Lez 2 La fosca storia dei briganti della Merlata

Il Bosco della Merlata

Il bosco, che prende il nome dal corso d'acqua Merlata, era un'area boschiva in pianura che originariamente si sviluppava all’esterno delle mura di MIlano da nord fino ad ovest, quasi a lambire le città di Novara, Varese e Como. Al suo interno comprendeva centri abitati e anche la Certosa di

1795: Veduta del Castello di Milano, sullo sfondo le Prealpi, è visibile l'area alberata che diparte dalle mura cittadine

Mappa del milanese di Giovanni Battista Clarici del 1600, un agglomerato di piante del bosco della Merlata è indicato come Boscho Gruana

Ancora ben sviluppato nel seicento con una discreta fauna, tra cui animali da selvaggina e anche lupi, il bosco divenne famoso per essere infestato da bande di temuti briganti. Tra questi Giacomo Legorino e Battista Scorlino, che furono tra i capibanda più famosi e temuti.

Infatti si leggeva che «“E’ volgare tradizione, presso molti, che i nostri nonni non viaggiassero e che venendo da Como a Milano, dovendo attraversare il bosco della Merlata, facessero testamento come il crociato che si recava in Terra Santa.”»

(A. Bertarelli, A. Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici 1630-1875, Milano, 1927,)

Secondo il Dizionario Corografico Universale dell'Italia stampato nel 1850 all'epoca si poteva ancora riconoscere e distinguere:

 Bosco della Merlata di sopra, lungo un miglio e largo la metà, detto anche Bosco della Madonna del Bosco, dal nome di una cascina con oratorio posta sul lato orientale del bosco lungo un breve tratto della strada varesina  Bosco della Merlata di sotto, più piccolo formato da due quadrilateri tra i quali si trova il di Cassina Triulza, e confinanti a ovest con i comuni di Mazzo, Pantanedo, Cerchiate e Cassina del Pero.

Il bosco scomparve con i disboscamenti di inizio ottocento; riferendosi a quel periodo Giuseppe Bossi Federigotti, poco dopo l'unità d'Italia, scriveva: “Allora i boschi della Merlata non erano lontani dalle mura e accompagnavano le strade della Brianza verso Erba e Como, prima di scomparire, nell'inoltrarsi del secolo, quando, soprattutto a iniziare da quegli anni sessanta, andava dileguando, nella preoccupazione di un esasperato e remunerativo sfruttamento agrario delle ultime aree incolte, quell'Ottocento ancora largamente segnato da pascoli e pittoresche campagne che le tele dell'epoca ci rivelano morente”.

Alla scomparsa del bosco contribuì il suo sfruttamento per ricavare combustibile da utilizzare nelle fornaci che sfruttavano l'argilla presente nel terreno, contribuendo alla sua desertificazione.

1 Verso il 1860 quindi il bosco cessò di esistere, parzialmente sostituito da marcite risaia, grazie all'abbondanza di acqua proveniente dai numerosi fontanili e campi seminati e coltivazione della vite.

Alcuni resti del bosco furono eliminati nel dissodamento del terreno per la costruzione del cimitero di , venendo meno, con la legge 3917/1877 il vincolo di tutela dei boschi di pianura e di collina. Secondo alcuni studiosi la vegetazione boschiva attorno Cusago potrebbe costituire il residuo del Bosco della Merlata

Il bosco ha dato il nome alla , oggi ancora esistente, a ovest di Milano

Osteria di Melgasciada

Cascina d Melgasciada

Nelle vicinanze del bivio fra le strade Varesina e , evidente prima del riordino stradale postbellico) si trovava l'osteria Melgasciada, di origine cinquecentesca e originalmente contenuta nel bosco della Merlata che si estendeva a nord, che prende il nome dal termine dialettale "melgascia" con cui si indicava il fusto della pianta di granoturco. Essa sorgeva sulla strada che conduce a ed era nascosta in una folta macchia di alberi fronzuti, forse un lembo dell'antico e celebre bosco della Merlata.

Questa osteria, probabilmente connessa con una cascina (oppure originariamente cascina), costituiva la base per una banda di briganti che infestava la zona.

La cattiva fama della zona legata al ricordo della presenza dei briganti, rimase nei secoli, finendo per essere citata anche da Giovanni Verga nella novella “L'osteria dei buoni amici” come paragone di luogo pericoloso:

"Aveva ragione il Nano di dire che quel posto era peggio del bosco della Merlata".

Parte posteriore della Cascina Melgasciada

Essa si apriva ospitale ai milanesi desiderosi di verde e di tranquillità. Sulla strada un grande cancello aperto invitava i passanti e, tra i pilastri, inquadrava e incorniciava la non lontana osteria, con lo spiazzo davanti...

Aveva un solo piano e, isolata com'era nella boscaglia, ricorda un poco l'antica Osteria della Cazzuola di goldoniana memoria.

La cascina si presenta a forma di U, con il lato privo di costruzioni chiuso da una muratura. Il corpo centrale, porticato, ospitava le case dei contadini dotate di ampi ballatoi, mentre i due corpi laterali erano destinati a fienili e stalle.

La Trattoria doveva la sua popolarità nelle gite domenicali di inizio ‘900 delle famiglie milanesi alla ricerca di fresco sia al buon cibo sia alle leggende di antichi briganti .

Come buon cibo si potevano gustare un buon piatto locale a base di Asparagi, oppure i salamini con un discreto profumo di aglio o i magioster serviti sui rustici tavoli dellìosteria .

Ritratto di Giulio Cesare

Aneddoto degli asparagi di Giulio Cesare 2 Infatti una delle poche notizie che la storia ci dà della dominazione romana nell'Insubria, è l'aneddoto del piatto di asparagi, conditi con l'unguentum (burro), offerto da Valerio Leonte a Giulio Cesare, governatore della Gallia Cisalpina.

Giulio Cesare, al tempo in cui era governatore della Gallia Cisalpina, venne invitato da Valerio Leonte, influente autorità milanese all’epoca, a un grande banchetto di benvenuto. Plutarco narra che agli ospiti furono serviti degli asparagi conditi da uno strano unguento giallastro sconosciuto agli ospiti romani. Il piatto però risultò poco gradito agli stranieri che non conoscevano altro condimento al di fuori dell’olio d’oliva. L’unguento giudicato maleodorante e disgustoso portò l’intero gruppo a un rifiuto unanime nell’assaggio della tipica pietanza milanese.

Lo sconcerto fu grande. Non certo voleva essere un insulto quello dei milanesi, ma avevano semplicemente offerto ciò che ritenevano il meglio della propria cucina.

Giulio Cesare, per evitare l’offesa e un increscioso incidente diplomatico, senza battere ciglio iniziò a mangiare la fetida pietanza, trovandola infine per niente disgustosa come sembrava.

A fine convivio Giulio Cesare chiese cosa mai fosse quell’unguento maleodorante con cui erano stati conditi gli asparagi. Leonte sorpreso per la domanda inaspettata rispose: “Governatore, quest’unguento si chiama burro ed è prodotto dalle nostre belle e grasse vacche cisalpine“.

Ma era burro o mirra?

Plutarco nei suoi scritti in realtà parla di mirra o comunque di un olio profumato, non di burro. A Roma, però, il burro era usato come unguento o cosmetico. Pertanto a posteriori si è ben pensato di tradurre con burro piuttosto che mirra la leggenda del convivio cesareo.

A favore della traduzione più recente influisce anche l’esistenza della pietanza tipica milanese, fatta per l’appunto con asparagi e burro. Lo sconcerto dei romani, infine, è reso perfettamente nel vedere il burro come condimento da cucina quando da sempre era stato solo usato come prodotto di cosmesi.

Per quanto riguarda gli antichi briganti si ricorda che sull'uscio che immetteva alla cucina grande, (la solita cucinona come in tante altre osterie), una specie di iscrizione che raccontava un'enigmatica storia :

QUI È MURATA LA TESTA DELLA MULA DEI CELEBRI BRIGANTI GIACOMO LEGORINO E BATTISTA SCORLINO GIUSTIZIATI NEL MAGGIO DEL 1566. L'osteria ricordava cioè l'epilogo della banda dei famosi briganti che infestavano il bosco della Merlata.

BRIGANTI

3 Briganti o Bravi

Va comunque ricordato che nel Medioevo erano così chiamati quei soldati che, in piccole compagnie e con armi leggere, si mettevano al soldo di questo o quel signorotto. Sulle sue origini diverse sono le ipotesi, una legata al fatto dell’estrema povertà, un’altra dovuta a una forte presa di posizione contro l’autorità costituita, comunque sia, il brigante è stato una figura presente nella storia italiana, anche se è più facilmente associato al Sud d’Italia. Tuttavia anche la terra lombarda ha avuto i suoi briganti, tanto che Stendhal ne parla nei suoi scritti, identificandoli come “Bravi”, così chiamati anche dal Manzoni nei “Promessi Sposi”, i quali avevano formato una corporazione molto temuta e che volentieri si mettevano al soldo di chi più pagava, abbandonandosi a furti, omicidi, rapine.

Brigante, nel dialetto meneghino si dice “brigànt o sassìn de strada”.

Nel Ducato di Milano, siamo nel XVI secolo, presso il Bosco della Merlata, , agiva una banda di briganti, i quali avevano la loro base presso l’Osteria di Melgasciada, famosa perché i milanesi facevano tappa per gustare gli asparagi. I capi di questa banda di briganti, tali Giacomo Legorino e Battista Scorlino, furono poi catturati e messi a morte. Il fenomeno però non veniva meno, tanto che nella brughiera di Gallarate i briganti spadroneggiavano, per cui i governatori furono costretti a mettere una taglia di ben 100 mila scudi a chi eliminava questi banditi. Furono loro stessi che incamerarono quel premio, poiché si offersero di entrare a far parte delle guardie dei governatori. Oltre a Legorino e Scorlino, veri e proprio malfattori, altri due briganti lombardi furono Giacomo Carciocchi, detto “il Carcini”, nativo di Plesio, nel comasco, dove, unitamente al compagno Pacini, operò con la sua temibile banda, il cui nascondiglio era in una grotta ancora oggi chiamata “Bogia di brigant”, sul monte Grona. Il Pacini divenne un personaggio nel teatro dei burattini bergamasco, col nome di “Pacì Paciana”. L’altro, il cui nome era Vincenzo Pacchiana, di origini della provincia di Bergamo, divenne, da oste che era, brigante In seguito a una condanna per furto subita ingiustamente. Un’altra versione racconta che era un gendarme del governo Veneto, condannato da questi per vari reati, si diede alla macchia e al brigantaggio.

Infatti insieme con l’iscrizione sopra l’ingresso della Trattoria erano presenti due grezzi dipinti popolareschi datati 1793,

Uno in cui un brigante trapassa uno sconsiderato forestiero, un brigante incrocia il suo trombone con quello di un altro compagno d’arme, annunciando, presumibilmente, la frase dipinta ai piedi dell’affresco, “ Giuriamo di non Tradirci ma più”.

I due famigerati personaggi erano Battista Scorlin e Giacomo Legorin, due celebri banditi.

E’ memorabile effettivamente la loro esistenza verso la metà del XVI Sec. quando essi, con una consistente banda di criminali, impaurivano i viaggiatori costretti ad attraversare, provenienti dal varesotto, il vastissimo e fitto bosco della Merlata. I due briganti, tuttavia, non se la cavarono a buon mercato. Come si apprende dalla relazione che Giulio da Modena, cavaliere del Capitano di giustizia, fece nel maggio del 1566 a Giorgio Visconti, eccellentissimo segretario del Senato milanese, essi furono catturati, assieme a 4 un’ottantina di loro complici(come il Trentuno, il Girometta, il Zopeghetto, il Feracino, Rigoletto, Battista da Mombello e altri) e vennero giudicati e condannati a morte e quindi giustiziati nel Maggio del 1566. Secondo le usanze in voga in quel periodo della storia il loro strazio fu terribile. Trascinati per ore a coda di cavallo, avevano poi gambe, braccia e schiena spezzati, quindi legati sulla ruota in attesa di morire dopo una lunga ed atroce agonia, il cappellano che li seguiva, per assicurare al perdono celestiale almeno le loro anime, scongiurò il boia di accelerarne la morte tagliandogli la gola.

Tutti gli altri banditi vennero giustiziati, con vari supplizi, tra il 1566 e l'anno successivo. Ma ciò non valse a estirpare il male che altri banditi, forse discepoli, di quei famosi della Merlata, continuarono a infestare le campagne circostanti a Milano

Nel 1927 si leggeva in un libro di A. Bertarelli, A. Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici 1630-1875,

«“Maggior fama godette la Mergasciada, ove i milanesi si recavano nella stagione primaverile a mangiare gli asparagi. L'osteria esiste ancora oggi alla biforcazione della strada Varesina e Comacina, nel luogo ove in altri tempi si stendevano i boschi della Merlata, rimasti celebri nella tradizione popolare per le aggressioni che vi accadevano. Le paurose leggende, ancor vive nel popolo, che ricordano le gesta di Battista Scorlino e Giacomo Legorino, hanno lasciato traccia in alcuni affreschi visibili ancora nell'osteria, recanti la data del 1768”»

Gioco delle Bocce

E …poi ecco, per i giovani l'altalena che porta in alto fino a toccar le fronde degli alberi ...Ecco per gli anziani scamiciati, il gioco delle bocce, all'ombra di una torretta che sembra un minareto.

Ed ecco l’invito finale

“La Melgasciada è bella... è una delle poche osterie suburbane che ancor ci rimangono e che serbano la tradizione delle vecchie osterie milanesi. Vogliamole bene”.

Ma ai giorni nostri non rimane traccia alcuna di questa antica e rinomata “Cascina”.

Articolo del Corriere della Sera del 1959

Infatti l'osteria venne demolita nel luglio 1959, sulla base del nuovo piano edilizio milanese, per soddisfare richieste di nuove strade di comunicazione e nuovi servizi.Nel corso dell'operazione come riportato da un articolo del Corriere della Sera nella notte del 20 luglio l'edificio fu soggetto ad una incursione di sconosciuti che demolirono a picconate parte dei muri alla ricerca del chiacchierato “Tesoro” dei due banditi del 1565, che voci popolari affermavano potesse esservi nascosto.

Giardino delle Scuole

In seguito nel terreno lasciato libero dall’antica costruzione, venne dapprima edificato intorno al 1961 l’asilo nido tutt’ora esistente sito all’angolo tra Via P.Mantegazza e Via Console Marcello e, in un secondo momento agli inizi degli anni ’70 fu costruita la Scuola Elementare e infine la Biblioteca Comunale di Villapizzone.

5 Trasformazione 1959 2016

VILLAPIZZONE

L'origine della parrocchia di Villapizzone, inizialmente all'interno di un bosco, potrebbe risalire al VI secolo in quanto il suo nome deriverebbe da quello di Atanasio Piccione, monaco di origine greca, in fama di santità, che visse in questo luogo inizialmente chiamato Villa o Villaggio Piccione, da cui Villapizzone, ed il bosco esistente al tempo era localmente detto Bosco Piccione. Atanasio guidava una comunità di monaci greci, secondo la testimonianza del monaco Giacomo Stella, che, nel 1530, fu rettore della chiesa di S. Martino, i monaci di Atanasio oltre a dare il nome al luogo ne disboscarono un'area per avere terreno di coltura attorno al quale sorse un piccolo villaggio con casolari agricoli ed un edificio di culto religioso Villapizzone viene nominata per la prima volta nel 1346.

Nel secolo XIV Martino, figlio di Francesco Resta Pallavicino, fu il capostipite della famiglia Resta di Villapizzone.

Nell'ambito della suddivisione del territorio milanese in pievi, apparteneva alla Pieve di , e confinava con a nordest, con Musocco a nordovest, con Garegnano e Boldinasco a sudovest, e coi Corpi Santi a sudest. Nel 1771 contava 303 abitanti.

Nel 1768 l'imperatrice Maria Teresa d'Austria con un diploma investì Giorgio Giulini del feudo di Villapizzone permettendogli di appoggiarvi il titolo di Conte; alla morte di quest'ultimo, con la conseguente estinzione del ramo primogenito dei Giulini della Porta, il titolo passò al cugino Benigno (1820-1900) che era sindaco di Carugate.

Villapizzone nel 1800

In età napoleonica, dal 1808 al 1816, Villapizzone fu aggregata a Milano, recuperando l'autonomia con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto.

All'unità d'Italia, 1861, il paese contava 842 abitanti, era costituito da un piccolo borgo di case costruite attorno alla chiesa parrocchiale di San Martino, di fronte alla quale vi era la villa signorile, con parco, della famiglia patrizia Radice Fossati; nelle vicinanze si trovava un piccolo bosco, originariamente parte del bosco della Merlata di questo sono rimaste alcune piante, a lato di via Paolo Mantegazza, in un pezzo di terreno inglobato negli anni '60 nel giardino della scuola elementare Goffredo Mameli.

Nel 1869 Villapizzone fu aggregata a Musocco, comune poi annesso a Milano nel 1923.; documenti attestano che in quel periodo il borgo fosse ancora dotato di cimitero, in seguito rimosso.

Dopo la Seconda guerra mondiale il vecchio borgo di Villapizzone è stato inglobato dalla crescita della città. Il toponimo, scarsamente noto per decenni, ha conosciuto una nuova diffusione a partire dall'apertura dell'omonima stazione ferroviaria, fermata delle linee del servizio ferroviario suburbano.

Villapizzone oggi

6 Si vede la trasformazione della zona con l’occupazione delle aree verdi da abitazioni e la copertura del fiume Nirone e della Roggia Caga Dinaro .i

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