di Tarantino nel 1994 deve accontentarsi di un unico riconoscimento alla sce- neggiatura e assistere al trionfo, del resto tutt’altro che immeritato, del Forrest Gump di Robert Ze- meckis, film per parte sua ugualmente complesso ma dall’appeal maggiormente classico e hollywo- odiano. Spesso la “sfortuna” di non vincere un Oscar è semplicemente l’ineluttabile conseguenza di an- nate straordinarie. Ce ne sono alcune che riper- corse oggi con la passione e la consapevolezza storica hanno il sapore del Mito. Nel 1975 Qual- cuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman vin- ce cinque premi e ha la meglio su una cinquina di capolavori assoluti del calibro di Barry Lyndon, Lo squalo, Nashville, Quel pomeriggio di un giorno da cani. Nel 1980 Gente comune di Redford scon- figge Tess di Polanski, The Elephant Man di Lynch e Toro scatenato di Scorsese. Secondo Steven Soderbergh l’edizione degli Aca- demy Awards del 1976 è quella che segna meta- foricamente in modo netto la cesura tra la stagio- ne della New Hollywood e il cinema di consumo degli anni Ottanta. È l’anno in cui Rocky e John G. Avildsen hanno la meglio su una cinquina che

48 OSCAR 2013

annovera classici immarcescibili del cinema ame- Forse le confessioni più emblematiche sul fascino ricano: Quinto potere di Sidney Lumet, Tutti gli uo- che gli Academy Awards esercitano su pubblico mini del presidente di Alan J. Pakula, Taxi Driver e addetti ai lavori ce le lascia proprio colui che di Martin Scorsese, Questa è la mia terra di Hal per anni, come abbiamo visto, ha inseguito l’O- Ashby. scar come fosse un’ossessione. Nel ’90, all’indo- mani della mancata vittoria di Quei bravi ragazzi, Martin Scorsese dice: “Quando dieci anni fa Toro gli Oscar rischiano di apparire scatenato perse, ho capito che i film che volevo più come il cimitero dei capolavo- fare erano troppo diversi dai classici prodotti di ri che come l’Olimpo dei grandi Hollywood. Eppure la massima onorificenza di Hollywood è l’Oscar e non si può dire sia dato a caso, John Ford ne ha vinti sei. Ora sono molto ar- L’anno successivo a trionfare è Io e Annie di Woo- rabbiato. Vorrei andare da questi signori e dir loro dy Allen, ultima commedia a vincere come miglior che non me ne frega nulla, ma per me, uno nato film e miglior regia. In quell’occasione gli incassi nel che non si è perso una sola se- stratosferici al botteghino e le epocali innovazioni rata in TV, è dura. C’è della magia in tutto questo”. tecnologiche non sono sufficienti a George Lucas “Oscar is a bullshit!” dice Joaquin Phoenix. È vero. e Steven Spielberg per vedere premiate le “loro” Ma tutti ne vogliono un po’. Guerre stellari e gli Incontri ravvicinati del terzo tipo. È il 1977. Un anno in cui l’Academy inau- Discorsi. Il più breve discorso di ringrazia- gura un suo personalissimo tabù nei confronti del mento nella storia degli Academy Awards fantasy e della science fiction, che solo venticinque è stato pronunciato da William Holden nel anni dopo Peter Jackson riuscirà a sfatare con Il 1953 dopo aver ricevuto il premio per la sua signore degli anelli. interpretazione in Stalag 17. Holden salì sul Con una lista così ampia di illustri sconfitti, gli palco proferendo un semplicissimo “Thank Oscar rischiano di apparire più come il cimitero you!”. Una brevità che è quasi agli antipo- dei capolavori che come l’Olimpo dei grandi. Ep- di rispetto ai fluviali ringraziamenti di Greer pure ogni anno registi, produttori, sceneggiatori Garson, migliore attrice per Mrs Miniver, la e attori finiscono con il sognare di entrare a far cui durata – secondo le cronache del 1942 – parte di questo Olimpo, coltivando il sogno di fare toccarono l’ora e trenta. È suo il discorso più compagnia a Laurence Olivier, Billy Wilder, Frank lungo della storia. Da Oscar. Capra, David Lean, Spencer Tracy. 49 Lincoln FESTIVAL

Bella addormentata 19 LINCOLN di Steven Spielberg

magine confusa, in qualche modo negata. L’unica cosa che In principio era lo contraddistingue ancora è la voce. L’immagine è divenuta pa- rola, verbo. Storia, appunto. di aldo spiniello Per Spielberg e per lo sceneg- il verbo giatore Tony Kushner, Lincoln è, LINCOLN prima di ogni altra cosa, un nar- ratore. Un affabulatore, certo, Il lavoro di ridimensionamento della statura iconica di Lincoln capace di incantare e piegare dice che il vero lato oscuro di un’immagine pubblica è, letteral- l’uditorio ai suoi voleri, al punto da far scappare ministri e consi- mente, la sua dimensione invisibile, il controcampo privato glieri. Ma soprattutto un canto- re, il depositario delle memorie e dei racconti orali di un popo- Quando nel colpo di coda del schiacciato sullo sfondo di una lo intero, l’uomo che tramanda film, Spielberg mostra Lincoln “massa” indistinta. In quel co- storie, prima ancor di esser per- intento in uno dei suoi più cele- lore uniforme, Lincoln è solo un sonaggio storico. È una sorta di bri discorsi, quello d’inaugura- colpo di pennello, un tratto del grande vecchio attorno al cui zione del suo secondo mandato Creatore, appena riconoscibile. focolare si raduna ancora una presidenziale, nel 1865, è come Il sedicesimo presidente degli nazione ferita e spaventata, per se, finalmente, tutto riacquistas- Stati Uniti, uno degli uomini più ritrovare l’illusione di una guida se un senso. All’esatto opposto decisivi della Storia dell’Occi- saggia che sappia condurla ol- del Mishima di Wakamatsu, che dente, l’icona eterna di un po- tre il mare in tempesta (proprio parla al nulla, Lincoln è comple- polo, è solo un volto nella folla. quello che angoscia Lincoln nel tamente circondato dalla folla È un uomo, come gli altri, tra gli sogno iniziale), un baleniere degli ascoltatori, a poco a poco altri. Ma, soprattutto, è un’im- senza paura (siamo tutti bale-

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nieri). C’era una volta... mi ricor- disperazione, un idealista capa- Ma anche a disagio negli affetti. do. Lincoln dà alla sua visione ce delle scelte più disincantate, Il rapporto con la moglie Mary la forma di un racconto e dona di macchinazioni sorprendenti. Todd, straziata sino alla “follia” la prospettiva di un’altra avven- Ma non è questo a renderlo un dalla morte del figlio William, e tura. Se l’Abramo biblico è l’uo- personaggio oscuro. Il lavoro di i conflitti con il primogenito Ro- mo che rinnova il patto con Dio, Spielberg di ridimensionamento bert, deciso ad arruolarsi per Lincoln è l’uomo che rinnova il della statura iconica dice che il dare il suo contributo alla cau- patto con il popolo, cioè con il vero lato oscuro di un’immagine sa della nazione, sono solo gli pubblico, chiedendogli di aver pubblica è, letteralmente, la sua estremi punti di tensione nella fede in lui, nella sua narrazione. dimensione invisibile, oltre l’uf- vita di un personaggio costretto Ed è disposto, pur di adempiere ficialità della tradizione, il con- a conciliare i suoi due ruoli fon- al patto, a sacrificare i suoi figli. trocampo privato. Spielberg ri- damentali: padre della patria Sì, Lincoln è un politico realista prende Lincoln sempre a parte, e padre della famiglia. Chiuso fino alla spietatezza, fino alla al lato della storia, degli eventi. nelle stanze oscure della Casa Bianca, ben lontano dai dibattiti accesi che scatenano putiferi nel Congresso, Lincoln, nonostan- te l’amore del popolo, scon- ta il peso della sua solitudine. Che diviene magnificamente insostenibile quando deve det- tare al generale Ulysses Grant il messaggio con cui rifiuta di accogliere i commissari sudisti venuti a negoziare la pace. O nel momento in cui il suo dome- stico negro lo vede allontanarsi, andare incontro al suo destino. Ecco. Come il profeta nell’orto

52 ULTIMI BAGLIORI

del Getsemani, Lincoln è già zo segreto delle verità più pro- Keep. Ma è sempre quello che morto, una voce senza carne, fonde. Thaddeus Stevens ruba conta. Dire la verità. E non è un il protagonista assente del film. l’emendamento ufficiale, per caso che, come in un reverse Per questo non ha senso farci portarlo a casa e farlo leggere della storia e del cinema, Lin- vedere la sua morte. E solo per alla sua domestica di colore, la coln si fermi proprio lì dove ini- questo l’interpretazione di Da- sua compagna: è solo ora che zia The Conspirator, con l’assas- niel Day-Lewis è straordinaria: appare finalmente la verità ul- sinio del Presidente. La parola, rendendo trasparente se stesso, teriore, quella del cuore, quella la voce di Lincoln si disperderà rende trasparente anche Lin- che spiega gli anni di battaglie, nelle babele delle lingue, il suo coln. Un fantasma che si aggira le ostinazioni, le idee. Il volto di realismo magico diventerà cini- nel buio della Storia. Stevens, finalmente senza par- smo e la vista oscurata di Mary È vero che le luci della Storia rucca, scioglie tutta la tensione, Surratt non riuscirà più a distin- abitano il fuoricampo di questo la rabbia repressa delle sconfit- guere la forma delle cose. Ucci- film, mente il campo è quel- te, tutte le umiliazioni, si apre in so il tiranno, è il caos del Logos. lo della menzogna necessaria, un sorriso (e basta questa sce- Bene. Non importa cosa mo- del tradimento per una causa na per fare di Tommy Lee Jo- strare. Redford filma l’attentato, superiore, dell’artificio. Come nes un attore ancor più decisivo Spielberg no. Quello che conta a dire che il cinema può dimo- del perfetto Daniel Day-Lewis, è rifondare, anche nell’imper- rare solo in questa dimensione proprio perché capace di “sor- fezione dell’immagine, la verità per non essere insostenibile, per prendere”, di aprire squarci ina- della Storia, delle storie. non morire di eccessiva realtà spettati di verità e di mondo). La (proviamo a immaginare quel- felicità privata e quella pubblica la brutale battaglia iniziale pro- coincidono. In una legge, in una Interpreti: Daniel Day-Lewis, tratta per tutta la sua durata, per lettura, in una parola. Freedom. Tommy Lee Jones, Sally Field, tutto il film, per uno, due, dieci Spielberg prova ancora a rac- Joseph Gordon Levitt, David film, per quattro anni di cine- contarci la storia segreta, quella Strathairn, James Spader ma). Ma è anche vero che, in un che Redford ci nega, facendo- Distribuzione: 20th Century Fox magnifico ribaltamento, proprio cela solo intuire, per uno slan- Durata: 150’ quel mondo oscuro, artificiale, cio del cuore e dell’intelligenza, Origine: USA, 2012 si svela come la realtà, il poz- nell’ultimo The Company You

53 Daniel Day-Lewis un attore per il nuovo mondo

di francesco maggi

“La verità è che l’intero gioco è quello di creare

LINCOLN un’illusione. Può sembrare folle, ma una parte di me per un periodo di tempo riesce a farlo senza nessuna esitazione. E questo è il trucco”. Daniel Day-Lewis

Un Paese costruito sul fango e sul sangue. È que- migliore attore protagonista ai prossimi Oscar. sto il passato dell’America. Ed è questo quello che Vedremo. è accaduto prima che il suo popolo, venuto da ter- Pensare che questo ruolo all’inizio, come ha ra- re lontane, si unisse in un’unica Nazione. E anche contato l’”Hollywood Reporter”, Day-Lewis non una palude trasformata in una campo di batta- l’aveva accettato. Dopo un faccia a faccia con glia può essere l’incipit di questa Storia. Inizia così Spielberg, che invece aveva da subito pensato a tra cadaveri e baionette l’ultima fatica firmata da lui, l’attore inglese aveva più di una perplessità Steven Spielberg, l’attesissimo Lincoln. Il 16esimo sul personaggio. Lui che del metodo di lavoro presidente degli Stati Uniti entra in scena seduto ha fatto una sorta di imprescindibile “missione”. nella penombra sopra dei barili nel campo delle Scrupoloso e ascetico nel preparare ogni interpre- truppe nordiste circondato da, soldati di colore. È tazione con una precisione e un’abnegazione che il volto e la voce di Daniel Day-Lewis. L’interpre- trovano pochi altri esempi tra i colleghi. Al regista tazione, lodata dal pubblico e dai critici, che ha di War Horse Day-Lewis ribatteva che la figura di lanciato l’attore inglese, premiato ai Golden Glo- Lincoln l’affascinava da spettatore, ma non era a be, come il papabile vincitore della statuetta come per interpretarla perché non la sentiva dentro. Un

54 FILM DEL MESE

modo non certo comune di fare pubblicità a se cole importanti (Nel nome del padre, My Beautiful stesso. Ma certo sintomo di una personalità capa- Laundrette) e due premi Oscar, nel 1990 per Il mio ce di intendere il mestiere come il punto più alto piede sinistro e nel 2008 per Il Petroliere. della recitazione. Il corpo-schermo di Day-Lewis, illuminato dalla Fortunatamente è andata diversamente. Ma l’e- grandezza spirituale di Lincoln, è lo spazio dove la pisodio è sintomatico del forte carattere di Daniel storia americana sembra convergere. Basta ricor- Day-Lewis. Nato a Greewinch 55 anni fa, Day- dare il John Fryer del Bounty, l’esploratore Natha- Lewis ha una carriera assai personale e poco ca- niel Poe “Hawkeye” nell’Ultimo dei Mohicani, l’a- nonica: 6 film negli ultimi 15 anni. Con un lun- ristocratico Edith Wharton ne L’età dell’innocenza, go periodo “naif” passato a Firenze ad imparare il colono religioso nella La seduzione del male. E a fare il calzolaio. Quello che sorprende è però più tardi, al Bill “The Butcher” Cutting in Gangs of quanto il Lincoln spilberghiano sia l’ennesima conferma, oltre che delle qualità professionali e My Beautiful Laundrette, 1985 mimetiche, anche del legame tra Daniel Day-Lewis e il racconto del Nuovo Mondo. Del suo essere uno schermo in carne e ossa su cui alcuni (ottimi) registi hanno saputo proiettare le immagini e le emozioni del loro cinema. Capace di esplodere e rigenerarsi in performance assolute solo sul corpo dell’attore inglese. Come i personaggi interpretati che sembrano saldarsi, ora ancora di più alla luce dell’ultimo Lincoln, in una storia cinematografica della fondazione degli Stati Uniti. Un incontro in dissolvenza tra realtà e cinema mai così aderente con la filmografia di un attore. È proprio ripercor- rendo le tappe di una carriera costellata da pelli-

55 A destra dall’alto: L’ultimo dei Mohicani (1992), Gangs of New York (2002), Nel nome del padre (1993) In basso Il pretroliere, 2007 Video

New York e il granitico pioniere “self ” Daniel Plainview in Il petroliere. Una complessità di uomini che, seduti come il monolite di Lincoln a Washington, osservano lo scorrere degli eventi tragicamente inermi. Eppure sono figure scavate da una vitalità carsica che di fronte alla grandez- za degli eventi vissuti vengono cristallizzate come icone di una racconto corale. Ruoli da predestinato per Day-Lewis, formatosi nella scuola teatrale della Bristol Old Vic School LINCOLN e cresciuto a pane e arte. Figlio del poeta Cecil Day-Lewis e dell’attrice Jill Balcon. Sposato con Rebecca Miller (Giochi d’adulti, A proposito di Henry) figlia dello scrittore Arthur Miller. L’attore di formazione teatrale ha saputo, dunque, con le sue scelte (ri)costruire davanti la macchina da presa le tessere di un racconto senza fine. Ma decisamen- te coerente. Sono le parole del regista Michael Mann, che l’ha diretto ne L’Ultimo dei Mohicani, a delinearne con poche parole il profilo: “Daniel è un uomo profondamente romantico con dei va- lori molto forti. È una specie di classico, attratto dai valori che scopre nelle cose semplici”. Ecco romantico e classico, come le pagine più appas- sionanti e memorabili della storia (non solo del Nuovo Mondo). Come il cinema migliore che an- cora ci aspetta.

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56 Lincoln il controluce della storia

di federico chiacchiari LINCOLN

A volte i sensi, dello spettatore, ingannano. E a con la moglie, il figlio piccolo, il baldo figliolo volte, l’inganno, sembra quasi voluto, come os- grande, la sua domestica di colore e tutti gli altri. sessivamente ricercato. Ed ecco perché il Lincoln Eppure… di Steven Spielberg ci appare – e in qualche modo Eppure Lincoln in questo apparente trionfo della è – così assolutamente scritto. Il trionfo della paro- parola sull’azione e sullo “sguardo”, ci svela, nel la, che domina, apparentemente incontrastata per suo manifestarsi a noi, il potere incredibile della tutta la lunga durata del film. Come se la Storia, falsità, del mentire, del tradire. di cui Spielberg vuole mostrarci un piccolo, dram- Tutto il film è una ricerca del tradimento, della matico scorcio/squarcio, dovesse necessariamen- menzogna, quindi sulla illegalità dell’agire, ma te essere ricondotta al linguaggio verbale, per ri- in questo caso finalizzato a una sorta di “bene conoscerne il senso e ledirettrici. E infatti Lincoln supremo” superiore, la fine del dominio dell’uo- è la parola, sin dalla prima scena del film, con il mo sull’uomo, la fine della schiavitù. È come se Presidente seduto sotto una tenda, di notte con la di fronte ad una battaglia etica di così suprema pioggia che batte, a parlare con i soldati reduci importanza, sia non solo perdonabile ma persino, dalla battaglia. E poi ancora parole, con il fedele in qualche modo, auspicabile che si usino tutte le segretario di stato, con i ministri del governo, con armi possibili, compresa la menzogna, l’inganno, i membri della maggioranza e dell’opposizione, il tradimento. E se per il Presidente questa è una 57 FILM DEL MESE

doverosa “scelta morale” dall’inizio della sua bat- un film di pura parola, che la menzogna a volte è taglia, non altrettanto lo è per il senatore Thad- necessaria per far vincere la Storia, anche se qui, deus Stevens (Tommy Lee Jones), che nella scena nel cinema, è quella con la “s” minuscola… più eloquente del film, mentirà esplicitamente di fronte al Parlamento sulle sue vere idee ed inten- zioni, pur di fare in modo che il Decreto antischia- vista abbia successo e divenga, finalmente, leg- ge. E finalmente potà tornare a casa, togliersi la ridicola parrucca, e stare nell’intimità con la sua cameriera indiana, che di fatto è sua moglie. In questo meraviglioso elogio della falsità, Spiel- berg ci regala, grazie alla sapienza del suo mago delle luci Janusz Kaminski, delle immagini di rara bellezza e soprattutto di una chiarezza “teorica” quasi imbarazzante. La luce è sempre nel fuori campo. La vita stessa sembra essere fuori dagli ambienti in cui si decide la Storia. O meglio, la Storia è lì fuori, le luci pe- netrano dalle finestre e illuminano le stanze buie dove il Presidente agisce, tra la Politica, la Fami- glia, e tutte le storie di cui un uomo deve occu- parsi. La luce arriva di taglio, sempre da fuori, di giorno come di notte. Fuori è il mondo, la guerra, la vita, la morte. Meravigliosamente, con un doppio gio- co sorprendente, persino la morte del Presiden- te arriva fuoricampo, anche se ce l’aspettiamo in campo, nel teatro che non è però quello dell’as- sassinio di Lincoln. La Storia arriva in controluce, in Lincoln. Taglia gli interni come una lama, se- gnala l’intimità di questa storia, non una biografia del Presidente Lincoln ma un disegno di un tratto del suo percorso sulla Terra, quello che ha segna- to la Storia. Che pure, nel controluce degli interni, è sempre lì fuori, quella finestra dove Lincoln si affaccerà per ascoltare – ancora fuori campo – la vittoria della sua proposta di legge. La luce, la storia, la morte. Lincoln di Spielberg ci racconta, mentendoci, convincendoci che il suo è 58

DJANGO UNCHAINED di Quentin Tarantino

ce, contemporaneamente, di sorprendere e rispondere alle Il dio nero aspettative ogni volta. Ma che sembrano però come sfuggire a qualcosa…. di federico chiacchiari Ed ecco Django Unchained, dove finalmente il bambino Quentin può giocare con gli amori del- Tarantino rischia di collocarsi in una “terra di nessuno”, meravi- la sua infanzia cinefila. E dire glioso outsider di un cinema dove la parola diventa sguardo, il per- che si preferisce Leone e Cor-

ULTIMI BAGLIORI bucci a John Ford non è un’ere- sonaggio paesaggio e l’azione è l’unico luogo possibile dei sentimenti sia puerile, ma una portentosa strategia di marketing culturale, non tanto dissimile a quello che usavano Godard e Truffaut dal- la pagine dei “Cahiers du Cine- ma”, quando esaltavano i cine- asti dei b-movie americani degli anni cinquanta. Non ci interessa fare confronti, quanto piuttosto scoperchiare un cinema, come quello di Sergio Corbucci, che ha avuto un suo pubblico ma non una sua critica, che ha avu- to il consumo ma non la lettura intellettuale. Cosa piace a Ta- rantino di Corbucci? Gli eroi. E perché? Perché sono cattivi! “Gli Che cos’è che può spingere i eroi di Corbucci non si possono personaggi al loro estremo? davvero definire tali – ha scrit- Quentin Tarantino to Tarantino – nei western di un Sono vent’anni che ci appas- sters”, dove l’home cinema si altro regista sarebbero i cattivi”. sioniamo e confrontiamo con espande nelle case attraverso il E poi il lavoro sulla sottrazio- il cinema di Quentin Tarantino. vhs prima e il DVD dopo. Dove ne: “Corbucci con il passare del Al punto che possiamo dire fa- il film diviene magnifico oggetto tempo ha continuato a sottrarre cilmente che il cinema, dopo Le da salotto, da vedere rivedere importanza al ruolo dell’eroe. Iene e Pulp Fiction non è stato rimaneggiare stracitare, insom- In un suo film, I crudeli, non c’è più lo stesso. Poi si potrà di- ma farci quel che ci pare… davvero nessuno per cui fare il squisire di quanto il suo cinema Ma cosa ci colpisce ogni volta, tifo. Ci sono i cattivi, le vittime, sia “completamente originale”, con irrituale continuità, nel cine- e basta”. frutto com’è di un esplicito fur- ma di questo quasi cinquanten- Ma come Truffaut e Godard to dal cinema di tutto il mondo ne del Tennessee? Tutti dicono: amavano Anthony Mann, Ho- (b-movie, spaghetti western, ci- la violenza! Lo stile sopra le ri- ward Hawks ed Alfred Hitchcock, nema hongkonghese, ecc…). ghe! I dialoghi costruiti con la ma poi fecero un film completa- Ma è una discussione capzio- sapienza di un fine narratore! mente diverso da quello dei loro sa, inutile. Il cinema di Quen- La competenza cinefila! La ci- maestri, così Tarantino “tradi- tin Tarantino segna la storia del tazione più o meno occulta! E, sce” il cinema da cui trae ispi- cinema con la stessa vitalità e ultimamente: la ricostruzione di razione. In Django Unchained i irriverenza che aveva, vent’an- una Storia immaginaria. buoni e i cattivi sono evidentissi- ni prima la Nouvelle Vague. È il Sono tutte affermazioni che re- mi, e la violenza sembra avere “cinema nell’epoca di blockbu- stituiscono un cineasta capa- una valenza “d’immaginario”

60 ULTIMI BAGLIORI

molto più accentuata di quella chained, sono degli archetipi te una nuova linfa (Ben Affleck di Corbucci, così indirizzata alla della violenza in sé, della cupa e John Hillcoat che seguono le movimentazione della messa violenza, come lo sono l’imma- orme di Robert Redford e Clint in scena. Ed ecco che Franco gine di Hitler e quella di un in- Eastwood), dall’altra “cineasti Nero, in Django, può aspetta- cappucciato del Klu Klux Klan. E del XX secolo” che smaterializ- re nella città deserta tranquil- qui, come fossimo in Ritorno al zano l’immagine, frantumano lamente i suoi quaranta nemici futuro 4, Tarantino gode nel suo l’immaginario collettivo, por- da solo, per sterminarli con una “riscrivere la Storia”, giocan- tando la visione oltre il “cinema mitragliatrice appena arriva- doci, esteriorizzandola, a vol- possibile”, in territori dove lo ti a tiro, mentre il protagonista te facendoci anche ridere, ma sguardo si confonde con il re- del film di Tarantino deve per- allo stesso tempo raccontandoci sto del corpo (The Hobbit, Cloud correre una strategia molto più dei “mondi infernali” brutali ed Atlas, tutto Zack Snyder, ecc…), complessa – come lo sono i film efferati, anche se camuffati da dove la narrazione diventa ine- di oggi e come lo è il cinema di “vite quotidiane” come lo schia- vitabilmente seriale e infinita... Tarantino rispetto a Corbucci – vismo del Sud. Né classico né post-digitale, per arrivare al suo obiettivo. In Oggi Tarantino, col suo cinema Quentin Tarantino rischia di col- uno si celebrava l’elaborazione “cinefilo” e irriverente, contami- locarsi in una “terra di nessuno” di un lutto, nell’altro si mette in nato e citazionista, ma gioco- del panorama cinematografi- scena la romantica ricerca della samente analogico e materico co, meraviglioso outsider di un persona amata. (farà mai un film in 3D o a 48 cinema dove la parola diventa Il nazismo per Bastardi senza frame?), si trova da una parte sguardo, il personaggio si tra- gloria, il razzismo pre-guerra il grande cinema classico che sforma in paesaggio, e l’azio- di secessione in Django Un- sembra trovare continuamen- ne è l’unico luogo possibile dei sentimenti. E i Nibelunghi di Wagner invadono il selvaggio West…. Interpreti: Jamie Foxx, Christo- ph Waltz, Leonardo Di Caprio, Kerry Washington, Don John- son, Samuel L. Jackson Distribuzione: Warner Bros. Durata: 165’ Origine: USA, 2012

61 CLOUD ATLAS di Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski

tivi rimandano. 1849. Nel Pacifico del Sud l’av- vocato americano Adam Ewing Metamorfosi si ritrova in affari con il Reve- rendo Horrox e durante il lungo di carlo valeri viaggio di ritorno in mare stringe e anarchia amicizia con lo schiavo di colore Atua. Un incontro che gli salve- Un flusso di immagini ed emozioni che attraversa cinque secoli rà la vita e modificherà la sua sorreggendosi su impalcature tematiche ricorrenti nella filmogra- visione sullo schiavismo. 1936.

ULTIMI BAGLIORI Il compositore Robert Frobisher fia dei tre registi, riscrivendo le geografie del corpo e dello spazio diventa apprendista del grande compositore Vyvyan Ayrs. Insie- me a lui scriverà l’opera misica- Film impossibile, inevitabil- ni ed emozioni che attraversa le The Cloud Atlas Sextet. 1973. mente fragile e prezioso questo cinque secoli sorreggendosi su A San Francisco la reporter Lui- Cloud Atlas. Tratto dal romanzo impalcature tematiche ricorrenti sa Rey viene a conoscenza di un di David Mitchell, l’ultima fatica nella filmografia dei tre registi: dossier che accusa i dirigenti di firmata dai fratelli Wachowski e la lotta contro i poteri forti, la una centrale nucleare i cui inten- Tom Tykwer è un’opera ambi- propensione per scenari apo- ti sono una seria minaccia per la ziosissima, smisurata nelle di- calittici, il set come mondo che popolazione mondiale. Inghil- mensioni e nella confezione che apre altri mondi cinematografi- terra 2012: l’editore Timothy mette insieme registri narrativi e ci, il destino, la mutazione come Cavendish è alle prese con vio- visivi spesso diversissimi per far- condizione salvifica e sacrificale lenti creditori che lo costringono li confluire in una visione olisti- necessaria. Tanta carne al fuo- a trovare rifugio in una casa di ca del cinema, che senza fatica co per un’opera che inaspetta- cura. 2144 Nuova Seoul: Sonmi coniuga l’ormai consueta com- tamente sorprende proprio per 451 è progettata per essere una plessità teorica wachowskiana la sua coerenza interna, per le semplice cameriera di un risto- con un senso dello spettacolo risonanze romantiche e concet- rante all’interno di un mondo in assoluto. Un flusso di immagi- tuali a cui i vari segmenti narra- cui la società totalitaria ha avuto

62 THE MASTER di Paul Thomas Anderson la meglio sulle classi più povere. Grazie al rivoluzionario Hae- Joo riesce a fuggire e a diven-

Attore in prova ULTIMI BAGLIORI tare un’eroina della resistenza. 2321. Dopo la Caduta il mondo sembra tornato a un ostato pri- di carlo valeri mitivo. Il pastore Zachry si im- batte nella Presciente Meronym, la quale costringerà l’uomo a Joaquin Phoenix assume le deformazioni fisiche di un umanoide rivedere le proprie credenze an- mentre nella figura ambigua di Seymour Hoffman, Anderson cestrali e il proprio destino. Continua a essere un cinema di parla anche un po’ di se stesso e del suo cinema, anarchia rivoluzionaria e politi- ca quello di Andy e Larry Wa- chowski, ai quali aggiungiamo piacevolmente anche il tedesco Tom Tykwer, qui alla sua prova migliore dai tempi di Lola cor- re, persino coerente (suo è l’e- pisodio che ha per protagoni- sta Halle Berry ambientato nel 1973) con il precedente - e non riuscitissimo - The International. Nel rimasticare influenze lette- rarie, musicale e filolosofiche, forse mai come in questo caso il discorso dei Wachowski ha goduto di una così abbondan- Il cinema di Paul Thomas Ander- les. Freddie Quell è un reduce te erogazione cinefila: passia- son comincia al suo sesto film a della Seconda Guerra in cerca mo disinvoltamente dal cinema intraprendere definitivamente di una ricollocazione sociale. misterico di Peter Weir a Blade il cammino forse pericoloso di Alcolizzato e violento, si imbatte Runner con innesti di Cocoon, il un’autorialità unilaterale, de- una notte in un battello diretto a cinema complottistico anni ‘70 spettacolarizzata, certamente New York City dove viaggia Lan- e Zardoz di John Boorman. In mai furba né ruffiana, ma va- caster Dodd, leader carismatico questo gioco metamorfico con gamente alienata. The Master di una organizzazione filosofica il travestimento - Hanks, Berry, procede con ritmo compassato, e scientifica denominata la Cau- Broadbent, Sturgees, compaio- come fosse stato concepito e re- sa che crede nella riabilitazione no tutti in più ruoli con buona alizzato sotto ipnosi, e possiede del corpo e dello spirito attra- abilità mimetica e largo uso di il fascino e il limite di una bi- verso la meditazione e il recupe- make-up - e il passaggio (fisico, polarità forse sempre presente ro di ricordi appartenenti a vite mentale, sentimentale e tempo- nella poderosa filmografia an- precedenti. Freddie entra così a rale) Cloud Atlas riscrive le geo- dersoniana, qui al suo episodio far parte della comunità di Lan- grafie dello spazio e del corpo. probabilmente più lucido (“po- caster, si sottopone alle sue se- teva dire tutto in un pamphlet dute, nel tentativo di “guarire” e Interpreti: Tom Hanks, Halle Ber- di tre pagine invece di scrivere tenere a freno quella che Dodd ry, Hugh Grant, Jim Broadbent, un libro” dice un personaggio a definisce il vero limite di ogni es- Hugo Weaving, Jim Sturgess, proposito del “maestro”) e allo sere umano, ovvero la sua ani- Susan Sarandon stesso tempo respingente, con malità. Sotto certi punti di vista Distribuzione: Eagle Pictures legami anche stavolta profondi - Paul Thomas Anderson continua Durata: 170’ ma più sfumati - con il cinema di a parlarci della famiglia, suo Origine: USA/Germania, 2012 Eric Von Stroheim e Orson Wel- tema prediletto. Come già in

63 Boogie Nights, la setta di Dodd un’impronta concettuale in cui le di un umanoide in attesa di ri- diventa una sorta di famiglia ar- immagini e il loro mondo fini- educazione alla vita (e al cine- tificiale in cui Freddie si rifugia scono col diventare elementi su- ma). Forse nella figura ambigua in cerca di nuovo calore umano perflui rispetto all’Idea. Ne vie- (e filosoficamente fragilissima) e di una figura paterna. È però ne fuori un’opera più spossante di Seymour Hoffman, chiara- proprio questo calore il grande che complessa, verbosa, clau- mente ispirata, nonostante le assente di un film che, come e strofobica, il cui fascino mag- smentite pubbliche, al leader più del “maschile” Il petroliere, giore risiede soprattutto nella di Scientology Ron Hubbard, il affonda spettatore e protagoni- dimensione extradiegetica di un regista americano parla anche sta dentro un imbuto vaginale training psicoattoriale finalizza- un po’ di se stesso e del suo ci-

ULTIMI BAGLIORI – nel film precedente caratteriz- to a una riabilitazione umaniz- nema, costantemente oscillante zato soprattutto dall’immersione zata di Joaquin Phoenix. Qui tra talento, smisurata ambizio- dell’uomo dentro la terra – che si gioca una partita certamente ne e confusione contenutistica. è il vero leitmotiv ossessivo del extradiegetica che è l’elemento Di taglio The Master potrebbe film. Le donne che circondano più interessante del film di An- diventare, con gli anni, il reper- i due protagonisti diventano in- derson. Tutta la storia di The Ma- to documentario di una doppia fatti tunnel carnale e percettivo, ster sembra infatti la rappresen- confessione artistica – quella di sfondo figurale e allucinatorio tazione di un processo curativo Phoenix e di Anderson stesso. Al su cui applicare i punti di fuga finalizzato a recuperare il corpo momento, però, la loro sembra del regista e dei suoi protagoni- e l’anima di Phoenix dalle ma- una performance giocata a por- sti. È attraverso la figura femmi- cerie semi-autobiografiche rac- te chiuse. Senza spettatori. nile che The Master sembra così contate nell’ottimo I’m Still Here trovare il respiro evasivo e me- di Casey Affleck. In quasi due Interpreti: Joacquin Phoenix, dianico di una prigione filmica ore e mezza, il film di Paul Tho- Philip Seymour Hoffman, Amy spesso asfissiante. mas Anderson racconta la fatica Adams, Laura Dern, Ambyr Inizia infatti a configurarsi un di una ricollocazione corporea e Childers, , Ramy pericoloso distacco dall’emo- mentale del personaggio Phoe- Malek, Madisen Beaty zione del cinema in quest’ultima nix che – in aperto contrasto con Distribuzione: Lucky Red opera di Paul Thomas Ander- la parola del guru interpretato Durata: 144’ son, una consapevolezza auto- da Philip Seymour Hoffman – Origine: USA, 2012 riale che incatena The Master a assume le deformazioni fisiche

64 QUALCOSA NELL’ARIA Après Mai di Olivier Assayas

i nostri pensieri, i nostri volti e il nostro immaginario: la no- stra immaginazione, sì. Olivier,

Giovani arrabbiati ULTIMI BAGLIORI classe 1955, era ancora un trentenne, quando lavorava con di federico chiacchiari i ragazzi di L’eau Froide. Virgi- ne Ledoyen e Cyprien Fouquet all’epoca avevano 18 anni, una ventina di meno di Assayas, ra- Après Mai sta al cinema biografico come il détournement dei gazzi nati negli anni settanta situazionisti stava alla citazione. Contestualizza ma esplode al che hanno “vissuto” - indiretta- mente - quel periodo attraverso di fuori un’adolescenza nel decennio successivo, in cui erano ancora vivi e presenti alcuni dei sogni e delle problematiche di allo- Perché non sorridono mai i ra- del film più incantevole e duro, ra. Oggi la “distanza” con i ra- gazzi di Après Mai? emotivamente straziante eppure gazzi di Après Mai è abissale, L’ultimo lavoro di Olivier Assa- gelido, L’eau froide. poco meno di quarant’anni (in yas si pone visceralmente con Ma che succede ai nostri ricor- cui c’è stato di tutto, dalla fine tutte le intenzioni di bruciare di quando, quasi in un’opera- della Guerra fredda all’11 set- l’animo di chi osserva, di ricac- zione terapeutica, li ricacciamo tembre, alle rivoluzioni arabe e, ciarlo nell’inferno dorato della fuori dopo tanti anni? “Spesso soprattutto, a un modo di comu- propria adolescenza, attraverso ci si definisce anche attraverso nicare attraverso la rete che sta un percorso doloroso e since- il nostro rapporto col passato e modificando il concetto stesso ro, maniacale (nel perfezioni- con la maniera che abbiamo di di comunicazione, figuriamoci smo della ricostruzione e della catalogarlo”, spiega Assayas, dell’”esperienza della storia”!). messa in scena) e consapevole. a proposito della memoria. E E basta leggere le dichiarazioni Soprattutto di volere ritornare gli anni passano, ci cambia- dei giovani protagonisti del film sul “luogo del delitto”, ovvero no, modificano i nostri corpi e (tutti nati negli anni novanta, in

65 ULTIMI BAGLIORI

cui Olivier girava L’eau Froide) suto, quanto i film che abbia- appartengono a quella genera- per farsene un’idea: “Per capi- mo visto e amato, le musiche zione – parole di Assayas – “del re il linguaggio politico dell’e- che abbiamo ascoltato, da soli dopo maggio 68, nata nel caos poca, ho guardato un sacco di chiusi in camera o con i nostri e che sì è evoluta nel caos”. Ra- interviste e di vecchi reportage, coetanei. Lo dice, chiaramente gazzi che – come i loro fratelli e, soprattutto, ho consultato il anche Assayas, spiegando per- minori italiani del 1977 – non dizionario…” (Felix Armand, ché il giovane protagonista del sono diventati giornalisti, politi- che interpreta Alain, l’amico del film, Gilles, sfrontatamente e ci o pubblicitari come quelli del protagonista, Gilles); “È molto coraggiosamente alter-ego bio- ‘68, ma si son gettati dentro le difficile imparare a memoria dei grafico del regista, ha scelto il pratiche attive della creatività, dialoghi pieni di riferimenti poli- cinema: “Lo schermo è il luogo delle arti diffuse, della mutazio- tici, non ci capivo niente… Oli- dove il ricordo può rivivere, dove ne dei linguaggi, degli stili, della vier però voleva che sapessimo ciò che è perso può essere ritro- comunicazione e della percezio- di cosa parlavamo…” (Clement vato, dove il mondo può essere ne di sé. Métayer (Gilles); “Ci siamo im- salvato”. Après Mai, distributo in Italia mersi negli anni 70, le scenogra- col titolo Qualcosa nel’aria, rac- fie, i vestiti, tutto l’insieme. Ma conta di un gruppo di liceali nel è stata soprattutto la musica, Non una visione loro passaggio dalla ribellione quella della scena della festa fredda, certo, ma più anarchica urbana, con tanto di hippie, che ci ha dato una sen- distante scontri con polizia e milizie an- sazione di immersione totale” tagoniste, a quell’estremismo (Carole Combes, nel film Laure, culturale fatto di viaggi in orien- la “musa” di Gilles). E questi ragazzi del 1971/72, te, fughe nella Londra “avan- Ma il cinema si nutre di me- anni post sessantotto pieni di zata” di quegli anni, feste con moria. Se non addirittura che il musica straordinaria, di rivolu- falò e amori che si dissipavano cinema è (diventato) la nostra zioni possibili e controrivoluzio- in un mondo senza sorrisi. E se memoria. Noi siamo quello che ni reali, dove i sogni del maggio 18 anni fa Assayas aveva da un ricordiamo che abbiamo vis- si sono dispersi in mille rivoli, lato la maggior vicinanza tem- 66 Assayas sceglie di andare fino in fondo con i ricordi e la rifles- sione sull’essere giovani negli

anni settanta. Cosa ci colpiva, ULTIMI BAGLIORI quali desideri emanavamo, come si poteva così innocente- mente mescolare la vita privata, i sentimenti, con la politica, le ideologie, ma anche l’espres- sione, il senso di libertà fatto di cose semplici e complesse, fos- se anche quello di dare fuoco a qualcosa, magari solo per far uscire i fuochi che erano dentro porale, e dall’altro una mag- mente avvolti sui personaggi e di noi… Ma poi la disperazione giore astrazione creativa sulla quei lunghi piani sequenza che per una rivoluzione che sem- narrazione meno strettamente sembravano abbracciarli e ac- brava impossibile (e che invece autobiografica, qui decide di carezzarli, qui passiamo a uno passava davanti ai nostri occhi immergersi fino in fondo nella sguardo più complessivo, dove senza che la vedessimo…per- ricostruzione, a tratti maniacale, gli ambienti, la città, la natura, ché in quegli anni sono cambiati di tutti gli stilemi e le ossessioni, insomma gli elementi dove vi- radicalmente modi di vivere, di viene da dire quasi i “tic”, dell’e- vono i personaggi, sono cuore pensare, di guardare e, soprat- poca. Questo denudarsi nell’au- integrante della visione. Non tutto, di immaginare, in manie- tobiografismo storico, politico, un visione fredda, certo, ma più ra così radicale che gran parte esistenziale, si manifesta soprat- distante, come gli anni che ci delle trasformazioni tecnologi- tutto nella colonna sonora mol- separano, sempre di più, dall’a- che che viviamo oggi sembra to più privata e personale, che dolescenza. essere generate da quell’uni- va da Syd Barret a Nick Drake, E mentre l’esperienza raccon- verso desiderante), ed ecco ar- Soft Machine, Tangerine Dream, tata dei ragazzi di L’eau froide rivare le droghe, quelle pesanti ecc….ma anche in questi corpi era tutta “privata”, dove il con- come la morte, e una solitudine che sembrano vagare in con- flitto con il mondo e la società si esistenziale che non sembra più tinuazione verso orizzonti che manifestava con evidenza nella finire, anche oggi dentro l’uni- non si intravedono, un’oriente vita familiare e nel rifiuto della verso espanso della comunica- immaginario, una città mitizza- famiglia stessa, in Après Mai zione social. ta, l’arte che appare come un luogo oscuro, ma inevitabile, di liberazione. Il risultato è qualcosa di asso- lutamente impenetrabile, qua- si un’opera d’arte situazioni- sta, senza la poeticità espansa dell’Assayas migliore (L’Heure d’été, Irma Vep, Fin Aout Début Septembre, ecc..), quasi com- pressa in un tentativo impossi- bile ed utopistico, come il mai, di voler raccontare e raccoglie- re tutto, senza lasciarsi sfuggire nulla. Ed ecco che il suo stile si trasforma radicalmente: dai primi piani “affettuosi” tenera-

67 FILM DELL’ANNO ” non apro. Aprés mai (Olivier Assayas) è vero, forse triste ragazzi di Après Mai? Gilles, il protagonista di Perché non sorridono mai i Se la realtà bussa alla porta, effetti un ricordo malinconico Il film è impregnato di questo Vivo nella mia immaginazione. ricordo. È stata un’epoca seria, anche se innamorato della vita. “Io della mia adolescenza ho in Interpreti: Lola Créton, Felix Ar- Dolores Métayer, Clément mand, Chaplin, Carole Combes, India Menuez, Hugo Conzelmann, André Marcon Distribuzione: Officine Ubu Durata: 122’ Origine: Francia, 2012 dannatamente sincera. Ma l’arte, spesso, ha anche bi- - sogno di piccole/grandi men zogne, e l’eccesso di verità, a volta, ricaccia l’immaginazione dietro la porta. 68 Assayas sembra raccon- del- mondo prima il tarci la rivoluzione, non dopo E il film ci appare come incap- filmci appare il E vivido e pro- ricordo in un sulato meravigliosamentefondo, den- tro “i nostri anni”, senza colori quei sbiaditi di una foto Pola- roid degli anni Settanta, oggi così magicamente riproducibili con Instagram (che è la rappre- software di termini in sentazione le giovani gene- di come oggi razioni vivano quegli anni: un come colore riflesso,attenuato, se la vita, allora, fosse davvero cosi!). e colori i con gioca non Assayas pos- un di simbolica memoria la sibile “Instagram movie”, restituisce cuore e colore vivo di ma ci così che pulsante materia una vitale, immediata,viva, appare “l’arte e il cinema in particolare - possono attuare una resurrezio si son per- dei sentimenti che ne si”, come ha ricordato Assayas. la grandezza e il limite Ma di questo film stanno proprio nell’eccesso di sincerità, di rico- struzione fedele, forse di verità. détournement dei situazionisti stava alla cita- zione. Contestualizza ma esplo- a capofitto de al di fuori, si getta nel dibattito di quegli anni, per uscirne fuori come un quadro strappato o bruciato per negar- al destinata- altri, oltre ne ad rio amoroso, la visione. Perché Assayas sembra ci - come Bertolucci - il mondo raccontar- prima della rivoluzione, non Quel trovare inaccetta- dopo. bili i “contenuti espressi rivoluzionari” in “contenitori reazio- nari”, quel voler osservare realtà non con la sguardo ideolo- determinazione la con ma gico alla verità (la rivoluzione cultu- rale cinese da Simon raccontata Leys), quel voler rompere senza distruggere, quel porsi sempre e de- più domande “le comunque licate” (come dice Olivier), Ma quella consapevo- soprattutto lezza che “la cultura debba te- nere nella seconda metà del XX secolo il ruolo motore nello svi- luppo dell’economia, ruolo che fu dell’automobile nella prima metà del secolo e della ferrovie seco- XIX del metà seconda nella lo” (Guy Debord nel 1971, non Clay Shirky nel 2010…). Après Mai sta però al il cinema come biografico CERCASI AMORE PER LA FINE DEL MONDO Seeking a Friend for the End of the World di Lorene Scafaria

re pur essendo dolorosamente consapevoli della fine più che certa, come in Eternal Sunshine

Con chi dormi ULTIMI BAGLIORI of the Spotless Mind. Penny (Keira Knightley, più a suo di margherita palazzo agio nei ruoli leggeri che in quel- stasera? li drammatici, si veda A Dange- rous Method) è una Penelope on La fine del mondo è la fine di un amore (di tutti gli amori, mol- the road a sua volta abbastanza teplici e possibili). Una commedia gradevole che, senza compiere confusa, coinvolta in relazioni con soggetti che destano qual- miracoli, strizza l’occhio a una garbata critica sociale che dubbio sulla sua autostima (l’infantile musicista Adam Bro- Penny e Dodge sono vicini di saggezza, fulminato da un killer dy, il vitaminico fanatico militare casa, ignari della reciproca vita assoldato da lui stesso. Derek Luke). Per fortuna non è finché non si trovano a una ven- Allora, la fine del mondo è la un’eccentrica adorabile ragazza tina di giorni dalla caduta fatale fine di un amore (di tutti gli amo- tutto pepe cambia-vita, una spe- di un asteroide e si mettono alla ri, molteplici e possibili): quello cialità questa di Zooey Descha- ricerca di un vecchio amore lui, idealistico del liceo, etereo, tra- nel (su tutti Yes Man). Al contra- della sua famiglia lei. Sono tem- sfigurato da ricordi e fantasie, rio, come si diceva di A cena pi difficili questi e più di qual- tanto impalpabile che quasi con un cretino, è l’ottimo Steve cuno sceglie di risettare il bari- non esiste (e non è un caso che Carell che “ha il potere di quelle centro sull’essenziale: “alla fine, la Olivia di Dodge, che per tre figure chapliniane che associa- tutto ciò che conta è con chi vai quarti del film sembra l’obiettivo no la goffaggine ad una solitu- a dormire quando torni a casa del viaggio, non compaia per dine quasi rassegnata, che non la sera”, conclude il camioni- nulla), quello coniugale inaridi- hanno l’obiettivo di migliorare sta . Ma il film to dagli anni, quello verso i ge- la propria vita, quanto piuttosto sembra sottintendere che l’affa- nitori diventati estranei. E l’amo- di intervenire su quella di chi gli re non è così semplice: non farà re da recuperare non è altro che sta vicino”: vale anche per que- in tempo a finire le sue perle di una sventata capacità di ama- sto film. Il suo Dodge finisce per

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essere scambiato addirittura per l’occhio a una garbata critica blico Patton Oswalt (“The sky is un sicario a causa del suo di- sociale: non si può morire soli, falling and it’s raining pussy!”). stacco, del suo timore di vivere, quindi gli amici di Dodge tenta- Mancano però le scorrettezze che giustifica perfino il suo lavo- no di costringerlo a trovarsi una con cui le commedie del Frat ro di assicuratore; eppure finirà compagna di fortuna durante Pack ci hanno deliziato; i mo- per essere la compagnia ideale un party a base di eroina e fuo- menti drammatici suonano fuori per l’apocalisse. chi d’artificio; la disibinizione luogo; i vinili come feticcio e l’at- Una commedia gradevole che, scatta solo di fronte alla morte, tenzione alla colonna sonora, senza compiere miracoli, strizza come sintetizza un efficace, bi- prevedibili dalla sceneggiatrice di Nick & Nora, risultano com- piaciuti. Se di amore si parla in questo film, è un amore allar- gato che preferiremmo tradurre con empatia verso un mondo che crolla: e il titolo italiano non aiuta, perchè, furbescamente, stravolge l’originale Seeking a Friend for the End of the World: un amico, cioè una persona ca- pace di amarci al di là dei ruoli prestabiliti.

Interpreti: Keira Knightley, Steve Carell, Adam Brody, Melanie Lynskey, William Petersen, , Derek Luke Distribuzione: M2 Pictures Durata: 101’ Origine: USA, 2012

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Nagisa Oshima ancora in fondo al pozzo

di margherita palazzo FACES

La mia prima sceneggiatura, quando avevo ventidue anni, si chiamava Seishun no fukaki fuchi yori [Dal fondo dell’Abisso dell’Amore]. Siamo tutti lì, siamo stati tutti sempre stati lì, in fondo a quel pozzo. Quando getti qualcosa in quel pozzo, proba- bilmente speri di ottenere una risposta. Se i due amanti di L’impero della passione si reca- no laggiù prima della conclusione del film, è perché ho voluto esprimere l’ovvio: siamo ancora in fondo al pozzo!

Nagisa Oshima, 1978

Dopo Koji Wakamatsu ci ha lasciato purtroppo come forma di radicale lotta politica. anche il grande cineasta e agitatore giapponese Nei suoi primi film, Il quartiere dell’amore e della Nagisa Oshima. Studente di diritto, poi assistente speranza (Ai to Kibo no Machi,1959) e Racconto regista di gavetta alla Shochiku con Masaki Ko- crudele della giovinezza (Seishun zankoku mono- bayashi, da critico cinematografico già nel 1958 gatari, 1960), compaiono le differenze di classe, affermava la necessità di un cinema libero, di in una visione del mondo dura e non consolato- un’espressione artistica rivoluzionaria come lot- ria. Come si osserva nella bella e approfondita ta persistente, che non cedesse al puro intratte- biografia scritta da Nelson Kim per “Senses of nimento e si scagliasse oltre le limitazioni di una Cinema”, Racconto crudele, storia d’amore e di società ancora feudale. In seguito, raccoglierà le disillusione, è stato paragonato a Gioventù bru- ceneri della rivoluzione e dei tumulti delle avan- ciata, e la Shochiku lo pubblicizzò in effetti come guardie per recuperare il potere eversivo del ses- un film sulla ribellione giovanile; ma a Oshima so, il ruggito della natura, l’affermazione delle manca “l’idealismo romantico” di Nicholas Ray: i forze più oscure ed estreme della natura umana suoi personaggi sono al tempo stesso predatori e 72 A destra: Il cimitero del sole prede, continuamente contaminati da un mondo ostile e marcio. Anche Il cimitero del sole (Taiyô no hakaba, 1960), è ambientato in un contesto povero e degradato, e il giovane cineasta inizia a tracciare con sicurezza, al tempo stesso, un ri- tratto spietato del Giappone contemporaneo e un approccio all’esistenza umana che risente profon-

damente del suo amore per il pensiero di Jean FACES Genet e Georges Bataille. Qui il Giappone è let- teralmente un vampiro che succhia il sangue (e un lenone che compra il corpo) di una giovinez- za forgiata nella rabbia e nella totale assenza di speranza, il ritratto della vita alla giornata tra le baracche di Osaka, tra piccola criminalità e espe- dienti di sopravvivenza, mostra con sarcasmo il volto decadente e consumato di un sole tutt’altro che nascente, corrotto e maleodorante, che splen- de sui suoi figli come un dispositivo di cremazio- ne: non per riscaldarli, ma per decomporli. Cosa hanno in comune sesso e crimine lo definirà senza mezzi termini e con semplicità lo stesso Oshima to kiri, 1960) scritto con Toshiro Oshido, a sua nel 1969 (e lo rappresenterà in modo ben più volta ex studente e attivista, importante riflessione complesso, prima istintivamente, poi in modo più sui movimenti di protesta, è ormai chiaro che ci si analitico, in tutto il suo cinema): sesso e crimine trova di fronte a un autore, che per muoversi libe- sono le più violente pulsioni degli esseri umani. ramente ha bisogno di mantenersi indipendente: Con Notte e nebbia del Giappone (Nihon no yoru nasce così la sua casa di produzione Sozosha. A

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Sopra: Il demone in pieno giorno A destra: Tokyo senso sengo hiwa proposito di questo film, tra i suoi più celebrati, anni dopo Oshima ricorderà che alcuni critici vi ritrovarono un motivo fondante nella sua opera, una fiamma che arde nel buio. “Per me, questa fiamma rappresenta la vita dei miei personaggi. Ma è anche l’immagine della nostra vita. Mi capita spesso di citare questa massima: Proprio come i pesci che abitano l’abisso, non possiamo trovare la luce finchè non brilliamo noi stessi”. Tra i ‘60 e i ‘70, Oshima continuerà a fondere uno spirito rivoluzionario che identifica gli atti di violenza con la volontà dell’artista di collocar- si fuori-legge e con alte suggestioni letterarie, profondamente connesse con il radicale fermen- to delle avanguardie creative che nascevano in Giappone, dove il legame tra corpo sessuato e mortale si faceva sempre più forte ed estremo e diventava un grimaldello per l’affermazione di una poetica anarchica e surrealista. Fu capitale la vicinanza allo Zengakuren, il movimento studen- tesco che lottava contro l’imperialismo americano e si opponeva alla guerra in Corea, ma ben pre- sto Oshima sarà chiamato a superare anche que- sta esperienza in nome di una creazione radicale, una rilettura personale delle pulsioni più sinistre e ammalianti che la natura umana si porta dentro. Ricordiamo gli straordinari L’addomesticamento

74 A sinistra: Diario di un ladro di Shinjuku In basso: La cerimonia

sone che vivono solo della loro passione divorante, indifferenti al caos politico che li circonda: ecco ciò che rende il mio film politico” ha detto Oshima. Un sentimento antimilitarista che viene raffigurato anche in senso letterale nella sequenza in cui Ki- chizo supera la folla che acclama una parata di soldati e percorre la strada in senso inverso, per

tornare alla sua estasi quotidiana. FACES L’impero dei sensi, o meglio, Ai no korîda: una corrida d’amore, un titolo suggerito da Anatole Dauman, di origini polacche di stanza in Fran- cia, produttore tra gli altri per autori del calibro di Chris Marker (La jetée) Robert Bresson (Mouchette) Jean-Luc Godard (Il maschio e la femmina, Due tre cose che so di lei) e Alain Resnais (Hiroshima mon amour). Dauman chiese a Oshima un film porno- grafico, sfruttando l’interesse francese per il porno soft alla Emmanuelle, ma anche per un cinema erotico intriso di surrealismo, che non mancava (Shiiku, 1961) Il demone in pieno giorno (Hakuchû di critica sociale (Racconti immorali e La bête di no torima, 1966) L’impiccagione (Koshikei, 1968) Walerian Borowczyk, entrambi prodotti da Dau- Diario di un ladro di Shinjuku (Shinjuku Dorobô man, sono rispettivamente del ‘74 e del ‘75). Di Nikki, 1968) Tokyo senso sengo hiwa, del 1970, fatto Dauman intervenne come deus ex machina e la saga familiare La cerimonia (Gishiki, 1971) storia ritualizzata di un microcosmo familiare che assume toni universali. Esplode come una bomba nel 1975 L’impero dei sensi, film di intatta potenza se rivisto oggi, con eros e thanatos che si congiungono nel parossismo estatico per raccontare, in una perfezione forma- le mai più raggiunta nelle altre versioni (Abesada di Noboru Tanaka, del ‘74, e Sada di Nobuhiko Obayashi, del ‘98) la vera storia di Abe Sada, do- mestica, amante e strangolatrice, catturata in stra- da con il pene dell’amante stretto al cuore come un trofeo. Oshima si ripiega su se stesso, come i suoi amanti, in un momento in cui gli ideali de- gli anni ‘60 sono falliti, ”nessuna ribellione è più possibile”. In un’intervista dell’anno successivo, il regista raccontava la genesi del film nel suo desi- derio di raccontare una passione amorosa che ol- trepassasse ogni barriera sociale, dove soprattutto l’assassina non fosse in realtà una vittima che soc- combeva alla violenza della sua ossessione (nei pinku eiga la figura femminile per quanto coin- volta in forti scene sessuali era sempre passiva) ma un personaggio totalmente obbediente solo ai propri desideri, paritari rispetto a quelli dell’a- mante. Abe Sada come la metà di un organismo pulsante, la coppia dei due amanti, che si rinchiu- deva in una prigione di piacere e morte. ”Due per- 75 Video

in una fase del panorama produttivo giapponese dettagli il documentario di David Thompson Il était molto difficile, con sempre minori finanziamenti une fois... L’Empire des sens, dove intervengono a e una forte riduzione della libertà creativa. Ebbe proposito della componente mistico/erotica del inoltre l’intelligenza di vendere L’impero dei sensi film, anche la scrittrice Catherine Millet e la regista come un’opera d’arte più che un film erotico o di Catherine Breillat. La prima evidenzia come Oshi- genere, ad esempio con la storica presentazione ma si sia ispirato, anche dal punto di vista della parigina al Club 13, davanti a scrittori, letterati, raffinatezza e dello splendore visivo, alle stampe artisti, tra cui Roland Barthes. Racconta scherzo- del periodo Edo, in cui il piacere sessuale veniva samente Koji Wakamatsu, sul set in qualità di co- esaltato e celebrato nelle stampe pornografiche produttore, che si era scommesso sulla reazione (delle quali Dauman era appassionato collezioni- dei presenti: se nessuno in sala si fosse acceso sta). La modernità, e la temperie rivoluzionaria, una sigaretta (era un’epoca decisamente antiproi- per paradosso avevano in qualche modo spento bizionista) il film sarebbe stato un successo. Eb- il potere eversivo del sesso (un fenomeno riscon- bene, il pubblico era paralizzato e nessuno mise trabile anche nella storia dell’Occidente). La se- mano al tabacco. Nemmeno in Francia tutto era conda evidenzia la radicalità del personaggio di permesso – la pellicola fece comunque scandalo Sada nel film di Oshima: in principio una serva, – ma a prenderne le difese furono anche soggetti un oggetto di proprietà di Kichizo, il quale però non esattamente rivoluzionari, come il presidente appena entra dentro di lei “come Napoleone che Chirac. Un clamore che contribuì a far conoscere Oshima a livello internazionale – alla Quinzaine des Réalisateurs si arrivò a organizzare oltre una Due immagini tratte da L’impero dei sensi decina di repliche pur di permettere alla folla di giornalisti di visionare il film – ma gli costò una serie di censure in diversi altri paesi, soprattutto nel suo (inizialmente anche negli Stati Uniti e in Italia) confische della polizia, denunce, e si tentò di neutralizzarlo con un faticoso processo lungo 6 anni con oggetto il bellissimo catalogo che ac- compagnava il film. La realizzazione di L’impero dei sensi rappresenta una storia di per sé affascinante, e uno spaccato del modo di fare cinema all’epoca. Li racconta nei 76 invade la Russia, d’improvviso si ritrova impanta- proprio nel momento in cui la liberazione sessuale nato, prigioniero nell’immenso territorio che è il inizia a mostrare le sue falle e i suoi paradossi. corpo di lei”. Secondo la Breillat, quando Sada Però la vita e la teoria non vanno sempre di pari rialza il viso dal sesso del suo amante, il suo è un passo. Mentre Abe Sada, quella vera, e la sua ver- viso trasfigurato e non degradato, un’immagine sione cinematografica, si avviano diventare un’i- mistica, come i volti delle sante nella storia dell’ar- cona, una sorta di eroina rivoluzionaria capace di te. Oshima è cineasta doppiamente resistente: di- capovolgere sia il rapporto tra padrone e serven- pinge un personaggio femminile che governa la te, sia tra amante uomo e amante donna - una propria sessualità in un paese che non lo consen- lettera scarlatta si cuciva sull’attrice protagonista te, e mostra la pulsione sessuale come forza in- Eiko Matsuda. L’aveva scovata nella compagnia contrastata e tenebrosa, meravigliosamente vitale teatrale d’avanguardia di Shûji Terayama (al- proprio quando si fa sepolcro, riscagliata in gioco tro nome capitale di quegli anni), la Tenjo Sajiki, dopo una lunga ricerca, visto che nessuna attri- Sopra L’impero dei sensi ce giapponese sembrava pronta ad affrontare un In basso: L’impero della passione ruolo tanto estremo. La sua storia dopo il film si colora di una nota di tristezza: non solo la car- riera professionale, appena iniziata, va a rotoli, ma anche la sua vita privata venne pesantemente coinvolta in questo marchio di reietta (fino all’in- sulto e all’aggressione camminando in strada) co- stringendola a fuggire dal Giappone e trasferirsi a Parigi, dove si ammalerà di cancro. A Tatsuya Fuji va un po’ meglio, anche se per due anni non gli saranno offerte parti interessanti. Nel documenta- rio, egli racconta con entusiasmo di un’esperienza coraggiosa che ha cambiato la percezione del suo mestiere di attore - accettò un ruolo rischioso vi- sto che era già affermato come star - le difficoltà, ma anche il rigore delle riprese, dove durante i

77 In basso Max, Mon Amour

rapporti sessuali erano ammessi soltanto Oshima l’amore può assumere e il modo in cui le persone e l’operatore. Nel documentario intervengono di- possono salvare se stesse solo in quell’amore”. Si rettamente lo stesso Oshima, l’assistente alla re- salvano e si perdono, perchè il loro smarrimento è gia Yôichi Sai e le attrici Katsue Tamiyama e Akiko anche una discesa negli inferi: se L’impero dei sen- Koyama (moglie del regista), che in una bella in- si si svolgeva quasi completamente in interni, in tervista ricorda come fosse pronta a interpretare un ambiente artificiale, in L’impero della passione lei stessa Sada pur di portare a termine le riprese, subentra la natura, come minaccia e benedizione se non si fosse trovata la giovane, inesperta ma insieme. coraggiosa Eiko Matsuda. “Cerco di rappresentare la condizione umana nel- Sempre Dauman produrrà L’impero della passio- la sua fase primordiale. In questo senso, il film ri-

FACES ne (1978) che alla “trasgressiva intensità del film sale alle radici dell’intera vita, più profondamente precedente ha sostituito un cupo senso di colpa e di quanto il precedente abbia mai fatto. Gli amanti di rimorso”. sembrano scagliati nell’inferno a causa delle loro Ohima aveva letto il libro di uno sconosciuto, pulsioni, ma a mio parere, sono il rombo della ter- Itoko Nakamura, e la frase con cui gli era stato ra, il soffio del vento, il fruscio degli alberi, i canti inviato lo aveva profondamente colpito. Diceva: degli uccelli e degli insetti, in breve, tutta la natura, “sono certo che l’autore de L’impero dei sensi ca- sta guidando gli amanti verso l’inferno. […] Né il pirà: perfino in un periodo buio della storia giap- sesso né l’amore hanno alcun significato. La vita ponese, l’amore è esistito”. Nelle intenzioni del stessa non ha alcun significato. E se non ha senso, regista non si è mai trattato di un sequel o di una non è forse l’inferno? Tutto quello che posso fare è variazione sul tema, ma di un altro approccio alla esprimere e proiettare davanti a te la vita umana, storia di un uomo e una donna che non esitano nella sua assenza di qualsiasi significato, questo ad allineare la loro esistenza quotidiana con le inferno, che per me è sempre bellissimo”. loro più profonde pulsioni sessuali. “E al momento All’inizio degli anni ‘80 si delinea un cambiamen- attuale” diceva Oshima in un’intervista compar- to nell’apparato produttivo nipponico, che comin- sa su Positif proprio nel ‘78 “non c’è nulla che mi cia a sopravvivere di coproduzioni internazionali, interessi tanto quanto studiare le varie forme che fatte per un pubblico ampio. Oshima esprimeva

78 In basso Tabù la sua preoccupazione riguardo a una dimensione Nel ‘94 riassume la sua esperienza di regista e industriale globalizzante, in grado di sminuire le creatore, e quella di alcuni colleghi, nel documen- potenzialità di espressione artistica. In effetti an- tario del BFI 100 Years of Japanese Cinema. che la sua produzione diminuisce. Infine, nel 1999, Oshima dirige Tabù (Gohatto) È del 1983 Furyo (Merry Christmas, Mr. Lawren- con Tadanobu Asano, Yôichi Sai, Tomoro Taguchi ce), sostenuto dall’illuminato produttore britan- (e nuovamente Takeshi Kitano). Tratto da alcuni nico Jeremy Thomas (che accompagnerà David racconti di Shiba Ryotaro, è un canto del cigno che

Cronenberg lungo tutta la sua carriera), adatta- affronta ancora il tema del rapporto come rela- FACES mento del romanzo di Laurens Van der Post, ma zione gerarchica tra mentore e allievo, e al tempo influenzato dalla poetica erotica di Mishima, con stesso, la rottura di questa gerarchia attraverso la protagonisti Ryuichi Sakamoto, anche autore della forza sottesa dell’attrazione e la prossimità inevi- colonna sonora, David Bowie e in uno dei suoi tabile di amore e morte (come in tante splendide primissimi ruoli drammatici, Takeshi Kitano. Torna pagine di Yukio Mishima): la conturbante spietata il tema dell’attrazione erotica che serpeggia sotto giovinezza di Sozaburo Kano (Ryuhei Matsuda), rigide gerarchie. che apre ferite sottili nell’animo dei samurai, rap- Max, Mon Amour (1986) girato in Francia, con la presenta il suadente richiamo di un desiderio ma- collaborazione dei complici di Luis Buñuel – il pro- linconico, che si accende più forte proprio tra le duttore Serge Silberman (La via lattea, Il fantasma maglie delle regole più inflessibili: ancora la rap- della libertà, Il fascino discreto della borghesia, presentazione di un ordine sociale militarizzato, Quell’oscuro oggetto del desiderio, ma anche Ran scosso suo malgrado da forze passionali inarre- di Kurosawa) e il leggendario cosceneggiatore stabili. Continueremo a cercare quelle forze nelle Jean-Claude Carrière, autore di dialoghi e script sue immagini, che per fortuna, ci appartengono. per Buñuel, e per Malle, Deray, Ferreri. Una sati- Anche se non ne avremo altre. Rubando un tweet ra surreale che vede protagonista Charlotte Ram- del 15 gennaio 2013 a Daniele Dottorini: Oshima pling nei panni di una signora borghese che ha Nagisa è morto. qualcosa, su come inquadrare un per amante uno scimpanzè. corpo al cinema, se ne va con lui...

Video

79 Audrey Hepburn dentro la favola della vita

di tonino de pace FACES

Quando mi vengono le paturnie, salto su un taxi e vado a vedere i gioielli di Tiffany

Questa ragazzina riuscirà a convincere il mondo intero che il seno e le curve sono un inutile retaggio del passato. Billy Wilder In realtà il suo nome era Audrey Kathleen Ru- eppure così dentro ai mutamenti che si imponeva- ston, ma tutti l’abbiamo conosciuta come Audrey no nelle società occidentali tra gli anni ‘50 e ‘60, Hepburn, e aveva ereditato il cognome dalla non- Audrey Hepburn ha rappresentato l’evoluzione del na paterna. Con questo nome l’abbiamo vista personaggio femminile che abbandonava il fasci- imporre la sua minuta presenza in tanti film che no glamour per indossare le vesti di una seduzio- hanno annunciato il mutamento del costume, un ne meno esibita, più discreta e forse più subdola. modello di femminilità che le apparteneva, una La Hepburn ha attraversato la scena imponendo certa idea per cui era possibile superare, in nome per la figura femminile una visione di semplicità, dell’amore, con agilità gli steccati tra classi sociali. quell’acqua e sapone dal fascino irrinunciabile. La sua carriera è stata intensa, ma non particolar- Timida, discreta e determinata, con i suoi occhi mente congestionata dalla ricerca della popolari- troppo grandi per il suo viso piccolo e regolare, tà. Con quell’aria distaccata dalle cose del mondo che le davano quell’aria ingenua e sbarazzina da 80 nonostante i presupposti. I suoi primi passi nel mondo dello spettacolo av- vennero grazie alla danza. Aveva studiato al Con- servatorio di Arnhem in Olanda, dove si era rifu- giata con la madre nella speranza di sfuggire al nazismo e in quella stessa città aveva frequentato la scuola di danza. Compiva esattamente 16 anni

quando le truppe alleate liberarono l’Olanda e FACES per Audrey si aprivano le porte della libertà. Aveva sofferto di malnutrizione e per questo le fu preclu- sa la carriera di danzatrice. Ma questo handicap diventò il suo punto di forza anticipando sui tempi un modello femminile apparentemente inattua- le. Era il tempo dell’opulenza delle dive: Marilyn “cerbiatta” che si è portata dietro per tutta la vita. Monroe, Jane Mansfield, Rita Hayworth. In altre Così la ricordiamo ancora, donna fatta, nell’ulti- parole tutt’altro genere. Ma era questo il marchio mo film che ha interpretato, il malinconico e quasi della personalità della Hepburn. Tra il 1948 e il segreto Always di Steven Spielberg con Richard 1952 partecipò a piccole produzioni cinemato- Dreyfuss, remake di Joe il pilota di Fleming. grafiche, a teatro ebbe la fortuna di essere scelta La sua origine, divisa tra una nobiltà nord euro- come protagonista nella commedia Gigi di Colet- pea e una educazione anglosassone e il dolore te che le valse il Theatre World Award per il de- giovanile per l’allontanamento del padre simpa- butto. Nel 1952 l’incontro con William Wyler, un tizzante del nazismo, l’aveva portata ad affronta- provino e l’inattesa assegnazione del ruolo di pro- re una giovinezza non propriamente spensierata tagonista in Vacanze romane, quello della princi-

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pessa Anna. Wyler fu folgorato dalla sua presenza e, come ebbe a sottolineare, da quella combina- zione di innocenza, fascino e talento. Per questo le predisse la vittoria dell’Oscar che arrivò nel 1954. Dalla favola della principessa in incognito e dello scalcagnato principe azzurro, ad un’altra, quella della povera figlia dell’autista di una ricca fami- glia e dell’amore con il burbero figlio maggiore. Sabrina di Billy Wilder è il secondo film importante della sua carriera divisa tra cinema, teatro e la sua smisurata passione per la moda, le collezioni, i vestiti. Fu divertente l’incontro con Givenchy con cui avrebbe stretto un’amicizia e un rapporto pro- fessionale che sarebbe durato per sempre. L’attrice minuta e affascinante, l’elegante elfo che attraversava la scena hollywoodiana, aveva ormai conquistato il suo posto vincendo numerosi e am- biti premi per la sua recitazione e nel 1957 altri due film arricchiscono la sua filmografia. Ceneren- tola a Parigi che le offrì l’occasione di tornare al ballo e soprattutto di poterlo fare con Fred Astaire e Arianna seconda collaborazione con Wilder, che rinnovava la sua passione musicale e confermava la sua immagine di giovane donna il cui fascino raffinato faceva perdere la testa al maturo e disin- cantato uomo d’affari. Come ebbe a notare qualcuno, nei suoi film la Hepburn non ha mai madre, sempre un padre, così in Arianna, così in Sabrina e così anche in Vacanze romane. L’orfana comunque cresce bene 82 non comune. Il film è l’icona della Hepburn, nes- suno potrà dimenticarla in quelle pose ironica- mente ammiccanti in cui sono stati catturati i tratti essenziali di quella leggiadria innata e di quella leggerezza che non è mai stupidità. Una seconda, ma meno fortunata, collaborazione con Wyler segnerà il 1961 anno d’uscita di Quelle

due. L’originale Sciarada di Stanley Donen (1963) FACES le offrì la possibilità di lavorare con Cary Grant, che, l’anno successivo, a chi gli chiedeva che re- galo desiderasse per il natale rispose: girare un altro film con Audrey Hepburn. Con My Fair Lady del 1964, per la regia di Ge- orge Cukor, la Hepburn realizzò un altro film che riassumeva i suoi tratti caratteristici. La storia del- la fioraia che diventa dama dell’alta società è un e se nel 1960 gira con Huston Gli inesorabili, sarà percorso che la Hepburn ha più volte interpretato, nel 1961 che girerà il film che forse più di ogni probabilmente anche nella vita. Le storie che sono altro la rappresenta, al punto da sembrarle cucito appartenute all’attrice, come in un cliché da fa- addosso, Colazione da Tiffany di Blake Edwards, vola, hanno raccontato di un mondo sognante, grande e un po’ dimenticato realizzatore di com- romaticamente legato all’idea di un amore im- medie, geniale inventore di personaggi femminili, possibile, vuoi per ragioni di età (la Hepburn si è dotato di un intuito e un senso dello spettacolo sempre innamorata, così nel cinema, come nella

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vita, di uomini maturi e più anziani di lei), vuoi per ragioni di differenze sociali. Il cinema, il suo cinema, a rileggerlo oggi a vent’anni dalla sua morte, ha azzerato queste distanze, ha abbattu- to quegli steccati con un’operazione che sarebbe molto interessante potere leggere anche in chiave psicoanalitica. La sua carriera verso la fine ha rallentato la sua corsa, mai sfrenata in realtà: la Hepburn ha pre- ferito dedicarsi molto alla famiglia, ai suoi amori. Come rubare un milione e vivere felici (1966) è sta- to il suo terzo film con William Wyler, Due per la strada (1967) il secondo con Donen. Video Nel 1976 interpretò un film che se non ci fosse stato il malinconico Always sarebbe stato ultimati- vo, Robin e Marian di Richard Lester. Un film in cui un acciaccato Robin Hood rincontra, dopo molti anni, una matura Marian. Dolori e reumatismi, stanchezza e pigrizia, ma un amore sempre vivo e vibrante lega i due amanti combattenti. Un film d’altri tempi, un cinema che emblematicamente chiudeva gli anni ’70 preparandoci al nuovo de- cennio, quello del riflusso (oggi sembra archeo- logia, ma in quelle radici c’è il nostro presente), quello degli eroi stanchi, delle passioni sopite, dell’addio di Audrey Hepburn dalle scene. 84 Boardwalk Empire Scorsese e il diabolico whisky formato TV FUORICAMPO

di francesco maggi

“It’s not sex, drugs and rock and roll. It’s sex, al- no ci proverò) il regista ha scritto il suo romanzo cohol and jazz”. Terence Winter, sceneggiatore di (definitivo?) del gangsterismo. Ha (ri)dato vita al Boardwalk Empire. sogno di un’epoca. O ha iniziato a farlo solo ora, e questo potrebbe cambiare anche le sue scelte La terza stagione di Boardwalk Empire sbarcherà future. La prima puntata di Boardwalk Empire 3 tra pochi giorni in Italia. I 12 nuovi episodi saran- è stata presentata in anteprima al festival ‘Imma- no trasmessi su Sky Cinema a febbraio. In questo ginario 3.0,’ che si è svolto lo scorso novembre post, ho cercato di guardare oltre le apparenze a Perugia. È disponibile anche l’edizione in Dvd del prodotto seriale, mainstream e dall’impronta della seconda serie. profondamente Hbo, il canale che ha dato alla luce Sex and the City, Six Feet Under, The Wire, “La televisione crea l’oblio, il cinema ha sempre I Soprano, True Blood. Un viaggio che non pote- creato dei ricordi”. Jean-Luc Godard va tralasciare il cinema di Scorsese, produttore di Boardwalk Empire e regista del primo episodio, I sogni e l’immaginazione sono fatti di una pasta l’epica del gangsterismo e le punte più alte di un semplice e assai a buon mercato se si è in grado immaginario diventato storia. Con il successo di di metterli insieme. Sono ingredienti così naturali, Boardwalk Empire (e cercherò di spiegarlo o alme- spontanei e imprevedibili, che non servono ela-

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borate sovrastrutture per esplorarne l’essenza. E l’HBO, sembra che le porte del piccolo schermo farne gustare il sapore sul palato. Ma, come nella si stiano per aprire anche al riluttante regista di magnifica arte della cucina, se hai gli ingredienti New York. La nuova serie è Boardwalk Empire, un giusti, freschi e saporiti, e le mani esperte e creati- progetto impegnativo, costoso e molto ambizioso ve di un buon cuoco, il canovaccio di una vecchia per il canale via cavo. E una novità per l’autore di e ripetitiva ricetta, può trasformarsi nel piatto più Mean Streets e Taxi Driver. Un’occasione alternati- prelibato e unico che un commensale abbia mai va figlia dell’improvvisa, per pochi, rinascita degli assaporato. Con le storie è più o meno lo stesso ultimi 15 anni della serialità televisiva mainstream procedimento. I personaggi, il loro profumo vitale dalla quale si era tenuto a debita distanza. For- e malinconico, la loro forza e l’irrefrenabile pas- se curioso di vedere come altri colleghi avrebbero sione, i loro amori e le loro vendette. Il sangue e approfittato e gestito i loro progetti da produttori l’onore di cui si macchiano o si spogliano. Vivo- TV. A iniziare dal pioniere: Steven Spielberg. Il re- no in un limbo senza tempo aspettando di trovare gista di Lincoln che per l’Hbo ha prodotto Band of qualche scellerata intelligenza, ahimè non me ne Brothers (2001) fino a recente Terra Nova (2011). vogliano gli chef, l’ossessione patologica di isolati O George Lucas con Star Wars: The Clone Wars pescatori di sogni o la pazienza di devoti e attenti (2008-11). Per non parlare di James Cameron cercatori. Loro stessi personaggi di un mondo di- con Dark Angel (2000) o Terminator: The Sarah stratto e confusionario, ma che oggi come cento Connors Chronicles (2008). E Joe Dante, con Jere- anni fa non fa altro che fermarsi per guardare e miah (2002), Masters of Horror (2005) e Hawaii- ascoltare le parole, i suoni e le immagini della vita Five-0 (2011). e della morte. Lo spettacolo de L’albero della vita Alla base del lavoro di Winter c’è Boardwalk Em- che ognuno di noi protegge e custodisce. Queste pire: The Birth, High Times, and Corruption of At- schegge di “un tempo perduto” tornano spesso a lantic City tratto dal romanzo di Nelson Johnson. bussare alla porta del cinema. A ricordarci che in E lo sguardo di Scorsese per un attimo deve aver fondo una piccola parte di noi gli appartiene. vacillato. Ma non credo abbia avuto esitazione. Quando sulla scrivania di Martin Scorsese, alla Perché non solo ha prodotto dodici episodi della soglia dei 70 anni, di nuovo padre da pochi mesi prima serie, insieme tra gli altri a Mark Wahlberg, e prima di ultimare il suo ritorno sul grande scher- ma ha diretto il pilota: Boardwalk Empire. Andato mo con i prodigi del 3D grazie a Hugo Cabret, ar- in onda sulla rete americana HBO il 19 settembre riva la sceneggiatura di Terence Winter (inventore 2010, raccogliendo oltre 7 milioni di spettatori. E de I Soprano) per un pilot di una nuova serie tv per in Italia subito dopo. Visti gli ottimi risultati ha de- 86 dissetare milioni di americani appena usciti dalla prima guerra mondiale e lanciati come una loco- motiva nei ruggenti Twentys. I favolosi anni venti del The Great Gatsby, il jazz del Cotton club, il

piombo dei thompson automatici, l’allegria sfre- FUORICAMPO nata dei nuovi costumi sociali. Le cronache erano riempite dalle rapine e fughe del Nemico pubbli- co. Al cinema il silenzio del muto riempiva d’invi- dia lo spettatore. Scorsese non si lascia intimorire, non si distrae e si immerge nei suoi sogni di gioventù, nelle at- mosfere che più ama, lì dove la storia della mala- vita si è fusa con le vicende di una paese giovane e ingenuo. Enoch Thompson è l’incarnazione di questo ‘New Deal’. Un elegante e gentile ruffiano irlandese. Un politicante dal grande mestiere: le battute giuste per ogni occasione e una mazzetta da migliaia di dollari sempre in tasca. Al suo fian- ciso di continuare con una seconda serie andata co compare un ex reduce dell’esercito americano in onda in Italia a cavallo di gennaio e febbraio James “Jimmy” Darmody ( – The Dre- 2012. Una terza in arrivo da noi. E una quarta già amers, Funny Games U.S.) con ancora negli occhi programmata. Facendo vincere al suo protagoni- le violenze del fronte europeo, con il passo clau- sta, , un Golden Globe nel 2011 dicante, e la voglia di farsi valere nello scacchie- come miglior attore protagonista e due nomina- re costruito dal Nucky. Enoch è stato un secondo tion nelle edizioni 2012 e 2013, e una valanga padre per Jimmy, si scoprirà solo nella seconda di altri riconoscimenti (tra cui 8 Emmy) alla pro- serie chi sia quello vero ma del tutto assente, gira- duzione. no la città pianificando il futuro del contrabbando in quelle ore che taglieranno in due la storia del La storia (per chi non la conosce) paese. Attorno al clan fatto di tirapiedi, prostitu- te e arroganti politicanti, che si allarga, cresce e Siamo ad Atlantic City 1920 ventiquattro ore pri- spesso perde qualche pezzo lasciato per terra nel ma dell’inizio del “The noble experiement”, il dia- proprio sangue episodio dopo episodio. Ma in bolico proibizionismo. Il fondamentalismo anti- questa maleodorante umanità ci sono anche gio- alcool che durerà negli Usa dal 1920 al 1933. vani vedove irlandesi in cerca di un futuro migliore Vietati dalla mezzanotte produzione, vendita, im- come Margaret Schoreder (), un portazione, trasporto delle bevande alcoliche. È anziano Commodoro ancora potente ma dalla in quelle ore che Enoch ‘Nucky’ Thompson (uno salute precaria e molti segreti (Daney Coleman), straordinario Steve Buscemi – Animal Factory, In- un fidato reduce con una mezza maschera regalo terview, Fargo) intuisce che forse la sua carriera in della Grande Guerra, Richard Harrow (un efficace grande ascesa da scaltro e furbo Tesoriere (una ), un capo della polizia “di famiglia” sorta di super assessore) di Atlantic City potrà de- Elias “Eli” Thompson (Shea Whigam), magnifiche collare definitivamente grazie al business illegale prostitute come Lucy (). E il padro- del whisky. Il funerale del “divino Bacco”, se ben ne del ghetto dei neri come Mr White. organizzato ,potrebbe trasformarsi nel matrimo- Scorsese, abilmente, distende la trama del pilot nio redditizio tra il suo piccolo clan e i pezzi grossi scoprendo i personaggi con una ritrovato stato di di Chicago e New York. Gente come Lucky Lucia- grazia. Procede con movimenti di macchina assai no ( - I Soprano), Arnold Rothstein plastici amplificando le meravigliose scenografie ( - A Serious Man, Hugo Cabret), tirate su per l’occasione. La violenza è per ora so- Johnny Torrio (Greg Antonacci – I Soprano), Big pita, ai margini. Atlantic City si sta preparando. O Jim Colosimo (Frank Crudele), boss dallo stenta- almeno chi vuole fare ‘la grana’. Nell’ombra la- to accento inglese, avidi e senza morale, pronti a vorano anche i nuovi cops preparati a combattere 87 A sinistra Galileo, 1974 In basso Don Giovanni, 1980 TORINO 30

i criminali del proibizionismo come l’agente del- di Nucky Thomson e poi moglie. Dopo le elezioni l’Fbi Nelson Van Alden (Micheal Shannon – Onora presidenziali, alle quali Nucky parteciperà aiutan- il padre e la madre, My Son, My Son What Have do a nascondere ad Atlantic un’amante con prole Ye Done), algido cane da guardia dei rampanti del candidato outsider alla Casa Bianca, lo stanco ganster in blazer e cappotto. Ma anima inquieta e Tesoriere dovrà difendersi dalla nuova e inaspet- non del tutto preparato ai richiami del luccicante tata alleanza tra suo fratello Eli e il suo ormai ex boardwalk. A incendiare l’aria della placida At- protetto Jimmy, che insieme ad altri vecchi politi- lantic City è il fallimento di un primo carico diret- canti tramano alle sue spalle. E dalla controffen- to ai compratori dell’east-cost e già piazzato da siva del Governo, che gli manda alle costole una “Nucky”. Un colpo basso ai suoi traffici appena procuratrice tenace e poco malleabile. Il finale oliati. I federali irrompono nella distilleria abusi- costringerà Nucky a scelte tragiche per salvarsi la va. Qualcuno ha tradito la sua fiducia. Peggio, il vita. Dovrà sporcarsi le mani in prima persona ed suo fidato Jimmy si dimostra ben più ambizioso eliminare chi tramava per prendere il suo posto, di quello che il suo capo pensava. Gli ha soffia- Jimmy. E mandare in galera suo fratello. Una ferita to migliaia di bottiglie e le ha spedite a Chicago. difficile da rimarginare. La terza stagione si apre Mettendosi in questa avventura con un piccoletto con cupe ombre che si addensano su Atlantic City, spigoloso e violento, l’autista di , Al la stretta dei nemici di Nucky si fa più stringente. I Capone. mitra e gli attentati metteranno a dura prova il suo Se i primi dodici episodi sorvolano sui lati oscu- impero alcolico. Lui stesso ne sarà vittima. Stanco ri del passato dei protagonisti, concentrandosi e abbandonato dai vecchi ‘amici’ della mala, l’ex sulla scalata verso le nuove elezioni del sindaco tesoriere affronterà la sfida più difficile. di Atlantic City e la fuga di Jimmy lontano dalla Scorsese si muove da gran tessitore nel suo regno città, la seconda serie è ricca di colpi di scena. preferito. I suoi protagonisti sono figure di un tea- Di flashback che diradano i segreti del rapporto tro tragico e realistico, sono maschere popolari e figliare tra Jimmy e Enoch. Di nuovi personaggi allo stesso tempo ricche di un’umanità e di un inti- che si affacciano e scalpitano per avere la ribalta. mismo che in molte scene rasenta la malinconica Ma a farla sempre da padrone sono i complotti consapevolezza di un grandioso sogno spezzato. che rischiano di mettere in pericolo il potere del Arbitri di un destino rapace e violento, pronto a Tesoriere e persino della sua stessa famiglia, ora scardinare ogni ancestrale sicurezza. I rapporti allargata anche a Margaret Schoreder e ai suoi padri-figlio, soprattutto nella seconda serie, ven- due figli. Non più povera vedova della Women’s gono assaltati dall’avidità e dalla sete di potere. Temperance League, ma amante molto borghese Fino allo scontro finale senza pietà per ricordare a 88 fidarsi al proprio istinto. Il maestro di New York lo sa bene, ma nella prima puntata si lascia andare ai suoi sogni di ragazzo del Queens. Gente come Nucky e Jimmy lui l’ha conosciuta, magari solo chi è sopravvissuto ai colpi bassi della vita e alle pal- lottole degli avversari e dava consigli a Quei bravi FUORICAMPO tutti quanto, al di là di ciò che unisce due persone, ragazzi o bazzicava i bulli di Mean Streets. Una quello che deve essere sempre chiaro a tutti è chi seconda generazione che ancora viveva nel mito comanda. Perché solo in questo modo si possono dei grandi boss italiani, ebrei e irlandesi. Sangue, difendere le cose più care, che siano affetti, soldi potere, soldi e belle donne. Alla fine della giostra o potere. Senza esitazioni o paure. Anche quando è il cerchio di quella vita immaginata dal giovane la pistola è puntata contro la persona a cui ave- Scorsese del Queens nei primi anni ’50 guardan- vi affidato il tuo futuro e che pensavi dovesse es- do dal basso i piccoli malavitosi di quartiere da serti fedele e riconoscente per sempre. È la legge dietro la finestra perché l’asma lo faceva sentire della strada, anche se a farla rispettare in questo diverso. Il sogno del Boardwalk Empire di Scorse- modo è un sornione in un raffinato doppio petto se si muove nell’infinita macchina dell’immagina- e dall’altra parte c’è un ragazzo che ha scoperto zione che è il cinema. Personale e universale come l’inferno della guerra troppo presto. Per produr- spesso capita solo ai grandi. re l’episodio pilota di Boardwalk Empire la HBO Nel 1979 un giovane Martin Scorsese gira Ameri- ha messo sul piatto circa di 18 milioni dollari. Per ca 1929, sterminateli senza pietà (Boxcar Bertha). avere un’idea la concorrente ABC (Cougar Town, Questa è la seconda pellicola ufficiale del regi- Modern Family, Grey’s Anatomy, Desperate hou- sta italo americano, dopo Chi sta bussando alla sewifes, ne spese 10 milioni solo per Lost. I circa mia porta? (1969), prodotta da Roger Corman duecento metri del ‘boardwalk’, ricostruiti apposi- che vede fin da subito del talento nel giovane uni- tamente nel Jersey Shore, pare che siano costati 5 versitario. America 1929 rivisita Il Clan dei Baker milioni di dollari. E poi il digitale ha fatto il resto (1970) proprio di Corman e strizza l’occhio indi- ampliando e ridandoci l’Atlantic City degli anni rettamente al capolavoro Gangster Story (1967) d’oro. Ciascun episodio si aggira su un budget di di Arthur Penn. America 1929 è la storia di una 5 milioni di dollari. E una bella fetta è stata desti- donna, un sindacalista comunista, un uomo di nata alla realizzazione dei magnifici abiti di scena colore e un baro. Quattro vite che faticano negli curati personalmente da Martin Grenfield, celebre States devastati dal crack economico della borsa sarto di Brooklyn. e che per sopravvivere tirano fuori le unghie, la rabbia e le pallottole. America 1929 è il baratro “Non lasciare che la verità rovini una bella storia”. dopo il paradiso. È il finale accelerato dopo la camminata lungo i Boardwalk del grande Paese. Quando si spegneranno le luci e la musica dei Lo sguardo distaccato ma incredibilmente profon- ruggenti anni ’20 e inizieranno a fumare ancor di do di Buscemi/”Nucky” Thompson è la calamita più le pistole dei gangster e dei nemici pubblici. di questo anti-eroe di un’epopea di balordi e gan- Perché la gente avrà fame e sete. gster. Mentre Jimmi Darmody è il ragazzo dalla Scorsese in America 1929 affronta la frattura so- gioventù violentata dalla prima guerra mondiale. ciale e psicologica di un Nazione ancora giovane I singoli elementi dell’orchestra Scorsese seguono il loro maestro senza far capire quale è la parti- tura. In questi personaggi c’è solo il dannatissi- mo presente perché il loro passato sarà il pane quotidiano dello spettatore per le puntate che ver- ranno. Con la sua direzione dell’episodio pilota Scorsese detta anche la linea per chi lo seguirà dietro la macchina da presa. Difficile non seguirne l’impronta del talento, anche se in molti episodi appare evidente la volontà di alcuni registi di af-

89 con la verità del suo cinema ancora ruvido, ma precise analogie tra film e sogni, ma agli uni e agli subito attento alla profondità dei caratteri. Quel- altri è comune la condizione della “presenza in as- lo che stupisce, osservando ciò che è contenuto senza”. È la nostra psiche che osserviamo, rimos- in America 1929, apprezzando i germogli di una sa, allontanata da noi, estranea eppur famigliare. personale visione già prima dei 30 anni, di ciò Il nostro identificarci in lui in quanto archetipo del che poteva essere la nuova generazione di regi- sognatore americano, le cui azioni ed il cui com- sti agli esordi nello stesso periodo di Scorse (De portamento implicano un modo di vivere che nasce Palma, Lucas, Spielberg, Coppola). Oggi mol- dal sogno comune alla maggioranza di coloro che to di quel sentimento cinematografico scorre in conducono l’esistenza tra gli aspetti e le contraddi- Boardwalk Empire. Sono ad esempio le scintille zioni particolari della società americana, un sogno

FUORICAMPO dei caratteri prettamente legati a Scorsese che il- in conflitto con la società”. (Jack Shadoian, Il cine- lumineranno le sue scelte future. Fino all’ultima ma gangsteristico americano. Sogni e vicoli ciechi, maschera, proprio quell’ Enoch “Nucky” Thomp- Edizioni Dedalo, pag. 21, Bari 1980) son interpretato dal volto plasticamente sornione La dualità esasperata, evidente soprattutto nel- di Steve Buscemi. Passando per altri “malfattori” la seconda serie di Boardwalk Empire, tra Enoch come James Conway (Quei bravi ragazzi) di Ray Thompson e Jim Darmody, è l’operazione di ele- Liotta e Sam “Ace” Rothstein (Casinò) di Robert De vamento ad ennesima potenza di questo sogno Niro (Non a caso Rothstein è il nome del giocatore comune. Entrambi aspirano a qualcosa che ineso- professionista e boss della mala di New York che rabilmente è in conflitto con le regole della socie- in Boardwalk farà affari con Nucky). O Banny De tà, per quanto loro se ne infischino. Ma la volontà Vito (Quei bravi ragazzi) e Nick Santoro (Casinò) di raggiungere quel limite, di redditizio potere del interpretati da Joe Pesci. O l’ancestrale Bill “The primo e di riconquista di un serenità familiare per- Butcher” Cutting (Gangs of New York) di Daniel duta nel fango della Grande Guerra per il secon- Day-Lewis. Passando anche per do, offrono uno sguardo assai più vicino ai nostri (The Departed) di Jack Nicholson. giorni rispetto alle magnifiche scenografie baroc- “Il gangster è un paradigma del sogno americano che della serie TV. I due anti eroi del Boardwalk ed il film di gangster è un mezzo che risponde al Empire non tendono certo ad allontanarsi da ciò nostro desiderio di visualizzare i nostri sogni in una che viviamo nel nostro tempo. Le loro azioni e de- forma che conservi le proprietà del sogno, ma con- bolezze, proprio perché legate all’identificazione tenga una storia che sia il sogno vivente del suo del sogno, ritornano ad ogni puntata a stringerci eroe che fa sì che il sogno accada e lo realizza. nel profondo. A metterci di nuovo di fronte agli Non si può mai essere completamente certi delle abissi dell’animo umano. Il paziente lavoro di de-

90 A sinistra Galileo, 1974 In basso Don Giovanni, 1980 FUORICAMPO

scrizione psicologica che offre una serie TV, mette Times ha spiegato perché le serie televisive sono nelle mani di chi ha grandi capacità di scrittura diventate il terreno ideale per l’adattamento delle delle possibilità davvero uniche. Winter ha già grandi opere letterarie. E fa alcuni esempi proprio giocato questa carta nei Soprano portandoli ad- del catalogo HBO. Il canale via cavo ha selezio- dirittura dallo psicanalista. Così pensare di far in- nato un gran numero di opere letterarie di suc- teragire i protagonisti con una rete di personaggi cesso come Swampilnadia di Karen Russel, Art of secondari, che però, grazie alle dinamiche delle fielding di Chad Harbach o Il club dei bugiardi di puntate, possono diventare magnifiche sponde Mary Karr. Nell’articolo Fehrman sottolinea come e inesauribili comprimari per amplificarne dolori “quello che la gente ama della tv ‘post Soprano’, e deliri. Questo in Boardwalk Empire accade al- quindi la sua complessità, la sua densità, la sua meno con 4 o 5 pedine. Molte scene sono dedi- ambiguità morale per non dire depravazione, è cate solo a loro e ci restituiscono, grazie anche anche quello che apprezza nella fiction letteraria”. alla scelta azzeccata del cast (Micheal Shannon, “Una serie TV - sottolinea lo scrittore - ti permet- Jack Huston, William Forsythe, ) te di esplorare tutto, di concentrarti su qualcosa una ricchezza cinematografica senza pari. Ma- quando devi approfondire e di espandere quando gnifico omaggio la presenza di Forsythe, il Philip vuoi divagare. Un mezzo molto simile al romanzo, “Cockeye” Stein di C’era una volta in America di punta verso l’infinito. Mentre per ricavare un film Sergio Leone. Fragili di fronte al lato androgino da un romanzo bisogna sempre agire per sottra- o femminile che li circonda. Pavidi nella ricerca zione, per taglio privilegiando il montaggio, con le di un’insana spiritualità nel loro sguardo verso serie tv si procede per strati e accumulazione. La l’altro. Nel suo cinema albeggiano tanti di questi scrittura – osserve lo scrittore – comanda i giochi. personaggi marginali e al margine dell’umanità. Personaggi che da secondari diventano principa- Quelli che in definitiva però muovono l’ azione. E li, la variazione di ritmo da una stagione all’al- che solo nella riproducibilità episodica delle serie tra. Negli anni trenta William Faulkener, Raymond TV trovano il loro mondo perfetto. Lo spazio per Chandler, Nathanel West e F. Scott Fitzgerald, si animare il palcoscenico in tutta la loro potenza trasferirono a Hollywood per produrre sceneggia- drammaturgica. Ritorna la variabile temporale. ture”. Ecco che questa riflessione ci riporta a deli- La matrice che espande grazie alla serialità del neare i motivi del successo di Boardwalk Empire e piccolo schermo la possibilità di un fare cinema le possibilità che un regista lontano dall’universo quasi infinito. televisivo ha trovato invece nella nuova epopea delle serialità. Dunque, spero di averlo spiegato al “You make a deal... You figure out how much sin meglio, Scorsese ha scritto il suo romanzo (defini- you can live with”. Martin Scorsese tivo?) del gangsterismo. Ha (ri)dato vita al sogno di un’epoca. O ha iniziato a farlo solo ora, e que- Craig Fehrman in un articolo sul The New Yok sto potrebbe cambiare anche le sue scelte future. 91

Unchained Lincoln ha abolito la schiavitù (e l’estetica magniloquente) con un emendamento, Django facendo saltare in aria una Casa Bianca… la vendetta è nera. Ripassare non è ripetere, ma riscrivere. La parola all’azione e la storia in controluce di uo- mini per natura contro natura. thief