NOTE E DISCUSSIONI

LA RESISTENZA: ORGANIZZAZIONE O SPONTANEITÀ’? (*)

Lo spunto per il tema mi è dato dalla recensione apparsa sul n. 51 di questa rivista al libro mio e di Moscatelli: « Il Monte Rosa è sceso a Mi- lano ». Non abbiamo risposto, com’è nelle abitudini, a nessuna recensione, né alle molte elogiative, né a quelle critiche. Ogni lettore è libero di giu- dicare e spesso la critica apporta allo studioso maggior contributo che non la lode. Siamo perciò grati a R. Luraghi ed agli altri per le generose parole di riconoscimento della nostra fatica ed anche per i rilievi critici ai difetti e alle manchevolezze del nostro lavoro. Ma credo che nessun « attivista » della Resistenza e nessuno dei partiti che la organizzarono e diressero possa accettare l’impostazione e l’interpretazione che R. Luraghi dà alla Resistenza stessa. Chiediamo perciò alla rivista che più contribuisce agli Studi del Movimento di Liberazione la possibilità di obbiettare alla tesi Luraghi con fatti, dati e documenti.

R. Luraghi sostiene che anche nel Biellese e nella Valsesia, come nelle altre zone del Piemonte e d’Italia « ... la Resistenza armata sorse eminente- mente dai basso, per iniziativa di uomini oscuri i quali o entravano allora nella milizia antifascista, o avevano in essa ricoperto negli anni precedenti funzioni assai modeste ». « ... il resoconto ci conferma come il Secchia arrivato lassù da Roma, trovò il movimento già in essere e si limitò essenzialmente ad apportare ad esso il conforto del parere favorevole dei comunisti più autorevoli ». « ... intanto in Valsesia i volontari (prevalentemente ex militari) affluii vano spontaneamente, senza che alcuna organizzazione avesse dato loro ah cuna direttiva e si univano spontaneamente attorno a Moscatelli che si era posto con energia e dinamismo all’opera senza che alcuno gli avesse confe­ rito alcun specifico mandato ». « ... il movimento sorgeva e andava avanti impetuoso, esso si sceglieva e si forgiava i suoi quadri tra gli uomini più combattivi e risoluti, al di fuori di qualsiasi apparato ». « ... I primi nuclei furono costituiti essenzialmente da militari sbandati e da qualche elemento ostile al fascismo. Mancavano del tutto gli uomini

(*) Riceviamo dal Senatore Pietro Secchia la presente Nota che si riferisce a quanto il .prof. Luraghi ebbe a scrivere nel n. 51 di questa rassegna intorno al libro di Secchia e Moscatelli « 11 Monte Rosa è sceso a Milano ». La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 59 all’altezza di inquadrare e comandare con cognizione di causa le prime ” bande ” al combattimento ». « Non sorse un nuovo esercito in base a un piano prestabilito, ma sport' taneamente per iniziativa rivoluzionaria del popolo, non vi fu una ricerca preordinata di nuovi quadri militari. Tuttavia colpisce nel volume del Secchia e del Moscatelli il vedere come qualmente nelle future unità gari­ baldine valsesiane, biellesi e ossolane e non solo nelle ” autonome ” la prima impalcatura fosse data essenzialmente da una falange di ufficiali dell’esercito accorsi spontaneamente alla lotta partigiana ». « ... si poteva evitare di citare Clausewitz e Mao Tze Dun di cui i par­ tigiani ignoravano persino l’esistenza ».

Da queste ed altre citazioni che tralascio, balza chiaro il proposito, evidente anche in altri scritti del Luraghi, di presentare la Resistenza come un fenomeno spontaneo, di contrapporre il popolo ai partiti, la massa agli « apparati », di svalutare o sminuire l’opera e la funzione assolta dai partiti antifascisti nell’organizzare e dirigere la Resistenza. Sono un attivo combattente della classe operaia (da 40 anni partecipo alle sue lotte) e non uno storico, ma chi come R. Luraghi pretende di esserlo, sa certamente che se si vuole studiare la Resistenza (come d’altronde qualsiasi altro grande movimento) occorre esaminarla in tutti i suoi aspetti fondamentali : politici, sociali, militari, culturali e morali. Non si può af­ frontarne alcuni e dimenticarne altri, né tanto meno separare il popolo dai partiti antifascisti quasi che questi non ne rappresentassero la parte più cosciente ed avanzata. Occorre studiare gli atteggiamenti e gli sviluppi di questi partiti che non furono certo uniformi né ideologicamente né politi­ camente. Diverso fu il contributo di idee, di sangue e di azione apportato dagli uni e dagli altri, e se certe distinzioni non hanno importanza sul piano delle celebrazioni e della cronaca, la devono avere per lo storico. La caratte­ ristica della Resistenza italiana non è data soltanto dalla somma dei diversi elementi sociali che vi parteciparono, ma soprattutto dalle forze che la mos­ sero, che la diressero dandole impulso e slancio, che superando attriti e con­ trasti la portarono avanti. Come in ogni grande movimento, anche nella Resistenza vi furono forze che erano alla testa, che assolsero alla funzione dirigente dando il più grande contributo, altre che parteciparono, più o meno convinte, più o meno trascinate e soltanto in un secondo tempo (1),

(1) « questa assoluta preponderanza dei comunisti e azionisti, solo saltuariamente bilanciata dall’intervento degli altri membri, corrispondeva del resto, all’effettiva si­ tuazione del movimento in periferia. « ... l’opera del partito democristiano, largamente fiancheggiata dal clero si era 6o Pietro Secchia e vi furono infine quelle che fecero anche da remora. Lo studioso non può prescindere da tutto questo, deve prendere in considerazione tutte le forze e le organizzazioni allora in lotta e in contrasto sul piano internazionale e anche, per non dire sopratutto, quelle in contrasto sul piano interno, ba­ dando di non trascurare tra queste proprio le forze dirigenti perchè di fatto aventi funzioni decisive nell’uno o nell’altro campo. Fare la storia della Guerra di .Liberazione nazionale, prescindendo dalle istanze politiche e sociali che hanno mosso le masse popolari significa fare la storia non dei fatti, ma delle proprie concezioni, delle proprie idee, anzi dei propri pregiudizi. Così pure è necessario determinare il periodo storico in cui ha avuto origine la Resistenza, il che significa partire dal fascismo, dal come è nato, come si è sviluppato, come ha potuto vincere nel nostro Paese, quali forze vi si opposero subito, lo fronteggiarono a combatterlo anche quando il fascismo aveva vinto e sembrava imbattibile. In quanto lotta antifascista, la Resistenza italiana incomincia molto prima che negli altri paesi d’Europa, molto prima della vera e propria Guerra di Liberazione. La Resistenza cominciò quando gli operai, i lavo­ ratori, sin dal lontano 1922 dissero « no » al fascismo, quando difendevano le Camere del Lavoro, i Circoli, le Cooperative, le Case del Popolo dal­ l’assalto dello squadrismo, quando nelle fabbriche e nei casolari, di nascosto si diffondevano i foglietti, i giornalini scritti, stampati alla macchia, incitanti a resistere, a non piegare, a lottare contro il fascismo. Non si può comprendere l’ultima fase della Resistenza, quella dell’in­ surrezione nazionale se si ignorano le fasi precedenti, l’opera di quelli che caddero prima, da Gramsci ai fratelli Rosselli, da Gobetti a Matteotti, a Di Vagno, a Don Minzoni, da Pietro Ferrerò a Gastone Sozzi, a Umberto Ceva, a De Bosis, a Schirru e tanti altri (2).

« Lo storico che fra cento anni studierà a distanza le vicende di questo periodo narrerà la Guerra di Liberazione come una guerra che durò venti- concretata in maniera più conforme agli ideali cristiani, dare asilo ai perseguitati, sovvenire ai miseri, solo in un secondo tempo si rese conto che la sua fortuna futura non poteva non dipendere dal contributo attivo alla lotta >>. (cfr. R. Cadorna, La Ri­ scossa, Rizzoli Editore, Milano 1948). (2) Non è retorica parlare di tanti altri. Coloro che caddero assassinati dal fasci­ smo dal ig2i al 1925 sono centinaia e centinaia e molti sono i compagni che mori­ rono nelle galere fasciste e nelle isole dal 1928 al 1943. Una documentazione che li ricordi tutti non è ancora stata scritta. Soltanto Bologna ha avuto numerosi morti in carcere, tra gli altri Eligio Roveri, Mario Mazzoni, Enea Fantini, Lea Giaccaglia, Marino Serenari, Bruno Roncarati, Giuseppe Reggiani, Giuseppe Piancasteili, Renato Nanni, Mario Bersani, Luigi Martelli. Le sentenze del Tribunale Speciale, il sacrificio dei migliori, le morti in prigionia colpivano numerose famiglie in molte province d’Italia. Tutto questo lasciava delle tracce. Eran bagliori di luce nella notte del fascismo. La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 6 1 cinque anni, dal 1920 al 1945. E ricorderà che la sfida lanciata dagli squa- dristi del 1920 fu raccolta e definitivamente stroncata dai partigiani del 1945 » (3).

Se lo studio della Resistenza non lo si affronta con questa ampiezza, con serietà e senza preconcetti, si corre il rischio di creare la leggenda e non la storia della Guerra di Liberazione, di attaccare al muro delie oleografie che nulla hanno a che fare con la realtà, di deformare la Resistenza italiana facendone qualche cosa di inesplicabile, di « miracoloso », impossibile da ricollegare né al passato, né al presente della nostra vita nazionale. Questa tendenza a « idealizzare », a trasformare la Resistenza in un mito, in una leggenda, in un fenomeno religioso, già è in corso. C’è chi lo fa di proposito perchè interessato a snaturarne il carattere; ma senza dubbio vi è anche la falsificazione o la deformazione storica fatta in buona fede, frutto di limitata conoscenza, di pregiudizi, della influenza di un’epoca, della posizione ideologica dello storico, dei suoi schemi mentali. Oggi è già largamente in circolazione la leggenda che la Resistenza sia stata un grande fenomeno spontaneo e che il movimento partigiano non fu organizzato da nessuno. Sembrerebbe che tutti siano stati per la Resi­ stenza. La grande maggioranza degli Italiani, l’8 settembre, quasi per mira­ colo, avrebbe di colpo aperto gli occhi, avrebbe sentito in fondo all’animo una voce, qualcuno la chiama la voce della patria, altri la voce della co­ scienza, altri la voce di Dio. Si tratta di una teoria forse allettante e piace­ vole, ma che non ha nulla a che fare con la reatà, con i fatti, con la storia. Le cose non si svilupparono così semplicemente e facilmente. Non abbiamo avuto il fenomeno che qualcuno oggi ama idealizzare di un paese che al momento dell’invasione tedesca insorge e spezzando ogni barriera frapposta da vent’anni di dittatura prende le armi contro lo straniero e i traditori. Non vi fu affatto la forsa spontanea, la gara ad arruolarsi nelle formazioni partigiane, chè le difficoltà da vincere non eran poche. Il terrorismo tedesco e fascista faceva sentire il suo peso e, seppure lo si sentì in misura sempre minore man mano che i rapporti di forza anda­ vano mutando, esso esercitò la sua influenza durante tutto il periodo della guerra partigiana. Se pochi erano coloro che dopo il 25 luglio credevano nel fascismo o prestavano fede ai tedeschi, molti erano ancora ad averne paura. Il movimento partigiano non sorse spontaneamente né per incanto. Spontanea fu in un certo senso la disgregazione dell’esercito, ed anche

(3) C fr. Piero Calamandrei, Uomini e città della Resistenza, Laterza, Bari, 1955, p. 9. 62 Pietro Secchia questa soltanto in un certo senso, perchè quella disgregazione qualcuno l’aveva voluta e preordinata. Comunque all’8 settembre, nel momento in cui il Paese veniva occupato, l’esercito venne dissolto, si liquefece. Si forma- rono sì dei gruppi di soldati e ufficiali « sbandati » che si davano alla mac- chia, ma la preoccupazione dei più era inizialmente quella di rifugiarsi in montagna per non lasciarsi prendere dai tedeschi, non per combattere (4). La formazione di gruppi o di « bande » che si proponevano di cercare un rifugio, la salvezza ed aspettare che passasse la tempesta, non era ancora Resistenza, era attendismo e non altro. Il primo duro ostacolo che la Resi' stenza, all’inizio, incontrò e dovette superare fu precisamente l’attendismo nelle sue molteplici forme, ed occorsero dei mesi per organizzare il movi' mento partigiano vero e proprio (5). E’ a poco a poco superando resistenze e difficoltà che la lotta si svi­ lupperà, si farà più audace, che i piccoli nuclei partigiani diventeranno di­ staccamenti, poi brigate e divisioni. Non dimentichiamo che, pur essendo stata il più grande movimento insurrezionale del popolo nostro, la Resi­ stenza portò alla lotta attiva, sui monti, nelle fabbriche e nei villaggi sol­ tanto una piccola minoranza di combattenti, rispetto a tutta la popolazione. E’ vero che quella minoranza di combattenti aveva la simpatia della mag­ gioranza del popolo e l’aiuto di numerosi cittadini appartenenti a ceti sociali diversi : operai, contadini, professionisti, preti. Ma l’aiuto, seppure in certi momenti largo, generoso, è cosa ben diversa dalla partecipazione attiva alla lotta. In certi momenti, e in diverse località, l’aiuto diminuì per il terrore che i tedeschi vi avevano portato (6). All’inizio, non era neppure facile trovare molti compagni, specialmente nei centri industriali, disposti ad abbandonare la famiglia e ad andare in montagna. E ’ sufficiente consultare i documenti e le direttive di allora (7), per vedere con quanta insistenza impegnavamo tutte le nostre organizza­

ci « Il 12 settembre l'Italia era disarmata. Chi poteva aveva gettato via l’uni­ forme e si era procurato una giacca civile. Tra F8 e l’ n settembre la maggior parte dei soldati e degli ufficiali aveva avuto una idea sola: tornarsene a casa ». (Cfr. M. Salvadori, Storia della Resistenza italiana, Neri Pozza, Venezia, 1955, p. 67). (5) A ll’inizio del 1944 potevamo contare su 9000 regolari nelle formazioni di montagna. (Cfr. F. Parri, L ’Italia Partigiana, in « Mercurio », dicembre 1945). (6) « La lotta è dura e difficile. Svanita l’illusione di uno sbarco alleato in Liguria, di una rapida soluzione della guerra, ci si trova di fronte ad una realtà paurosa: co­ minciano le puntate dei tedeschi nelle valli con mezzi corazzati, e poi i rastrellamenti condotti con criteri sempre più scientifici. La generosità della popolazione montana è messa a dura prova. E in città la cospirazione si svolge da un locale all’altro cercando ospitalità e rifugio, in portinerie, uffici, cliniche, nelle fabbriche, nei sot­ terranei, tra le rovine delle case bombardate ». (Cfr. PIERO PIERI, in « Rivista della città di Torino », 1955). (7) Mobilitazione generale per la guerra di liberazione. - Tutto per il fronte, agire subito. (Cfr. « Nostra Lotta », ottobre-novembre 1943). La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 63 zioni a fare di più, a mandare un maggior numero di volontari. Noi comu­ nisti demmo la direttiva (che significava un ordine) che ogni nostra orga­ nizzazione dovesse mandare il 15% dei suoi iscritti e il 10% dei suoi quadri nelle formazioni partigiane. La cifra può oggi sembrare non elevata, ma non dappertutto era facile coprirla. Col tempo organizzammo altre leve. Nella misura in cui ci si avvicinava al crollo tedesco, le difficoltà diminuirono, il numero dei partigiani si accrebbe. « La chiamata alle armi che i fascisti vollero tentare con gran clamore di propaganda e di minacce, ci portò altri soldati » (8). Tuttavia, sino alla vigilia dell’insurrezione i partigiani e i com­ battenti furono una audace minoranza. La grande maggioranza dei lavo­ ratori, pur osteggiando tedeschi e fascisti, era rimasta nelle fabbriche, nelle città. Una parte era disposta a scioperare per rivendicazioni economiche, un’altra parte si muoveva per rivendicazioni apertamente politiche, e vi era anche la parte che non si voleva compromettere. Altri raccoglievano denaro, indumenti, aiuti per i partigiani, altri mettevano a disposizione la casa. 1 più audaci facevan parte dei gruppi di combattimento (GAP), ma in grandi centri industriali come Torino, Milano, Genova, i gappisti non superarono mai i 40-50 in ognuna di queste città. E ’ vero che questi purtroppo cade­ vano rapidamente e venivano sostituiti con altri volontari, per cui assai più elevato è il numero complessivo di coloro che combatterono nelle for­ mazioni gappiste. Tuttavia, la ricerca di questi eroici volontari fu sempre difficile; più facile era trovare i volontari per andare in montagna. C’è chi ha mosso l’obbiezione : se la Resistenza è stata organizzata dai partiti antifascisti, perchè allora questi partiti non hanno organizzato prima d’allora la lotta armata, l’insurrezione contro il regime fascista? Argomento non valido. Le rivoluzioni e le insurrezioni non si fanno a piacimento ed anche le Guerre di Liberazione nazionale non si possono condurre in ogni condizione. Negare la spontaneità di un movimento non significa negare la necessità che esistano determinate condizioni perchè il movimento sia pos­ sibile. Mettere in luce l’importanza che hanno avuto gli ideali, l’organizza­ zione, i partiti, non significa negare la funzione creatrice, la grande capacità di iniziativa delle masse popolari. Sono gli uomini, sono le masse che fanno la storia, e la fanno nelle fabbriche, nelle città, nei villaggi, in ogni luogo di lavoro e di lotta, la fanno anche sui campi di battaglia. Ma senza i partiti di avanguardia, senza le or­ ganizzazioni dirigenti, senza la parte più cosciente, la spinta e l’energia delle masse andrebbe spesso dispersa o non avrebbe modo di esprimersi in un movimento organico. L ’azione, l’influenza delle masse nello svolgersi

(S) Cfr. F. Parri, « L ’Italia Partigiana », Op. cit., p. io . 64 Pietro Secchia degli avvenimenti, nel successo o nell’insuccesso dell’uno o dell’altro campo, dipende dal loro grado di coscienza, di unità, di organizzazione. Nell’orga- nizzare queste masse popolari, nel dare ad esse delle idee chiare, nel ren­ derle coscienti dei loro interessi fondamentali e dei loro compiti, nell’unirle e nel dirigerle nella lotta, i partiti assolvono ad una grande funzione. Non v’è dubbio che dopo il 25 luglio e con l’8 settembre, si crearono in Italia condizioni, prima inesistenti, che resero possibile chiamare con successo il popolo alla lotta armata. In altri momenti, una piccola minoranza di audaci, meglio, di temerari, che avesse voluto prendere l’iniziativa della lotta armata contro il fascismo, non avrebbe trovato seguaci, aiuti, appoggi, tutto sarebbe rapidamente finito in una tragica avventura. Dal 1943 al 1945 fu assai più facile trovare aiuti, ospitalità, appoggi in ogni ambiente nelle città e nelle campagne, che non negli anni precedenti della nostra attività clandestina. Ma questo non significa affatto che la Resistenza all’8 settembre sia stata un fenomeno spontaneo. E ’ sufficiente fare un confronto col 25 luglio. Benché il popolo, all’annuncio della caduta del fascismo, scendesse esultante sulle strade, non vi fu alcun moto insurrezionale, non esplosioni di lotte delle masse popolari; cortei, manifestazioni di giubilo sì, ma non più di tanto. Badoglio riuscì a stabilire ed a mantenere lo stato d’assedio, a proibire manifestazioni e comizi, la pubblicazione di giornali quotidiani di partito, a tenere nelle carceri e al confino i comunisti e gli anarchici sino alla metà di agosto, in alcune carceri addirittura sino all’8 settembre. Più d’uno dei nostri compagni cadde nelle mani dei tedeschi. Al 25 luglio, non vi fu una più forte iniziativa popolare precisamente perchè ancora debole era l’organizzazione delle masse e dei partiti antifascisti. Dal 25 luglio all’8 settembre avvenne qualcosa di nuovo. Tale periodo segnò il ritorno ad una sia pur limitata e « vigilata » libertà. 1 partiti anti­ fascisti si diedero ad un intenso ed attivo lavoro di riorganizzazione, non potevano pubblicare legalmente i loro giornali quotidiani, ma quelli clande­ stini circolavano senza troppi ostacoli; a Milano e a Roma si potevano tro­ vare in molte edicole. Tornarono dalle carceri, dalle isole di deportazione i prigionieri del fascismo, tra i quali alcune migliaia di comunisti che costi­ tuivano i quadri, l’ossatura del partito e del movimento democratico di avanguardia. Anche quei partiti antifascisti che per molti anni avevano svolto soltanto un’azione assai limitata, riprendevano in pieno la loro attività (9).

(9) Le sedi dei partiti antifascisti durante i 45 giorni erano state piene di giovani molti dei quali per la prima volta uscivano da ambienti in cui il fascismo era stato accettato al cento per cento. (Cfr. M. Salvadori, Storia della Resistenza Italiana, op. cit., p. 72). La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 65

Ma quarantacinque giorni sono pochi, e l’8 settembre trovò le masse popolari e i loro partiti (anche se l’iniziativa fu già assai più ampia) non ancora sufficientemente preparate a reagire immediatamente e con la mas- sima energia agli avvenimenti, se non dappertutto, almeno nei centri prin- cipali. L ’armistizio accentuò la situazione di disorientamento e di disgrega- zione delle forze conservatrici e reazionarie creatasi con la caduta del fasci­ smo, rafforzò il malcontento dei lavoratori, ma non si ebbe immediata­ mente una larga resistenza delle masse popolari all’invasione dei tedeschi. Se si eccettua la difesa di Roma, ed anche questa non spontanea, ad opera di reparti dell’esercito e di gruppi di operai e di lavoratori, le altre città e località d’Italia, Milano compresa (anche se qui vi fu un tentativo di affrontare la lotta con la « Guardia Nazionale ») poterono essere occupate dai tedeschi nei giorni deH’8-io settembre, senza incontrare resistenze di rilievo. Neppure è vero che quel tanto di reazione immediata che vi fu, l’ini­ ziativa di andare verso i monti, di iniziare la lotta partigiana, sia stata frutto di spontaneità e che i partiti antifascisti non c’entrassero, non c’entrassero gli uomini « degli apparati ». A questo punto, ritengo necessario non limitarmi a delie affermazioni, ma ricordare i fatti e le testimonianze dei loro protagonisti : è ancora troppo presto per aver dimenticato. Senza risalire al 1921-22, alle battaglie cruente contro lo squadrismo, alla successiva lotta contro il fascismo, prima e dopo le leggi eccezionali, alle migliaia di condannati dal Tribunale Speciale, non si può tacere della guerra in difesa della Repubblica spagnola, che vide accorrere a combattere contro il fascismo oltre 3000 volontari italiani, di cui 600 caddero sul campo. Tra questi, vi furono assieme a modesti combattenti, valorosi dirigenti antifa­ scisti, « uomini degli apparati » come il socialista Fernando De Rosa, i co­ munisti Guido Picelli e Nino Nannetti, il repubblicano Mario Angeloni. Senza parlare dei dirigenti antifascisti che parteciparono alla lotta della Repubblica spagnola come Paimiro Togliatti, Pietro Nenni, , Giuseppe Di Vittorio, Randolfo Pacciardi, e tanti altri. Senza la lotta antifascista, e la guerra di Spagna, la Resistenza del 1943-45 non avrebbe avuto così grande ampiezza e sviluppo. Nel 1937 cadevano assassinati, il 27 aprile, Antonio Gramsci, il capo del Partito Comunista ucciso lentamente dal fascismo, e il 9 giugno Carlo Rosselli, il capo di « Giustizia e Libertà » colpito in terra di Francia assieme al fratello Nello, dai sicari di Mussolini. Ecco gli uomini degli « apparati ». 66 Pietro Secchia

« Oggi in Spagna, domani in Italia » era stata la parola d’ordine di Carlo Rosselli, già allora auspicante la lotta armata in Italia. E’ del 17 agosto 1934 il patto di unità d’azione tra comunisti e socia­ listi che sottolineava la necessità di intensificare la lotta contro il fascismo e la guerra. E’ dell’ottobre 1941 la costituzione del Comitato d’azione per l’Unione del popolo (io) che lanciava un manifesto agli operai, ai lavora­ tori, ai soldati, ai marinai, agli intellettuali, ai giovani italiani, invitandoli a : « unirsi ed a lottare per scuotere la cappa di piombo del militarismo fa­ scista » (11). Nel settembre 1942, il Comitato d’azione per l’unione del popolo ita­ liano, lanciava un altro appello al popolo che terminava con queste parole: « E’ suonata per tutti l’ora dell’azione, l’ora del combattimento! Uniti e organizzati possiamo vincere, dobbiamo vincere e vinceremo. Tutti in piedi! Tutti i cuori, tutte le armi, tutte le volontà al servizio dell’Italia, della li­ bertà e della pace ». Questi accordi e questi appelli non rimanevano ignorati in Italia, erano diffusi a migliaia e migliaia di copie, oltreché dalla voce di radio Mosca. Vi è ad esempio una lettera indirizzata al Partito Comunista, in data 7 settem­ bre 1942, firmata dai socialisti Buozzi, Acciarini, Carmagnola, Chiaramello e Ogliaro con la quale si dichiarano d’accordo con l’intesa raggiunta e l’appello lanciato (12). Nel corso del 1942 non soltanto si sviluppa e si rafforza in Italia l’or­ ganizzazione del P.C.I., ma sorgono ed intensificano la loro attività altri partiti antifascisti. Il Partito Socialista si ricostituisce all’interno del Paese in due tronconi principali: il P.S.I. e il M.U.P. (13). Si pubblicano più frequentemente le edizioni clandestine dell’« Unità » e dell’« Avanti ». Sempre nel settembre del 1942, si organizza a Milano il « Comitato italiano per la pace e la libertà » che agisce sulla stessa linea del

(10) Alla riunione che diede vita a tale Comitato parteciparono Nenni e Saragat per il P. S. L. Sereni e Dozza per il P. C. I., Trentin e Fausto Nitti per <1 Giustizia e Libertà ». (Cfr. Per la libertà e l’indipendenza d’Italia, Airone, Roma, 1945). (11) Cfr. G iorgio V accarino, Gli scioperi del marzo 1943, in « Aspetti della Re­ sistenza in Piemonte », edito a cura dell’Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Torino, 1950. (12) « ... c’era una ripresa dei partiti già sin dalla fine del 1941, e nella prima metà del 1943 l'opera di ricostituzione di essi era in pieno corso ». (Cfr. L u ig i Sa l­ vatorelli, Situazione interna e internazionale dell’Italia nel i° semestre 1943, in Mov. di Lib. in Italia, 1955, N . 34-35). (13) « Il vero fatto rivoluzionario nuovo era la ricostituzione dei partiti antifa­ scisti nel 1942-43 nella forma di un fronte comune di liberazione che fu poi il C .L.N . ». (Cfr. L eo V alian i, I partiti antifascisti nel 1943, in Mov. di Lib. in Italia, 1955, N . 34-35). La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 67

Comitato d’azione per l’unità del popolo italiano, lancia un appello ai lavo­ ratori ad intensificare la lotta, e invita i soldati e gli ufficiali a « rifiutarsi di compiere atti che disonorano l’esercito, a schierarsi con le armi coi difensori della causa della libertà dei popoli » (14). Altri due appelli venivano lanciati da tale Comitato il 27 ottobre e il 24 novembre 1942. Quest’ultimo concludeva: «Liberali, democratici, co­ munisti, socialisti, cattolici, fascisti onesti, Italiani! In ogni officina, in ogni casa, in ogni villaggio, in ogni caserma e nave formate dei Comitati per la pace e la libertà, organizzate manifestazioni nei luoghi di lavoro, nelle caserme e nelle strade, per imporre la pace separata immediata ». Il 28 febbraio 1943 l’« Unità » edizione clandestina per l’Italia, esce con un titolo su tutta la pagina: « Commemoriamo il 25.010 anniversario dell’Esercito Rosso iniziando in Italia la lotta armata per la pace e la liber­ tà » (15). In prima pagina, vi è il saluto al primo numero dell’« Italia Li­ bera » : « Il Partito Comunista d’Italia e l’„ Unità „ salutano la fondazione del Partito d’Azione e la comparsa dell’,, Italia Libera „. L ’iniziativa degli uomini che hanno dato vita a questo movimento trova nei comunisti ita­ liani i più calorosi incoraggiamenti, ecc. ecc. ». In quello e negli altri numeri dell’« Unità » si trova l’inserto : « Ogni martedì, venerdì, domenica, alle ore 20,20 sulla lunghezza d’onda 33,67 ascoltate Mario Correnti » (16). E ’ superfluo ricordare che tutte le trasmissioni concludevano non sol­ tanto con l’appello alla lotta, ma con l’incitamento ad insorgere con le armi.

(14) Cfr. Per la libertà e Vindipendenza d’Italia, op. cit., p. 163. (15) Cfr. « Unità », anno 20, n. 4, 28 febbraio 1943. (16) « ... Da noi il primo, il più grande dei franchi tiratori, dei partigiani del nostro Risorgimento e dell’Europa moderna, fu Giuseppe Garibaldi. Da Trieste alla Sicilia, dalla Sardegna a Milano, possa esso ispirare e dirigere centinaia e migliaia di combattenti, adulti e giovani, operai e contadini, intellettuali » (19 maggio 1942). « ... E ’ un fatale errore continuare ad avere pazienza perchè questa è la strada che porta l’Italia al baratro. E ’ necessario unire le forze e ribellarsi » (24 maggio 1942). « ... Ora è arrivato il momento in cui i popoli, su cui pesa il vassallaggio hitle­ riano devono levarsi in piedi e rompere le loro catene » (12 giugno 1942). « ... Non si salva l’Italia dalla rovina senza l'insurrezione. Questa insurrezione generale di tutto il popolo è all’ordine del giorno e non domani, ma oggi, perchè poi la situazione comincerà a precipitare » (23 giugno 1942). « ... La lotta eroica, la resistenza e la vittoria de] popolo sovietico, vi hanno aperto la strada. Seguitela, questa strada, anche se essa deve essere all’inizio una lotta dura e di grandi sacrifici » (6 novembre 1942). « ... Il discorso di Scorza è stato un discorso di bancarotta. E ’ stato però egual­ mente un discorso di guerra civile. Chi ha care le sorti del Paese deve accettare senza esitazioni la sfida lanciata dai gerarchi. Anche il popolo ha del piombo a suo dispo­ sizione. E ’ arrivato il momento che egli deve dare prova di sapersene servire » (7 maggio 1943). C fr. M ario Correnti (Paimiro Togliatti): Discorsi agit Italia.ni da radio Mosca, giu­ gno 1941 - maggio 1943. Editrice l’Unità - Roma 1945. 68 Pietro Secchia

Il 3 marzo 1943 si riuniscono a Lione i rappresentanti del P.C.I., del P.S.I. e del Partito d’Azione (17) che « si impegnano a condurre in comune nel quadro di una alleanza che dev’essere estesa a tutte le forze nazionali, l’azione per salvare l’Italia, spezzando, per mezzo di un’insurrezione nazio- naie, la funesta politica del fascismo, ecc. ecc. ». Troppo noti sono gli scioperi del marzo 1943, e così l’opera d. chi più agì per organizzarli; né occorre sottolineare il peso che essi ebbero nello sviluppo della situazione e nell’orientamento delle masse. Nel luglio del 1943 la situazione precipita in seguito alle sconfitte in Africa e alla catastrofe nazionale che si annuncia imminente. I partiti anti- fascisti intensificano la loro attività, si muovono, stabiliscono contatti (18). Dal 26 luglio all’8 settembre si susseguono nelle principali città, ma soprattutto a Milano e a Roma, le riunioni dei partiti, che ormai vengono tenute liberamente; numerosi appelli vengono lanciati incitanti a « non limitarsi a manifestazioni di giubilo, ma ad organizzarsi per far valere, ecc. ecc. ». Tali appelli sono firmati dal Gruppo di Ricostruzione Liberale, dal Partito Democratico Cristiano, dal Partito d’Azione, dal Partito Comunista Italiano, dal Movimento di Unità Proletaria per la Repubblica Socialista, dal Partito Socialista Italiano (19). Il 2 agosto ; rappresentanti di questi partiti, che si erano costituiti in Comitato Centrale delle opposizioni, approvano una deliberazione nella quale invitano il governo a proclamare la cessazione immediata della guerra ma­ nifestando la certezza che il popolo italiano sarà concorde nel fronteggiare

(17) Amendola e Dozza per il P. C. I., Saragat per il P.S.I., Emilio Lussu per il Partito d’Azione. Il verbale di questa riunione è riportato in Per la Libertà e Vinài- pendenza d’Italia, op. cit. (18) « ... da tutte le parti mi giungeva l’eco di un sordo senso di ribellione che si impadroniva di uomini di ogni rango. In alto si guardava alla Corona che rima­ neva pur sempre supremo regolatore ed anche uomini del passato regime, ecc. ecc. In basso lavoravano i comunisti la cui organizzazione clandestina attraverso le re­ pressioni si era piuttosto rafforzata che indebolita ». « ... la scoperta di una cellula comunista al distretto e successivamente una de­ nuncia a carico di giovani ufficiali del deposito 20 Celere provocarono inchieste e arresti anche nella Divisione da parte di funzionari dell’Ovra di Bologna. Pochi giorni dopo, a tarda sera, comparve a casa mia il sostituto Procuratore del Re, avv. Cola­ grande, accompagnato da due signori, che mi qualificò, uno come il prof. Concetto Marchesi, capo del Partito Comunista, l’altro come il dott. Macrelli, già deputato repubblicano della Romagna ». (Cfr. R. Cadorna, La Riscossa, op. cit.). Vedi anche: IVANOE BONOMI, Diario di un anno, Garzanti, Milano, 1947. C. L. Rag g hianti, Disegno della Liberazione Italiana, Nistri Lischi, Pisa, 1954. (19) Manifesto del 26 luglio 1943 - Manifesto del 28 luglio 1943 - Manifesto del 31 luglio 1943, per non citare che i principali, tutti firmati dai partiti sopraindicati. Questi manifesti erano diffusi dai giornali dei rispettivi partiti e a mezzo di volantini. Sono integralmente riprodotti nel volume Per la Libertà e l'Indipendenza d'Italia, op. cit. La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 69 qualunque pericolo dovesse sorgere da questa decisione (20). Questa deli­ berazione viene portata a conoscenza del maresciallo Badoglio da una dele­ gazione composta da quasi tutti i partecipanti alla riunione, e comunicata alla stampa. 11 30 agosto, i rappresentanti dei partiti, di fronte alla crescente mi­ naccia delle forze tedesche e all’aggravarsi della situazione, si riunivano e decidevano che il Comitato Centrale del Fronte Nazionale, si collegasse immediatamente con tutti i Comitati di Fronte Nazionale locali e con tutte le organizzazioni di massa esistenti, sindacati e commissioni interne, « con l’esercito e le altre forze armate onde assicurarsene l’appoggio nello svolgi­ mento della sua azione diretta ». In tal senso veniva lanciato al popolo un manifesto. Alla riunione erano presenti Longo, Scoccimarro, Amendola pet il P.C.I., Lussu, La Malfa, Bauer per il Partito d’Azione, Nenni e Saragat per il P.S.I. i quali decidevano altresì di costituire una giunta militare tri­ partita composta da Luigi Longo, Riccardo Bauer, Sandro Pertini (21). Que­ sti già avevano stabilito contatti con il gen. Giacomo Carboni cui era affi­ data la difesa militare di Roma (22). E’ noto come le cose precipitassero e l’armistizio invece che al 12 fu annunciato l’8 settembre. Il gen. Carboni, la sera dell’8 settembre conse­ gnava a Luigi Longo e ad Antonello Trombadori (23) tre autocarri di armi prelevate da alcune caserme che nella notte stessa erano distribuite presso magazzini e case private di comunisti e antifascisti decisi a battersi per la difesa di Roma.

« Le squadre di combattimento comuniste sopratutto, avevano lavo­ rato con lena negli ultimi giorni, dovevo tenerle a freno perchè non faces-

(20) Alla riunione erano presenti per il P.C.I., Fenoaltea, Sal­ vatorelli e Siglienti per il Partito d’Azione, De Gasperi per la D. C .t Euozzi e Romita per il P.S.I., Ruini per la Democrazia del Lavoro, Casati per i liberali. La riunione era presieduta da Boncmi. (Cfr. I. BONOMI, Diario dt un anno, op. cit.). (21) Per la Libertà e l’Indipendenza d’Italia, op. cit., p. 179. (22) « ... vennero presi accordi dettagliati per la distribuzione delle armi per pre­ parare sabotaggi e assalti popolari agli uffici e alle abitazioni dei tedeschi e per l'impiego delle squadre armate. Il lavoro veniva svolto in segreto e febbrilmente sotto il dinamico impulso del Longo, così da avere tutto pronto entro il 12 settembre, data che, in base alle notizie di Castellano, il comando supremo continuava a ritenere come punto di partenza per cominciare ad attendere di ora in ora la proclamazione dell’armistizio ». (Cfr. GIACOMO CARBONI, Più che il dovere, Danesi, Roma, 1952. Vedi anche: Id., Memorie segrete, Parenti, Milano, 1956). (23) C fr. G. Carboni, op. cit.; A . Sa n zi, Il generale Carboni e la difesa di Roma visti ad occhio nudo, Vogliotti, Torino, 1946: A. T rombadori, La Resistenza al fa­ scismo, Feltrinelli, Milano, p. 74; L. L ongo, Un popolo alla macchia, Mondadori, Milano, 1947. 70 Pietro Secchia

sero precipitare la situazione con qualche imprudenza. Erano state scavate gallerie di mina vicino alle caserme e agli alberghi abitati esclusivamente da tedeschi; si attendeva il mio via per caricarle » (24).

Al mattino del 9 settembre si combatte alle porte della città. I comu­ nisti avevano posto il loro « comando- » con a capo Luigi Longo nella casa di F. Onofri e avevano creato alcune basi, depositi, e punti di collegamento, una delle quali nel negozio del compagno Zerenghi. Il Partito d’Azione aveva posto il suo quartier generale in via Leone IV : Lussu, Baldazzi e altri ne erano alla testa (25). Si riunisce il Comitato Centrale delle opposizioni, presenti: Scocci- marro e Amendola per il P.C.I., Pietro Nenni e Romita per il P.S.I., La Malfa e Fenoaltea per il Partito d’Azione, De Gasperi per il Partito Demo­ cratico Cristiano, Ruini per il Partito del Lavoro, Casati per il Partito Libe­ rale, che inviano una delegazione dal Ministro degli Interni per chiedere che siano immediatamente consegnate armi al popolo. « Ci si risponde, scrive Bonomi, con un no freddo, anzi qualcuno aggiunge che in caso di invasione tedesca non bisogna esasperare gli invasori » (26). Nel pomeriggio, nuova riunione degli stessi che deliberano di trasformare il Comitato delle correnti antifasciste in Comitato di Liberazione Nazionale. La proclamazione av­ viene mediante un breve appello sul quale concordano tutti 1 presenti: « Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare a Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Li­ berazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle na­ zioni » (27). Le giornate del 9 e io settembre furono a Roma giornate di lotta. A Porta S. Paolo soldati e lavoratori combatterono uniti. Ma la Resistenza non era coordinata, si trattava di gruppi d’avanguardia improvvisati da alcuni partiti. Era mancato il tempo perchè la Resistenza potesse organizzarli mili­ tarmente attorno a un unico centro. Tuttavia, con tutte le sue debolezze, fu a Roma che nei giorni 8-10 settembre la Resistenza raggiunse le punte più avanzate e dove le avanguardie delle masse popolari riuscirono a collegarsi con l’Esercito e a battersi assieme a reparti militari contro i tedeschi. Gli « apparati » avevano funzionato. Nelle altre grandi città non mancarono

(24) Gen. G. Carboni, Memorie segrete - Più che il dovere, op. cit. (25) P. M onelli, Roma 1943, Miglioresi, 1945. (26) I. Bonomi, op. cit., p. 99. (27) I. Bonomi, op. cit., p. 100. La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 71 tentativi di sviluppare la lotta armata (28), ma senza che la volontà popolare potesse tradursi in azione immediata di un certo rilievo. Dappertutto i partiti antifascisti chiesero alle autorità militari armi e mezzi per combattere e quasi dappertutto ottennero un reciso rifiuto. A Torino, il generale Adami-Rossi non volle neppure ricevere i rappresentanti dei partiti. A Venezia, il duca di Genova, comandante la piazza, tagliò la corda e il suo aiutante si rifiutò recisamente di consegnare le armi. I gene- rali Ruggero a Milano, Chiappi a Firenze non andarono al di là di vaghe promesse, così a Bologna. Soltanto a Piombino all’annuncio dell’armistizio la popolazione insorse compatta e il io settembre, quando le truppe tedesche penetrarono nel porto, si scontrarono con un’accanita e abile resistenza. I cittadini assieme ai sol­ dati combatterono valorosamente e P i i settembre i tedeschi erano costretti a riprendere il largo lasciando sul terreno 600 morti e 300 prigionieri nelle mani dei patrioti (29). Se l’8 settembre segnò l’inizio della riscossa e il rifulgere di cento e cento episodi di iniziativa popolare, i fatti stanno a testimoniare che i partiti antifascisti furono presenti, e ben prima dell'8 settembre avevano dato diret­ tive e lanciato appelli alla lotta armata. L ’idea di prendere le armi, di insor­ gere non era caduta dal cielo improvvisamente. Dovunque vi fu una resistenza di rilievo o delle iniziative immediate, là, si può essere certi, esisteva un’organizzazione di partiti antifascisti. Per contro, laddove gli ufficiali e i soldati sbandati non poterono appoggiarsi su un’organizzazione antifascista abbastanza solida per influenzarli, per dar loro orientamento e appoggio, non si sviluppò nessun movimento partigiano. Valga per tutti, per restare in Piemonte, l’esempio della Valle d’Aosta, dove al momento dell’armistizio erano concentrate forti unità militari. Una parte degli alpini della « Monterosa » li troveremo più tardi tra i partigiani della Valsesia e de’l’Csscla, ma non fu possibile all’inizio, malgrado l'abnegazione e la coraggiosa iniziativa di Emilio Lexert, di Andrea Pautasso, del maggiore Luigi Grassi, di Emilio Chanoux, di Lino e Pierino Binel, Riccardo Joli e altri, creare un consistente movimento partigiano. Questo si svilupperà sol­ tanto più tardi e in parte portato dal di fuori, proprio per la debolezza dei partiti antifascisti del luogo. 11 movimento partigiano, scrive Luraghi, « sorse eminentemente dal basso per iniziativa di uomini oscuri ». E ’ evidente che comunisti, socialisti,

(28) A Milano alla vigilia dell’8 settembre era stata costituita dai partiti antifa- scisti la «Guardia Nazionale ». (29) R. Battaglia, Storia della Resistenza Italiana, Einaudi, Torino, 1953, p. 105. 72 Pietro Secchia uomini del Partito d’Azione ve n’erano in molte località e per fortuna non stavano ad attendere l'arrivo degli ordini e delle disposizioni da Roma o da Milano. Un partito non sarebbe tale se fosse composto soltanto da un gruppo di dirigenti; che cosa mai dirigerebbero se non avessero seguaci e organizzazioni periferiche, capaci di agire, muoversi tempestivamente, do- tate di iniziativa propria? Questi gruppi e questi uomini della periferia non agivano inconsciamente, per istinto, ma per maturità della loro coscienza e per l’orientamento che avevano avuto dai partiti nei quali da tempo mili- tavano. « Che allora i patrioti — scrive C. L. Ragghianti — malgrado la crisi in atto, malgrado la deficienza dei mezzi potessero bene e rapidamente orientarsi su ciò che si dovesse e si potesse fare non sembrerà strano a chi ricordi l’esperienza che essi avevano di queste cose e i precedenti » (30). Duccio Galimberti, che nel pomeriggio del 9 settembre si presenta al comandante della zona di Cuneo e chiede « a nome suo e di tutti i compa- gni del suo partito, l’arruolamento volontario negli alpini » ricevendone un netto rifiuto, era assieme a Livio Bianco, uno dei dirigenti locali del Partito d’Azione. Al 26 luglio aveva parlato dal balcone del suo studio ai cittadini di Cuneo « proclamando la necessità della guerra immediata alla Germania nazista» (31). La formazione che nel pomeriggio dell’ 11 settembre dal centro di Cuneo si muoveva verso Valdieri con alla testa Galimberti, si chiamava « Italia Libera ». Secondo la testimonianza del professor Piero Pieri, al mattino del 9 settembre, Duccio Galimberti era a Torino con Passoni e altri elementi antifascisti per accordarsi sul da farsi (32). Né gli uomini del Partito d’Azio- ne erano soli, sempre secondo Piero Pieri (per non citare l’abbondante e nota documentazione del mio partito) nelpomeriggio del 9 settembre, « Geymonat, Comollo e Bazzanini —• tutti e tre comunisti, gli ultimi due di vecchia data — erano già partiti da Torino per Barghe ». Anche Livio Bianco, parlando del movimento partigiano del Cuneese scrive che il partito comunista vi portò sin dall’inizio un grande contributo « per opera soprat­ tutto di due valorosi caduti Giovanni Barale e di suo figlio Spartaco » (33). Si deve a lui l’organizzazione iniziale del movimento partigiano in Val Ver- menagna, a Caraglio e sopra S. Dalmazzo. Moscatelli era il dirigente dell’organizzazione comunista della Valsesia, anche lui aveva parlato il 26 luglio in pubblico comizio a Borgosesia; conti­ nuamente a contatto col centro comunista di Milano, il 9 settembre aveva

(30) C. L . Rag g hianti, Disegno della Guerra di Liberazione, op. cit., p. 80. (31) D. L ivio Bianco, Guerra partigiana, Einaudi, Torino, 1954. (32) Piero Pieri, Torino, Rivista della città e del Piemonte, 1955. (33) D. L ivio Bianco, Guerra partigiana, op. cit. La Resistenza■ organizzazione o spontaneità? 73

partecipato in rappresentanza del P.C.I. alla prima riunione del Comitato di Liberazione Valsesiano. Aveva frequentato la scuola di partito a Mosca sin dal 1928, in seguito aveva lavorato clandestinamente in Italia ed era stato condannato dal Tribunale speciale. Nello Poma, Franco Moranino, Quinto Antonietti, Vittorio Flecchia, Battista Santhià, Domenico Bricarello, Pasquale Finotto, Guido Sola, i prim cipali organizzatori del movimento partigiano nel Biellese erano comunisti appena tornati da Civitavecchia e da Ventotene. Ufficiali dell’esercito, già da tempo legati al Partito Comunista erano Pompeo Colajanni (Barbato), Vin­ cenzo Modica (Petralia), Eraldo Gastone (cugino di Negarville). Apparteneva invece al Partito d’Azione l’architetto Filippo Beltrami, il leggendario co­ mandante di Omegna, così Franco Venturi, che organizzava i primi gruppi partigiani in Val Pellice. I fratelli Di Dio comandanti partigiani dell’Ossola aderivano alla Democrazia Cristiana. La cronaca del Comitato Piemontese di Liberazione Nazionale e il diario del liberale dott. Paolo Greco (Martini) testimoniano come sin dal- l’8 settembre i partiti antifascisti provvedessero all’organizzazione della lotta partigiana nelle diverse valli del Piemonte. Compaiono i nomi di Luigi Ca­ priolo, Gustavo Comollo, Osvaldo Negarville, Eugenio Giambone, Dome­ nico Coggiola, Marcellino, per il P.C.I., di Vittorio Foà, Franco Venturi, Mario Andreis, Leo De Benedetti, Sandro Galante Garrone del Partito d’Azione, Corrado Bonfontini, Piero Passoni, Alfonso Ogliaro, Acciarini del P.S.I., Paolo Greco, Cornielio Brosio e Guido Verzone, il dott. Anton Dante Coda liberali, Vado Fusi, Andrea Guglielminetti e Sibille della D.C., e poi ancora Ada Gobetti, Eugenio Libois, Renato Martorelli, ed altri (34). Se lasciando il Piemonte volessimo dare uno sguardo alle altre regioni, faremmo la stessa identica constatazione. Ovunque il movimento partigiano potè affermarsi, là vi era un’organizzazione più o meno sviluppata, se non di tutti, almeno di qualcuno dei partiti antifascisti e l’iniziativa di uomini di questi partiti. Non è neppure un caso che ci fossero Duccio Galimberti con Livio Bianco nel Cuneese e Moranino nel Biellese, Pedro Ferreira nelle Valli di Lanzo e Moscatelli in Valsesia, Boldrini con Cervellati a Ravenna e Mauri nelle Langhe, che a Montefiorino ci fosse « Armando » e in Valca- monica « Fiore ». Non era un caso che nel Friuli e accanto alle formazioni garibaldine vi fossero le « Osoppo » come non era un caso che a Firenze assieme alle unità partigiane organizzate dai comunisti fossero forti quelle organizzate dal Partito d’Azione. A Firenze, assieme ai comunisti Giuseppe

(34) M ario G iovana, L’inizio della Resistenza in Piemonte, in « Mov. di Lib. in Italia », N . 38-39. 74 Pietro Secchia

Rossi, Renato Bitossi, Mario Fabiani, Mario Garuglieri, Aldo Lampredi, Fosco Frizzi, Dino Saccenti e molti altri, vi erano stati durante il ventennio gli uomini di G. L. che non avevano mollato, i fratelli Rosselli, i Calaman­ drei, i Traquandi, Codignola, Calogero, C. L. Ragghianti, R. Ramat e tanti ancora. L ’apporto e il contributo degli ufficiali alla guerra partigiana non va sottovalutato e lo abbiamo messo ampiamente in rilievo, ma purtroppo non furono falangi, come scrive R. Luraghi e pochi quelli che « accorsero spon­ taneamente », I più si dovettero ricercare e la cosa fu tutt’altro che semplice. Il gen. Cadorna ci ha dato atto che noi comunisti ricercavamo gli ufficiali (35) ed ha riconosciuto onestamente che l’organizzazione e la direzione, anche militare, della guerra partigiana fu soprattutto opera dei partiti antifascisti, che il contributo dei militari fu ben lontano dall’emulare quello dei par­ titi (36). Poche sono le zone ove il movimento ebbe carattere più militare che politico, vanno ricordati gli « Autonomi » di (Mauri), le Fiamme Verdi, la Val Toce. Altro leale e pieno riconoscimento che al primo posto, non solo nella organizzazione politica, ma nell’organizzazione armata, nella lotta partigiana furono il Partito Comunista e il Partito d’Azione, è quello' di Max Salvadori, che rappresentò a Milano le forze Alleate, durante la Resistenza {37). L’apporto decisivo dei partiti è stato da tutti riconosciuto e consacrato

(35) Nelle formazioni garibaldine della Valsesia, non solo erano accettati, ma erano ricercati uomini di ogni fede politica e in particolare ufficiali del servizio permanente. (Cfr. R. Cadorna, La Riscossa, op. cit., p. 171). (36) « Essendo la maggior parte dei quadri effettivi caduti in prigionia, quelli di­ sponibili in Alta Italia specie in talune regioni erano pochi e spesso di modeste qualità. Per reclutare gli ufficiali necessari pensammo di attingere al serbatoio della Svizzera ove si trovava un forte numero di rifugiati. Ma questi in base a una circo­ lare del governo italiano, che cercammo di fare revocare, avevano ordine di non tornare in patria ». D ’altronde, continua Cadorna, « erano poco desiderosi di tornare nella mischia. Ripetutamente tentammo di far venire dal sud un contingente di ufficiali idonei, ma sempre invano. Sino all’ultimo giorno l’assoluta deficienza di per­ sonale di inquadramento rese vano ogni tentativo di dare alla lotta partigiana una cornice che, senza menomare il dinamismo dei partiti e una loro sana emulazione, ne comprendesse e fondesse le aspirazioni ». (Cfr. R. CADORNA, op. cit., pp. 147-148). (37) « Al primo posto nell’organizzazione armata clandestina furono il Partito d’Azione e il Partito Comunista (questo anzi più di quello). I comunisti avevano un campo fertile di reclutamento nelle fabbriche ove la tradizione e l’esperienza defia lotta clandestina ventennale davano eccellenti risultati. Il fatto che l’antifascismo costituiva la coscienza stessa del movimento partigiano spiega l’ascendente che ebbero, fin dalle prime settimane, il Partito d’Azione in cui confluiva il più dell’attivismo democratico, e il Partito Comunista che era stato l'avan­ guardia combattiva e radicale del marxismo italiano ». (Cfr. M. Salvadori, Storia della Resistenza Italiana, op. cit., p. 87). La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 75 in modo diciamo così ufficiale dalle dichiarazioni e dai documenti del C. V. L. (38). E ’ vero che studiosi e storici di valore come il Pettazzoni (39) hanno considerato la Resistenza come « un momento della storia religiosa d’Italia » e l’indimenticabile Piero Calamandrei ebbe occasione di metter l’accento sugli elementi morali e spontanei della Resistenza, ma mai li contrappose a quelli organizzativi e di partito. Nelle parole di Calamandrei che A. Ga­ lante Garrone ha definito il cantore della Resistenza, è evidente la figurazione poetica, ed a chi aveva mosso obiezione alla sua interpretazione quasi mira­ colista, per usare le parole di F. Parri, Calamandrei aveva risposto ricono­ scendo pienamente il grande apporto dei partiti.

« Sarebbe stoltezza negare che uno dei fondamenti della Resistenza è stata la lotta sociale, l’aspirazione dei sofferenti verso la giustizia sociale: e sarebbe cecità non accorgersi che Vossatura organizZfitiva fu data alla Resi­ stenza da quei partiti antifascisti che avevano resistito clandestinamente o che si erano formati sotto il fascismo, e che in quel ventennio di oppres­ sione tennero accesa la fiamma e gettarono i semi nelle coscienze » (40).

Senza dubbio assieme agli ideali, ai programmi, all’organizzazione, ai partiti, vi furono impulsi morali, ricchezza di iniziative, slanci spontanei e tutti questi elementi occorre comprendere ed afferrare perchè tutti furono presenti e contribuirono. La guerra partigiana, abbiamo spesso scritto e ri­ petuto, è fatta di mille episodi, è ricca di iniziativa individuale, è guerra di popolo, ma anche l’eroismo del singolo, se lo vogliamo comprendere e spie­ gare, lo dobbiamo inquadrare in quella situazione e in quell’organizzazione di cui il singolo si trovò a far parte. Se si vuol fare della storia e non del puro verbalismo, non si può par­ lare come fa R. Luraghi, di « un esercito sorto spontaneamente », di un movimento che « andava avanti impetuoso formandosi i suoi quadri al di fuori di qualsiasi apparato ». Non si può affermare che « inizialmente num- cavano del tutto gli uomini all’altezza di inquadrare e di comandare ». Certo sono stati molti i quadri emersi e forgiatisi durante la guerra partigiana, ma i più, la grande maggioranza, erano quadri politici e militari

(38) « Dobbiamo dire che senza l'attiva collaborazione e l’impegno dei partiti anti­ fascisti il nostro movimento di resistenza non si sarebbe potuto sviluppare come si sviluppò: ed abbiamo l’orgoglio di poter dire che forse nessun movimento nazionale di resistenza raggiunse il grado di unità politica e militare raggiunto in Italia ». (Cfr. C .V .L ., La Resistenza Italiana, Alfieri e Lacroix, Milano, 1949). (39) Cfr. R. Pettazzoni, Italia religiosa, Laterza, Bari, p. 73. (40) P. Calamandrei, Uomini e città della Resistenza, op. cit., p. 14. 76 Pietro Secchia già formati, erano dei dirigenti e dei militanti dei partiti antifascisti i quali non avevano soltanto un’esperienza politica, ma esperienza e capacità mili­ tari acquistate in guerra come ufficiali dell’esercito, come combattenti contro il fascismo, come soldati e comandanti in Spagna. Questi uomini si chia­ mavano Longo, Parri, Emilio Lussu, Ilio Barontini, Riccardo Bauer, Fran­ cesco Scotti, Sandro Pertini, Alberganti, Filippo Beltrami, Alessandro Vaia, Leo Valiani e G. C. Pajetta, Antonio Roasio e Leone Ginzburg, Arrigo Bol- drini e Duccio Galimberti, Livio Bianco e Francesco Leone, Giuliano Pajetta, Pintor, Labò, ma qui sì che i nomi diventano veramente legione ed è im­ possibile citarli tutti. Anche i più giovani avevano combattuto come gari­ baldini in Spagna o nei F.T.P. in Francia, così i comandanti gappisti Gio­ vanni Pesce e Sandro Sinigallia, come i comandanti partigiani Nello Poma, Nedo Pajetta, Nicoletto, Mallozzi, Lori, Rubini e cento altri (41). Da Parri a Cadorna, da Raggbianti a Antonicelli, il riconoscimento che i comunisti disponevano del più gran numero di quadri capaci ed erano i più preparati alla lotta armata, è stato generale (42). Non è neppur vero che i partigiani non conoscessero Clausewitz. Certo non la massa dei partigiani, ma molti dei quadri antifascisti e comunisti, sì, avevano una certa prepara­ zione militare (quanto a Clausewitz non c’era lettore delle opere di Lenin che, non foss’altro per curiosità, non avesse voluto conoscerne l’opera). Qui vorrei ricordare qualche cosa di poco noto, forse anche per colpa nostra; ma certi storici prima di pronunciare giudizi assoluti e negativi avrebbero il dovere di ricercare di più, di porsi almeno dei quesiti, di chiedersi: perchè si sono trovati, sin dall’inizio, uomini giovani e anziani in grado di orga­ nizzare e portare all’azione « bande » di partigiani, gruppi di gappisti?

(41) « C ’è stata poi la guerra di Spagna, di là ci sono venuti gli insegnamenti .pratici e tecnici della guerriglia di cui si faceva autorevole interprete il nostro amico Longo ». (Cfr. F. Parri, Gli inizi della Resistenza, in Mov. di Lib. in It., N . 34-35). (42) « Nessun dubbio che ai comunisti spetti nella Resistenza la parte principale ». (Cfr. Piero Pieri, Considerazioni intorno alla Stona della Resistenza, in Mov. di Lib. in Italia, N . 32, p. 53). « Occorre dire chiaramente che il Partito Comunista aveva, nella predicazione e nella condotta della guerra partigiana, la netta prevalenza di chi conosce chiaramente gli obiettivi da raggiungere e dispone di personale specializzato. L ’esperienza dei comunisti, maturata nelle guerre civili di altri paesi, si impose all’intera organizza­ zione partigiana » (Cfr. R. Cadorna, Il Secondo Risorgimento, 1st. Polig. di Stato, Roma, p. 268). « Tutti i partiti diedero uomini alla causa dell’antifascismo, che era diventata indifferenziatamente la causa della libertà. Nessuno li diede con altrettanta coerenza e sistematicità, quanto il movimento di « Giustizia e Libertà » e i partiti di sinistra, in modo precipuo i comunisti ». (Cfr. F. A ntonicelli, Il Movimento di Liberazione nella storia d'Italia, in Mov. di Lib. in Italia, N . 2 1, novembre 1952). « ... alla data del 3 settembre, il Partito Comunista, il solo che fosse in Italia e altrove preparato, certo teoricamente, ma anche con una predisposizione potenziale di quadri, per una lotta armata di notevole efficienza, ecc. ecc. ». (Cfr. C. L. Rag- GHIANTI, Disegno della Liberazione, op. cit., p. 68). I

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C’è stata senza dubbio nei partiti antifascisti molta trascuratezza e in molti di noi quasi il pudore nel mettere in rilievo certi aspetti della nostra attività che di fronte allo sviluppo della « grande impresa » parvero frasai- rabili, eppure ebbero anch’essi la loro importanza. Ma quando ci si imbatte in chi, in buona fede o no, ignora o svaluta l’attività degli antifascisti, allora abbiamo il dovere di superare quell’abitudine a « non parlare di sè », che se può essere apprezzata dal punto di vista della modestia, non ci sarebbe politicamente perdonata. Intendo parlare dell’attività che, malgrado la vigilanza, i rischi, le dif­ ficoltà, gli antifascisti prigionieri a Civitavecchia, a S. Gemignano a Ponza e a Ventotene, riuscivano a svolgere. Si studiava e per studiare organizza- vamo l’introduzione clandestina di libri nelle carceri (43). Molti libri di studio riuscivamo ad averli anche « legalmente » e cioè con il permesso delle autorità fasciste; tra questi vi erano i libri militari (44). Tanto nelle carceri quanto al confino nei nostri studi collettivi non poteva non esserci posto per lo studio della storia e dell’arte della guerra. « Ricordo la passione con la quale studiavamo le pagine del Marselli, scrive G. C. Pajetta (45), l’interesse col quale fu accolto l’arrivo delle opere del Clausewitz, le discussioni, gli sforzi per servirci delle nozioni storiche e teoriche ». Guarda combinazione, anche noi avevamo il Marselli, forse soltanto perchè tanto quelli di Civitavecchia quanto quelli di Ventotene lo avevano trovato in qualche catalogo di letteratura militare. Ma noi a Ventotene era-

(43) « ... venivamo dall’isolamento di Regina Coeli o dalle carceri di segregazione e Botte (Pietro Secchia) aveva deciso di procurarci un cambiamento di cibo intellet­ tuale: un po’ di libri di M arx, di Lenin, di Jaurès, di Webb, ecc., dopo tanto Gior­ dano Bruno, Kant, Hegel e Croce... fece il necessario e ricevemmo i libri agognati. Fu un periodo di cuccagna che durò sino al Ferragosto. Poi la censura postale curata dall’Ovra scoprì tutto, quel giorno l’Ovra invase il carcere e ci portò via tutti i libri. Lo stesso accadde anche in altre carceri. A Civitavecchia ci vollero scioperi della fame diretti da Botte, per riconquistare il diritto di comprare dei libri ». (Cfr. L eo V aLIANI, Tutte le strade conducono a Roma, La Nuova Italia, Firenze, 1947, p. 60). (44) Conservo tuttora nella mia biblioteca alcuni di questi libri assieme ai qua­ derni del confino nei quali, mescolati ad altri scritti, sono i riassunti delle « ingenue » ma significative lezioni militari che tenevamo al confino. Quaderni e libri portano i timbri e i visti della Direzione di Polizia della colonia di Ventotene. Tra gli altri, gli Elementi di Topografia Militare del col. Pietro Veratti; gli Appunti di Arte Militare del col. A . Battista; gli Appunti tecnico'tattico-logistici del col. Venier; la raccolta delle Nuove Norme Tattiche del col. Carlo Tucci, il Clausewitz, il Marselli, il Mazzi- telli; gli Studi Topografici e Strategici sull’Italia di Luigi e Carlo Mezzacapo; e poi guarda chi si vede! gen. Alessandro Trabucchi: L’impiego delle minori unità nel combattimento, edito dall’Istituto Superiore di Guerra. Chi avrebbe mai immaginato che il gen. Trabucchi il cui testo studiavamo al confino sarebbe diventato il nostro comandante militare del C .V .L. in Piemonte? (P. S.). (45) G. C. Pajetta, Noi istigatori e complici della Resistenza! - Discorso alla Ca­ mera dei Deputati - 27 gennaio 1955 - Atti parlamentari. 78 Pietro Secchia vamo stati un po’ più fortunati, poiché nel 1940-41 erano arrivati dalla Francia, con Longo alla testa, un centinaio di ex garibaldini di Spagna, ed una ventina di giovani ufficiali albanesi che studiavano nelle Accademie militari italiane. Questi erano stati confinati dopo l’occupazione fascista del­ l’Albania in seguito ad una manifestazione di protesta di cui erano stati protagonisti. Si trattava di ottimi giovani, senza ancora un orientamento politico chiaro, ma sinceri patrioti, amanti della libertà. Al nostro contatto essi divennero dei comunisti e sono oggi dirigenti politici e militari in Albania; noi insegnammo loro l’economia politica, il materialismo storico, ed essi ci eran maestri negli studi militari, I corsi militari eran tenuti col solito sistema dei gruppi di tre. Il capogruppo e insegnante era un ex uf­ ficiale dell’esercito o aveva fatto la sua esperienza in Spagna, talvolta non aveva mai fatto neppure il militare, ma sapeva qualche cosa di più degli altri. Tra gli insegnanti ricordo Gino Menconi, Medaglia d’Oro caduto- nella guerra partigiana, Walter Audisio, Antonio Cicalini, uno dei comandanti la resistenza romana, Qazim Kapisazi, Xemal Punavja, Achmed Jegeni. Tra gli assidui frequentatori del corso, Giovanni Pesce (che aveva già l’esperienza di Spagna), Viro Avanzati che diventerà il comandante dei partigiani di Siena, Alessandro Sinigallia che sarà poi uno degli organizzatori dei gappisti di Firenze, Giuseppe Banchieri, Renato Giachetti, Gino Scaramuci, Celso Ghini che diventerà comandante partigiano nelle Marche, Nello Poma, coman­ dante di zona dei partigiani biellesi ed altri. Riccardo Bauer, Fancello, Ernesto Rossi, Sandro Pertini sapevano di questa nostra attività e tra di noi avveniva lo scambio dei libri. Noi cono­ scevamo da allora assieme agli altri volumi : « La Teoria dell’insurrezione » di Emilio Lussu. Non l’avevamo avuto legalmente, era un’edizione apparsa in Francia, al confino il libro era arrivato nascosto in uno dei nostri tanti « trucchi » (così chiamavamo i doppi fondi delle cassette, valige e altri oggetti). Nessuno di noi pretende che quegli studi siano stati cosa notevole per la guerra partigiana; sappiamo, e lo abbiamo scritto, che la letteratura mili­ tare, sia quella della lotta per « bande » dell’epoca del Risorgimento, che quella delle lotte rivoluzionarie dell’epoca nostra, era pressocchè scono­ sciuta dalle larghe masse. Ma le unità partigiane non erano organizzate e formate soltanto da « masse », avevano alla loro testa uomini che in un modo o nell’altro un’esperienza sia pure limitata e difettosa, se l’erano fatta. Non sono certo state quelle lezioni militari tenute al carcere e al confino l’elemento decisivo nell’organizzare e dare dei comandi efficienti alle unità partigiane, ma anche quelle lezioni servirono se non altro a insegnare a centinaia di giovani le tradizioni di lotta dei patrioti, a far conoscere che vi La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 79

erano state delle guerre partigiane e delle insurrezioni popolari, a dare ad essi una coscienza, una mentalità, un orientamento, e perchè no, i primi elementi dell’arte militare. E poiché questo lavoro a Civitavecchia, Ponza, Ventotene, lo abbiamo condotto per degli anni, molti sono passati attra­ verso questa scuola. Senza sopravvalutare la loro importanza, se si pensa oggi a quelle lezioni, persino ingenue, di arte militare date nei Cameroni e nei cortili di Civitavecchia e sul piazzale di Ventotene, ritengo abbia ragio­ ne G. C. Pajetta quando afferma che « quei giovani impararono assai bene quell’arte » (46). L ’attività politica che si svolgeva a Ventotene non rimaneva scono­ sciuta e confinata nell’isola, aveva i suoi riflessi nel paese per l’influenza che riusciva ad esercitare su gruppi di antifascisti che agivano clandestinamente, i quali un po’ seriamente e non senza un tantino di ironia ci chiamavano: « Il governo di Ventotene » (47). Non soltanto gli uomini « degli apparati » e dei partiti furono gli ini­ ziatori e gli organizzatori della Resistenza, ma continuamente, sino al 25 aprile fu necessario un lavoro continuo di reclutamento nelle città e nelle campagne, una ricerca di « volontari », di ufficiali, di tecnici, di medici, di radiotelegrafisti, di artificieri. Continue, pressanti erano le richieste che ve­ nivano dalle formazioni: mandateci dei quadri, mandateci ufficiali, man­ dateci elementi capaci. Vi erano i morti, i dispersi, gli arrestati che occor­ reva sostituire, le conseguenze dei grandi rastrellamenti che si dovevano riparare. I lanci di materiale che si dovevano organizzare. Tra i mezzi di cui le formazioni avevano bisogno c’erano anche quelli finanziari. Aspetto questo non ultimo, anche se da molti ignorato, della Resistenza. Non fu cosa facile allora trovare ingenti somme e farle pervenire durante 18 mesi alle diverse formazioni partigiane. Ne parla dettagliatamente Alfredo Piz- zoni (48). E come non ricordare le difficoltà per creare e mantenere i colle­ gamenti a mezzo di corrieri e staffette con tutte le zone e formazioni par-

(46) G. Pajetta, Noi istigatori e complici della Resistenza antifascista - Discorso alla Camera dei Deputati il 27 gennaio 1955: « ... Che cosa insegnammo noi allora a Gemisto, a Quinto? Che cosa insegnammo a Faliero che doveva poi morire sui monti vicino a Firenze? Insegnammo la storia d ’Italia, le tradizioni della nostra patria. E insegnammo e imparammo con loro anche l’arte della guerra. Ricordo come tradu­ cessimo e insegnassimo il Clausewitz, sopratutto i capitoli della guerra in montagna, i capitoli sulle battaglie partigiane. Ricordo come annotassimo e studiassimo l’espe­ rienza dell’insurrezione antinapoleonica in Spagna ». (47) L ombardo Radice - G ia im e Pintor, Fascismo e anticomunismo, Einaudi, To­ rino, 1947. (48) A lfredo Pizzoni, Il finanziamento - Anche l’Italia ha vinto, in « Mercurio », N. 16 - Dicembre 1945. 8o Pietro Secchia tigiane? (49). Come si fa a scrivere che « il movimento andava avanti wipe- tuoso, al di fuori di qualsiasi apparato » ! Quanti dei nostri migliori varcarono più volte le linee del fronte, quanti si fecero paracadutare, quanti fecero per mesi la spola tra le diverse città d’Italia, tra l’Italia e la Svizzera, tra le città sedi dei comandi e le zone partigiane! Quanti caduti in combattimento nelle unità partigiane erano stati mandati da altre provincie dal Comando del C.V.L., erano uomini degli « apparati ». Piero Pajetta (Nedo), che aveva fatto la sua esperienza in Spagna e nei F.T.P. in Francia era stato mandato, dal Comando Garibaldino, nel Biellese, Pietro Maffei (Boni Piemonte) per le sue doti di ufficiale era pure stato inviato nel Biellese, Gianni Citterio da Milano a Megolo con Beltrami, Gino Menconi di Avenza in una unità partigiana del parmense dove fu arso vivo dai fascisti. Antonio Carini, dal Comando generale, nel Ferrarese ove fu massacrato; Ilio Barontini si soffermò in tutte le regio- ni del Nord Italia ad organizzare i colpi di maggior risonanza, e così tanti e tanti altri per non parlare dei viventi che si spostarono da regione a re- gione, da zona in zona ad organizzare la lotta, da G. C. Pajetta a Leo Valiani, da Roasio a Bauer a Leone a Pertini. E quanti di questi uomini « degli apparati » caddero come combattenti nelle città, anche se non avevano il mitra nelle mani (50)! Da Poldo Gaspa- rotto arrestato a Milano poi ucciso nel campo di Fossoli, a assassinato dai fascisti in piena Milano, a Sergio Kasman, capo di stato maggiore del comando piazza, riconosciuto e ucciso al centro della città; dalla medaglia d’oro Egisto Rubini (Rossi) comandante della 3“ Brigata Gap milanesi, arrestato, torturato e ucciso a Milano a Renato Martorelli arrestato e ucciso a Torino, così come il maggiore Pezzetti, riconosciuto per strada e colpito a morte. La stessa sorte toccò a Paolo Braccini, a Eusebio Giambone, al gen. Perotti. Furono arrestati e uccisi a Roma: Gioacchino Gesmundo, Gianfranco Mattei, Alberto Marchesi, Giorgio Labò, Vittorio Mallozzi, Leone Ginzburg, arrestato nella tipografia clandestina del Partito d’Azione; Aldo Li Gobbi, Giacomo Buranello e Giussani a Genova, Luigi Frausin, Vincenzo Gigante, Giovanni Colarich a Trieste e Mario Jacchia a Parma, Sante Vincenti a

(49) « ... Io stato maggiore di Longo funzionava alla perfezione. Provvisto di ottime e sicure basi, disponeva di una rete di collegamento a mezzo di porta-ordini, generalmente femminili, che se non era rapida, funzionava regolarmente ». (Cfr. R. Cadorna, La Riscossa, op. cit., p. 133). (50) « ... Chi è che potrà raccontare quale fu la vita e le avventure dei comandi e delle organizzazioni di città, dove la vita dalla metà del 1944 era ormai diventata praticamente impossibile? Quante angoscie, quanti compagni bruciammo in questo lavoro. Quanti fucilati o impiccati sulle nostre piazze! ». Cfr. F. Parrì, Anche l’Italia ha vinto, « Mercurio », cit. La Resistenza: organizzazione o spontaneità? 81

Bologna, Willy Jervis mentre trasportava dalla città in zona partigiana della dinamite e Giaime Pintor; questi e tanti altri sono gli uomini degli « ap­ parati ». Perchè uomini degli apparati, senza distinzione di partito, erano tutti quelli che abbandonavano la loro famiglia, la loro attività professionale, le loro normali occupazioni per darsi esclusivamente alla lotta, per andare in tutte le città, in tutte le zone ove il loro partito, il loro ideale, il C.V.L. li mandava. Non erano forse uomini dell’apparato assieme a Longo, Parri e Ca­ dorna? Non fu forse « Maurizio » arrestato a Milano e prima di lui tanti altri che non è possibile qui elencare, ma che non sono morti nei nostri ricordi? Nessuno più di noi ha messo in rilievo l’apporto, il contributo alla Resistenza di civili e militari, di ogni classe e ceto sociale, il moltiplicarsi degli episodi di eroismo di tanti uomini semplici e oscuri, la ticchezza e la forza dell’iniziativa popolare, l’azione decisiva delle masse. Ma tutto questo non cambia per nulla la realtà, e la realtà è che senza una chiara coscienza ed una profonda spinta ideale, senza l’iniziativa, l’azione e l’esempio delle forze d’avanguardia dell’antifascismo e dei lavoratori, i .primi nuclei parti­ giani non sarebbero mai sorti, né si sarebbero mai trasformati in esercito di popolo. La Resistenza è stata grandiosa e non c’è alcun bisogno di defor­ marla con rappresentazioni fantastiche e irreali. Difficoltà, ostacoli, asprezze della lotta, gioie e dolori, tutto dev’essere ricordato. Non soltanto quella militare, ma « la storia anche politica della Liberazione — concludiamo con parole di — non è stata idilliaca, ma anzi dura e difficile storia. Non anneghiamola nelle agiografie dolciastre. La grandezza dei risultati non ha bisogno di amplificazioni retoriche » (51).

Pietro Secchia

(51) Ferruccio Parri, ne « Il Ponte », fascicolo dedicato alla Liberazione, aprile- maggio 1955. IL CONVEGNO DI FIRENZE SU « LA RESISTENZA E LA SCUOLA »

Si è tenuto a Firenze, nei giorni n e 12 aprile, sotto gli auspici deL l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, un Convegno di studi su « La Resistenza e la Scuola », articolato in tre relazioni, affidate ai profes- sori Roberto Battaglia, Dino Pieraccioni e Aldo Visalberghi. Se la prima re' lazione, quella del Battaglia, trattava il tema specifico dell’inserimento della storia della Resistenza nei programmi delle nostre scuole (1), le altre due si occupavano della questione più generale, ma strettamente connaturata alla prima, dell’insegnamento dell’Educazione Civica, della sua portata, del suo significato e dei notevoli problemi che tale insegnamento, già al suo primo anno di attuazione, non ha mancato di far sorgere (2). Va da se, che i due insegnamenti, della Storia della Resistenza e dell’Educazione Civica, non possono andare separati, a meno che non si consideri l’Educazione Civica alla stregua di un codice delle buone maniere, il che equivarrebbe a sna­ turarne l’intima funzione. L ’Educazione Civica trova il suo significato e le sue basi nell’apprendimento della nostra Costituzione, nell’intuizione del fondamento democratico che regge la nostra vita politica; tutti elementi, questi, inscindibilmente connessi con l’esperienza antifascista e la lotta con­ tro il nazismo. Molto opportunamente, quindi, la relazione del prof. Batta­ glia segnalava la necessità che entrasse finalmente nelle nostre scuole quella storia contemporanea, che sola è in grado di illuminare i giovani sulle ori­ gini della situazione politica attuale, da essi più conformisticamente accet­ tata che non consapevolmente affrontata ed assimilata. Il prof. Battaglia, dopo aver messo in rilievo che l’arresto dei programmi di storia al 1918 è una situazione « mai verificatasi nella scuola pubblica sin dalle sue origini », e che essa è dovuta ad un provvedimento emanato dal Governo Badoglio per motivi di opportunità subito dopo il 25 luglio 1943, e mai più rimosso da allora, è passato all’esame dei libri di testo che vengono oggi offerti ai giovani, che nulla sanno del passato, ed assai nebulosamente conoscono per­ sino le attuali strutture dello Stato Italiano. Benché i programmi ufficiali « au­ torizzino i giovani ad ignorare la nostra storia più recente », molti testi di storia hanno provveduto a colmare la lacuna, illustrando in poche paginette finali gli avvenimenti dell’ultimo quarantennio, l’avvento del fascismo, la guerra mondiale, qualcuno anche la promulgazione della nuova Costitu­ zione. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, si tratta di una descrizione dei fatti che, ove non è apertamente laudatoria o addirittura apologetica nei confronti del fascismo, si ispira a quel criterio ancor più deleterio che il Battaglia designa col termine di « oggettivismo » : « Nella maggior parte

(1) Roberto Battaglia, La storia della Resistenza e della seconda guerra mondiale in rapporto agli attuali programmi scolastici. (2) D ino Pieraccioni, La Costituzione Italiana e l’educazione civica nei vigenti programmi scolastici. — A ldo V isalberghi, Problemi d’impostazione e di metodo nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica. Il Convegno di Firenze sulla Resistenza e la Scuola 83 dei testi — ha dichiarato il relatore — l’essere obiettivi significa dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Il criterio dell’ambiguità o dell’ambiva­ lenza si fonde con quello della « pedagogia del nascondimento » : taciute le violenze della persecuzione fascista, gli orrori delle guerre imperialistiche, la costante lotta condotta dall’antifascismo per salvare l’Italia dalla cata­ strofe ». E’ ovvio che, da testi il cui obbiettivo principale consiste nel con­ fondere sistematicamente le idee, non verrà mai ai giovani quel chiari­ mento che, anche se, purtroppo, non è da essi sollecitato, è peraltro dovuto loro. La questione dell’obbiettività nella storia recentissima è grave di per sè, ed ha formato oggetto anche di uno dei periodici convegni storici in­ detti dall’Istituto (3) : ma — come il Battaglia stesso ed altri hanno tenuto a sottolineare — chi esamini criticamente la nostra storia di ieri, indicando precise responsabilità ed errori, non fa altro che seguire i dettami della nostra Costituzione, laddove essa proibisce ogni forma di apologia del fascismo. In particolare, il relatore concludeva con delle precise richieste, che furono da lui così riassunte: « a) l’insegnamento della Resistenza, inserito nell’ambito della storia contemporanea, deve essere concepito come insegnamento formativo essen­ ziale per le nuove generazioni, come l’unico capace di fornire ad esse quella guida ideale che oggi manca. La Resistenza, intesa nel suo senso più lato, costituisce l’origine storica della Costituzione; come la Costituzione, pur nel pieno rispetto delle diverse ideologie, non può essere insegnata al di fuori e contro se stessa, così la Resistenza deve essere tramandata ai giovani secondo i principi fondamentali democratici che reggono lo Stato repub­ blicano; b) il contenuto dell’insegnamento della Resistenza, pur non potendosi predeterminare in rigidi schemi, deve essere ispirato allo scrupoloso rispetto di ciò che essa è stata realmente nei suoi aspetti fondamentali; lotta di popolo scaturita dalla lunga e tenace opposizione antifascista, capace di assorbire in sè gli ideali del primo Risorgimento d’indipendenza e di libertà, ma anche di portarli avanti, di arricchirli col contenuto che le derivava dalla più larga partecipazione popolare, quel concreto contenuto di rinnovamento sociale che è stato sancito dalla Carta Costituzionale. 11 significato più pro­ fondo della Resistenza consiste nel suo spirito unitario, cioè nello spirito che, pur mantenendo distinte le posizioni ideologiche e politiche, tutta l’indirizzò verso un comune ideale sul piano interno e anche sul piano inter­ nazionale ove la Resistenza mai si pose come elemento di rottura e di scis­ sione, ma di superamento delle barriere nazionali e di affratellamento dei popoli; c) tale è la ricchezza dei motivi offertaci dalla storia della Resistenza, nei suoi aspetti di storia politica e di storia militare, di storia di popolo e di storia di intellettuali, che essa deve essere necessariamente trattata con la stessa ampiezza che viene assegnata nei testi scolastici allo studio della storia del primo Risorgimento ».

(3) Cfr. <• La Storiografia della Resistenza e i suoi problemi metodologici », Atti del Convegno di Studio tenuto a Milano il 14 dicembre 1952, in M. d. L. I., n. 22, gennaio 1953. 84 Il Convegno di Firenze sulla Resistenza e la Scuola

La successiva relazione del prof. Pieraccioni, investiva più da vicino il problema dell’insegnamento dell’Educazione Civica, mettendo il pubblico più direttamente a contatto con i problemi tecnici che si presentano all’ina segnante che intenda svolgere con serietà il nuovo programma. Dopo un rapido escursus in cui venivano tratteggiate l’origine e la genesi dell’attuale legislazione al riguardo, il prof. Pieraccioni è passato a rilevare le non lievi perplessità sollevate negli insegnanti dal contenuto del Decreto President ziale del 13 giugno 1958: troppo ridotte le ore prescritte (2 al mese) e staccate l’una dall’altra, troppo astratto un insegnamento che proceda di- scontinuo e privo di legami con la storia di cui parallelamente si va trat­ tando. Su questo punto, si accenderà in seguito la discussione, perchè è parso che il prof. Pieraccioni volesse con ciò concludere che per dare al- l’Educazione Civica il suo pieno significato, fosse necessario svolgere questo insegnamento solo dopo che il programma di storia fosse giunto all’età con­ temporanea. A questo proposito il prof. Pieraccioni dichiarava : « non va trascurato un certo astrattismo che pervade tutti i programmi, se si pensa che, per esempio, nei licei si dovrebbe svolgere un inquadramento storico della Costituzione proprio mentre si sta svolgendo il programma di storia medievale, cioè due anni e mezzo prima che i giovani abbiano le cognizioni generali sulla storia del Risorgimento e su tutti i movimenti di pensiero del secolo XVIII che stanno alla base di ogni moderna Costituzione ». Rilevata poi la propria preoccupazione che l’Educazione Civica non si riducesse « a una specie di galateo di norme di buon comportamento in pubblico, per la strada, ecc. », il relatore si augurava che esso servisse a « rivedere tutta una concezione finora abituale della scuola », che tende a presentare, ad esem­ pio, il Risorgimento essenzialmente sotto l’aspetto dell’antagonismo guer­ resco. Nella nuova concezione dell’insegnamento della storia si dovrà in­ vece porre massimamente l’accento sull’aspetto sociale della storia, intesa come progressivo inserimento del cittadino nella società, e « sull’importanza della Resistenza, come la genesi di tutti gli avvenimenti che portarono alla formazione della Costituzione »., Un altro problema tecnico, sul quale giustamente il relatore insistette a lungo, e che si rivelò uno dei motivi più fecondi di discussione, fu quello riguardante i limiti ed i doveri dell’insegnante, indotto a illustrare argo­ menti vivi ed attuali, nella trattazione dei quali è facile varcare i limiti della polemica politica. Il rischio cui si espone l’insegnante, secondo il Pieraccioni, è quello di violare la libertà degli alunni, « facendo dell’Educa­ zione Civica una palestra ” propria ” per le sue idee sociali e politiche ». « Un insegnante — aggiungeva il relatore — che riuscisse a ” tirar dalla sua ” , come si dice, tutti i suoi scolari sarebbe un pessimo insegnante, come quello che non è riuscito a formare una qualsiasi personalità nei suoi sco­ lari ». Il prof. Pieraccioni, concludeva la sua relazione con un altro spunto « tecnico » che troverà poi vivamente favorevoli tutti i congressisti : augu­ randosi, cioè, che i testi di Educazione Civica, nella loro generica astrattezza, fossero sostituiti da un unico testo, fondamentale, quello della Costituzione italiana, che va resa familiare ai giovani, come già avviene nei paesi più progrediti. Il testo della Costituzione, opportunamente commentato, do­ vrebbe essere fornito gratuitamente ad ogni giovane studente. Il Convegno di Firenze sulla Resistenza e la Scuola 85

La relazione Visalberghi, pur prendendo in esame i problemi dell’in­ segnamento dell’Educazione Civica da un punto di vista più generale, non ha mancato di far riferimento alle questioni che già erano apparse come i punti focali delle precedenti relazioni. Il Visalberghi, infatti, chiarendo al­ l’inizio la necessità di attuare una « interconnessione stretta » tra l’insegna­ mento della storia e quello dell’Educazione Civica, rispondeva indiretta­ mente anche agli interrogativi posti dal Pieraccioni. Come ben faceva no­ tare il relatore, « altra è la storia che registra un passato imbalsamato, altra è l’educazione civica fatta scaturire dall’osservazione attenta dell’evoluzione storica degli istituti sociali e politici, altra la semplice presentazione e illu­ strazione di un complesso di norme costituzionali e di diritto ordinario, studiate nella loro statica fissità... Solo un’educazione civica che abbia colto nel movimento concreto della storia il senso effettivo delle norme e degli istituti forma una vera coscienza democratica, mentre il più minuto studio giuridico formale non basterà mai a questo compito ». L ’« interconnessione » delle due discipline, che sola è in grado di attribuire loro un significato concreto al di là degli schemi, va quindi attuata a tutti i livelli dell’insegna- mento, perchè l’educazione civica così intesa, prima di essere un complesso di norme costituzionali riferibili unicamente alla nostra storia recente, è un atteggiamento spirituale che deve permeare di sè tutta la storia via via appresa. Se è vero —• come già vollero il Croce ed il Dewey, citati dal relatore — che lo storico « muove da problemi presenti e da interessi attuali di natura etico-politica e cerca nell’indagine storica un’illuminazione e una chiarificazione », va tenuto presente che l’atteggiamento con cui l’allievo si accosta alla storia è « in parte analogo a quello che siamo disposti a rico­ noscere come proprio dello storico ».

Un altro punto, sul quale si è soffermato a lungo il prof. Visalberghi, riguarda la delicatezza del compito dell’insegnante, costretto a trattare una materia viva ed attuale, senza forzare quella « libertà » dell’allievo che tanto stava a cuore al prof. Pieraccioni. Secondo il Visalberghi, un avvio alla soluzione del problema può essere dato dalla distinzione tra educazione politica, intesa a chiarire le tesi contrapposte, e propaganda politica, che tende « per lo più ad annebbiare tutte le tesi che non siano la propria ». Distinzione, questa, che può valere in sede teorica, ma è ben diffìcile sul piano dell’attuazione pratica, tanto che lo stesso relatore si è visto costretto a precisare (per non cadere nell’« obbiettivismo » già stigmatizzato dal Bat­ taglia), che quell’imperativo di tolleranza era « da dubitarsi potesse valere anche nei confronti di posizioni che sono la negazione di ogni equanimità e di ogni tolleranza, come quelle di tipo fascista ». Questa asserzione chiariva un altro punto, piuttosto controverso, rimasto implicito nelle tre relazioni, ma strettamente connesso con la questione della « libertà dell’allievo ». L ’educazione civica, posto che sia insegnata nel modo più adatto, concepita come « atteggiamento spirituale » e non come schema mnemonico, deve essere soltanto formale o contenutistica? Deve cioè formare nel giovane solo un’attitudine generica, o porre i fondamenti di una ideologia, sia pur vaga e « apartitica »? Sembra un problema ozioso, anche perchè un atteg­ giamento democratico e tollerante è già ovviamente, il prodotto di una 86 Il Convegno di Firenze sulla Resistenza e la Scuola certa ideologia, o, quantomeno, il risultato della negazione sistematica di altre ideologie avverse alla democrazia. Tuttavia, benché appaia privo di senso ad un esame teorico, il problema si è posto in tutta la sua evidenza, quando il prof. Pieraccioni ha fatto riferimento a qualche caso della sua esperienza personale di insegnante. Rientra nei diritti dell’insegnante, il « convertire » al metodo democratico degli alunni fascisti? La conclusione del Pieraccioni era negativa : « alla fine dell’anno, ebbi però la soddisfa­ zione di aver educato dei buoni fascisti », fu pressappoco il tenore della sua dichiarazione. Ma il prof. Visalberghi obbietterà (proprio per salvare il contenuto dell’insegnamento) che la tolleranza va applicata solo nei con­ fronti di interlocutori e di tesi tolleranti, cioè democratici: come chiarirà più tardi anche il Preside Betta, esiste una sorta di contraddizione in termini nella frase « buoni fascisti ». I due problemi su accennati, quello cioè riguardante il posto da asse­ gnare all’Educazione Civica nell’ambito deH’insegnamento della Storia, e quello concernente i rapporti tra libertà deH’alunno ed autonomia dell’in­ segnante, sono stati i più dibattuti anche nel corso della successiva discus­ sione, che è stata feconda di motivi chiarificatori, grazie agli interventi di numerosi insegnanti ed uomini di scuola. In chiusura, è stata approvata all’unanimità una mozione che riassume e puntualizza le indicazioni di massima emerse nel corso del Convegno, e che qui riportiamo per intero.

MOZIONE APPROVATA AL CONVEGNO DI FIRENZE dell’ii - 12 aprile 1959

Il Convegno sulla Resistenza e la scuola organizzato dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana, preso in esame il problema dell’insegnamento della storia della Resistenza e della seconda guerra mondiale, nonché dell’educazione civica nelle scuole secondarie, udite le tre relazioni sugli aspetti fondamentali del problema stesso e relative ampie discussioni, prende atto — che finalmente l’introduzione dell’Educazione Civica viene in­ contro al voto di tutti gli educatori e uomini di cultura democratici e ai voti più volte espressi dai due rami del Parlamento e risponde insieme a una esigenza fon­ damentale della nostra Costituzione e della coscienza civile di tutti i popoli; osserva tuttavia — che i modi affrettati di alcuni atti dell’amministrazione scola­ stica, dalle infelici disposizioni sulla adozione dei libri di testo, alle norme direttive premesse ai programmi stessi, non possono non sollevare gravi perplessità negli uomini della scuola; deplora — che nei testi scolastici — fatta eccezione per alcuni pochi degni di particolare apprezzamento — si fornisca una visione della storia contemporanea spesso reticente, talvolta ambigua, in certi casi anche dichiaratamente deformata e persino opposta alla obiettiva realtà dei fatti e tale da generare nei giovani l’incertezza e la sfiducia nelle istituzioni fondamentali della repubblica; rileva altresì — che l’insegnamento della storia nei vigenti programmi scolastici resta tuttora fermo al 1918, unico esempio nelle scuole di tutta Europa, senza far cenno alcuno agli avvenimenti successivi e all’origine stesso della nostra Costituzione;

fa voti:

1) che i programmi di storia del triennio terminale degli Istituti medi superiori siano convenientemente ridimensionati in modo da ottenere un loro ordinato e com­ Il Convegno di Firenze sulla Resistenza e la Scuola 87 pleto svolgimento, reso finora impossibile dall’ineguale distribuzione della materia, iniziando comunque il programma dell’ultimo anno non prima degli avvenimenti at­ torno al 1870; 2) che in questi stessi programmi — conformemente a una ininterrotta tradizione della scuola pubblica fondata nel Risorgimento — trovino il loro svolgimento ordinato gli avvenimenti successivi al 1918 fino ai nostri giorni, almeno fino all’entrata in vigore della nostra Costituzione; 3) che nejlo svolgimento di questi programmi trovino giusto posto l’opposizione al fascismo, la Resistenza italiana e la lotta di liberazione, da cui la Costituzione della Repubblica trae contenuto e ispirazione, sviluppandone lo studio sulla base del metodo critico e nel rispetto del suo spirito unitario, al di fuori di ogni interpreta­ zione particolaristica; 4) che l’educazione civica nel primo e nel secondo ciclo sia mantenuta al di fuori di ogni astratta impostazione nozionistica e che attraverso la vita democratica della scuola giunga realmente alla « formazione » del futuro cittadino, abituato alla coscienza delle sue responsabilità civili e sociali e trovando il suo momento culmi­ nante educativo nel testo stesso della nostra Costituzione; 5) che i testi di educazione civica nei quali la carta fondamentale della Repub­ blica e dei cittadini è commentata in modo esplicitamente e illegalmente avverso allo spirito e alla lettera della Costituzione stessa e agli ordinamenti democratici, vengano nei modi previsti dalle leggi vigenti esclusi dalla adozione; 6) che nell’opera di educazione del cittadino la scuola si preoccupi di evocare e di raccogliere le forze da cui finora i cittadini hanno derivato la loro formazione, curando il contatto vivo e costante di docenti e discenti con tutte le istituzioni in cui si sostanzia la nostra Repubblica democratica e sollecitando con ogni mezzo la collaborazione delle famiglie all’opera della scuola;

constatato infine che soprattutto per il difetto dell’insegnamento della storia contemporanea i docenti e coloro che si avviano a diventarlo debbono assolvere il loro compito senza avere una precisa informazione sulla materia, si augura — che vengano organizzati per insegnanti e aspiranti insegnanti dei corsi di aggiornamento e perfezionamento distinti per i vari ordini di scuola, prefe­ ribilmente sotto forma di seminari, la cui frequenza sia poi giustamente considerata ai fini della graduatoria. A. P.