LE NECROPOLI DI CASTELLARANO (RE): NUOVI DATI PER L’ARCHEOLOGIA LONGOBARDA IN EMILIA ROMAGNA

1. Introduzione

Mi sono occupato di sepolture del periodo longobardo di questa regione (1) in varie occasioni. La prima volta nel 1978, quando ho recensito il volume della Sturmann Ciccone sui reperti longobardi e del periodo longobardo della provincia di (2); poi nel 1986 compilando le schede per le province di Modena e Reggio Emilia in un lavoro di sintesi sull’insediamento tardoantico ed altomedievale di quest’area (3). Sono tornato nuovamente sull’argomento in occasione della mostra di Modena, agli inizi del 1989, ripubblicando i noti contesti di quel territorio, e le poche sepolture e materiali rimasti inediti (4), ma l’opportunità di discutere criticamente l’intero corpus delle necropoli di epoca longobarda di questa regione mi venne fornita, sempre nello stesso anno, quando fui invitato a compilare le relative schede per il pluriennale progetto di censimento promosso dalla rivista Studi Medievali (5). L’aver raccolto, e in qualche modo sistematicamente ordinato, un materiale fino ad allora noto solo per singoli contesti, al massimo provinciali, mi permise infine di discutere, anche se a grandi linee, il significato del fenomeno nella nostra regione, in una comunicazione che tenni al XXXVI Corso di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina (6). Mi permetto di rimandare a quel lavoro dove l’analisi venne sviluppata tenendo conto della componente distributiva delle sepolture, della loro tipologia e della natura e composizione dei corredi (quando presenti), tutto questo correlato con un quadro di riferimento storico, che ci aiutasse a comprendere le dinamiche insediative, da una parte, e i processi di acculturazione, dall’altra. L’ampio ambito territoriale di riferimento impediva tuttavia l’individuazione o l’adozione di modelli insediativi standard ed univoci (7), peraltro difficilmente applicabili in forma schematica anche per circoscrizioni amministrative più ristrette (8). Ritorno sugli stessi argomenti, a distanza di cinque anni da quei lavori, non certo per il desiderio di correggere le inevitabili imperfezioni, e talora qualche lacuna, che in quei due contributi erano contenute; né certamente per stravolgere il pur generale quadro di sintesi che mi pareva emergesse dallo studio finalmente comparato della documentazione in nostro possesso. Lo faccio soprattutto perché, dopo quella data, sono sopraggiunti due fatti di un certo rilievo, tali comunque da consigliarmi, in un convegno dedicato proprio ai temi dell’acculturazione, di riprendere la discussione sulle necropoli del periodo longobardo in questa regione: lo scavo, finalmente con criteri scientifici, di nuove tombe (per l’esattezza ventitrè) a Castellarano (RE) nel 1990-91, e l’edizione, seppure ancora parziale, della necropoli di Collecchio (PR), scavata alla fine degli anni ‘70 (9), e di altri nuclei o singole sepolture, nei territori parmense e piacentino (10). Devo premettere che anche queste nuove acquisizioni non hanno mutato, in forme di rilievo, il quadro già presentato nel 1989 e che la carta di distribuzione pubblicata in quella circostanza può essere oggi tranquillamente riproposta con poche varianti (Fig. 1) (11). Tuttavia questi recenti dati mi permettono di confortare alcune ipotesi già avanzate in quella circostanza e di dettagliare meglio alcuni problemi affrontati forse più superficialmente o con più scarsa

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale documentazione. Per far questo prenderemo le mosse proprio dalle sepolture rinvenute a Castellarano, ridiscutendo, seppur brevemente, vecchi e nuovi ritrovamenti.

2. Le sepolture di Castellarano

2.1 Le scoperte

Castellarano è oggi un in provincia di Reggio Emilia, situato sulle prime propaggini collinari dell’Appennino emiliano, nella valle del Secchia (Fig. 2). Il paese medievale, e in parte quello attuale, è ubicato su un modesto rilievo (m. 155 s.l.m.), residuo di un terrazzo fluviale olocenico, naturalmente protetto e sufficientemente isolato in quanto eroso, ab antiquo e su ogni lato, da un corso d’acqua. Nel 1865 Chierici iniziò le ricerche sulla sommità del paese (nell’area occupata dalla Rocca tardo-medievale), dove, da più di quarant’anni, si estraeva marma. Gli scavi del Chierici misero in luce i resti di un insediamento dell’età del Bronzo e del Ferro, che poggiavano direttamente su livelli di ghiaia del terrazzo olocenico (12): non si hanno segnalazioni relative al rinvenimento di materiali o di stratificazioni attribuibili ad epoca posteriore. Qualche anno più tardi (1872) all’archeologo reggiano furono consegnati, da un appassionato locale, alcuni oggetti provenienti da sepolcri ubicati “ai piedi dei colli che costeggiano il torrente Secchia”, certamente attribuibili ad epoca longobarda (13) (Fig. 3). Parte di questi oggetti, consegnati al Museo Civico di Reggio Emilia, sono ancora conservati nelle sue collezioni (Appendice, Scheda 1). Dopo i ritrovamenti di Chierici bisogna aspettare la seconda metà degli anni ’50 per avere nuove informazioni su inumazioni di età longobarda a Castellarano: tra il 1958 e il 1959, in occasione della costruzione del Dispensario Antitubercolare, vennero alla luce altre sepolture ed alcuni oggetti di corredo (14). Le tombe, segnalate in due momenti diversi, non furono scavate con criteri scientifici. Di quelle individuate nel 1958, di cui conosciamo il numero (cinque), non possediamo disegni né fotografie; delle altre, venute in luce nel 1959 nella stessa area, non sappiamo neppure il numero, ma conserviamo alcuni oggetti di corredo salvati dai Carabinieri e consegnati sempre al Museo di Reggio Emilia (Appendice, Scheda 2) (15). Ancora legati a recuperi occasionali sono i ritrovamenti del 1971 in loc. Ca’ di Tullio (16): durante una lottizzazione edilizia di un’area posta immediatamente a sud dell’abitato venne scoperto un nucleo di sepolture, di cui non conosciamo però né il numero né la tipologia, e delle quali fu salvato forse un solo corredo (17) (Appendice, Scheda 3). Solo nel 1976-77, e poi 1978, vennero scavate, ed opportunamente documentate dalla Società Reggiana di Archeologia, altre due tombe, una in via Cusna, 1 (18), l’altra in prossimità del Cimitero (19) (Appendice, Scheda 4): la prima conteneva un corredo composto da tre anelli, una collana, un coltello con manico, due armille in lamina di bronzo, la seconda solo una fusaiola in pasta vitrea. Finalmente, tra il 1990-91, in occasione di un’altra lottizzazione di terreni in prossimità di viale della Pace, vennero esplorate, con criteri archeologici, ventitrè sepolture (Appendice, Scheda 5) (20). L’edizione di questo scavo, e l’analitica rilettura dei vecchi ritrovamenti, non possono trovare posto in questa sede, dove discuteremo in maniera sintetica dei seguenti problemi: a) numero e localizzazione delle tombe finora individuate;

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale b) cronologia delle sepolture; c) corredi, elementi di abbigliamento personale e tipologie delle tombe. L’analisi antropologica degli inumati rinvenuti negli scavi 1990-91 è in corso da parte della dott.ssa Loredana Salvadei: pertanto non sarà possibile tenerne conto in questa sede. 2.2 Numero e localizzazione delle tombe

Dal testo del Chierici-Mantovani (1873: vd. Appendice, Scheda 1) non si evince quante tombe fossero state scoperte, né dove. Sulla scorta degli oggetti rinvenuti si tratta comunque di sepolture femminili e maschili, queste ultime provviste di armi (almeno uno scudo, una lancia e quattro scramasax). Considerando come componente normativa del corredo uno scramasax per sepoltura (21), il numero minimo di tombe maschili scavate doveva ammontare almeno a quattro; quelle femminili, in base al numero delle armille, è possibile fossero almeno due. L’ubicazione delle tombe, che, come abbiamo ricordato, non furono scavate dall’archeologo reggiano, è nel testo piuttosto generica, ma queste compaiono tuttavia in una pianta successivamente pubblicata dal medesimo, dove i siti vengono contrassegnati da due crocette (Fig. 3). Se volessimo provare a rilocalizzare le due aree indicate dal Chierici, una verrebbe a coincidere con una zona in prossimità dei ritrovamenti del 1958-59 (Fig. 2, n. 2), ma l’altra, sorprendentemente, con un sito immediatamente a nord del paese (Fig. 2, n. 1), sul quale non si avrebbero altri e più sicuri dati in merito (22). Dal Degani, apprendiamo che nel 1958, nell’area del Dispensario Antitubercolare, furono scavate cinque tombe (Fig. 2, n. 3) e, nello stesso anno, un’altra sepoltura, ma priva di corredo, venne rinvenuta in via delle Radici: quest’ultima è di difficile ubicazione (23). Non possediamo invece precise indicazioni circa il numero di tombe trovate l’anno seguente nella stessa area: gli oggetti di corredo (con l’eccezione di un coltello che potrebbe appartenere anche ad una sepoltura femminile, e dei resti di una collana, citati però solo da Sturmann Ciccone 1977, pp. 16-17) sono riferibili a inumazioni maschili. La presenza di due scramasax e tre lance fa supporre che siano state scavate almeno tre sepolture (più una femminile?). Anche dei rinvenimenti del 1971 non possediamo che alcuni resti di corredo, che potrebbero però appartenere ad un’unica sepoltura (femminile?) (Fig. 2, n. 18). Finalmente nel 1976-77 venne rinvenuta una sepoltura femminile (Fig. 2, n. 4), nel 1978 un’altra (forse sempre femminile) (Fig. 2, n. 5), e, tra il 1990-91, furono scavate ventitrè inumazioni (Fig. 2, nn. 7-9). Riassumendo almeno quaranta tombe sono state individuate ed esplorate tra il 1872 e il 1991: ma questa è certamente una stima per difetto, considerando sia le notizie orali che parlano del ritrovamento di molte più inumazioni in viale della Pace e, soprattutto, del fatto che, fino al 1976-77, sono state segnalate, nella letteratura archeologica, quasi solo tombe con corredo. Il campione di tombe scavate nel 1990-91, che vedremo meglio in dettaglio, ci fornisce un dato interessante: la percentuale delle sepolture con corredo o oggetti di abbigliamento personale è piuttosto modesta, pari cioè al 13% del totale. Se questo valore si volesse estendere all’intero complesso delle tombe di Castellarano (procedimento non del tutto corretto: vd. infra), potremmo ipotizzare la presenza di almeno un centinaio di tombe. Restando comunque solo alle sepolture conosciute, il loro numero risulta tra i più alti finora noti nella regione. I dati certi relativi alla distribuzione dei nuclei cimiteriali (Fig. 2) dimostrano in maniera evidente come ci sia una specifica predilezione nella scelta delle aree di sepoltura, le quali risultano privilegiare il versante orientale del rilievo posto a meridione dell’attuale abitato di Castellarano: è qui che vanno collocate le tombe scavate nel 1958-59, quelle del 1990-91 e forse una parte di quelle del 1872. Vicine sono poi le altre sepolture, quella del 1976-77 di via Cusna, 1 (ora isolata a ca. 250 m dal suddetto nucleo), quella del Cimitero, rinvenuta nel 1978 (a ca. 200 m) e quelle di Ca’ di Tullio: ma analogia di manufatti usati nel corredo in un caso, e di tipologia

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale tombale, nell’altro, suggeriscono che si tratta di inumazioni cronologicamente contemporanee alle precedenti (24). Lo scavo del 1990-91 ha inoltre fornito indicazioni più precise circa la distribuzione delle sepolture. Lo scavo ha interessato un’area di complessivi mq 1600 (Fig. 4). L’intervento archeologico vero e proprio è stato preceduto da un’operazione di splateamento con mezzo meccanico che ha evidenziato come il numero delle inumazioni non fosse alto, né elevata la loro densità. È anche possibile che, data la scarsa profondità delle tombe e il fatto che l’area fosse stata fino a tempi recenti coltivata, alcune sepolture siano state distrutte in antico. Anche quelle individuate, in effetti, erano spesso fortemente danneggiate, talora prive della copertura e, in qualche caso, anche dei resti del defunto. Tuttavia i dati complessivi sembrano nella sostanza attendibili, anche per la riscontrata scarsa presenza, nei settori privi di sepolture, di ciottoli fluviali o frammenti di mattoni, che rappresentano, lo vedremo meglio dopo, gli elementi costitutivi delle strutture tombali. I nuclei di tombe sono tre, corrispondenti ad altrettanti settori, distanti l’uno dall’altro ca. m 25 (tra il 1 e il 2) e m 15 (tra il 2 e il 3). Nel settore 1 sono state individuate undici sepolture, di cui nove a cassa e due in nuda terra (Fig. 5). Le tombe, orientate W-E, sono ulteriormente suddivisibili in due gruppetti, distanziati di quattro metri, e allineate, ma non perfettamente, per file ordinate N-S. Solo una tomba, di bambino (la n. 4), conteneva alcuni elementi di abbigliamento personale (tre perline di pasta vitrea pertinenti ad una collana) (Fig. 25, nn. 1-4). Il settore 2 ha restituito solo tre tombe del tipo a cassa, ma è probabile che il nucleo originario fosse più consistente e che sia andato in parte disperso, qualche anno fa, in occasione dell’apertura proprio del confinante viale della Pace (Fig. 6). Solo una tomba (la n. 12), conteneva elementi di corredo (un pettine) (Figg. 7 e 25, n. 5). Nell’ultimo settore, il più ampio di tutti, sono state individuate otto tombe, sempre del tipo a cassa: cinque di queste (tombe nn. 15-19), ravvicinate ed allineate N-S, le altre tre abbastanza distanziate ed isolate (Fig. 8). Tra queste un’unica tomba, la 20, documentava un orientamento N-S, sfalzato rispetto al resto della necropoli: anche in questo caso solo una sepoltura, femminile (la n. 15), conteneva elementi di corredo (Figg. 9 e 25, nn. 6-11). Come il settore 2, anche il 3 era molto prossimo alla strada ed è quindi probabile che altre tombe ad esso pertinenti siano state precedentemente distrutte. L’analisi antropologica dei resti degli inumati rinvenuti, quando ancora presenti, apporterà sicuramente dati utili per chiarire i processi di sviluppo di questo settore di necropoli scavato: ci potranno cioè dire se i gruppi così individuati siano da considerarsi nuclei parentali, come già la presenza di due sepolture di adulti, in associazione con altre tombe di bambini/adolescenti, nel settore 1, lascerebbe induttivamente supporre (25). In ogni caso lo scavo di questa porzione di necropoli, per quanto, ripetiamo, lacunoso, indica chiaramente una distribuzione di inumazioni per nuclei più o meno estesi, con larghi spazi vuoti tra gruppo e gruppo, ma anche all’interno di uno stesso gruppo; spazi forse progettualmente destinati ad accogliere successive inumazioni. L’area poi destinata alle sepolture non sembra essere stata delimitata da elementi strutturali, almeno archeologicamente riconoscibili: né sembrano essere state all’uopo utilizzate precedenti murature romane, come nel caso del settore 3, dove su un muro in ciottoli di un edificio più antico (sicuramente spoliato) si è impiantata una tomba (la n. 19) (Fig. 10). Una configurazione a nuclei più o meno estesi coincide anche con una ricostruzione delle aree cimiteriali quale possiamo induttivamente avanzare basandoci anche sui dati dei vecchi rinvenimenti: allora meglio spiegheremmo l’esistenza di tombe, come quelle del 1958-59, del 1976-77, non lontane e distanziate poche centinaia di metri dai settori ora analizzati. 2.3 Cronologia delle sepolture

Mancando la possibilità di datare le sepolture in base a considerazioni stratigrafiche (per quanto riguarda i nuclei scavati nel 1990-91) o alla tipologia della tomba (vd. infra), l’unica

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale possibilità che resta è quella canonica di appoggiarci ai corredi. Su un totale di circa 40 oggetti (i vaghi di collana sono stati considerati in genere come un manufatto), pochi sono quelli ben databili o databili con una buona approssimazione. Le armille in bronzo fuso con le estremità leggermente ingrossate (come l’esemplare rinvenuto nel 1872), sono comuni nei contesti del VII secolo (von Hessen 1971b, p. 14) (Fig. 17, n. 1). Lo stesso dicasi per la fibula maschile a braccia uguali, decorata con un nastro in Stile II, che trova confronti solo con un altro esemplare da Anterselva in Alto-Adige (Werner-Fuchs 1950, D 42, p. 43 e 63, taf. 48) (Fig. 17, n. 3). Ancora al VII secolo sono da attribuire i resti di un umbone di scudo da parata con borchie in bronzo decorate, facente parte anch’esso del nucleo dei reperti del 1872 (Fig. 18, n. 4). Gli scramasax, quelli certamente provenienti da Castellarano (rinvenimenti 1958-59), sono di media lunghezza (Sturmann Ciccone 1977, p. 16, tav. 8, 1-6) (ca. cm. 40/45) (Fig. 18, nn. 1-2): questo elemento viene in genere giudicato tipico di quelli in uso nel corso del VII secolo. Le fibbie in bronzo, con controplacca e puntale a becco d’anatra (vecchi ritrovamenti e tombe 1958-59) (Fig. 19, nn. 2-3, 5), quelle in ferro con puntale allungato (ancora vecchi ritrovamenti e tombe 1958-59; Fig. 19, nn. 1 e 4), le fibbiette in bronzo con placca fissa scudiforme ed ardiglione in ferro (tombe 1971) (Fig. 17, n. 7) e le perline c.d. tipo “Grancia” nelle sepolture femminili, sono anch’essi oggetti databili al VII secolo. La stessa cronologia è ipotizzabile per la tomba femminile di via Cusna 1 e per la tomba 15 del settore 3 (Fig. 25, nn. 6-11), ambedue con armille in lamina di bronzo terminanti a perline (Fig. 11, nn. 1-3), che, insieme ad un esemplare inedito rinvenuto sempre a Castellarano nel secolo scorso (Fig. 11, n. 4), e un paio dalla tomba 64 di Sabbiona in Alto Adige (26), costituiscono gli unici esempi attestati in Italia di un tipo rinvenute anche in sepolture avare (27). Gli altri oggetti (pettini, punte di lancia e di freccia, altri pendenti etc.) non consentono una cronologia precisa, ma non contraddicono l’indicazione complessiva che le sepolture finora rinvenute a Castellarano non siano anteriori al VII secolo. I dati a disposizione non permettono tuttavia di precisare meglio l’excursus cronologico o di circoscriverlo in un periodo più ristretto. 2.4 Corredi, elementi di abbigliamento personale e tipologia delle tombe

Solo per lo scavo del 1990-91 ci è possibile valutare il rapporto tra le sepolture con elementi di corredo/abbigliamento personale e quelle prive. Come abbiamo già anticipato la percentuale delle prime risulta piuttosto bassa (circa il 13%): inoltre solo la tomba 15, peraltro mutila, documentava un corredo più articolato (armilla, collana con perle in pasta vitrea e pendenti in osso e bronzo) (28) (Figg. 12-13 e 25, nn. 6-11). Gli altri elementi sono rappresentati da un pettine (tomba 12, settore 2) (Figg. 14 e 25, n. 5) e una collanina in pasta vitrea (tomba 4, settore 1) (Fig. 25, n. 1-4). Questo dato, se volessimo estenderlo all’intero nucleo di Castellarano (correlato oltretutto con una cronologia decisamente tardiva del complesso: vd. supra), sembrerebbe oramai documentare un avanzato processo di acculturazione da parte della popolazione che seppelliva in quest’area. Tuttavia il nucleo scavato nel 1990-91, considerando anche quanto conosciuto dai ritrovamenti del 1971 e 1976-77, ha restituito solo corredi femminili o di bambini (incerto il caso della tomba 12, prima delle analisi antropologiche) (29). Sicuramente da questa zona non provengono armi, segnalate invece nei ritrovamenti del 1872 e in quelli del 1958-59, ambedue localizzabili nell’area del Dispensario Antitubercolare. Dunque una diversità qualitativa (e forse anche quantitativa) nei corredi sembra rilevabile tra i vari gruppi scavati nelle due aree. Questo si potrebbe spiegare con uno scarto cronologico (sempre all’interno del VII secolo), oppure supporre una gerarchia di utilizzo a seconda dello stato giuridico e della condizione sociale dei vari nuclei parentali. In ogni caso finora mancano a Castellarano tombe ricche o ricche oltre la media, sia maschili che femminili (30). Tra le tombe maschili con armi sono assenti le spade, e gli scudi sono attestati in un solo caso. Se alcune tombe non sono state violate in antico, o parte del corredo

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale andata dispersa per recuperi frettolosi, dobbiamo supporre che il corredo maschile standard, quando presente, fosse composto solo da scramasax, lancia e frecce. È evidente che parte della popolazione che seppelliva a Castellarano seguiva ancora riti tipici delle popolazioni merovingiche (corredo con armi per gli uomini, cimitero organizzato per nuclei con tombe disposte a file allineate, orientamento W-E con capo ad W), ma è altrettanto vero che la maggioranza di esso (sia femminile che maschile) ne aveva in parte abbandonato alcune componenti. Informazioni più precise possediamo circa le tipologie tombali, soprattutto grazie ai dati rilevabili dallo scavo delle tombe del 1976-77, 1978 e delle ventitrè sepolture indagate nel 1990­ 91, che chiariscono i più generici riferimenti di Chierici-Mantovani (31) e del Degani (32). Bisogna premettere che mentre si hanno buoni dati per la forma delle casse (nei tipi b, c e varianti), minori informazioni possediamo per quanto concerne il tipo di copertura, essendone la maggioranza oramai priva. Le sepolture rinvenute a Castellarano possono essere suddivise nelle seguenti tipologie: a) sepolture in nuda terra. Nello scavo del 1990-91 ne sono state individuate e scavate due nel settore 1 (Fig. 5, tombe 3 e 11). Sembra il tipo meno attestato, anche se non bisogna sottovalutare il fatto che, per esse, è possibile invocare una minore leggibilità archeologica (ad es. nessuna tomba del genere era mai stata segnalata prima dell’ultimo scavo). Le tombe non recavano tracce riconoscibili di bare di legno: una era di un bambino (forse addirittura neonato) e una di adulto, ubicata in prossimità delle tombe 1-2. b) sepolture con cassa di ciottoli e copertura di lastre di arenaria. È, stando almeno ai dati del settore 1 dello scavo 1990-91, il tipo più diffuso (tombe n. 2, 4, 6 e 10). Anche in questo caso non sono state riconosciute tracce di bare di legno all’interno della sepoltura. Il fondo della tomba è talora rivestito di frammenti di laterizi o pietre; laterizi spezzati si sono riscontrati anche nei muretti che formano la cassa. Nella muratura non è stato usato nessun legante. c) sepolture con cassa di ciottoli e copertura di laterizi. Il più diffuso è quello con copertura a doppio spiovente, che utilizzava mattoni sesquipedali interi incassati in una sorta di risega dei muretti che formavano la cassa. Sono le tombe che nella letteratura archeologica vengono spesso chiamate, impropriamente, “alla cappuccina”. Nei casi di tombe di dimensioni abbastanza ridotte (bambini o adolescenti) sembrano essere stati usati anche frammenti di mattoni disposti in piano (tomba n. 8 settore 1, tomba n. 19 settore 3) (Fig. 10). Come nel caso precedente possono essere impiegati, a rincalzo nella cassa, frammenti di laterizi mentre il fondo può essere formato ancora da pezzame laterizio oppure da schegge di pietra (tomba del 1976-77). Anche in questo tipo non si sono riscontrate tracce archeologiche di casse di legno. Una variante del tipo c è costituita da un fondo rilevato in ciottoli e da un cordolo circostante, sempre in ciottoli, su cui venivano incastrati i mattoni disposti a doppio spiovente (tomba 1, settore 1, forse tomba 20, settore 3). Riguardo alla tipologia tombale si possono formulare alcune considerazioni. I materiali più frequentemente usati sono i ciottoli di fiume e le lastre di arenaria (Figg. 15-16). I laterizi sono impiegati con maggiore parsimonia, spesso spezzati nelle casse, più raramente interi per la copertura a doppio spiovente: scontata, dunque, la considerazione che venissero utilizzati materiali facilmente reperibili in posto o nelle vicinanze. La scarsa presenza di laterizi lascia supporre che anche nel caso di quelli interi si tratti di materiale di spoglio. Buone cave potevano essere le strutture di epoca romana che si trovavano in prossimità delle tombe, praticamente scarnificate (non si può neppure escludere che di esse venissero recuperati anche i ciottoli di fondazione), oppure di altri edifici sicuramente presenti nelle vicinanze (33). La scarsa reperibilità di laterizi interi può essere anche indizio del particolare pregio delle poche tombe che ne erano provviste (praticamente una nel settore 1 e forse due nel settore 3). Per quanto riguarda l’aspetto propriamente tipologico, la tomba a cassa laterizia coperta a doppio spiovente si ritrova

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale in questa area già in epoca precedente (almeno a partire dal IV secolo). Nei centri urbani e nelle aree di pianura, dove il largo uso del laterizio nelle intraprese edilizie e una maggiore densità del popolamento antico favorirono certamente una più diffusa pratica del reimpiego di questo materiale a partire dall’epoca tardo romana, l’utilizzo di mattoni/embrici, anche per la realizzazione di sepolture, continuò in età longobarda (vd. es. tombe di Reggio Emilia) (34) e, sembra senza soluzione di continuità, fino al tardo-medioevo (ad es. Nonantola; Modena, via Lanfranco e piazza Grande) (35). Il tipo con cassa di ciottoli, che vedremo diffuso prevalentemente nelle aree di collina, sembra costituirne una variante o un adattamento, a causa della scarsa reperibilità di fittili. Le tipologie presenti trovano confronti con altre necropoli dello stesso perio-do, come quella di Collecchio nel Parmense (36), ed avranno lunga vita anche in epoca successiva (es. Caselline di Savignano) (37). 2.5 Interpretazione dei dati archeologici

Il territorio di Castellarano documenta scarse tracce di occupazione in epoca romana (38): ma questo fatto potrebbe forse risentire di una carenza di informazioni. Non possediamo dati circa l’occupazione, in questo periodo, della sommità del terrazzo su cui sorse prima l’abitato dell’età del Bronzo e del Ferro, poi quello medievale di Castellarano (39). Tracce abbastanza consistenti di strutture sono emerse invece proprio nella zona di viale della Pace, sia in prossimità delle tombe scavate nel 1990-91 (settore 3), sia a poca distanza da esse (40). La presenza di vasche, di doli e di muretti con fondazioni in ciottoli, indica chiaramente che siamo di fronte ad ambienti e manufatti di servizio per strutture di carattere agricolo-artigianale (41). Non vi è certezza che alcune di queste fossero rimaste in uso fino ad epoca longobarda, ma ciò è improbabile almeno per quelle del settore 3 in quanto una tomba (la n. 19) ruppe il muretto precedente (e forse ne riusò una parte disponendosi sul suo allineamento) e un’altra (la n. 22) spaccò uno dei due doli. L’area dove sorse una delle necropoli di Castellarano, dunque, doveva essere da tempo in abbandono, e le strutture romane funsero più da cave di materiale che da ricetto o servizio per nuovi nuclei sociali organizzati nello sfruttamento agricolo del territorio. Anche l’ubicazione delle necropoli, l’alto numero di sepolture e l’addensamento per nuclei contigui, sembra escludere che queste servissero un insediamento sparso di carattere preminentemente rurale, mentre bene si attaglierebbero ad un modello di popolamento accentrato, che troverebbe la sua naturale e quasi ovvia ubicazione nel sito dell’attuale Castellarano. A confortare l’ipotesi di tale collegamento soccorrono a mio avviso alcuni dati di carattere storico più generale e la documentazione scritta, seppure seriore, pertinente a Castellarano: partiamo da quest’ultima. Da un documento del 1034 apprendiamo che a Castellarano, in quel periodo, esisteva già un castrum vetus (42); si tratta certamente del castello ricordato precedentemente in un Placito del 998 (43) e, soprattutto, in una carta anteriore, del luglio dell’898, nella quale compare un certo Roscauso, scavino, appunto, “de castello Oloriano” (44). Un nucleo fortificato, dunque, è noto nella documentazione scritta fin dall’epoca carolingia, periodo al quale difficilmente attribuiremmo la fondazione ex novo di un castello: l’ipotesi che questi appartenesse ad epoca anteriore è dunque storicamente del tutto plausibile. È noto che le vicende storiche di questa parte del Regno, tra seconda metà VI e prima metà VII secolo, sono abbastanza confuse e con difficoltà ricostruibili attraverso la scarna documentazione scritta (45). Con l’eccezione di Modena, tuttavia, i territori a sud del Po dovettero venire riassorbiti abbastanza precocemente nel Regno, nonostante che i duchi di Reggio Emilia, Parma e Piacenza avessero defezionato passando dalla parte dei Bizantini nel 590 (46). Si è ipotizzato che già in una fase piuttosto precoce i Longobardi avrebbero continuato la politica di aggressione verso le terre bizantine, conquistando una serie di antiche città lungo la via Emilia, tra cui Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Ciò avvenne comunque prima del 590 quando Modena fu ripresa dall’esarca Romano grazie all’aiuto dei Franchi (MGH, Epistulae, III, 147) o addirittura prima del 575, anno in cui il

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale curopalate Baduario scese in Italia, preoccupato dell’avanzata dei Longobardi lungo la via Emilia verso le terre dell’esarcato (47). Almeno agli inizi del VII secolo, infatti, Parma e Piacenza erano rientrate a far parte del Regno, se, come narra Paolo diacono (Historia Langobardorum, IV, 20), la figlia del re Agilulfo, che risiedeva appunto a Parma, venne catturata dai Bizantini insieme al marito Gudescalco. Secondo la Fasoli, dunque, in questo periodo, il confine doveva passare poco più a sud-est della città, all’incirca all’altezza di (48). Verso la metà del secolo, quando Rotari, dopo aver conquistato Oderzo e la rimanente parte della Liguria ancora bizantina, si scontrò con le forze imperiali nei pressi dello Scoltenna (49), il confine si spostò sul Panaro, e Modena venne nuovamente ripresa. Nessuna fonte scritta ci informa sulla situazione della città di Reggio e del suo territorio nella prima metà del VII secolo, nel periodo cioè anteriore alle campagne rotariane. La documentazione archeologica è, sotto questo profilo, decisamente illuminante. Oltre ai nuclei cimiteriali individuati a Castellarano, che abbiamo discusso, sono noti un’altra serie di rinvenimenti sepolcrali piuttosto significativi a Reggio città (50) e nel suo territorio (51). Le sepolture di Reggio, scoperte in due diverse circostanze tra il 1947 e il 1958, ma probabilmente pertinenti ad un unico nucleo cimiteriale (52), consistono in almeno sette inumazioni: una di queste doveva appartenere ad un cavaliere sepolto con ricco corredo e databile nella prima metà del VII secolo (53). Tra le tombe scavate nel 1958 almeno una apparteneva ad un individuo sepolto con armi (54). Pur con la dovuta cautela che dobbiamo usare in casi del genere, estremamente lacunosi sul piano documentario, si può ragionevolmente congetturare la presenza di una serie di inumazioni i cui estremi cronologici debbono essere latamente collocati tra la fine del VI e la prima metà del VII secolo. Altre sepolture con corredo sono poi segnalate a Montecchio (55), S. Polo d’Enza (56) e Rolo (57); reperti sporadici dello stesso periodo sono inoltre segnalati a Sabbione (58). Tali materiali orientano verso una datazione intorno alla prima metà del VII secolo. La presenza di almeno tre nuclei cimiteriali di una certa consistenza (Reggio città, Montecchio e Castellarano) e di una serie di sepolture/reperti isolati o piccoli nuclei di inumazioni, la cui cronologia sembrerebbe rinviare almeno alla prima metà del VII secolo, con corredi culturalmente connotati (e non infrequentemente in associazione con armi), indicherebbero come la presenza longobarda non debba considerarsi né casuale né episodica in questo territorio. Tutto ciò depone a favore di una interpretazione che vorrebbe anche l’area reggiana (parimenti a quanto avvenne nei finitimi territori parmense e piacentino) rientrata nell’orbita del Regno ben prima del famoso scontro sullo Scoltenna della metà del secolo. Si potrebbe anzi supporre che una così alta e capillare densità di insediamenti, collocati, oltre che in ambito urbano, anche in punti nevralgici (come lo sbocco di due vallate appenniniche e lungo l’ipotetico confine orientale, che doveva coincidere con il Secchia), sia significativa nel senso di un più stretto ed attento controllo militare dei territori marginali del Regno.

3. Castellarano e le altre necropoli longobarde dell’Emilia occidentale: alcune considerazioni di carattere storico e culturale

Oltre ai recenti interventi archeologici condotti a Castellarano abbiamo ricordato come, proprio quest’anno, siano stati presentati i risultati preliminari dello scavo della necropoli di Collecchio, nel Parmense, indagata alla fine degli anni ‘70 (59) e di altri nuovi contesti di età

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale longobarda scoperti in provincia di Parma e Piacenza (60). Il quadro delle restituzioni regionali può dirsi quindi completo, e le inevitabili lacune dei miei precedenti lavori colmate (61). L’occasione è inoltre importante perché la necropoli di Collecchio resta l’unico cimitero di età longobarda di cui siano state scavate scientificamente più di una cinquantina di sepolture. L’edizione dei corredi non è tuttavia ancora completa, ma possediamo finalmente una pianta della necropoli (62) e, contrariamente a Castellarano, l’analisi antropologica degli inumati (63). Le tombe di Collecchio, che ammontano a poco più di una cinquantina (non è chiaro se gli archeologi abbiano esaurito completamente l’esplorazione e cioè se siano stati individuati i limiti della necropoli), sono distribuite in un’area di ca. 200 mq. Le tombe erano costruite con la cassa in ciottoli di fiume e coperte per lo più con mattoni disposti a doppio spiovente. Solo le tombe di bambini/adolescenti erano delimitate da una sola fila di mattoni o in nuda terra. Come a Castellarano le tombe di adulti in nuda terra erano poche (in questo caso ne è stata segnalata solo una). Quasi tutte le sepolture contenevano più di una deposizione e la densità delle tombe è piuttosto elevata, anche se non mancano zone vuote tra sepoltura e sepoltura o tra gruppi di sepolture. È evidente che lo spazio in origine destinato al cimitero fosse delimitato e ristretto, ma sembra altrettanto evidente che al suo interno debbano essere identificate aree distinte e specificamente destinate a gruppi familiari, usate per un periodo abbastanza lungo. Gli elementi di corredo rinvenuti (un’alta densità se si considera il fatto che quasi nessuna sepoltura ne era priva), sono difficilmente attribui-bili a singoli inumati proprio per la rilevata presenza di più deposizioni. Questo fatto aumenta inoltre la possibilità che parti del corredo siano state nel tempo rimosse ed asportate. Come a Castellarano, comunque, i corredi maschili sembrano privi di spade (anche se la tomba 8 aveva una cintura in bronzo tipica per la sospensione della spada), di scudi e, sembra, anche di lance. Compaiono invece lo scramasax (in una tomba di due adolescenti: tomba 15) ed alcuni elementi di cintura in ferro con decorazioni ageminate in argento di II Stile (tomba n. 40). Altri elementi di corredo sono, per le tombe femminili, oggetti di abbigliamento personale, quali orecchini, collane ed armille, e per le tombe maschili e femminili, ceramica, pettini ed acciarini. L’analisi antropologica degli inumati ha evidenziato la presenza, anche all’interno di una stessa tomba, di individui sia di tipo Nordico che Alpino-Mediterraneo: la cronologia della necropoli (pieno VII secolo) conferma dunque, anche a livello culturale, un avanzato grado di integrazione con la popolazione locale. La situazione complessiva della necropoli di Collecchio, con alcune inevitabili diversità, mostra tendenze di sviluppo analoghe a quelle riscontrate a Castellarano. Nel 1989 abbiamo cercato di interpretare i dati conosciuti sulle necropoli di età longobarda presenti nella Regio VIII. Le nuove successive acquisizioni vanno nella direzione di una sostanziale conferma delle linee di sviluppo già in quella sede evidenziate. Sul piano storico la presenza di sepolture longobarde si integra con quanto conosciamo delle vicende che hanno interessato quest’area tra VI e VII secolo. Le sepolture più antiche, riferibili cioè alla prima fase di occupazione (con corredi c.d. di tipo Pannonico), sono al momento individuabili in singoli ritrovamenti quasi tutti concentrati in un’area compresa tra Reggio e Modena (64). Rientrano infatti in questa casistica la tomba maschile di Marzaglia (Mo) (65), e quelle femminili di Modena, piazza Grande (66), Montale (Mo) (67) e forse di Fiorano (Mo) (68) Questo fatto, unito alla constatazione che in quest’area non sono segnalate né ampie necropoli né sepolture più tarde (69), è in piena sintonia con la documentazione storica che vuole il territorio modenese conquistato precocemente, ma anche precocemente riperso per mano dell’esarca nel 590: rinvenimenti isolati sarebbero dunque perfettamente conciliabili con una interpretazione di un insediamento di breve durata, che non ebbe il tempo di consolidarsi nè in ambito urbano né in quello rurale. Seppure la fascia occidentale dell’antica Regio VIII sia rientrata nell’orbita del Regno sotto

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Agilulfo (e, come abbiamo cercato di dimostrare sopra, fino al territorio reggiano), i rinvenimenti archeologici pertinenti alla sfera funeraria sembrano confermare il fatto che l’insediamento longobardo si manifestò in queste zone con caratterizzazioni meno forti rispetto a quelle aree entrate precocemente e rimaste stabilmente sotto il controllo del Regno (70). Eccetto le città, infatti, dove peraltro la densità di sepolture con corredo longobardo non è altissima (71), conosciamo al momento solo tre necropoli di questo periodo con alto o medio/alto numero di inumazioni. Due sono quelle di Castellarano e Collecchio, sopra analizzate, l’altra è quella di Montecchio, ancora in territorio reggiano, lungo il corso dell’Enza. Delle tre è quella meno conosciuta per la mancanza quasi totale di dati archeologici di rinvenimento (72): dal poco noto le sue caratteristiche (tipologia delle inumazioni, distribuzione delle aree cimiteriali, natura e densità dei corredi, cronologia) non sembrano però discostarsi da quelle rilevate nei cimiteri di Castellarano e Collecchio. Le fonti scritte relative a questi altri due nuclei cimiteriali non ci confortano, come nel caso di Castellarano, ad avanzare l’ipotesi che si tratti di insediamenti di carattere militare, ma la loro ubicazione geografica e, almeno in una caso (Collecchio), il ricordo di un castello già esistente nel 929 (73), non lo lascerebbe escludere. Modelli di insediamento, dunque, e processi avanzati di acculturazione, quali traspaiono dalla documentazione archeologica relativa alle necropoli di epoca longobarda dell’antica Regio VIII, sembrano confermare come l’occupazione di questi territori non sia stata né precoce né omogenea, e la concentrazione di gruppi allogeni sul territorio, al di fuori delle città, tardiva e circoscritta prevalentemente a motivi di ordine politico-militare (74). Ciò non significa ovviamente l’adesione ad un semplicistico, e un po’ vieto, generalizzante modello di occupazione “manu militari”, che sarà valido solo per specifici e motivati casi. Ma è altrettanto evidente come le più tarde annessioni, o riannessioni, al Regno, siano contrassegnate, anche sul piano archeologico, da una minore densità e da una più labile caratterizzazione culturale del costume funerario (75), fatto questo che non può non essere significativo di mutate strategie di occupazione e riorganizzazione del territorio. Appendice

Vengono qui di seguito presentati e discussi nel dettaglio i ritrovamenti di Castellarano. Per quanto editi in più sedi, si è ritenuto opportuno inserire una nuova analitica schedatura, non solo per integrare e correggere alcune imprecisioni contenute nei precedenti lavori che ne fanno menzione, ma anche per avere a disposizione un quadro più preciso dei materiali e dei contesti rinvenuti che fanno da supporto alle considerazioni esposte nel testo. Scheda 1. I ritrovamenti del secolo scorso I materiali di cui parlano Chierici-Mantovani (1873, pp. 25-26), vennero raccolti, nel 1872, da un certo sig. Giacomo Debbi e da questi donati al Museo. Questi oggetti sarebbero stati rinvenuti in alcune tombe “ai piedi dei colli che costeggiano il Secchia”. L’indicazione, come si vede, è abbastanza generica: tuttavia una pianta pubblicata dal Chierici qualche anno dopo ci fornisce forse qualche ulteriore elemento di dettaglio per poter posizionare tali rinvenimenti (Fig. 17). Di questi materiale esiste un elenco pubblicato l’anno seguente dal Chierici-Mantovani (1873, pp. 25-26) nonché l’inventario del Museo, stilato poco dopo la morte del Chierici stesso. Come già si rileva nel lavoro della Sturmann Ciccone non tutti gli oggetti sono identificabili con certezza, né è sempre di aiuto l’inventario che spesso riferisce di più provenienze in merito allo stesso manufatto. Vediamo allora quali oggetti furono segnalati da Chierici-Mantovani poi quali di questi sono stati identificati con certezza: tre armille, quattro scramasax, una lancia, alcuni pendagli e “alcuni frammenti di pettorale da cavallo” e “fermagli di cinturoni e fibbie anche in ferro”. Come

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale si evince da questa descrizione non abbiamo la possibilità di determinare il numero preciso di oggetti. Secondo la descrizione del Chierici-Mantovani le armille erano “ornate ai capi di cordoni rilevati e fatti scabri da regolari solcature, ed una è cava di lamina sottilissima”. Una di queste era già stata identificata dalla Sturmann Ciccone (1977, p. 18, e p. 30, n. 48, tav. 5,2: inv. Cartocci 17362, sportello 51/99, p. 227): si tratta di un’armilla massiccia in bronzo fuso con le parti terminali claviformi, ridotta in due pezzi e decorata alle estremità (Fig. 17, n. 1). È un tipo abbastanza diffuso nel nord della penisola nel VII secolo (von Hessen 1968a, p. 15, tav. 24 e 25; Idem 1971b, p. 14, taf. 3; Modonesi-La Rocca 1989, p. 86 e Isonzo, p. 34, tomba 116, datata al pieno VII secolo). L’armilla “in lamina di bronzo sottilissima”, mai identificata, si può riconoscere tra il materiale esposto nella vetrina Chierici dato come proveniente da Castellarano (inv. Cartocci 17335, sportello 512/61) (Fig. 11, n. 4): essa appartiene al tipo rinvenuto nella tomba di via Cusna 1 e alla sepoltura 15 degli scavi 1991-92 (vd. infra Scheda 4 per la discussione del tipo). Gli scramasax non sono identificabili con precisione: la Sturmann Ciccone, ne pubblica tre di provenienza indeterminata (tav. 8, nn. 2-4) ed è probabile che in qualcuno di questi (o in tutti e tre) siano da identificare gli esemplari provenienti da Castellarano (l’inventario Cartocci riporta tre località: Castellarano, Ciano, Rolo). Lo stesso dicasi per la punta di lancia, che la Sturmann Ciccone (1977, n. 69, p. 32, tav. 10, 2) e Chiesi (1989, p. 139, tav. XII, 2), danno come certa da Castellarano, mentre nell’inventario Cartocci (17462 e non 17468, come in Sturmann, coll. 51 205), si riportano ancora tre località (Castellarano, Ciano, Rolo: ma le dimensioni, cm. 32 di lunghezza, non corrispondono con quelle riportate da Chierici-Mantovani 1873, p. 26, cm. 23, a meno che queste ultime non siano errate). Sicuramente identificabile è invece il “pettorale da cavallo”, nel quale vanno riconosciuti i resti di un umbone di scudo da parata in ferro, con borchie di bronzo (Sturmann Ciccone 1977, n. 82, p. 33, tav. 10, n. 7) (Fig. 18, n. 4). Un altro oggetto identificabile tra quelli provenienti da Castellarano 1872 (anche se attraverso l’indicazione dell’inventario) è la fibula maschile in bronzo dorato a bracci uguali (Sturmann Ciccone 1977, p. 19 e 31, n. 61, tav. 5.8 e tav. 23), decorata con un motivo a nastri di Stile II (Werner-Fuchs 1950, n. D41, p. 43, con bibl.), difficile da riconoscere nelle descrizioni di Chierici-Mantovani (Fig. 17, n. 2). Infine sono da ascrivere a questo gruppo una fibbia da cintura in bronzo e una controplacca, sempre in bronzo (Sturmann Ciccone 1977, p. 22, n. 106, p. 35, tav. 15.3 e n. 108, pp. 35-36, tav. 16.1), forse dello stesso oggetto (Fig. 19, nn. 2-3): si tratta di guarnizioni da cintura per la sospensione di armi, databili non prima degli inizi del VII secolo (vd. infra, discussione nella scheda 2). Altri oggetti, che potrebbero rientrare nelle generiche descrizioni del Chierici-Mantovani (1893, pp. 25-26, “fra i pendagli di bronzo sono altri di ferro vestiti di lamina di rame graffita a fiorami e indorata, e alcuni anche intarsiati di listelli d’argento e di piccoli granati” o “fermagli di cinturoni e fibbie anche in ferro”), sono conservati nel Museo di Reggio Emilia con indicazioni di provenienza incerta o duplice: si tratta del puntale in ferro da cintura ricoperto da una lamina di bronzo decorata (Sturmann Ciccone 1977, p. 21, tav. 17.5 e 24) (Fig. 19, n. 1) e le fibbie in ferro ad anello ovale (ibid. tav. 13.2-3). Scheda 2. Le tombe del 1958-59 Nel 1958, a circa 300 metri a monte dell’abitato, durante la costruzione del Dispensario Antitubercolare, vennero alla luce cinque sepolture. Secondo quanto riportato da Degani (1958, n. 6509, p. 412; Idem 1959, n. 6894, p. 428; Idem 1962, p. 72; Idem 1968-69, p. 10), le tombe sarebbero state costruite in ciottoli di fiume e “sfaldoni di arenaria”: solo una avrebbe avuto la copertura in mattoni disposti a doppio spiovente. I corredi, non distinti dal Degani, erano costituiti da due coltelli in ferro, di cui uno “rivestito di lamina in bronzo di forma rettangolare” (Degani 1962, p. 72) (Fig. 18, n. 8 e 10) e “40 grani di vetro colorato per collana” (Idem 1968-69, p. 10). Secondo la Sturmann Ciccone (1977, p. 16, tav. 5.4 e 7) i grani e tubetti per collana sarebbero quarantatré, ma ne riproduce solo trentanove (ibid. tav. 5.4 e 7) (Fig. 17, nn. 4-5).

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Come aveva già rilevato la Sturmann Ciccone (1977, p. 16), la collana (se di un solo esemplare si tratta) era composta prevalentemente da perline “tipo Grancia” (il tipo prende nome da una necropoli del Grossetano dove sono state individuate per la prima volta: von Hessen 1971a, pp. 60-61): si tratta di piccole sferette irregolari, talora doppie o multiple (fino ad arrivare a lunghi tubetti torniti in maniera irregolare), con superficie liscia e leggermente brillante, lavorate assai rozzamente, di colore variante dal giallo al beige fino al grigio. Secondo von Hessen (1971a, pp. 60-61), questo non sarebbe il loro colore originario, poiché alcune “tendono al bleu, altre al turchese”, facendo sospettare che “l’attuale colore non sia che una patina formatisi sotto terra in seguito al dilavamento del vetro” (ibid. p. 61). Perle “tipo Grancia” sono state trovate anche nella tomba di via Cusna, 1 (von Hessen 1980, p. 343.1, taf. 58) e nelle tombe 4 e 15 degli scavi 1990-91 (vd. infra). Sono anche presenti in altri contesti funerari di questo territorio, sia di provenienza indeterminata, sia da Rolo (Sturmann Ciccone 1977, p. 18, tav. 6.2., 5, 8, 11.12). Queste perle hanno una larga diffusione geografica (vd. Torcellan 1986, pp. 55-56; Benito Serra 1987, p. 126 con ricca bibl.; Berti 1992, p. 31, fig. 6) e sono in genere databili al pieno VII secolo (Isonzo, p. 33, tav. 1.1). Sempre tra le perle di collana dei ritrovamenti del 1958 sono poi da segnalarne alcune di forma cilindrica decorate con “vermicelli”, sempre di vetro (Sturmann Ciccone 1977, tav. 5.4, 7), che si ritrovano ancora nella sepoltura 4 degli scavi 1990­ 91 (vd. infra: vetro di colore marrone con filamento in giallo, Fig. 25, n. 1), in altre collane del territorio reggiano (ibid. tav. 6), e nella tomba 34 di Grancia (von Hessen 1971a, p. 61, tav. 45): essi corrispondono al tipo 27,4 della Koch (1977, p. 205), datati sia al VI che al VII secolo. Von Hessen li ritiene, però, tipi tardi, che comparirebbero anche a Nocera Umbra (tomba 160: von Hessen 1971a, p. 61). Un’associazione di perle “tipo Grancia” e perle di quest’ultimo tipo si riscontra anche nella sepoltura 116 di Romans d’Isonzo (Isonzo p. 33, tav. 1.1 e fig. 34), datata al pieno VII secolo. I coltelli si ritrovano sia in corredi di sepolture maschili che femminili (von Hessen 1971b, p. 38) e non sono databili con precisione. Pertanto non si può escludere che almeno un coltello sia stato ritrovato nella stessa tomba che conteneva la collana. Riassumendo si può ricavare che delle cinque sepolture scavate nel 1958 una era femminile e, almeno quest’ultima, databile al pieno VII secolo. Nello stesso anno, ancora Degani segnala la scoperta di un’altra tomba, simile alle precedenti ma priva di corredo, rinvenuta in un altro terreno, “di fronte all’edificio I.N.A.-Case, al di là della strada delle Radici” (Degani 1958, n. 6509, p. 412; Idem 1959, n. 6894, p. 428; Idem 1962, p. 72). Data invece all’anno seguente la scoperta di altre inumazioni, rinvenute ancora nell’area del Dispensario Antiturbecolare, durante “nuovi scavi per le fondazioni di un muro di recinzione” (Degani 1962, p. 72; Idem 1968-69, pp. 10-11; vd. anche Idem, 1959, n. 6894, p. 428). Il Degani non assisté al ritrovamento e quindi ignoriamo il numero esatto delle sepolture: alcuni materiali vennero recuperati da funzionari dell’Ufficio Tecnico della Provincia di Reggio Emilia e dai Carabinieri di Castellarano, quindi consegnati al Museo Civico Archeologico di Reggio. I materiali recuperati risultano essere: due scramasax, un coltello, una punta di lancia, tre punte di freccia, un puntale di cintura in ferro e un puntale di cintura in bronzo. I due scramasax in ferro, l’uno della lunghezza di cm. 62 (Sturmann Ciccone 1977, n. 29, p. 28, tav. 8.1) e l’altro di cm. 51 (ibid. n. 30, tav. 8.6) (Fig. 18, nn. 1-2), appartengono a tipi generalmente datati nella prima metà del VII secolo (De Marchi-Cini 1988, p. 75). Per il coltello (Sturmann Ciccone 1977, n. 35, p. 38, tav. 11.2) (Fig. 18, n. 9) vedi le considerazioni esposte sopra. La punta di lancia è del tipo a foglia di salice (Sturmann Ciccone 1977, n. 31, p. 28, tav. 10.1) (Fig. 18, n. 3), piuttosto allungata e stretta a sezione romboidale e gorbia a sezione poligonale pari circa ad un terzo della lunghezza complessiva (cm. 41): trova confronti con materiale proveniente dal territorio veronese (von Hessen 1968a, p. 31, n. 3, tav. 16.5, da Pacengo

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale e p. 32, n. 2, tav. 18.2, da Povegliano, altre di provenienza non precisata passim; Modonesi-La Rocca 1989, p. 78, n. 100, tav. XI. 4, p. 110, n. 194, tav. XXXIII. 3) e dalla tomba 5 di Trezzo d’Adda (Roffia 1986, n. 5, pp. 93-94, fig. 70), datata al secondo quarto del VII secolo. Una qualche analogia è da vedere con un esemplare rinvenuto sempre nel secolo scorso e che si attribuisce a Castellarano (vd. supra Scheda 1), ma di dimensioni più piccole. Le punte di freccia (Sturmann Ciccone 1977, nn. 32-34, p. 28, tav. 9, 1-3) (Fig. 18, nn. 5-7), di cui due abbastanza frammentarie, sono una del tipo a foglia di alloro (ibid. n. 32: cfr. e bibl. in Modonesi-La Rocca 1989, n. 61, pp. 73-74), due del tipo a foglia di salice (ibid. nn. 33-34: vd. ancora Modonesi-La Rocca 1989, n. 304, p. 136), a sezione romboidale e tutte con lunga cannula: non è possibile precisarne la cronologia nell’ambito del VII secolo (Roffia 1986, p. 74). I due puntali, uno in bronzo e l’altro in ferro (Fig. 19, nn. 4-5), appartengono a guarnizioni di cintura per la sospensione delle armi (per l’evoluzione del tipo in bronzo vd. von Hessen 1983, pp. 24-27), di cui peraltro si conoscono altri esemplari sempre da Castellarano (vd. supra). Si tratta di tipi che si sono sviluppati, specie nel nord della penisola italiana, intorno ai primi decenni del VII secolo, ma che dovettero perdurare a lungo nel corso del medesimo (ibid. p. 26). Il puntale in ferro trova confronti piuttosto precisi con reperti da Testona (von Hessen 1971b, p. 26, taf. 34, nn. 276-278). Gli oggetti rinvenuti, provenienti dalle sepolture scoperte nel 1959, sono tutti riferibili a corredi maschili ed appartenevano ad almeno due inumazioni. Secondo la Sturmann Ciccone (1977, pp. 16-17), al Museo di Reggio Emilia sarebbero conservati altri due oggetti rinvenuti a Castellarano in quegli stessi anni (e che il Degani, nei suoi sommari resoconti, non cita): si tratterebbe di “un piccolo frammento di corda che legava i grani di una collana” (p. 29, n. 40, non ill.) e una moneta in bronzo, forata, corrosa ed illeggibile (p. 29, n. 41, tav. 5,6) (Fig. 17, n. 2), che evidentemente era stata usata come pendente. Scheda 3. Le tombe del 1971 Delle sepolture rinvenute nel 1971 sappiamo pochissimo (Sturmann Ciccone 1977, p. 17): alcuni reperti (certamente facenti parti di corredi funerari) vennero recuperati in loc. Ca’ di Tullio e consegnati al Museo Archeologico di Reggio Emilia, dove tuttora si trovano. Si tratta di cinque perline “tipo Grancia” (Fig. 17, n. 8), un coltello (Fig. 18, n. 11), una fibbia da cintura in bronzo (Fig. 17, n. 7) ed un recipiente in vetro (Fig. 17, n. 6). Sulle perline “tipo Grancia” e sui coltelli vd. quanto detto nella Scheda 2. La fibbia da cintura in bronzo, con ardiglione in ferro, appartiene al tipo con placca fissa, c.d. “bizantino”, datato generalmente intorno al secondo quarto del VII secolo (per un confronto abbastanza stringente vd. von Hessen 1975, p. 53 e 56, nn. 7,9, tav. 14, da Pisa, con l’ardiglione in ferro, o un esemplare in argento da Chiusi: Paolucci 1985, p. 700, fig. 4.5). Il bicchiere di vetro appartiene alla categoria A.4 della classificazione della Stiaffini (Stiaffini 1985, p. 674, tav. 1.6; vd. anche Eadem 1987, p. 252, fig. 12): si tratta di una forma già presente nel V e buona parte del VI secolo, ma che si caratterizza, negli esemplari di VII, per la conformazione dell’orlo molto ingrossato (come il recipiente in esame). Non si può escludere che tutti gli oggetti appartenessero ad un’unica sepoltura, femminile, la cui datazione non è da porre prima del secondo quarto del VII secolo. Scheda 4. Le tombe del 1976-78 Nel 1976 venne casualmente rinvenuta una sepoltura durante la costruzione di edifici in via Cusna 1. La tomba venne in un primo momento rovistata da clandestini e in parte trafugata del suo contenuto, poi ricoperta. Poco tempo dopo membri dell’Associazione Archeologica Reggiana riuscirono a recuperare il materiale e, localizzata nuovamente la sepoltura, provvidero allo scavo, al prelievo del resto del corredo e alla sua documentazione (Patroncini 1977a, pp. 201-207). Si tratta di una tomba forse riferibile al tipo c: la cassa, composta da tre-quattro corsi di ciottoli di fiume, con due ciottoli diposti a mo’ di testata, era forse coperta da mattoni a doppio spiovente (essendo priva di copertura, lo si desume dalla presenza di una risega sulla cassa formata

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale dall’arretramento dell’ultimo corso di ciottoli). Orientata W-E, si trovava a circa m. 0,60 di profondità dal piano di campagna. La tomba conteneva, insieme ai resti parzialmente conservati del defunto, due armille in lamina di bronzo (Fig. 11, nn. 1-2; Figg. 20-21), tre anelli in bronzo (Fig. 22), un coltello in ferro con fodero di bronzo (Fig. 23) ed una collana costituita da 32 perline (Fig. 24), alcune delle quali del “tipo Grancia”, altre del già rilevato tipo 27,4 della Koch (1977, p. 205). Otto von Hessen ha già compiuto un’attenta esegesi della sepoltura (1980, pp. 343-344), attribuendola, soprattutto in ragione del tipo armille e degli anelli, ad una donna di stirpe avara e datata al VII secolo (in merito a tale attribuzione vd. le osservazioni di Bierbrauer-Nothdurfter 1988, nota 105: “Die verständliche Meinung O. v. Hessen, da die in Castellarano bestattete Dame vielleicht eine Awarin war, bedarf der Uberprufung”). Le armille in lamina di bronzo con appendici ingrossate e decorate con perline, praticamente identiche anche nelle dimensioni, appartengono al Tipo II della Cilinská (1975, p. 83, abb. 8,5). Quando von Hessen pubblicò il corredo di questa sepoltura nessun altro esemplare era noto in Italia: tuttavia un’armilla del tutto simile a queste è stata rintracciata dallo scrivente tra il materiale della collezione Chierici (vd. supra Scheda 1, Fig. 11, n. 4) e Bierbrauer-Nothdurfter hanno reso noti altri due esemplari provenienti dagli scavi di Sabbiona in Alto-Adige (1988, p. 293, nota 105). Se a questi ritrovamenti aggiungiamo l’armilla scoperta nella tomba 15, sempre di Castellarano (vd. infra Scheda 5), il numero complessivo degli esemplari conosciuti nel nostro paese ammonta ora a sei, di cui ben quattro da un’unica necropoli del Reggiano. Nel 1978, sempre a cura dell’Associazione Archeologica Reggiana, venne scavata un’altra sepoltura, questa volta nei pressi dell’attuale cimitero di Castellarano. La tomba appartiene al gruppo c, con la cassa in ciottoli di fiume e la copertura in mattoni disposti a doppio spiovente. Orientata W-E conteneva i resti di un defunto, parzialmente conservato, disposto supino, con una fusaiola in pasta vitrea di forma biconica (Casotti 1980, pp. 201-203). Scheda 5. Le tombe del 1990-91 Delegando ad altra sede l’edizione completa della necropoli, accompagnata anche dallo studio antropologico dei reperti osteologici, anticipiamo qui le schede degli oggetti rinvenuti nelle sepolture, con un succinto inquadramento critico. Settore 1. Tomba 4 1. Perlina in pasta vitrea di colore marrone con filamento a rilievo in giallo (Fig. 25, n. 1). Vd. supra (scheda 2) considerazioni in merito ad oggetti analoghi ritrovati nel 1958/59. 2. Perlina in pasta vitrea di colore grigio scuro, ottenuta mediante filamenti sovrapposti (Fig. 25, n. 2). 3-5. Frammenti di un’unica perlina in pasta vitrea di colore giallo, dello stesso tipo della precedente (Fig. 25, nn. 3-4). Si tratta di perline c.d. “tipo Grancia”: anche per queste vd. supra (scheda 2). Settore 2. Tomba 12 1. Pettine in osso di bue ricomposto e restaurato da vari frammenti. Del tipo a dentatura semplice, è provvisto di una impugnatura (che corrisponde a circa metà dell’oggetto conservato) di forma rettangolare, desinente in cinque (forse originariamente sei) piccole appendici riquadrate e ottenuta da un’unica lamella. L’altra parte, realizzata mediante l’impiego di quattro lamelle, ha la dentatura in parte perduta (si possono contare almeno ventitré denti). Le lamelle sono fissate tra loro da una piastra per parte applicata mediante chiodini (se ne conservano almeno sei) in ferro ribattuti. La decorazione interessa una faccia dell’impugnatura (semicerchi e “occhi di dado”) e le due piastre (“occhi di dado”) (Fig. 25, n. 5). Lungh.: cm. 14; largh.: cm. 3,2; sp.: cm. 0,9. Questo tipo di pettine non è molto frequente nella penisola italiana. Se ne conosce un esemplare, pressoché identico (anche se con diverso decoro), proveniente da una sepoltura di una

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale necropoli scavata di recente a Sacca di Goito, nel Mantovano (Attene Franchini 1990, pp. 135­ 136, fig. 152). Un altro pettine, leggermente più lungo (ma della stessa larghezza), è stato trovato in una tomba di bambino ad Aqui Terme (Crosetto 1987, p. 196, tav. LXIX, 1 e LXXIa). Infine si segnala un esemplare (frammentario: resta solo il manico) dalla necropoli della chiesa di S. Maria del Pernone a Varone/Riva del Garda (Cavada 1991, pp. 120-121, fig. 19.5). Settore 3. Tomba 15 1. Metà di armilla in lamina di bronzo, a sezione ovale, con appendici ingrossate e decorate da un’ulteriore laminetta applicata, incisa a costolature lisce e terminante in perlinatura. Presenza di un piccolo fermaglio, sempre in bronzo, che doveva chiuderne le estremità (Fig. 25, n. 6). Sez.: cm. 1,7x0,9 (estremità); 1,2x0,8 (media); 0,5x0,5 (punto minore). Per l’armilla (Tipo II Cilinská) vd. supra (scheda 4). 2. Pendente in bronzo di collana, a forma di mezzaluna, forato, decorato su un lato da “occhi di dado” (Fig. 25, n. 7). Largh.: cm. 3. Si tratta di un pendente ottenuto dalla lavorazione di un precedente oggetto, con tutta probabilità una fibula del tipo a braccia uguali. 3. Pendente in corno di cervo, di forma tronco conica a sezione circolare, con un foro passante nella parte superiore. Decorato da tre gruppi di solchi circolari, a loro volta tagliati da incisioni oblique (Fig. 25, n. 8). H.: cm. 3,6; largh. (base): cm. 1,5. L’esemplare trova confronti con due pendenti (leggermente più piccoli) dalla tomba 199 della necropoli di Sacca di Goito (Mn) (Menotti 1994, p. 58, tav. XVII, fig. 1) e con un pendente dalla necropoli di S. Maria del Pernone a Varone/Riva del Garda (Cavada 1991, pp. 120-121, Fig. 19.9). 4. Perlina in pasta vitrea verde, a filamenti (Fig. 25, n. 9). 5-6. Frammenti di perlina in pasta vitrea gialla, a filamenti (Fig. 25, nn. 10-11). Si tratta di perline del c.d. “tipo Grancia”, su cui vd. supra (scheda 4). Sauro Gelichi

Addenda, ringraziamenti e referenze

Nel tempo intercorso tra la presentazione del contributo in sede di Convegno e la sua edizione a stampa, sono usciti alcuni lavori in varia misura collegabili con gli argomenti trattati. Alcuni sono stati inseriti direttamente in bibliografia (specie se pertinenti ad edizioni di scavo), altri li ricordiamo qui di seguito. Il più importante è sicuramente il lavoro di P. Bonacini, Regno ed episcopato a Modena nei secoli VII e VIII. Il periodo longobardo, “Studi Medievali”, XXXII (1992), pp. 73-108, che, nonostante la data, è stato consultabile solo nella seconda metà del 1993: in questa sede l’A., tra l’altro, giunge indipendentemente a considerazioni espresse in questo lavoro, specie l’ipotesi che il territorio di Reggio fosse passato a far parte del Regno già sotto Agilulfo. Analoghe argomentazioni sono state poi sviluppate, sempre da Bonacini, in L’assetto territoriale di San Marino tra Langobardia e Romània. Dal Riminese al Montefeltro nei secoli VI-X, in Il territorio Sanmarinese tra età romana e primo medioevo. Ricerche di topografia e storia, San Marino 1994 pp. 49-156 e dallo scrivente in Pozzi deposito e tesaurizzazioni nell’antica Regio VIII-Aemilia, in Il Tesoro nel Pozzo. Pozzi-deposito e tesaurizzazioni nell’antica Emilia, Modena 1994, pp. 15-48. Ancora nel 1994 il Museo di Reggio Emilia ha esposto i materiali longobardi provenienti da quel territorio ed ha pubblicato un catalogo a cura di M. Catarsi dall’Aglio (Flavia Regio, I Longobardi a Reggio e nell’Emilia Occidentale, Reggio Emilia 1994), nel quale sono stati ripubblicati tutti gli oggetti con qualche modesta aggiunta rispetto al conosciuto. Si ringrazia la dott.ssa Patrizia Farello per l’identificazione dei pendenti in osso e del pettine, Agnese Mignani, per la realizzazione e l’aiuto nella composizione di quasi tutte le tavole al tratto, Ivan

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Chiesi per le matite dei disegni riprodotti alla Fig. 11, nn. 1-2, e 4 e la Direzione dei Musei Civici di Reggio Emilia, per le foto del corredo della tomba di via Cusna 1. Un sentito e particolare ringraziamento, infine, a Renata Curina e Sergio Sani, per la collaborazione durante lo scavo delle sepolture nel 1990-91.

Abbreviazioni

C.A. 1993= Carta Archeologica della Provincia di Reggio Emilia. Comune di Castellarano, Reggio Emilia 1993. Isonzo 1989= Longobardi a Romans d’Isonzo, Udine.

(1) L’attuale circoscrizione amministrativa regionale corrisponde, pressappoco, alla Regio VIII Aemilia della distrettuazione augustea (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 20), successivamente modificata (Tibiletti 1975, pp. 143-144). (2) Gelichi 1979, pp. 347-349. (3) Idem 1986, pp. 637-645. (4) Idem 1988, pp. 315-356. (5) Idem 1989a, pp. 405-423. (6) Idem 1989b, pp. 149-188. (7) La Rocca Hudson-Hudson 1985, pp. 225-246; Idem 1987, pp. 29-45, in part. pp. 29-38. (8) Brogiolo 1991, pp. 159-161. (9) Marini Calvani 1980, pp. 38-39. (10) Catarsi Dall’Aglio 1993. (11) Gelichi 1989b, Fig. 1. (12) Per ultimo Tirabassi 1979, pp. 138-141. (13) Chierici-Mantovani 1873, pp. 25-26. (14) Degani 1958, n. 6509, p. 412; Idem 1959, n. 6894, p. 428; Idem 1962, pp. 71-72; Idem 1968- 69, pp. 10-11. (15) Sempre in quegli anni Degani segnala la scoperta di un’altra tomba, priva di suppellettili, ma rinvenuta in “altro terreno, situato di fronte all’edificio I.N.A. Case, al di là della strada delle radici” (Degani 1958, n. 6509, p. 412; Idem 1959, n. 6894, p. 428; Idem 1962, p. 72): è probabile si tratti della sepoltura citata in C.A. 1993, n. 44, p. 38, ubicata presso la nuova caserma dei Carabinieri. (16) Per l’ubicazione di questo ritrovamento vd. C.A. 1993, n. 35, p. 35. (17) Sturmann Ciccone 1977, p. 17. (18) Patroncini 1977a, pp. 201-207; von Hessen 1980, pp. 343-344. (19) Casotti 1980, pp. 201-203. (20) Gelichi 1991-92, pp. 143-147, figg. 100-103. I resti di un’altra tomba sconvolta (parte del perimetrale della cassa) furono individuati e rilevati nel 1989 una trentina di metri a sud-est dei nuclei scavati nel 1990-91. In C.A. 1993, n. 39, p. 36 leggiamo che tra viale della Pace e Borgo Antico sarebbero state rinvenute “n. 18 tombe di inumati, alcune delle quali coperte “alla cappuccina”, poste in luce nel corso dei lavori di splateamento per nuove costruzioni”: scarsissima sarebbe stata la supppellettile. La scheda è ricavata da una segnalazione di un certo Sig. O. Buffagni. Poiché non è specificato l’anno in cui tali scoperte sarebbero avvenute, si è incerti se riferire la notizia agli scavi del 1990-91, oppure a ritrovamenti precedenti, di cui ho personalmente avuto notizia da abitanti del luogo. L’indicazione precisa del numero delle tombe (che si avvicina a quella delle tombe scavate nel 1990-91) e l’indicazione della scarsità dei reperti mobili rinvenuti, mi fa sospettare che ci si riferisca proprio a questi scavi. È comunque scoraggiante che iniziative, peraltro lodevoli, come quelle della Carta Archeologica, risultino in più di una circostanza

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale (questa non è la sola rilevata) approssimative e generiche. (21) Vd. von Hessen 1978, p. 264. (22) Data la scala della carta l’ubicazione non può essere che approssimativa: l’area sembra vicina a quella denominata Ghiarazzo (sulla quale vd. C.A. 1993, n. 27, p. 33) dove sono segnalati materiali fittili d’epoca romana. (23) L’attuale via delle Radici corre a sud del paese e lambisce anche l’area del Dispensario Antitubercolare: in C.A. 1993 n. 44, p. 38 forse questa tomba è ubicata nella zona della nuova caserma dei Carabinieri (dall’altra parte del paese, dunque); vd. comunque nota 15. (24) La tomba 15, del settore 3 dello scavo 1990-91 (Fig. 2, n. 9), ad esempio, documenta lo stesso tipo di armille della sepoltura di via Cusna 1 (Fig. 2, n. 4). (25) Vd. a questo proposito i dati emersi nel recente scavo della necropoli di S. Stefano “in Pertica” a Cividale, dove si sono riconosciuti almeno quattro gruppi di inumati, con spazi vuoti tra di loro (Lopreato 1990, p. 16). Per una nuova interpretazione dell’organizzazione dei cimiteri “storici” di Nocera Umbra e Castel Trosino in questo senso vd. Jorgensen 1991. (26) Bierbrauer-Nothdurfter 1988, p. 293, taf. 11. (27) Vd. Cilinská 1975, pp. 83-84, abb. 8.5. (28) Per quanto concerne l’armilla vd. quanto detto in precedenza e scheda 4. Per il pendente in osso cfr. un esemplare analogo da corredi provenienti da Varone/Riva del Garda, chiesa di S. Maria del Pernone (Cavada 1991, pp. 120-121, fig. 19.9) o genericamente da area merovingica (Guillaume 1988, fig. 33). L’altro pendente in bronzo sembra ricavato da una fibula (del tipo a braccia uguali?) decorata ad occhi di dado. (29) La tomba, come abbiamo visto, conteneva solo un pettine, che, seppure più frequentemente in uso nelle sepolture femminili, compare anche in quelle maschili (Torcellan 1986, p. 54). (30) Bierbrauer 1984, pp. 483-486. (31) Chierici-Mantovani 1873, p. 25: “sepolcri costruiti in ciottoli, sfaldature di arenaria e frammenti di laterizi di modulo romano”. (32) Degani 1962, p. 72 e 1968-69, p. 10: “cinque sepolture in ciottoli fluviali con copertura e fondo in sfaldature di arenaria, eccetto una con copertura alla cappuccina con mattoni di modulo romano”. (33) Per i ritrovamenti di epoca romana in prossimità di Castellarano vd. C.A. 1993, n. 28, p. 33 (Castellarano-Rocca), n. 24, pp. 31-32 (Castellarano 2 Piano Peep), n. 26, p. 33 (Madonna di Campiano) (Fig. 2, n. 14, 19-20): sugli ultimi due ritrovamenti, con una descrizione dei materiali rinvenuti, vd. anche Lasagna Patroncini 1977, pp. 161-163). (34) Per i recuperi del 1948 vd. Degani 1950, pp. 23-27; Werner 1952, pp. 190-193; von Hessen 1966, pp. 402-404. Per una illustrazione fotografica delle tombe vd. Degani 1962, Figg. 1-2. (35) Sulle tombe di Nonantola vd. Gelichi 1991, pp. 158-159, Fig. 4; quelle di via Lanfranco a Modena sono al momento inedite, mentre per le tombe scavate in piazza Grande, sempre a Modena, vd. Gelichi 1988, pp. 389-394, Figg. 418-419. Bisogna tuttavia evidenziare il fatto che non si è certi, nei casi succitati, che i laterizi impiegati nelle casse o a copertura delle sepolture siano di reimpiego e non di fabbricazione altomedievale, per quanto il modulo si avvicini a quello dei mattoni antichi. (36) Sulle tombe di Collecchio vd. Marini Calvani 1980, pp. 38-39; Catarsi Dall’Aglio 1992, tav. 3; Eadem 1993, pp. 60-68. (37) Vd. Malnati-Gelichi 1988, pp. 604-607. (38) Per i ritrovamenti di epoca romana vd. il recente C.A. 1993, passim. (39) In C.A. 1993, n. 28, p. 33, si trovano indicazioni circa l’esistenza di tracce di età romana nei pressi della Rocca. Vd., per le immediate vicinanze al centro abitato, ibid. n. 24, pp. 31-32 e n. 26, p. 33. (40) Vd. Patroncini 1977b, pp. 153-156: in merito vd. anche C.A. 1993, n. 25, pp. 32-33. (41) Per un confronto sul materiale usato in strutture analoghe di epoca romana vd. Giordani 1988, pp. 519-520. (42) Settia 1984, p. 299.

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale (43) Ibid. p. 255, Appendice. Nel 945 è anche ricordata, come pieve, la chiesa di S. Maria, su cui vd. il recente Masini 1992, p. 541, nota 3. (44) Ibid. p. 299. (45) Fasoli 1949-50. (46) Ibid. p. 150. (47) Ibid. p. 150. (48) Ibid. pp. 150-151. (49) Paolo diacono, Historia Langobardorum, IV, 45. Recentemente si è ipotizzato che la battaglia dello Scoltenna sarebbe avvenuta in un momento successivo al tradizionale 643, sciogliendo il nesso di causalità tra questa e la morte dell’esarca Isacio (Cosentino 1993, pp. 23-43). (50) Werner 1952; von Hessen 1966. (51) Sturmann Ciccone 1977, passim. (52) Gelichi 1989a, 4, pp. 414-415. (53) Questa tomba venne rinvenuta nel 1947 nell’angolo tra via Mazzini e via Cairoli (Degani 1950, pp. 23-24; Werner 1952, pp. 190-193): materiali forse pertinenti allo stesso contesto furono consegnati al Museo Civico Archeologico vent’anni più tardi (von Hessen 1966, pp. 402-404). Sempre nel 1947 si rinvennero altri due oggetti, forse pertinenti ad una seconda inumazione (Degani 1950, p. 25, Fig. 1, vicino a 2?). Stando alle descrizioni del Degani, sembra di capire che vi erano anche altre due tombe (ibid. p. 21, Fig. 1.3-4), la prima priva di corredo. (54) Gelichi 1989a, p. 415. (55) Sturmann Ciccone 1977, pp. 19-20; Gelichi 1989a, pp. 416-417. (56) Sturmann Ciccone 1977, p. 19, tav. 6, 10; Gelichi 1989a, p. 417. (57) Sturmann Ciccone 1977, pp. 18-20; Gelichi 1989a, p. 417. (58) Sturmann Ciccone 1977, p. 20, tav. 10, 8; Gelichi 1989a, p. 417. (59) Marini Calvani 1980, pp. 38-39. (60) Catarsi Dall’Aglio 1993, passim. (61) Gelichi 1989a e 1989b. (62) Catarsi Dall’Aglio 1992, tav. 3; Eadem 1993, Fig. a p. 61. (63) Brasili Gualandi-Calanchi 1989, pp. 195-208. (64) Tra i reperti che potrebbero essere ancora datati al VI secolo sono tuttavia da segnalare alcuni recipienti in ceramica longobarda provenienti da Piacenza (Carretta 1980, pp. 53-63; Marini Calvani 1982, p. 279, Fig. 15) e dal territorio reggiano (von Hessen 1968b, p. 16, n. 91, tav. 26). (65) La tomba, conservata nel Museo Civico di Reggio Emilia, è stata recentemente ripubblicata in Gelichi 1988, p. 564. (66) Malnati 1988, p. 337, Fig. 269. (67) Gelichi 1988, pp. 561-564. (68) Ibid. pp. 568-569. (69) Controversa rimane la datazione della sepoltura scoperta nel 1934 in via Valdrighi e rimasta a lungo inedita (vd. ibid. pp. 565-568), per la quale resta al momento preferibile una cronologia tra la fine del VI e gli inizi del VII. (70) Wickham 1982, pp. 97-98. (71) Per Piacenza e Parma vd. Catarsi Dall’Aglio 1993, pp. 49-59 e 69-71; per Reggio Emilia vd. supra par. 2.5. (72) Sui ritrovamenti di vd. Bronzoni 1966, pp. 14-16; Idem 1976, pp. 31-33; Sturmann Ciccone 1977, pp. 19-20; Gelichi 1989a, pp. 416-417; Catarsi Dall’Aglio 1993, pp. 73-74. (73) Settia 1984, p. 103. (74) Gelichi 1989a, pp. 184-185. (75) Si veda, ad esempio e per confronto, quanto riscontrabile in Liguria, conquistata, come

© 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale sappiamo, nelle campagne di Rotari del 642, nella quale manca documentazione di sepolture con corredi di tipo longobardo.

Fig. 2 – Castellarano e il territorio circostante: ritrovamenti di epoca romana ed altomedievale. 1, 3. Ipotetica ubicazione delle tombe scoperte nel XIX secolo e segnalate in Chierici-Mantovani 1873. 2. Area dell’ex Dispensario Antitubercolare. Tombe scoperte negli anni 1958-59. 4. Via Cusna, 1. Tomba scavata nel 1976-77. 5. Cimitero. Tomba scavata nel 1978. 6. Viale della Pace. Tombe rinvenute in occasione dell’apertura della strada (notizie orali). 7-9. Viale della pace. Tombe scavate nel 1989 e 1990-91. 10. Via Dante Alighieri. Resti di strutture romane scavate nel 1976. 11. Viale della Pace. Resti di strutture romane scavate nel 1990-91. 12. Sepoltura scavata nel 1958 (secondo C.A. 1993, n. 44; corrisponde a quella citata da Degani, come via Radici?). 13. Loc. Ghiarazzo. Manufatti edilizie e laterizi romani (secondo C.A. 1993, n. 27). 14. Centro storico. Tracce di epoca romana (secondo C.A. 1993, n. 28. 15. Centro storico. Ubicazione della pieve di S. Maria Assunta. 16. Centro storico. Ubicazione della chiesa di S. Prospero. 17. Resti di tombe “barbariche” (secondo C.A. 1993, n. 37). 18. Ca’ di Tullio. Corredi di tombe recuperate nel 1971 (secondo C. A. 1993, n. 35). 19. 2 Piano Organizzazione Peep. Materiali romani (secondo C.A. 1993, n. 24). 20. Madonna di Campiano. Materiali romani (secondo C.A. 1993, n. 26). Fig. 3 – Ubicazione dei ritrovamenti di epoca longobarda secondo Chierici. Fig. 8 – Viale della Pace 1990-91. Pianta del settore 3 (tombe 15-22, fondazioni di strutture murarie (1) e doli (2-3)). Fig. 10 – Viale della Pace 1990-91. Settore 3, tomba 19. Fig. 11 – Castellarano, armille in lamina di bronzo. 1-2, dalla tomba di via Cusna. 3, dalla tomba 15 di viale della Pace. 4, dal materiale recuperato dal Chierici nell’‘800 e conservato nel Museo di Reggio Emilia. Fig. 12 – Viale della Pace 1990-91. Armilla in lamina di bronzo e pendente in bronzo dalla tomba 15. Fig. 13 – Viale della Pace 1990-91. Pendente in osso dalla tomba 15. Fig. 14 – Viale della Pace 1990-91. Pettine in osso dalla tomba 12. Figg. 15-16 – Viale della Pace 1990-91. Settore 3 tombe 16 e 18. Fig. 17 – 1, 3. Ritrovamenti 1872. 2, 4-5. Ritrovamenti 1958. 6-8. Ritrovamenti 1971. Fig. 19 – 1-3. Ritrovamenti 1872. 4-5. Ritrovamenti 1959. Fig. 20 – Tomba di via Cusna, 1. Armilla. Fig. 21 – Tomba di via Cusna, 1. Armilla. Fig. 22 – Tomba di via Cusna, 1. Anelli. Fig. 23 – Tomba di via Cusna, 1. Fodero di coltello. Fig. 24 – Tomba di via Cusna, 1. Collana di peline in pasta vitrea.

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