Editoriale Luglio 2016 – Raffaello Castellano

Raffaello Castellano (325)

Tre date hanno scandito mediaticamente e drammaticamente questo mese di luglio 2016:

6 luglio, 12 luglio e 14 luglio.

Il 6 luglio viene lanciata l’app (per iOs e Android) di Pokèmon Go da parte della Nintendo, che in pochissimi giorni diventa un fenomeno virale che fa schizzare le quotazioni in borsa dell’azienda giapponese;

Il 12 luglio, alle ore 11:06, sulla tratta ferroviaria Bari – Barletta, in una parte del percorso a binario unico, fra la stazione di Andria e Corato, due treni si scontrano all’uscita di una curva, causando 23 morti ed oltre 50 feriti: sarà questo il peggior disastro ferroviario che la Puglia ricordi;

Il 14 luglio, alle 22:30, a Nizza, sulla Promenade des Anglais (il lungomare), per l’occasione trasformata in isola pedonale, durante lo spettacolo pirotecnico allestito per le celebrazioni della festa nazionale francese, il giovane Mohammed Lahouaiej Bouhlel, cittadino nizzardo di origini tunisine di 31 anni, alla guida di un autocarro Renault Midlum di colore bianco, si scaglia ad alta velocità sulla folla, investendo centinaia di persone e provocando il panico. La corsa del veicolo proseguirà per 1 km e mezzo, durante il quale il conducente sparerà all’impazzata, forzando la zona pedonale e procedendo zigzagando, così da provocare il numero massimo di vittime. Il bilancio finale sarà terribile: 85 morti e più di 300 feriti, dei quali più di 50 gravissimi.

Quindi un’applicazione, un disastro ferroviario ed un attentato terroristico, o, per dirla in altri termini, magari cinematografici: Il buono, il brutto ed il cattivo! I l B u o n o …

Lì dove ovviamente il buono è rappresentato dai Pokèmon e dall’applicazione della Nintendo, il brutto è rappresentato dal binario unico pugliese con il sistema di distanziamento dei treni a blocco telefonico e il cattivo dall’attentatore franco-tunisino e dalla strage di Nizza.

Ma l’accostamento con il film di Sergio Leone non deve distrarci dalla drammaticità degli eventi che quotidianamente si stanno verificando con una frequenza ed una ciclicità che, fra le altre cose, rischia di farci diventare insensibili e refrattari proprio a quelle notizie che più di altre meriterebbero la nostra attenzione e la nostra interazione.

Già, perché mentre l’ultimo fenomeno della rete diventava virale anche nel nostro Paese, con centinaia di migliaia di persone a caccia di Pokèmon, due treni, tra l’alto modernissimi, si scontravano in un tratto a binario unico della linea regionale delle Ferrovie del Nord Barese, riportando alla ribalta, con morti, feriti e lamiere contorte, l’annoso problema dell’inadeguatezza delle infrastrutture del Mezzogiorno, il tutto mentre oltralpe un terrorista alla guida di un camion dimostrava per l’ennesima volta l’inadeguatezza e la fragilità dei sistemi di sicurezza, non solo francesi.

… i l B r u t to…

L’ho detto altre volte e voglio ribadirlo ancora, per questioni di chiarezza ed integrità intellettuale: i tre fenomeni sono le tre cartine tornasole dello stato in cui verte la nostra civiltà occidentale. Da tempo, dai tardi anni ’80 in poi, l’Europa ha smesso di essere quel modello di sviluppo e faro di civiltà e democrazia che era stato per gran parte della sua storia. Un capitalismo sregolato, una finanza cinica, un progresso (ma si legge consumismo) sfrenato, hanno fatto dimenticare a milioni di cittadini europei i veri valori su cui si fondava la civiltà più invidiata e desiderata al mondo.

Fra i tanti valori che potrei citare, il più importante ed insieme il più trascurato è senza dubbio la nostra “cultura”. Fu la cultura che fece risorgere un’Europa ridotta in macerie, fisiche e morali, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, la voglia di ricostruire e far risorgere dai brandelli sparsi qui e là; la cultura europea portò, strano ma vero, ad un fortissimo incremento di spettacoli teatrali e musicali in tutto il continente, in Italia fu il cinema a raccontare il conflitto appena conclusosi e la spaccatura che la guerra civile, fra fascisti e partigiani, aveva causato al Paese.

Rossellini girerà, ad esempio, “Roma città aperta” in una capitale ridotta in macerie, dove oltre alle maestranze scarseggiava pure la pellicola. Il film, che in principio doveva chiamarsi “Storie di ieri”, doveva essere un documentario sulle gesta e la vita di Don Giuseppe Morosini, sacerdote realmente vissuto a Roma e ucciso dai nazisti nel 1944, ma alla sceneggiatura, su soggetto di Sergio Amidei, collaborarono diversi autori, compreso un giovanissimo Federico Fellini, che trasformarono il documentario in un vero e proprio film che lanciò a livello internazionale la carriera di Aldo Fabrizi e Anna Magnani, oltre ad essere il vero manifesto del cosiddetto “Neorealismo” italiano.

. . e d i l C a ttivo.

Un cinema, un teatro, una cultura che diventano nell’Europa postbellica la malta con cui ricostruire non solo le strade, i palazzi, le case, ma l’identità stessa dei cittadini europei ed occidentali. Sì, qualcuno obbietterà che senza i soldi del Piano Marshall non ci sarebbero stati il boom economico tedesco prima ed italiano poi, ma i soldi che arrivarono dagli aiuti internazionali furono solo uno dei tanti mezzi che le popolazioni europee utilizzarono per ricostruire il loro territorio, le loro patrie e la propria identità, drogata e alienata dai totalitarismi e dittature dogmatiche e sanguinarie.

Fu la cultura la malta che ri-edificò l’Europa, fu la cultura che ridestò le nostre coscienze, fu la cultura che diede consistenza, profondità e radici alle nostre identità! Ed oggi dove siamo? Cosa abbiamo fatto di questa storia recente? Dove è finita la nostra identità? Cosa abbiamo imparato, noi post moderni, dalla Storia?

Purtroppo poco o nulla: mentre l’identità musulmana continua a rafforzarsi e concentrarsi intorno ad una forte ideologia religiosa e politica, noi occidentali stiamo lentamente, ma inesorabilmente, diluendo la nostra storia, la nostra cultura e soprattutto la nostra identità nell’ultima app del nostro smartphone, andando a caccia di personaggi di un videogioco giapponese degli anni ’90.

Siamo perennemente e purtroppo consapevolmente alla ricerca di mondi virtuali, migliori e più fighi di quello in cui viviamo, ma, come ci rammenta il grande Marcel Proust nel suo capolavoro “Alla ricerca del tempo perduto”:

“La vera scoperta non sta nel vedere nuovi mondi, ma nel cambiare occhi” Raffaello Castellano

Editoriale Luglio 2016 – Ivan Zorico

Ivan Zorico (245)

Luglio. Il mese che da sempre inaugura le vacanze estive. Il mese che da sempre dona i natali al solleone. Il mese che da sempre regala leggerezza. Luglio è il mese dell’estate più vera: le giornate sono più lunghe, il tempo tiene di più e siamo consapevoli che davanti a noi avremo ancora tanti giorni d’estate, appunto. Agosto, invece, soprattutto dopo la fatidica notte di ferragosto, porta con sé quel dolce senso di malinconia dettato dalla consapevolezza che, la stagione più desiderata dell’anno, sta per salutarci. Arrivano le prime piogge, le spiagge iniziano a spopolarsi e iniziamo a programmare le attività da intraprendere con l’arrivo dell’imminente settembre.

Ma non preoccupiamoci, mancano ancora tanti giorni a quella data. Una ventina (giorno più, giorno meno), dal momento in cui scrivo. E 20 giorni, d’estate, fanno tutta la differenza del mondo. E infatti le bacheche dei social network sono ben affollate d’immagini di persone felici al mare, intente a fare sport all’aria aperta o ad oziare su un prato. E ancora: serate in discoteca, grigliate all’aperto, bagni di mezzanotte; insomma c’è tutto il repertorio fotografico e video che puntualmente vediamo confezionato dai cronisti di “Studio Aperto” quando ogni anno, agli inizi di giugno, devono immancabilmente parlare delle aperture dei lidi della riviera romagnola et similia.

Ma aspettate un attimo.

Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio. Scorrendo la bacheca di Facebook (vero e solo grande incubatore di notizie – per certi versi anche più di “papà Google” –), prima ancora di aprire un qualsiasi giornale online, tra un selfie di un amico delle superiori in spiaggia (che tra l’altro visti gli anni passati, stento anche a riconoscere) e l’invito a partecipare ad una serata imperdibile (perché poi sono tutte imperdibili?! …mah!), mi sto imbattendo troppo spesso in notizie di stragi, attentati, golpe (veri o presunti) e allarmi bomba. Tra l’altro anche ben alternati: un po’ a casa nostra (Occidente) ed un po’ in Oriente. Così che, a commentare queste notizie sui social e nei talk televisivi ritroviamo, di volta in volta, parole di “massimi conoscitori” della questione medio-orientale, degli “attenti osservatori” delle periferie delle nostre città, nonché dei “moderni esploratori” delle rotte degli immigrati. In molti casi, tra l’altro, questi interlocutori hanno la stessa faccia ed in molti casi non si sono spinti mai al di là dell’apertura di Google Earth. Per non parlare poi dei soliti volti noti della politica qualunquista che, ad ogni grande disgrazia, la buttano sul populismo e propinano soluzioni che già ritenere “dissertazioni da bar” sarebbe un elogio. Ma questa è un’altra storia.

Ma aspettate un attimo.

Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio.

Sarà che proprio il modo con cui veniamo a conoscenza di queste notizie (mischiate tra link divertenti ed informazioni più lievi) e la loro assurda ripetitiva frequenza (che ce le fa vivere come abitudine e quindi come qualcosa di cui ci sciocchiamo sempre un po’ meno), avverto l’estrema necessità di fermarmi a riflettere. Dall’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo (il 7 Gennaio del 2015) all’ultimo agguato alla chiesa di Saint-Etienne-de-Rouvay del 26 luglio 2016, si fa realmente difficoltà a ricordare quanti momenti di terrore abbiamo vissuto. Ho usato volutamente la parola “momenti” perché è insita, in lei, l’idea stessa di ripetitività. Già perché, se ben ricordate, inizialmente (anche mediaticamente) si parlava di “grave fatto” o di paragoni con “l’11 settembre” (data dell’attacco alle Torri Gemelli): esempi, questi, che indicano appunto la singolarità del caso. Qui, oggi, invece, la questione è ben diversa: si parla di mappe del terrore, di spirito di emulazione e strategie pianificate (al plurale non per caso) di attacco al cuore dell’Occidente. Insomma, a mio parere (ma non solo), ci stiamo apprestando a vivere, o meglio stiamo già vivendo, una stagione nella quale nulla è certo: una semplice serata con gli amici potrebbe rivelarsi l’ultima. No, non è catastrofismo. E con queste parole non voglio di certo invitarvi a rinchiudervi in casa. Anzi, dobbiamo vivere. E dobbiamo farlo con ancora più forza. Perché, certamente, turbare le nostre usanze ed attaccare il nostro modo di vivere è l’obiettivo alla base dell’agire sconsiderato di questi estremisti. Ed accanto a tutto ciò, dobbiamo riflettere su un punto non trascurabile: se in questi mesi abbiamo avuto anche solo per un attimo il timore di prendere una metro o di andare ad un concerto per via di un presunto allarme bomba, immaginiamo cosa da tempo stanno vivendo coloro i quali decidono di lasciare la propria casa per avventurarsi verso un “mondo migliore”. I migranti lasciano posti di guerra in cerca di futuro e non sono certo loro a farsi saltare per aria. Gli attentatori che hanno colpito in Europa, sono nati qui da noi ed hanno frequentato le nostre scuole. Il problema, o rischio attentati, quindi, non viene dai migranti. È altrove.

Ma aspettate un attimo.

Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio.

Rassegnarsi alla paura, mai. Cedere alla rabbia, neanche. Continuare a vivere, sempre.

Ivan Zorico

“Vacanze romane” - Il Film Film a dir poco epocale, “Vacanze romane”, diretto da William Wyler, è la tappa fondamentale nel percorso che aveva attirato verso Roma, destinazione Cinecittà, divi e professionisti di Hollywood. Era l’epoca in cui Roma veniva soprannominata per la prima volta la “Hollywood sul Tevere” e il centro del cinema mondiale, almeno fino alla fine degli anni ’60. Nel frattempo verrà “La Dolce Vita” e allora il percorso iniziato da “Vacanze romane”, raggiungerà il suo apice, con Via Veneto che simboleggia il primato artistico e culturale di Roma sul mondo, e con il benessere economico della splendida Italia degli anni ’60. D’altronde le due “dive” per eccellenza della Dolce Vita, nascono da questi due film, ovvero Audrey Hepburn e Anita Ekberg. Due icone che, con le loro differenze, incarnano e sintetizzano l’intera parabola del periodo d’oro di Cinecittà, dall’Italia della ricostruzione a quella del boom economico e della mondanità, della vita notturna e della café-society.

In entrambi i film lo scenario è Roma, con le sue bellezze artistiche, la poesia dei suoi paesaggi, con la sua voglia di vivere, con il suo charme, con le sue serate fashion di Via Veneto. E’ fuori discussione che l’accoppiata Audrey Hepburn-Gregory Peck sullo sfondo di una Roma piena di colori e di vivacità lasci davvero il segno nell’immaginario comune.

L’immagine rimasta nella memoria collettiva è infatti, quella di Gregory Peck e Audrey Hepburn sulla scalinata di Trinità dei Monti: quando le Arti si fondono creando un cortocircuito artistico di incredibile livello estetico. E che dire poi di Audrey Hepburn, che con questo film vince l’Oscar, diventando la star-grissino del cinema mondiale. Audrey incarna un nuovo tipo di bellezza, quella acqua e sapone, naturale, dallo stile elegante e dalla classe sopraffina, che si contrappone a quella da maggiorata fisica, che aveva lanciato Gina Lollobrigida e Sophia Loren tra le stelle del cinema. Leggi anche:

■ Il cinema italiano e le vacanze: la moda del film turistico-balneare anni ‘50 e ‘60 ■ L’Italia in mostra: quando la Roma cinematografica era il centro del mondo ■ Audrey e Marcello, icone di stile e di eleganza nel mondo ■ La Grande Abbuffata – Il Film

Quella di “Vacanze romane” è una fiaba di Cenerentola alla rovescia in una commedia leggerissima, soave e candida, dove i sentimenti rimangono inespressi. Ricordato anche come il film che rese famosa in tutto il mondo la Vespa, “Vacanze romane” venne girato quasi tutto in esterni, nel cuore di una Roma caotica, alle cui riprese assistevano ogni giorno migliaia di romani incuriositi dal fascino di questo kolossal americano in “salsa” italiana. E poi, e poi c’è Gregory Peck, che ha un talento interpretativo e un fascino magnetico capace di bucare lo schermo. Cosa sarebbe stato questo capolavoro senza Gregory Peck e Audrey Hepburn?

Forse non sarebbe stato solo un discreto e piacevole lavoro e nulla più. E cosa sarebbe stata di Roma soprannominata la “Hollywood sul Tevere”, se non ci fosse stato questo film ad aprire le danze? Per tutto ciò che ha significato anche in previsione futura, “Vacanze romane”, rimane, uno dei film più influenti della cinematografia italiana, senza esserlo ufficialmente.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Eppure la freschezza della sceneggiatura è opera anche dei “nostri” Suso Cecchi D’Amico ed Ennio Flaiano. L’umorismo di molte situazioni è tipicamente loro, si sente infatti la loro mano e la capacità tutta italiana di cesellare momenti e scene di grande pregnanza sociologica, sullo sfondo di una Roma da cartolina, ma vera nel suo realismo storico. Un capolavoro che rimane, che ha la grazia e la delicatezza di un’opera di Renoir…e che non stanca mai.

Il cinema italiano e le vacanze: la moda del film turistico-balneare anni ‘50 e ‘60 Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia e gli italiani erano alle prese con la ricostruzione, dopo gli scempi che il conflitto mondiale aveva lasciato. Terminato il Neorealismo, fin da subito il pubblico aveva bisogno di ridere, o perlomeno di sorridere con il cinema, perciò le maggiori vedette italiane di lunga durata, i grossi nomi del box office, sarebbero stati attori comici o al più brillanti. Insomma, il cinema italiano della rinascita, alle prese con formidabili ostacoli, quali l’assenza di strutture e di capitali, conquistò una sua identità anche, e forse soprattutto, grazie all’aver giocato fin da subito la carta dell’umorismo, immerso in un pregnante realismo. Ed è proprio questo realismo, tutto italiano, che fa del nostro cinema lo specchio della nostra società, dei nostri vizi, delle nostre virtù, del nostro modo di essere. Così, ad una fine degli anni ’40, in cui al cinema non si parla assolutamente di vacanze; fa da contraltare un inizio degli anni ’50 in cui timidamente gli italiani iniziano a pensare alle vacanze, a concedersi qualche giorno di relax. Certo sono i primi scampoli di benessere economico, quasi in embrione oserei direi, per cui Aldo Fabrizi, Ave Ninchi e Peppino De Filippo, nella scalcinata banda della “Famiglia Passaguai”(1951), non possono concedersi più di una giornata di mare nella vicina Ostia. Oppure Totò cameriere, scambiato per un importante dandy del medio-oriente si reca a Capri, nel film “L’imperatore di Capri”(1950), solo grazie ai soldi dell’amico ricco. O ancora in “Ragazze da marito”(1952), Eduardo De Filippo impiegato ministeriale, falsifica dei documenti, per poter permettere a moglie (Titina De Filippo) e figlie di trascorrere una settimana a Capri.

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■ L’Italia in mostra: quando la Roma cinematografica era il centro del mondo ■ “Vacanze romane” – Il Film T o t ò e Y v o n ne Sanson ne L’imperatore di Capri (1950).

Cinque anni dopo, cambia tutto. L’Italia vive un boom economico inarrestabile, il Pil è in vertiginoso aumento, arriva la televisione, nel 1956 Roma si aggiudica per il 1960 l’organizzazione dei XVII Giochi Olimpici, la Dolce Vita romana sta raggiungendo i massimi storici…e il rinnovato benessere fa si che i luoghi turistici, balneari per eccellenza vengano presi d’assalto. Perché? Perché ora l’italiano può spendere, perché può godersi i frutti del suo lavoro. Può andare in vacanza senza più sotterfugi, o senza più dover andare per forza ad Ostia, nella spiaggia più popolare e a basso costo. Capri, Ischia, Taormina, Amalfi, la Riviera ligure, la Costa Azzurra, Venezia aspettano gli italiani, e aspettano anche il cinema. Nel decennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 l’Italia visse una stagione di crescita economica e di cambiamenti sociali veloci e intensi, e divenne una delle maggiori potenze industriali. Lo sviluppo economico superò addirittura quello demografico (pure evidente) e ciò ebbe come conseguenza un miglioramento diffuso del tenore di vita (i primi apparecchi televisivi, la storica 500). Molti dei film girati in quegli anni testimoniano sia questi cambiamenti, sia le tante contraddizioni ad essi collegate. Il cinema dunque è la maniera migliore per rivivere una fetta importante della storia del nostro paese, meglio di qualsiasi trattato sociologico. Inserita nel contesto del genere dei film a episodi intrecciati, ha così inizio a partire dal 1956 la voga del film turistico-balneare, branca della commedia all’italiana. Il primo film ascrivibile a tale genere, e che testimonia dell’evoluzione economica del nostro paese è “Tempo di villeggiatura”(1956), commedia ad episodi intrecciati ambientata in un piccolo paesino dell’appennino tosco-emiliano. Amori estivi e piccole storielle divertenti fanno da cornice ad un cast di grande livello: Vittorio De Sica, Marisa Merlini, Nino Manfredi.

Gli italiani si possono quindi,per mettere di villeggiare in montagna e anche al mare e così nascono “Vacanze a Ischia”, “Avventura a Capri”, “Tipi da spiaggia”, “Racconti d’estate” e altre pellicole del genere “vacanziero all’italiana”. Quella del film turistico-balneare diventa una vera e propria moda che nel giro di pochi anni arriva a produrre una moltitudine di pellicole del genere. Si trattava di ambientare il film a episodi intrecciati, nelle più importanti località turistiche italiane, e spesso località balneari, con il luogo di consueto già pre-annunciato dal titolo. Un piccolo escamotage di produttori e sceneggiatori destinato a fare epoca, e come ovvia conseguenza il film veniva girato in piena estate, facendo aumentare ancora di più il mito dell’Italia della “Dolce Vita”.

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Solo negli anni ’50 si contano: “Souvenir d’Italie”(1957) di Pietrangeli, che ne apre il genere, sulle avventure di tre giovani escursioniste straniere (June Laverick, Inge Schoener, Isabelle Corey; tra gli uomini Alberto Sordi, Gabriele Ferzetti e Antonio Cifariello, quest’ultimo presenza fissa di quasi tutti i film del genere); “Vacanze a Ischia”(1957) di Mario Camerini, tra i migliori del genere e finanziato dal commendator Angelo Rizzoli anche per fare un pò di propaganda ai suoi investimenti sull’isola di Ischia. Il film ebbe un grande successo di pubblico, anche grazie alla presenza di stelle del cinema, come Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Nadia Gray, Paolo Stoppa e i giovani Maurizio Arena, Antonio Cifariello e Enio Girolami. La voga del film balneare venne subito confermata l’anno seguente da “Avventura a Capri”, in qualche modo simile al precedente film ambientato sulla vicina isola, e interpretato ancora una volta dal fior fiore del cinema italiano, troviamo qui Leopoldo Trieste, Alessandra Panaro, Maurizio Arena e a tener le redini di tutto anche il grande Nino Taranto nei panni del barone Vannutelli, (ancora una volta convincente nel dipingere l’Italiano medio di mezz’età, umano e comprensivo). Ottimi ancora una volta gli incassi. Dello stesso 1958 è anche “Carmela è una bambola” una delle migliori commedie dell’epoca, non è propriamente un film a episodi, ma l’ambientazione nella splendida Amalfi, lo inserisce di diritto nel filone turistico. E’ una divertente commedia turistico-balneare in cui la coppia composta da Nino Manfredi e Marisa Allasio diverte romanticamente nell’incanto della costiera amalfitana. Nello stesso anno vi è anche il film “Racconti d’estate” scritto da Amidei, Flaiano, Sonego, Sordi e Anton e diretto da Franciolini, ormai specialista del genere (come lo sarà negli anni ’60 ), con Ferzetti industriale che potrebbe far fare carriera al marito della Koscina, con Dorian Gray cortigiana indipendente e sfortunata, e soprattutto con la splendida abiezione di Sordi accompagnatore-mantenuto di una cantante grassissima. Molto riuscito anche l’episodio con Mastroianni, questurino incaricato di accompagnare alla frontiera una bella prigioniera francese (Michèlè Morgan). Il filone vacanziero continua, con successo, nel 1959: “Brevi amori a Palma de Majorca”, “Costa Azzurra”, “Tipi da spiaggia”, “Tempi duri per i vampiri”. Nel primo, diretto da Giorgio Bianchi, Sordi è memorabile nel ritrattino di un inguaribile ottimista che a forze di insistenze, benché vistosamente sciancato in un mondo di giovani allegri ed abbronzati, riesce a portarsi a letto la bellissima Belinda Lee (Sordi racconta che Rizzoli non aveva voluto lo sketch nel film girato a Ischia due anni prima: niente storpi nelle terme miracolose, e allora l’episodio venne inserito in questo film). Sordi continua ad essere il migliore anche in “Costa Azzurra” di Vittorio Sala. Nel cast, come nel primo film, figura anche uno dei massimi specialisti del genere vacanziero, Antonio Cifariello, come sempre bravo e spiritoso. Infine, vanno menzionati altri due film, ovvero “Tipi da spiaggia” e “Tempi duri per i vampiri”.“Tipi da spiaggia” è un ottima commedia turistica che reclamizza, stavolta le bellezze di Taormina, in Sicilia, e interpretata da , Johhny Dorelli e Lauretta Masiero. In particolare Tognazzi diverte con la sua verve comica e con una serie di esilaranti travestimenti. “Tempi duri per i vampiri” è invece una divertente commedia ambientata nella Liguria di Levante, con la bizzarra coppia formata da Renato Rascel e Christopher Lee, talmente squinternata da funzionare.

Agli inizi degli anni ’60 si affaccia al genere dei film a episodi vacanziero, un pezzo da novanta del cinema italiano come , una delle presenze fisse di questo genere. Il grande Walter amava molto il mare e accettava molti copioni balneari solo perché erano girati in spiaggia, durante le vacanze:

“…a un film d’autore bellissimo, girato a Berlino, con un grande regista, io preferivo un filmetto di quelli popolari girato sul lungomare di Ostia in agosto, anche se inutile o poco più, ma premiato da grandi incassi.”

W a l t e r C h i a r i e Mina a Fregene negli anni ’60.

Sulle spiagge italiane Chiari ha quindi vissuto molto intensamente e costruito parte del suo mito, tra nuotate, set fotografici, cene con gli amici (che pagava sempre lui) e conquiste femminili. Tutto ciò in piena “Italia della Dolce Vita”. In quegli anni vennero film come “Intrigo a Taormina” (1960) di Giorgio Bianchi, con Walter Chiari, Ugo Tognazzi e Gino Cervi; “Bellezze sulla spiaggia” (1961), con Walter Chiari, , Tino Scotti e Mario Carotenuto; “Ferragosto in bikini”(1961), sempre con Walter Chiari, Raimondo Vianello e Mario Carotenuto; e “Caccia al marito” (1960), ancora con Walter Chiari, Raimondo Vianello e Mario Carotenuto. Il successo arride a tutti questi film, merito dei nomi di richiamo presenti nelle pellicole di certo, ma anche di una sostanziale freschezza del genere ad episodi, che permetteva di evitare eventuali momenti di stanca del film. A tal proposito il regista Dino Risi disse di tale genere:

“…gli attori erano contenti perché lavoravano poco e guadagnavano bene, gli sceneggiatori mettevano in circolazione le idee che non erano riusciti a far diventare film autonomo, anche il pubblico era contento, e quindi c’erano produttori che ci marciavano volentieri, e poi la ‘misura breve’ è un genere molto tecnico, che un attore di talento deve saper affrontare con la giusta dose e sapienza interpretativa, un genere che affonda le sue radici nella storia della letteratura e del primo cinema degli anni ’20…e poi se in un film c’erano sketches noiosi, subito dopo ne arrivava uno buono, era un fatto statistico, quindi non si rischiava niente”.

Vanno ancora, almeno citati, “Pesci d’oro e bikini d’argento” (1962), con Nino Taranto e Marisa Merlini; “Le tardone” (1964),con Walter Chiari, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Raimondo Vianello; e “Frenesia dell’estate” (1964), che segna il debutto di Vittorio Gassman in tale genere, in voga in quegli anni. Ambientato sulle spiagge di Viareggio, dove Gassman amava rifugiarsi nei momenti di relax, la pellicola si regge tutta sull’interpretazione dello stesso Gassman, che delinea spassosamente il personaggio di un capitano dell’esercito terrorizzato dall’idea di essersi innamorato di Gigi (Michèle Mercier), un travestito da cabaret che si rivela invece una deliziosa fanciulla.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Che questo genere cinematografico anni ’50 e ’60 sia rimasto nella storia è testimoniato anche dal film del 1982, peraltro epocale, ovvero “Sapore di mare”, dove i fratelli Vanzina, nel descrivere le vacanze degli italiani, ambientano il film proprio nella Versilia degli anni ’60. Il film è infarcito di una malinconia autentica, che imperversa per tutto il film, nostalgico e divertente al punto giusto, grazie alle hit anni ’60 e alla caratterizzazione di Jerry Calà, che nel primo piano finale riesce a far raggiungere l’apoteosi malinconica di un’epoca ormai andata. Un’epoca che ha fatto storia, che oggi è nostalgia, che oggi è malinconia, perché non tornerà più. Non tornerà più quella spensieratezza, quella voglia di fare, quell’impeto e quella classe cinematografica che avevano fatto diventare Roma la “Hollywood sul Tevere” e il nostro cinema, il più invidiato del mondo.

Lo Specchietto Retrovisore – 24/07/2016

Christian Zorico (160)

È stata una settimana caratterizzata dagli interventi di Kuroda e Draghi. In attesa del meeting della FED del 26/27 luglio, sono state le parole dei banchieri giapponese ed europeo a delineare i contorni del quadro economico in cui ci muoviamo.

L’evento della BCE si tradotto in un non evento. Non ha aggiunto molto al suo modus operandi. Draghi ha chiaramente evidenziato che l’ECB ha la flessibilità di modificare i contenuti del piano di acquisto, ma ha ribadito che sarà in corso fino a marzo 2017 con gli attuali schemi, lasciando ovviamente aperta la possibilità di proroga qualora le condizioni lo richiedano – sebbene ormai sembra chiarissimo che si tratti più di una certezza che di una ragionevole forma di comunicazione.

Si sofferma sulla Brexit, un allarme che si è materializzato e rappresenta evidentemente un downside risk per l’Europa. Fa cenno anche agli ultimi eventi legati al terrorismo: sono una minaccia sociale, economica e politica.

H a r u h i k o Kuroda Governatore della Banca del Giappone.

L’intervista andata in onda su BBC Radio 4 nella mattina di giovedì (intervista fatta a Kuroda a metà giugno), nella quale viene smentito l’uso dell’helicopter money fa rafforzare lo YEN dopo diverse sedute in cui si speculava su un atto di forza estrema da parte della BOJ. La valuta nipponica ha raggiunto un massimo di 107.47 contro il dollaro, durante l’intervista. Anche dalle parole di Kuroda però emerge che l’autorità monetaria è pronta a tutto affinchè venga raggiunto l’obiettivo di generare inflazione.

Ci eravamo lasciati la scorsa volta promettendo almeno un paio di numeri sul mondo del credito che ci possano far riflettere. Ebbene, da un lato abbiamo osservato l’ETF iShares iBoxx $ Investment Grade Corporate Bond segnare la giornata con più inflows di sempre per un fondo di credito, proprio nella prima decade di luglio, 1.1 billions di dollari. Nel complesso, riporta Bank of America Merrill Lynch, i fondi legati al reddito fisso hanno registrato sottoscrizioni per 7.95 billions di dollari nella prima settimana di Luglio, un ammontare che supera ogni livello registrato da febbraio 2015. In tutto questo però è anche vero che nel 2016, 100 compagnie sono già defaultate; si tratta del più alto livello dal 2009 secondo quanto accerta l’agenzia di rating S&P, e il 50% in più rispetto allo stesso periodo nel 2015. Un numero certamente più alto perché legato alle vicende dell’OIL e delle materie prime nei primi mesi dell’anno.

Al momento un rischio di contagio sembra essere lontano perchè ci viene sempre raccontata la stessa storia di un sistema finanziario inondato di liquidità. Ma il meccanismo di trasmissione credito–banche resta identico. Ritornando alle parole di Draghi, quando accenna all’urgenza di trovare una soluzione per i non performing loans, sebbene in questo caso si tratti di un problema tutto “italiano” ed europeo, si evince chiaramente che la questione va oltre un mero problema di liquidità. Molto più efficacemente si dovrebbe parlare di solidità del sistema economico finanziario.

Lo Specchietto Retrovisore – 17/07/2016

Christian Zorico (160)

Quattro giornate positive consecutive nella stessa settimana non si vedevano, per l’indice S&P, dal lontano novembre 2014. Ed il filotto completo stava per riuscire se non fosse stato per il ritracciamento avvenuto in chiusura di mercato sulle notizie che provenivano dalla Turchia.

Un attentato tra i più sanguinosi e assurdi a Nizza non è bastato per creare instabilità sui mercati. Da subito la price action di venerdì mostrava quanta forza avesse in serbo ancora l’asset class azionaria. Nella giornata di venerdì, inoltre, i dati provenienti dall’America hanno fatto da volano e fatto segnare nuovi massimi di sempre al Dow Jones. In particolare le vendite al dettaglio più forti delle attese (+0.5% nel mese di giugno quelle al netto di auto, gasoline e materiali di costruzione) rendono sempre più robusta l’idea che il GDP annualizato nel secondo trimestre possa stabilizzarsi tra il 2.5% e il 3%. A supporto dell’inflazione i dati sui prezzi al consumo confermano un trend in atto. Bene anche la produzione industriale, trainata dagli autoveicoli, +0.6% mese su mese rispetto ad un incremento previsto dello 0.3%. Solo l’indice di confidenza dei consumatori è risultato più basso delle attese, sicuramente influenzato dalla portata dell’evento Brexit.

I l f a m i g erato camion utilizzato nell’attentato a Nizza del 14 luglio scorso.

Guardando i risultati aziendali durante la settimana, da miopi diremmo di essere felici per quanto hanno riportato gli istituiti bancari in US eppure, da osservatori minimamente più attenti, notiamo subito che le stime al ribasso avvenute nelle ultime settimane, proprio come da tempo avviene prima della stagione degli utili, ha evidentemente fatto apparire risultati positivi, quelli che altrimenti avremmo considerato mediocri.

E proprio su questo vorrei fare un paio di considerazioni. Cerchiamo da sempre opportunità di investimento. Quasi in maniera spasmodica ricerchiamo rendimento o, tradotto con parole che certi sapientoni della domenica usano per arricchire discorsi finanziari, andiamo a ricercare l’asset class più cheap. Abbiamo avuto qualche segnale durante la settimana che i governativi in effetti non siano poi così a buon mercato. Un po’ di dati positivi (soprattutto sul lato inflazione) ed il rientro graduale del tema Brexit (che ricordiamolo genererà incertezza ancora per qualche tempo) hanno portato il Treasury a rendere circa l’1.56% e il Bund tedesco a chiudere la settimana in territorio leggermente positivo, 0.003%. U n u o m o i n p iedi davanti al carro armato dell’esercito turco vicino all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

Ma anche l’equity che continuano a definire più cheap rispetto ai bond potrebbe non rivelarsi tale. È evidente che il dividendo promesso dall’asset class azionaria al momento è superiore a quanto offerto dai governativi (in US 2.12% contro l’1.6%) ma bisogna anche osservare che il price earnings dell’S&P è al momento superiore a 20 volte. Stiamo dando un prezzo all’azionario simile ad un bond trentennale, con un rischio duration enorme in questo contesto di rendimenti ai minimi storici e previsione degli utlili non esaltanti. E nello specifico riflettiamo sul fatto che gli indici restano trainati proprio dai settori più difensivi (Utlities, Telecom e Consumer Staples), segno evidente che l’investitore continua a parcheggiare i propri averi nel modo più conservativo possibile. Al tempo stesso in questo environment viene ancora lasciato spazio per sognare livelli più alti. Una normalizzazione dei tassi in US porterebbe settori che hanno sofferto come i finanziari a sovraperformare. Ma di fatto assisteremmo all’ennesima rotazione settoriale, in atto da quasi due anni.

Quello che mi piace ribadire in questa sede è che il premio al rischio per un investitore azionario non è adeguatamente pagato. Se infatti i rendimenti governativi ormai sono schiacciati verso il basso dall’intervento delle banche centrali e non comunicano più i fondamentali dell’economia, anche l’equity potrebbe non essere veritiero. Certamente i flussi in entrata saranno un catalyst importante per l’asset class, ma preferisco guardare nuovamente (già fatto ad inizio anno) a qualcosa che non incorpori alcun rischio: la volatilità ai minimi storici al momento sembra incarnare proprio l’asset class più economica. Se è pur vero che occorre pagare un premio, un carry negativo per essere “lunghi volatilità”, ritengo sia lo strumento ideale per coprirsi da eventuali shock, tipici di un mercato estivo caratterizzato solitamente da una liquidità inferiore rispetto alla normalità.

Nel prossimo numero dello “Specchietto Retrovisore” cercheremo di osservare più da vicino il mondo dei corporate bond. Ovviamente daremo ancora spazio alle notizie della settimana, ma andremo ad aggiungere un tassello alle potenziali classi di investimento, in modo da poter navigare in maniera più informata questa estate.

The Rearview Mirror – July 2016

Christian Zorico (160)

Just a week after the UK sent an unequivocal shocking message to the world by voting to leave the EU with a margin of 1m+ votes, market behaviour has done a 180-degree turn. In the end, after the vote, Friday and Monday equity sell-off was a buying opportunity. Indeed investors should ask themselves the reason why although major stock market have massively rebounded, government bond yields touched new lows, suggesting that policy makers are willing to be very accommodative for the upcoming future. We cannot doubt that BOE is called to sustain its economy, i.e. the Pound reaction is a logical proof. Again ECB should offset the negative impact on its GDP due to the BREXIT by using a more market-friendly policy. But what about Federal Reserve? Are we sure enough that the market is consciously reading the FED activity?

In the following lines we are going to have a better understanding of some economic and social implications of the UK referendum by reading the contribute of Dr Antonio Mele, lecturer in Economics, University of Surrey. Antonio’s research interests are in macroeconomics, fiscal and monetary policy: international risk sharing with moral hazard is the theme of one of his working papers. I give thanks to Antonio for having accepted this interview and moreover for his readiness and geniality to offer his view to the “Rear View Mirror” readers. A n t o n i o M e l e , L ecturer in Economics, University of Surrey.

Hi Antonio, you acted together with other professors to help people to be more informed about the risks behind the decision to Leave the EU. Now we can easily understand, by analyzing latest official declarations, that even bureaucrats have no material exit strategy plans. Is it only a problem of information set?

I think politicians campaigning for Brexit never thought that Leave will win. They were focusing on internal political issues, namely the Tories’ leadership, and pushing an anti-immigration agenda that speaks to that part of the electorate that lost the globalization race (unskilled, working class, living in rural England). Unfortunately for them, and for the United Kingdom, they won.

By looking at the composition of the vote, both England and Wales have voted to Leave, overriding clear Remain votes in Scotland and Northern Ireland. Regionally speaking and from a demographic point of view, the picture of the vote was very mixed. Do you believe that the opposite result, ie. Remain 52% against Leave at 48% would have changed the perception of the reality? Are you concerned about the future of the European Union as we are going to approach to a new season of political tests?

My feeling is that the referendum was very polarizing in terms of opinions. I would say that two types of voters supported the Leave option: those that are optimistically deluded into believing that UK without the EU will be magically transformed into a free trade, laissez faire paradise; and those who instead are voting out because of migration issues, even unrelated to EU migrants per se. The first group is probably quite small, with the major component being constituted by the second group. However, a common characteristic is that both these socio-demographic groups are very difficult to convince based on facts and empirical evidence. Can you briefly give us your opinion about potential negative effects on UK economy? What about repercussions on EU and on US GDP? The market has basically declared that the Fed cycle is over. The US yield curve is suggesting us that we are starting to see some rate hikes priced in for 2018. Do you believe that at this stage, the Chairman Yellen should focus the monetary policy by taking into account the Brexit vote or there are still opportunities to see a rate hike during 2016?

I am not sure we should make strong claims at the moment. The only certainty is the uncertainty in front of us: markets are already reflecting this. I would expect most firms with a presence in UK to delay or cancel investments for the next few quarters, and to freeze hire. Most of the independent economic institutions calculated GDP losses for the current year in the order of 2-3% with respect to baseline before the referendum. Most of those losses are believed to be permanent, and I firmly believe this is the most likely scenario. The claim of the Leave leaders is that, if the transition leads to a UK that is more competitive and with growing productivity, with better immigration laws, etc. those losses can be overturn. In light of the characteristics of the constituency that voted for Brexit, I would not bet on the latter scenario. I am pretty sure that every decent economist is making the same analysis right now, including Janet Yellen. The risks for EU are more subtle: if Brexit is successful, this will give momentum to all those political local forces that are pushing for the same result in the rest of Europe (Podemos, 5 Stars Movement, Le Pen, etc.). A balcanization of the European project is likely in that case. The EU has therefore all the interest in making the Brexit outcome the worst possible for UK, even at the cost of causing a recession in Europe in the process. Again, it is difficult to say anything solid now in an environment that changes day by day, but at the moment the most likely scenario is a tough EU against UK.

Lo Specchietto Retrovisore – 03/07/2016

Christian Zorico (160)

La settimana successiva al referendum che ha deciso per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, si è dipanata in una corsa agli acquisti senza sosta. Nello specifico, il credito che aveva corretto per lo più nei prezzi dei derivati, ha vissuto non solo un forte recupero, ma l’evidenza di una scarsità di “carta” da acquistare. Infatti così come nella fase di risk off si era dimostrato essere un’asset class resiliente, anche nella fase di recupero gli sono bastati pochi scambi per riportarsi ai livelli pre-Brexit. Evidentemente con le opportune differenze, visto che durante la settimana sia Deutsche Bank che Banco Santander non hanno superato gli stress test sulla capitalizzazione imposti dalla FED per l’esercizio delle loro unità negli Stati Uniti. Inoltre, la spia di allarme sul cruscotto dell’intero sistema finanziario si è riaccesa per le banche italiane, nonostante Atlante e nonostante alcuni istituti di credito abbiano già effettuato un aumento di capitale.

Sono stati comunque gli indici di borsa ad aver recuperato gli scivoloni di venerdì e lunedì scorso, in maniera più significativa. Ovviamente l’indice inglese ha ruggito più di tutti gli altri visto il deprezzamento della sterlina e dopo le parole del governatore della Bank Of England, Mark Carney, che ha chiaramente dichiarato di essere pronto a supportare l’economia già durante l’estate con operazioni di stimolo.

M a r k C a r n e y g o vernatore della Bank Of England.

Con una chiusura sopra il 7% l’indice FTSE100 segna il maggior guadagno settimale sin dal dicembre 2011.

Bene anche i dati europei sulla disoccupazione, vista ancora in calo al 10.1% per il mese di maggio rispetto al 10.2% di aprile.

Il future sull’S&P500 nuovamente sopra la soglia psicologica dei 2100 punti che, in questo clima di profonda incertezza, rappresenta comunque un dato su cui riflettere.

La caccia di rendimenti da parte degli investitori porta a segnare sempre nuovi minimi sulle curve governative e al tempo stesso ogni correzione sembra essere un’occasione di ingresso. Nelle prossime settimane sarà fondamentale capire l’andamento del dollaro. Una forza relativa contro le altre valute, porterebbe infatti nuovi dubbi sulle economie emergenti e su Cina prima di tutto. Inoltre, la corsa delle materie prime potrebbe subire un freno dal dollaro più forte, sebbene le dinamiche tra domanda e offerta almeno su OIL sembrano essere più in equilibrio nelle ultime settimane.

Diversi minuti di silenzio meriterebbero la sequenza spietata degli attentati a cui siamo stati “abituati” negli ultimi giorni. Instanbul, Dacca e infine Bagdad ci regalano la fotografia che siamo dinanzi ad una guerra non tra religioni, ma nelle religioni. Coglie l’attenzione questo rarefatto senso di abitudine. In altri tempi, i mercati reagivano sulla notizia, poi controreagivano a seconda della gravità. Ora invece non si avverte nulla nelle contrattazioni frenetiche. Forse, anche giustamente, il corso azionario di una azienda farmaceutica non ha nulla da condividere con questi attentati. Razionalmente è giusto che non ci sia reazione alcuna. Quello però che non si vede nei listini, ma che lascia traccia nel mondo reale, è la percezione di sgomento e di incertezza. La sensazione di mancanza di protezione, l’insorgere di evidenti forze nazionaliste che fanno della paura dell’immigrato la forza per campagne elettorali di pancia. Tutto questo non si avverte nei listini azionari, ma quando quando prendiamo atto che il decennale americano è scambiato sotto l’1.5% è evidente che il clima è tempestato da incertezza. Ancora una volta siamo al cospetto di una scarsità di “carta” safe e della voglia di protezione da parte degli investitori. Io consiglio di esporsi sulla volatilità. Al momento rappresenta la migliore copertura possibile. Tornata sui minimi di periodo, può offrire davvero protezione nel momento in cui nessun rischio sembra essere adeguatamente prezzato.

La Copertina d’Artista – Giugno 2016

Raffaello Castellano (325)

L a C o p e r t i n a d ’Artista di giugno 2016 realizzata da Jasmine Pignatelli.

Un codice, anzi due, fanno capolino dalla nostra copertina di giugno, realizzata dalla talentuosa Jasmine Pignatelli (classe 1968): il primo è un codice morse, uno dei più antichi linguaggi cifrati inventati dall’uomo, oramai superato e conosciuto da pochi ed usato da ancor meno persone; il secondo è molto più moderno, è un codice QR, una sorta di codice a barre bidimensionale che, in genere, rimanda ad un contenuto multimediale presente in rete.

Il codice Morse fu sviluppato da Samuel Morse e dal suo collaboratore Alfred Vail, e fu presentato ufficialmente l’8 gennaio del 1838. Molti studiosi ritengono, a ragione, che il codice Morse rappresenti una primissima forma di comunicazione digitale.

Il codice QR, dove l’abbreviazione sta per “Quick Response” (“risposta rapida”), fu sviluppato nel 1994 dall’azienda DENSO Corporation del Gruppo Toyota e serviva inizialmente per tracciare ed identificare i componenti delle automobili nelle fabbriche della stessa Toyota.

Potremmo dire, allora, di trovarci davanti ad un’opera che rappresenta un vero e proprio ossimoro tecnologico, giacché l’abisso fra i due codici è smisurato sia in termini di tempo che di spazio, ma non è così per la loro finalità, il loro uso: entrambi i codici, infatti, sono adoperati per veicolare dati, contenuti, informazioni.

J a s m i n e Pignatelli allo Spazio Menexa Roma (Fotografia di Manuela Giusto). La domanda allora è: quale mai sarà l’informazione che l’artista ci vuole trasmettere con tanta solerzia e cura da utilizzare non uno, ma addirittura due codici cifrati per essere sicura di raggiungere lo scopo?

Se non siamo avvezzi alla comprensione del codice morse non dobbiamo fare altro che inquadrare i codice QR con il nostro smartphone per scoprire il messaggio che si cela dietro quest’opera.

Un video caricato su You Tube ci svela che il codice morse rappresenta la distanza 42,195 km della maratona, la regina dei Giochi Olimpici.

Nel video una donna dai lineamenti ellenici (la stessa artista) pronuncia una parola, Vενικήκαμεν (“abbiamo vinto”), la ripete ad oltranza fino a farla diventare una litania, la parola è la stessa pronunciata da Fidippide, il soldato greco che percorse a piedi la distanza di 42,195 km dalla città di Maratona ad Atene per annunciare la vittoria dell’esercito Greco su quello Persiano.

Lo scopo dell’artista è svelato, ma qualcosa ancora non torna, ci sorge il dubbio che la scelta della Pignatelli nasconda un altro messaggio, un’altra informazione, un metadato, potremmo dire…, ed infatti non capiamo perché fra tutti i possibili sport fra cui scegliere per illustrare la nostra Copertina d’Artista ed il tema del mese che, come sappiamo, è Questioni di Palle e rimanda appunto allo sport e in particolare agli Europei di Calcio ed al Torneo di Wimbledon, l’artista abbia scelto proprio la maratona.

Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere sia sull’opera che sulla storia ed il mito che stanno dietro la nascita della Maratona, intuiamo che forse la nostra artista ha voluto disvelare il significato profondo che si cela dietro la nascita della Maratona e dei Giochi Olimpici più in generale. L’artista mette in scena la verità di questa particolare gara sportiva, che nasce su di un campo di battaglia fra sangue, armi e corpi martoriati, questa gara che, non a caso, prende il nome della località dove si svolse questo immane conflitto che vide contrapposti due eserciti diversi per cultura, per costumi e soprattutto per numero di milizie.

Jasmine Pignatelli ci racconta che la vera nascita di questa competizione, battezzata più dal sangue che dall’olio dei campioni, vide sacrifici immani ben più drammatici di quelli che richiede una pratica, anche agonistica, di uno sport moderno, ci narra che alla fine di una corsa estenuante Fidippide, giunto ad Atene, non esultò in un grido da stadio, ma pronunciò solo le parole Vενικήκαμεν, “abbiamo vinto”, e morì per gli stenti e la fatica di trasmettere un così fondamentale messaggio. Insomma, l’artista ci rivela una verità molto importante, che tragedia e successo, sconfitta e vittoria, guerra e sport sono molto più collegate ed intrecciate di quello che possa sembrare. Ma ciò che rende questo intervento artistico particolarmente interessante sono i media ed i linguaggi che Jasmine Pignatelli adopera, il codice Morse e quello QR diventano allo stesso tempo segni, simboli, antenne ed amplificatori non solo dell’opera stessa, ma dell’arte più in generale.

D I M E N S I O NLESS – ROMA marzo 2016.

Quell’Arte con la “A” maiuscola che rappresenta e celebra la parte migliore del genere umano, e che in tempi “complicati” come quelli che stiamo vivendo merita di essere trasmessa, condivisa e assimilata da strati sempre più ampi di popolazione.

Quindi una Copertina d’Artista “42,195 Km – Vενικήκαμεν” che rappresenta bene quell’idea di cross-medialità cara a Henry Jenkins, ma pure un’opera polisensoriale che, come dice Remo Bodei “…conduce ai margini della normalità, dove crea combinazioni sensoriali ed intellettuali che disincagliano il nostro sentire, il nostro pensare e la nostra sfera affettiva dalla routine”.

Jasmine Pignatelli è nata in Canada, vive e lavora tra Bari e Roma. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano, si avvicina all’arte contemporanea con un approccio storico-critico, collaborando per diversi anni con numerose gallerie d’arte e riviste del settore.

G N A M – G a l leria Nazionale d’Arte Moderna Roma -La scultura ceramica contemporanea in Italia – marzo giugno 2015.

È impegnata in un personale e convinto percorso artistico nella scultura. Ha all’attivo diverse mostre collettive e personali, non ultima la partecipazione alla mostra “La Scultura Ceramica Contemporanea in Italia” presso la GNAM Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e alla collettiva “SiO2 Modalità Ceramica” presso la Sinopia Galleria Roma. In Puglia ha recentemente concluso la Residenza d’Artista “MADE IN LOCO”, un progetto del Segretariato Regionale MiBACT per la Puglia e che ha portato alla realizzazione di una grande installazione site- specific dal titolo “Locating Laterza| segnali d’Arte”. Nel marzo 2016 a Roma si tiene la sua personale presso la galleria Menexa dal titolo “Dimensionless”.

Per informazioni e per contattare l’artista Jasmine Pignatelli: jasminepignatelli.blogspot.it o [email protected]

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile partecipare alla seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo alla nostra redazione: [email protected]

Mostre recenti:

2016

PIETRA LIQUIDA –Domus del Criptoportico Parco Naturalistico e Archeologico di Vulci (VT) – Collettiva- Luglio 2016;

NUTRIMENTI –Palazzo Pantaleo Taranto – Collettiva- Maggio 2016;

DIMENSIONLESS –Spazio Menexa Roma – Personale- Marzo 2016.

L O C A T I NG LATERZA per MADE IN LOCO ottobre 2015.

2015

DIRECTIONLESS – Misia Arte & Cellule Creative Bari – Personale - Novembre2015;

LOCATING LATERZA | SEGNALI D’ARTE– Palazzo Marchesale Laterza (Ta)

Residenza d’Artista “MADE IN LOCO”, un progetto del Segretariato Regionale MiBACT per la Puglia – Personale – Ottobre 2015;

LA SCULTURA CERAMICA CONTEMPORANEA IN ITALIA – GNAM Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma – Collettiva - Marzo2015;

SIO2 MODALITA’ CERAMICA – Galleria Sinopia Roma – Collettiva - Maggio2015;

GENIUS NOCI – Museo dell’Orto Botanico Università Sapienza Roma – Collettiva – Maggio 2015; INCONTRINTERRA – Museo delle ceramiche di Torgiano – Collettiva – Febbraio 2015.

2014

L O C A T I N G LATERZA per MADE IN LOCO ottobre 2015.

INCONTRINTERRA – Ex Fornace Grazia Deruta – Collettiva - ottobre 2014;

EPIFANIA DEL SACRO – Abbadia Nuova Siena – Collettiva - maggio 2014;

LA CERAMICA, GLI ARTISTI PER UN PAESE GALLERIA D’ARTE – Sala Consiliare Celle Ligure (SV) – Collettiva – aprile 2014;

IN CRYPTA | Simbologia Sacra nella Scultura Contemporanea Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo Todi – Collettiva - aprile 2014;

INCONTRINTERRA – Freemocco’s House Deruta – Collettiva - gennaio 2014.

Editoriale Giugno 2016 – Raffaello Castellano

Raffaello Castellano (325)

“Nessun uomo è un isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque quando senti suonare la campana, non chiedere mai per chi suona, essa suona per te.”

Questa la lezione del poeta e saggista John Donne che gli Inglesi paiono aver scordato il 23 giugno scorso, dimenticanza ancora più sorprendente e colpevole se consideriamo che proviene da uno di più grandi poeti inglesi di sempre, ma tant’è!

Quello che appariva impossibile alla fine è successo.

Scrivo questo editoriale a pochi giorni dal fatidico day after della Brexit.

L’Inghilterra è fuori dall’Unione Europea!

Per la verità il suo matrimonio con l’Europa non era mai stato felicissimo, ma il risultato ha sorpreso tutti, perfino i fautori del leave. Il caos ha avuto subito le sue pesantissime conseguenze sulle borse ed i mercati non solo europei; molti ed autorevoli economisti hanno lanciato l’allarme, prefigurando scenari simili a quelli del 2007/8, quando ci fu il crack dei mercati, dovuto al sistema drogato dai derivati, innescato dai mutui subprime.

I primi, drammatici, numeri danno ragione a chi teme il peggio: in poco più di 3 giorni di apertura le borse hanno bruciato 4 mila miliardi di euro e, mentre scrivo questo editoriale, 28 giugno, si assiste a quello che tecnicamente gli operatori chiamano “rimbalzo”, con i titoli che si attestano in zona positiva. Fra lo sbigottimento generale, i più sorpresi paiono proprio gli Inglesi, che stanno raccogliendo la firme per un nuovo referendum che abolisca quello precedente. Gli esperti che hanno analizzato e sezionato il voto hanno rilevato che a votare l’uscita del Regno Unito dall’Europa sono stati principalmente gli ultra cinquantenni, mentre gli Inglesi fino ai 35 anni, la generazione di Erasmus per intenderci, hanno votato per restare. Sul piano politico ed economico ora l’attenzione degli analisti e degli operatori finanziari, non solo europei, è puntata sul simposio annuale della Banca Centrale Europea, in corso a Sintra in Portogallo, sulle decisioni che prenderà la Federal Reserve e sul Consiglio Europeo, dove i capi di governo e stati membri incontreranno per la prima volta, dopo il risultato del referendum, il premier dimissionario David Cameron e dove l’estremamente contrariato presidente del UE, Jean Claude Juncker, attende la posizione ufficiale di Londra per cominciare quello che, all’indomani del referendum, aveva dichiarato sarebbe stato un “divorzio non consensuale”.

Insomma, grande incertezza sull’Europa ma anche sugli Europei, dove le grandi e blasonate favorite arrancano e dove, è notizia di ieri, l’Inghilterra è fuori dai giochi, ma guarda che coincidenza, per opera di una giovane ed inesperta Islanda.

Noi di Smart Marketing abbiamo voluto dedicare questo numero proprio allo sport, che in questo mese di giugno vedeva l’avvio degli Europei di Calcio, del Torneo di Wimbledon di Tennis e, in una certa misura, anticipava o meglio innescava le imminenti Olimpiadi di Rio.

Abbiamo chiamato questo numero “Questioni di Palle” sia per l’evidente metafora sportiva che per la meno scontata metafora sul coraggio. Coraggio dell’Inghilterra sul referendum e le sue conseguenze, coraggio dell’Europa davanti allo scossone Brexit, coraggio dei legislatori e politici Europei e nazionali di riformare un’Unione Europea, di certo imperfetta, piena di problemi e ripiegata su se stessa, ma che può e deve fare tesoro e ammenda di questo sonoro schiaffo infertole dalla Gran Bretagna per serrare le file e promuovere politiche di sviluppo.

4 2 , 1 9 5 | V ε ν ι κ ήκαμεν (abbiamo vinto) è il titolo dell’opera di questo mese realizzata da Jasmine Pignatelli.

La nostra storia recente ci insegna principalmente due cose: uno, che noi Europei diamo il meglio di noi proprio dopo le sconfitte e due, che è molto meglio dipanare le controversie e discutere dei problemi intorno ad un tavolo che su di un campo di battaglia.

Quindi “Questioni di Palle”, “questioni di coraggio”, “questioni di sport”, il tutto raccontato dai nostri collaboratori e dalla nostra Copertina d’Artista, che questo mese è stata realizzata dalla talentuosa Jasmine Pignatelli.

L’artista si è ispirata alla maratona, la regina di tutte le discipline olimpiche, che, come sappiamo, è nata sul campo di battaglia omonimo che vide contrapposti i Greci ai Persiani, durante la prima guerra persiana nel 490 a. C..

Il codice morse fa riferimento proprio alla distanza percorsa dagli atleti, 42,195 km ed il codice QR rimanda ad un video caricato in rete, che rende quest’opera composita, sinestetica e cross- mediale, la prima di questo genere per la nostra copertina.

Jasmine Pignatelli, come già John Donne, ci ricorda che nell’arte come nella vita tutto è connesso, tutto è multimediale, tutto è collegato: l’Europa, lo sport, il calcio, la Brexit, noi, gli altri. Quindi non ha importanza quale sia il campo della nostra partita, né tantomeno lo sport al quale giochiamo, quello che importa è che siamo tutti giocatori e, quando udiamo il fischio dell’arbitro o il rintocco della campana, dobbiamo sapere che stanno suonando per noi.

Buona fortuna e buona lettura a tutti.

Raffaello Castellano

Editoriale Giugno 2016 – Ivan Zorico

Ivan Zorico (245)

Giorni uguali agli altri e giorni in cui tutto cambia. Giorni destinati a rimanere (collettivamente) anonimi e giorni destinati ad entrare nei libri di storia. Quelli capaci di ridisegnare e scrivere (volenti o nolenti) pagine che, sino a poco tempo prima, potevano essere annoverate come pura fantascienza.

Il 23 giugno 2016, certamente, rientra a pieno titolo in quest’ultima categoria. Dopo 40 anni, con il 51.9% dei voti,i cittadini del Regno Unito hanno deciso di uscire dall’Unione Europea. Nessuno (o quasi) si aspettava un tale esito dal referendum indetto 1 anno fa da David Cameron.Ma, all’alba del 24 giugno, il sorgere del sole ha portato con sé un’infaustanotizia: la Brexit è realtà.Dico infausta per una serie di motivi, ma non certo per la successivacorsa sulla sindacabilità (di stampo elitario) della scelta del voto popolare che, quella no, non può essere contestata; al più capita, compresa, ma contestata no.

All’indomani dal voto, infatti c’è stato un gran parlare sulla natura dello stesso. È vero che ad avere avuto un grosso peso sul Leave, ossia sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sono stati soprattutto gli over 50 (ed in misura ancora maggiore gli over 65) ed i cittadini delle Midlands – regioni che comprendono grandi città come Birmingham ed i vecchi distretti industriali (West Midlands e le East Midlands) – e che invece, i più giovani e città cosmopolite come Londra si sono schierate con il Remain, ossia per rimanere all’interno dell’Unione Europea. Ma cosa vuol dire questo? Che la voce di chi vive in zone dove gli effetti della globalizzazione portano meno vantaggi evidenti, ha una minor forza di quelli che vivono in città più aperte e proiettate naturalmente al progresso? O che la voglia di futuro dei più giovani valga di più delle paure o delle incertezze gli over 50? Io credo di no. Ogni voto vale uno. Ed hanno tutti la stessa importanza. E su questo non si devono avere dubbi. Questa è la democrazia.

Magari, il tema del dibattito deve essere un altro: il vero problema è non essere riusciti a far comprendere alla maggioranza della collettività tutti i vantaggi, i benefici ed il valore (anche puramente ideologico) di stare insieme. L’Unione Europea è stata troppo distratta negli ultimi anni. Troppe le volte in cui con il monito “Ce lo chiede l’Europa”, i nostri politici (di tutte le nazioni e di tutti i colori politici) hanno rappresentato, ai noi cittadini, un’Europa matrigna ed intrisa di burocrazia, e non come un luogo ed un’istituzione sovrannazionale capace di far muovere liberamente merci e persone tra gli stati membri, di regalare stabilità e, soprattutto, assenza di guerre.

N i g e l F a r age, Matteo Salvini e Marine Le Pen.

Certo l’Europa non è priva di colpe. Le disuguaglianza esistono e devono essere affrontate. La forbice tra chi dispone di troppe risorse economiche e chi ne dispone di troppe poche è aumentata sensibilmente negli ultimi anni. E qui la storia insegna: quando vi è un lungo periodo di incertezza e ristrettezza economica, le persone cercano di alzare gli steccati e di proteggere quel poco (e davvero poco) che gli è rimasto. In questo clima, i movimenti populisti e reazionari (Le Pen in Francia, Salvini in Italia, ecc.) trovano orecchie disposte ad ascoltarli:le scelte di voto arrivano successivamente. Quindi non il voto in sé, ma devono essere dibattute le cause scatenanti il voto stesso.

E qui entra a gamba tesa (per usare una metafora calcistica) il titolo scelto per questo mese: “Questioni di palle – Agonismo, coraggio e volontà”. I problemi ci sono. Il futuro è certamente incerto (bello questo ossimoro). E le nubi all’orizzonte sono tante. A mio modo di vedere la Brexit, ha certificato senza rischi di smentita, che l’attuale situazione europea va ripensata. Non più e non solo una comunità economica, ma una comunità di popoli. Non più e non solo leggi e restrizioni, ma visione d’assieme ed un sentire comune. Passare quindi dal paradigma “Ce lo chiede l’Europa”a “Chiediamolo all’Europa”.

E per farlo dovremmo mettere in campo tutta la forza ed il coraggio di cui disponiamo (ed anche qualcosa di più) per capovolgere la mentalità di questi ultimi tempi, per incidere in prima persona sul corso della storia e per realizzare effettivamente il sogno comunitario. I cittadini del Regno Unito, non ci hanno intimamente creduto, ma noi abbiamo il dovere di crederci e di lottare per chiedere all’Europa, e quindi a noi stessi, di restare uniti, di restare insieme. Europei per scelta e non per consuetudine. La strada ormai è tracciata, non resta che percorrerla. Insieme. Ivan Zorico

Vita e calcio: la metafora dell’esistenza racchiusa in 450 grammi e 70 cm di circonferenza.

Anna Rita Leone (4)

Siamo nel vivo dei campionati Europei di calcio, e in barba ad alcune previsioni, solo pochi giorni fa l’Italia ha giocato contro la Spagna, vincendo per 2 a 0.

E’ sempre affascinante studiare come intorno a questi eventi, crollasse il mondo, gli uomini (intesi come umanità) non rinuncino a seguire le partite, trasformandosi, come d’abitudine in allenatori improvvisati. In una stanza con quattro persone, di cui tre non tifose, riunitesi appositamente per vedere la partita si sono registrati novanta minuti di improperi, incitazioni, dialoghi immaginari con i giocatori, arbitro e allenatore, esultanza di un certo spessore. Incredibile, se pensiamo che il calcio è solo un gioco.

E’ solo un gioco?

La risposta immediata è naturalmente un No, un “no” legato alle derive attuali del calcio: interessi legati al denaro, alle proprietà, al mondo dello showbiz che ruota intorno ai giocatori; è un “no” svincolato dal gioco in sé e quindi non pertinente alla natura del gioco stesso.

Il calcio, pedagogicamente parlando, potrebbe rappresentare una mimesi della società, al cui ingresso i giovani si preparerebbero senza i rischi di errori gravi; le alleanze, il rispetto delle regole, l’impegno individuale e collettivo, l’uso di qualche astuzia consentita: sono gli strumenti forniti per imparare a cavarsela nella realtà.

Oppure, con un’interpretazione etologica, c’è addirittura chi il calcio lo definisce come uno sfogo emotivo attraverso cui la società civile canalizza gli istinti primordiali di sopravvivenza; motivo per cui alla passione degli uomini per l’agonismo e per “la conquista del territorio” si contrappone il notorio (quanto ormai sfatato) disinteresse delle donne.

Quegli stessi istinti primordiali, di cui sopra, volti a una certa violenza, possono essere incanalati diversamente attraverso la trasgressione delle regole del vivere civile, mentre nel gioco del calcio (e in qualsiasi altro gioco di tipo agonistico) troverebbero la loro giusta dimensione, e farebbero inoltre ricordare quel tempo lontano dell’infanzia in cui le attività ludiche erano le prime esperienze emozionali; in poche parole, sono retaggi di comportamenti infantili.

C’è dunque una risposta più profonda che si cela dietro quel pallone che finisce in porta: possiamo chiamarla metafora della vita, per dirla con il filosofo esistenzialista Sartre; possiamo paragonare il calcio ad un linguaggio, come ha fatto Pasolini, o a un rito pagano che avvicina a Dio, come sostiene lo scrittore Eduardo Galeano.

Di fatto, il calcio appartiene a quella categoria dei giochi che hanno una preponderante componente di ἀγών (Agon), l’agonismo, eppure nello stesso tempo, il calcio, ripulito dalla patina più o meno dorata delle sue derive, ha qualcosa di sacro, poiché legato strettamente al concetto di sacrificio. Sacrificio inteso nel suo senso strettamente etimologico: “rendere sacro”.

Oltre al giocatore che nell’allenamento fa dei sacrifici, i 90 minuti della partita possono essere considerati sacri: il filosofo strutturalista Eugene Fink considerava quel tempo della partita come “un’oasi dell’eternità, una sospensione improvvisa della realtà in cui il comportamento non è più direzionato, finalizzato, né afflitto dalla tensione verso l’avvenire”. Così, la partita di calcio “ha la caratteristica di un’estasi, di una redenzione temporanea, nella quale, per un attimo, l’uomo attinge direttamente alla quiete e alla creatività di un altro mondo”.

La partita avviene in un luogo deputato, in un tempo delimitato, in cui entrano per lo più adepti, i tifosi. Ogni partecipante, a seconda del suo ruolo, svolge riti e liturgie, secondo il legame che ha con la squadra; e ogni squadra con i suoi tifosi intesse dei legami che hanno a che fare con una tradizione, una cultura e un linguaggio che insieme costruiscono e rappresentano.

Il pallone, richiama un archetipo della sfera contesa e rappresenta la ricerca della perfezione, che ogni squadra desidera possedere attraverso una sorta battaglia tra i contendenti, per raggiungere l’obiettivo dell’armonia delle parti. Una serie di regole certe e condivise, un giudice-arbitro imparziale e incontestabile (o quasi), una certa armonia con i compagni per il conseguimento del bene comune, una trasformazione dei nemici in avversari con cui disputare lealmente. La squadra avversaria, lungi dall’essere il male da vincere, è l’alterità con cui occorre dialogare, necessaria presenza perché il gioco possa aver luogo.

In un’ulteriore considerazione, col gioco del calcio come con tutta la dimensione ludica che ci è cara, possiamo riflettere sull’importanza esistenziale che riveste il poter controllare la realtà attraverso una serie di cause ed effetti. Nella sterminata porzione di realtà in cui viviamo, quanto possiamo essere sicuri che le nostre azioni ed i suoi effetti siano davvero collegati? Nel gioco, sappiamo e vediamo azioni che hanno dei diretti effetti sulla realtà: se il giocatore si muove in un certo modo, ottiene un certo risultato, la sua bravura e il suo merito sono facilmente riscontrabili a fine partita (a meno che non stiamo assistendo a un volgare Biscotto, ma questo fa parte delle famose derive di cui sopra).

Tuttavia a cominciare dagli anni 80, con i primi scandali che hanno coinvolto il campionato, la leva dei valori si è sbilanciata verso il successo e il riconoscimento del potere che può offrire la conquista della vittoria; nelle grandi società sportive, sempre più ai vertici, l’aspetto sacro è stato profanato, e gli elementi sacri sono stai violati dalla necessità transeunte della materia.

Oggi, tra le notizie sportive è facile trovare la distinzione tra il calcio giocato e il resto (diritti televisivi, scommesse, mercato dei giocatori, proprietà): recuperare del calcio la giocosità in maniera autentica potrebbe avvicinare la nostra società a prendere come esempio la tradizione greca, olimpionica del gioco, per ritrovare di questo sport gli aspetti etici, estetici, e “religiosi” come manifestazione, seppure laica, della sacralità.

Resta, in generale, sempre valida quella stupenda canzone di Francesco De Gregori: La leva calcistica della classe ‘68, che ci avvicina alla purezza nell’integrità del sacrificio, e che racchiude in un testo sognante la grande metafora della vita come partita di calcio e la partita di calcio come avventura di una vita:

“Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia…”

Sport, calcio e cinema italiano

Domenico Palattella (122)

Forse nessuno ci ha mai pensato, eppure non è un caso se lo sport comincia ad assumere largo peso nella vita sociale con le Olimpiadi del 1896 ad Atene, cioè in pratica contemporaneamente al momento iniziale di diffusione del cinematografo. Infatti le riprese d’attualità giocano un ruolo primario, in questa prima fase di assestamento del linguaggio cinematografico, nel diffondere assieme alla popolarità del nuovo medium anche quella delle varie discipline sportive. Dunque lo sport, inteso con l’accezione moderna del termine, e il Cinema, inteso come forma d’Arte, sono coetanei e dalla loro unione hanno spesso creato cortocircuiti artistico-sportivi veramente notevoli. Inutile nascondere che la posizione preponderante, intesa come attività sportiva che si fonde con il Cinema, è appannaggio del calcio, soprattutto in Italia, dove ad onor del vero il calcio non ha mai trovato sullo schermo una messinscena che fosse in grado di renderne al meglio le peculiarità agonistiche. Ma non mancano di certo casi eclatanti, interessanti, professionali, rimasti nella memoria collettiva.

Così Totò è un delizioso presidente di calcio di una scalcinata squadra della provincia pugliese, nel film “Gambe d’oro”(1958). In quegli anni comunque, sul terreno del Cinema, il calcio si va affermando come pretesto per raccontare storie sviluppate all’interno di vari generi. In “Parigi è sempre Parigi” (1951) Luciano Emmer, dopo “Domenica d’agosto” (1950), continua a descrivere i desideri e i sogni della piccola borghesia narrando la trasferta francese di alcuni italiani al seguito della nazionale, dove a tenere le redini di tutto c’è la professionalità attoriale autoriale di Aldo Fabrizi. Mario Camerini, in “Gli eroi della domenica” (1952), utilizza Raf Vallone, ex giocatore del Torino, per portare in scena un giocatore corruttibile in una squadra che ha la possibilità di passare in serie A. In “L’inafferrabile 12” (1950) di Mario Mattoli, Walter Chiari fa la parte di un portiere della Juventus con un gemello che scatenerà la commedia degli equivoci. Nel film di Mattoli compaiono i ‘veri’ giocatori della squadra dando il via a un fenomeno che diventa in breve una caratteristica del film calcistico: la costante apparizione di calciatori o operatori del settore nel ruolo di sé stessi.

Ben riuscita appare anche la parodia del cinema di Sergio Leone nella regia accorta di un calcio di rigore contenuta nel divertente film “Don Franco e don Ciccio nell’anno della contestazione” (1970) di Marino Girolami, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia deliziosi mattatori della pellicola. E in quello stesso anno Alberto Sordi convince nei panni del “Presidente del Borgorosso football club”. Nell’omonimo film Sordi è perfetto nel tratteggiare questo carnale e sanguigno presidente, che dapprima disinteressato, piano piano si appassiona al calcio e alla sua squadra, diventandone il più accanito tifoso. Storie del passato, in chiave nostalgica, ambientate nel mondo del calcio e del consumo che gli ruota attorno sono messe in scena in “Italia-Germania 4 a 3” (1990) di Andrea Terzini e in “Figurine” (1997) di Giovanni Robbiano. In “Pane e cioccolata”(1974) di Franco Brusati, Nino Manfredi ha il ruolo di un cameriere emigrato in Svizzera, il quale, pur essendosi tinti i capelli di biondo per apparire più simile al modello nordico, non si contiene di fronte a un gol della nazionale italiana, denunciando così le proprie origini. Questa scena codifica una situazione tipica del film ad argomento calcistico: l’incapacità di autocontrollo emotivo da parte del tifoso. Il tifoso semplicemente non riesce a contenere umori e rabbie.

Degni di nota, nell’ambito di una comicità grezza, al passo con l’involuzione culturale degli anni ’70 e ’80, sono da evidenziare sia “I due maghi del pallone”(1970), con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, sia “L’allenatore nel pallone”(1984), con Lino Banfi. Il suo personaggio di Oronzo Canà,ha avuto talmente tanto successo, da essere rimasto nella memoria collettiva del nostro Paese. Struggente e nostalgico è invece “Ultimo minuto”(1987), film di alta scuola diretto da Pupi Avati e interpretato da Ugo Tognazzi, in una delle sue ultime memorabili interpretazioni. Invece l’episodio sportivo più in generale, malgrado la curiosità sociale sempre crescente verso la vita privata di divi-calciatori o ciclisti e l’interesse generalizzato per lo spettacolo dello sport, ha sempre faticato a decollare. Alcuni esempi però se non sono memorabili, poco ci manca.

E’ il caso di “Totò al Giro d’Italia” (1949), dove al fianco del grande Totò sfilano Boblet, Coppi, Bartali e tutti i più grandi ciclisti dell’epoca; e poi la coppia Vianello-Tognazzi è utilizzata nel film “Le olimpiadi dei mariti” (1960), girato in contemporanea con le Olimpiadi di Roma ’60 e che contiene alcune scene di repertorio di quei Giochi Olimpici italiani. Lo spunto delle Olimpiadi è un pretesto per sviluppare la storia da pochade francese di due mariti che spediscono le mogli in villeggiatura ( Sandra Mondaini e ) per potersela spassare con due turiste giunte a Roma appunto per le Olimpiadi. A questo punto va citato, necessariamente, Bud Spencer, che inaugura nel cinema italiano la figura dell’atleta-attore. Lui che era stato campione italiano e internazionale di nuoto e pallanuoto, aveva poi, quasi per caso sfondato nel mondo del cinema, e allora il suo utilizzo si legherà spesso allo sport, su tutti “Lo chiamavano Bulldozer”(1977), in cui interpreta un ex campione di rugby e “Bomber”(1982), in cui interpreta un ex campione di boxe. Due film quasi in fotocopia, che sfruttano il fisico e la simpatia di Bud Spencer, oltre che la sua estesa popolarità.

Permettetemi poi una citazione della saga di “Fantozzi”, che di fronte ad una partita della Nazionale in tv prepara il suo programmino irrinunciabile con “ infradito, mutande, canotta rigorosamente macchiata, frittatone di cipolle, familiare di birra ghiacciata, tifo indiavolato e rutto libero”. Non mancano nei vari capitoli delle avventure di Fantozzi, numerosi, memorabili ed esilaranti episodi che riguardano lo sport,tra cui quella della partita di calcio tra scapoli e ammogliati; quella della Coppa Cobram e la favolosa gara di ciclismo; oppure quella della gara di atletica leggera. Tutte sopra le righe, grottesche, esagerate, ma dotate di un’irriverente carica comica davvero eccezionale.

Lo sport ha dunque influenzato e continua ad influenzare il Cinema, anche quello italiano, spesso riottoso a fondersi con esso. Lo sport rimane assolutamente comunque come cultura popolare del nostro paese, basti pensare, in conclusione, che in “Notte prima degli esami”(2006), il regista Fausto Brizzi, per raccontare i giovani degli anni ’80, ha ambientato il film proprio durante le epiche notti mondiali dell’82, in cui l’Italia vinse il suo storico terzo mondiale di calcio. E l’anno dopo nel trasferire ai giorni d’oggi l’esame di stato,cosa fa? Ambienta “Notte prima degli esami- oggi”(2007), proprio nell’estate del 2006, l’anno dell’incredibile quarto mondiale azzurro.

Addio al grande Bud Spencer, il “gigante buono” del cinema italiano

Domenico Palattella (122)

Il Time, popolare rivista statunitense, definì Bud Spencer nel 1982, l’attore italiano più famoso del mondo, più di Totò, più di Marcello Mastroianni, più del suo compagno Terence Hill.

E non solo, Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, è a quanto pare l’attore italiano più amato ai giorni nostri. Tutti sono cresciuti con le sue gesta, con la sua grande umanità, con i suoi sganassoni a fin di bene. Ha insegnato attraverso il cinema a reagire contro le ingiustizie e i soprusi. Ci ha insegnato che nella vita non è importante l’abito e che i più deboli vanno protetti con dedizione. Non si definiva un vero attore, perché non aveva fatto teatro, eppure alla notizia della sua morte siamo rimasti tutti un po’ spiazzati, con un magone in gola che ci assale. Sembrava immortale quel gigante buono, eppure se n’è andato anche lui. Forse è morto Carlo Pedersoli, ma non Bud Spencer, non i suoi insegnamenti, non la sua umanità. E’ morta con lui una parte della nostra giovinezza, una parte del nostro cuore.

La sua morte per l’affetto popolare che nutre Bud Spencer è paragonabile per dimensione soltanto a quella di Mario Riva, di Totò o di Alberto Sordi. Eppure lui non era nato attore, era però nato sportivo, nuotatore. Nel 1949 era già nella nazionale italiana di nuoto, ed è entrato nella storia del sport italiano quando nei 100mtr stile libero è stato il primo italiano a infrangere la barriera del minuto netto: precisamente con il tempo di 59″5 nel 1950. Erano i tempi in cui la rana si nuotava in maniera inusuale, muovendo le gambe a farfalla e il tuffo di partenza era molto più goffo di quello quasi chirurgico dei tempi odierni. Partecipò a due Olimpiadi, quella del 1952 a Helsinki e quella del 1956 a Melbourne, arrivando in entrambi i casi alla semifinale olimpica dei 100 mtr stile libero. Ha vinto anche una medaglia d’oro, facendo parte della spedizione azzurra della nazionale di pallanuoto ai Giochi del Mediterraneo del 1955, mentre agli stessi giochi, nell’edizione del 1951 a Alessandria d’Egitto vinse due medaglie d’argento individuali nel nuoto.

A questo punto il suo fisico massiccio e imponente viene, però, notato dall’ambiente cinematografico. Il suo esordio, quasi casuale, avviene nella grande produzione hollywoodiana Quo vadis?, un peplum nel quale impersonava una guardia dell’impero romano. Con il cinema la gavetta è lunga e Bud Spencer conquista il ruolo di protagonista nel western «Dio perdona io no» soltanto nel 1967 grazie a Giuseppe Colizzi. Prima rifiutato per le richieste economiche ma poi arruolato perché risulta il solo adatto alla parte di gigantesco e minaccioso partner del protagonista, Pedersoli incontra qui Mario Girotti. I due decideranno, alla fine del film, di cambiare i propri nomi sui manifesti per attrarre il pubblico e Pedersoli sceglierà il suo in omaggio alla birra Bud e all’adorato Spencer Tracy. Il successo del film è più che lusinghiero, ma sarà l’episodio successivo, «Lo chiamavano Trinità» (E.B. Clucher, 1970) a consacrare il successo personale del duo.

Un vero e proprio colpo di fulmine con il pubblico che si ripeterà, infallibile, per altre 16 volte in tutto. Nel 1970 uscì nelle sale “Lo chiamavano Trinità…”, che battezzò un vero e proprio sottogenere dello spaghetti-western: quello dei fagioli-western, dove le pallottole vedono una quasi integrale sostituzione da parte dei ganci destri. Il regista E.B. Clucher, pseudonimo di Enzo Barboni, eredita dai film di Giuseppe Colizzi la coppia Hill-Spencer e la porta definitivamente verso la comicità e verso il grande successo, in un western puzzone e naif, dove gli sganassoni contano più delle pistole e il regolamento di conti finale avviene con un’epica e incruenta scazzottata. Il film che per molti simboleggiò la fine del western all’italiana ebbe un enorme, e inaspettato, successo di pubblico (3 miliardi di lire di incassi): l’evoluzione del genere in chiave ridanciana più che eroicomica recupera le situazioni della farsa, con una separazione talmente manichea tra buoni e cattivi da innescare nel pubblico meno smaliziato l’identificazione con i protagonisti, raddrizzatori di torti e vendicatori di ingiustizie con il sorriso sulle labbra, ed è il loro capolavoro. Queste caratteristiche della coppia, che peraltro porteranno in maniera intatta in tutte le successive pellicole interpretate, sono la vera base del grande successo che hanno sempre ottenuto: il pubblico si identificò con questi due buffi personaggi, che inseriti nel selvaggio west, o in luoghi tropicali, o come poliziotti nella metropoli americana, riuscivano sempre e comunque, a sconfiggere il loro nemici a suon di sganassoni e di risate, una piccola vittoria del bene sul male.

Un vero idolo per grandi e bambini, Il cliché del personaggio è sempre lo stesso e Bud Spencer lo riutilizzerà anche da solo: un gigante dal cuor d’oro che mena sganassoni, sorride sempre come un bambino, ristabilisce i torti e si gode la vita. Cow boy o investigatore (la serie di Steno «Piedone lo sbirro»), avventuriero o buon padre di famiglia, Bud Spencer mette perfino a punto un tipo di pugno a martello che lo renderà inconfondibile. Al di là dei classici cliché la carriera cinematografica di Bud Spencer è quanto di più poliedrico si possa trovare in circolazione, ha sperimentato infatti, da grande attore, altri generi cinematografici: il thriller, lasciandosi dirigere da Dario Argento in 4 mosche di velluto grigio (1971), e il dramma di denuncia civile con Torino nera (1972) di Carlo Lizzani. Per poi ritornare nel 1973 alla commedia brillante con la fortunata tetralogia di Piedone lo sbirro (cui seguiranno Piedone a Hong Kong del 1975, Piedone l’africano nel 1978, e infine Piedone d’Egitto del 1980), nata da una sua stessa idea e che lo vede protagonista assoluto per la regia di Steno, indimenticato re della commedia all’italiana. In particolare la tetralogia delle avventure del poliziotto napoletano che gira disarmato e fa valere la legge a colpi di sganassoni, è tra i più grandi successi di pubblico di tutti gli anni ’70.

Bud Spencer, in questa serie di film per la prima volta non doppiato, è straordinario nel dipingere questo poliziotto disposto a chiudere un occhio nei confronti dei piccoli delinquenti, ma che non ha pietà verso i criminali senza scrupoli. Il pubblico vi si riconobbe e ne decretò il trionfo. A far da spalla a Bud Spencer anche un grande Enzo Cannavale nel ruolo del brigadiere Caputo. In quegli stessi anni degno di nota è anche la pellicola “Il soldato di ventura”(1976), e in cui dopo la prima esperienza di Piedone lo sbirro, Bud Spencer recita ancora con la sua vera voce. ll film è ambientato nel 1503 e tratta in chiave comico/grottesca la disfida di Barletta. Altro film degno di essere segnalato, e ancora diretto dall’esperto Steno, è “Banana Joe” del 1982, una favola comico- avventurosa di grande divertimento. “Una brezza leggera e cauta di allegro anarchismo”, disse della pellicola la critica specializzata, evidenziando come Bud Spencer sia ormai “il grosso più simpatico del cinema italiano ed europeo”. Banana Joe non è altro che un gigante dal cuore d’oro, che, come lavoro, commercia lungo il fiume banane che scambia con altri prodotti destinati ai nativi indios di Amantido, e che se la dovrà vedere contro alcuni trafficanti di droga. Il suo successo come attore continuerà sempre senza soluzioni di continuità, segno dell’affetto incondizionato del pubblico.

Sempre disponibile con tutti, si faceva voler bene anche dai colleghi, Enzo Cannavale disse di lui: “Bud è un amico carissimo. Brava persona, legatissima alla famiglia. E ai valori“. Bud Spencer è dunque un personaggio destinato all’immortalità, ne sono certo, perché ha saputo parlare al cuore della gente, senza volgarità, senza doppi sensi, senza parolacce e senza violenza…i suoi sganassoni sono la metafora della lotta contro il nemico, della tutela nei confronti del più disagiato, lo sganassone è un messaggio di pace, è un messaggio del bene che sconfigge il nemico, del debole che batte il forte. Addio “gigante buono” del cinema italiano. Grande oltre la tua umiltà. Immortale oltre la tua immaginazione.

Lo Specchietto Retrovisore: speciale BREXIT…”il giorno dopo”!

Christian Zorico (160)

La lunga note: poche ore di sonno separano l’entusiasmo dei mercati che festeggiano i diversi exit poll a favore del Remain dall’inatteso risvolto a favore del Brexit.

Una pioggia incessante che ha provocato disagi in diverse aree della Gran Bretagna ha probabilmente influenzato l’esito del referendum. Eppure c’è molto di più dietro questo voto.

Mentre scrivo mi trovo a Londra, un weekend organizzato da tempo, un fine settimana di piacere da trascorrere con i genitori ed il fratello. Dei giorni trascorsi con la gente del posto e tra la gente. Ad assaporare sensazioni, raccogliere impressioni spontanee dopo una visita al National Gallery Museum. Raccolgo tante sfaccettature di un parere convergente, tutti pronti a sostenere ancora la bontà del Remain. E in fondo c’era anche da aspettarselo. Mi trovo a Londra, con le sue contraddizioni e le sue tradizioni, gli stili architettonici completamente diversi della Cattedrale romanica di Saint Paul e la gotica Abbazia di Westminster, eppure uniformata nel sentire comune lanciato da sempre verso la globalizzazione.

Sfrutto l’applicazione Uber (perché un Paese che vive di liberalizzazione è per fortuna anche questo) e subito chiedo al tassista (o uberista – fate voi –), russo, cosa ne pensasse del voto. E poi ancora la stessa domanda la rivolgo ad un tassista indiano. Infine, è un autista senegalese che mi stupisce più di tutti. È lui che chiede a me cosa ne pensassi del voto. Forse credendomi cittadino “ospite” di Londra è curioso di sapere quale fosse la mia opinione.

Io resto stupito più dalla sua curiosità che dalle risposte delle altre persone conosciute in questi tre giorni. La sua domanda, che anticipa anche solo per un istante la mia sete di trovare riscontri tra la gente, rivela il senso forte di incertezza per le conseguenze che questo voto regala ai cittadini britannici così come a quelli europei.

Approfondiremo l’argomento con un’intervista speciale nel prossimo numero del “Rear View Mirror” e avremo anche modo di guardare assieme nei prossimi articoli gli effetti sul mercato.

Quello che invece volevo trasmettere in queste righe era il senso di smarrimento che molti lavoratori avvertivano. Il futuro più incerto per loro. Dal pizzaiolo italiano al banker francese, tutti erano unanimi nel vedere in questo voto incertezza per il futuro, ma anche crescere il seme dell’intolleranza.

“Lascerei Londra nel momento in cui non mi sentissi più ben accetta. Perché Londra è anche questo, è la capitale delle opportunità e della perfetta armonia delle diversità”. Questo ha dichiarato una mia amica che ormai vive a Londra da oltre 11 anni ed è più preoccupata dopo aver visto un vetro di una casa in frantumi perché la sua vicina aveva esposto un cartello con la scritta Remain. Purtroppo il voto come ben sappiamo non era solo di Londra, ma delle campagne inglesi, dei meno giovani, di chi non ha mai cercato un lavoro. Di chi la globalizzazione la teme e la subisce non rappresentando mai per loro una opportunità. Spero che questa parte della società, negli altri Paesi della Comunità Europea non mandi in frantumi il progetto Europa. Con questo augurio ritorno in Italia, con la speranza che il rammarico riscontrato in alcune persone che hanno votato per l’uscita possa essere un monito per chi, negli altri Paesi europei, indecisi oppure semplicemente arrabbiati, pensano ancora di votare per una scelta che precluda la parola futuro nella sua essenza naturale.

Lo Specchietto Retrovisore – 19/06/2016

Christian Zorico (160)

L’argomento di questa settimana non poteva che riguardare il referendum sulla Brexit. Stiamo entrando nella settimana cruciale in cui gli elettori del Regno Unito saranno chiamati ad esprimersi sulla volontà di restare o meno nell’Unione Europea. E il tema di questo mese del giornale “Smart Marketing”, che fa da culla allo “Specchietto Retrovisore”, vede nel titolo “Questione di palle – Agonismo, coraggio e volontà” la sintesi perfetta degli argomenti che l’editore ha scelto di approfondire. Vanno in scena gli europei di Calcio in Francia, dal 27 giugno al 10 luglio sarà poi la volta del Torneo di Wimbledon, il terzo slam della stagione. Ma è il 23 giugno è la data che in qualche modo deciderà le sorti dei cittadini britannici e forse anche degli europei. È nel coraggio del voto e nella volontà di cambiare lo stato attuale delle cose, da ricercare proprio la chiave di lettura di questo referendum. Nel prossimo numero parlerò di un risultato. Avremo dei numeri su cui poter fare le nostre valutazioni. Ora invece possiamo solo basarci su exit poll, telefonici o via WEB, oppure sulle scommesse in atto.

L’informazione contenuta nei sondaggi è, per definizione, viziata dalla modalità (via telefono gli intervistati sono più portati ad esprimersi per una scelta liberale e pertanto è ovvio che prevalga il Remain, mentre via Web la scelta dei votanti non è casuale o formata su un metodo di campionamento, ma deriva dall’iniziativa privata di esprimere un voto). Infine anche le più “affidabili” scommesse, perchè giustamente si basano sul denaro impiegato per partecipare attivamente ad un esito incerto, sono viziate proprio perchè fanno riferimento alla somma totale scommessa e non sulla quantità delle persone che esprimono una propria view.

Ad oggi pertanto, possiamo solo registrare un cambio di percezione dell’opinione pubblica a seguito dell’omicidio della parlamentare Jo Cox. L’Inghilterra democratica ci offre uno spaccato assurdo che una mente razionale e libera fatica ad accettare. Un atto di un pazzo, forse solo uno scellerato pronto a tutto per ratificare le proprie idee, molto più probabilmente io lo identifico in un coperchio di una pentola in ebolizione che si muove con violenza, che lascia versare l’acqua in maniera erratica.

Già perchè qualunque sia l’esito di questo referendum, ci lasciamo alle spalle oltre che un martire, un grande interrogativo. L’Europa ha senso di esistere ancora con la sua veste attuale? E ancora il disagio che continua a montare, tutto nazionalista perchè punta il dito esattamente contro gli immigrati, contro un sistema eurocentrico che privilegia le banche e le lobby di potere quando esploderà nella sua interezza? Io credo che stiamo avendo prove tecniche di questa implosione. La Grecia l’anno scorso (che non a caso ha inviato una lettera di appoggio agli inglesi), ma ancora il voto espresso in favore delle forze ultranazionaliste in Austria, la forza del Moviemento 5 Stelle a Roma, partito dai forti connotati di rivolta, le prossime elezioni in Spagna il 26 Giugno, il referendum costituzionale in Italia il prossimo autunno carico di importanza politica, e poi ancora nel 2017 le urne si apriranno per Olanda, Germania e Francia. Sono appuntamenti che narrano la cronologia di voti che in qualche modo esprimono il malcontento della popolazione. Un sentire comune che probabilmente beneficia poco delle politiche di quantitative easing e soffre un generale impoverimento sia esso economico che culturale.

Infatti credo che a meno che la vittoria sulla Brexit non sia a pieni numeri, resta di fatto un’occasione di riflessione per i tecnocrati e le alte sfere politiche dell’Eurozona. Qualora dovesse passare invece, allora inizieranno almeno due anni di negoziati per l’uscita effettiva dall’Unione Europea. Solo dopo sarà la volta di negoziati commerciali. Il prodotto interno lordo del Regno Unito e dell’Europa ne dovrebbero risentire negativamente, cosi come la reazione delle valute dovrebbe essere il naturale deprezzamento. Ma attenzione, perchè credo che entrambe le valute dovrebbero perdere valore nei confronti di un dollaro sempre più forte. Magari tra Euro e Sterlina invece potremmo assistere quasi ad un nulla di fatto. Quasi a sancire il fatto che sia l’Europa che l’Inghilterra ne possano uscire più deboli.

Se invece il popolo si esprimerà diviso quasi equamente, sia pur a maggioranza per restare, è evidente che un nuovo disegno di Europa dovrà prendere forma. Penso che in ottica di reazione dei mercati quest’ultimo possa essere il risultato migliore in un orizzonte di medio lungo termine. Iniziare un processo di cambiamento affinchè nuove spinte separatiste vengano sopite sul nascere. Magari nel breve termine ci saranno degli scossoni e gli indici azionari potrebbero risentirne negativamente perchè la situazione di base incerta persiste. Tuttavia questa volta mi riferisco al titolo del giornale di questo mese con un linguaggio non calcistico e neanche tennistico: “Questione di palle – Agonismo, coraggio e volontà”.

The Rearview Mirror – June 2016

Christian Zorico (160)

On Friday the 3rd of June the Bureau of Labour Statistic reported that Non-farm payrolls rose by only 38,000 in May, well below expectations set at 160,000. We all were waiting for Ms Yellen speech, planned for Monday the 6th in Philadelphia. It has been last public speech before next FED meeting scheduled for the 14/15 of June. Ms Yellen still sent a clear message to the market: “I continue to believe that it will be appropriate to gradually reduce the degree of monetary policy accommodation, provided that labor market conditions strengthen further and inflation continues to make progress toward our 2 percent objective.” Having given a broadly positive and supportive outlook for the US economy, the FED chair, although recognised latent uncertainties as Brexit referendum, concerns about China and degree of resiliency in domestic demand, in the end she remarked the fact that one set of bad numbers doesn’t make a poor economy itself.

It is crystal clear that Ms Yellen concerns weighted on market’ reaction, or may be it is better to say that the investors did not find any hawkishness in her speech. If we try to translate it into numbers, by Monday odds for a rate rise in June had fallen to one in 50 back from a one-in- three chance from only 15 days ago. FED funds futures are showing a likelihood of 25 per cent for a rate rise at July’s meeting, well below from 55 per cent before Friday’s jobs report.

On Friday, the 10yr US Treasury yield reached a minimum of 1.627% and closed at 1.644%. The entire US yield curve flattened as well as the other government bond curves behaved the same. For instance, the 10yr Germany Bund collapsed at its historical minimum of 0.010 by closing at 0.021. Please be aware that when we reached a previous minimum level of 0.07%, late in April 2015, the deposit rate set by the ECB was -0.20%.

Do not forget that now Mr Mario has lowered the bound setting it at -0.40%, in the ambitious attempt to encourage banks to lend to firms and consumers. The main objective is to avoid that financial institution will park their money with the central bank. But the message is that potentially we can see a negative yield also for the 10yr bucket.

We still believe that prices in German bonds do not make any rational sense. In real terms, unless you believe in a strong deflation upcoming period and in zero costs charged by banks for your transactions, we are already talking about a certain loss. Investors are greedy to buy because they think they can sell them to someone else at a higher price. Indeed single banks and ECB are willing to buy more and more but clearly we are going to reach a point of no return.

I would like to conclude this “Rear View Mirror appointment by remarking what “Mr Bond” Bill Gross tweeted on 9th of June: “Global yields lowest in 500 years of recorded history. $10 trillion of neg. rate bonds. This is a supernova that will explode one day”. Of course timing is everything and shorting Bunds, even at these levels, could be very painful. But we should not forget that Mario Draghi, as Kuroda did, is only buying some time. He is giving to single countries the opportunity to implement fiscal policies. A prolonged NIRP environment will undermine the profitability of banks and insurance companies. Let’s say that not only the profitability itself but a sane management is under review. Somewhere the mechanism of QE could be badly interrupted. My advice is to set aside of this trade unless a clear trend reversal will become alive. At the moment we are talking about a no-trade. But at the same time do not forget to jump on this train whenever a strong signal will appear.

Lo Specchietto Retrovisore – 12/06/2016

Venerdì scorso, il 3 giugno, l’Ufficio Statistica del Lavoro ha riportato che i Non Farm Payroll sono aumentati di solo 38.000 unità nel mese di maggio, ben al di sotto delle aspettative che ne prevedevano 160.000. Ci eravamo lasciati aspettando con ansia il discorso in programma a Philadelphia da parte della Yellen, previsto appunto per lunedì 6 Giugno. Per la cronaca, è stato l’ultimo discorso pubblico prima della prossima riunione della Fed prevista per il 14/15 giugno. Il presidente della Fed, Janet Yellen ha ribadito ancora una volta che la politica monetaria della FED risulta ancora appropriata. Chiaro il messaggio, almeno negli intenti, rivolto al mercato: “I continue to believe that it will be appropriate to gradually reduce the degree of monetary policy accommodation, provided that labor market conditions strengthen further and inflation continues to make progress toward our 2 percent objective.” Si è soffermata sui fattori che fotografano uno stato dell’economia statunitense sostanzialmente positivo e ancora di sostegno.

Tuttavia, ha anche riconosciuto la persistenza di alcune incertezze: il referendum che deciderà sulla Brexit, le “solite” preoccupazioni per la Cina e l’accento posto sul grado di resilienza della domanda interna. Ha però voluto ribadire che un dato negativo come quello di maggio sul mondo del lavoro, va letto come singolo dato e non si possono attribuire significati più estesi per decifrare lo stato di salute dell’economia. Come a dire che una “rondine non fa primavera” e proprio su questo punto ne avevamo dato una nostra interpretazione nello “Specchietto Retrovisore” della settimana passata.

Se osserviamo la reazione dei mercati, è evidente che le preoccupazioni della Yellen abbiano pesato maggiormente o forse è meglio asserire che gli investitori non hanno trovato alcuna hawkishness nel suo discorso. Se cerchiamo di tradurre in numeri, da lunedì le probabilità per un aumento dei tassi a giugno sono scese ad 1 su 50 rispetto ad 1 su 3 di soli 15 giorni fa. I Fed Funds Futures mostrano una probabilità del 25 per cento per un aumento dei tassi alla riunione di luglio, ben al di sotto del 55 per cento prima del rapporto sul lavoro.

Venerdì scorso, il rendimento a 10 anni del Treausury americano ha raggiunto un minimo di 1.627% e ha chiuso a 1.644%. L’intera curva dei rendimenti americani si è appiattita. Identico comportamento hanno mostrato le altre curve dei titoli di Stato. Il 10 anni tedesco ha toccato il suo minimo storico di 0.010%, chiudendo la settimana a 0.021%. Credo sia il momento giusto per riflettere sul fatto che quando abbiamo raggiunto il precedente livello di minimo, 0.07%, nel mese di aprile 2015, il tasso di deposito fissato dalla BCE era -0.20%. Ora Mario Draghi ha abbassato l’asticella a - 0.40%, nel tentativo ambizioso di incoraggiare le banche a concedere prestiti a imprese e consumatori. L’obiettivo principale resta sempre quello di evitare che le istituzioni finanziarie parcheggino il loro denaro presso la banca centrale. Ma il messaggio di fondo è che, potenzialmente, possiamo vedere un rendimento negativo anche per il decennale tedesco.

Siamo ancora dell’avviso che i prezzi delle obbligazioni tedesche non abbiano alcun senso razionale. Il rendimento medio del debito totale tedesco è già negativo. In pratica la Germania si finanzia ed è pagata per ricevere denaro. Inoltre, in termini reali, a meno che non si creda in una forte deflazione per i prossimi 10 anni e non sia abbia l’annulamento dei costi applicati dalle banche per le transazioni, stiamo già parlando di una perdita certa per un potenziale compratore. Gli investitori sono avidamente alla ricerca di rendimento. Contribuiscono ad appiattire le curve governative nel disperato tentativo di ricercare yield leggermente superiore allo zero. Continuano ad acquistare sperando di poter vendere a qualcun altro ad un prezzo superiore. E nei fatti le singole banche e la BCE sono disposte a comprare aggiungendo sempre più un premio per questi asset. Ma è chiaro che stiamo per raggiungere un punto di non ritorno. Dietro questa descrizione anche l’investitore meno scaltro si rende conto che siamo dinanzi alla fotografia di una perfetta bolla.

Vorrei concludere questo appuntamento con lo “Specchietto Retrovisore” facendo cinguettare ancora una volta il tweet del “Signore dei Bond” Bill Gross. Il 9 giugno esclamava cosi:” Global yields lowest in 500 years of recorded history. $10 trillion of neg. rate bonds. This is a supernova that will explode one day”. Naturalmente ancora una volta è fondamentale il timing di azione. Vendere allo scoperto il Bund, anche a questi livelli, potrebbe essere molto doloroso. Ma non dobbiamo dimenticare che Mario Draghi, così come ha fatto Kuroda, sta solo solo comprando tempo. Sta offrendo ai singoli Paesi la possibilità di attuare le opportune politiche fiscali. Un contesto prolungato caratterizzato da rendimenti negativi minerà la redditività delle banche e compagnie di assicurazione. Non parliamo soltanto di redditività, ma dei minimi requisiti per mantenere una sana gestione del credito e delle polizze assicurative. Da qualche parte, il meccanismo del QE potrebbe rompersi. Quello che suggerisco è di osservare come la situazione si evolve. Aspettare un segnale di reverse del trend in atto prima di agire, ma al tempo stesso essere pronti a saltare sul treno. Questi rendimenti non sono sostenibili nel lungo termine.

Lo Specchietto Retrovisore – 05/06/2016 Christian Zorico (160)

La fotografia scattata dal Bureau of Labor Statistics rilasciata nella giornata di venerdì scorso ha avuto un effetto dirompente sui mercati. In America aggiunti solo 36 mila nuovi posti di lavoro contro i 162 mila attesi dagli economisti. Il tasso di disoccupazione, come pura misura statistica, continua a decrescere e ora è al 4.7%. Però il dato dei Non-Farm Payroll lascia spazio a molte riflessioni. È stata la curva governativa americana a reagire più violentemente: il decennale è sceso fino a toccare l’1.701%, il trentennale ha toccato il 2.513%, ma soprattutto il 2 anni è stato scambiato allo 0.768% annullando quasi le probabilità di un rialzo a giugno.

Volendo infatti tradurre in probabilità il movimento della curva, siamo passati dal 21% di un rialzo a giugno a solo il 6%, fino a giungere al 69% di un rialzo a dicembre rispetto al 79% prima del dato.

Resta evidentemente un brutto dato e descrive chiaramente un mercato del lavoro che mostra i segni di un affanno. Tuttavia resto dell’avviso che un rialzo estivo, se non nel mese di giugno sia ancora possibile. La controreazione dei mercati azionari nella giornata di venerdì deve essere letta attentamente. Se non fosse stato per i titoli dei finanziari, che hanno risentito negativamente di rendimenti più bassi, l’indice S&P500 avrebbe addirittura chiuso in territorio positivo. E tutto questo alla luce di una brutta notizia. Il mercato del lavoro in US al netto di un singolo dato, e anche considerando il trend in atto, potrebbe restare a supporto dell’economia per molto tempo. Inoltre, lo abbiamo più volte indicato chiaramente, ogni mese di attesa per la FED si traduce in una maggior probabilità di notizie e dati negativi provenienti dall’economia. La derivata seconda non può che essere decrescente. Questo è un fatto fisiologico.

Molto più attentamente invece andrei a considerare gli effetti negativi di un non rialzo da parte della FED. La sua credibilità sarebbe messa in discussione e soprattutto sarebbe una dichiarazione esplicita che l’economia non vive un buono stato di salute. Sempre parlando di credibilità, quella che si riconosce a Draghi ed alla BCE, probabilmente sarebbe opportuno che ci fosse una sola voce proveniente dalla Federal Reserve. Quella della Yellen, e non un continuo rincorrersi di dichiarazioni dei singoli membri. Di sicuro mostrerebbe un’unicità di intenti meno facilmente attaccabile.

Quanto a noi, invece, volendo tradurre in opportunità di investimento quanto accaduto, mi sentirei abbastanza tranquillo nel senso che vedo una possibilità di downside limitata nel prendere di mira il 2 anni americano. Lo 0.77% implica praticamente nessun rialzo a giugno. Probabilmente la Yellen annuncerà un rialzo nei mesi di luglio o settembre, anche per osservare la votazione sulla BREXIT. Resta il fatto che da qui in avanti, tassi così bassi sulla parte a breve della curva sono non compatibili con un processo dichiarato di voler riportare i tassi su livelli considerati efficienti, anche per poter intervenire in seguito, qualora l’economia reale dovesse mostrare seri segnali di rallentamento.

La Copertina d’Artista – Maggio 2016

Raffaello Castellano (325)

“ D i l e m m a ” è i l titolo dell’opera de La Copertina d’Artista di Maggio 2016, realizzata da Dario Agrimi.

Un volto dall’espressione ironica ci osserva dalla copertina di maggio del nostro magazine. L’opera è un autoritratto fotografico realizzato dall’artista Dario Agrimi, un’iscrizione apposta sulla fronte recita: “Scemo chi legge” e conferma la sensazione di profonda ironia che l’opera pare ispirarci.

Ma cosa c’entra questo sardonico autoritratto con William Shakespeare, a 400 anni dalla sua scomparsa e con il tema del nostro magazine?

Apparentemente niente, ma se è vero, come ha detto Karl Kraus, che “è artista soltanto chi sa fare della soluzione un enigma”, dovremmo chiederci qual è la cifra segreta che si nasconde nell’intervento del nostro artista, qual è la chiave che ci permetterà di risolvere il rebus che egli ci propone, qual è il significato profondo che serpeggia nell’affermazione così intelligibile scritta sulla sua fronte?

La soluzione al rebus, probabilmente, siamo noi, noi umani che continuamente ci interroghiamo sul da farsi, incessantemente ci poniamo dei dubbi, costantemente ci arrabattiamo tra il subire ed il reagire. In questo siamo tutti personaggi shakespeariani, siamo Macbeth, tormentati dalla brama di potere e dai rimorsi della

A s c e s a , 2 012, silicone e materiali vari, autoritratto dimensioni reali. coscienza; siamo Amleto, lacerati dal dubbio di credere o non credere ai fantasmi del nostro passato; siamo Shylock, del Mercante di Venezia, corrosi dalla vendetta e pieni di rancore verso i nostri aguzzini.

Come ha giustamente rilevato il critico Roberto Lacarbonara: «Quando Amleto si strugge nella scelta tra agire e non agire, tra sopravvivenza e morte, al tempo stesso egli afferma la supremazia del dubbio sulla quieta e indiscussa transitorietà del vivere. Esistere vuol dire primariamente interrogare, mettere in questione l’inerzia del giorno e raggiungere la piena consapevolezza delle cose. Ecco che la domanda si trasforma nella scelta tra conoscere e ignorare. N o n d i c e c h i è , 2 016, silicone e materiali vari, 250 x 80 x 250 cm.

La conoscenza è un atto sofferto che scardina la mediocrità; conoscere significa scegliere (la scelta di morire quale atto amletico supremo) ed è l’unica salvezza, l’unica via di uscita da intraprendere col coraggio di sfidare l’ignoto e le proprie paure.

“Scemo chi legge”, dunque. Beato chi ignora, chi tollera e rinuncia, chi ha smesso di reagire e domandare.»

L’opera di Dario Agrimi, allora, è una sorta di specchio nel quale si riflettono tutte le angosce, tutti i dubbi, tutte le certezze, ma pure tutte le possibilità di cui come “esseri umani” siamo latori, messaggeri ma pure destinatari. L’artista ci ricorda che la scelta, le scelte, la capacità stessa di scegliere è forse la caratteristica che più di tutte ci rende umani.

Classe 1980, nato nella città abruzzese di Atri ma residente a Trani, dove vive ed opera, la sua ascesa nel campo dell’arte contemporanea prosegue incessantemente dal 2001. Eclettico, visionario, sperimentatore instancabile e rigoroso, si muove con estrema naturalezza fra varie tecniche e differenti media: pittura, fotografia, video, scultura, installazione e performance.

Negli anni sperimenta anche tecniche estreme ed originalissime, di “frontiera”, verrebbe da dire, come i suoi quadri fatti con i peli ed i capelli, quelli fatti con le impronte digitali e la tassidermia, tecnica che ultimamente l’artista predilige ed applica con grande ironia, realizzando opere dagli effetti parodistici. E x t e n s i o n, 2013, oca in tassidermia, 400 x 30 x 170 cm.

Ha partecipato a numerose esposizioni collettive e personali in gallerie ed istituzioni di varie città, in Italia e all’estero. Fra tutte ricordiamo la partecipazione alla 54° Biennale di Venezia – Esposizione Internazionale d’Arte Contemporanea e la sua recente personale al Museo Pino Pascali.

Negli ultimi mesi è stato impegnato in diverse fiere internazionali d’arte contemporanea in Europa ed in diversi premi internazionali, come il Premio Arte Laguna ed il Premio Celeste Taboo.

Mostre recenti:

Personali

2016 SET UP, international fair of contemporary art, Bologna, Italy;

2015 LIMBO, Nuvole Arte, Benevento (BN), Italy;

2014 DUEL,Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare (BA), Italy;

2012 DISTOPIE. SOCIETA’ FRAGILE,Gallery26CC, Roma, Italy;

2012 UP75° Pitti Bimbo, Exhibition stand Guru Gang, Firenze, Italy.

L i m b o , 2 0 1 5, silicone polarizzato, materiali vari e 50 litri di petrolio, 200 x 100 x 5 cm.

Collettive

2016

NUTRIMENTI, Palazzo Pantaleo, Taranto, Italy;

BLUPROJECT FOUNDATION, international exibition, Barcelona, Esapa;

PREMIO ARTE LAGUNA, international exibition, Venezia, Italy;

AFFORDABLE, international fair of contemporary art, Milano, Italy;

SET UP, international fair of contemporary art,Bologna.

2015

CONTEMPORARY ISTAMBUL, international fair of contemporary art, Istambul, Turkey;

BIENNALE DI PENNE, Museum of modern and contemporary art of Penne, Italy;

THE OTHERS, international fair of contemporary art, Torino, Italy;

SWAB, international fair of contemporary art in Barcelona, Barcelona, Espana;

SYNTHESIS,Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare (BA), Italy;

ART FOR CIVIL SOCIETY DIALOGUE, CaferSadikAbalioglu, Egitim Ve KulturVakfi, Denizli, Turkey;

ART STAYS, Thirteenth Festival Of Corntemporary Art Ptuj 2015, Ptuj, Slovenia;

IN NOMINE SANCTI, Art&Ars Gallery, Galatina (LE), Italy;

GNOSIS, Palazzo Ulmo , Taranto, Italy.

Per informazioni e per contattare l’artista Dario Agrimi: www.agrimidario.com o [email protected]

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile partecipare alla seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo alla nostra redazione: [email protected]