COVID19 Review 2020 Serie settimanale 2° n. 35 del 25.06.2021

Notizie, articoli, trials, ricerche e dati sulla pandemia Covid 19

A cura di Giorgio Banchieri, Antonio De Belvis, Maurizio Dal Maso, Nicoletta Dasso, Lidia Goldoni, Stefania Mariantoni, Mario Ronchetti, Andrea Vannucci.

Review realizzata in collaborazione con:

1

Nota redazionale.

I materiali (articoli e dati) vengono selezionati da fonti accreditate:

. Per gli articoli: The Lancet, British Medicine Journal, The New York Times, Science, Nature, Oxford Review, Cambridge Review, Quotidiano Sanità, Il Corriere della Sera, Il Sole 24Ore Sanità, La Repubblica e altri; Per le Istituzioni:

. WH0/OMS, UE Centri di Prevenzione; OCDE, ONU, Protezione Civile, ISTAT, INAIL, Ministero Salute, ISS, AGENAS, CNR, Regioni, ARS, ASL, AO, AOP, IRCCS, Centri Studi e ricerche nazionali e internazionali e altri; Per i dati:

. WH0/OMS, UE Centri di Prevenzione; OCDE, ONU, Protezione Civile, ISTAT, INAIL, Ministero Salute, ISS, AGENAS, CNR, Regioni, ARS, ASL, AO, AOP, IRCCS, Centri Studi e ricerche nazionali e internazionali e altri; Criteri di selezione:

I materiali sono scelti in base ai seguenti criteri: Materiali di analisi recenti; Fonti accreditate; Tematiche inerenti a COVID19; Procedure internazionali e nazionali; Studi e ricerche epidemiologici; Studi su procedure per operatori sanitari e sociali; Linee Guida internazionali, nazionali e regionali; Linee Guida di società scientifiche e professionali. Le traduzioni sono fatte in automatico con il software “google” per rapidità di fruizione. Ci scusiamo se le traduzioni non sono sempre adeguate, ma riteniamo più utile la tempestività di divulgazione. Si ringraziano l’Editore COM SRL di Roma per il supporto Si ringrazia la Dr.ssa Giulia D’Allestro per il database repository.

I curatori

Giorgio Banchieri Segretario Nazionale del CDN ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale; Docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Progettista e Coordinatore Didattico dei Master MIAS, MEU e MaRSS, Università “Sapienza” Roma; Già Direttore dell’Osservatorio della Qualità del SSR del Molise; Docente ai master e Direttore di progetti di ricerca e di consulenza organizzativa e gestionale in aziende sanitarie (Asl e AO) presso la LUISS Business School di Roma, presso L’Università Politecnico della Marche, presso Università del Salento; Direttore di www.osservatoriosanita.it; già Direttore FIASO, Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, membro Comitato Programma Nazionale Esiti – PNE; Membro Comitato del Tavolo Tecnico AGENAS e Regioni Re.Se.T., Reti per i Servizi Territoriali.

2

Antonio Giulio de Belvis Membro di ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale. Ricercatore medico e Professore incaricato in Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore dal 2002. Dal 2009 al 2012, Coordinatore e Segretario Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e curatore del Rapporto Osservasalute, dal 2011 è referente per l’Italia dello European Observatory on Health Care Systems and Policies e co- autore del report “HIT-Italy” 2014. Dal 2012 è Direttore della UOC “Percorsi e valutazione degli outcome clinici” della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli”.

Maurizio Dal Maso Membro di ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale. Ha svolto la sua attività professionale come medico clinico dal 1979 al 1999. Successivamente come medico di Direzione sanitaria e Project Manager aziendale, Direttore Sanitario aziendale, Direttore Generale e Commissario straordinario. Dal luglio 2019 svolge attività di consulente in Organizzazione aziendale e formatore in Project Management per Accademia Nazionale di Medicina.

Nicoletta Dasso Infermiera pediatrica presso l'IRCCS Istituto G. Gaslini di Genova. Conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze della Salute, Curriculum Nursing presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova.Membro di ANIARTI, Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica, e della SISI, Società Italiana di Scienze Infermieristiche

Lidia Goldoni Direttrice www.perlungavita.it., giornalista pubblicista, consulente servizi anziani e disabili, consulente per l'organizzazione e la gestione dei servizi sociosanitari, coordinatrice scientifica Forum sulla non autosufficienza, direttrice rivista Servizi sociali oggi, Rivista sulle politiche sociali e sanitarie e i servizi per le persone, già dirigente amministrativo del Comune di Modena, Dirigente servi sociali e assistenziali per anziani

Stefania Mariantoni Membro di ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale. Dirigente psicologo ASL Rieti. Psicoterapeuta. Componente del Board scientifico dell’Osservatorio Psicologico in cronicità dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. Componente Comitato Scientifico ECM di Laziocrea. Docente Master II Livello in formazione manageriale per dirigenti di Unità Operativa Complessa Istituto “Carlo Jemolo”. Esperta in integrazione sociosanitaria. Membro di tavoli tecnici sociali e sanitari Regione Lazio. Già Coordinatore Ufficio di Piano Distretto sociosanitario Rieti 5 e referente A.T. programma inteministeriale P.I.P.P.I.. Già consulente Enti Locali per Servizi alla Persona.

Mario Ronchetti Membro di ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale. Esperto di formazione e organizzazione dei servizi sanitari. Docente a contratto di Economia aziendale, Università di Tor Vergata. Consulente di organizzazione aziendale presso varie ASL e AO. Responsabile organizzazione percorsi di Formazione a Distanza per personale DEA e ARES 118. Membro Gruppo di lavoro regionale per la formazione del Middle Management del SSR. Docente in corsi di formazione ECM e Master. Già Direttore Sanitario aziendale. Blogger ProssimaMente.org

Andrea Vannucci Membro di ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale. Già Direttore dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, Coordinatore della Commissione Qualità e Sicurezza del Consiglio sanitario regionale e Rappresentante per la Regione Toscana nel Comitato Scientifico del Programma Nazionale Esiti – PNE. Ad oggi Membro del Consiglio Direttivo di Accademia nazionale di Medicina e co-coordinatore della sezione Informazione Scientifica e Innovazione, Direttore Scientifico del Forum sistema salute 2019 e 2020; Vice Presidente di AISSMM - Associazione Italiana di Medicina e Sanità Sistemica; Professore a contratto per l’insegnamento di Organizzazione e programmazione delle aziende sanitarie del corso di laurea in Ingegneria gestionale dell’Università di Siena.

Contatti. [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected], [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]. 3

Indice:

[ASIQUAS] Position Paper 2020 - Per una Sanità Pubblica in Italia… anche dopo il Covid-19. 7 [ASIQUAS] ASIQUAS: “La salute come precondizione per uno sviluppo sostenibile ed equo” 15 Dati Covid19 ad oggi 20 [Gedi Visual] I dati della pandemia nel mondo e evoluzione della pandemia in Italia. 21 [GIMBE] Monitoraggio settimanale dell'epidemia da COVID-19 in Italia. 36 [Altems] Instant Report 56 45 Monitoraggio della pandemia 52 [Quotidiano Sanità] Monitoraggio Covid. Da lunedì quasi tutta Italia in zona bianca. Solo la Valle d’Aosta resterà gialla. Cala ancora incidenza nazionale, Luciano Fassari 53 [The Lancet] Morti in eccesso per COVID-19 e altre cause per regione, livello di degrado del quartiere e luogo di morte durante le prime 30 settimane della pandemia in Inghilterra e Galles: uno studio di registro retrospettivo, Evangelos Kontopantelis e altri 54 [MES ISSSUP] La resilienza dei SSR 56 Documenti, Linee Guida, Raccomandazioni 62 [Ministero Salute] Circolare per completamento ciclo vaccinale e uso Vaxzervria e Janssen 63 [AIFA] Uso Eparine, linee guida 65 [ISS-Min. Salute] Impatto della vaccinazione Covid19 sul rischio di infezione da SARS-COV-2 ….. 73 [WHO] Spending on health in Europe: entering a new era 83 [Ministero Salute] Annuario Statistico del SSN 2019 84 [AIFA] Tocilizumab, linee guida 86 Analisi di scenari 94 [Quotidiano sanità] In 10 anni chiusi 173 ospedali, personale ridotto di 46 mila unità, scarsi progressi sull’assistenza territoriale e sempre più spazio al privato…, Luciano Fassari 95 [The BMJ] Covid-19: fallimenti della leadership, nazionale e globale, Fiona Godlee 96 [Univ. Western Australia] Il crollo della comunicazione nella governance della vaccinazione in Italia Katie Attwell e altri 98 [Quotidiano sanità] Ma il PNRR interessa solo alle Università con gli “aziendalisti”? Claudio Maria Maffei 100 [Quotidiano sanità] Qual è la realtà ad oggi della Covid 19? Dalla variante Delta alle mascherine. Ma come stanno realmente le cose e cosa dobbiamo aspettarci? Grazia Labate 101 [La Repubblica] Bergamo: virus, spie e vaccini, Gianluca di Feo e Floriana Bulfon 104 Epidemiologia 114 [La Voce.it] La pandemia letta nei numeri della mortalità totale, Enrico Rettore 115 [AIE] L’importanza dell’accelerazione del processo di vaccinazione 118 [The BMJ] Rischio di ricovero ospedaliero per i pazienti con variante SARS-CoV-2 B.1.1.7: analisi di coorte, Tommy Nyberg e altri 121 [The NEJM] Stato anticorpale e incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 negli operatori sanitari, Sheila F. Lumley e altri 122 [The BMJ] Caratterizzazione dei tassi di incidenza di fondo di eventi avversi di particolare interesse per i vaccini covid-19 in otto paesi: studio di coorte di rete multinazionale, Xintong Li e altri 123 [The BMJ] Efficacia dei vaccini Pfizer-BioNTech e Oxford-AstraZeneca sui sintomi correlati al covid-19, sui ricoveri ospedalieri e sulla mortalità negli anziani in Inghilterra: test caso-controllo negativo, Jamie Lopez Bernal e altri 124 [Nature] Una prospettiva a lungo termine sull'immunità al COVID, Andreas Radbruch & Hyun-Dong Chang 126 [The Lancet] Associazione tra sesso e infezione da SARS-CoV-2 e ricovero in ospedale a seguito di COVID-19 Yochai Adir e altri 128

4

Diagnostica e clinica 130 [JAMA] Associazione della terapia al plasma convalescente con la sopravvivenza nei pazienti con tumori ematologici e COVID-19, Michael A. Thompson e altri 131 [The Lancet] Test dell'antigene SARS-CoV-2: soppesare i falsi positivi contro i costi del mancato controllo della trasmissione, Elisabetta Fearon e altri 132 [The NEJM] Trattamento della sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini, A. J. McArdle e altri 134 [The Lancet] Ossigenazione extracorporea a membrana per COVID-19 durante la prima e la seconda ondata Lars Mikael Broman e altri 136 Farmaci e Vaccini. 139 [The Lancet] Dosaggio del farmaco pandemico socialmente ottimale, Garth W Strohbehn e altri 140 [The Lancet] Avanti con un vaccino imperfetto, Lorenzo Pezzoli e Andrew S Azman 142 [The BMJ] Variante Delta: cosa sta succedendo con la trasmissione, i ricoveri ospedalieri e le restrizioni? Elisabeth Mahase 143 [The BMJ] Lancio globale del vaccino contro il covid-19 e sorveglianza della sicurezza: come tenere il passo Vincent Lo Re III 145 Nurse/Infermieri 147 [The BMJ] Come riposizionare la professione infermieristica per un'era post-covid, Howard Catton e altri 148 [JJNS] Conseguenze delle restrizioni alle visite durante la COVID-19 pandemia: una revisione integrativa Karin Hugelius e altri 149 [JCN] Analisi dei sintomi di salute mentale e dei livelli di insonnia degli infermieri di terapia intensiva durante la pandemia di COVID-19 con un modello di equazione strutturale, Didem Kandemir e altri 150 [Nursing open] Moderare i ruoli della resilienza e del supporto sociale sugli esiti psichiatrici e pratici negli infermieri che lavorano durante la pandemia di COVID-19, Anna E. Schierberl Scherr e altri 151 [FNOPI] Percorsi sociosanitari vicini ai cittadini: infermieri e assistenti sociali insieme la vera prossimità 152 Il Covid 19 e il sociale 154 [Salute Internazionale] Disabilità. Il doppio svantaggio, Benedetto Saraceno 155 [UK Etics] Rendere visibili gli anziani: risolvere il problema del denominatore nei dati della casa di cura, Cian O’Donovan e altri 158 [HelpAge] Giornata mondiale di sensibilizzazione sugli abusi verso gli anziani, Andrea Muti 163 [La voced.it Lezioni da cinque epidemie per capire il post-Covid, Johannes Emmerling 165 [Openpolis] Emergenza Covid e neet: una generazione a rischio#conibambini 166 Il “dopo” Covid19 Vision, Impatti economici e sociali 172 [Pcdm] Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - 2.7. Missione 6: Salute 173 [Forum D%D] Una collaborazione tra la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile e il Forum Disuguaglianze e Diversità per l’Agenda 2030 187 [Forum D&D] Italia ed Europa: uscire da un purgatorio irrisolto verso un futuro più giusto. Conversazione con Fabrizio Barca 188 [Big Data in Health] Pandemia e Big Data, ecco cosa abbiamo imparato (e cosa dobbiamo correggere nel futuro) 193 [CER] La congiuntura internazionale 196 [Big Data in Health] Primo webinar Big Data in Health Society. Dati bio-clinici: ognuno per sè o tutti per tutti? 203 [CER] Il misery index giugno 2021 205 [Biga Data in Health] La Sanità del futuro, più connessa e sostenibile, Michele Lovati 208

5

Per chi è interessato a leggere in numeri pregressi di Covid 19 Review 2020 li può trovare su:  Volume 1 dal n. 1 al n. 14: htpps://issuu.com/comsrl/docs/banchieri_1-14_rev  Volume 2 dal n. 14 al n.29: https://issuu.com/comsrl/docs/covid19_review_from_prof_giorgio_banchieri_parte_2  Volume 3 dal n. 30 al n. 34 : https://issuu.com/comsrl/docs/covid19_review_from_prof_giorgio_banchieri_e_andre  Volume 4 dal n. 35 al n. 60: https://issuu.com/comsrl/docs/covid19_review_parte_4_from_banchieri_e_vannucci  Volume 5 dal n. 16, Prima serie settimanale: https://issuu.com/comsrl/docs/weekly_series_covid19_review_2020_published  Volume 6 dal n. 1 al n. 4, Prima Serie quindicinale; www.asiquas.it  Volume 7 dal n.1 al n. 30, Seconda Serie Settimanale; www.asiquas.it

Tutti i numeri pregressi sono reperibili su: www.asiquas.it Per leggere le monografie: www.asiquas.it

 Monografia 1 – Tomas Pueyo –The Hammer and the Dance  Mpnografia 2 – On Covid19 pandemic data  Monografia 3 - Ethic and Equity  Monografia 4 – Tomas Pueyo – Formaggio svizzero  Monografia 5 – Vaccini Covid19 1  Monografia 6 – Vaccini Covid19 2  Monografia 7 – Residenze e Covid 19  Monografia 8 – Covid19 e Salute Mentale

6

Position Paper ASIQUAS 2020 Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale,

ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale, in continuità con le attività scientifiche di SIQUAS-VRQ, di cui è erede e di cui fanno parte operatori del mondo sanitario e socio- sanitario, intende esprimere, in continuità con le proprie iniziative di ricerca sull'organizzazione, valutazione e miglioramento dei servizi sanitari e socio-sanitari, una propria posizione per il futuro della sanità pubblica in Italia. I punti che ASIQUAS propone sono decisivi e intendono focalizzare gli snodi di intervento rispetto alle contraddizioni e deficienze del sistema sanitario nazionale che proprio la situazione di crisi pandemica ha messo sotto la lente di ingrandimento.

Oggi, più che mai, il governo e le parti politiche devono affrontare temi importanti quali: 1. Adeguatezza delle risorse economiche per il Servizio Sanitario Nazionale anche in base ai bisogni reali di salute della popolazione e all'innovazione tecnologica e, quindi, accedere al MES e al NextGenerationUE come unica e irripetibile occasione di riportare il Sistema Sanitario Italiano agli standard dei principali sistemi sanitari europei; 2. Sviluppare e promuovere l’integrazione operativa tra i diversi LEA (ospedaliero, territoriale, prevenzione) e ridefinire i modelli regolativi degli ospedali e delle strutture intermedie e delle reti territoriali; 3. Sviluppare le strutture intermedie di assistenza sia “specialistiche” che “generaliste” in un'ottica di filiere assistenziali pubblico/privato con una modellizzazione uniforme tipo quella individuata con il Tavolo Re.Se.T. Ministero/AGENAS/Regioni; 4. Riorganizzare i servizi territoriali, le cure primarie, il loro potenziamento e la loro integrazione rafforzando i Distretti anche attraverso la connotazione come Agenzie di “continuità assistenziale”, e sciogliendo in assoluto il nodo “storico” di ruolo e di rapporto con i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali, in una visione unitaria delle cure primarie (verso una medicina di comunità); 5. Sviluppare una normativa sull'integrazione sociosanitaria con basi strutturali comuni per tutte le Regioni al fine di superare le “bolle” di iniquità sanitarie e sociali esistenti 6. Riorganizzazione dei Corsi di Laurea di Medicina e di specialità, di Scienze Infermieristiche e delle altre professioni sanitarie con migliori approfondimenti ed esperienze di sanità pubblica, degli aspetti relazionali con utenti/pazienti e di intervento sociosanitario; 7. Lavorare alla Convergenza di sistemi informativi adeguati e uniformi a livello nazionale con una cabina di regia unica Stato-Regioni per il coordinamento degli interventi; 8. Garantire l’acquisizione, la produzione e l’autosufficienza per farmaci e tamponi per DPI (dispositivi di protezione individuali) per operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia. Di seguito le motivazioni che ASIQUAS porta a supporto dell'inderogabilità di affrontare questi temi, con lo scopo di rendere rinnovato, sostenibile e competitivo il Sistema Sanitario Italiano. 7

Position Paper ASIQUAS 2020 Per una Sanità Pubblica in Italia… anche dopo il Covid 19.

La pandemia/sindemia Covid19 ha messo in evidenza i “nodi” strutturali e organizzativi dei Servizi Sanitari Regionali e del SSN nel suo insieme. Da qui occorre ripartire per dare una risposta di sistema che riveda il SSN profondamente rinnovato e sostenibile. Serve un coordinamento nazionale e UE delle Policy di contrasto alle pandemie.

Lo scenario I ricercatori avevano già messo in allarme le istituzioni internazionali e la comunità scientifica su possibili “zoonosi”, ovvero salti di specie da animali a uomo sul tipo della SARS, quelli che si chiamano “spillover”1. Studi e ricerche nel 2018 e 2019 paventavano, per i gravi cambiamenti climatici dell'ambiente, la creazione di condizioni perfette per lo sviluppo delle zoonosi2. Alla fine è arrivato la Covid19 che è mutante3, ha già avuto 38 modifiche dal suo insorgere e altre ne avrà probabilmente, è ormai pandemica e suo malgrado dovremo conviverci a lungo. Saranno probabilmente più cicli intramezzati da probabili “lockdown” totali o parziali. L’OMS è arrivata ad affermare che probabilmente sarà un’ondata unica grande ed estesa nel tempo, con alti e bassi, che è esattamente quello che era previsto nell'altro modello predittivo fatto dall’Imperial College di Londra4, che ha individuato altri elementi caratteristici del virus. Ora sappiamo che la pandemia è diventata planetaria, coinvolge tutti i paesi. Al 10 dicembre l’OMS riporta oltre 68milioni di casi confermati (Americhe 29.139394; Europa 20.869.839; Sud-est asiatico 11.237.814; Mediterraneo orientale 4.408.403; Africa 1.571.911; Pacifico occidentale 937.772 e1.557.385 morti. In Europa i paesi maggiormente colpiti sono la Francia con 2.269.668casi confermati e 55.986 decessi, la Spagna con 1.702.328 casi confermati e 46.646 decessi, il Regno Unito con 1.750.245 casi confermati e 62.033 decessi, l’Italia con 1.757.394 casi confermati e 61.240 decessi e la Germania con 1.218.524 casi confermati e 19.932 decessi. In Europa, quindi, abbiamo superato i 20 milioni di casi e quasi 500.000 morti “diretti” e forse anche di più di morti “indiretti” (cronici e acuti che non hanno ricevuto le cure necessarie in tempo). Le previsioni prevedevano una “seconda ondata” per fine autunno in concomitanza con l’epidemia influenzale. Abbiamo invece registrato uno sviluppo di Covid19 con un mese e mezzo di anticipo sul previsto e con indici Rt allarmanti con un’attenuazione alla fine dell’anno. Peraltro quanto sopra si sovrappone ad una realtà in cui vi è un costante prevalere delle patologie croniche e delle poli patologie (soprattutto negli anziani) nonché un costante sviluppo tecnologico con i suoi relativi costi, che ripropongono la necessità di garantire la sostenibilità del sistema sanitario nel suo complesso. Inoltre il rischio pandemico, aumenta le diseguaglianze nella salute tra le popolazioni, con crescita delle fragilità, spesso “proxy” di cronicità, diseguaglianze sociali e disuguaglianze economiche connesse alle contraddizioni proprie del modello attuale di sviluppo di sviluppo in era di globalizzazione.

1Cattaneo E. - Che cosa è le zoonosi, un fenomeno naturale antichissimo all’origine delle pandemie. La Repubblica, 23 maggio 2020; 2Andersen, K.G., Rambaut, A., Lipkin, W.I. et al. The proximal origin of SARS-CoV-2. Nat Med 26, 450–452 (2020); 3 Fanpage.it Il coronavirus forse circola fra noi da decenni: lo suggerisce uno studio https://scienze.fanpage.it/ 2020; 4Imperial College COVID-19 Response Team The Global Impact of COVID-19 and Strategies for Mitigation and Suppression 26 March 2020; 8

Il SSN, pertanto, deve garantire diversi e omogenei livelli di risposta nell’assistenza territoriale e ospedaliera:  Bassa Complessità Assistenziale: per i pazienti asintomatici dopo la loro individuazione tramite tamponi, esami sierologici o altro e tramite la tracciabilità dei loro spostamenti e contatti prima della verifica della loro positività (risposta dei Servizi di Prevenzione delle ASL, dei MMG e degli specialisti territoriali)5;  Media Complessità Assistenziale: per i pazienti sintomatici precoci e non gravi da gestire in strutture di quarantena con vigilanza sanitaria e/o a domicilio con segregazione volontaria, ma assistita e/o risposta delle UDI dedicate, di strutture residenziali assistite specialistiche dedicate, di domiciliarità volontaria (risposta dei Servizi di Prevenzione delle ASL, dei MMG, delle UDI e dei CAD/ADI dedicati);  Alta Complessità Assistenziale: per i pazienti sintomatici gravi, spesso i soggetti più fragili per la presenza di una o più malattie, che hanno necessità di ricovero in ospedale e, in alcuni casi, di cure intensive (risposta dei Servizi Ospedalieri, in particolare unità di cura semintensive o di rianimazioni) E’, quindi, necessaria una gerarchia di livelli di risposta che coinvolgono tutte le macro aree delle ASL – prevenzione, territorio, ospedali - e la rete con le Aziende Ospedaliere, in una ottica di “Assistenza circolare” integrata e dedicata, ma anche con tutte le altre istituzioni dedicate ai servizi ai cittadini. Dovremo quanto prima ridedicarci a coloro che con questa emergenza abbiamo lasciato in secondo piano: gli ammalati di “altro”: quelli con malattie croniche6 come, ad esempio, i cardiopatici, i diabetici, i disturbi mentali, i soggetti fragili7, ma anche gli oncologici e tutti coloro che erano e sono rimasti in attesa di essere sottoposti ad interventi chirurgici non urgenti8. Siamo stati costretti a ridurre momentaneamente i servizi e i posti letto per i bisogni di queste persone. Posti Letto e servizi che per altro non erano esuberanti, ma già con una disponibilità molto “efficientata”. Abbiamo aggiornato e implementato il Frame Work scientifico della nostra Associazione9.Partendo dai suoi contenuti riteniamo, quindi, che occorre ripensare i modelli organizzativi e assistenziali della sanità pubblica.

Le proposte ASIQUAS in permanenza della pandemia…

Per gli impatti di Covid19 e altri virus sui SSR: a) Avere Piani Pandemici nazionali e regionali aggiornati e operabili al bisogno in tempi stringenti; b) Fondamentali sono le attività di prevenzione, testing, e tracciamento dei contagi; c) È necessario tenere separati i percorsi “No Covid19” (acuti e cronici) dai percorsi “Covid19”10; d) È necessario prevedere reti assistenziali dedicate, ovvero, una per l’emergenza e urgenza, una per l’elezione e gli interventi programmati e una per i pazienti “Covid19”, e) Gli ospedali devono specializzarsi verso gli acuti e i “Covid19”, con reti separate; f) Inoltre gli ospedali per acuti a fronte della/delle pandemie virali devono avere modelli a “fisarmonica” in grado di adattarsi in tempi brevissimi alle esigenze di salute prioritarie delle popolazioni, senza abbandonare target di pazienti cronici e poli cronici;

5 ISQUA-Oxford University, Responding to Covid19: the experience from Italy and responsability for management and prevention, International Journal for Quality in Health Care, 2020, 1-3 doi 10.108/intqhc/mraa057 – Editorial, 2020; 6JAMA Network Open. 2020;3(7):e2016933. doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.16933 - Comparison of Weighted and Unweighted Population Data to Assess Inequities in Coronavirus Disease 2019 Deaths by Race/Ethnicity Reported by the US Centers for Disease Control and Prevention Tori L. Cowger, MPH e altri, July 28, 2020; 7JAMA Network Open. 2020; L’importanza delle popolazioni di cura a lungo termine nei modelli Covid-19, di Karl Pillester e altri, 9 giugno 2020; 8Imperial College, London, Report 27 Adapting hospital capacity to meet changing demands during the COVID-19 pandemic, Ruth McCabe,15 June 2020 Imperial College COVID-19 response team; 9La Qualità in sanità, Frame Work scientifico di ASIQUAS, 2020; 10Imperial College, London, Report 27 Adapting hospital capacity to meet changing demands during the COVID-19 pandemic, Ruth McCabe,15 June 2020 Imperial College COVID-19 response team. 9

g) Le “prese in carico” devono essere gestite in integrazione con il mondo del sociale e con quello educativo e scolastico al fine di limitare il disagio e di accogliere adeguatamente la complessità dei bisogni di ognuno e in particolare dei soggetti più fragili, conseguentemente le competenze tecniche e relazionali degli operatori devono essere implementate in base alle esigenze assistenziali nuove che si sono verificate;

Proposte per la riorganizzazione dei SSR anche dopo la pandemia: a) Le reti territoriali devono essere diversificate e integrate tra servizi sanitari e sociali, ripensando i modelli operativi, favorendo quelli di assistenza domiciliare, di prossimità e di comunità, nonché le reti di prevenzione e screening, che anche con la pandemia hanno fatto la differenza; b) Le strutture residenziali e semiresidenziali devono essere integrate in reti “dedicate” e devono essere sviluppati a livello nazionale i loro requisiti di “accreditamento”; c) Proponiamo un approccio di “ospedale diffuso” nei territori, integrando e valorizzando le presenze sanitarie e sociali, pubbliche e private “accreditate”, la cooperazione, l’associazionismo e il volontariato. “Ospedale diffuso” in quanto anche alternativa strutturata all’ospedalizzazione tradizionale e spesso “impropria” e come strumento di coordinamento e integrazione dei servizi; d) Per favorire la connessione tra ospedale e territorio proponiamo una gestione delle reti soprattutto territoriali con una maggiore presa in carico infermieristica inserendo a pieno titolo l’attività dell’infermiere di famiglia che gestisca non solo le cronicità, ma possa effettuare interventi di promozione della salute in tutti gli ambiti di vita intercettando i bisogni di salute per il mantenimento dello stato di benessere, oltre ad attivare a pieno la funzione di case manager. e) L’inserimento di psicologi nelle Unità Territoriali e nei livelli di alta complessità assistenziale può comportare una migliore gestione della sofferenza e un rafforzamento degli altri operatori nella gestione delle relazioni e nella comunicazione, consentendo di procedere più efficacemente nei protocolli di cura; f) I sistemi di monitoraggio e valutazione devono guidare la pianificazione, l’implementazione il controllo e il miglioramento continuo e supportare il tutto; g) Dobbiamo avere anche piani adeguati per garantire l’acquisizione, la produzione e l’autosufficienza per farmaci, tamponi e DPI (dispositivi di protezione individuale) nonché per technological device a supporto degli operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia

La vision ASIQUAS: le proposte per un sistema sanitario “integrato” e resiliente anche dopo … Covid19.

1. Adeguatezza delle risorse per il Servizio Sanitario nazionale.11,12 Le statistiche Eurostat (riferite al 2016) collocano l’Italia in tredicesima posizione per la spesa sanitaria (8.9%) rispetto al PIL. In vetta si trovano Francia (11.5%), Germania (11,1%) e Svezia (11%). Considerando la spesa sanitaria per abitante in testa si trovano Lussemburgo (€ 5.600 pro capite), Svezia (€ 5.100) e Danimarca (€ 5.000 euro). Segue un gruppo di Paesi (Olanda, Germania, Austria e Irlanda) con valori tra 4.200 e 4.300 euro, un altro gruppo (Francia, Belgio, Finlandia e Regno Unito) nella fascia 3.600/3.800 euro. In Italia la spesa per abitante è stata di 2.500 euro. La spesa sostenuta privatamente (l’out of pocket) dai cittadini della Unione Europea corrisponde al 15.7% del totale. Anche in questo caso si registra una forte variabilità: es il 10% in Francia, mentre l’Italia supera la media U.E. con il 22,9%. Appare evidente che il nostro Paese a fronte di paesi a noi più vicini per

11 Vedi la “Dimensione” [1] “Accessibilità e Tempestività”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; e vedi la “Dimensione” [3] “Adeguatezza Risorse Umane, strutturali e tecnologiche”, Ibidem, 2020; 12 Vedi la “Dimensione” [12] “Soddisfazione/benessere degli operatori”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020. 10

numerosità di popolazione (nel 2016 in Germania 81.2 milioni, Francia 66.4, Regno Unito 64.8, Italia 60.4) mostra una spesa decisamente inferiore. La spesa per abitante è inferiore del 41 % rispetto alla Germania e del 32% rispetto alla Francia e Regno Unito. Non è certo con incrementi annui del fondo sanitario di 1 o 2 miliardi che si copre tale divario con le altre nazioni europee. Serve un impegno notevole e costante nel tempo adeguato ai bisogni di riqualificazione del SSN e dei SSR. 2. Sviluppare e promuovere l’integrazione operativa tra i diversi LEA (ospedaliero, territoriale, prevenzione).13,14 Erogazione dell’assistenza attraverso il potenziamento del coordinamento e della continuità della cura (assistenza/servizi coordinati e interconnessi nel tempo e coerenti con le esigenze e preferenze di salute delle persone) all’interno e tra le diverse istituzioni variamente coinvolte nell’assistenza dei pazienti15, attraverso lo sviluppo delle reti e dei percorsi assistenziali. Nei Paesi dove i sistemi sanitari sono o troppo “ospedalocentrici” o “privati”(USA) la differenza di risposta alla Pandemia di CoVid19 ha messo in evidenza le carenze strutturali dei sistemi (carenza di risorse tecnologiche (uomini e macchine), di procedure integrate, con un disegno della dotazione di posti letto da rivedere (medicina d’urgenza e sub intensiva). Anche in Italia i SSR che hanno modelli di “integrazione diffusa” (Desease Management e Modello Kaiser Permanent)1617nel territorio come Veneto e Emilia Romagna, hanno dimostrato un maggiore resilienza alla pandemia che quelli “ospedalocentrici”; 3. Conoscere i bisogni reali delle popolazioni attuali e in divenire e il loro dimensionamento per peso e volumi (demografici e sociali).18,19 Nei SSR dove si è lavorato di più nell’analisi del trend demografico e dei bisogni di salute delle popolazioni residenti si è riusciti a riequilibrare meglio l’allocazione delle risorse disponibili per singoli territori e per aree specialistiche; 4. Ridefinire i modelli regolativi degli ospedali.20,21,22,23,24 Se dovremo convivere a lungo con questo e altri “spillover” o virus derivati da “zoonosi”, dobbiamo prevedere “Piani Pandemici” e per maxi emergenze aggiornati e realistici in grado di cambiare finalizzazione e ruolo delle strutture sanitarie in funzione delle caratteristiche della minaccia di salute da affrontare. Ovvero, avere modelli organizzativi e strutturali “modulari”, come già indicato nel DM 7025, in grado di rispondere tempestivamente a variazioni anche repentine della domanda essere assemblati nel modo più utile e efficace.

13 Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 14 Vedi la “Dimensione” [12] “Soddisfazione/benessere degli operatori”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020 15 WHO (2018) - Continuity and coordination of care A practice brief to support implementation of the WHO Framework on integrated people-centred health services. (N.d.R.: modificato); 16Kanter MH, Lindsay G, Bellows J, Chase A. “Complete Care at Kaiser Permanente: Transforming Chronic and Preventive Care”. The Joint Commission Journal on Quality and Patient Safety 2013; 9 (11): 484-494(11). 17 Gavino Maciocco, Piero Salvadori, Paolo Tedeschi – “Le sfide della sanità americana. La riforma di Obama. Le innovazioni di Kasier Permanente” - Il Pensiero Scientifico Editore, 2009; 18 Vedi la “Dimensione” [2] “Accettabilità, centralità ed empowerment del paziente, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 19 Vedi la “Dimensione” [13] “Soddisfazione dei pazienti”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 20Vedi la “Dimensione” [4] “Appropriatezza clinica”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 21Vedi la “Dimensione” [5] “Appropriatezza organizzativa e trasparenza”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 22Vedi la “Dimensione” [7] “Efficacia”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 23Vedi la “Dimensione” [8] “Efficienza”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 24Vedi la “Dimensione” [11] “Sicurezza”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020. 25Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 - Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera – Allegato 1, § 1.2. 11

5. Sviluppare le strutture intermedie sia “specialistiche” che “generaliste” in un'ottica di filiere assistenziali pubblico/privato con una modellizzazione uniforme tipo quella individuata con il Tavolo Re.Se.T. Ministero/AGENAS/Regioni.26,27 Occorre superare l’eterogeneità dei modelli organizzativi delle cure intermedie e territoriali e delle reti di cure primarie (MMG, PLS e specialisti territoriali), per uniformare la qualità, l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni in un approccio di “garanzie” di accesso ai LEA, che oggi sono fornite a “macchia di leopardo” nei territori delle singole ASL. Senza un grande sforzo di riorganizzazione è difficile rendere uniformi i sistemi di valutazione dei pazienti, le tipologie di servizi “erogabili” realmente e i conseguenti impegni di personale e risorse tecnologiche e la condivisione dei dati per diagnostica e assistenza a distanza. In questo contesto si colloca il tema della ridefinizione del ruolo dei Distretto socio sanitari delle ASL. Sia ridefinendone le funzioni: valutare i bisogni; promuovere la salute; alfabetizzazione sanitaria; intervenire proattivamente (sanità d’iniziativa); organizzare i servizi; garantire la continuità delle cure; impedire la segregazione delle persone non-autosufficienti. Sia implementando le “Unità complesse di cure primarie” (UCCP); la dotazione nei territori di strutture socio-sanitarie fisiche adeguate; la modernizzazione delle infrastrutture digitali. 6. Riorganizzare i servizi delle cure primarie, il loro potenziamento e la loro integrazione con quelli territoriali della ASL, rafforzando i Distretti e la loro connotazione come Agenzie di “continuità assistenziale” verso la popolazione dei territori.28,29,30 Occorre potenziare le reti di “Case della Salute” o simili che vedano un’integrazione dei servizi distrettuali socio sanitari, delle forme associative dei MMG, PLS e Specialisti territoriali e degli infermieri di famiglia e delle ADI, nonché dei Punti di primo Soccorso e dei Servizi Sociali dei Comuni e delle loro forme associative. Senza forti reti territoriali “integrate” non si supera la centralità degli ospedali nei SSR. La riorganizzazione deve altresì adottare criteri di idonea localizzazione rispetto ai cittadini e ai pazienti a cui è diretta, accessibilità e funzionalità degli spazi. Sciogliere il nodo “storico” di ruolo e di rapporto con MMG, PLS e specialisti territoriali, da parte dei SSR, ridefinendone ruoli e competenze in una visione unitaria delle cure primarie e della prevenzione31.È necessario ripensare se il “sistema di convenzionamento” in vigore è ancora adeguato o meno, se il “massimalismo” ha contribuito a trasformare i MMG e PLS spesso prevalentemente in “prescrittori”, impedendogli di sviluppare adeguati livelli di “clinica” di base. Occorre affrontare il tema se si deve continuare a regolare il rapporto con questi professionisti sanitari in “convenzione” o con altre soluzioni contrattuali che li portino a essere parte attiva dei SSR. 7. Ridefinire gli aspetti dell’integrazione sociosanitaria e del rapporto con gli ambiti territoriali, mai come ora necessaria per il supporto alla popolazione fragile e per i servizi domiciliari a favore delle persone in isolamento.32,33 L’integrazione socio sanitaria deve partire dall’ordinamento dello Stato superando la divisione delle competenze sanitarie e sociali attribuite a Ministeri nazionali e Assessorati regionali diversi34. Sui territori gli operatori sanitari e sociali devono lavorare insieme, come spesso già oggi fanno, e soprattutto operare sugli stessi pazienti. Questa divisione di competenze crea inevitabilmente modelli di servizi difformi, tipologie di risposte non coordinate, spreco di risorse, per altro limitate,

26Pesaresi F.: Covid-19 nelle strutture residenziali per anziani in Italia. I Luoghi di Cura (on line) n. 2 – 2020; 27Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 28Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 29Vedi la “Dimensione” [12] “Soddisfazione/benessere degli operatori”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 30Vedi la “Dimensione” [13] “Soddisfazione dei pazienti”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 31Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 32Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 33Vedi la “Dimensione” [14] “Umanizzazione dell’assistenza”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 34 Apicella A, Banchieri G., Di Stanislao F. e Goldoni L. “Requisiti di qualità nella integrazione tra sanità e sociale”, Raccomandazione SIQUAS VRQ sulla ”Integrazione sociosanitaria”, Franco Angeli Editore 2013, Roma. 12

burocrazie parallele e disservizi verso i cittadini/pazienti. Integrare e riqualificare, recuperando efficacia, appropriatezza, qualità e sicurezza delle cure ed efficienza di allocazione delle risorse sono gli imperativi assoluti oggi. Le “prese in carico” devono tendere alla massima integrazione con il mondo del sociale e con quello educativo e scolastico al fine di limitare il disagio e di accogliere adeguatamente la complessità dei bisogni di ognuno e in particolare dei soggetti più fragili. 8. Sviluppare una normativa “integrata sociosanitaria” in tutte le Regioni con basi strutturali comuni che abbandoni per sempre le bolle sanitarie e sociali distinte e finora poco comunicanti tra loro per superare le iniquità esistenti.35,36 La popolazione dei territori ha sue specificità e vede una crescita esponenziale di cittadini over 65 cronici e poli cronici e spesso fragili per contesto sociale e per reddito a cui inevitabilmente occorre garantire sostegno, presa in carico, continuità assistenziale e accompagnamento nel tempo. Spesso la divisione tra servizi sanitari e sociali creano “bolle” di bisogni non gestite. Spesso la fragilità sociale e economica è un “proxy” di cronicità varie. Per superare questa situazione è necessario un lavoro di uniformazione normativa a livello nazionale e regionale che semplifichi e unifichi reti, operatori, risorse, competenze e semplifichi procedure di accesso e di gestione. È altresì indispensabile che i servizi pubblici, sociali e sanitari, adottino- in fase di convenzionamento, concessione e accreditamento – un adeguato sistema di valutazione e una metodologia di rapporti con gli enti gestori (IPAB, privati, cooperative) di strutture residenziali con varie denominazioni (RSA, Comunità residenziali, Case protette etc) che integri la loro presenza sul territorio nella rete delle cure sociosanitarie, oltre ai posti letto resi disponibili. 9. Riorganizzazione dei Corsi di Laurea di Medicina e di specialità, di Scienze Infermieristiche e delle altre professioni sanitarie con migliori approfondimenti ed esperienze di sanità pubblica, degli aspetti psicologici e di intervento sociosanitario.37 Il capitale fondamentale dei SSR sono gli operatori sanitari e socio sanitari che vi operano. La sanità, nella sua complessità, ha la massima concentrazione di laureati e specializzati del sistema Paese e incide per circa il 15% del PIL sul valore del “Sistema Italia”. Quindi il “capitale umano” dei SSR va valorizzato e qualificato in modo adeguato e finalizzato alle risposte che le reti ospedaliere e territoriali sono chiamate a dare ai bisogni di salute delle popolazioni nel loro divenire. C’è ormai un grande problema di rivedere le competenze tecniche e relazionali che devono acquisire gli operatori sanitari e sociali in base allo sviluppo delle pratiche cliniche e assistenziali. C’è un problema di aggiornamento dei contenuti dei programmi dei Corsi di Laurea in Scienze Infermieristiche e di Medicina, ma anche di quelli di altre figure professionali che ormai popolano numerose le aziende sanitarie e i SSR. Devono acquisire competenze relative al lavoro in equipe, alla gestione dei gruppi e dei conflitti, a come si pratica la leadership, a come si implementano l’empowerment, e le relazioni empatiche tra operatori/pazienti, come si curano aspetti cruciali quali informazione e comunicazione all’interno delle organizzazioni e con gli stakeholder. Acquisire principi e metodi dell’assistenza di territorio È necessario aggiornare i contenuti dei programmi dei corsi di Laurea delle professioni sanitarie e della professione medica; 10. Convergenza di sistemi informativi adeguati e uniformi a livello nazionale con una cabina di regia unica Stato-Regioni che garantisca il coordinamento degli interventi in caso di pandemie tramite anche la definizione di piani d’intervento dedicati.38,39,40

35Vedi la “Dimensione” [10] “Integrazione e continuità assistenziale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 36Vedi la “Dimensione” [9] “Equità”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 37Vedi la “Dimensione” [6] “Competenza professionale e culturale”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 38 Vedi la “Dimensione” [5] “Appropriatezza organizzativa e trasparenza”, Frame Work scientifico ASIQUAS, 2020. 39Vedi la “Dimensione” [14] “Umanizzazione dell’assistenza”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 40Vedi la “Dimensione” [13] “Soddisfazione dei pazienti”, Framework Scientifico ASIQUAS, 2020; 13

Tutte le attività di assistenza basate su un approccio integrato hanno bisogno di essere supportate da raccolta, flussi e conservazione dei dati amministrativi clinici e assistenziali condivise, con un pronto recepimento anche di quanto raccolto con le innovazioni determinate dalla telemedicina, dalla tele assistenza e tele monitoraggio. Ormai la digitalizzazione in sanità è una esigenza inderogabile. Telemedicina, teleassistenza, tele monitoraggio, tele refertazione e qualsiasi altro supporto digitalizzato sono fondamentali in presenza di pandemie virali o batteriche per garantire presa in carico, continuità e monitoraggio delle cure tramite web. La telemedicina permette l’uso ottimale delle risorse, il monitoraggio attivo dei pazienti, efficacia e appropriatezza delle cure, qualità e sicurezza per i pazienti. Oggi tutti gli applicativi esistenti sono integrabili fra loro. Non ci sono ostacoli tecnologici ai processi di integrazione e condivisione. E’ una questione di volontà politica. Occorre uniformare i sistemi informatici a livello almeno regionale per garantire stessi diritti di accesso e di cura ai pazienti. Gli operatori devono potere e sapere utilizzare in modo adeguato e efficace gli applicativi e le infrastrutture informatiche esistenti. Programmazione della produzione, dello stoccaggio e degli acquisti di vaccini e farmaci, tamponi e PPI (presidi di protezione individuale), nonché di technological device a supporto degli operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione, per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia. La presenza in Italia di numerose e qualificate aziende farmaceutiche e di medical device e consumabili è un potenziale da valorizzare e portare a sistema per garantire efficacia, efficienza, appropriatezza, qualità e sicurezza delle cure.

L'adeguatezza delle risorse e l’occasione dei finanziamenti e il ruolo della UE. Il NextgenerationUE e il MES sono due occasioni fondamentali da non perdere, ma non devono giustapporre all’esistente “altro” senza cambiare la visione complessiva della sanità pubblica. Se le imprese vanno verso modelli in rete, se i servizi possono essere attivati via web, se serve un nuovo asse produttivo basato su una economia circolare, fonti energetiche rinnovabili e green economy, occorre definire adeguatamente il ruolo del sistema sanitario come “driver” di sviluppo e di cambiamento con i settori a monte e a valle e la sua grande concentrazione di professionalità, come nessun altro settore del sistema Paese. Occorre continuare a valorizzare il ruolo degli operatori della sanità che sono il principale capitale umano del SSN e dei SSR.

Superare i modelli ospedalocentrici e crescere nei territori. Gli ospedali ad alta specialità e le terapie intensive e semi intensive non possono essere l’unica arma “letale” del sistema …. Dobbiamo mettere lo “scarpone a terra”, stare sui territori, avere un approccio di prossimità e di comunità, avere dei servizi proattivi. Tanta prevenzione e tanta “self care” supportata anche da un qualificato sviluppo degli strumenti digitali al servizio della salute. È nei territori che si gioca la battaglia contro il virus o i virus e contro le malattie croniche.

Si ringraziano per il contributo fornito alla stesura del documento i membri del CD ASIQUAS: Francesco Di Stanislao, Silvia Scelsi, Vincenzo Palmieri, Giorgio Banchieri, Caterina Amoddeo, Roberta Caldesi, Mara Cazzetta, Stefania Greghini, Susanna Priore, Susanna Sodo e i colleghi soci ASIQUAS Maurizio Dal Maso, Antonio Giulio De Belvis, Lidia Goldoni, Stefania Mariantoni, Mario Ronchetti e Andrea Vannucci.

14

Asiquas: “La salute come precondizione per uno sviluppo sostenibile ed equo” C.Amoddeo, G.Banchieri, M.Dal Maso, A.G.De Belvis, F.Di Stanislao, L.Goldoni, S.Mariantoni, M.Ronchetti, S.Scelsi, A.Vannucci La “salute” è un “bene comune” e un “bene individuale”. I comportamenti individuali impattano sulle collettività e viceversa. Lo abbiamo imparato con la pandemia e i nostri 100.000 morti sono stati il risultato anche di “pensieri brevi” della politica. Dobbiamo recuperare una concezione della “salute” come una “precondizione” fondamentale di capacitazione per uno sviluppo sostenibile ed equo

25 MAR - Con l’articolo di Ivan Cavicchi “La sinistra e la sanità: quali prospettive?”, Quotidiano Sanità ha avviato una riflessione aperta sui temi del ruolo e del significato di una sanità pubblica durante e dopo la pandemia.

La pandemia, che è diventata sindemia, creando enormi problemi di differenze sociali, diseguaglianze di reddito e crescita di povertà diffusa, ci sta ponendo di fronte a diversi “nodi”:

 Dare centralità alla sanità pubblica come “settore strategico” del sistema Paese inteso non solo nella prospettiva dell’economia e della produzione di ricchezza (PIL), ma anche come benessere e salute (BES);  Integrare le competenze ambientali gestite dall’ARPA e le competenze sociali gestite dagli EELL. Questo consentirà di rilanciare i programmi di welfare locale e il coinvolgimento del Terzo settore. Ribadire e sviluppare l’autonomia gestionale dei Distretti (sociosanitari) e verosimilmente approdare ad un modello organizzativo delle Aziende Sanitarie che tenda a superare il modello pseudo- aziendalista delle AO e delle ASL.  Sviluppare l’attività di ricerca in funzione della medicina sociale e delle patologie croniche dando pari dignità alla medicina di territorio e alla medicina ospedaliera.  Perseguire l’obiettivo di una popolazione “sana” che è una popolazione “produttiva” e tendenzialmente socialmente più equilibrata. Il benessere è un diritto individuale ed un bene pubblico.  Salute e ambiente hanno rilevato la loro intrinseca connessione. Gli “spillover” sono figli dell’urbanizzazione sfrenata e del saccheggio dell’ambiente.  Una stagione di riforme non può essere senza il rinnovamento del sistema salute e la riforma del servizio sanitario.  Ripensare, in particolare tutto il sistema di “cure” e di “care” della non autosufficienza che sappia distribuire funzioni, competenze, risorse tra i diversi livelli istituzionali perché i servizi centrali, 15

regionali e locali sappiano dare le risposte adeguate. L’integrazione socio-sanitaria è una condivisione di obiettivi, percorsi e competenze non solo di pratiche e certificazioni.  Adeguare, alla luce delle esperienze positive, i servizi, le strutture e le modalità di accesso.

La “centralità” della sanità pubblica risiede nel fatto che già oggi rappresenta, con i settori a monte e a valle, la filiera produttiva più importante in Italia. Conta oltre 1.000.000 di operatori tutti con formazione superiore che con l’indotto arrivano a circa 1.400.000. E’ il settore a più alta concentrazione di professionalità e di competenze e impatta su tutto il resto del sistema Paese. Ha un’alta propensione al rinnovamento organizzativo e tecnologico e al trasferimento veloce dei risultati della ricerca clinica e dell’innovazione digitale. E’ un “driver” di sviluppo complessivo per il Paese e tale lo dovremmo considerare.

La “salute” è un “bene comune” e un “bene individuale”. I comportamenti individuali impattano sulle collettività e viceversa. Lo abbiamo imparato con la pandemia e i nostri 100.000 morti sono stati il risultato anche di “pensieri brevi” della politica. Dobbiamo recuperare una concezione della “salute” come una “precondizione” fondamentale di capacitazione per uno sviluppo sostenibile ed equo. Siamo “sapiens”, ma anche “in sapiens”, produciamo e distruggiamo: l’1% della popolazione (Osservatorio Oxfam) del mondo concentra il 99% della ricchezza e a tutti gli altri restano le briciole. Il capitalismo non garantisce uno sviluppo sostenibile se non controllato e indirizzato. In tempi di globalizzazione torna anche il tema dello Stato nazionale e delle Unioni interstatuali (per noi l’Unione Europea) e del suo ruolo.

Papa Francesco con la sua rivoluzionaria “visione” di un Dio unico per tutti i credenti e di un mondo condiviso da preservare e di lotta alle diseguaglianze sociali ed economiche esprime un idea olistica dell’uomo e delle comunità come loro inveramento nel “prossimo”, che in questo grande momento di crisi ci offre un forte ancoraggio, al di là se si è credenti o atei, verso un nuova concezione del futuro per la nostra specie. La “Sanità pubblica” è un bene comune nel modello di welfare che vogliamo perseguire, un sistema integrato di diritti e tutela delle persone e non può essere privatizzato. Va riqualificato e reso efficace e efficiente, nonché adeguato.

ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale, a cui aderiamo, ha preso posizione in modo netto con una Position Paper “Per una Sanità Pubblica in Italia… anche dopo il Covid 19”, pubblicata su Quotidiano Sanità.

“La pandemia/sindemia Covid19 ha messo in evidenza i “nodi” strutturali e organizzativi dei Servizi Sanitari Regionali e del SSN nel suo insieme. Da qui occorre ripartire per dare una risposta di sistema che riveda il SSN profondamente rinnovato e sostenibile. Serve un coordinamento nazionale e UE delle Policy di contrasto alle pandemie.” Nel documento si assume come “visione” un insieme di proposte di difesa e rilancio della sanità pubblica partendo da: 1. Adeguatezza delle risorse economiche per il Servizio Sanitario Nazionale anche in base ai bisogni reali di salute della popolazione e all'innovazione tecnologica e, quindi, accedere ai Fondi Comunitari come unica e irripetibile occasione di riportare il Sistema Sanitario Italiano agli standard dei principali sistemi sanitari europei.

16

2. Sviluppare e promuovere l’integrazione operativa tra i diversi LEA (ospedaliero, territoriale, prevenzione) e ridefinire i modelli regolativi degli ospedali e delle strutture intermedie e delle reti territoriali. 3. Sviluppare le strutture intermedie di assistenza sia “specialistiche” che “generaliste” in un'ottica di filiere assistenziali pubblico/privato con una modellizzazione uniforme tipo quella individuata con il Tavolo Re.Se.T. Ministero/AGENAS/Regioni. 4. Riorganizzare i servizi territoriali, le cure primarie, il loro potenziamento e la loro integrazione rafforzando i Distretti anche attraverso la connotazione come Agenzie di “continuità assistenziale”, e sciogliendo in assoluto il nodo “storico” di ruolo e di rapporto con i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali, in una visione unitaria delle cure primarie (verso una medicina di comunità) e sviluppare la figura di infermiere di famiglia. 5. Sviluppare una normativa sull'integrazione sociosanitaria con basi strutturali comuni per tutte le Regioni al fine di superare le “bolle” di iniquità sanitarie e sociali esistenti. 6. Riorganizzazione dei Corsi di Laurea di Medicina e di specialità, di Scienze Infermieristiche e delle altre professioni sanitarie con migliori approfondimenti ed esperienze di sanità pubblica, degli aspetti relazionali con utenti/pazienti e di intervento sociosanitario. 7. Lavorare alla Convergenza di sistemi informativi adeguati e uniformi a livello nazionale con una cabina di regia unica Stato-Regioni per il coordinamento degli interventi. 8. Garantire l’acquisizione, la produzione e l’autosufficienza per farmaci e tamponi per DPI (dispositivi di protezione individuali) per operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia. 9. La prolungata emergenza pandemica ha rivelato sia i punti di forza che le fragilità e le inefficienze dei sistemi sanitari dei paesi colpiti, non solo dei loro meccanismi operativi ma anche delle scelte strategiche e della visione politica che ne è il presupposto.

In Italia, a partire da una altra crisi globale, quella finanziaria del 2008, tutti gli osservatori concordano che la spesa pubblica per la sanità è stata lungamente contenuta entro limiti che avrebbero dovuto bilanciare la capacità di risposta ai bisogni di salute con le esigenze di riduzione del debito pubblico. Partendo quindi dal presupposto che le risorse finanziarie del Fondo Sanitario Nazionale erano state limitate con il principale obiettivo di rientrare dal disavanzo storico del sistema e di alcune regioni in particolare, riflettiamo proprio sul ruolo politico amministrativo di quest’ultime e su quello più prettamente gestionale delle aziende e sull’operato dei manager sanitari. È noto come quest’ultimi hanno dovuto barcamenarsi tra le ristrettezze dei bilanci e le richieste delle comunità residenti nel contesto geografico delle loro aziende così come, ad un altro livello, i responsabili regionali hanno dovuto sottomettersi ai periodici riesami presso il Ministero di Economia e Finanza. Ben pochi nel mondo della sanità conoscendo le dinamiche organizzative e la qualità del flusso dei dati considererebbero l’uso dei LEA e relativi indicatori, pur migliorati negli ultimi anni, una garanzia di conoscenza adeguata e realistica della qualità ed equità delle cure erogate in Italia nelle varie Regioni. È interessante adesso, con un piano di riforma del SSN proposto, formulato dal Ministero della Salute con la finalità di irrobustire il sistema e renderlo resiliente, e che, a detta del Ministro, richiederebbe oltre 60 mld di euro d’investimenti poliennali, chiedersi a chi lo affidiamo e che caratteristiche devono avere le persone da scegliere per questo compito. Sappiamo già che le prime risposte che ci arriverebbero riguarderebbero i meccanismi di “governance” e che ci sono sostanzialmente due linee di pensiero: coloro che avversano la regionalizzazione della sanità e coloro che la difendono.

17

Da più parti si chiede un nuovo centralismo per la sanità italiana. È l’idea giusta? Perché perdere alcune delle caratteristiche del decentramento che sembrano le armi giuste proprio ora che tutti affermano che ci muoviamo in sistemi complessi che richiedono strumenti adeguati tra cui la coesistenza e lo sviluppo integrato di reti locali e reti globali? Uno dei vantaggi del decentramento è la differenziazione, la possibilità di dare risposte diverse a problemi simili tenendo conto delle caratteristiche e delle preferenze differenziate dei territori. Un altro è la sperimentazione, cioè il fatto che nei diversi territori si scelgano soluzioni diverse e che alcune di queste, rivelatesi le migliori, siano poi adottate a livello nazionale. Perché perdere queste opportunità proprio adesso che ne è stata dimostrata tutta la loro utilità? E quindi torniamo al punto, oltre ad avere abbastanza soldi e meccanismi di “governance” efficaci, abbiamo bisogno di persone competenti, intraprendenti e responsabili. Se ci sono, troviamole. Se non ci sono creiamole. Oppure, più saggiamente, facciamo entrambe le cose. Ora, la maggioranza del management sanitario è rappresentato da persone di buone competenze ma con esperienze quasi esclusivamente maturate nella dimensione della riduzione dei costi e dell’efficienza, reale o supposta tale.

Cosa c’è da imparare? A saper discernere la spesa “buona” da quella “futile”, prima di tutto. A saper vedere ed operare anche nel medio e nel lungo periodo, promuovendo e praticando la valutazione del valore dei cambiamenti e la misurazione dei risultati. Un approccio che per funzionare deve diventare prassi anche dei rappresentati della “polis”, gli eletti e gli elettori. Che cos’è la “spesa buona” in campo sanitario? Sostanzialmente investire risorse nella formazione continua per avere le competenze adeguate ai mutamenti che non solo sono profondi, ma anche rapidi e per comprendere e intraprendere l’innovazione tecnologica necessaria e disponibile. Avere le dotazioni adeguate di personale sanitario, di posti letto negli ospedali e nelle strutture intermedie, di case della salute e reti di assistenza domiciliari sono aspetti importanti per la “manutenzione” di un sistema. Aspetti spesso trascurati per i motivi che ormai sappiamo, e anche per conformismo o ignavia, ma non bastano per la vera sfida, che è quella di rinnovare e di crescere. Abbiamo detto dei manager, e dal mondo clinico cosa ci dobbiamo aspettare? In sostanza le stesse caratteristiche e sensibilità che non siano focalizzate solo sull’immediata sorte dei singoli pazienti. Un innegabile ed auspicabile patrimonio che non è mutualmente esclusivo con una visione d’insieme e un approccio scientifico, come da loro esigibile, ai cambiamenti da mettere in atto, alle direzioni da scegliere per andare laddove ci sono più opportunità, maggiori occasioni di sviluppo, migliori probabilità di successo.

Tutti siamo convinti che la buona salute di una popolazione è un importante patrimonio per un paese; è garanzia non solo di benessere fisico e psichico ma anche economico ed è un determinante di coesione sociale e consolidamento dei valori di una società democratica. Il susseguirsi di infezioni virali legate all’insorgere di “spillover” ha una progressione allarmante, per non parlare del rischio di infezioni di batteri antibioticoresistenti … E’ altamente probabile che altre sfide ci aspettano e non è detto che saranno meno gravi di Covid19. Crediamo che tutte queste considerazioni si impongano in una discussione come quella aperta da Ivan Cavicchi. Dobbiamo ripensare i nostri fondamentali”, dobbiamo aprirci a contaminazioni culturali nuove, dobbiamo avere una “visione” di ampio respiro che mobiliti le coscienze, dia identità nuove ai molti …. Crei speranza in un mondo diverso … Qui e ora.

18

La “sanità” non solo è centrale per una idea di stato e di welfare del XXI secolo, ma è anche elemento costitutivo di una visone del mondo, delle collettività, dell’uomo … Siamo esseri sociali e la pandemia ci ha fatto toccare con mano la nostra fragilità e le nostre insicurezze e le nostre debolezze “proxy” di implosione di patologie psicologiche e fisiche. Crediamo che ora dobbiamo metterci la testa e dobbiamo partire da noi stessi, rimetterci in discussione, fare rete, incontraci, riflettere, proporre … Si può anche ripartire dal basso. Se siamo in grado di fare proposte credibili. Andiamo avanti nel confronto e nella elaborazione e poi misuriamoci con la politica e le istituzioni. Ci sono grandi temi su cui confrontarci e aree di consenso da esplorare. Sta a tutti noi reagire al presente e provare a cambiarlo.

Caterina Amoddeo, Giorgio Banchieri, Maurizio Dal Maso, Antonio Giulio De Belvis, Francesco Di Stanislao, Lidia Goldoni, Stefania Mariantoni, Mario Ronchetti, Silvia Scelsi, Andrea Vannucci Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale

19

Dati Covid19 ad oggi

20

21

22

23

24

25

26

27

28

29

30

31

32

33

34

35

Osservatorio setimanale:

36

37

38

39

40

41

42

43

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile : https://coronavirus.gimbe.org

44

45

46

47

48

49

50

Per leggere il Report integrale andare su: https://altems.unicatt.it/altems-covid-19

51

Monitoraggio della pandemia

52

Monitoraggio Covid. Da lunedì quasi tutta Italia in zona bianca. Solo la Valle d’Aosta resterà gialla. Cala ancora incidenza nazionale Luciano Fassari

Dal 21 giugno anche Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Pa Bolzano, Sicilia e Toscana si uniranno a tutte le altre che sono entrate nella zona con minori restrizioni nelle scorse settimane. Cala ancora l’incidenza settimanale nazionale che scende a 17 casi per 100 mila abitanti.

17 GIU - Da lunedì 21 giugno saranno 20 le Regioni e Pa in zona bianca. Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Pa Bolzano, Sicilia e Toscana si uniranno a tutte le altre che sono entrate nella zona con minori restrizioni nelle scorse settimane. La Valle d’Aosta sarà l’unica regione a restare in zona gialla anche se il 28 giugno se dovesse confermare la prossima settimana l’incidenza dei casi sotto i 50 casi per 100 mila abitanti diventerà anche lei bianca È ancora in calo poi l’incidenza nazionale settimanale che negli ultimi 7 giorni si è attestata a 17 casi per 100 mila abitanti rispetto ai 25 della scorsa settimana.

http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=96443anosanita.it/studi- e-analisi/articolo.php?articolo_id=96443http://www.quotidianosanita.it/studi-e-

53

Morti in eccesso per COVID-19 e altre cause per regione, livello di degrado del quartiere e luogo di morte durante le prime 30 settimane della pandemia in Inghilterra e Galles: uno studio di registro retrospettivo Evangelos Kontopantelis, Mamas A. Mamas, Roger T. Webb, Ana Castro, Martin K. Rutter, Chris P. Gale et al.

Accesso Libero Pubblicato: 07 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/j.lanepe.2021.100144

Astratto

Sfondo: I decessi in eccesso durante la pandemia di COVID-19 rispetto a quelli attesi dalle tendenze storiche sono stati distribuiti in modo ineguale, sia geograficamente che socioeconomicamente. Non tutti i decessi in eccesso sono stati direttamente correlati all'infezione da COVID-19. Abbiamo studiato i modelli geografici e socioeconomici dei decessi in eccesso per i principali gruppi di cause sottostanti durante la pandemia.

Metodi: I dati settimanali sulla mortalità dal 27/12/2014 al 2/10/2020 per Inghilterra e Galles sono stati ottenuti dall'Office of National Statistics. Sono state utilizzate regressioni binomiali negative per modellare i conteggi dei decessi basati sulle tendenze pre-pandemia per i decessi causati direttamente da COVID-19 (e altre cause respiratorie) e quelli causati indirettamente da esso (malattie cardiovascolari o diabete, tumori e tutte le altre cause indirette) nel corso le prime 30 settimane della pandemia (7/3/2020–2/10/2020).

Risultati: Ci sono stati 62.321 (IC 95%: da 58.849 a 65.793) morti in eccesso in Inghilterra e Galles nelle prime 30 settimane della pandemia. Di questi, 46.221 (IC al 95%: da 45.439 a 47.003) erano attribuibili a cause respiratorie, incluso COVID-19, e 16.100 (IC al 95%: da 13.410 a 18.790) ad altre cause. I tassi di mortalità in eccesso per qualsiasi causa variavano da 78 per 100.000 nel sud-ovest dell'Inghilterra e nel Galles a 130 per 100.000 nelle Midlands occidentali; e da 93 per 100.000 nel quinto più abbiente delle aree a 124 per 100.000 in quelle più disagiate. Le aree più svantaggiate avevano i più alti tassi di morte attribuibili a COVID-19 e altri decessi indiretti, ma non c'era alcun gradiente socioeconomico per i decessi in eccesso per malattie cardiovascolari/diabete e cancro.

Interpretazione: Durante le prime 30 settimane della pandemia di COVID-19 c'è stata una significativa variazione geografica e socioeconomica nei decessi in eccesso per cause respiratorie, ma non per malattie cardiovascolari, diabete e cancro. I piani di ripresa dalla pandemia, compresi i programmi di vaccinazione, dovrebbero tenere conto delle caratteristiche individuali tra cui salute, stato socioeconomico e luogo di residenza. 54

Finanziamento: Nessuna.

Parole chiave: Mortalità, COVID-19, Privazione, Cause di morte

Ricerca nel contesto

Prove prima di questo studio I decessi durante la pandemia di COVID-19 sono stati distribuiti in modo non uniforme sia geograficamente che socio economicamente. Nel nostro precedente studio sulla pandemia di COVID-19 in Inghilterra e Galles, un quinto dei decessi in eccesso durante la prima ondata della pandemia (dal 7 marzo all'8 maggio 2020) era attribuibile a cause diverse dal COVID-19. Risposte ritardate a condizioni di salute acute e esacerbazioni di condizioni di salute preesistenti hanno portato a sostanziali aumenti della mortalità per una serie di malattie, comprese le malattie cardiovascolari e il diabete. I tassi di mortalità per alcune condizioni di salute, comprese altre malattie respiratorie infettive, sono diminuiti, mentre per cause non naturali, tra cui incidenti, avvelenamenti e suicidi, le tendenze temporali sono difficili da discernere perché trascorrono diversi mesi prima che vengano emesse inchieste coronali.

Valore aggiunto di questo studio Entro la trentesima settimana della pandemia in Inghilterra e Galles, un quarto di tutti i decessi in eccesso non era direttamente attribuibile all'infezione da COVID-19. Ci sono state ampie variazioni nei decessi in eccesso per tutte le cause tra le regioni, in gran parte guidate dai decessi dovuti a COVID-19. I tassi di mortalità più alti erano nelle Midlands occidentali e i più bassi nel sud-ovest dell'Inghilterra e nel Galles. I modelli geografici e socioeconomici delle morti in eccesso differivano in base alla causa sottostante. Mentre c'era un forte gradiente socioeconomico per le cause respiratorie e "altre" indirette, con i tassi più alti nelle aree più svantaggiate, non c'era un chiaro gradiente per le morti in eccesso per malattie cardiovascolari e diabete, né per il cancro.

Implicazioni di tutte le prove disponibili I piani futuri per gestire la pandemia, comprese le decisioni sulle fasi attuali e future del lancio della vaccinazione, dovrebbero includere la comprensione delle variazioni regionali e socioeconomiche e di come ciò abbia esacerbato le disuguaglianze sanitarie di lunga data. Le attuali strategie lo riconoscono, ma questa risposta deve essere sostenuta per affrontare le disuguaglianze sanitarie sottostanti che hanno messo alcuni gruppi a maggior rischio durante la pandemia, utilizzando sia misure di sanità pubblica che interventi socioeconomici più ampi. La pianificazione del recupero immediato e a lungo termine per le comunità e i loro servizi sanitari e sociali dovrebbe riflettere le disparità storiche e i modelli correlati al COVID-19 descritti in questo studio. https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(21)00121-6/fulltext

55

56

57

58

59

60

61

Documenti Istituzionali, Linee Guida, Raccomandazioni

62

63

64

65

66

67

68

69

70

71

IL DIRETTORE GENERALE http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato4671923.pdf

72

73

74

75

76

77

78

79

80

81

Per leggere il rapporto integrale andare su. WWW.iss.it

82

83

84

85

86

87

88

89

90

91

92

93

Analisi di scenari.

94

In 10 anni chiusi 173 ospedali, personale ridotto di 46 mila unità, scarsi progressi sull’assistenza territoriale e sempre più spazio al privato. Ecco com’è arrivato il SSN di fronte al Covid Luciano Fassari

Analisi di Quotidiano Sanità degli Annuari statistici del Ssn del Ministero della Salute relativi agli anni 2019 e 2010 che fotografano il mutamento di pelle che in 10 anni ha visto la nostra sanità sempre meno pubblica, con meno strutture ospedaliere e personale e a cui non è seguito un potenziamento adeguato del territorio sia in termini lavoratori che di servizi. Ecco come il Ssn si è presentato di fronte alla pandemia. 16 GIU - In quest’ultimo anno di pandemia molto si è detto sul disinvestimento nella nostra sanità nell’ultimo decennio. E ora con la pubblicazione del nuovo annuario statistico del Ssn del Ministero della Salute relativo al 2019 (l’anno che ha preceduto la pandemia) è possibile valutare com’è cambiato in un decennio il volto del Servizio sanitario nazionale e in che condizioni è arrivato di fronte al Covid. E così andando a confrontare il medesimo rapporto relativo al 2010 emerge con la limpidezza dei numeri la dieta forzata cui i vari Governi che si sono succediti nello scorso decennio hanno sottoposto il Ssn che in 10 anni si è ritrovato con 173 ospedali in meno, meno personale (oltre 46 mila tra dipendenti e medici convenzionati) e un’assistenza territoriale al palo con solo pochi e insufficienti progressi nell’Assistenza domiciliare integrata.

Iniziamo dagli ospedali. In 10 anni ne sono stati chiusi 173, ben il 15%. Nel 2010 tra pubblici e privati erano 1.165 mentre nel 2019 sono scesi a 992, con un taglio più marcato per quelli pubblici. In calo anche le strutture per l’assistenza specialistica ambulatoriale: erano 9.635 nel 2010 e sono scese a 8.798 dieci anni dopo. Ancora più marcato il taglio dell’assistenza Territoriale Residenziale che a fronte delle 9.635 strutture presenti nel 2010 ne conta 7.683 nel 2019. In controtendenza invece l’assistenza territoriale semi residenziale che invece vede crescere le strutture: erano 2.644 nel 2010 e sono 3.207 nel 2019. Stesso dicasi per la Riabilitativa che da 971 strutture è passata 1.141. Stabili invece i numeri per l’altra assistenza territoriale. Ma ciò che più fa effetto è che i tagli hanno riguardato il settore pubblico che nel 2019 annovera il 41,3% delle strutture totali contro il 46,4% di 10 anni prima.

Meno ospedali quindi ma anche meno posti letto: in 10 anni tra pubblico e privato sono stati tagliati 43.471 letti tra degenze ordinarie, day hospital e day surgery. In discesa anche il numero dei Consultori: ne sono stati chiusi 1 su 10 (erano 2.550 nel 2010 contro i 2.277 del 2019). Sono cresciuti invece i Centri di Salute mentale (erano 1.464 dieci anni e fa sono diventati 1.671 nel 2019).

Ma l’emorragia del Ssn pubblico non è solo strutturale. Altra nota dolente è il personale sanitario: in 10 anni si registrano 42.380 unità in meno (-6,5%). Nello specifico 5.132 medici in meno (erano 107.448 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 102.316) e 7.374 infermieri in meno (erano 263.803 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 256.429). Meno dipendenti pubblici ma anche meno medici convenzionati. I medici di famiglia dai 45.878 che erano nel 2010 sono diventati 42.428 nel 2019 (-3.450). In calo anche i pediatri (-310 in 10 anni per un totale nel 2019 di

95

7.408 unità). In frenata anche i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) che dai 12.104 che erano nel 2010 sono diventati 11.512 nel 2019 (-592). Come abbiamo visto gli anni ’10 del nuovo secolo hanno cambiato il volto del nostro Servizio sanitario che è sempre meno pubblico, ha meno strutture ospedaliere e personale a cui non è seguito un potenziamento adeguato del territorio sia in termini di uomini e donne che di servizi.

Unico dato parzialmente in controtendenza è l’Assistenza domiciliare integrata (Adi): nel 2019 sono stati assistiti 1.047.223 pazienti contro i 597.151 anche se le ore erogate per paziente sono passate dalle 22 del 2010 alle appena 18 del 2019. E in ogni caso il numero di assistiti è ancora molto inferiore a quello registrato nei principali Paesi dell’Ue, motivo per il quale anche nell’ultimo Pnrr è stato predisposto un finanziamento ad hoc per il potenziamento dell’Adi. http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=96379

Covid-19: fallimenti della leadership, nazionale e globale Fiona Godlee

DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1540 Pubblicato il 17 giugno 2021 BMJ 2021;373:n1540

Quanto erano preparati i paesi per questa pandemia? Nell'ottobre 2019 gli Stati Uniti e il Regno Unito erano in cima alla classifica mondiale secondo il Global Health Security Index. Anche l'indice di preparazione all'epidemia ha dato loro un pollice in su. Eppure entrambi i paesi sono tra i peggiori al mondo, a giudicare dal numero di morti per covid-19 o dai risultati economici. Come hanno potuto questi indici aver sbagliato così tanto? Sebbene il GHSI abbia avvertito che, nel complesso, il mondo non era ben preparato, Fran Baum e colleghi hanno concluso che una serie di ipotesi ha portato a sopravvalutare la preparazione delle nazioni più ricche, trascurando le principali debolezze sociali, politiche e geografiche che la pandemia ha così crudelmente esposto (doi: 10.1136/bmj.n91 ). Questi includevano una più ampia disuguaglianza socioeconomica, meno solidarietà sociale e sistemi sanitari pubblici più deboli che si affidano a società private (fare riferimento alla debacle privatizzata del Regno Unito, mascherata dal logo del NHS). “La lezione cruciale della pandemia di covid-19 è che una risposta efficace richiede una società che sia giusta e offra a tutti i suoi cittadini e residenti sicurezza sociale ed economica", hanno concluso Baum e colleghi. Anche il buon governo e la leadership politica devono essere presi in considerazione. Appalti corrotti e opachi hanno contaminato la risposta del governo del Regno Unito, a cui Stephen Reicher e colleghi aggiungono altre accuse: vale a dire, le tendenze dannose di questo governo verso il popolarismo, il paternalismo, l'eccezionalismo nazionale del Regno Unito e "l'anti -welfarismo” Sia gli Stati Uniti che il Regno Unito potrebbero aver rimediato ai loro fallimenti interni rafforzando la leadership globale. Purtroppo, ci sono poche prove di questo. 96

La promessa di Boris Johnson di "vaccinare il mondo" è già fallita, con le nazioni del G7 che si sono impegnate per un solo miliardo di vaccini nel prossimo anno, ben al di sotto degli 11 miliardi necessari (doi: 10.1136/bmj.n1520 ), rinunciando di fatto al loro ruolo di leader della salute globale in quella che Kent Buse e Katri Bertram chiamano una "storica opportunità mancata". La rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale sui vaccini sembra un passo successivo fondamentale, ma gli impegni di diversi paesi devono ancora essere adottati (doi: 10.1136/bmj.n1344 ). Intanto la pressione sul personale sanitario continua a farsi sentire. Affidarsi alla resilienza individuale non è chiaramente la risposta personale deve affrontare l'enorme compito di affrontare l'arretrato covid e le sfide emotive e pratiche delle liste d'attesa crescenti, che sono particolarmente gravi in Irlanda del Nord (doi: 10.1136/bmj.n1479 ). Un nuovo approccio nell'affrontare le liste d'attesa chirurgiche è benvenuto, ma deve tenere conto delle esigenze di formazione se si vuole espandere la forza lavoro in sicurezza (doi: 10.1136/bmj.n1499 ). Resta poco chiaro il ruolo della variante delta nell'ultimo aumento dei casi e dei ricoveri ospedalieri (doi: 10.1136/bmj.n1513 ), ma sono pochi i dubbi nelle menti di Deepti Gurdasani e colleghi che la diffusione nelle scuole è motivo di grave preoccupazione e richiede un'azione immediata. Alla luce di queste sfide e incertezze, il governo del Regno Unito ha preso la decisione giusta nel ritardare un ulteriore allentamento delle restrizioni. Dovremo aspettare e vedere se si possono imparare altre lezioni più difficili. https://mail.google.com/mail/u/0/#sent

Il crollo della comunicazione nella governance della vaccinazione in Italia Katie Attwell , Tauel Harper , Marco Rizzi , Jeannette Taylor , Virginia Casigliani, Filippo Quattrone, Pierluigi Lopalco

European Journal of Public Health , Volume 30, Issue Supplement_5, settembre 2020, ckaa165.036, https://doi.org/10.1093/eurpub/ckaa165.036 30 settembre 2020

Astratto Sfondo Nel 2017, l'italia ha riavviato il suo regime di vaccinazione obbligatoria, a seguito di una serie di decisioni giudiziarie sfavorevoli che hanno screditato la vaccinazione. I tassi di vaccinazione erano costantemente diminuiti per mezzo decennio, culminando in un'epidemia di morbillo. Gli studi esistenti dimostrano il ruolo dell'esitazione al vaccino, ma nessuno ha esplorato il ruolo del governo negli anni precedenti al nuovo mandato. Questo studio analizza le cause dei fallimenti nell'affrontare lo slittamento della fiducia nei vaccini in italia.

97

Metodi Ci siamo occupati di analisi qualitative di fonti primarie, borse di studio italiane e internazionali e interviste semi-strutturate con informatori chiave. Questi sono stati analizzati utilizzando il software di codifica nvivo 12. Abbiamo sviluppato uno schema informato empiricamente e teoricamente per dare un senso ai fallimenti della governance nella conoscenza e nell'azione.

Risultati Il ricorso ai mandati nel 2017 è stato innescato da una serie di eventi sfortunati, ulteriormente vanificati da lacune nelle capacità di governance. Durante il periodo 2012-2017, la governance della vaccinazione in italia non ha incluso campagne online per affrontare le preoccupazioni. I funzionari della sanità pubblica mancavano di conoscenze cruciali sulla popolazione, comprese le strategie per affrontare l'esitazione. Erano preoccupati per altri cambiamenti significativi alla governance della vaccinazione in italia, in particolare il programma di vaccinazione. Le limitate risorse finanziarie della classe politica hanno limitato la capacità dei funzionari in un contesto di austerità. Ne seguì una lacuna di credibilità, che i funzionari cercarono di colmare definendo gli italiani bisognosi di una ferma istruzione mediante la vaccinazione obbligatoria.

Conclusioni Quando la vaccinazione volontaria fallì in italia, i nuovi mandati migliorarono i tassi di copertura. Tuttavia, il lavoro sulla fiducia nei vaccini esplorato in questo studio non dovrebbe essere trascurato. La futura governance della fiducia nei vaccini richiede che siano implementate comunicazioni efficaci per affrontare la fiducia nei vaccini l'italia e altre giurisdizioni affrontano problemi di esitazione e rifiuto del vaccino.

Messaggi chiave  Analizziamo la risposta del governo italiano alla crisi di fiducia nei vaccini prima dell'introduzione dei mandati, al fine di fornire lezioni per altri governi.  Identifichiamo e spieghiamo le lacune nella capacità di governance che hanno impedito di affrontare i tassi di copertura variabili. https://academic.oup.com/eurpub/article- abstract/30/Supplement_5/ckaa165.036/5914009?redirectedFrom=fulltext

98

quotidianosanita.it Ma il PNRR interessa solo alle Università con gli “aziendalisti”? Claudio Maria Maffei, Coordinatore scientifico Chronic-On

18 GIU - Gentile Direttore, Nel dibattito sulla sanità italiana le grandi assenti continuano ad essere le Facoltà di Medicina e Chirurgia e le Università in cui operano. Finora qui su QS l’unico intervento strutturato sul PNRR di provenienza universitaria è stato quello di 16 ricercatori di 6 università italiane in cui ad essere rappresentate prevalentemente sono punti di vista non sanitari, con una netta prevalenza di competenze sui temi della economia, del management e delle politiche sanitarie. Quell’intervento è stato commentato aspramente da Cavicchi in un commento titolato, Il ritorno, non richiesto, degli aziendalisti in sanità. Io per parte mia non ho ritenuto quell’intervento un ritorno, perché quelle Università e quei ricercatori nella sanità italiana sono ben presenti. Non a caso da quei ricercatori e da quelle università vengono alcuni tra i rapporti più stimolanti sulla sanità italiana, come quelli sulle performance delle sanità regionali del Sant’Anna e del CREA di Tor Vergata e quelli di ALTEMS dell’Università Cattolica sulle risposte regionali alla pandemia o gestiscono osservatori sulla sanità italiana come la Bocconi (che produce il Rapporto OASI, Osservatorio sulle Aziende e sul sistema Sanitario Italiano), il Politecnico di Milano (innovazione digitale in sanità) e l’Università di Torino (diseguaglianze di salute). Nelle stesse università oltre che ricerca si fa anche molta formazione manageriale e sarebbe stato strano se la loro voce non si fosse sentita in occasione del PNRR. Fra l’altro questo Piano tocca in diversi punti tematiche molto vicine all’attività di queste università come il budget e la formazione manageriale. Il tema del budget viene introdotto ad esempio nella scheda tecnica del PNRR quando si parla delle due riforme previste nella prima componente del PNRR (quella relativa a Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale), passaggio in cui si include nella categoria assumptions/risks di carattere finanziario la difficoltà di operare nel SSN in accordo con il metodo di budget. Quanto alla formazione manageriale, nella componente 2 del PNRR relativa alla innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN a proposito dello sviluppo di competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali si prevede l’attivazione di un percorso formativo per i ruoli apicali degli organismi del SSN in modo da far acquisire loro le competenze e le capacità manageriali necessarie per far fronte alle attuali e future sfide in tema di salute in un approccio integrato, sostenibile, innovativo, flessibile e orientato ai

99

risultati. Per questa azione si prevede un finanziamento complessivo di 18 milioni e una popolazione bersaglio di 4500 persone. Il fatto che io ritenga legittimo ed utile la partecipazione al dibattito di “quelle” Università non equivale a sottoscrivere le loro indicazioni. Anzi, le trovo in molti passaggi fortemente discutibili, ma continuo a ritenerle utili ed anzi per certi versi necessarie: se una istituzione universitaria studia il SSN e forma i suoi dirigenti, ma non partecipa al dibattito sulla sanità, viene meno al proprio ruolo. Pare a me che venga invece meno al proprio ruolo la grande maggioranza delle Facoltà di Medicina e Chirurgia italiane e delle loro Università cui spetta il fondamentale compito di formare professionisti coerenti per competenze ed attitudini alla “nuova” sanità che si intende costruire, fortemente orientata ad una attività territoriale e a processi assistenziali ad alta integrazione interprofessionale ed interdisciplinare. E non è esattamente questo il tipo di professionisti che l’Università mediamente prepara. Del resto è lo stesso PNRR a incoraggiare questo atteggiamento “neutro” delle Università e delle Facoltà mediche visto che nella Mission 6 nemmeno le nomina, mentre degli IRCCS prevede addirittura la Riforma. Questa “neutralità” delle Università si ritrova anche a livello delle singole Regioni, dove il loro punto di vista è sostanzialmente assente anche quando le scelte di politica sanitaria dovrebbero tenere conto anche del loro punto di vista. A solo titolo di esempio, se una Regione persegue una politica di frammentazione dell’assistenza ospedaliera che si scontra con la indisponibilità di una quantità sufficiente di personale infermieristico o di medici specialisti in alcune discipline non sta anche all’Università porre il problema? Per non parlare poi dei modelli di organizzazione del lavoro e dei ruoli professionali che una sanità in evoluzione dovrebbe continuamente rivedere a partire dai processi formativi che l’Università istituzionalmente garantisce. E se non partecipa al dibattito ed alla costruzione di quei modelli e di quei ruoli che formazione può fare l’Università? E quindi le “altre” Università a minor vocazione aziendalista, ma a maggior vocazione professionale si facciano sentire sul PNRR e non solo. Nel loro caso più che di un ritorno si potrebbe parlare di un arrivo, tardivo, ma a mio parere necessario. http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=96450

Qual è la realtà ad oggi della Covid 19? Dalla variante Delta alle mascherine. Ma come stanno realmente le cose e cosa dobbiamo aspettarci? Grazia Labate

Nel campo delle pandemie e dei modelli per contrastarle non vale la lotta tra chi è più aperturista, e chi vuole più cautele, vale il principio di precauzione ed il rischio calcolato, sulla base delle evidenze scientifiche, perciò abbiamo a che fare con le conoscenze scientifiche che sono in progress e le sperimentazioni a livello di massa nei paesi più sviluppati, non già nelle regioni a più basso reddito o nelle aree più disagiate del mondo

100

18 GIU - I dati aggiornati al 17 giugno 2021 ci dicono che più di 3,8 milioni di persone sono morte a causa del COVID- 19 in tutto il mondo. I casi di COVID-19 rimangono alti in alcune parti del mondo, come l'India, dove poche persone sono state vaccinate. Secondo la Johns Hopkins University, a livello globale, ci sono stati più di 176,7 milioni di casi confermati di COVID-19 e 3,8 milioni di decessi associati. Gli Stati Uniti hanno segnalato più di 33,4 milioni di casi confermati e oltre 600.000 decessi associati. Più della metà degli adulti statunitensi sono ora completamente vaccinati. Attualmente, più di 175 milioni di persone negli Stati Uniti hanno ricevuto la loro prima dose di vaccino contro il COVID-19. Secondo il CDC, più di 146 milioni di persone sono completamente vaccinate. Nel contempo il governatore di New York Andrew Cuomo ha annunciato ieri che dal momento che lo stato ha raggiunto il 70% di vaccinazione, eliminerà le restrizioni sulla pandemia. Le persone non vaccinate devono comunque utilizzare le mascherine come da linee guida federali, secondo un comunicato stampa dell'ufficio del governatore. “Quello che ha fatto New York è straordinario. Non solo abbiamo il tasso di positività al COVID più basso negli Stati Uniti d'America, ma abbiamo raggiunto il 70% di vaccinazione prima del previsto. Abbiamo schierato con successo l'arma che vincerà la guerra”. Secondo Cuomo, a un certo punto lo stato aveva un tasso di positività al COVID-19 del 48,16%. Il governatore ha confermato che il tasso di positività è ora dello 0,40 per cento, il tasso più basso del Paese. La California ha anche revocato la maggior parte delle sue restrizioni COVID-19 ieri. Il Golden State ha posto fine ai limiti di capacità, al distanziamento fisico e, per le persone già vaccinate, ai requisiti della maschera. La riapertura della California consente alle persone vaccinate di andare senza maschere nella maggior parte delle situazioni. Questo mette lo stato in linea con i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). Le mascherine sono ancora necessarie sui trasporti pubblici, negli ospedali e nelle carceri, nelle scuole e negli asili nido, in attesa di una guida aggiornata dal CDC. L'OMS afferma che la variante Delta ora circola in 80 paesi. La variante Delta del coronavirus sta circolando in 80 paesi, secondo i funzionari dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). La variante Delta è stata identificata per la prima volta in India nell'autunno del 2020 e si è rapidamente diffusa a livello globale. La dott.ssa Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico COVID-19 per l'OMS, ha dichiarato in un'intervista pubblicata su Twitter che tutte e quattro le varianti sono più trasmissibili rispetto alla variante originale del virus. "Se può diffondersi più facilmente, più persone possono essere infettate rapidamente e se un sistema viene sopraffatto... può sovraccaricare il sistema sanitario”. Nelle ultime 24 ore in Italia sono stati rilevati secondo i dati forniti dal Ministero della Salute 1.325 casi di Covid su 200.315 tamponi processati nelle ultime 24 ore. 37 decessi, per un totale di 127.109 dall'inizio della pandemia. Il ministro Speranza ha affermato che: "Da lunedì il 99% del paese sarà in zona bianca". Sono 98.608 i malati Covid ancora attivi in Italia, sugli oltre 4,2 milioni di contagi totali dall'inizio dell'epidemia. Il numero degli attualmente positivi, con i dati di oggi (- 3.247) scende dunque sotto quota centomila, per la prima volta dal 15 ottobre 2020. Eravamo nella fase di crescita della seconda ondata che avrebbe portato, il 22 novembre, al picco con addirittura 805 mila malati attivi. Anche in primavera, ad aprile, con la terza ondata, la nuova impennata aveva portato al picco di oltre 560 mila positivi. L'estate scorsa, quella della momentanea tregua, il dato era sceso fino a 12 mila malati ancora attivi. In calo ricoveri ordinari e terapie intensive. Calano i ricoveri ordinari (-176, ora 2.888), scendono anche le terapie intensive (-27, ora 444). Il tasso di positività è allo 0,7%. Prosegue intanto l’aumento dei contagi da Covid alimentato nel Regno Unito dalla variante Delta, importata dall'India: nelle ultime 24 ore ne sono stati registrati 11.007, picco giornaliero da metà febbraio, su 1,1 milione di tamponi. Resta per ora più contenuto - grazie all'effetto dei vaccini - l'aumento dei morti, 19 oggi contro i 9 di ieri, e dei ricoveri in ospedale, il cui totale è ora di 1.227. Ma gli esperti sono cauti ed inquieti, anche se le vaccinazioni fatte sfiorano ora quota 73 milioni, con oltre 42,2 milioni di pri-me dosi (l'80,1% della popolazione adulta nazionale) e quasi 30,7 milioni di richiami. Le regioni che da noi hanno registrato più casi nelle ultime 24 ore sono Lombardia (256), Sicilia (168), Campania (167), La-zio (143) e Puglia (112).

101

Nel corso delle prossime settimane circa un milione di persone sotto ai 60 anni cui era stato somministrato il vaccino contro il coronavirus di AstraZeneca riceveranno come seconda dose un vaccino a mRNA (Pfizer-BioNTech o Moderna), in seguito alla decisione del ministero della Salute di non utilizzare più il vaccino di AstraZeneca per i più giovani. Le evidenze scientifiche delle vaccinazioni eterologhe al momento sono molto poche, è inutile negarlo. Ci sono solamente due studi che però vanno entrambi nella stessa direzione e cioè ne confermano l’efficacia. Non è la prima volta nella storia dei vaccini in cui vengono somministrati prodotti diversi per l’immunizzazione. La battaglia contro la Poliomielite, ad esempio, l’abbiamo vinta utilizzando la cosiddetta schedula mista, ovvero, somministrando due vaccini completamenti diversi. La presenza della variante Delta sul territorio italiano, è una situazione da monitorare. Quello che mi rende ottimista è il periodo storico in cui questa variante è entrata nel nostro territorio, perché in questo momento la circolazione virale è bassa. Avendo pochi casi d’infezione in assoluto, il tracciamento è più facile e molto efficiente, questo ci permette d’individuare e isolare eventuali focolai rapidamente. Durante l’estate riusciremo, inoltre, a somministrare la seconda dose alla stragrande maggioranza delle persone a più alto rischio e quindi a tenere sotto controllo il numero delle infezioni. Mentre in tutta Italia i contagi continuano a diminuire di giorno in giorno, con più della metà delle regioni in zona bianca, la variante Delta (ex indiana) inizia a circolare anche il nostro Paese. In tutta Europa, e soprattutto nel Regno Unito dove al momento la variante Delta è responsabile del 90% dei contagi e ha spinto il premier britannico a posticipare le riaperture, al 19 luglio; l’allerta resta massima. Ma vediamo in quali città e regioni ci sono casi di variante Delta e quanto è diffuso in Italia questo nuovo ceppo. Dopo i primi casi registrati in Puglia e in Veneto ad inizio maggio, legati a cittadini rientrati dall’India, l’attenzione nei confronti della variante Delta è rimasta altissima e le autorità hanno continuato a tracciare tutti i nuovi casi tenendo sotto controllo i focolai. Attualmente, oltre al nuovo focolaio in Puglia e a Milano sono stati individuati anche una decina di casi in Emilia Romagna, ma Vittorio Sambri, direttore di Microbiologia del Laboratorio di Pievesestina dell’Ausl Romagna, spiega che al momento non è ancora necessario preoccuparsi. Nel nostro Paese infatti la variante Delta è molto contenuta e si stima che rappresenti meno dell’1% dei nuovi contagi. Cresce l’apprensione anche nel comune di Laurino, nel Salernitano, dove un vertiginoso incremento dei contagi sta facen-do temere il peggio. Il primo cittadino sospetta che nel suo comune si sia diffusa la variante indiana dopo il rientro di alcuni cittadini dall’Asia e proprio per questo motivo ha organizzato uno screening di massa, su base volontaria, per tutti i suoi citta-dini, in programma per oggi, mercoledì 16 giugno. Anche in Sardegna, che si appresta ad accogliere i turisti in vista della bella stagione, sono stati rilevati diversi casi di Covid causati dalla variante Delta. Si sospetta anche un possibile focolaio sul set del film Disney della Sirenetta. In Sicilia invece, 10 migranti sbarcati a Lampedusa provenienti dal Bangladesh sono risultati positivi ad un incrocio tra la va-riante Alpha e la Delta. Al momento il focolaio è stato contenuto e i positivi sono stati messi in isolamento su una nave qua-rantena. In Puglia l’allerta resta massima dopo che è stato individuato un focolaio di Covid a Brindisi. La notizia è stata diffusa dallo stesso governatore della Regione, Michele Emiliano, precisando che il focolaio è “stato strettamente monitorato”. A preoccupare maggiormente il governatore della regione è il fatto che la variante Delta potrebbe “essere meno sensibi-le delle precedenti ai vaccini. E potremmo non avere a ottobre l’effetto favorevole dell’immunità di gregge”. Anche in Lombardia la situazione è delicata, tanto che, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, sarebbero ben 81 i casi di variante Delta individuati nella Regione a partire dal 20 dicembre 2020. L’ultimo focolaio in ordine di tempo è quello individuato nella palestra Virgin di Città Studi a Milano dove sono risultate posi-tive 12 persone, di cui una affetta da variante Delta nonostante avesse completato il ciclo vaccinale. Per quanto riguarda gli altri 11 si attendono ancora i risultati di laboratorio e solamente per uno di loro si è reso necessario il ricovero in ospedale. Quello che preoccupa maggiormente della variante Delta, oltre la sua maggiore capacità di diffusione, è il fatto che possa essere resistente ai vaccini attualmente in somministrazione.

102

Un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet smentisce questa credenza. I ricercatori hanno infatti confermato l’efficacia dei vaccini - sia Pfizer che AstraZeneca - contro la variante indiana, anche se con una percentuale inferiore rispetto alla variante Alpha (inglese), il ceppo dominante in Italia. Nello specifico, gli scienziati hanno rilevato che il vaccino di Pfizer offre una protezione al 79% contro la variante Delta, rispetto al 92% con la variante Alpha, anche per quanto riguarda AstraZeneca la protezione contro la variante indiana (60%) è inferiore rispetto a quella inglese (73%). Questo è il quadro nel nostro paese che chiede libertà e responsabilità, così come mi pare stia facendo il Governo Draghi ed il ministro Speranza senza fughe in avanti. Nel campo delle pandemie e dei modelli per contrastarle non vale la lotta tra chi è più aperturista, e chi vuole più cautele, vale il principio di precauzione ed il rischio calcolato, sulla base delle evidenze scientifiche, perciò abbiamo a che fare con le conoscenze scientifiche che sono in progress e le sperimentazioni a livello di massa nei paesi più sviluppati, non già nelle regioni a più basso reddito o nelle aree più disagiate del mondo. Sennò perché saremmo stati tutti d’accordo al G7 di farci carico con i vaccini perché nessuno rimanga indietro? I leader hanno promesso un miliardo di vaccini supplementari contro il Covid-19 da distribuire nei Paesi meno ricchi nei prossimi mesi. Il comunicato finale conferma l'impegno e sottolinea che dall'inizio della pandemia il G7 ha «contribuito per un totale di oltre due miliardi di dosi di vaccino» tra iniziativa Covax e azioni dei singoli Paesi. Dunque se vogliamo sconfiggere il virus l’imperativo morale è vaccinarsi ed essere sempre vigili e cauti finché non raggiungiamo l’immunità di gregge perché non parta la sua subdola autodifesa con le varianti che potrebbero correre veloci. Ha senso in tutto ciò giocare a chi è più aperturista, libertario, anti coprifuochista, anti emergenzialista? E’ penoso che alcuni possano pensare di lucrare politicamente su questi giochetti con un popolo che ha sofferto la perdita dei suoi morti, ha pagato un prezzo elevato in termini socioeconomici, ha capito che le certezze assolute la scienza non ce le può dare finché non ha dati certi e solidi basati sulle evidenze, che la più grande sperimentazione di massa siamo noi, se ci vacciniamo e usiamo cautela finché non raggiungiamo l’immunità di gregge sennò vince lui, il subdolo virus che finora abbiamo visto si autodifende variando ed è disposto a scalare tutto l’alfabeto greco se non lo fermiamo noi in tempo utile. http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=96448

Bergamo: virus, spie e vaccini Un'operazione di intelligence. Non per spiare le basi Nato ma per ottenere tutti i segreti sul Covid e sul modo di contrastarlo. Ecco come la missione "Dalla Russia con Amore" ha permesso al Cremlino di difendersi dal virus e realizzare di corsa Sputnik-V. Ingannando il governo italiano. Gianluca di Feo e Floriana Bulfon. Coordinamento multimediale di Laura Pertici. Grafiche e video a cura di Gedi Visual

Quando nella tarda serata di domenica 22 marzo 2020 sulla pista di Pratica di Mare si sono aperti i portelloni dei grandi Ilyushin decollati da Mosca, nessuno degli ufficiali italiani mandati ad accoglierli aveva la minima idea di cosa stessero scaricando. Ventiquattr'ore prima, l'arrivo del contingente militare era stato concordato in un colloquio telefonico tra il presidente Putin e il premier Conte, che aveva spiazzato sia la Farnesina sia i generali tagliandoli fuori dall'organizzazione di quella spedizione senza precedenti: una missione dell'esercito russo nel territorio di un Paese della Nato.

103

Ma in quelle giornate disperate, con il Covid che faceva strage nelle città lombarde, alleanze e relazioni geopolitiche parevano passate in secondo piano. Uno dopo l'altro tredici quadrireattori sono atterrati nell'aeroporto a pochi chilometri da Roma, facendo scendere donne e uomini in tuta mimetica accompagnati da ventitre camion. Solo una volta iniziato lo sbarco, i russi hanno consegnato una lista con 104 nomi dattiloscritti e altri due aggiunti a penna: Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov. I due epidemiologi russi più influenti, unici civili in una task force del ministero della Difesa, che da allora in poi saranno tra i referenti del Cremlino nella lotta contro la pandemia. Proprio da questi ultimi nomi bisogna partire per cercare di rendersi conto di cosa è realmente stata la spedizione russa a Bergamo. Un'operazione che alcuni analisti in tutto il mondo cominciano a studiare come un modello di "competizione ibrida" o "guerra irregolare" perché è servita a garantire a Mosca una momentanea supremazia nel settore in cui tutte le potenze si stavano confrontando. Con una triplice manovra, convergente sulla martoriata provincia lombarda: acquisire le informazioni necessarie a proteggere la Russia dal coronavirus; lanciare una campagna di propaganda interna ed internazionale; contribuire a mettere a punto il primo vaccino in grado di contrastare l'epidemia. "Dalla Russia con amore" è stata soprattutto una grande operazioni di spionaggio. Non contro le installazioni militari italiane e neppure contro le basi della Nato. L'obiettivo era un nemico molto più feroce, che in quel momento in tutto il pianeta era considerato la minaccia suprema: il Covid. In Russia i casi ufficialmente censiti erano pochissimi, 648, senza nemmeno un morto: bar e ristoranti venivano affollati, non c'era neppure il "distanziamento sociale". L'Italia invece era travolta dalla catastrofe: 80.539 positivi e 8.165 decessi. A Bergamo si contano 7.458 contagiati e la "fame d'aria" rende difficile trovare bombole d'ossigeno: il 18 marzo le immagini dei camion dell'Esercito che trasferiscono le bare hanno fatto comprendere quanto fosse drammatica la situazione. Per questo le migliori risorse dell'intelligence biologica russa sono sbarcate nel nostro Paese: hanno preso posizione nell'epicentro della pandemia, lì dove si stava accanendo con maggiore crudeltà, raccogliendo i dati decisivi per combattere il virus. Quelli che non erano riusciti ad avere da nessun altro Paese. Neppure la Cina, uno stretto partner del Cremlino anche in campo militare, ha permesso l'accesso agli specialisti russi: si sono limitati a fornirgli consigli per teleconferenza. Invece l'Italia, storico membro della Nato, gli ha aperto le porte senza porre condizioni. Senza neppure avere garanzie sulla condivisione delle ricerche: gli studi realizzati dagli scienziati della brigata di Mosca non sono mai stati comunicati alle istituzioni italiane. La direzione dell'ospedale Giovanni XXIII e il ministero della Salute hanno confermato a Repubblica di non avere ricevuto nulla dagli epidemiologi e dai virologi dell'ex Armata Rossa, attivi per un mese e mezzo in Lombardia. Che invece sulle riviste pubblicate in patria hanno poi spiegato di avere fatto tesoro delle lezioni apprese in Italia, usandole per allestire terapie, farmaci, macchinari, piani d'azione. Bisogna subito riconoscere che i soldati russi negli ospedali di Bergamo hanno realmente offerto un aiuto concreto, curando decine di pazienti nell'ora più buia della storia recente e hanno sanificato dozzine di centri per anziani, spesso dimenticati dalle nostre autorità. Il problema è che questa attività non si concilia con il profilo del personale spedito da Mosca: le eccellenze nella ricerca scientifica hanno svolto nelle corsie e nelle Rsa un lavoro di manovalanza. "Abbiamo mandato in Italia il meglio del meglio - ha detto il vertice dell'Accademia medica militare Kirov di San Pietroburgo - figure di altissimo livello". Ma come hanno poi dichiarato alcuni dei protagonisti, l'operazione "Dalla Russia con amore" è servita a fare incetta di dati sul coronavirus e mettere a punto tattiche e strategie del Cremlino contro la pandemia. In pratica, hanno dato una mano e si sono portati via la testa.

Attenti a quei due A Pratica di Mare nessuno ha fatto caso ai due nomi aggiunti a penna alla lista: Natalia Yurievna Pshenichnaya e Aleksandr Vladimirovich Semenov. Lei è la vicedirettrice dell'Istituto centrale di ricerche epidemiologiche; lui appartiene all'Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Fanno capo al vertice di Rospotrebnadzor, la struttura 104

sanitaria civile che vigila sulla salute dei russi e a cui Putin già dal 27 gennaio ha affidato la supervisione del contrasto all'epidemia. Sono tra i migliori virologi del Paese, con decine di pubblicazioni scientifiche all'attivo. Poche settimane prima, entrambi erano stati anche a Wuhan, inquadrati nella grande delegazione internazionale dell'Organizzazione mondiale della Sanità. In Cina erano rimasti una settimana, partecipando a una serie di incontri sotto stretta vigilanza dei funzionari di Pechino. "Alcuni dei membri della missione in Italia erano stati mandati in Cina dal ministero della Difesa - ha spiegato subito l'analista militare Dmitry Safonov al quotidiano Izvestia, molto vicino a Putin - ma quelli erano viaggi brevi non un'operazione ad ampio raggio come quella di Bergamo. Le loro informazioni ci permetteranno di preparare le contromisure per impedire la diffusione del Covid in Russia". L'attività della coppia non è mai stata negoziata o autorizzata dall'Italia: si sono semplicemente imbucati tra il contingente militare. I due resteranno in Lombardia dal 22 marzo al 9 aprile 2020. "Il mio compito - ha dichiarato Pshenichnaya - è stato quello di perfezionare la conoscenza dei medici russi sui metodi per trattare i pazienti con infezioni respiratorie acute e farli familiarizzare con le procedure di gestione del Covid adottate nei diversi Paesi". Due mesi dopo pubblicheranno un paper sulla situazione italiana, in russo e in inglese, con giudizi spietati sulle iniziative del nostro governo. Come è accaduto da noi, i due virologi sono poi diventati star dei media, intervistati da televisioni e giornali, dove ancora oggi discettano di varianti e vaccini. Nel corso del 2020 Semenov nei suoi interventi ha più volte rassicurato che "siamo in grado di impedire che da noi si sviluppi una situazione all'italiana". Pshenichnaya però dà un valore politico alle sue ricerche. Illuminante. Nel settembre 2020 scrive un testo con la professoressa Larisa Lvnova Khopiorskaya in cui analizza come "il coronavirus ha determinato nuovi parametri per costruire l'ordine mondiale". È una sorta di manifesto, che aiuta a capire le ragioni strategiche della spedizione a Bergamo. Russia e Cina, dove la lotta contro la pandemia è stata la priorità degli Stati, sono ovviamente il modello positivo che si impone a livello planetario. E l'Italia ha fatto bene a chiedere il loro soccorso, ricevendo aiuti e medici, perché gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali hanno pensato prima alla salvaguardia dell'economia e poi alla salute delle persone. In pratica, le popolazioni più ricche sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto al virus mentre Mosca e Pechino non solo hanno protetto i loro cittadini ma hanno anche sostenuto chi si è rivolto a loro. Nel saggio la questione italiana è centrale. Vengono persino attaccati gli articoli di Repubblica e Stampa critici nei confronti della missione russa a Bergamo, sostenendo che il gruppo Gedi ha alimentato una campagna di disinformazione. Perché lo avrebbe fatto? "Lo si comprende nel contesto del referendum del luglio 2020 che riconosce i valori tradizionali del popolo russo, piuttosto che i valori liberali". Si tratta della consultazione che ha permesso di rinnovare la presidenza di Putin oltre il limite due mandati consecutivi, abbattendo ogni sbarramento costituzionale al suo potere. Secondo Pshenichnaya e Khopiorskaya la partita globale riguarda proprio la rinuncia ai principi delle democrazie liberali e alle vecchie alleanze in favore delle priorità imposte dall'emergenza sanitaria. "Molte nazioni hanno abbandonato l'idea di un ordine mondiale basato sul concetto di "centro di potere" spostandosi sull'idea di "centri di attrazione": Stati che sono in grado senza assistenza esterna di garantire il funzionamento del sistema sanitario e preservare la salute dei loro cittadini". E concludono: "Bisogna prepararsi a fronteggiare la seconda ondata dei contagi e le minacce delle pandemie future, ma è ugualmente importante tenere conto della dimensione politica e di politica estera del coronavirus che sta ricostruendo l'ordine mondiale su nuovi valori, rendendo i medici protagonisti delle relazioni internazionali e facendoci pensare allo sviluppo di una nuova disciplina medico-diplomatica". È come se togliessero la maschera e mostrassero il vero volto dell'operazione "Dalla Russia con amore": non più una disinteressata iniziativa umanitaria ma il capitolo chiave di un'offensiva per riscrivere l'ordine mondiale cavalcando il Covid. Mosca vede nella pandemia l'occasione per ribaltare il sistema, incuneandosi nell'emergenza con gli aiuti e con la propaganda.

105

L'obiettivo è mostrare la debolezza dell'Occidente e la crisi dei suoi valori, esaltando invece la forza dei regimi nell'affrontare e risolvere i problemi. Un messaggio rivolto all'estero e in patria, proprio in vista del referendum costituzionale. Si tratta di una competizione per riscrivere le mappe geopolitiche del pianeta: quello che un tempo si otteneva con i conflitti armati e ora invece la dottrina del Cremlino mira ad ottenere con "le guerre ibride". Quelle in cui si punta alla vittoria senza sparare un colpo. Ma dove a muovere tutte le pedine sono sempre i generali.

Il generale dei gas La spedizione bergamasca era agli ordini diretti del ministro della Difesa Sergei Shoigu, l'uomo che dal 2012 ha ricostruito la macchina bellica russa e l'ha convertita alla nuova visione del confronto, elaborata dal comandante delle forze armate Valery Gerasimov: nel mondo infatti viene chiamata "Dottrina Gerasimov". La guida degli uomini mandati in Italia viene affidata al generale Sergej Kikot, un ufficiale con una lunga esperienza maturata anche in Siria, dove si è fatto notare per avere negato l'impiego di armi chimiche da parte del regime di Damasco. La sua presenza a Bergamo è difficile da giustificare. È uno dei più grandi esperti mondiali di guerra biologica e ha l'incarico di numero due del RKhBz, la rete dei reparti chimico-batteriologici che conta oltre 22mila uomini. Invece dalle stanze dell'hotel San Marco di Bergamo si occupa di poco più di cento persone. Non solo. Il 18 marzo tutte le unità dello RKhBz dalla Siberia al Baltico vengono mobilitate per una esercitazione collettiva: devono dimostrare di potere reagire all'avanzata dell'epidemia. Si decide anche di creare una task force aerotrasportata, pronta a trasferirsi nella zona dei focolai. La situazione è tranquilla, con pochissimi casi di contagio, mentre le informazioni sul virus sono ancora frammentarie: gli specialisti militari non conoscono il nemico che sta per colpirli. Ed ecco la decisione di andare lì dove ci si può impadronire dei segreti dell'avversario, intervenendo dove l'epidemia imperversa: la task force appena formata viene dirottata sull'Italia. "Tutto il personale qui guarda davvero il nemico invisibile direttamente negli occhi - ha detto il colonnello Igor Bogomolov, uno degli ufficiali chiave della missione - Stiamo acquisendo un'esperienza inestimabile, che in precedenza abbiamo ricevuto solo durante le esercitazioni. E a Bergamo la rafforziamo nella pratica". Vladislav Shurygin, un comunicatore vicino agli ambienti ultraconservatori e agli ideologi del sovranismo cari alla Lega, è diretto: "L'invio di medici militari russi può essere considerato come una sorta di "ricognizione" affinché i nostri virologi ed epidemiologi studino la forma europea di coronavirus. Naturalmente in Italia, con un'esperienza così ampia di contrasto al contagio, sarà possibile sviluppare un modello per combattere il Covid in Russia. E se, Dio non voglia, l'epidemia crescerà nel nostro Paese, allora l'esperienza italiana sarà preziosa". Di questa operazione Kikot è lo stratega. Coordina le ricerche e le attività dei suoi uomini. Dalla Lombardia partecipa in teleconferenza alle riunioni indette a Mosca dal ministro Shoigu, ad esempio l'8 aprile, e dai vertici del governo. E fornisce indicazioni per allestire le difese contro il Covid. "Uno dei principali risultati del viaggio in Italia è la grande esperienza maturata nel lavoro pratico su attrezzature che non erano mai state utilizzate in modo così intensivo", dichiara lo stesso Kikot nel maggio 2020 a Stella Rossa, la storica rivista delle forze armate russe, mentre è ancora in Lombardia: "L'uso dei nostri strumenti ci poneva immediatamente davanti all'obbiettivo di scoprire quanto fossero efficaci e di identificare come migliorarli. Abbiamo prontamente inviato le nostre proposte ai produttori e le stanno attuando". Tutto in diretta da Bergamo a Mosca. Il vero cuore della missione era in cinque furgoni, inaccessibili agli italiani, parcheggiati nell'aeroporto di Orio al Serio: "Il complesso mobile MCA PBA, un laboratorio unico al mondo", magnificato dallo stesso Kikot a Stella Rossa: "In Italia il complesso mobile è stato utilizzato esclusivamente per il monitoraggio e la rilevazione di possibili infezioni da coronavirus del personale militare russo. Il laboratorio consente di effettuare ricerche utilizzando le metodiche di dosaggio immunoenzimatico, analisi PCR e genotipizzazione".

106

Non è una vanteria. Quella centrale di analisi semovente è veramente tra le più avanzate del pianeta. È stata realizzata sulla base delle esperienze russe in Africa nella lotta contro : si sono accorti che era troppo rischioso trasferire a lunga distanza campioni altamente infettivi e hanno progettato una struttura che potesse studiare il morbo nelle zone dove colpiva di più. Lì dentro ci sono tutti gli strumenti per decifrare ogni aspetto del virus e analizzarne la struttura genetica. Non a caso a Bergamo è stato mandato pure il tenente colonnello Vyacheslav Kulish, l'ufficiale che ha supervisionato la costruzione del laboratorio e quindi poteva gestirlo al meglio. Senza mai permettere alle autorità italiane di dare un'occhiata: quei furgoni sono sempre stati vietati a civili e militari del nostro Paese. Come ha spiegato il tenente colonnello Kulish alla stampa russa: "Gli specialisti del complesso mobile provvedono al monitoraggio 24 ore su 24, 7 giorni su 7... I risultati sono riportati al comando del distaccamento". Il laboratorio dispone di un sistema satellitare di comunicazione criptata: tutti i risultati dei test genetici potevano venire trasmessi in tempo reale a Mosca. C'è però un'altra notizia fondamentale che arriva dal generale Kikot: "Gli ufficiali del 48° Istituto Centrale di Ricerca hanno operato nel laboratorio mobile".

Dal veleno al vaccino Al governo italiano non è mai stato comunicato quali fossero i reparti dei militari russi arrivati a Bergamo. E forse in quel momento i nomi delle unità avrebbero detto poco, perché sarebbero diventate celebri solo nei mesi successivi. Spesso però anche ai nostri media si è presentato il colonnello Igor Bogomolov, che ha concesso brevi interviste mentre sanificava ospizi e case di riposo. Bogomolov in realtà è il capo del Centro di ricerca sulla difesa biologica del ministero della Difesa e numero due dell'intero 48° Istituto Centrale di Ricerca. Un'altra figura con preparazione e rango straordinariamente superiori alle mansioni svolte in Lombardia. A dicembre 2020 Stella Rossa gli ha dedicato un'intera pagina apologetica. Viene ritratto con toni epici, narrando tre generazioni in servizio nelle brigate chimiche: nipote di un eroe dell'Unione Sovietica, pluridecorato per le imprese contro i nazisti; figlio di un ufficiale che si è immolato per contenere il disastro di Chernobyl, morendo poco dopo per gli effetti delle radiazioni. Ha addestrato i soldati per la guerra in Cecenia; preso parte alla campagna "per imporre la pace in Georgia", ossia all'invasione del Paese caucasico, e ai soccorsi durante terremoti ed epidemie. La missione italiana gli ha fatto ottenere la quarta medaglia, "l'Ordine al Merito per la Patria", e - sottolinea Stella Rossa - "la gratitudine del Presidente della Federazione Russa". Cosa ha fatto per meritarsi la "gratitudine" di Putin? In apparenza il colonnello Igor è stato il condottiero delle truppe in azione nelle Rsa, mostrando i suoi uomini che pulivano le stanze e venivano - giustamente - applauditi dagli anziani e dai sindaci lombardi. Non si tratta però di un ufficiale abituato a perdere tempo spruzzando disinfettanti: le sue competenze sono di massimo livello. Come illustra Stella Rossa "dal 2012 è il direttore del Centro di ricerca, che è stato creato a Ekaterinburg e in cui si stanno sviluppando nuovi metodi e modi per eliminare le conseguenze delle emergenze biologiche". Quando nel 2016 nella penisola siberiana di Yamal è scoppiata un'epidemia di antrace, Bogomolov ha gestito la crisi, incenerendo migliaia di animali infetti e stroncando il focolaio. Le ricerche condotte all'epoca sotto la sua supervisione sono diventate un punto di riferimento internazionale. E a Bergamo? I suoi assistenti hanno descritto ai giornali russi come operavano nelle residenze per anziani. Prima di iniziare la bonifica preparavano un rapporto epidemiologico: quanti casi, quanti morti, i tempi di diffusione. Lo hanno fatto più di cento volte, accumulando una mole colossale di dati sui bersagli favoriti del Covid, quelli over 70 che sono stati decimati soprattutto in Lombardia. Ma nessuno di questi dossier è stato consegnato alle autorità italiane: sono finiti tutti a Mosca, per orientare le misure di prevenzione disposte dal Cremlino. Se non sappiamo quali informazioni abbia esattamente raccolto a Bergamo, ora si conosce però un aspetto molto inquietante delle sperimentazioni condotte nel laboratorio di Ekaterinburg diretto da Bogomolov. Secondo il governo statunitense, lì infatti è stata messa a punto l'ultima versione del Novichock, il veleno 107

usato dall'intelligence militare russa per cercare di assassinare gli oppositori del Cremlino, da Sergej Skipral ad Aleksej Navalny. Per questo motivo Washington, alcuni mesi dopo la fine della spedizione bergamasca, ha ordinato sanzioni contro il 48° Istituto Centrale di Ricerca accusandolo di avere contribuito a confezionare l'arma assassina: tra gli organismi citati nel provvedimento c'è proprio la struttura di Ekaterinenburg. Un reparto che quindi ha reso servizi preziosi e segretissimi per conto di Putin. Bogomolov viene ritenuto il numero due dell'intero 48° Istituto Centrale di Ricerca. Il suo capo è il colonnello Sergey V. Borisevich, membro dell'Accademia delle Scienze russe: un nome diventato poi famoso in tutto il mondo, perché è uno dei padri del vaccino Sputnik-V. Il primo antidoto in grado di fermare il virus, realizzato in tempi record dai ricercatori civili dell'Istituto statale Gamaleya di Mosca e, appunto, dagli scienziati militari del 48° Istituto Centrale di Ricerca. La grande corsa Sputnik-V è nato da un virus made in Italy. Uno dei problemi affrontati nella creazione del vaccino è stata la scarsità di pazienti infetti da esaminare. Vladimir Gushchin, il responsabile dello staff dell'Istituto Gamaleya incaricato di realizzare la sequenza genetica del Covid, ha dichiarato al Newyorker di avere cercato invano per giorni: solo il 17 marzo 2020 sono riusciti a estrarre un campione da una persona contagiata a Roma e rientrata due giorni prima a Mosca. La sequenza genetica era stata resa nota su Internet dalla Cina sin da gennaio, ma per gli studi sul vaccino servivano informazioni dirette. Una settimana dopo il primo campione, ben 32 tra virologi, medici e infermieri russi erano al lavoro nella terapia intensiva di Bergamo, dove le situazioni reali da esaminare non mancavano. Ogni ora si lottava per salvare persone con i polmoni devastati e il personale venuto dalla Russia - va riconosciuto - si è dedicato alle cure con la stessa dedizione dei medici lombardi. Alcuni erano professionisti nella rianimazione. Altri invece non avevano preparazione specifica. Gennady Eremin, un tenente colonnello qualificato come "epidemiologo esperto di piani di prevenzione". O i suoi colleghi Aminev, Bokarev, Kolesnikov, Shipitsyn, Usmanov: erano sì medici, ma soprattutto ufficiali specializzati nell'organizzare campagne militari per arginare la pandemia. Hanno indossato le tute protettive e tutti i giorni sono entrati in corsia, fornendo una collaborazione generosa nell'assistere i ricoverati. Le loro qualifiche però fanno pensare che le loro attenzioni fossero rivolte soprattutto a mettere a frutto in patria le conoscenze apprese sul campo. A dirigere questo gruppo era il tenente colonnello Alexander Yumanov, altra figura dal curriculum eccezionale. La propaganda lo ha presentato come "un professore associato dell'Accademia medica militare, con una vasta esperienza nella gestione di epidemie incluso un periodo in Guinea nell'ospedale che curava Ebola". Anche in questo caso, è stato omesso il reparto di provenienza: sempre il 48° Istituto Centrale di Ricerca. Il tenente colonnello Yumanov - altre volte trascritto dal cirillico come Tumanov - risulta essere il direttore di un secondo laboratorio decisivo: quello di Kirov. È una delle strutture accusate dal governo americano di avere contributo a confezionare il Novichock e altri veleni proibiti. Ma soprattutto sin dai tempi dell'Unione Sovietica è il cuore delle attività per realizzare gli antidoti contro le armi biologiche. Ossia i vaccini. In fondo, per sintetizzare un vaccino si seguono le stesse procedure impiegate per realizzare un'arma batteriologica. Le ha descritte l'ex colonnello Ken Alibek, per decenni ufficiale dei reparti sovietici più segreti fuggito negli Stati Uniti poco prima della caduta del Muro. Alibek oggi lavora in una società americana: contattato da Repubblica, ha risposto di non conoscere la situazione attuale e respinto la richiesta di intervista. Nel suo libro "Biohazard" presenta nel dettaglio gli esperimenti condotti sui virus fino al 1989. "Durante la Guerra Fredda consideravamo i virus le migliori munizioni del nostro arsenale. La loro capacità di infettare un grande numero di persone con un infinitesimo numero di particelle li rendeva l'arma ideale per la guerra strategica moderna... Una delle sfide fondamentali nel trasformare i virus in armi è trovare la giusta temperatura nella quale i patogeni possono crescere senza venire distrutti dal calore. Questo processo è molto simile alle tecniche per realizzare i vaccini". 108

Nel 1987, grazie a finanziamenti concessi da Gorbaciov, Alibek si occupò di costruire il primo grande reattore per la produzione di virus: il laboratorio dell'Istituto Vector di Kol'covo. Una storia remota? No: nello scorso settembre l'Istituto Vector ha iniziato la registrazione di EpiVacCorona, il secondo vaccino russo contro il Covid, approvato dal Cremlino a ottobre 2020. Sputnik-V invece è stato partorito dalla stessa tradizione militare, sulla base però di un'esperienza più recente. Come abbiamo visto, il 48° Istituto Centrale di Ricerca è stato il protagonista delle spedizioni africane per combattere Ebola, che hanno portato a concepire e registrare un vaccino contro la febbre emorragica. Per quanto quel prodotto abbia avuto scarsa diffusione, è servito però come base per realizzare Sputnik-V. Nella terapia intensiva di Bergamo c'era anche il colonnello Aleksey Smirnov, il più quotato tra gli scienziati in divisa: "un epidemiologo esperto, autore di 70 pubblicazioni e figura fondamentale nello sviluppo di un vaccino contro Ebola".

Mentre il tenente colonnello Yumanov ha dato diverse interviste durante la permanenza in Lombardia e una volta in patria si è speso in alcuni convegni per discutere le misure contro il Covid, il suo superiore Smirnov è rimasto sempre nell'ombra. Difficile credere che si sia limitato a somministrare terapie ai malati intubati. Ma non c'è traccia della sua attività scientifica: tutto top secret.

La base dello Sputnik "La scienza non conosce frontiere, ma gli scienziati hanno una patria". La frase del presidente cinese Xi Jinping è doppiamente valida nella Russia di Putin, dove dopo la fuga di cervelli degli anni Novanta il Cremlino nel 2013 ha lanciato un programma di potenziamento delle ricerche biotech affidandolo completamente al controllo statale. I pilastri di questa crescita sono Rospotrebnadzor, l'Istituto Pasteur di San Pietroburgo,

109

l'Istituto Gamaleya di Mosca e soprattutto i miliari del 48° Istituto Centrale di Ricerca. Come abbiamo visto, tutti sono stati coinvolti a vario titolo nella missione a Bergamo. Ma soprattutto il 48° Istituto Centrale di Ricerca è stato il propulsore della corsa per arrivare al primo vaccino. La rapidità con cui il Cremlino è giunto a disporre di Sputnik-V ha sorpreso il mondo. I laboratori statali russi hanno battuto sul tempo le più grandi e ricche aziende biotech dell'Occidente. E l'efficacia delle dosi - almeno nei confronti della prima variante del virus - è stata riconosciuta da riviste autorevoli come Lancet. "Attualmente stiamo lavorando non su due prototipi del vaccino, ma su molti altri - ha commentato uno dei ricercatori militari di Mosca -: Qualcuno preferisce lavorare in silenzio, senza dichiarazioni. Vediamo cosa succede al traguardo. È come ai Giochi Olimpici: non sempre vince chi ha l'abito più brillante". Infatti il 22 maggio, una settimana dopo il rientro del contingente lombardo, viene annunciato che la Russia ha preparato il vaccino. Ai primi di giugno c'è già un cronoprogramma: ad agosto ci sarà la certificazione e a settembre la produzione su larga scala. I test cominciano il 18 giugno: la prima fase avviene su volontari appartenenti alle forze armate. E chi se ne occupa? Il 48° Istituto Centrale di Ricerca. Fonti di intelligence, a cui non è stato possibile dare riscontro documentale, sostengono che proprio il laboratorio del colonnello Yumanov, il capo dei medici impegnati nella terapia intensiva di Bergamo, ne ha avuto la supervisione. E il colonnello Smirnov ha dato un sostegno rilevante nel trasformare il brevetto contro Ebola nella formula per immunizzare dal Covid. Impossibile valutare quanto l'attività svolta sul campo in Lombardia abbia contribuito alla messa a punto di Sputnik-V. Se gli esami condotti nel laboratorio mobile vietato agli italiani siano serviti nello sprint verso il primato. Le nostre autorità sanitarie e militari hanno specificato a Repubblica che ai russi non era permesso portare campioni o provette fuori dall'ospedale, ma allo stesso tempo ammettono che in quei giorni concitati non c'era la possibilità di controlli meticolosi. E il contingente era in grado di trasmettere via satellite in maniera criptata. Antonino Di Caro è un dirigente dello Spallanzani di Roma che ha partecipato a ricerche europee sui laboratori mobili per contrastare le epidemie. Dopo avere esaminato la documentazione sugli strumenti russi trasferiti a Bergamo, dichiara a Repubblica: "In quel momento esistevano già informazioni genetiche dettagliate sul Covid quindi l'attività di quel laboratorio non può avere dato un contributo sullo sviluppo di un vaccino. La missione a Bergamo poteva invece ottenere dati in termini epidemiologici come l'andamento clinico della malattia o la diffusione sul territorio. Si tratta di dati utili per poter gestire l'impatto di una pandemia". Una cosa è certa. La Russia ha potuto vincere la corsa per il vaccino grazie alle conoscenze dei militari su Ebola. Lo ha specificato Alexander Ginzburg, il direttore del Gamaleya che ha brevettato Sputnik-V: "Attraverso l'uso della piattaforma tecnologica sviluppata per il vaccino contro Ebola, il Gamaleya ha gestito in un tempo breve la realizzazione di tutto lo spettro delle ricerche e dei test pre-clinici in tandem con il ministero della Difesa ed esattamente con il 48° Istituto di Ricerca Centrale". Il professor Ginzburg ha ringraziato i militari per "il lavoro di grande qualità e utilità": "L'alto livello di cooperazione ci ha permesso di raggiungere il risultato in un tempo veramente ridotto". Il comandante del 48° Istituto Centrale di Ricerca, il colonnello Sergey V. Borisevich, è più prodigo di notizie sulla collaborazione fornita per Sputnik-V. A Stella Rossa conferma che "gli specialisti dell'Istituto hanno iniziato la ricerca nell'aprile 2020". Ossia mentre i direttori dei due laboratori chiave della struttura erano impegnati a Bergamo. "Entro poco più di due mesi presso l'Istituto è stata effettuata una valutazione della sicurezza e dell'efficacia protettiva del vaccino contro il coronavirus. Un gran numero di scimmie e criceti siriani è stato utilizzato negli studi preclinici". "In effetti - spiega Borisevich a giugno 2020 - i vaccini sono generalmente sviluppati lungo un periodo di tre o quattro anni. E senza studiare le proprietà biologiche del patogeno Covid, senza caratterizzare il ceppo vaccinale, sarebbe impossibile anche solo iniziare a progettare un vaccino. Ma nel 48° Istituto Centrale di Ricerca è già stata elaborata la metodologia per la valutazione quantitativa del patogeno ed è stato sviluppato un modello di laboratorio che consente di riprodurre il decorso della malattia

110

respiratoria acuta grave per valutare l'efficacia protettiva dei farmaci. I brevetti per queste invenzioni appartengono al 48° Istituto Centrale di Ricerca".

Oltre la propaganda Prima che Sputnik-V diventasse l'argomento chiave per l'avanzata diplomatica russa, offrendolo ovunque come strumento di amicizia e di , donandolo pure a Paesi dell'Unione europea e della Nato, il capolavoro della propaganda del Cremlino è stata proprio l'operazione "Dalla Russia con amore". Sin dall'esordio, le imprese della spedizione italiana sono state rilanciate in tutto il mondo con comunicati quotidiani in lingue diverse. Il messaggio è stato duplice: da una parte esaltare l'efficienza russa, dall'altro mettere in evidenza come l'Ue e la Nato avessero chiuso gli occhi sulla tragedia della Lombardia devastata dal virus. Il primo punto doveva rassicurare l'opinione pubblica russa in vista del referendum costituzionale: a marzo i sondaggi per la prima volta mostravano un calo nella popolarità di Putin. E mentre le notizie sull'epidemia in Russia erano scarse e l'annuncio delle "ferie collettive" a partire dal 28 marzo aveva creato un forte scetticismo, le scene dell'accoglienza trionfale genuinamente tributata al contingente a Bergamo e della competenza nel soccorso hanno cercato di dirottare l'attenzione in patria sui guasti dell'Occidente. Ancora più massiccio il dispiegamento mediatico rivolto all'estero, per screditare soprattutto l'Ue. Un'operazione in linea con quanto teorizzato dal saggio di Pshenichnaya e Khopiorskaya: sfruttare la pandemia per scardinare l'ordine mondiale. "Il Cremlino usa costantemente tattiche della guerra dell'informazione, che sono parte della guerra ibrida, senza riguardo per la situazione di amicizia o ostilità nei confronti di un Paese. Da questo punto di vista, si può ritenere che l'atteggiamento russo in Italia è stato un capitolo della guerra ibrida". Jakub Kalensky è un esperto dell'Atlantic Council che ha analizzato lo sviluppo della disinformazione sul tema del Covid sin dal marzo 2020. "Per capire se si tratti o meno di un nuovo metodo di competere con la Nato, dobbiamo aspettare e vedere. Ma il Cremlino ovviamente ha cercato di sfruttare la pandemia per i suoi scopi politici e militari. E adesso attende la reazione. Se non ci sarà una reazione che li possa scoraggiare, possiamo essere sicuri che i russi lo faranno di nuovo. Perché sono conflittuali e usano ogni occasione per portare avanti i loro interessi".

C'è un altro elemento che comincia a venire discusso dagli analisti internazionali: il peso che hanno avuto i militari nella gestione della pandemia e nella preparazione del vaccino. Rod Thornton e Marina Miron del King's College di Londra sono stati i primi a scriverne: "Come il lavoro del 48° Istituto di Ricerca Centrale 111

mostra, i generali russi sono sicuramente capaci di realizzare un vaccino contro una minaccia biologica come il Covid. Il vaccino sembra essere stato pronto addirittura prima che i test venissero completati. Se questo ci parla di militari che sono in grado di preparare difese epidemiologiche molto rapidamente, non ci dice anche che devono essere capaci di sviluppare e schierare armi batteriologiche molto velocemente?". Nel testo scritto per il Dipartimento di studi sulla difesa del King's College passano in rassegna anche la spedizione lombarda, centrale in questa nuova strategia che fonde ogni tattica tradizionale e innovativa. L'ipotesi è che quello sperimentato contro il Covid sia un nuovo modello della competizione internazionale, affidato da Mosca ai militari in patria e nel mondo. "Anche i Paesi democratici spesso mandano medici militari come soccorso in caso di calamità, perché possono essere schierati più rapidamente - conclude Jakub Kalensky -. Ma i paesi democratici e la Russia non si comportano nello stesso modo, perciò non credo che ci siano dubbi. È un'altra ragione per essere molto allarmati". Bergamo come campo di prova dei nuovi conflitti asimmetrici. Dove anche l'aiuto umanitario diventa il fulcro di una sfida senza limiti, condotta con ogni mezzo sotto la direzione dei generali. Resta una domanda, la grande questione irrisolta di questa vicenda: il governo italiano nella primavera 2020 si è reso conto di tutto questo? Il periodo era certamente drammatico, ma la genesi di "Dalla Russia con amore" resta ancora avvolta nell'oscurità. A partire da un interrogativo chiave: è stato Vladimir Putin a offrire i soccorsi o Giuseppe Conte a domandarli? Mosca ha sempre sostenuto che c'è stata una richiesta di Roma. Fonti di intelligence invece ritengono che sia stato il Cremlino a mettere sul tavolo l'invio della task force. Palazzo Chigi invece ha parlato di "un'iniziativa concordata" e l'allora premier ha respinto con sdegno in un'intervista alla Bbc l'ipotesi che la spedizione russa avesse secondi fini: "La semplice insinuazione mi offende profondamente". Le stesse dichiarazioni dei responsabili dell'operazione russa adesso raccontano un'altra storia. Ed è arrivato il momento che il Copasir affronti il tema e faccia piena luce su cosa è realmente accaduto. https://www.repubblica.it/esteri/2021/06/17/news/bergamo_virus_spie_e_vaccini- 306329555/?ref=RHTP-BH-I304495303-P2-S1-T1

112

Epidemiologia

113

La pandemia letta nei numeri della mortalità totale Enrico Rettore

L’indicatore della mortalità totale Istat e Istituto superiore di sanità hanno pubblicato il rapporto di aggiornamento a marzo 2021 dell’impatto della pandemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente. Il ricorso alla mortalità totale per misurare gli effetti della pandemia è una pratica standard adottata in molti paesi. Consiste nel conteggio dei decessi per il complesso delle cause in un certo arco di settimane/mesi dell’anno di interesse, confrontati con i decessi nello stesso arco di settimane/mesi degli anni precedenti. L’eccesso di mortalità definito in questo modo fornisce un’indicazione dell’impatto complessivo della pandemia, tenendo conto non solo delle morti causate direttamente da Covid-19, ma anche di quelle indirettamente collegate alla pandemia, dovute al trattamento ritardato, o mancato, delle altre patologie a causa del sovraccarico del sistema sanitario. D’altra parte, il dato dei decessi ufficialmente attribuiti a Covid-19 potrebbe essere sottostimato, essendo riferito ai soli casi di deceduti per i quali è disponibile una diagnosi microbiologica di positività al virus.

Cosa è successo da gennaio 2020 a marzo 2021 Come già nei precedenti rapporti congiunti Istat-Iss, l’eccesso di mortalità è stato stimato confrontando, a parità di periodo, i dati del 2020 e del 2021 con la media dei decessi del quinquennio 2015-2019.

114

La figura 1 sintetizza i principali risultati documentati nel rapporto. Presenta l’andamento da gennaio 2020 a marzo 2021 dei decessi totali (linea rossa) e dei decessi ufficialmente attribuiti a Covid-19 (linea verde). Il termine di paragone è costituito dal numero medio di decessi totali, nello stesso arco di 15 mesi, per gli anni dal 2015 al 2019 (linea blu).  L’andamento temporale delle morti Covid-19 riproduce fedelmente l’andamento temporale del totale decessi, con evidenti picchi a marzo e a novembre 2020 e un ulteriore aumento, anche se di minore portata, alla fine del periodo di osservazione.  Il confronto tra decessi totali 2020-2021 e decessi totali medi 2015-2019 evidenzia, al di là di ogni ragionevole dubbio, la macroscopica anomalia dei decessi nel periodo pandemico rispetto alla norma costituita dal quinquennio precedente il 2020. Nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro paese dal secondo dopoguerra: 746.146 morti, 100.526 in più rispetto alla media 2015-2019 (15,6 per cento di eccesso). Nel rapporto si osserva però che tenendo conto delle variazioni nella struttura per età intervenute nell’arco degli anni dal 2015 al 2021 – la popolazione italiana è invecchiata – nel 2020 la mortalità totale ha registrato un aumento del 9 per cento, a livello nazionale rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Nelle prime settimane del 2021 i decessi totali sono in linea con la media 2015-2019. Il grafico illustra con chiarezza che ciò accade in larga parte perché in quelle settimane la media 2015-2019 è nettamente superiore alla restante parte dell’anno. La spiegazione plausibile sta nella pressocché totale scomparsa dei casi di influenza – e dei decessi associati – a gennaio e febbraio 2021. Scomparsa riconducibile alle misure di protezione e di distanziamento sociale adottate per contenere la diffusione del coronavirus. A partire da inizio marzo i decessi totali 2021 tornano a eccedere la media del quinquennio 2015-2019. Facendo riferimento a precedenti rapporti Istat-Iss, quello attuale chiarisce che è il periodo nel quale iniziano a manifestarsi gli effetti della campagna di vaccinazione: “Dopo sette settimane [dalla prima dose] si è stimata una riduzione di circa l’80 per cento per il rischio di infezione, il 90 per cento per il rischio di ricovero e il 95 per cento per il rischio di decesso”.

Il confronto con altri paesi europei

115

Riprendendo i risultati presentati in uno studio Eurostat, il rapporto Istat-Iss presenta infine un interessante confronto dell’eccesso di mortalità tra alcuni paesi europei. La figura 2 mostra l’andamento da gennaio 2020 a marzo 2021 della variazione percentuale dei decessi totali rispetto al quadriennio pre-pandemico.  L’Italia e la Spagna sono i primi paesi a sperimentare un drammatico incremento dei decessi già a partire dal mese di marzo 2020.  Ad aprile l’incremento dei decessi è ancora sostenuto nel nostro paese (+42 per cento rispetto alla media dei decessi di aprile del periodo 2016-2019), superato da quello del Belgio (+74 per cento) e dell’Olanda (+56,3 per cento). Invece la Germania durante la prima ondata registra un aumento dei decessi inferiore al 10 per cento.  A partire da luglio 2020 i decessi iniziano di nuovo ad aumentare, soprattutto in Spagna. Negli altri paesi, inclusa l’Italia, il ritmo di incremento è generalmente più lento fino al mese di ottobre quando si verifica una nuova fase di rapida crescita dei decessi rispetto alla media del 2016-2019.  A novembre 2020 molti paesi, tra cui l’Italia, sperimentano un nuovo picco dei decessi. L’incremento maggiore si registra in Polonia (+97 per cento), in Belgio (+59 per cento) e in Italia (+52 per cento). In Germania, dove l’incremento autunnale dei decessi era apparso posticipato di un mese rispetto agli altri paesi, l’eccesso di mortalità è continuato a crescere fino a dicembre.  Anche negli altri paesi europei considerati nel grafico (con l’eccezione del Portogallo) si osserva un andamento dei decessi a gennaio e febbraio 2021 in linea con gli anni precedenti. Dal grafico in figura 2 l’Italia sembrerebbe essere tra i paesi nei quali la pandemia ha provocato più decessi. Serve però tenere conto del fatto che formulati in questo modo i confronti internazionali sono distorti dalla diversa struttura per età della popolazione (oltre a essere suscettibili di revisioni sulla base degli aggiornamenti fatti mensilmente dai vari paesi). Un recente articolo pubblicato dal British Medical Journal mostra che tenendo conto della diversa struttura per età dei 25 paesi europei considerati nello studio, in dieci l’eccesso di mortalità risulta effettivamente inferiore a quello italiano: Danimarca, Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Francia, Germania, Austria, Grecia e Portogallo. Ma nei rimanenti quattordici paesi risulta paragonabile, o superiore, a quello italiano. https://www.lavoce.info/archives/88009/la-pandemia-letta-nei-numeri-della-mortalita-totale/

116

L’importanza dell’accelerazione del processo di vaccinazione Le tre immagini che seguono rappresentano rispettivamente il numero di casi di infezione da SARS-CoV-2, il numero di morti per COVID-19 e il numero di vaccinati nel Regno Unito a partire dall’inizio della pandemia.

Infezione da SARS-CoV-2

117

Morti per COVID-19

Numero di vaccinati

Da metà gennaio, con un numero sempre crescente di persone vaccinate, il numero giornaliero di infezioni, ma soprattutto il numero giornaliero di morti è in diminuzione costante. I dati mostrano infatti che mentre la media di casi ad inizio gennaio era di circa 60.000 al giorno, già con il raggiungimento di 5 milioni di vaccinati (il 20 gennaio), il numero di casi si è quasi dimezzato. Questo ha portato, nelle settimane successive, ad una riduzione del numero di morti che, già a fine mese, erano passati da oltre 1.200 al giorno a circa 800. Il 30 marzo quasi 31 milioni di cittadini britannici hanno ricevuto almeno la prima dose di vaccino (la maggior parte AstraZeneca), il numero di nuovi casi è di circa 5.000 al giorno, mentre il numero di morti è inferiore a 50. (https://coronavirus.data.gov.uk/) Questi dati impressionanti mostrano l’importanza dell’accelerazione del processo di vaccinazione di tutta la popolazione italiana al fine di ridurre e anche nel nostro paese il contagio da SARS-CoV-2 e, soprattutto, porre fine alle morti per COVID-19. https://www.epidemiologia.it/limportanza-dellaccelerazione-del-processo-di-vaccinazione/

118

Rischio di ricovero ospedaliero per i pazienti con variante SARS-CoV-2 B.1.1.7: analisi di coorte Tommy Nyberg Katherine A Twohig , Ross J Harris , Shaun R Seaman , Joe Flannagan , Hester Allen , Andre Charlett , Daniela De Angelis , Gavin Dabrera , Anne M Presanis.

BMJ 2021 ; 373 DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1412 Pubblicato il 15 giugno 2021

Astratto

Obiettivo Valutare la relazione tra la diagnosi di covid-19 con SARS-CoV-2 variante B.1.1.7 (nota anche come variante di preoccupazione 202012/01) e il rischio di ricovero ospedaliero rispetto alla diagnosi con SARS-CoV wild- type -2 varianti.

Progettazione Analisi retrospettiva di coorte.

Impostazione di test SARS-CoV-2 basati sulla comunità in Inghilterra, collegati individualmente ai dati di ricovero ospedaliero.

Partecipanti 839 278 pazienti con covid-19 confermato in laboratorio, di cui 36 233 ricoverati in ospedale entro 14 giorni, testati tra il 23 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021 e analizzati in un laboratorio con un test TaqPath disponibile che consente la valutazione del gene S target failure (SGTF), un test proxy per la variante B.1.1.7. I dati dei pazienti sono stati stratificati per età, sesso, etnia, privazione, regione di residenza e data del test positivo.

Principali misure di esito Ricovero ospedaliero tra uno e 14 giorni dopo il primo test SARS-CoV-2 positivo.

Risultati 27.710 (4,7%) di 592 409 pazienti con varianti SGTF e 8523 (3,5%) di 246 869 pazienti senza varianti SGTF erano stati ricoverati in ospedale entro uno a 14 giorni. Il rapporto di rischio aggiustato per lo strato del ricovero ospedaliero era 1,52 (intervallo di confidenza 95% 1,47-1,57) per i pazienti con covid-19 infetti con varianti SGTF, rispetto a quelli infetti con varianti non SGTF. L'effetto è stato modificato dall'età (P<0,001), con rapporti di rischio di 0,93-1,21 nei pazienti di età inferiore a 20 anni con e senza varianti SGTF, 1,29 in quelli di età compresa tra 20 e 29 anni e 1,45-1,65 in quelli di età ≥ 30 anni. Il rischio assoluto aggiustato di ricovero ospedaliero entro 14 giorni è stato del 4,7% (intervallo di confidenza 95% da 4,6% a 4,7%) per i pazienti con varianti SGTF e del 3,5% (da 3,4% a 3,5%) per quelli con varianti non SGTF.

Conclusioni I risultati suggeriscono che il rischio di ricovero ospedaliero è più elevato per le persone infette dalla variante B.1.1.7 rispetto alla SARS-CoV-2 wild-type, probabilmente riflettendo una malattia più grave. 119

La gravità più elevata può essere specifica per gli adulti di età superiore ai 30 anni. https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1412

Stato anticorpale e incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 negli operatori sanitari Sheila F. Lumley, BM, B.Ch., Denise O'Donnell, B.Sc., e altri per il gruppo di test del personale degli ospedali dell'Università di Oxford *

11 febbraio 2021 N Engl J Med 2021; 384:533-540 DOI: 10.1056/NEJMoa2034545

Astratto

Sfond o La relazione tra la presenza di anticorpi contro la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV- 2) e il rischio di successiva reinfezione rimane poco chiara.

Met odi Abbiamo studiato l'incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 confermata dalla reazione a catena della polimerasi (PCR) negli operatori sanitari sieropositivi e sieronegativi che partecipano ai test del personale asintomatico e sintomatico presso gli ospedali dell'Università di Oxford nel Regno Unito. Lo stato anticorpale al basale è stato determinato mediante test anti-spike (analisi primaria) e anti- nucleocapside IgG e i membri del personale sono stati seguiti fino a 31 settimane. Abbiamo stimato l'incidenza relativa dei risultati dei test positivi alla PCR e della nuova infezione sintomatica in base allo stato anticorpale, aggiustando per età, sesso segnalato dai partecipanti e cambiamenti nell'incidenza nel tempo.

R i s ul t ati Un totale di 12.541 operatori sanitari hanno partecipato e hanno misurato le IgG anti-spike; 11.364 sono stati seguiti dopo risultati anticorpali negativi e 1265 dopo risultati positivi, inclusi 88 in cui si è verificata sieroconversione durante il follow-up. Un totale di 223 operatori sanitari anti-picco-sieronegativi hanno avuto un test PCR positivo (1,09 per 10.000 giorni a rischio), 100 durante lo screening mentre erano asintomatici e 123 mentre erano sintomatici, mentre 2 operatori sanitari anti-picco-sieropositivi avevano un test PCR positivo (0,13 per 10.000 giorni a rischio) ed entrambi i lavoratori erano asintomatici al momento del test (rapporto del tasso di incidenza aggiustato, 0,11; intervallo di confidenza al 95%, da 0,03 a 0,44; P = 0,002). Non ci sono state infezioni sintomatiche nei lavoratori con anticorpi anti-spike.

120

Conclusioni La presenza di anticorpi IgG anti-spike o anti-nucleocapside è stata associata a un rischio sostanzialmente ridotto di reinfezione da SARS-CoV-2 nei successivi 6 mesi. (Finanziato dal Dipartimento della sanità e dell'assistenza sociale del governo del Regno Unito e altri.) https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2101927?query=featured_coronavirus

Caratterizzazione dei tassi di incidenza di fondo di eventi avversi di particolare interesse per i vaccini covid-19 in otto paesi: studio di coorte di rete multinazionale Xintong Li , Anna Ostropolets , Rupa Makadia , Azza Shoaibi , Gowtham Rao , Anthony G Sena, Eugenia Martinez-Hernandez , Antonella Delmestri , Katia Verhamme , Peter R Rijnbeek , Talita Duarte-Salles , Marc A Suchard , Patrick B Ryan , George Hripcsak , Daniel Prieto-Alhambra

BMJ 2021 ; 373 DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1435 Pubblicato il 14 giugno 2021

Astratto Obiettivo Quantificare i tassi di incidenza di fondo di 15 eventi avversi di particolare interesse (AESI) prespecificati associati ai vaccini contro il covid-19. Progettare uno studio di coorte di reti multinazionali. Impostazione di cartelle cliniche elettroniche e dati sulle indicazioni sulla salute di otto paesi: Australia, Francia, Germania, Giappone, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, mappati su un modello di dati comune. Partecipanti 126 661 070 persone osservate per almeno 365 giorni prima del 1° gennaio 2017, 2018 o 2019 da 13 banche dati. Principali misure di esito Gli eventi di interesse erano 15 AESI prespecificati (ictus non emorragico ed emorragico, infarto miocardico acuto, trombosi venosa profonda, embolia polmonare, anafilassi, paralisi di Bell, miocardite o pericardite, narcolessia, appendicite, trombocitopenia immunitaria, coagulazione intravascolare disseminata, encefalite (compresa l'encefalomielite acuta disseminata), la sindrome di Guillain-Barré e la mielite trasversa). I tassi di incidenza degli AESI sono stati stratificati per età, sesso e database. I tassi sono stati raggruppati tra database utilizzando meta-analisi di effetti casuali e classificati in base alle categorie di frequenza del Council for International Organizations of Medical Sciences. RisultatiI tassi di fondo variano notevolmente tra i database. La trombosi venosa profonda variava da 387 (intervallo di confidenza al 95% da 370 a 404) per 100.000 anni-persona nei dati CPRD GOLD del Regno Unito a 1443 (da 1416 a 1470) per 100.000 anni-persona negli Stati Uniti Dati IBM MarketScan Multi-State Medicaid tra le donne di 65 anni a 74 anni. Alcuni AESI sono aumentati con l'età. Ad esempio, i tassi di infarto miocardico negli uomini sono aumentati da 28 (27 a 29) per 100.000 anni-persona tra quelli di età compresa tra 18 e 34 anni a 1400 (da 1374 a 1427) per 100.000 anni-persona in quelli di età superiore a 85 anni negli

121

Stati Uniti Optum electronic dati della cartella sanitaria. Altri AESI erano più comuni nei giovani. Ad esempio, i tassi di anafilassi tra ragazzi e uomini erano 78 (da 75 a 80) per 100.000 anni-persona in quelli di età compresa tra 6-17 anni e 8 (da 6 a 10) per 100.000 anni-persona in quelli di età superiore a 85 anni in Optum electronic dati della cartella sanitaria. Conclusione Questo studio ha trovato grandi variazioni nei tassi osservati di AESI per fascia di età e sesso, mostrando la necessità di stratificazione o standardizzazione prima di utilizzare i tassi di fondo per la sorveglianza della sicurezza. Tra i database è stata riscontrata una notevole eterogeneità a livello di popolazione nei tassi di AESI. https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1435

Efficacia dei vaccini Pfizer-BioNTech e Oxford-AstraZeneca sui sintomi correlati al covid-19, sui ricoveri ospedalieri e sulla mortalità negli anziani in Inghilterra: test caso-controllo negativo Jamie Lopez Bernal , Nick Andrews , Charlotte Gower , Chris Robertson , Julia Stowe , Elise Tessier , Ruth Simmons Simon Cottrell , Richard Roberts , Mark O'Doherty , Kevin Brown , Claire Cameron , Diane Stockton , Jim McMenamin , Mary Ramsay ,

BMJ 2021 ; 373 DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1088 Pubblicato il 13 maggio 2021

Astratto

Obiettivo Stimare l'efficacia nel mondo reale dei vaccini Pfizer-BioNTech BNT162b2 e Oxford-AstraZeneca ChAdOx1-S contro i sintomi confermati del covid-19 (compresa la variante britannica di preoccupazione B.1.1.7), i ricoveri ospedalieri e i decessi.

Design Test studio caso-controllo negativo.

Impostazione dei test comunitari per il covid-19 in Inghilterra.

I partecipanti 156 930 adulti di età pari o superiore a 70 anni che hanno riportato sintomi di covid-19 tra l'8 dicembre 2020 e il 19 febbraio 2021 e sono stati collegati con successo ai dati sulla vaccinazione nel Sistema nazionale di gestione delle vaccinazioni.

Interventi Vaccinazione con BNT162b2 o ChAdOx1-S.

122

Principali misure di esito Gli esiti primari erano infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2 confermate dalla reazione a catena della polimerasi, ricoveri in ospedale per covid-19 e decessi per covid-19.

RisultatiI partecipanti di età pari o superiore a 80 anni vaccinati con BNT162b2 prima del 4 gennaio 2021 avevano una probabilità più elevata di risultare positivi al covid-19 nei primi nove giorni dopo la vaccinazione (odds ratio fino a 1,48, intervallo di confidenza 95% da 1,23 a 1,77), indicando che quelli inizialmente preso di mira aveva un rischio di infezione sottostante più elevato. L'efficacia del vaccino è stata quindi confrontata con il periodo di riferimento post-vaccinazione. Gli effetti del vaccino sono stati osservati da 10 a 13 giorni dopo la vaccinazione, raggiungendo un'efficacia del vaccino del 70% (intervallo di confidenza del 95% dal 59% al 78%), quindi stabilizzandosi. Da 14 giorni dopo la seconda dose è stata riscontrata un'efficacia della vaccinazione dell'89% (dall'85% al 93%) rispetto all'aumento del rischio basale. I partecipanti di età pari o superiore a 70 anni vaccinati dal 4 gennaio (quando è iniziata la consegna di ChAdOx1-S) avevano un rischio sottostante simile di covid-19 per gli individui non vaccinati. Con BNT162b2, l'efficacia del vaccino ha raggiunto il 61% (dal 51% al 69%) da 28 a 34 giorni dopo la vaccinazione, per poi stabilizzarsi. Con ChAdOx1- S gli effetti sono stati osservati da 14 a 20 giorni dopo la vaccinazione, raggiungendo un'efficacia del 60% (dal 41% al 73%) da 28 a 34 giorni, aumentando al 73% (dal 27% al 90%) dal giorno 35 in poi . Oltre alla protezione contro la malattia sintomatica, è stato osservato un ulteriore 43% (dal 33% al 52%) di riduzione del rischio di ricovero ospedaliero d'urgenza e il 51% (dal 37% al 62%) di riduzione del rischio di morte in coloro che avevano ricevuto una dose di BNT162b2. I partecipanti che avevano ricevuto una dose di ChAdOx1-S avevano un ulteriore rischio ridotto del 37% (dal 3% al 59%) di ricovero ospedaliero di emergenza. Il follow-up è stato insufficiente per valutare l'effetto di ChAdOx1-S sulla mortalità. In combinazione con l'effetto contro la malattia sintomatica, una singola dose di entrambi i vaccini era efficace per circa l'80% nel prevenire il ricovero in ospedale con covid-19 e una singola dose di BNT162b2 era efficace per l'85% nel prevenire la morte con covid-19.

Conclusione La vaccinazione con una dose di BNT162b2 o ChAdOx1-S è stata associata a una significativa riduzione del covid-19 sintomatico negli anziani e ad un'ulteriore protezione contro la malattia grave. Entrambi i vaccini hanno mostrato effetti simili. La protezione è stata mantenuta per tutta la durata del follow-up (>6 settimane). Una seconda dose di BNT162b2 è stata associata a un'ulteriore protezione contro la malattia sintomatica. È stato trovato un chiaro effetto dei vaccini contro la variante B.1.1.7. https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1088

4 giugno 2021 Una prospettiva a lungo termine sull'immunità al COVID Determinare la durata dell'immunità protettiva all'infezione da SARS-CoV-2 è fondamentale per comprendere e prevedere il corso della pandemia di COVID-19. Gli studi clinici ora indicano che l'immunità sarà di lunga durata. Andreas Radbruch & Hyun-Dong Chang

DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-021-01557-z

123

Generare l'immunità contro il coronavirus SARS-CoV-2 è della massima importanza per tenere sotto controllo la pandemia di COVID-19, proteggere gli individui vulnerabili da malattie gravi e limitare la diffusione virale. Il nostro sistema immunitario protegge dalla SARS-CoV-2 attraverso una sofisticata reazione all'infezione o in risposta alla vaccinazione. Una domanda chiave è: quanto dura questa immunità? Scrivendo in Nature , Turner et al . 1 e Wang et al . 2 caratterizzano le risposte immunitarie umane all'infezione da SARS-CoV-2 nel corso di un anno. C'è una discussione in corso su quali aspetti della risposta immunitaria alla SARS-CoV-2 forniscono i segni distintivi dell'immunità (in altre parole, i correlati della protezione immunologica). Tuttavia, esiste probabilmente un consenso sul fatto che i due pilastri principali di una risposta antivirale siano le cellule immunitarie chiamate cellule T citotossiche, che possono eliminare selettivamente le cellule infette, e gli anticorpi neutralizzanti, un tipo di anticorpo che impedisce a un virus di infettare le cellule, e cioè secreto da cellule immunitarie chiamate plasmacellule. Un terzo pilastro di una risposta immunitaria efficace sarebbe la generazione di cellule T helper, che sono specifiche per il virus e coordinano la reazione immunitaria. Fondamentalmente, queste ultime cellule sono necessarie per generare memoria immunologica, in particolare per orchestrare l'emergere di plasmacellule a vita lunga 3, che continuano a secernere anticorpi antivirali anche quando il virus è scomparso. La memoria immunologica non è una versione duratura della reazione immunitaria immediata a un particolare virus; piuttosto, è un aspetto distinto del sistema immunitario. Nella fase di memoria di una risposta immunitaria, le cellule B e T specifiche per un virus vengono mantenute in uno stato di dormienza, ma sono pronte a entrare in azione se incontrano di nuovo il virus o un vaccino che lo rappresenta. Queste cellule B e T di memoria derivano da cellule attivate nella reazione immunitaria iniziale. Le cellule subiscono modifiche al loro DNA cromosomico, denominate modificazioni epigenetiche, che consentono loro di reagire rapidamente ai successivi segni di infezione e guidare risposte mirate all'eliminazione dell'agente che causa la malattia 4. Le cellule B hanno un duplice ruolo nell'immunità: producono anticorpi in grado di riconoscere le proteine virali e possono presentare parti di queste proteine a cellule T specifiche o svilupparsi in plasmacellule che secernono anticorpi in grandi quantità. Circa 25 anni fa 5 , divenne evidente che le plasmacellule possono diventare esse stesse cellule della memoria e possono secernere anticorpi per una protezione di lunga durata. Le plasmacellule della memoria possono essere conservate per decenni, se non per tutta la vita, nel midollo osseo 6. La presenza nel midollo osseo di plasmacellule di memoria a lunga vita che secernono anticorpi è probabilmente il miglior predittore disponibile di immunità di lunga durata. Per SARS-CoV-2, la maggior parte degli studi finora ha analizzato la fase acuta della risposta immunitaria, che si estende alcuni mesi dopo l'infezione, e ha monitorato le cellule T, le cellule B e gli anticorpi secreti 7 . Non è ancora chiaro se la risposta generi plasmacellule di memoria di lunga durata che secernono anticorpi contro SARS-CoV-2. Turner e colleghi hanno raccolto la sfida di identificare le plasmacellule di memoria che secernono anticorpinel midollo osseo di persone che si sono riprese da COVID-19 (chiamate persone convalescenti). Le plasmacellule della memoria sono rare e quelle specifiche per un particolare agente patogeno saranno ovviamente estremamente scarse. Tuttavia, Turner e colleghi hanno rilevato plasmacellule di memoria che secernono anticorpi specifici per la proteina spike codificata da SARS-CoV-2 in 15 individui su 19, circa 7 mesi dopo l'infezione. In particolare, quando gli autori hanno ottenuto campioni 4 mesi dopo (11 mesi dopo l'infezione da SARS- CoV-2), il numero di tali plasmacellule era rimasto stabile in tutti tranne uno degli individui analizzati. Quelle plasmacellule non hanno proliferato, il che le classifica come plasmacellule di memoria in buona fede. Il loro numero era uguale a quello delle plasmacellule della memoria trovate negli individui dopo la vaccinazione contro il tetano o la difterite,

124

Leggi il documento: ampiezza neutralizzante naturalmente potenziata contro SARS-CoV-2 un anno dopo l'infezione

Quando Turner et al . hanno monitorato le concentrazioni di anticorpi contro SARS-CoV-2 nel siero del sangue degli individui per un massimo di un anno, hanno osservato un pattern bifasico (Fig. 1). Nella risposta immunitaria acuta intorno al momento dell'infezione iniziale, le concentrazioni di anticorpi erano elevate. Successivamente sono diminuiti, come previsto, perché la maggior parte delle plasmacellule di una risposta immunitaria acuta sono di breve durata. Dopo alcuni mesi, le concentrazioni anticorpali si sono stabilizzate e sono rimaste più o meno costanti a circa il 10-20% della concentrazione massima osservata. Questo è coerente con l'aspettativa che il 10-20% delle cellule plasmatiche in una reazione immunitaria acuta diventa plasmacellule memoria 5, ed è una chiara indicazione di un passaggio dalla produzione di anticorpi da parte delle plasmacellule a vita breve alla produzione di anticorpi da parte delle plasmacellule di memoria. Questo non è inaspettato, dato che la memoria immunitaria per molti virus e vaccini è stabile per decenni, se non per tutta la vita 8. Stanno diventando disponibili dati che fanno luce sugli aspetti a lungo termine della risposta immunitaria umana all'infezione da coronavirus. Un componente della risposta di difesa è la produzione di anticorpi che prendono di mira le proteine virali (linea rossa). Durante la fase acuta iniziale della risposta immunitaria, i livelli anticorpali raggiungono il picco rapidamente; questo picco è generato da cellule immunitarie di breve durata chiamate plasmacellule. Turner et al. 1presentano prove cliniche, da persone che hanno avuto COVID-19, che plasmacellule di memoria a lunga vita che producono anticorpi sono generate nel midollo osseo. Queste cellule forniscono una produzione di anticorpi a lungo termine che offre una protezione stabile a un livello del 10-20% di quella durante la fase acuta (linea blu). Le plasmacellule della memoria sono un tipo di cellula che può essere conservata per molti anni, se non per tutta la vita 8 . Wang et al. 2 hanno caratterizzato le risposte anticorpali tra sei mesi e un anno in persone che sono state infettate da SARS-CoV-2; i loro risultati forniscono anche prove per la generazione di memoria immunologica.

125

Figura 1 | La risposta immunitaria all'infezione da SARS-CoV-2.

Per SARS-CoV, un coronavirus molto simile a SARS-CoV-2 che è stato originariamente identificato nel 2003 e causa la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), è stata segnalata la presenza continua di alte concentrazioni di anticorpi neutralizzanti nel siero del sangue per più di 17 anni 9 nel 2020. I risultati di Wang e colleghi suggeriscono che ci si potrebbe aspettare un'immunità a lungo termine anche per SARS-CoV-2. Gli autori riportano un'indagine di follow-up sugli anticorpi sierici e sulle cellule B di memoria specifiche per SARS-CoV-2 circa un anno dopo l'infezione. Gli individui studiati erano stati precedentemente analizzati dal gruppo di Wang e colleghi dopo sei mesi 10, ma è solo ora, dopo un anno, che è diventato evidente il passaggio da una reazione immunitaria acuta alla generazione della memoria immunologica. Wang et al . mostrano che, tra 6 e 12 mesi dopo l'infezione, la concentrazione di anticorpi neutralizzanti rimane invariata . Che la reazione immunitaria acuta si estenda anche oltre i sei mesi è suggerito dall'analisi degli autori delle cellule B di memoria specifiche per SARS-CoV-2 nel sangue degli individui convalescenti nel corso dell'anno. Queste cellule B di memoria migliorano continuamente la reattività dei loro anticorpi specifici per SARS-CoV- 2 attraverso un processo noto come ipermutazione somatica. Gli autori lo hanno dimostrato con test in vitro di neutralizzazione anticorpale di un'ampia raccolta di ceppi varianti SARS-CoV-2. Infine, Wang e colleghi dimostrano che l'immunità può essere ulteriormente potenziata nei soggetti convalescenti vaccinandoli dopo un anno. Ciò ha comportato la generazione di più plasmacellule, insieme a un aumento del livello di anticorpi SARS- CoV-2 fino a 50 volte maggiore rispetto a prima della vaccinazione. Alcune delle plasmacellule saranno probabilmente reclutate per diventare plasmacellule di memoria, anche se ciò resta da dimostrare formalmente, così come l'induzione di una memoria stabile a lungo termine come conseguenza della vaccinazione SARS-CoV-2.

126

La carenza di interferone può portare a un grave COVID

Nel valutare l'efficacia del vaccino, non dovremmo aspettarci che le alte concentrazioni anticorpali caratteristiche delle reazioni immunitarie acute vengano mantenute nella fase di memoria 11 . È un vecchio malinteso, quando si raccomandano frequenti rivaccinazioni, che le concentrazioni anticorpali durante la reazione immunitaria acuta possano essere confrontate con quelle successive, per calcolare un'immaginaria "emivita" dell'immunità mediata da anticorpi. Questo ignora il carattere bifasico della risposta immunitaria (Fig. 1). La buona notizia è che l'evidenza finora prevede che l'infezione da SARS-CoV-2 induca l'immunità a lungo termine nella maggior parte degli individui. Ciò fornisce una gradita nota positiva in attesa di ulteriori dati sulle risposte della memoria alla vaccinazione. https://www.nature.com/articles/d41586-021-01557-z

Associazione tra sesso e infezione da SARS-CoV-2 e ricovero in ospedale a seguito di COVID-19 Yochai Adir, Marc Umberto, Walid Saliba

Pubblicato: 18 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/S2213-2600(21)00239-3

Leggiamo con interesse il Commento di Mario Fernando e colleghi dal titolo “Le donne con asma sono a maggior rischio di COVID-19 grave?”. Sulla base di un'analisi dei dati pubblicati, gli autori suggeriscono che una percentuale maggiore di donne asmatiche sarebbe ricoverata in ospedale per COVID-19 rispetto agli uomini asmatici. Gli autori ipotizzano quindi che l'asimmetria immunologica Th1, una predisposizione all'asma più grave, le differenze strutturali del parenchima polmonare e le differenze ormonali potrebbero aumentare la suscettibilità delle donne asmatiche al COVID-19 grave e, a sua volta, il ricovero in ospedale. Tuttavia, dopo aver esaminato attentamente questo commento e gli studi citati, vorremmo temperare la conclusione degli autori e riportare i nostri risultati su un ampio database nazionale, che non supporta questa ipotesi.

127

In breve, abbiamo analizzato i dati di 214 031 pazienti adulti asmatici (52,2% donne) dell'Israel Clalit Health Services. Come già riportato in altri studi, l'analisi di questo database ha confermato che l'età, la classe socioeconomica inferiore e le comorbidità, come diabete, ipertensione, obesità e cardiopatia ischemica, erano tutti fattori di rischio indipendenti per il ricovero in ospedale a causa del COVID-19. Rispetto agli uomini asmatici, le donne asmatiche erano significativamente più anziane, presentavano una maggiore prevalenza di comorbidità, come diabete e ipertensione, e avevano un indice di massa corporea (BMI) più elevato (27,34 kg/m 2 vs 25,94 kg). / m 2 ). Sebbene non sia stata trovata alcuna differenza significativa nella proporzione cumulativa di PCR positivi per SARS-CoV-2 tra donne e uomini asmatici (4,7% vs 4,5%; p=0,089), la proporzione cumulativa di ospedalizzazione era rara ma leggermente superiore nelle donne rispetto agli uomini (0,6%contro 0,4%; p<0,001; rapporto di rischio grezzo [HR] 1,39, 95% CI 1,23-1,57). Tuttavia, un modello di regressione del rischio proporzionale di Cox multivariabile ha rivelato che il sesso femminile non era un rischio indipendente per l'ospedalizzazione a causa di COVID-19 dopo l'aggiustamento solo per le comorbilità trovate più comuni nelle donne (ipertensione, diabete e BMI; HR 1 ·06, 95% CI 0,94-1,21). Risultati simili sono stati osservati con un aggiustamento più ampio per età, sesso, etnia, stato socioeconomico, fumo, BMI, diabete, ipertensione e cardiopatia ischemica; rispetto agli uomini asmatici, le donne asmatiche avevano un HR di 1,00 (95% CI 0,96-1,04) per il ricovero in ospedale a causa di COVID-19. L'associazione tra sesso femminile e rischio di ospedalizzazione a causa di COVID-19 è stata significativamente modificata da ipertensione, diabete e BMI. Rispetto agli uomini asmatici, le donne asmatiche senza ipertensione in comorbidità erano a rischio significativamente più elevato di ospedalizzazione. Al contrario, le donne asmatiche con ipertensione, diabete e obesità avevano un rischio di ospedalizzazione significativamente inferiore rispetto agli uomini asmatici. In sintesi, le donne hanno un carico di malattia apparente di COVID-19 più elevato rispetto agli uomini in generale (portando a tassi significativamente più alti di ospedalizzazione, costi sanitari, mortalità e gravità della malattia). Tuttavia, un'attenta analisi delle caratteristiche dei pazienti ha mostrato che il maggior numero di ricoveri osservati tra le donne asmatiche era in realtà causato da una maggiore prevalenza di comorbidità note come fattori di rischio indipendenti per la gravità del COVID-19. Inoltre, le analisi dei sottogruppi suggeriscono che le donne asmatiche potrebbero avere un minor rischio di ospedalizzazione a causa di COVID-19 rispetto agli uomini in un contesto di ipertensione, diabete e obesità. https://www.thelancet.com/journals/lanres/article/PIIS2213-2600(21)00239-3/fulltext

128

Diagnostica e clinica

129

17 giugno 2021 Associazione della terapia al plasma convalescente con la sopravvivenza nei pazienti con tumori ematologici e COVID-19 Michael A. Thompson, MD, PhD1; Jeffrey P. Henderson, MD, PhD2; Pankil K. Shah, medico, MSPH3; et alSamuel M. Rubinstein, medico4; Michael J. Joyner, MD5; Toni K. Choueiri, medico6; Daniel B. Flora, MD, PharmD7; Elizabeth A. Griffiths, dottore in medicina8; Anthony P. Gulati, medico9; Clara Hwang, MD10; Vadim S. Koshkin, medico11; Esperanza B. Papadopoulos, dottore in medicina12; Elizabeth V. Robilotti, MD, MPH12; Christopher T. Su, MD, MPH13; Elizabeth M. Wulff-Burchfield, dottore in medicina14; Zhuoer Xie, MD, MS15; Peter Paul Yu, medico16; Sanjay Mishra, MS, PhD17; Jonathan W. Senefeld, PhD5; Dimpy P. Shah, MD, PhD18; Jeremy L. Warner, MD, MS19; per il Consorzio COVID-19 e Tumori

JAMA Oncol. Pubblicato online il 17 giugno 2021. DOI:10.1001/jamaoncol.2021.1799

Punti chiave

Domanda La terapia al plasma convalescente è associata a risultati migliori dei pazienti ospedalizzati con COVID-19 e cancro ematologico?

Risultati In questo studio di coorte su 966 pazienti con cancro ematologico e COVID-19, dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti, il trattamento con plasma di convalescenza è stato associato a una mortalità a 30 giorni significativamente migliorata nei 143 individui che lo hanno ricevuto. Questa associazione è rimasta significativa dopo la corrispondenza del punteggio di propensione.

Significato Questi risultati suggeriscono un potenziale beneficio di sopravvivenza nella somministrazione di plasma convalescente a pazienti con tumori ematologici e COVID-19. Astratto

Importanza COVID-19 è una malattia pericolosa per la vita per molti pazienti. Studi precedenti hanno stabilito che i tumori ematologici sono un fattore di rischio associato a esiti particolarmente negativi di COVID-19. A nostra conoscenza, nessuno studio ha stabilito un ruolo benefico per gli interventi anti-COVID- 19 in questa popolazione a rischio. La terapia al plasma convalescente può giovare agli individui immunocompromessi con COVID-19, compresi quelli con tumori ematologici.

130

Obiettivo Valutare l'associazione del trattamento al plasma convalescente con la mortalità a 30 giorni negli adulti ospedalizzati con tumori ematologici e COVID-19 da una coorte multi-istituzionale.

Design, setting e partecipanti Questo studio di coorte retrospettivo utilizza i dati del registro COVID-19 e Cancer Consortium con punteggio di propensione corrispondente a pazienti valutati con tumori ematologici che sono stati ricoverati in ospedale per COVID-19. I dati sono stati raccolti tra il 17 marzo 2020 e il 21 gennaio 2021.

Esposizioni Trattamento al plasma convalescente in qualsiasi momento durante il ricovero.

Principali risultati e misure L'esito principale era la mortalità per tutte le cause a 30 giorni. È stata eseguita un'analisi di regressione dei rischi proporzionali di Cox con aggiustamento per potenziali fattori confondenti. I rapporti di rischio (HR) sono riportati con IC al 95%. Sono state condotte analisi di sottogruppi secondari su pazienti con COVID-19 grave che richiedevano supporto ventilatorio meccanico e/o ricovero in unità di terapia intensiva.

Risultati In questo studio sono stati valutati un totale di 966 individui (età media [DS], 65 [15] anni; 539 [55,8%] maschi); 143 riceventi plasma convalescenti sono stati confrontati con 823 pazienti di controllo non trattati. Dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti, il trattamento al plasma convalescente è stato associato a un miglioramento della mortalità a 30 giorni (HR, 0,60; 95% CI, 0,37-0,97). Questa associazione è rimasta significativa dopo la corrispondenza del punteggio di propensione (HR, 0,52; 95% CI, 0,29-0,92). Tra i 338 pazienti ammessi all'unità di terapia intensiva, la mortalità era significativamente più bassa nei riceventi di plasma convalescenti rispetto ai non riceventi (HR per il confronto con il punteggio di propensione abbinato, 0,40; 95% CI, 0,20-0,80). Tra i 227 pazienti che necessitavano di supporto ventilatorio meccanico,

Conclusioni e rilevanza I risultati di questo studio di coorte suggeriscono un potenziale beneficio di sopravvivenza nella somministrazione di plasma convalescente a pazienti con tumori ematologici e COVID- 19. https://jamanetwork.com/journals/jamaoncology/fullarticle/2780916

Test dell'antigene SARS-CoV-2: soppesare i falsi positivi contro i costi del mancato controllo della trasmissione Elisabetta Fearon, Iain E Buchan, Rajenki Das, Emma L Davis, Martyn Files, Ian Hall et al.

Pubblicato: 14 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/S2213-2600(21)00234-4

131

I test rapidi del dispositivo a flusso laterale (LFD) per gli antigeni SARS-CoV-2 vengono utilizzati per i test asintomatici (anche per le persone presintomatiche o paucisintomatiche) in vari contesti, incluso il Regno Unito. A partire dal 9 aprile 2021, i test LFD sono stati resi disponibili per test rapidi due volte a settimana per la popolazione generale in Inghilterra. Articoli di notizie hanno riportato pressioni all'interno del governo del Regno Unito per revocare i test asintomatici a causa delle preoccupazioni che, nonostante l'elevata specificità (stimata al 99,9%), la proporzione di persone risultate positive che avevano COVID-19 (cioè il valore predittivo positivo) si stava allineando con la riduzione della prevalenza, portando a proporzioni maggiori di individui che dovevano isolarsi inutilmente a causa di un risultato del test falso positivo. Chiedere alle persone di isolarsi sulla base di quello che potrebbe essere un risultato falso positivo è associato a un'ingiustizia percepita e, in alcuni casi, all'indignazione morale. Il rischio che le persone senza COVID-19 si autoisolano a causa di risultati dei test falsi positivi è un costo per l'individuo, la loro famiglia e il loro posto di lavoro che necessita di considerazione e mitigazione. Tuttavia, questo costo dovrebbe essere considerato nel contesto dei costi derivanti dall'incapacità di identificare i risultati veri positivi. Nel Regno Unito, le strategie di controllo dell'epidemia implementate durante lo scorso anno, compresi i blocchi, hanno richiesto a tutte le persone che non hanno COVID-19 di isolare o mettere in quarantena e di limitare notevolmente i loro contatti sociali, chiudendo al contempo interi settori. Queste restrizioni hanno avuto enormi implicazioni per il reddito, l'istruzione e il benessere di molte persone, compresi bambini e giovani. Qualsiasi discussione riguardante la politica di test LFD dovrebbe includere il compromesso tra gli effetti negativi dei falsi positivi e la trasmissione successiva impedita. Questo compromesso è particolarmente pertinente se si considera il contributo dei test LFD per prevenire la necessità di ulteriori misure restrittive diffuse. Mantenere bassa la prevalenza di COVID-19 è di grande beneficio pubblico. Durante la pandemia, a tutte le persone nel Regno Unito è stato chiesto di adottare misure, che potrebbero essere personalmente impegnative, per mitigare il rischio per gli altri, anche quando non hanno sintomi e hanno una bassa probabilità di trasmettere il virus. Le persone nel Regno Unito generalmente indossano una maschera sul naso e sulla bocca in spazi chiusi e si autoisolano se sono state in contatto con qualcuno noto per avere COVID-19, anche se si stima che solo il 10-15% delle persone che entrano in contatto con qualcuno con COVID-19 viene infettato durante un periodo di alta prevalenza. Queste misure potrebbero essere considerate analoghe alle risposte a un test falso positivo, ma il pubblico riconosce il loro valore nella riduzione della trasmissione. La maggior parte delle persone riconosce anche che ridurre il rischio di trasmissione ad altri è vantaggioso per se stessi, e lo stesso vale per i test asintomatici o di comunità. Nessuna misura per controllare la trasmissione di SARS-CoV-2 è priva di costi o danni e questi costi e danni non sono sperimentati allo stesso modo in tutta la società. Se i test asintomatici devono funzionare ed essere equi, è imperativo che si faccia di più per garantire che l'isolamento o la quarantena non siano un sacrificio indebito che colpisca in modo sproporzionato le persone che non possono lavorare da casa e potrebbero perdere il lavoro, il reddito o la capacità di prendersi cura membri della famiglia. Una parte cruciale del problema è la distinzione tra risultati falsi positivi e risultati veri positivi e le loro conseguenze come sistema end-to-end. Gran parte del danno dei risultati falsi positivi può essere mitigato facendo un secondo test se il primo è positivo; se questo viene fatto tramite LFD, aggiungerebbe solo 30 minuti e diversi lotti di test (o anche test che rilevano antigeni diversi) potrebbero aiutare a risolvere i problemi che la possibilità di ricevere un risultato falso positivo potrebbe essere correlata tra i test consegnati insieme, in particolare se provengono dallo stesso lotto. Sebbene un secondo test aumenti la specificità della procedura di test, può solo ridurre la sensibilità complessiva poiché né il test LFD né il test PCR sono sensibili al 100%. La conseguente riduzione dei risultati veri positivi potrebbe anche avere un effetto sulla trasmissione. Se la prevalenza di COVID-19 è bassa e la proporzione di risultati falsi positivi è giudicata troppo alta per i test su popolazioni asintomatiche di massa, se considerata con gli opportuni compromessi, i test LFD potrebbero 132

essere adatti ad altre applicazioni, tra cui: test su sottopopolazioni con alta prevalenza, come le persone che sono state in contatto con qualcuno con COVID-19; test in ambienti ad alta trasmissione o dove il distanziamento fisico è impossibile; e test in aree in cui sono state rilevate varianti preoccupanti. Il ruolo dei test LFD nella società può e dovrebbe essere soggetto a studio continuo (incluso il rapporto costo-efficacia), revisione e comunicazione, con modifiche politiche apportate di conseguenza. Inoltre, i messaggi sull'accuratezza, l'interpretazione e l'importanza del test LFD dovrebbero essere chiari, dovrebbero raggiungere i gruppi meno abbienti e dovrebbero essere basati sulle prove più aggiornate. Gli interventi di test asintomatici non dovrebbero essere ignorati sulla base del numero di persone che si isolano solo dopo i risultati dei test falsi positivi senza valutare il loro valore nel prevenire sia la trasmissione successiva che interventi restrittivi più diffusi. https://www.thelancet.com/journals/lanres/article/PIIS2213-2600(21)00234-4/fulltext

Trattamento della sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini Andrew J. McArdle, MB, B.Chir., Ortensia Vito, M.Sc., Harsita Patel, MB, BS, Eleanor G. Seaby, Priyen Shah, MB, BS, Clare Wilson, MB, B.Chir., Claire Broderick, MB, BS, Ruud Nijman, MD, Ph.D., Adriana H. Tremoulet, MD, Daniel Munblit, MD, Ph.D., Rolando Ulloa-Gutierrez, MD, Michael J. Carter, BM, B.Ch., D. Phil., et al., per il Consorzio BATS *

16 giugno 2021 DOI: 10.1056/NEJMoa2102968 Astratto

Sfond o Sono urgentemente necessarie prove per supportare le decisioni terapeutiche per i bambini con sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C) associata a sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2.

Met odi Abbiamo eseguito uno studio di coorte osservazionale internazionale di dati clinici e di esito relativi a sospetti MIS-C che erano stati caricati dai medici su un database basato sul Web. Abbiamo utilizzato la ponderazione della probabilità inversa e modelli lineari generalizzati per valutare l'immunoglobulina endovenosa (IVIG) come riferimento, rispetto a IVIG più glucocorticoidi e glucocorticoidi da soli. C'erano due esiti primari: il primo era un composito di supporto inotropo o ventilazione meccanica entro il giorno 2 o successivo o morte; il secondo era una riduzione della gravità della malattia su scala ordinale entro il giorno 2. Gli esiti

133

secondari includevano l'escalation del trattamento e il tempo fino a una riduzione dell'insufficienza d'organo e dell'infiammazione.

R i s ul t ati Erano disponibili dati sul corso del trattamento per 614 bambini provenienti da 32 paesi da giugno 2020 a febbraio 2021; 490 ha soddisfatto i criteri dell'Organizzazione mondiale della sanità per MIS-C. Dei 614 bambini con sospetta MIS-C, 246 hanno ricevuto un trattamento primario con solo IVIG, 208 con IVIG più glucocorticoidi e 99 con soli glucocorticoidi; 22 bambini hanno ricevuto altre combinazioni di trattamento, inclusi agenti biologici, e 39 non hanno ricevuto alcuna terapia immunomodulante. La ricezione di supporto inotropo o ventilatorio o il decesso si è verificato in 56 pazienti che hanno ricevuto IVIG più glucocorticoidi (odds ratio aggiustato per il confronto con IVIG da solo, 0,77; intervallo di confidenza al 95% [CI], da 0,33 a 1,82) e in 17 pazienti che hanno ricevuto solo glucocorticoidi (odds ratio aggiustato, 0,54; IC 95%, 0,22- 1,33). Gli odds ratio aggiustati per una riduzione della gravità della malattia erano simili nei due gruppi, rispetto alla sola IVIG (0,90 per IVIG più glucocorticoidi e 0,93 per i soli glucocorticoidi). Il tempo fino alla riduzione della gravità della malattia era simile nei tre gruppi.

Conclusioni Non abbiamo trovato prove che il recupero da MIS-C differisse dopo il trattamento primario con solo IVIG, IVIG più glucocorticoidi o solo glucocorticoidi, sebbene possano emergere differenze significative man mano che si accumulano più dati.

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2102968?query=featured_coronavirus

134

Ossigenazione extracorporea a membrana per COVID-19 durante la prima e la seconda ondata Lars Mikael Broman, Staffan Eksborg, Valeria Lo Coco, Maria Elena De Piero, Jan Belohlavek, Roberto Lorusso, et al.

Pubblicato: 16 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/S2213-2600(21)00262-9

Il COVID-19 ha sconvolto il mondo, con conseguenze secondarie che non è ancora possibile stimare. L'OMS e la European Extracorporeal Life Support Organization (ELSO) hanno raccomandato l'ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO) all'inizio della pandemia, secondo i criteri standard A marzo 2020, è stata istituita l'indagine EuroELSO per segnalare l'uso dell'ECMO e gli esiti nei pazienti con COVID-19 una volta alla settimana. Diversi mesi dopo la pandemia, abbiamo appreso empiricamente che gli steroidi e la tromboprofilassi hanno migliorato l'esito, il che è stato confermato da studi successivi. I dati dell'indagine EuroECMO raccolti tra il 12 marzo 2020 e il 14 settembre 2020 (cioè la prima ondata) e altri aggregati multicentrici hanno mostrato risultati favorevoli con una sopravvivenza del 55-60%. Sono stati riportati anche esiti meno incoraggianti, con un tasso di sopravvivenza inferiore al 30%. Abbiamo analizzato la fornitura continua di ECMO per i pazienti con COVID-19 durante la prima e la seconda ondata dell'indagine EuroECMO. I nostri risultati indicano che il quadro clinico è cambiato durante la seconda ondata (tra il 15 settembre 2020 e l'8 marzo 2021). Le curve di mortalità e di successo dello svezzamento si avvicinano l'una all'altra, indicando un aumento della mortalità rispetto allo svezzamento e alla sopravvivenza. L'analisi del rapporto tra decessi e svezzati nel corso del 2020 mostra un trend significativamente crescente nel tempo. Durante la primavera e l'inizio dell'estate del 2020, questo rapporto era inferiore a 1, ovvero il numero di svezzati (sopravvissuti dall'ECMO) era superiore al numero di deceduti. Attualmente, questo rapporto è maggiore di 1, indicando un esito peggiore (p<0.006; regressione lineare mediana-mediana). Lo stesso schema emerge per quanto riguarda la sopravvivenza tra la prima e la seconda ondata sulla base dei dati diffusi l'8 marzo 2021. Nella prima ondata, lo svezzamento è stato realizzato con successo nel 58% (841 su 1442) dei pazienti, rispetto al 47% (718 su 1723; p<0,0001) nella seconda ondata. Compresi i decessi riportati dopo lo svezzamento, la sopravvivenza è stata del 53% (770) nella prima ondata e del 44% (677; p<0,0001) nella seconda ondata. L'Europa sta entrando nella terza ondata della pandemia di COVID-19. Alla maggior parte dei pazienti vengono somministrati steroidi durante il ricovero in ospedale e potrebbero essere utilizzati altri adiuvanti. Pertanto, quando un paziente viene riconosciuto come candidato all'ECMO, sta già ricevendo steroidi. I dati del Centro nazionale di audit e ricerca per la terapia intensiva e uno studio francese hanno mostrato un aumento della mortalità nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica durante la seconda ondata.

135

Figura 1 Risultato cumulativo dell'ECMO per COVID-19

Figura 2 Relazione tra sopravvissuti e pazienti deceduti per COVID-19 supportata da ECMO

Trarre conclusioni da questi dati potrebbe essere prematuro, ma la pendenza del deterioramento clinico potrebbe essere ridotta. I pazienti avrebbero potuto essere sottoposti a ventilazione meccanica più a lungo nella seconda ondata rispetto alla prima ondata con un bias di selezione verso pazienti che non sarebbero sopravvissuti con ventilazione meccanica o ECMO. Il tempo sull'ECMO è più lungo nei pazienti con COVID-19 rispetto ai pazienti con qualsiasi altra diagnosi e sono aumentati anche il numero di pazienti in ECMO a lungo termine (> 28 giorni) e il numero di casi inutili. L'ECMO sveglio e l'estubazione precoce influenzerebbero il decorso della malattia e migliorerebbero i risultati?

136

Quando i mezzi per superare questa malattia non hanno successo, il trattamento ECMO dovrebbe essere sospeso o continuato come ponte verso il trapianto di polmone per i candidati idonei? Queste domande evocano nuove discussioni cliniche ed etiche. Un limite di questa analisi primaria era che il supporto ECMO era ancora in corso nel 25% dei pazienti nella seconda ondata rispetto a circa il 5% nella prima ondata e il database non consentiva l'adeguamento del tempo dalla ventilazione meccanica all'ECMO. La comunità ECMO deve essere informata su questi risultati preliminari. Tuttavia, sono necessari ulteriori modelli di previsione per consentire l'identificazione dei pazienti che potrebbero beneficiare maggiormente dell'ECMO. https://www.thelancet.com/journals/lanres/article/PIIS2213-2600(21)00262-9/fulltext

137

Farmaci e vaccini

138

Dosaggio del farmaco pandemico socialmente ottimale Garth W Strohbehn, William F Parker, Pankti D Reid e Walid F Gellad

Accesso Libero Pubblicato: 14 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/S2214-109X(21)00251-5

Gli studi randomizzati e controllati sono essenziali per dimostrare l'efficacia di un farmaco, ma ignorano la possibilità che il farmaco in studio possa diventare troppo scarso per trattare una popolazione. La scarsità di farmaci salvavita danneggia i pazienti che non vi hanno accesso e aggrava le disuguaglianze. In generale, le risorse scarse dovrebbero essere razionate per massimizzare i benefici e mitigare le disuguaglianze sanitarie. Il dosaggio ottimale diventa quindi una questione cruciale di equità clinica, etica e di salute pubblica globale. Gli studi clinici a dosaggio variabile, specialmente nelle pandemie, sono un imperativo morale. Gli studi di dosaggio aiutano a prevenire lo spreco di farmaci a causa del sovradosaggio e chiariscono le ambiguità di dosaggio che altrimenti porterebbero a danni. Inoltre, una sperimentazione a dosaggio variabile su un farmaco con efficacia nota richiede meno tempo e denaro e meno pazienti volontari rispetto a quelli necessari per la ricerca convenzionale (in cui la dose non è messa in discussione) per aumentare i benefici della stessa entità. A tal fine, la mancanza di urgenza verso l'ottimizzazione della dose del vaccino SARS-CoV-2 ha avuto gravi conseguenze sulla salute pubblica globale. Le mezze dosi (50 μg) del vaccino Moderna (mRNA-1273) generano quantità quasi equivalenti di anticorpi neutralizzanti il virus della dose completa (100 μg). Nonostante il potenziale per raddoppiare la fornitura di uno dei vaccini mRNA del mondo, non sono in corso grandi studi randomizzati controllati che valutino i vaccini mRNA a mezza dose. Allo stesso modo, la migliore prova disponibile per estendere l'intervallo tra le dosi di vaccini mRNA deriva dall'assunzione di rischi calcolata (con un successo schiacciante) nel Regno Unito. L'attenzione iniziale alle strategie di dose e tempistica avrebbe facilitato le strategie di vaccinazione della popolazione e avvantaggiato coloro che avevano il compito di elaborare la politica. La disconnessione tra dosi individualmente e socialmente ottimali viene mostrata al meglio attraverso un esperimento mentale: supponiamo che dosi di 100 μg e 50 μg di un dato vaccino siano efficaci rispettivamente del 95% e del 75% nel prevenire la morte nella stessa popolazione a rischio. Dimezzare la dose di un vaccino scarso consente di raddoppiare le persone vaccinate. In questo scenario, 50 μg forniscono una protezione individuale relativamente inferiore, ma prevengono circa il 60% in più di decessi. In un'ipotetica popolazione di 200 individui che altrimenti morirebbero, la somministrazione della dose di 100 μg ai primi 100 individui previene 95 decessi ma lascia i restanti 100 senza protezione. La somministrazione della dose di 50 μg all'intera popolazione a rischio previene 150 decessi, 75 nei primi 100 individui che ricevono un vaccino a mezza dose e altri 75 nei secondi 100 individui. Si prevengono 55 decessi in più somministrando la dose meno efficace individualmente a tutti gli individui rispetto alla somministrazione della dose più efficace individualmente solo a metà, riflettendo un miglioramento di circa il 60% (55/95), prima di tenere conto dei benefici sociali che potrebbero essere ottenuti raggiungendo immunità di gregge più velocemente. In questo esperimento mentale, come strategia sociale, 50 μg è migliore di 100 μg perché aumenta l'efficacia marginale della risorsa scarsa, il numero di morti evitate per μg di droga. 139

I responsabili politici possono avere il compito di massimizzare i benefici per la popolazione di una scarsa risorsa di vaccini. Farlo con sicurezza richiede una comprensione della relazione dose-risposta. Riflettendo un miglioramento di circa il 60% (55/95), prima di tenere conto dei benefici sociali che si potrebbero ottenere raggiungendo più rapidamente l'immunità di gregge. In questo esperimento mentale, come strategia sociale, 50 μg è migliore di 100 μg perché aumenta l'efficacia marginale della risorsa scarsa, il numero di morti evitate per μg di droga. Farlo con sicurezza richiede una comprensione della relazione dose-risposta. I responsabili politici possono avere il compito di massimizzare i benefici per la popolazione di una scarsa risorsa di vaccini. Una volta stabilita l'efficacia di un determinato farmaco, i principali problemi di salute pubblica diventano la massimizzazione marginale dei benefici sociali del farmaco e la scalabilità rapida ed equa della sua disponibilità. La futura ricerca etica sulla pandemia dovrebbe basarsi sui successi delle piattaforme di sperimentazione clinica con sede nel Regno Unito e indagare contemporaneamente su più farmaci candidati per i segnali di efficacia. Alla scoperta dell'efficacia, tuttavia, è necessario concentrarsi sulla valutazione della relazione dose- risposta del farmaco e sull'identificazione della sua dose socialmente ottimale attraverso coorti di espansione integrate e randomizzate per l'individuazione della dose. Le potenziali critiche a un modello di sviluppo di farmaci pandemici in due fasi e focalizzato sulla società sono almeno quattro volte. La prima critica è se gli studi negativi sul dosaggio migliorano il benessere sociale. Rispondiamo affermativamente: indipendentemente dal risultato finale, gli studi sul dosaggio aiutano a evitare decisioni di razionamento dannose fisicamente (per i pazienti) e moralmente dannose (per i prescrittori). Il secondo è se sono necessari studi di ottimizzazione della dose. Chiaramente, riteniamo che lo siano: le analisi costi-utilità rappresentano un ottimo punto di partenza per il dosaggio, ma è giustificato ripensare la dose dal punto di vista del benessere sociale. Il terzo è se l'ottimizzazione della dose allunga i tempi di sviluppo. In risposta, promuoviamo la comunicazione dei risultati in due fasi in parallelo: efficacia seguita dall'ottimizzazione della dose, guidata dal contributo delle autorità di regolamentazione, dalla leadership del sistema sanitario e dai comitati delle linee guida di consenso. Infine, gli scettici sostengono che la riduzione della dose di vaccino in particolare rischia di creare varianti virali resistenti. Sebbene una pressione selettiva insufficiente a causa di una dose più bassa in teoria aumenti la probabilità che emerga un ceppo virale resistente, lo stesso vale per la scelta attiva di non massimizzare la disponibilità del vaccino. I dati del mondo reale supportano un approccio attivista al dosaggio del vaccino e, per quanto ne sappiamo, nel Regno Unito non sono emersi ceppi resistenti ai vaccini. Dobbiamo tutti riconoscere che anche nella migliore delle circostanze pandemiche - fornitura infinita di vaccini che consente la stretta aderenza alle linee guida sul dosaggio da studi randomizzati controllati - l'emergere di un ceppo virale resistente al vaccino è un'incognita nota. In conclusione, la ricerca durante la pandemia di COVID-19 è stata caratterizzata da una serie di innovazioni, tra cui l'aumento delle piattaforme di sperimentazione clinica. Ma dobbiamo riconoscere che non siamo riusciti a identificare la dose socialmente ottimale di quasi tutte le principali terapie o vaccini, limitando la nostra capacità di massimizzare i benefici e mitigare le disuguaglianze. L'integrazione di studi di dose-range nelle piattaforme di sperimentazione clinica sarà un passo fondamentale verso la costruzione di un sistema globale, orientato all'offerta, integrato e resiliente di ricerca sugli studi clinici sulle pandemie per il futuro. https://www.thelancet.com/journals/langlo/article/PIIS2214-109X(21)00251-5/fulltext

140

Avanti con un vaccino imperfetto Lorenzo Pezzoli e Andrew S Azman

Pubblicato: 16 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1016/S1473-3099(20)30851-3

Anche i vaccini utilizzati in programmi di controllo delle malattie di grande successo (ad es. morbillo, polio o vaiolo) hanno richiesto un'elevata copertura vaccinale, spesso con dosi multiple, e non portano a un'immunità duratura perfetta per tutte le persone. Poiché i vaccini vengono sviluppati contro un'ampia gamma di agenti patogeni, inclusa la malaria e SARS-COV-2, e molti vaccini conferiscono solo livelli di protezione individuale a breve termine e modesti, la comunità globale deve bilanciare risorse limitate tra investimenti nello sviluppo di vaccini migliori e sforzi di salute pubblica per fornire una protezione imperfetta ma diffusa alle masse. I vaccini orali per il colera a cellule intere uccisi (OCV) rappresentano un esempio di questo tipo. L'attuale generazione di OCV è stata prequalificata dall'OMS nel 2011. L'ultima meta-analisi pubblicata con dati provenienti da più paesi ha dimostrato che un regime OCV a due dosi ha conferito protezione (efficacia: 76%, 95% CI 42-69) nei primi anni, con i bambini piccoli che hanno circa la metà della protezione dei bambini più grandi e adulti. Prima di questo numero di The Lancet Infectious Diseases , solo due studi che utilizzavano la moderna formulazione di OCV avevano pubblicato risultati cumulativi di efficacia o efficacia per un periodo di oltre 2 anni dopo la vaccinazione, uno da Haiti (4 anni) e un altro dall'India (5 anni). Rispondendo a questa prova limitata, Mohammad Ali e colleghi rapporto sulle stime dell'efficacia dell'OCV da un follow-up di 2-4 anni di uno studio randomizzato a cluster in Bangladesh. Mostrano che l'efficacia complessiva del vaccino (una misura degli effetti sia indiretti che diretti) è sostenuta per 4 anni nelle persone vaccinate quando avevano 5 anni o più. Tuttavia, coerentemente con le prove precedenti, i loro risultati suggeriscono una protezione inferiore e forse meno duratura nei bambini piccoli. In breve, evidenziano che in questo contesto endemico, l'OCV può ridurre significativamente l'incidenza del colera grave, ma la protezione non è equamente distribuita. L'uso di OCV nelle campagne di massa è sostanzialmente aumentato dalla creazione della scorta globale nel 2013, da 0,2 milioni di dosi distribuite ad Haiti nel primo anno a 24 milioni in più paesi nel 2019. Tuttavia, questo aumento è modesto rispetto agli oltre un miliardo di persone a rischio a livello globale. Solo pochi paesi hanno iniziato a utilizzare l'OCV come parte di sforzi su vasta scala per ridurre il carico di colera. Paesi altamente endemici come il Bangladesh e l'India, dove sono stati condotti gli studi clinici formativi, devono ancora superare le fasi pilota. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente rallentato l'uso di OCV nel 2020 e nel 2021. Le ragioni di questa diffusione tutt'altro che ideale sono complesse e legate sia alla domanda che all'offerta. L'uso di routine del vaccino è stato limitato a causa delle incongruenze tra l'ambito della vaccinazione contro il colera (rivolgendosi a tutti gli individui di età ≥1 anno in aree ad alto rischio, con più settori governativi) e i programmi di immunizzazione di routine (tipicamente focalizzati sui bambini a livello nazionale e guidati da un entità, il Programma ampliato sull'immunizzazione), nonché poche indicazioni su come incorporare l'OCV nei sistemi sanitari pubblici. Sebbene le indicazioni su chi indirizzare i vaccini, quanto spesso rivaccinare e come bilanciare l'uso di vaccini di emergenza e non di emergenza allevieranno alcuni colli di bottiglia della domanda, l'offerta di vaccini incerta rimane. Sebbene la scorta di OCV sia stata sviluppata per interrompere questo ciclo di offerta insufficiente.

141

L'OCV non è la soluzione definitiva per il colera, ma offre ai responsabili delle decisioni il tempo di mettere in atto interventi sull'acqua, i servizi igienico-sanitari e l'igiene che siano durevoli, sostenibili e sicuri. Questi nuovi dati sulla protezione derivata da OCV non dovrebbero essere usati come scusa per ritardare questi interventi strutturali critici. Al contrario, dovrebbe motivare il progresso verso gli obiettivi globali di eliminazione del colera. Affinché l'OCV abbia un reale impatto sulla salute pubblica in tutto il mondo, c'è urgente bisogno di una guida pratica sull'integrazione dell'uso di routine dell'OCV nei sistemi sanitari pubblici nazionali e sullo sviluppo di meccanismi creativi per aumentare la produzione e la disponibilità di vaccini, investendo allo stesso tempo in nuovi e formulazioni di vaccini migliorate. E, cosa ancora più importante, l'impegno politico per porre fine al colera dovrebbe essere promosso a tutti i livelli per garantire che risorse sufficienti (inclusi, ma non solo, i vaccini) siano disponibili per i paesi colpiti dal colera. https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(20)30851-3/fulltext

Variante Delta: cosa sta succedendo con la trasmissione, i ricoveri ospedalieri e le restrizioni? Elisabeth Mahase

DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1513 Pubblicato il 15 giugno 2021 BMJ 2021;373:n1513

Nel Regno Unito sono state somministrate più di 71 milioni di dosi di vaccino contro il covid-19 e in molte aree il blocco è stato allentato. Ma, mentre domina la variante delta, Elisabeth Mahase si chiede: c'è un'altra onda all'orizzonte?

Aumentano i ricoveri ospedalieri per il covid-19? Sì. Il numero di nuovi casi di covid-19 è aumentato nel Regno Unito nelle ultime settimane e i ricoveri dei pazienti in ospedale stanno seguendo l'esempio. Al 9 giugno il numero di persone in ospedale ogni giorno con covid-19 ha superato le 1000, dopo essere sceso a centinaia a metà maggio dopo l'ondata precedente.

È a causa della variante delta? Ci si aspettava che i casi aumentassero almeno un po' man mano che le restrizioni si allentavano, ma la nuova variante delta sembra avere questioni complicate. I dati di Public Health England mostrano che la variante rappresenta ora il 90% dei casi nel Regno Unito, con un numero totale superiore a 42 000. La ricerca indica che il delta è associato a un rischio di trasmissione domestico stimato del 60% più elevato rispetto alla variante alfa, che era già molto più trasmissibile rispetto alla versione originale del virus. Ci sono anche suggerimenti che il delta potrebbe comportare un rischio molto più elevato di ricovero ospedaliero. Parlando alla BBC il 13 giugno, Andrew Hayward, consigliere del gruppo di consulenza scientifica per le emergenze (SAGE) del governo e professore di epidemiologia delle malattie infettive presso l'University 142

College di Londra, ha dichiarato: "Penso che ora sia molto chiaro che avremo un sostanziale terza ondata di contagi da covid. La vera grande domanda è quanto quell'ondata di infezioni si tradurrà in ricoveri. Il fatto che abbiamo vaccinato due volte il 55% della popolazione adulta significa che questo sarà sostanzialmente meno grave di quanto avrebbe potuto essere, ma ancora non sappiamo esattamente quanto potrebbe essere grave. “Il sessanta per cento in più infettivo è estremamente preoccupante: questa è la cosa principale che guiderà la velocità con cui arriverà la prossima ondata. E il fatto che il livello di ricoveri per questa infezione sembri essere forse fino al doppio di quello della precedente infezione è ovviamente anche estremamente preoccupante”. Un'altra preoccupazione è che i vaccini covid sembrano essere meno efficaci contro la variante delta, soprattutto dopo una dose. Un preprint di PHE ha rilevato che il vaccino Pfizer-BioNTech era efficace all'88% e l'Oxford-AstraZeneca efficace al 60% contro la variante delta due settimane dopo la seconda dose, ma entrambi i vaccini erano efficaci solo al 33% contro la malattia sintomatica da delta tre settimane dopo la prima dose. Tuttavia, l'analisi PHE più recente su 14 019 casi delta (14 giugno) indica che due dosi di entrambi i vaccini sono ancora altamente efficaci contro il ricovero ospedaliero: 96% per Pfizer-BioNTech e 92% per Oxford-AstraZeneca. Parlando a un briefing del Science Media Center il 9 giugno, Neil Ferguson, direttore del Center for Global Infectious del Medical Research Council presso l'Imperial College di Londra, ha dichiarato: "C'è ancora molta incertezza su quale sarà l'efficacia del vaccino contro il delta quelle forme più gravi di malattia. È molto probabile che si possa assistere a un'altra terza ondata, almeno paragonabile in termini di ricoveri, forse non così grave come la seconda ondata. “Quasi certamente penso che le morti probabilmente saranno inferiori. I vaccini stanno avendo un effetto altamente protettivo e i casi in ospedale sono più lievi, ma potrebbe comunque essere abbastanza preoccupante. C'è molta incertezza».

Cosa c'è di diverso nella variante delta? In un certo senso la variante delta è una versione "migliorata" della variante alfa, rendendola più facilmente trasmissibile e più preoccupante. Parlando al briefing del Science Media Center, Wendy Barclay, professore di virologia e responsabile delle malattie infettive presso l'Imperial College di Londra, ha spiegato: "La variante delta ha due importanti mutazioni nella sua proteina spike, o serie di mutazioni. Uno è nel sito di scissione della furina, che riteniamo sia abbastanza importante per l'idoneità del virus nelle vie aeree. Il virus emerso a Wuhan non era ottimale sotto questo aspetto, quindi si è trasmesso, ma forse non così bene come potrebbe. La variante alfa ha fatto un passo verso il miglioramento con una certa mutazione, e la variante delta si è basata su questo e ha fatto un secondo passo ora, un passo più grande, verso il miglioramento di quella caratteristica.

Perché delta è in grado di trasmettere più facilmente? Barclay ha affermato che i dati attuali indicano che il virus era "più in forma nelle cellule delle vie aeree umane", il che significa una maggiore quantità di virus nella persona infetta, e quindi potrebbero espellere più virus nell'aria per trasmetterlo alla persona successiva. Ciò è supportato dai dati dei test, che mostrano che il valore CT (soglia del ciclo) - il numero di cicli di amplificazione necessari per rilevare il virus - sembra essere inferiore nei campioni di persone con infezione delta, il che significa che contengono più virus. Un altro suggerimento è che se questa variante è più efficace nell'infettare le cellule delle vie aeree umane, le persone possono essere infettate dopo un'esposizione inferiore.

Ritardare l'allentamento delle restrizioni covid-19 fa la differenza? Sì, perché permette a più persone di ricevere due dosi del vaccino. Barclay ha detto: "Qualsiasi ritardo, solo da una base puramente scientifica, aiuterà, perché concederà più tempo alle persone per ottenere la seconda

143

dose. E anche solo la seconda dose non è abbastanza. Hai bisogno di circa sette giorni dopo la seconda dose perché il vaccino aumenti davvero la risposta immunitaria fino ai livelli che vorresti che fossero”. La fase finale dell'allentamento del lockdown in Inghilterra, prevista per il 21 giugno, è stata ora posticipata al 19 luglio.

Anche se il tasso di mortalità con delta è più basso, il sistema sanitario potrebbe ancora essere sopraffatto? Assolutamente. L'aumento dei tassi di ricovero ospedaliero aumenterebbe la pressione sul sistema sanitario già esausto e potrebbe sopraffarlo. Scrivendo su BMJ Opinion, l'amministratore delegato di NHS Providers, Chris Hopson, ha dichiarato: "Date le attuali pressioni del NHS, qualsiasi aumento dei ricoveri per covid-19 ridurrà i progressi nell'affrontare l'arretrato delle cure. Siamo pronti ad accettare questo scambio?" Questo messaggio è stato ripreso da altri leader sanitari, tra cui il vice amministratore delegato della Confederazione NHS Danny Mortimer, che ha detto ai media che la situazione attuale è "estremamente precaria". Ha detto: “I leader sanitari sono fin troppo consapevoli che l'aumento delle infezioni, e soprattutto a un ritmo così rapido, può facilmente portare a importanti aumenti dei ricoveri ospedalieri. Anche un leggero aumento dei ricoveri influenzerà la capacità e potrebbe mettere a rischio gli sforzi di recupero. I ricoveri ospedalieri per Covid-19 stanno già aumentando e ciò metterà a dura prova la capacità, soprattutto perché gli ultimi dati sulle prestazioni hanno mostrato che 5,1 milioni di persone sono in attesa di iniziare il trattamento”.

Si ammalano di più i bambini? Non ci sono dati ufficiali al riguardo, sebbene i leader nel campo della salute dei bambini abbiano confutato i suggerimenti fatti dai membri del governo scozzese secondo cui i bambini erano ora più a rischio di covid- 19 e che molti erano stati ricoverati in ospedale. Steve Turner, registrar del Royal College of Pediatrics and Child Health e consulente pediatra presso il Royal Aberdeen Children's Hospital, ha dichiarato: "Allo stato attuale ci sono pochissimi bambini in ospedale in Scozia e in tutto il Regno Unito a causa del covid. Non stiamo vedendo alcuna prova di un aumento dei ricoveri pediatrici con covid. Un numero molto ridotto di ricoveri che risultano positivi al covid è quello che ci aspetteremmo. “La nostra esperienza negli ultimi 15 mesi è che molti bambini risultati positivi sono venuti in ospedale per qualcos'altro, come le ossa rotte. Al momento la situazione nel Regno Unito è stabile. Il numero dei bambini ricoverati in ospedale con il covid rimane molto basso». https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1513

Lancio globale del vaccino contro il covid-19 e sorveglianza della sicurezza: come tenere il passo Vincent Lo Re III , Olaf H Klungel , K Arnold Chan , Caterina A Panozzo , Wei Zhou , Almut G Winterstein ,

BMJ 2021 ; 373 DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.n1416

144

Pubblicato il 18 giugno 2021

I primi vaccini contro il nuovo agente patogeno SARS-CoV-2 sono stati distribuiti appena nove mesi dopo che l'epidemia di covid-19 è stata dichiarata una pandemia globale. Diversi tipi di vaccini covid-19 sono stati sviluppati utilizzando diverse piattaforme e adiuvanti, inclusi vaccini a base di RNA messaggero, vaccini vettoriali a base di adenovirus e vaccini inattivati. A giugno 2021, 102 vaccini erano in fase di studio in studi di fase I-III e 185 in studi preclinici. Dato l'impatto globale della pandemia, lo sviluppo del vaccino ha ricevuto un'attenzione pubblica e politica senza precedenti, con conseguente revisione normativa accelerata. Tuttavia, c'è stato scetticismo sul rigore delle prove a sostegno di valutazioni complete del rapporto beneficio-rischio e la preoccupazione che le scoperte nello sviluppo del vaccino non siano state accompagnate da progressi simili nei sistemi per monitorare gli eventi avversi o comunicare segnali di sicurezza tra le autorità di regolamentazione, i funzionari della sanità pubblica e l'assistenza sanitaria. L'esposizione umana limitata e il follow-up all'interno degli studi cardine sui vaccini contro il covid-19, ottimizzati per consentire conclusioni formali sull'efficacia, non hanno consentito il rilevamento di eventi avversi rari (che si verificano in meno di 1 persona su 10.000) dopo l'immunizzazione, in particolare all'interno dei sottogruppi sottorappresentati o esclusi da tali studi (come donne incinte, bambini e anziani fragili o persone immunocompromesse). L'apprensione pubblica sulla sicurezza dei vaccini per il covid-19 ha contribuito all'esitazione a ricevere un vaccino. Queste preoccupazioni sono aumentate nel febbraio 2021, quando sono stati segnalati alle agenzie di regolamentazione casi di coagulazione del sangue insolita che si verificano dopo l'immunizzazione con il vaccino Oxford-AstraZeneca (ChAdOx1-S). Il rilevamento tempestivo di eventi rari e gravi dopo la vaccinazione contro il covid-19 evidenzia l'importanza di solidi sistemi di sorveglianza della sicurezza. Mentre i paesi distribuiscono i vaccini covid-19 alle loro popolazioni, la velocità delle valutazioni della sicurezza è fondamentale per garantire profili rischi-benefici favorevoli e preservare la fiducia del pubblico. Evidenziamo le potenziali sfide nella sorveglianza della sicurezza globale del vaccino contro il covid-19 e suggeriamo approcci per superarle.

Messaggi chiave  Lo sviluppo di eventi avversi rari e gravi dopo la vaccinazione contro il covid-19 evidenzia l'importanza fondamentale di solidi sistemi di sorveglianza della sicurezza dei vaccini  L'ampia diffusione dei vaccini contro il covid-19 crea un'opportunità per l'armonizzazione internazionale di progetti, dati ed endpoint di sicurezza farmacoepidemiologici  I sistemi di sorveglianza della sicurezza dei vaccini attivi potenziati potrebbero superare le barriere esistenti nell'accertare l'esposizione al vaccino e gli eventi avversi a livello di popolazione  Le autorità nazionali di regolamentazione dovrebbero stabilire collaborazioni formali tra le regioni per promuovere la condivisione dei dati sulla sicurezza https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1416

145

Nursing Infermieri e il Covid19

146

Come riposizionare la professione infermieristica per un'era post-covid Howard Catton & Elizabeth Iro Pubblicato online: 14 giugno 2021 https://doi.org/10.1136/bmj.n1105

L'efficacia dell'assistenza sanitaria è indissolubilmente legata allo stato della professione infermieristica. Il secondo rapporto dell'Independent Panel for Pandemic Preparedness and Response ha affermato: "Il mondo non era preparato e deve fare meglio", sostenendo che "la pandemia di covid-19 deve essere un catalizzatore per un cambiamento fondamentale e sistemico nella preparazione per futuri eventi di questo tipo. , dalla comunità locale fino ai massimi livelli internazionali.”1 Le fragilità nei sistemi sanitari, esposte dalla pandemia di covid-19, rafforzano l'urgente necessità per tutti i governi di investire pesantemente nell'assistenza infermieristica per realizzare un cambiamento così fondamentale. In situazioni di crisi, è fondamentale cogliere le opportunità per riflettere, imparare e crescere. I paesi hanno l'opportunità di affrontare le debolezze che sono state rivelate nei loro sistemi sanitari e di garantire che l'assistenza sanitaria sia disponibile per tutti. La professione infermieristica deve pianificare attentamente i suoi prossimi passi per rispondere alle sfide che il mondo ora deve affrontare. Il contesto attuale e la maggiore comprensione dello stato dell'assistenza infermieristica nel mondo forniscono lezioni che richiedono una rapida considerazione del ruolo dell'infermiere e della forma che la professione dovrebbe assumere in futuro. Ma queste considerazioni devono essere viste all'interno di un contesto globale più ampio che includa l'equità di genere 45 e il cambiamento climatico 6 come driver di un nuovo dibattito sulla politica della salute pubblica. E per raggiungere la copertura sanitaria universale entro il 2030 gli infermieri devono riformulare radicalmente il loro rapporto con la tecnologia digitale.7 Una visione audace della professione può stimolare gli investimenti per i servizi sanitari radicalmente cambiati necessari nei decenni successivi alla pandemia. Rafforzare la formazione e la leadership degli infermieri e includere una voce infermieristica in tutte le decisioni sul futuro dei sistemi e delle politiche sanitarie sarà essenziale se vogliamo creare servizi più equi e migliori risultati per i pazienti e le loro comunità.8 https://www.bmj.com/content/373/bmj.n1105

147

Conseguenze delle restrizioni alle visite durante la COVID-19 pandemia: una revisione integrativa Karin Hugelius, Nahoko Harada, Miki Marutani Pubblicato online: 12 giugno 2021 https://doi.org/10.1016/j.ijnurstu.2021.104000

Astratto Sfondo: Durante la pandemia di COVID-19, sono state implementate restrizioni alle visite di diversa estensione. Tuttavia, nonostante la lunga storia di restrizioni alle visite nei sistemi sanitari, si sa poco dei loro effetti. Obiettivi: Questa recensione ha cercato di esplorare le conseguenze delle restrizioni ai visitatori nei servizi sanitari durante la pandemia di COVID-19. Metodi: È stata condotta una revisione sistematica e integrativa in conformità con le linee guida PRISMA, basata su una ricerca sistematica in PubMed, CHINAL full plus, Web of Science, PsychInfo, Scopus e Cochrane Library. Risultati: Sono stati inclusi un totale di 17 articoli scientifici riguardanti la terapia intensiva, l'assistenza pediatrica, l'assistenza medica generale, l'assistenza ospedaliera, le cure palliative e le case di cura. Sebbene sia stato riportato apprezzamento per le soluzioni tecniche che consentono incontri a distanza, le restrizioni alle visite hanno avuto diverse conseguenze, principalmente negative, per la salute del paziente, la salute e il benessere dei familiari e l'erogazione delle cure. Tra le conseguenze sulla salute fisica, sono stati segnalati un ridotto apporto nutritivo, una diminuzione delle attività della vita quotidiana e un aumento del dolore e dei sintomi fisici. Tra le conseguenze sulla salute mentale per il paziente, sono state osservate solitudine, sintomi depressivi, agitazione, aggressività, ridotta capacità cognitiva e insoddisfazione generale. Per i membri della famiglia si sono verificate preoccupazione, ansia e incertezza e hanno segnalato un maggiore bisogno di informazioni da parte degli operatori sanitari. I familiari dei pazienti dell'unità di terapia intensiva neonatale hanno riportato meno legame con il loro bambino e disturbi delle relazioni familiari a causa delle restrizioni. Per gli operatori sanitari, le restrizioni alle visite hanno aggiunto l'onere dei dilemmi etici, l'apprendimento di nuovi mezzi tecnici per consentire l'interazione sociale e una maggiore richiesta di comunicazione con le famiglie e fornire supporto sociale sia ai membri della famiglia che ai pazienti. Conclusioni: Quando si implementano le restrizioni alle visite nei servizi sanitari, i decisori e gli infermieri devono essere consapevoli dei loro potenziali effetti negativi e adattare la fornitura di cure per compensare tali effetti. Gli infermieri di tutti i settori dovrebbero essere consapevoli che le restrizioni alle visite possono interessare pazienti, famiglie e servizi sanitari più a lungo della pandemia effettiva. Poiché il livello di prove relative agli effetti delle restrizioni alle visite è basso, sono fortemente necessari ulteriori studi. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0020748921001474 148

Analisi dei sintomi di salute mentale e dei livelli di insonnia degli infermieri di terapia intensiva durante la pandemia di COVID-19 con un modello di equazione strutturale Didem Kandemir 1, Zeynep Temiz 2, Yasemin Ozhanli 3, Hatice Erdogan 1, Yalcin Kanbay

Pubblicato online: 13 giugno 2021 DOI: 10.1111/jocn.15918

Astratto

Contesto: Di fronte a questa situazione critica e direttamente coinvolti nel trattamento e nella cura dei pazienti COVID- 19, gli operatori sanitari in prima linea sono ad alto rischio in termini di sintomi di salute mentale.

Scopi e obiettivi: Determinare i livelli di stress, ansia, depressione e insonnia degli infermieri di terapia intensiva durante la pandemia con un modello di equazione strutturale. Design: uno studio di indagine multi-sito.

Metodi: Lo studio è stato condotto con 194 infermieri che lavoravano nelle unità di terapia intensiva di cinque ospedali a Istanbul nel luglio 2020. I dati sono stati raccolti utilizzando la scala di stress-21 dell'ansia della depressione e l'indice di gravità dell'insonnia in formato elettronico. I dati sono stati valutati con statistiche descrittive nel programma del pacchetto SPSS. Al fine di testare il modello strutturale e le ipotesi della ricerca, è stata eseguita l'analisi del percorso con il software statistico LISREL. Uno studio di convalida per l'idoneità di queste scale al campione di studio è stato condotto dai ricercatori utilizzando il metodo dell'analisi fattoriale di conferma. Lo studio è conforme alla checklist TREND.

149

Risultati: In questo studio, la maggior parte degli infermieri di terapia intensiva aveva punteggi di depressione da moderata a estremamente grave (65,5%), ansia (58,3%) e stress (72,3%); inoltre, il 39,7% degli infermieri ha manifestato insonnia moderata o grave. Nell'ambito di un modello strutturale; gli effetti di stress, ansia e insonnia sulla depressione, che è la variabile dipendente, sono risultati statisticamente significativi (p < .001).

Conclusioni: E’ stato riscontrato che la maggior parte degli infermieri di terapia intensiva che combattono COVID-19 in prima linea ha sperimentato stress, ansia, depressione e insonnia a livelli che vanno da moderati a estremamente gravi; inoltre, è stato determinato che esiste una relazione positiva tra stress, ansia, insonnia e depressione. Rilevanza per la pratica clinica: questo studio, in cui abbiamo determinato i sintomi di salute mentale e i livelli di insonnia degli infermieri di terapia intensiva, che sono in prima linea durante la pandemia di COVID-19, costituisce la base scientifica per le efficaci strategie di coping che il le autorità si occuperanno di questo argomento. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jocn.15918

Moderare i ruoli della resilienza e del supporto sociale sugli esiti psichiatrici e pratici negli infermieri che lavorano durante la pandemia di COVID-19 Anna E. Schierberl Scherr, Brian J. Ayotte, and Marni B. Kellogg

Pubblicato online: 14 giugno 2021 DOI: https://doi.org/10.1177/23779608211024213

150

Astratto

Introduzione La carenza di personale e attrezzature e un virus facilmente trasmissibile rendono il lavoro nella pandemia di COVID-19 impegnativo dal punto di vista fisico e psicologico. Gli infermieri in prima linea sono particolarmente vulnerabili alle avversità di lavorare in queste condizioni, in particolare per quanto riguarda la salute mentale. Pertanto, la comprensione dei fattori di rischio e di protezione per questo gruppo vulnerabile ed essenziale è fondamentale per identificare potenziali obiettivi di intervento. Avevamo due obiettivi per il presente studio: (a) esaminare il funzionamento del lavoro e i sintomi di depressione, ansia e stress post-traumatico (PTSD) tra gli infermieri che si occupavano e non si prendevano cura dei pazienti con COVID-19; e (b) determinare se la resilienza e il supporto sociale moderano queste relazioni.

Metodi Per tre settimane a luglio 2020, gli infermieri degli Stati Uniti sono stati invitati a partecipare a un sondaggio online che raccoglie dati su dati demografici, resilienza, supporto sociale e misure di screening di depressione, disturbo da stress post-traumatico, ansia e pratica distratta. I dati sono stati analizzati utilizzando statistiche descrittive e regressione gerarchica per ciascuna misura di esito.

Conclusioni I nostri risultati supportano un numero crescente di ricerche che riportano che gli infermieri stanno vivendo sequele di salute mentale durante la pandemia di COVID-19, in particolare quelli che forniscono assistenza diretta ai pazienti con il virus. Abbiamo scoperto che rispetto agli infermieri che non si prendevano cura dei pazienti con COVID-19, quelli che lo facevano riportavano un aumento dei sintomi di PTSD, depressione e ansia. Un nuovo contributo è la nostra scoperta che gli infermieri che forniscono assistenza diretta al COVID- 19 hanno anche sperimentato un aumento dei livelli di pratica distratta, una misura comportamentale di distrazione che si collega a un potenziale impatto sulla cura del paziente. Abbiamo anche scoperto che la resilienza e il supporto sociale hanno agito da moderatori di alcune di queste relazioni.Promuovere la resilienza e il supporto sociale può aiutare a tamponare gli effetti della fornitura di cure ai pazienti con COVID- 19 e potrebbe potenzialmente ridurre la vulnerabilità degli infermieri allo sviluppo di sintomi psicologici e disabilità sul lavoro.

https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/23779608211024213

Percorsi sociosanitari vicini ai cittadini: infermieri e assistenti sociali insieme la vera prossimità 19/06/2021

Infermieri e assistenti sociali in prima linea e insieme per la salute delle persone 151

“Non basta soddisfare un bisogno, servono progetti multiprofessionali per rispondere alla salute, al benessere, delle persone”, così i presidenti della Federazioni degli infermieri, Barbara Mangiacavalli e dell’Ordine degli Assistenti Sociali, Gianmario Gazzi. I direttivi del Cnoas e della Fnopi si sono incontrati a Roma per definire una linea di azione che metta in risalto le peculiarità anche comuni delle due professioni e sia a solo ed esclusivo vantaggio del cittadino assistito. “Questo è importante – hanno commentato i presidenti – non soltanto sul piano strategico delle riforme, ma nella vita di ogni giorno. Infermieri e assistenti sociali dimostrano, nella loro capacità di prendere in carico le persone su livelli multidimensionali, una visione deontologica, disciplinare ed etica molto vicina”. Da anni, hanno commentato si assiste a un depotenziamento della componente sociale in sanità che accomuna infermieri e assistenti sociali. Il rapporto sulla Salute mentale del Ministero della Salute, per esempio, conferma un trend negativo. Tra il 2016 e il 2018 (ultimi dati disponibili) il personale si riduce di oltre 5.000 unità e , purtroppo il saldo negativo riguarda tutte le professioni psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti della riabilitazione psichiatrica e assistenti sociali. “Senza professionisti non possiamo rispondere a chi si rivolge a noi”, spiegano. Infermieri e assistenti sociali hanno analizzato azioni mirate per uniformare la formazione continua e la policy delle due professioni, molto vicine tra loro per visione, valori, obiettivi, capacità di rispondere a modelli di salutogenesi che non sono solo biomedici. Nelle Case delle comunità che il PNRR indica come principali snodi di prossimità sul territorio, ci devono essere équipe multidisciplinari con direzioni e coordinamenti contendibili, appannaggio di tutte le professioni sanitarie. “Mai come adesso e soprattutto nel territorio – hanno affermato – la peculiarità delle azioni, delle valutazioni, delle risposte devono prevedere direzioni e management trasversali dove le diverse professioni sono un valore imprescindibile. E in questo senso è ancora più importante trovare sinergie sui tavoli dove siamo presenti insieme per rispondere correttamente ai bisogni del cittadino”. Nell’incontro è stata evidenziata la necessità di rendere operativa la visione integrata sociosanitaria, troppo teorizzata e poco attuata. Il cittadino oggi deve ricomporre per proprio conto questa mancanza, senza aiuti o percorsi chiari, bussando a cento porte diverse. E questo non è più sostenibile. Perciò è necessario valorizzare l’assistente sociale e l’infermiere di famiglia e comunità nei percorsi previsti dal PNRR. “Tutta l’area della non autosufficienza, della disabilità, della cronicità – hanno concluso i presidenti Mangiacavalli e Gazzi – non ha mai visto un modello di riferimento univoco efficace ed efficiente. Questi non sono bisogni che scopriamo oggi, ma necessità antiche a cui non siamo mai stati capace di rispondere. E questo è il momento storico per farlo. Perciò la sinergia infermieri / assistenti sociali diventa preziosa e fondamentale”. https://www.fnopi.it/2021/06/19/fnopi-cnoas/

152

Covid19 e il sociale

153

21 Giugno 2021 Disabilità. Il doppio svantaggio Benedetto Saraceno. Segretario Generale, Lisbon Institute of Global Mental Health I tassi di mortalità da COVID-19 sono stati più elevati fra le persone con disabilità, la cui qualità di vita è stata drammaticamente compromessa dall’isolamento sociale. Le proposte per una svolta.

Nel 2019 un Gruppo di esperti di salute pubblica e ricercatori rese pubblico il rapporto “The missing billion Report” che dava voce ai milioni di persone che vivono con disabilità. Il rapporto forniva una importante massa critica di dati epidemiologici sulla disabilità ma, soprattutto, mostrava come la presenza di una disabilità costituisse un fondamentale fattore di rischio per molte condizioni patologiche addizionali quali diabete, malattie cardiovascolari, parto prematuro, malnutrizione infantile e abuso di sostanze psicotrope. Questa ampia gamma di condizioni non è certo attribuibile alla disabilità in sé quanto invece al drammatico insieme di svantaggi sociali cui le persone con disabilità sono esposte. Dalla discriminazione nell’accesso alla educazione e al lavoro fino alle numerose barriere, non solo architettoniche, che limitano l’accesso alle prestazioni sanitarie quali, stigma, discriminazione e disattenzione da parte del sistema sanitario, l’insieme di “svantaggi” addizionali delle disabilità è vasto e sostanzialmente ignorato. Sappiamo che alcune forme di disabilità sono prevenibili (il 90% dei danni all’apparato visivo sono o prevenibili o correggibili così come molte disabilità dell’apparato uditivo sono facilmente correggibili). Sappiamo anche che altre disabilità gravi sono invece immodificabili e non prevenibili ma che la presenza di numerose barriere fisiche, psicologiche e sociali indebolisce i diritti delle persone con disabilità, malgrado tali diritti siano finalmente sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con Disabilità, di cui “Salute Internazionale” si è recentemente occupata. Un recente Editoriale di Lancet Public Health[4] riflette e al tempo stesso lancia un allarme a partire dagli inequivocabili dati che mostrano come i tassi di mortalità da COVID-19 siano stati più elevati fra le persone con disabilità e come la loro qualità di vita sia stata drammaticamente compromessa dall’isolamento sociale e dalla forzata interruzione della interazione con i servizi di salute e welfare territoriali. Le disuguaglianze dello stato di salute e dell’accesso alle prestazioni sanitarie per le persone con disabilità sono un fenomeno noto e discusso da anni. In particolare, le persone con disabilità mentale hanno una mortalità precoce che in alcuni studi è stimata fino a dieci anni di vita perduti rispetto alla popolazione generale. [5] Inoltre, le violazioni della libertà personale e, in taluni casi, l’abuso fisico e le pratiche di contenzione sono spesso riscontrate in istituzioni destinate ai disabili mentali ma anche, più in generale, agli anziani non autosufficienti. Non c’è da sorprendersi dunque, se la pandemia da COVID-19 abbia acuito questo insieme di disuguaglianze e di violazioni dei diritti. Nel mese di aprile di quest’anno, Steptoe e Di Gessa hanno pubblicato un importante studio longitudinale di coorte[6] che valuta l’esperienza emozionale e sociale di quasi 5000 soggetti anziani in Inghilterra. I soggetti che avevano significative compromissioni nello svolgimento delle attività della vita quotidiana hanno mostrato durante il periodo della pandemia tassi più elevati di depressione, ansia e sentimenti di solitudine.

154

Le persone con disabilità fisiche risultano essere particolarmente a rischio per disturbi di natura emozionale e per l’impoverimento della qualità della loro vita e del loro benessere complessivo. Si è dimostrata una correlazione evidente fra disabilità, diminuzione dei contatti sociali e diminuita qualità della vita con compromissione della salute mentale. A partire dall’ormai classico e storico Rapporto Globale sulla Disabilità pubblicato dalla OMS nel 2011[7] sono venuti crescendo negli ultimi anni gli studi epidemiologici sulla disabilità e sui fattori di rischio addizionali legati non tanto alla condizione in sé quanto piuttosto alle risposte ambientali fornite alla disabilità dal contesto sociale e dall’universo dei servizi di salute e di welfare. Si può definire questo fenomeno come “il doppio svantaggio” ossia la sommatoria dello svantaggio inerente alla disabilità, sia essa di natura fisica o mentale, e dello/degli svantaggi che, a cascata, si inanellano nella esperienza psicofisica e sociale delle persone con disabilità: dallo stigma alla discriminazione, dalla violazione dei diritti fondamentali alla sistematica disattenzione del sistema sanitario nei confronti dei bisogni specifici delle persone con disabilità. La letteratura è ampia e non è compito di queste breve e sintetiche note di neppure sfiorare tale immenso campo di studi di cui il recente studio pubblicato da Lancet Public Health non è che un esempio fra i più recenti e pertinenti[8,9,10]. Ciò che qui importa è trarre alcune lezioni da questo necessario, meritorio e crescente interesse per la relazione fra Disabilità e “social and health inequalities”. Primo, gli studi epidemiologici che abbiano come principali “quesiti di ricerca” le correlazioni fra determinanti sociali, barriere discriminatorie all’accesso e utilizzo dei servizi di salute/welfare e disabilità, sono ancora insufficienti. È necessaria una epidemiologia delle disuguaglianze cui sono esposte le persone con disabilità. Essa avrebbe lo scopo non soltanto di aumentare le conoscenze e definire meglio i fattori di rischio ma avrebbe anche l’importante funzione di costituire una massa critica di evidenze, indispensabile a tutti i movimenti in difesa dei diritti delle persone con disabilità. Sarebbe inoltre indispensabile anche sviluppare maggiormente studi “health economics” in relazione ai costi tangibili e intangibili delle disabilità. Secondo, gli investimenti nella prevenzione delle disabilità prevenibili sono ancora drammaticamente insufficienti. Basti pensare alle centinaia di migliaia di bambini con deficit visivi o auditivi che, esclusi da semplicissimi ed economici mezzi correttivi, sono invece destinati alla esclusione dalla educazione e in seguito dal mondo del lavoro. Basti pensare alle disabilità legate agli esiti di incidenti stradali dovuti a consumo di alcol e alle mancate politiche di contrasto all’uso nocivo dell’alcol. Basti, infine, pensare al pressoché inesistente finanziamento nel campo della salute mentale da parte delle agenzie internazionali di sviluppo (vedi Figura 1). Terzo, la sensibilizzazione degli operatori della sanità (e anche del welfare) nel campo delle disabilità permane non solo insufficiente ma spesso essa addirittura si basa su percezioni e stereotipi stigmatizzanti e discriminanti che rendono l’incontro fra persone con disabilità e servizi pubblici destinato alla inefficacia e sovente alla espulsione delle persone dai circuiti assistenziali e sanitari. Non esiste alcuna formazione all’ascolto, alla relazione e alla intercettazione dei bisogni delle persone con disabilità Quarto, citando le parole di Bonnielin Swenor, direttrice del Johns Hopkins Disability Health Research Center, “fintanto che le persone con disabilità non saranno incluse in tutte gli sforzi per fare progredire la equità in salute, non raggiungeremo mai il goal” (degli obiettivi di sviluppo sostenibile). In altre parole, dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, almeno due, il terzo e il quarto, hanno a che fare con le questioni della disabilità e del “doppio svantaggio” ad essa inerente. Essi recitano infatti: “Garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età” e “Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per 155

tutti”. Se non vogliamo che, come in buona parte è stato per gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio che dovevano essere raggiunti nel 2015 e che certamente non lo furono, dobbiamo cominciare a prendere sul serio i nuovi Obiettivi che tutti i governi hanno unanimemente approvato e che dovrebbero essere raggiunti nel 2030. Un moderato grado di utopia nei documenti, propositi e raccomandazioni delle Nazioni Unite è non solo comprensibile ma svolge anche una funzione ispiratrice e di stimolo ai governi, ma se, come sta divenendo la regola, fra propositi e realizzazioni non v’è più alcuna decente correlazione, allora c’è qualcosa che va radicalmente corretto.

Figura 1. Finanziamento globale degli interventi di salute mentale

E gli strumenti per rendere un pochino più reale il conseguimento degli obiettivi non mancherebbero. Nel caso delle Disabilità, ad esempio, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata nel 2006 e ratificata anche dal governo italiano, permane fondamentalmente sconosciuta agli operatori della salute e del welfare, come già ricordato su questa stessa rivista.[3] Tale ignoranza, e conseguente in-applicazione, di uno strumento potenzialmente capace produrre un decisivo salto di qualità nell’accesso ai servizi di salute e welfare delle persone con disabilità, rappresenta un irresponsabile minaccia a tutti i disabili. Infine, e quinto, la Pandemia da COVID 19 ha portato lutti e sofferenze, ha colpito singoli, famiglie e comunità e ha messo una importante ipoteca sul futuro della economia del nostro paese e sulla occupazione. Tuttavia, ha anche consentito di comprendere meglio alcune delle storiche fragilità di molti nostri sistemi sanitari regionali. Questo “laboratorio naturale” costituito dall’insieme di inefficienze e lacune dei sistemi di assistenza sanitaria e welfare, ci consente almeno di individuare correttivi forti. L’emergenza ha dunque mostrato e dimostrato alcune criticità storiche dei nostri sistemi di salute pubblica. Mi limito a citarne due particolarmente importanti:  Lo smantellamento della medicina di prossimità e del welfare di territorio e di comunità.  Lo sviluppo incontrollato del modello residenziale per le popolazioni fragili e vulnerabili. È anche grazie alla pandemia che dobbiamo essere stimolati a compiere una necessaria rivoluzione copernicana della concezione egemonica dell’ospedale rispetto ai servizi di prossimità. Tale rivoluzione, evocata da molti e già da molti anni, anche se mai compiuta, ha a che fare con la democratizzazione 156

della assistenza sanitaria e con l’empowerment dei cittadini-utenti. È necessario, dunque, progettare nuove forme di salute locale dal basso e offrire interventi sanitari e sociali e intersettoriali. https://www.saluteinternazionale.info/2021/06/disabilita-il-doppio- svantaggio/?fbclid=IwAR0L-tIGKM-7Y5qPG2VLmFaBnquWDaMe1GZ1JHSSakdd- dZV_K7S29LwOHk

Rendere visibili gli anziani: risolvere il problema del denominatore nei dati della casa di cura

Dr. Cian O’Donovan, Dr Melanie Smallman, Prof. James Wilson University College London

Nel Regno Unito oggi, il governo non capire chi c'è nelle case di cura, dove sono e per quale periodo di tempo. Dettagli critici sul la popolazione delle persone nelle case di cura è scomparsa o no preciso. Mentre il covid-19 ha accelerato il ritmo e ampliato l'ambito della raccolta dei dati nelle case di cura del Regno Unito, dati completi sul case mix e le esigenze di i residenti sono ancora dispersi. Uno dei problemi principali è quello che chiamano gli esperti del sistema sanitario un problema al denominatore, dopo il numero inferiore in a frazione. Questo è il numero che rappresenta la popolazione di persone nelle case di cura. Quando i decisori non lo fanno conosci il denominatore, finiscono presto con errori nella valutazione, nella valutazione dei servizi e nella in base di prove per la politica. Questi errori possono costare vite. Per questo motivo il problema del denominatore è una questione etica critica nelle case di cura di oggi. Trasformazioni nelle infrastrutture dati delle case di cura sono urgentemente necessari. La ricercatrice Jennifer Burton e i colleghi hanno suggerito sette priorità che aiuteranno ottenere le basi giuste. Queste priorità, che andrebbero a lungo cammino verso la soluzione del problema del denominatore in i dati delle case di cura, sono approvati da questa recensione. Allo stesso tempo, sono necessarie ulteriori misure per costruire e mantenere un'infrastruttura dati resiliente e sostenibile sustainable nel settore. A tal fine, questa recensione completa il Burton dà priorità e fa ulteriori proposte su come how superare le barriere strutturali, istituzionali e politiche. Lo scopo di questa Rapid Ethics Review è: 1. Evidenziare lo stato dell'arte della ricerca sui motivi di il problema del denominatore nei dati delle case di cura.

157

2. Mostra come gli argomenti etici sono fondamentali per aiutare i decisori comprendono i valori e i problemi in gioco nella progettazione di infrastrutture dati migliori, e l'urgenza con cui queste infrastrutture devono essere srotolato. Prestare attenzione a queste preoccupazioni e ai valori sottostanti aiuterà i decisori responsabili e responsabili di le case di cura tracciano un percorso in avanti.

Panoramica • I residenti delle case di cura del Regno Unito sono invisibili nei dataset nazionali.  Questo è un problema serio perché il covid-19 è particolarmente dannoso per le persone anziane e perché dell'aumento del rischio di trasmissione dalla vita in comune anche tra le case di cura più giovani residenti.  Le infrastrutture dati ampliate per monitorare e proteggere le case di cura durante il covid-19 sono state una preziosa soluzione a breve termine. Questi cambiamenti non sono sufficienti per garantire cure e informazioni adeguate processo decisionale su base continuativa. • La sfida di produrre dati accurati e tempestivi in tutto il settore delle case di cura è aumentata da la mancanza di digitalizzazione all'interno delle case di cura e la difficoltà di collegamento con i dati del SSN. • Le lacune possono essere affrontate attraverso metodi di analisi dei dati come il collegamento e il servizio di dati integrazione.

Sette sfide e soluzioni specifiche sono raccomandate sulla base del lavoro di Burton e colleghi. • Sono necessari anche ulteriori interventi per cambiare le motivazioni e le pratiche tra le case di cura operatori che attualmente impediscono la raccolta e la condivisione del giusto tipo di dati. • Il collegamento dei dati richiede diligenza etica per garantire i valori e gli interessi dei residenti e del personale delle case di cura e gli operatori sono commisurati al lavoro a cui sono destinati i dati. • Opportunità di dibattito sui termini del collegamento dei dati e sui tipi di politiche e interventi settoriali che sono necessari potrebbe essere perso. • I piani dettagliati e le tempistiche per una più ampia riforma del sociale sono ancora assenti dal governo agenda politica, ma i cambiamenti nell'infrastruttura dei dati delle case di cura non devono aspettare.

1. Qual è il problema del denominatore nei dati della casa di cura e in che modo influenza quello che sappiamo sui residenti?

Riepilogo punti • I residenti delle case di cura del Regno Unito sono invisibili in set di dati nazionali. • I dati esistenti non riportano accuratamente chi è in e fuori dalle case di cura in un dato momento, e informazioni sulla loro salute e benessere. • Questo problema al denominatore porta a imprecisioni calcoli di base e valutazioni incerte, valutazioni e base di dati per la politica. • Questo problema di vecchia data è stato aggravato dal covid-19. • Questo problema riduce l'efficacia di misure volte a combattere il covid-19.

1.1 Perché i dati sui residenti nelle case di cura sono importanti La casa di cura è usata da noi come termine generico per descrivere i servizi regolamentati che offrono assistenza 24 ore su 24. Le case di cura sono ambienti diversi, con molti nel Regno Unito fornire servizi per un insieme diversificato di adulti, non solo persone anziane.

158

I residenti delle case di cura del Regno Unito sono invisibili a livello nazionale set di dati (Burton et al., 2020). Problemi con questi set di dati includono informazioni frammentarie sul popolazione complessiva dei residenti in cura e in servizio demografia e difficoltà nell'individuare popolazione da dati di routine. Dati sulla casistica e spesso mancano i bisogni dei residenti. Dati mancanti, problemi con l'utilizzo dei dati che lo fanno esistono e la scarsa infrastruttura per la raccolta dei dati ha stato un problema per la ricerca e la valutazione in questo settore da anni. Questi problemi sono stati esposti e amplificato dal covid-19. Più seriamente, hanno ostacolato gli sforzi progettati per combattere il covid-19. Ad esempio, il problema significava che quando Public Health England voleva lavorare come potrebbero avere i pazienti dimessi dagli ospedali focolai di covid-19 seminati nelle case di cura inglesi, non avevano un modo facile e veloce per scoprirlo. Usando tecniche di collegamento dei dati, gli analisti hanno impiegato quasi un anno da scoprire (Public Health England, 2021).

1.2 Spiegare il problema del denominatore Al centro del problema dei dati c'è la salute gli esperti di sistemi chiamano problema al denominatore (Lucas & Zwarenstein, 2015). Questo è il numero in basso in una frazione, il numero che rappresenta il totale popolazione in base alla quale i valori statistici sono espressi. Se i decisori non sanno o non hanno certezza certain al denominatore, finiscono presto con problemi nei calcoli di base e falsa precisione nel valutazione dei servizi e la base di prove per politica. I problemi iniziano quando il denominatore non lo fa rappresentare accuratamente la popolazione effettiva di cura residenti a domicilio. Ciò significa che la segnalazione è accurata. Segmenti di quella popolazione, o il monitoraggio delle case che forniscono tipi speciali di servizi di assistenza, come per i residenti over 80, o con demenza, diventa impossibile (Burton et al., 2020). Anche se abbiamo un buon senso delle cure fornite alla popolazione in generale, non abbiamo idea del about cura data a qualsiasi individuo – o anche a un tipico individuale.

1.3 Ragioni tecniche e sociali del problema al denominatore Il problema del denominatore esiste perché noi non lo siamo misurare tutto ciò che conta per i residenti, il personale, e gli operatori della casa di cura nel modo giusto. Questi i problemi sono sociali oltre che tecnici. Ad esempio, il Capacity Tracker è un pezzo esistente dell'infrastruttura dati che è stata implementata rapidamente durante i primi mesi della pandemia (cfr. riquadro 1). Il Tracker è uno strumento di mercato progettato per dimettere le persone che lasciano le strutture di assistenza primaria e entrare nell'assistenza comunitaria (NHS Vale of York Clinical Commissioning Group, 2021). Un grosso problema è che il tracker conti le scorte di letti e risorse, ma quello che abbiamo veramente bisogno di sapere è il numero di residenti in ogni casa, da dove provengono, e quanto sono sani. Quello che sta succedendo è che le misure statiche stanno diventando utilizzato per valutare i flussi in un sistema di assistenza dinamico. Questo si traduce in misure delle prestazioni del sistema che sono utilizzati come indicatori della salute e del benessere dei residenti. Queste misure sono imprecise e non appropriate valutare con precisione i rischi per la salute dovuti al covid- 19 e altre comorbilità. Uno dei motivi principali per cui questo accade è perché è letti e case relativamente facili ed economici da misurare che tendono a non muoversi. Molto più difficile è misurare le persone, che lo fanno. Ci sono flussi costanti di persone tra abitazioni private, soggiorni in cura domiciliari e visite agli ospedali.

Le infrastrutture di dati esistenti si concentrano sulla misurazione della statica risorse come letti o anche conteggi aggregati di deceduti. Ad esempio, la Commissione per la qualità dell'assistenza in collaborazione con l'Ufficio di Statistica Nazionale pubblicare il numero totale di decessi nelle case di cura su a su base settimanale. Ma da soli, il numero di morti in una casa di cura durante la pandemia non si dimostra una

159

valutazione accurata della qualità o della sicurezza (Care Commissione per la qualità, newsletter via e-mail, 11 maggio 2021). Misure che integrerebbero questi dati, per esempio tracciando accuratamente i flussi, non esistono (Bell et al., 2020).

Riquadro 1. Il rilevatore di capacità

In poche settimane, il NECS Capacity Tracker sviluppato da North of England Commissioning.

L'unità di supporto è diventata di fatto il modo di monitorare migliaia di case di cura in Inghilterra e Galles. Creato per aiutare gli amministratori, case lavoratori e famiglie trovano posti letto disponibili da an available scelta spesso sconcertante di migliaia di residenze operatori sanitari, nei primi mesi del covid-19, i tracker è stato adattato per monitorare la capacità del letto e livelli di infezione a livello nazionale.

Il Capacity Tracker è uno strumento di indagine self-report.

I responsabili delle case di cura lo usano per fare rapporti regolari su indicatori come la disponibilità di posti letto.

Questi dati hanno influenzato le decisioni su come le risorse come i dispositivi di protezione sono stati distribuiti a case di cura in Inghilterra e Galles (Healthy London partenariato, 2021)

2. Quali fattori peggiorano questo problema?

Riepilogo dei fattori che contribuiscono al problema • I diversi ambienti delle case di cura rendono difficile la raccolta di dati standardizzati. • Scarse infrastrutture digitali all'interno delle case di cura ea livello locale e nazionale. • Gli incentivi normativi danno la priorità alla raccolta dei dati per i sistemi di monitoraggio e trascurano i dati per la valutazione ripercussioni sui residenti. • I complessi accordi di mercato e le preoccupazioni finanziarie sono disincentivi a condividere gli operatori delle case di cura dati. • Ci sono pochi intermediari di dati di terze parti fidati che potrebbero aumentare la fiducia nel settore e favorire rapporti tra fornitori di dati basati su interessi comuni.

La pandemia si è giocata in un contesto di negligenza politica nel più ampio settore dell'assistenza sociale (La Fondazione per la salute, 2020b). Tre principali e questioni di vecchia data sono rilevanti per questa recensione. • Primo, il problema del denaro e dei budget che hanno rapidamente ridotto in termini reali nell'ultimo decennio. • Secondo il problema di come vengono pagate le cure. • E terzo, problemi in il modo in cui sono organizzate migliaia di case di cura e regolamentato in un regime di quasi mercato rende difficile implementare il cambiamento (Allen & Tallack, 2021). Questi problemi strutturali hanno un impatto sulla fornitura, la creazione e utilizzo dei dati di settore nei seguenti modi.

2.1 Infrastrutture digitali scadenti e utilizzo dei dati che monitora ma non valuta La sfida di produrre dati precisi e tempestivi time in tutto il settore delle case di cura è aumentato del limitato digitalizzazione nelle case di cura: circa tre su quattro le case di cura sono ancora cartacee (Say, 2019). Anche, mentre i residenti sono noti ai sistemi GP, informazioni memorizzati su carta, o in record digitali a testo libero, 160

non possono essere collegato ai dati detenuti centralmente da NHS Digital, né messo a disposizione per informare l'autorità locale o nazionale decisori di livello. Questi fattori significano che le infrastrutture dati non possono fornire in modo affidabile dati precisi e tempestivi sui trasferimenti di pazienti dall'ospedale e nelle case di cura, dati sui test dei residenti e del personale e sui tassi di infezione in l'area locale della casa di cura e i dati sulla mortalità correlata al covid a livello di casa di cura (Bell et al., 2020). Un altro problema è che i dati a livello nazionale le infrastrutture costruite prima del covid-19 non si mantenevano al passo con il modo in cui le aree locali comprendono e gestiscono fornitura di assistenza domiciliare. Questi compiti troppo enfatizzati di monitoraggio degli indicatori del sistema mentre trascuravano di valutare i risultati per i residenti (Naylor, 2018). Ad esempio, le misure a livello nazionale tendono a concentrarsi ulteriori informazioni sugli indicatori di assistenza sociale in fase avanzata con l'accento sulla salvaguardia. Un esempio di questo è Trasferimenti di cura ritardati (NHS England, 2021c), che tiene traccia dei ritardi nello spostamento delle persone da la loro attuale assistenza ospedaliera a causa di ragioni: il problema era il Capacity Tracker progettato per affrontare. Per questo motivo, tende a concentrarsi maggiormente sul far uscire le persone dall'ospedale che impedire loro di andare in ospedale nel primo posto. Al contrario, i decisori locali sempre più comprendere il loro dovere come quello di promuovere il benessere più in generale che spesso significa sostenere le persone prosperare per tutta la vita. Per questi compiti, il valutazione di programmi e interventi specifici è richiesto ma spesso manca. L'immagine è sorprendentemente simile quando la guardiamo come NHS Test and Trace è stato monitorato durante 2020. Ancora una volta, l'attenzione si è concentrata sul sistema di monitoraggio prestazioni e non valutare i risultati. Dunn e i colleghi mostrano come si concentrano i rapporti del governo su 48 statistiche di alto livello sul numero di test tra i residenti e il personale delle case di cura. Ma questi dati hanno fatto poco per dirci come i test programma stava effettivamente incontrando l'assistenza sociale esigenze di test del sistema (Dunn et al. 2021). La Commissione per i conti pubblici della Camera dei Comuni ha recentemente riferito che il sistema NHS Test and Trace pubblica “un sacco di dati sulle prestazioni, ma questi sì non dimostrare quanto sia efficace il test e la traccia a ridurre la trasmissione del covid-19” (House of Commons Public Accounts Committee, 2021).

2.2 Assistenza in contesti diversi, discriminazione e la sottovalutazione della cura Molte case di cura del Regno Unito forniscono servizi per un diverso insieme di adulti, non solo di persone anziane. C'è anche diversità in dove si trovano e come si operare. Numerosi provider funzionano in modo diverso modelli di business in tutto il paese – da grandi fornitori di proprietà di private equity e strutture statali, a migliaia di piccole case di cura a conduzione familiare con a manciata di residenti. Un grosso problema è identificare gli adulti che finanziano il loro propria cura invece di ricevere supporto dal locale autorità o altri soggetti terzi. Questo perché c'è non è attualmente richiesto per gli operatori sanitari o locali autorità per raccogliere dati su queste persone (John, 2020). Ciò lascia un vuoto significativo nelle prove di capire come viene finanziata l'assistenza e l'impatto su il settore. Questi fattori rendono la valutazione e la regolamentazione della qualità quality che si basa su indicatori standardizzati di cura difficile. Una serie di workshop di The Health Foundation e Future Care Capital nel luglio 2020 hanno dimostrato che difficoltà incontrate dal personale e dai residenti nelle case di cura erano legati a problemi strutturali più ampi come discriminazione contro anziani e disabili persone e la sottovalutazione dell'assistenza ovunque essa accade in tutta la società (Steventon et al., 2020). In combinazione con una cattiva governance nel settore, anche in una situazione di crisi, era spesso difficile costringere cambiare rapidamente.

2.3 Accordi di mercato complessi, disincentivi per condividere dati e pochi intermediari fidati

161

Difficoltà nella raccolta di dati standardizzati a livello nazionale in le case di cura sono aggravate dal grande ma fragile mercato dei fornitori, e il complesso e distribuito natura dell'assistenza nel Regno Unito. Ad esempio, una stima 410.000 anziani attualmente vivono in circa 11.000 strutture di assistenza a lungo termine (LTCF) in Inghilterra (Bell et al., 2020). Flussi complessi e continui di residenti tra cure acute, primarie, comunitarie e informali le impostazioni significano che il monitoraggio delle persone è impossibile dato infrastruttura esistente. Condizioni del personale come scarsa retribuzione e tempo limitato contribuire alla carenza di forza lavoro e mitigare ulteriormente contro la raccolta dei dati. Infine, gli operatori delle case di cura sono spesso riluttanti a condividere dati che potrebbero avere conseguenze sulla loro finanze (Curry & Oung, 2021). A differenza della sanità settore, ci sono pochi intermediari di fiducia di terze parti, che potrebbe svolgere un ruolo sia aggregante che condiviso dati, nonché stabilire relazioni tra fornitori di dati basati sulla fiducia e sugli interessi comuni. https://ltccovid.org/wp-content/uploads/formidable/3/ODonovan-et-al.-2021-Making-older- people-visible-solving-the-denominat.pdf

Giornata mondiale di sensibilizzazione sugli abusi verso gli anziani Andrea Muti | Giu 15, 2021

Perché una Giornata Mondiale di sensibilizzazione sugli abusi verso gli anziani? La risposta è che l’invisibilità costituisce uno degli aspetti più inquietanti di questo problema sociale e di salute pubblica che accomuna paesi ricchi e poveri in tutto il mondo in maniera crescente. E così dal 2011, ogni 15 giugno, si puntano i riflettori su una piaga che affligge, secondo i dati resi disponibili dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2017, basati su 52 studi in 28 Paesi, almeno una persona anziana su 6 nel mondo, circa 146 milioni di over 60. Vista la tendenza globale all’invecchiamento della popolazione, l’OMS stima che gli anziani abusati saranno in futuro sempre di più, fino ad arrivare a 350 milioni nel 2050. Si possono violare i diritti degli anziani in molti modi, anche senza giungere alla violenza fisica o verbale. Ad esempio, privandoli della loro dignità lasciandoli con abiti sporchi, non fornendo la necessaria assistenza quando sono impossibilitati a muoversi, privandoli del cibo, dei farmaci, delle relazioni sociali e familiari. A questa situazione già allarmante, ma purtroppo “silenziosa”, si aggiunge che ovunque la pandemia ha causato un maggior isolamento delle persone anziane, con una palese violazione dei loro diritti. HelpAge International ha pubblicato, in occasione di questa giornata, il rapporto “Bearing the brunt”, una ampia ricerca condotta in molti paesi del mondo, che evidenzia come durante la pandemia nei paesi a basso e medio reddito: 162

 Le misure restrittive abbiano aumentato il rischio di abusi, incuria e maltrattamenti.  Siano stati trascurati i problemi di salute cronica delle persone anziane.  Le persone anziane siano invisibili nelle statistiche ufficiali sull’impatto del COVID-19. Il rapporto dà voce a coloro che non sono stati ascoltati, utilizzando informazioni raccolte in Etiopia, Kenya, Malawi, Moldavia, Pakistan e Ucraina oltre a interviste con persone anziane di 14 paesi a basso e medio reddito. Una donna anziana che vive in Giordania ha affermato: “Le misure che il governo ha preso nei confronti delle persone anziane hanno fatto più male che bene. Il danno psicologico è stato molto maggiore di quello causato dal coronavirus”. Le persone anziane in tutto il mondo hanno pagato un prezzo troppo alto e purtroppo questa affermazione potrebbe essere condivisa da troppi anziani in giro per il mondo, anche nel nostro paese. Se spostiamo infatti la nostra attenzione al caso Italia, dobbiamo notare che siamo il Paese con la letalità causa Covid fra le più alte in Europa: 3,1% contro una media del 2,4%. Secondo uno studio condotto dall’INAPP (Istituto Nazionale Analisi Politiche Pubbliche) l’età media della popolazione italiana e le condizioni di salute delle persone anziane non sono sufficienti a spiegare il fenomeno, che invece va visto valutando la diffusa fragilità degli anziani sempre più relegati nelle strutture assistenziali e troppo spesso privi di adeguata assistenza domiciliare, ed è quindi necessario promuovere lo sviluppo di un sistema organico di politiche di sostegno all’invecchiamento attivo. “L’Italia ha pagato un prezzo troppo alto di vite umane ed è anche in questo contesto che vanno visti abusi, maltrattamenti e violazione dei diritti delle persone anziane. – spiega Emilia Romano, Direttore Generale di HelpAge – In tutto il mondo le persone anziane soffrono troppo spesso in silenzio perché non sanno come denunciare gli abusi e possono anche sentirsi minacciate da chi abusa o stigmatizzate se chiedono aiuto. Vogliamo invece tutti poter invecchiare mantenendo la nostra dignità e i nostri diritti.”. Qualcosa si può fare subito per fermare questa piaga “invisibile” e HelpAge Italia sta portando avanti un importante progetto pilota, in partnership con la struttura comunale Ser.S.a di Belluno, per garantire la tutela degli anziani da malpratiche, abusi e maltrattamenti all’interno delle Strutture Assistenziali e dei servizi agli anziani. Le segnalazioni in proposito purtroppo sono infatti poco frequenti rispetto alla realtà del fenomeno, ma comunque diffuse su tutto il territorio nazionale. “Il progetto è ancora in corso – spiega Emilia Romano – e la nostra ambizione è che venga poi adottato come modello e buona prassi da estendere a tutto il territorio nazionale, per ogni struttura di questo tipo, affinché il nostro paese diventi invece un’avanguardia nella tutela da incuria, abusi e maltrattamenti delle persone anziane”. https://www.helpage.it/2021/06/15/giornata-mondiale-di-sensibilizzazione-sugli-abusi-verso- gli-anziani/

163

Lezioni da cinque epidemie per capire il post-Covid Johannes Emmerling, Pietro Pizzuto e Massimo Tavoni, Il 01/06/2021

Che cosa ci aspetta nel dopo-pandemia? L’analisi di cinque epidemie non troppo lontane nel tempo rimarca rischi sociali ed economici, soprattutto per quanto riguarda la povertà e la disuguaglianza. E suggerisce come disegnare le misure per contrastarle.

Le conseguenze economiche del Covid La pandemia da Covid-19 ha avuto effetti devastanti sull’attività economica nel 2020. Non è chiaro per quanto tempo persisteranno. Le previsioni del settore privato e delle agenzie pubbliche – come il Fondo monetario internazionale – prevedono un ritorno alla crescita quest’anno. L’indicazione dell’Fmi è di una crescita globale del 5,2 per cento nel 2021, cancellando gli effetti di un calo del 4,4 nel 2020. Per gli Stati Uniti, Consensus Forecasts indica, dopo un calo del 3,5 per cento nel 2020, il Pil in crescita del 4 per cento nel 2021 e del 3 per cento nel 2022, aumentando così i redditi ben al di sopra del livello pre-Covid; le previsioni per le altre principali economie seguono un andamento simile. Quanto sono credibili queste previsioni, secondo cui gli effetti economici negativi della pandemia sarebbero limitati al 2020, con un impatto contenuto negli anni successivi? E, guardando oltre il Pil, le conseguenze della pandemia su altre variabili economiche come la povertà e la disuguaglianza – e sui sistemi energetici e ambientali – avranno vita altrettanto breve? Alcuni studi hanno analizzato gli impatti a medio e lungo termine di episodi storici come la peste nera e l’influenza spagnola del 1918. Forniscono preziose intuizioni sugli effetti delle pandemie, ma la loro utilità nel prevedere quelli a medio termine del Covid-19 potrebbe essere limitata. Nonostante il suo devastante bilancio di vittime, infatti, si prevede che alla fine il coronavirus avrà tassi di mortalità molto al di sotto di quelli provocati da peste nera o influenza spagnola. Pertanto, come sostenuto altrove, è probabile che natura e persistenza delle conseguenze economiche del Covid-19 siano molto diverse da quanto accaduto in passato, in particolare per l’impatto negativo molto inferiore sull’offerta di lavoro.

Cosa è accaduto in cinque epidemie recenti In un nuovo articolo, con colleghi del Fondo monetario internazionale suggeriamo che una guida più utile per le proiezioni degli effetti persistenti di Covid-19 sull’economia potrebbero essere le evidenze su quanto avvenuto con epidemie più recenti: Sars, H1N1, Mers, Ebola e Zika. Abbiamo esaminato l’impatto di queste cinque recenti epidemie su un ampio ventaglio di misure economiche, tra cui la crescita economica, la disoccupazione e il debito pubblico; la disuguaglianza di reddito e povertà; l’uso, l’intensità e le emissioni di energia. I nostri risultati mostrano che hanno avuto ripercussioni negative significative e persistenti sulle variabili macroeconomiche analizzate: il reddito pro capite diminuisce, la disoccupazione aumenta e la disuguaglianza di reddito aumenta. Osserviamo anche modeste riduzioni dell’’intensità di energia e di emissioni di CO2, suggerendo che senza azioni mirate, i guadagni ambientali dovuti alla contrazione economica non rimarrebbero radicati. Applicando le stime storiche per proiettare l’impatto del numero attuale di contagiati Covid-19 fino al 2025, otteniamo le proiezioni globali mostrate in figura 1. Sono evidenti un persistente calo del livello di attività economica e un aumento delle disuguaglianze. Da notare anche un significativo aumento della povertà – con un incremento del numero di persone sotto la soglia della povertà di circa 75 milioni. Le stime sono probabilmente un limite inferiore poiché il Covid-19 è molto più diffuso delle cinque precedenti pandemie prese in esame e caratterizzato da misure di contenimento (restrizioni di viaggio, blocchi, misure 164

di distanziamento sociale) che non hanno precedenti in termini di velocità e gravità. È altresì probabile che la natura mondiale dello shock Covid-19 influenzi le catene del valore globali più che in passato. D’altro canto, le esperienze passate hanno coinvolto un numero limitato di paesi e solo marginalmente quelli abbienti. Nonostante le differenze, le cinque epidemie hanno però avuto picchi locali di contagio e di mortalità non lontani da quelli del Covid, permettendo una loro estrapolazione all’intensità della attuale pandemia. Le nostre proiezioni sottolineano l’importanza di una attenta ed efficiente risposta pubblica per contrastare i persistenti effetti negativi del Covid-19. L’aumento previsto del rapporto debito pubblico/Pil potrebbe suscitare preoccupazioni sulla sostenibilità del debito in molti paesi. Le politiche fiscali e altre macro politiche dovrebbero essere calibrate per ottenere una crescita equa e sostenibile. Ed è necessaria una progettazione “verde” dei pacchetti di stimolo, non solo per affrontare le conseguenze economici e sociali della malattia, ma per garantire una lotta al cambiamento climatico efficace e giusta anche per le generazioni future. Figura 1 – Proiezioni globali per alcuni indicatori di progresso economico e sociale con e senza Covid, sulla base dell’analisi empirica di eventi pandemici passati. Da in alto a sinistra: Pil pro capite, indice di Gini, domanda finale di energia, emissioni di CO2, debito pubblico, tasso di disoccupazione, intensità energetica del Pil, intensità carbonica dell’energia.

https://www.lavoce.info/archives/86898/lezioni-da-cinque-epidemie-per-capire-il-post-covid/

Emergenza Covid e neet: una generazione a rischio#conibambini Secondo gli ultimi dati di Eurostat, in Italia il 20,7% dei giovani non è occupato né inserito in un percorso di formazione. Una situazione grave che colpisce il nostro paese più del resto d’Europa e le regioni del sud più di quelle del nord. Martedì 1 Giugno 2021

165

L’emergenza legata al coronavirus ha ulteriormente accentuato le differenze tra coloro che godono di ampie opportunità dal punto di vista socio-economico e chi invece queste opportunità non le ha. In questo contesto, l’istruzione rappresenta un fondamentale strumento per l’emancipazione, specie per quei giovani che provengono da contesti familiari disagiati. I neet sono quei giovani che non lavorano e non sono nemmeno inseriti in percorsi di istruzione o formazione. Quando però le opportunità offerte da un territorio sono più limitate, sia a livello educativo che di futuro inserimento nel mondo del lavoro, possono verificarsi situazioni come quella dei neet (neither in employment nor in education or training). Si tratta di quei giovani che, non vedendo opportunità per il loro futuro, non solo non lavorano ma hanno anche rinunciato ad intraprendere percorsi formativi. Questa situazione si è ulteriormente complicata a causa della pandemia. Secondo un rapporto pubblicato dalla commissione europea infatti, nel secondo trimestre del 2020 i neet in tutta l’Unione europea sarebbero aumentati dell’11,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo il report l’Italia è al primo posto in questa classifica. Nel nostro paese infatti i giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano né studiano hanno raggiunto il 20,7%. 20,7% giovani italiani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano nel secondo trimestre del 2020. Si tratta di dati molto preoccupanti e che impongono una riflessione su come reinserire questi giovani nel percorso formativo. Spesso la percentuale di neet aumenta nei contesti che presentano le maggiori difficoltà a livello economico. Una tendenza che si conferma anche nel nostro paese, in cui questo fenomeno è molto più diffuso nel meridione rispetto al nord Italia. I neet in Europa Per comprendere quanto il fenomeno dei neet sia impattante nel nostro paese è utile partire da un paragone con gli altri stati membri dell’Unione europea. Per questo confronto possiamo fare affidamento sulle analisi di Eurostat. L’ultimo dato su base annuale disponibile riguarda il 2019. La percentuale di neet in Italia nel 2019 superava di 8 punti percentuali il dato medio europeo. Come possiamo vedere anche dalla mappa, nel 2019 l’Italia era il primo paese europeo per numero di neet sul totale della popolazione compresa tra 15 e 24 anni (18%). Un dato estremamente preoccupante, superiore di 8 punti percentuali rispetto alla media europea. E che, come abbiamo visto, si è ulteriormente aggravato negli ultimi mesi. Seguono poi la Romania (14,7%) e la Bulgaria (13,7%). Il paese Ue con la più bassa percentuale di neet invece era l’Olanda con appena il 4,3%.

In Italia il 18% dei giovani non studia e non lavora Percentuale di neet nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni (2019)

DA SAPERE La mappa mostra, per ogni paese europeo, la percentuale di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che non lavora e non è inserita in percorsi di studio o formazione.

166

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat (ultimo aggiornamento: lunedì 8 Febbraio 2021)

Possiamo osservare inoltre che la percentuale di neet presenti nei principali paesi europei è molto più bassa rispetto al dato italiano. In particolare la Germania, nell'arco temporale compreso tra il 2010 e il 2019, ha sempre mantenuto una percentuale di neet molto inferiore rispetto alla media europea, mentre la Francia presenta dati in linea con quello Ue-27. Degna di nota anche l'evoluzione storica che ha caratterizzato la Spagna: se nel 2010 e 2011 infatti la percentuale di neet nel paese iberico era simile a quella italiana, negli anni successivi il dato spagnolo si è ridotto in maniera molto più incisiva.

Com’è variata la presenza dei neet nei principali paesi europei Percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano nei principali paesi europei (2010 - 2019)

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat (ultimo aggiornamento: lunedì 8 Febbraio 2021) 167

Il fenomeno dei neet a livello locale Il confronto a livello europeo ci consente di capire quanto in Italia ci sia molto lavoro da fare per arginare il fenomeno dei neet. Allo stesso tempo però sappiamo che il nostro paese è caratterizzato da significative differenze al proprio interno, con alcune zone benestanti da un punto di vista socio-economico e altre invece che presentano disagi marcati. Per questo l'analisi a livello nazionale non è sufficiente per comprendere il fenomeno nel dettaglio. Nelle 5 grandi regioni del sud la percentuale di neet è superiore al 20%. Un primo confronto che possiamo fare è quello tra regioni, basandoci anche in questo caso sui dati di Eurostat relativi al 2019. Già a livello regionale possiamo osservare come il nostro paese sia spaccato a metà. Se al nord infatti la percentuale di neet presenti è abbastanza contenuta, specie in Veneto (11,1%) e nelle province autonome di Trento (9,8%) e Bolzano (8,7%), al sud questo dato esplode. Tutte le regioni del mezzogiorno infatti presentano un dato superiore alla media nazionale ed in particolare le 5 grandi regioni del sud (Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania e Puglia) presentano tutte un dato superiore al 20%. Al primo posto in particolare troviamo la Sicilia dove la percentuale di giovani tra 15 e 24 anni che non studia e non lavora è superiore al 30%. Al secondo posto troviamo la Calabria con il 28,4% e al terzo la Campania con il 27,3%.

Il fenomeno dei neet è più diffuso al sud Percentuale di neet tra i giovani di 15-24 anni nelle regioni italiane (2019) DA SAPERE I dati mostrano la percentuale di giovani tra 15-24 che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di studio né di formazione. Non sono disponibili i dati sulla Valle d’Aosta.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat (ultimo aggiornamento: lunedì 8 Febbraio 2021)

Tuttavia anche all’interno di una singola regione possono esserci significative differenze. Nelle grandi città inoltre si possono registrare delle disparità significative anche tra un quartiere ed un altro. Per questo dobbiamo spingere la nostra analisi ancora più nel dettaglio.

Il caso di Napoli Una delle caratteristiche delle maggiori realtà urbane nel nostro paese è il modo in cui le disuguaglianze, anche quelle più profonde, possono convivere in pochi chilometri quadrati. Passando da quartiere a quartiere

168

infatti, la condizione economica e sociale degli abitanti può variare anche di molto. Una situazione che va ad influire anche sui giovani e sulle loro prospettive future. Dove le prospettive per i giovani sembrano scarse è più probabile un aumento dei neet. Da questo punto di vista, un tema di grande rilevanza riguarda le opportunità che il territorio è in grado di offrire ai giovani che vivono nelle periferie delle grandi città, dove generalmente le risorse economiche, sociali e culturali sono più scarse. Infatti i ragazzi e le ragazze che vivono in quartieri senza servizi, con scuole che offrono pochi sbocchi e un tessuto sociale fragile sono più esposti al rischio di diventare neet. Ciò proprio perché non intravedono prospettive per il loro futuro. Per comprendere meglio questi aspetti ci concentreremo su una delle più grandi città italiane dove il problema dei neet è particolarmente rilevante: Napoli. Cercheremo quindi di identificare i quartieri con meno sbocchi per i giovani. A questo scopo ci serviremo dell’indicatore predisposto da Istat per le attività della commissione periferie nella scorsa legislatura. Questo indicatore però ha due limiti: il primo riguarda il fatto che si tratta di dati risalenti al censimento, quindi al 2011. Il secondo invece riguarda il fatto che la fascia d’età analizzata è leggermente diversa rispetto ai dati che abbiamo trattato fino ad ora. Istat infatti ha censito i neet nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Nei quartieri benestanti la quota di giovani neet tendenzialmente diminuisce. Consci di questi limiti, una delle prime indicazioni che possiamo trarre dall'analisi dei dati è la relazione inversa tra gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare) e la quota di neet. Nei quartieri dove i valori immobiliari medi sono più alti (quindi più benestanti) infatti, la quota di giovani neet tendenzialmente diminuisce. Allo stesso tempo, i giovani che non lavorano e non studiano si concentrano invece nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate. Una tendenza che vale per Napoli ma anche per le altre grandi città italiane. I giovani neet nei quartieri di Napoli Percentuale di giovani neet sui residenti 15-29 anni

DA SAPERE Il dato calcola la quota di giovani fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione. Si tratta della percentuale di popolazione residente di età compresa tra 15 e 29 anni che si trova in condizione non professionale diversa da studente (neet allargati). L’indicatore è stato elaborato a partire dai dati raccolti nel censimento

2011. FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat per commissione periferie (ultimo aggiornamento: mercoledì 5 Luglio 2017)

Per quanto riguarda il capoluogo partenopeo, analizzando i 10 quartieri che presentano la più elevata percentuale di neet, possiamo notare che in ben 8 casi essi compaiono anche nella classifica delle 10 zone 169

con più famiglie in disagio economico. E in 6 casi, in quella delle zone con i valori immobiliari più bassi. Rispetto a una media comunale di 22,8 giovani neet ogni 100 ragazzi, sfondano quota 30% i quartieri di Ponticelli, Scampia, Mercato e San Giovanni a Teduccio. Isolando i quartieri più popolosi, in modo da avere un confronto maggiormente omogeneo, emergono enormi differenze tra le diverse zone di Napoli.

A Ponticelli la quota di giovani neet è tre volte quella del Vomero Percentuale di neet nei 20 quartieri di Napoli più popolosi

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat per commissione periferie (ultimo aggiornamento: mercoledì 5 Luglio 2017)

Nei quartieri dove questo disagio è più forte, la quota di giovani che non studiano e non lavorano è tripla rispetto a quella dei quartieri benestanti. E ciò sebbene anche in questi ultimi la percentuale di neet presenti sia piuttosto alta. https://www.openpolis.it/emergenza-covid-e-neet-una-generazione-a-rischio/

170

Il “dopo” Covid19: vision, impatti economici e sociali

171

PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA 2.7. Missione 6: Salute

Riquadro La pandemia da Covid-19 ha confermato il valore universale della salute, la sua natura di bene pubblico fondamentale e la rilevanza macro-economica dei servizi sanitari pubblici. Nel complesso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) presenta esiti sanitari adeguati e un’elevata speranza di vita alla nascita con costi relativamente contenuti per il bilancio pubblico (6,5 percento del PIL circa).

172

Tuttavia, la pandemia ha reso ancora più evidenti alcuni aspetti critici di natura strutturale, che in prospettiva potrebbero essere aggravati dall’accresciuta domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto. Vi sono: (i) significative disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, in particolare in termini di prevenzione e assistenza sul territorio; (ii) un’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali; (iii) tempi di attesa elevati per l’erogazione di alcune prestazioni; (iv) una scarsa capacità di conseguire sinergie nella definizione delle strategie di risposta ai rischi ambientali, climatici e sanitari. L’esperienza della pandemia ha inoltre evidenziato l’importanza di poter contare su un adeguato sfruttamento delle tecnologie più avanzate, su elevate competenze digitali, professionali e manageriali, su nuovi processi per l’erogazione delle prestazioni e delle cure e su un più efficace collegamento fra la ricerca, l’analisi dei dati, le cure e la loro programmazione a livello di sistema. La strategia perseguita con il PNRR è volta ad affrontare in maniera sinergica tutti questi aspetti critici. Un significativo sforzo in termini di riforme e investimenti è finalizzato ad allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti in ogni area del Paese. Una larga parte delle risorse è destinata a migliorare le dotazioni umane, infrastrutturali e tecnologiche, e a promuovere la ricerca e l’innovazione. La missione si articola in due componenti: 1. Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale: gli interventi di questa componente intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari; 2. Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale: le misure incluse in questa componente consentiranno il rinnovamento e l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali esistenti, il completamento e la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), una migliore capacità di erogazione e monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) attraverso più efficaci sistemi informativi. Rilevanti risorse sono destinate anche alla ricerca scientifica e a favorire il trasferimento tecnologico, oltre che a rafforzare le competenze e il capitale umano del SSN anche mediante il potenziamento della formazione del personale.

173

M6C1: Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale

174

M6C1.1 Potenziamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale Riforma 1: Servizi sanitari di prossimità, strutture e standard per l’assistenza sul territorio

L’attuazione della riforma intende perseguire una nuova strategia, sostenuta dalla definizione di un assetto istituzionale e organizzativo condiviso, che consenta al Paese di conseguire standard qualitativi adeguati in linea con i migliori paesi europei. Essa prevede due attività principali: . L’identificazione del modello organizzativo condiviso della rete di assistenza territoriale tramite la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e le strutture a essa deputate da adottarsi entro il 31 ottobre 2021 con l’approvazione di uno specifico decreto ministeriale; . La definizione entro la fine del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge alle camere entro il 31 ottobre 2021, di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio One-Health.

Investimento 1: Case della Comunità e presa in carico della persona L’emergenza pandemica ha evidenziato con chiarezza la necessità di rafforzare la capacità del SSN di fornire servizi adeguati sul territorio. Non solo il processo di invecchiamento della popolazione italiana prosegue, ma una quota significativa e crescente della popolazione è afflitta da malattie croniche. Le persone con disabilità sono il 5,2 per cento; tale quota sale al 20 percento se si considerano gli individui con età superiore ai 75 anni. Il progetto di realizzare la Casa della Comunità consente di potenziare e riorganizzare i servizi offerti sul territorio migliorandone la qualità. La Casa della Comunità diventerà la casa delle cure primarie e lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. È finalizzata a costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso una infrastruttura informatica, un punto prelievi, la strumentazione polispecialistica, e ha il fine di garantire la presa in carico della comunità di riferimento. Tra i servizi inclusi è previsto, in particolare, il punto unico di accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi consultoriali con particolare riferimento alla tutela del bambino, della donna e dei nuclei familiari secondo un approccio di medicina di genere. L’investimento prevede l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in 2,00 miliardi di euro. Entro il primo trimestre del 2022 è prevista la definizione di un Contratto Istituzionale di Sviluppo che vedrà il Ministero della Salute (come autorità responsabile per l’implementazione) e il coinvolgimento delle amministrazioni regionali e di tutti gli altri enti interessati.

Investimento 2: Casa come primo luogo di cura. Assistenza domiciliare. Per rispondere efficacemente alle tendenze evidenziate nel paragrafo precedente e in linea con le raccomandazioni della Commissione Europea del 2019, il potenziamento dei servizi domiciliari è un obiettivo fondamentale. L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee).

175

L’intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti. L’obiettivo di raggiungere il 10 percento riguarda ogni regione italiana, nella consapevolezza che la situazione di partenza è molto differenziata e attualmente tale standard è raggiunto solo in quattro 4 regioni. La presa in carico del paziente si realizza attraverso la definizione di un piano/progetto assistenziale individuale che raccoglie e descrive in ottica multidisciplinare le informazioni relative ai soggetti in condizioni di bisogno per livello di complessità e, sulla base dei bisogni di cura dell’assistito, definisce i livelli di assistenza specifici, nonché i tempi e le modalità di erogazione per favorire la migliore condizione di salute e benessere raggiungibile per la persona malata. La presa in carico presuppone una serie di fasi: a) Valutazione multidimensionale; b) Definizione di obiettivi che ragionevolmente potranno essere perseguiti; c) Elaborazione del piano/progetto assistenziale individuale; d) Affidamento a un case manager che rappresenta il punto di riferimento sia per il paziente che per tutti gli operatori che avranno un ruolo nell’episodio assistenziale; e) gestione (aggiornamenti e rivalutazioni); e) Dimissioni (che non comportano la chiusura della presa in carico qualora la dimissione comporti l’affidamento a un altro servizio), g) controllo della gestione clinica.

L’investimento mira a: . Identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione); . Realizzare presso ogni azienda sanitaria locale (asl) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale; . Attivare 602 centrai operative territoriali (cot), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza. Il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in 4,00 miliardi di euro, di cui 3,48 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti, 0,48 miliardi per l’istituzione delle COT e 0,04 miliardi per i sistemi informativi. Per la realizzazione di tali interventi si utilizzeranno gli strumenti della programmazione negoziata, necessari per garantire il coordinamento dei livelli istituzionali e degli enti coinvolti.

Investimento 3: Sviluppo delle cure intermedie L’insufficiente livello delle cure sul territorio può generare un senso di stress e abbandono nei pazienti, in particolare per quelli più vulnerabili, se le prestazioni richieste non sono di tipo ospedaliero. L’investimento mira ad attivare l’Ospedale di Comunità, ovvero una struttura sanitaria della rete territoriale a ricovero breve e destinata a pazienti che necessitano interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata, di norma dotato di 20 posti letto (con un massimo di 40 posti letto) e a gestione prevalentemente infermieristica, tale da contribuire a una maggiore appropriatezza delle cure e determinare una sostanziale riduzione di accessi impropri ad altre prestazioni (come quelli al pronto soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero). L’Ospedale di Comunità potrà anche facilitare la transizione dalle cure ospedaliere acute a quelle domiciliari, consentendo alle famiglie e alle strutture di assistenza di avere il tempo necessario per adeguare l’ambiente domestico e renderlo più adatto alle esigenze di cura dei pazienti. L’investimento si concretizzerà nella realizzazione di circa 380 Ospedali di Comunità. Anche in questo caso l’implementazione dell’intervento beneficerà di strumenti di coordinamento tra i livelli istituzionali coinvolti, quale il Contratto Istituzionale di Sviluppo. Il costo complessivo stimato dell’investimento è di 1,00 miliardi, e l’orizzonte per il completamento della sua realizzazione è la metà del 2026. 176

La relativa operatività in termini di risorse umane sarà garantita nell’ambito delle risorse vigenti per le quali è stato previsto un incremento strutturale delle dotazioni di personale, con specifico riferimento agli infermieri di comunità.

M6C2: Innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale

177

178

Riforma 1: Riorganizzare la rete degli IRCCS L’azione di riforma incardinata nella Componente 2 riguarda la revisione e l’aggiornamento dell’assetto regolamentare e del regime giuridico degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) e delle politiche di ricerca del Ministero della salute, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto fra ricerca, innovazione e cure sanitarie. La riforma troverà attuazione con un decreto legislativo entro la fine del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge di delega alle Camere entro il 31 ottobre 2021. La revisione della governance degli IRCCS sarà conseguita attraverso un miglioramento della gestione strategica degli Istituti e una più efficace definizione delle loro aree di competenza. Si prevede inoltre di differenziare gli IRCCS a seconda delle loro attività, creare una rete integrata fra gli Istituti e facilitare lo scambio di competenze specialistiche fra gli IRCCS stessi e con le altre strutture del SSN. In tali termini gli IRCCS saranno sottoposti a un sistema di assegnazione delle risorse di tipo competitivo, basato su parametri relativi all’attività scientifica su riviste ad alto impact factor, alla capacità di attrarre risorse in finanziamenti competitivi nazionali e internazionali, allo sviluppo di trials clinici in un ambito di collaborazione multi centrica e di prodotti e soluzioni nell’ambito del trasferimento tecnologico. Sarà rafforzata la governance aziendale sempre più orientata alla ricerca, con il Direttore Generale 179

responsabilizzato, insieme al direttore scientifico, sui risultati da conseguire. Ciò al fine di sviluppare le potenzialità degli IRCCS e di incrementare la qualità della ricerca sanitaria in un’ottica traslazionale.

M6C2.1 Aggiornamento tecnologico e digitale

Investimento 1: Ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero Le infrastrutture tecnologiche e digitali ospedaliere presentano un significativo grado di obsolescenza e risultano carenti in molte strutture. Ciò rischia di compromettere la qualità delle prestazioni e l'efficienza del sistema, e può avere un effetto negativo sulla fiducia dei cittadini nel sistema sanitario. L'investimento prevede l’ammodernamento digitale del parco tecnologico ospedaliero, sia in termini di sostituzione con l’acquisto di 3.133 nuove grandi apparecchiature ad alto contenuto tecnologico (TAC, risonanze magnetiche, Acceleratori Lineari, Sistema Radiologico Fisso, Angiografi, Gamma Camera, Gamma Camera/TAC, Mammografi, Ecotomografi) caratterizzate da una vetustà maggiore di 5 anni, sia con interventi finalizzati al potenziamento del livello di digitalizzazione di 280 strutture sanitarie sede di Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA) di I e II livello. Inoltre, l’intervento (attuativo dell’art. 2 del decreto legge n. 34/2020) prevede il rafforzamento strutturale degli ospedali del SSN, attraverso l’adozione di un piano specifico di potenziamento dell’offerta ospedaliera tale da garantire: (i) il potenziamento della dotazione di posti letto di terapia intensiva (+3.500 posti letto per garantire lo standard di 0,14 posti letto di terapia intensiva per 1.000 abitanti) e semi-intensiva (+4.225 posti letto); (ii) la separazione dei percorsi all’interno del pronto soccorso (l’intervento è previsto su 651 Pronto Soccorsi) ; (iii) l’incremento del numero di mezzi per i trasporti secondari (+84 ambulanze). La spesa complessiva per l’investimento è pari a 4,05 miliardi di euro. L’importo comprende anche la quota, già inclusa nel tendenziale (e pari a 1,41 miliardi di euro) relativa a progetti già avviati dal Ministero della Salute relativi al rafforzamento strutturale del SSN in ambito ospedaliero predisposti per fronteggiare l’emergenza Covid-19 di cui al citato art. 2 del decreto legge n. 34/2020. Con riferimento ai costi si prevede nel dettaglio: . Una spesa complessiva di 1,19 miliardi di euro per la sostituzione delle apparecchiature sanitarie. Tali spese riguardano circa 0,60 miliardi destinati alla sostituzione di 1.568 apparecchiature entro il terzo trimestre del 2023, e altri circa 0,60 miliardi per la sostituzione delle restanti 1565 apparecchiature entro la fine del 2024. Il processo di sostituzione inizierà al termine della valutazione puntuale del fabbisogno, già avviata dal ministero della salute e che dovrà essere ultimata entro il terzo trimestre del 2021, e a conclusione della procedura di gara e della stipula dei contratti con i fornitori, prevista per il terzo trimestre del 2022; . Una spesa pari a 1,71 miliardi di euro per la digitalizzazione dei dea di i e ii livello (di cui 1,28 miliardi destinati alla digitalizzazione di 210 strutture entro il primo trimestre del 2021 e 0,43 miliardi per la digitalizzazione di altre 70 strutture entro la fine del 2025). Entro la fine del terzo trimestre del 2021 si prevede la formalizzazione della valutazione mediante decreto dirigenziale ed entro il terzo trimestre del 2022 la pubblicazione della procedura di gara e la stipula dei contratti con i fornitori; . Una spesa complessiva pari a 1,41 miliardi di euro entro il secondo semestre del 2026 per il rinnovamento della dotazione esistente di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva, l’ammodernamento dei pronto soccorso e l’incremento del numero dei mezzi per i trasporti sanitari secondari (progetto già avviato).

Investimento 2: Verso un ospedale sicuro e sostenibile L’investimento mira a delineare un percorso di miglioramento strutturale nel campo della sicurezza degli edifici ospedalieri, adeguandoli alle vigenti norme in materia di costruzioni in area sismica. L’esigenza nasce non solo dalla necessità di assicurare la conformità degli edifici all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 (“Primi elementi riguardanti criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e norme tecniche per la costruzione in aree sismiche”), che ha 180

rivoluzionato il quadro normativo preesistente, ma, soprattutto, dalla consapevolezza che, tra gli edifici pubblici, gli ospedali rivestono un ruolo strategico in caso di disastro. Gli ospedali non solo svolgono una fondamentale funzione di soccorso della popolazione, previsto su 651 Pronto Soccorsi); (iii) l’incremento del numero di mezzi per i trasporti secondari (+84 ambulanze). La spesa complessiva per l’investimento è pari a 4,05 miliardi di euro. L’importo comprende anche la quota, già inclusa nel tendenziale (e pari a 1,41 miliardi di euro) relativa a progetti già avviati dal Ministero della Salute relativi al rafforzamento strutturale del SSN in ambito ospedaliero predisposti per fronteggiare l’emergenza Covid-19 di cui al citato art. 2 del decreto legge n. 34/2020. Con riferimento ai costi si prevede nel dettaglio: . Una spesa complessiva di 1,19 miliardi di euro per la sostituzione delle apparecchiature sanitarie. Tali spese riguardano circa 0,60 miliardi destinati alla sostituzione di 1.568 apparecchiature entro il terzo trimestre del 2023, e altri circa 0,60 miliardi per la sostituzione delle restanti 1565 apparecchiature entro la fine del 2024. Il processo di sostituzione inizierà al termine della valutazione puntuale del fabbisogno, già avviata dal ministero della salute e che dovrà essere ultimata entro il terzo trimestre del 2021, e a conclusione della procedura di gara e della stipula dei contratti con i fornitori, prevista per il terzo trimestre del 2022; . Una spesa pari a 1,71 miliardi di euro per la digitalizzazione dei dea di i e ii livello (di cui 1,28 miliardi destinati alla digitalizzazione di 210 strutture entro il primo trimestre del 2021 e 0,43 miliardi per la digitalizzazione di altre 70 strutture entro la fine del 2025). Entro la fine del terzo trimestre del 2021 si prevede la formalizzazione della valutazione mediante decreto dirigenziale ed entro il terzo trimestre del 2022 la pubblicazione della procedura di gara e la stipula dei contratti con i fornitori; . Una spesa complessiva pari a 1,41 miliardi di euro entro il secondo semestre del 2026 per il rinnovamento della dotazione esistente di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva, l’ammodernamento dei pronto soccorso e l’incremento del numero dei mezzi per i trasporti sanitari secondari (progetto già avviato).

Investimento 2: Verso un ospedale sicuro e sostenibile L’investimento mira a delineare un percorso di miglioramento strutturale nel campo della sicurezza degli edifici ospedalieri, adeguandoli alle vigenti norme in materia di costruzioni in area sismica. L’esigenza nasce non solo dalla necessità di assicurare la conformità degli edifici all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 (“Primi elementi riguardanti criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e norme tecniche per la costruzione in aree sismiche”), che ha rivoluzionato il quadro normativo preesistente, ma, soprattutto, dalla consapevolezza che, tra gli edifici pubblici, gli ospedali rivestono un ruolo strategico in caso di disastro. Gli ospedali non solo svolgono una fondamentale funzione di soccorso della popolazione, garantendo l'efficace prosecuzione dei primi interventi medici di emergenza avviati sul campo, ma sono anche fra i più esposti e sensibili nel caso di eventi sismici in quanto ospitano un numero molto elevato di persone con capacità di reazione eterogenee. Sulla base di una ricognizione puntuale condotta dal Ministero della salute nel 2020, è stata individuata la necessità di realizzare 675 interventi per l’adeguamento alle normative antisismiche. Questi interventi rappresentano l’oggetto del presente investimento insieme alle precedenti azioni per il rinnovamento e l'ammodernamento strutturale e tecnologico del patrimonio immobiliare sanitario. Il volume di investimento complessivo è pari a 1,64 miliardi. Per l’attuazione di questo investimento si prevede la definizione di un Piano di azione (individuato come cardine principale) da sviluppare entro il 2021 al fine di consentire, una volta perfezionate le procedure di appalto, di completare gli interventi entro il secondo trimestre del 2026. La distribuzione della spesa associata a questo investimento, che ammonta a 1,64 miliardi (di cui 1,0 relativo a progetti già in essere) risulta contenuta all’inizio del periodo, dedicato principalmente all’elaborazione del

181

Piano e all’espletamento delle procedure. Interventi relativi a questo investimento sono finanziati per ulteriori 1,45 miliardi con risorse nazionali.

Investimento 3: Rafforzamento dell'infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione L’investimento mira ad imprimere un profondo cambio di passo nell’infrastrutturazione tecnologica. Si prevedono due azioni distinte relative a: § Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): Obiettivo è il potenziamento del FSE al fine di garantirne la diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità su tutto il territorio nazionale da parte di cittadini e operatori sanitari. Il FSE svolgerà tre funzioni chiave: (i) punto di accesso per cittadini e pazienti per la fruizione di servizi essenziali forniti dal SSN; (ii) base dati per i professionisti sanitari contenente informazioni cliniche omogenee che includeranno l’intera storia clinica del paziente; (iii) strumento per le ASL che potranno utilizzare le informazioni cliniche del FSE per effettuare analisi di dati clinici e migliorare la prestazione dei servizi sanitari. ll progetto si sviluppa in due fasi parallele e complementari che prevedono rispettivamente: . La piena integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati, la creazione e implementazione di un archivio centrale, l’interoperabilità e piattaforma di servizi, la progettazione di un’interfaccia utente standardizzato e la definizione dei servizi che il FSE dovrà fornire; . L’integrazione dei documenti da parte delle Regioni all’interno del FSE, il supporto finanziario per i fornitori di servizi sanitari per l’aggiornamento della loro infrastruttura tecnologica e compatibilità dei dati, il supporto finanziario alle Regioni che adotteranno la piattaforma FSE, il supporto in termini di capitale umano e competenze per realizzare i cambiamenti infrastrutturali e di dati necessari per l’adozione del FSE. Il progetto include iniziative già avviate per la realizzazione del Sistema di Tessera sanitaria elettronica, la progettazione dell’infrastruttura per l’interoperabilità e la gestione del FSE come parte degli interventi per la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche. Le risorse complessive assorbite dal progetto sono pari a 1,38 miliardi di euro, di cui 0,57 miliardi relativi al progetto già in essere di realizzazione del Sistema di Tessera sanitaria elettronica. Per l’attuazione dell’iniziativa si prevede un piano di azione a livello centrale e uno a livello locale. § Infrastruttura tecnologica del Ministero della salute e analisi dei dati e modello predittivo per garantire i LEA italiani e la sorveglianza e vigilanza sanitaria. Lo scopo del progetto è il rafforzamento del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), ovvero dell’infrastruttura e degli strumenti di analisi del Ministero della salute per il monitoraggio dei LEA e la programmazione di servizi di assistenza sanitaria alla popolazione che siano in linea con i bisogni, l’evoluzione della struttura demografica della popolazione, i trend e il quadro epidemiologico. Un più attento e completo monitoraggio dei bisogni sanitari può infatti trasformarsi in un utile strumento per la quantificazione e qualificazione dell’offerta sanitaria. Il progetto prevede: 1. Il potenziamento dell'infrastruttura tecnologica e applicativa del Ministero della salute; 2. Il miglioramento della raccolta, del processo e della produzione di dati NSIS a livello locale; 3. Lo sviluppo di strumenti di analisi avanzata per studiare fenomeni complessi e scenari predittivi al fine di migliorare la capacità di programmare i servizi sanitari e rilevare malattie emergenti; 4. La creazione di una piattaforma nazionale dove domanda ed offerta di servizi di telemedicina forniti da soggetti accreditati possa incontrarsi. Il progetto assorbe risorse per un totale di 0,29 miliardi di euro. In particolare, per il potenziamento dell’infrastruttura centrale si prevede una spesa di 0,09 miliardi destinata - dopo l’espletamento di apposita procedura di gara entro la metà del 2022 – al completamento e potenziamento della piattaforma opendata, alla creazione di strumenti di analisi e report per il monitoraggio,

182

alla vigilanza e al controllo dell’attività sanitaria a livello nazionale, nonché al sostenimento dei costi di manutenzione evolutiva. Per la reingegnerizzazione del NSIS a livello locale si prevede un costo pari a 0,10 miliardi, mentre si prevede che la costruzione di uno strumento complesso di simulazione e predizione di scenari a medio lungo termine del SSN, da avviare successivamente alla pubblicazione della relativa procedura di gara entro il primo trimestre del 2023, riguardi una spesa di 0,10 miliardi.

M6C2.2 Ricerca scientifica e trasferimento tecnologico Investimento 1: Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del SSN L’investimento ha l’obiettivo di potenziare il sistema della ricerca biomedica in Italia, rafforzando la capacità di risposta dei centri di eccellenza presenti in Italia nel settore delle patologie rare e favorendo il trasferimento tecnologico tra ricerca e imprese. Per il perseguimento di questi obiettivi si prevedono tre tipi di intervento: 1. Il finanziamento di progetti Proof of Concept (poc) volti a ridurre il gap fra i risultati del settore della ricerca scientifica e quello dell’applicazione per scopi industriali, attraverso la predisposizione di prototipi per la commercializzazione e la mitigazione dei rischi potenziali - derivanti da eventuali brevetti, licenze o barriere all’entrata – che potrebbero scoraggiare gli investitori di mercato; 2. Il finanziamento di programmi di ricerca o progetti nel campo delle malattie rare e dei tumori rari; 3. Il finanziamento per programmi di ricerca su malattie altamente invalidanti. La realizzazione dei progetti PoC prevede due bandi di gara, ciascuno del valore di 0,05 miliardi, da assegnare rispettivamente entro la fine del 2023 e la fine del 2025. Entrambe le assegnazioni saranno precedute da una fase istruttoria per la preparazione delle procedure di gara formalizzata tramite decreto ministeriale. Per i programmi di ricerca e i progetti nel campo delle malattie rare e dei tumori rari sono previsti due finanziamenti del valore di 0,05 miliardi ciascuno da erogare rispettivamente entro la fine del 2023 e la fine del 2025. Anche in questo caso le assegnazioni saranno precedute da una fase istruttoria per la preparazione delle procedure di gara formalizzata tramite decreto ministeriale. Infine, con riferimento alla ricerca su malattie altamente invalidanti si prevedono due finanziamenti del valore di 0,17 miliardi ciascuno, anche in questo caso da assegnare entro il 2023 e il 2025, sempre successivamente alla fase di preparazione e pubblicazione della gara.

Investimento 2: Sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario Il progresso scientifico e l'innovazione tecnologica richiedono che gli operatori sanitari siano regolarmente aggiornati e formati per garantire l'efficacia, l'adeguatezza, la sicurezza e l'efficienza dell'assistenza fornita dal SSN. Tale necessità, è apparsa evidente anche in coincidenza della crisi pandemica. In questo contesto, l’investimento mira a rafforzare la formazione in medicina di base, introdurre un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere e garantire un rafforzamento delle competenze della dirigenza. L’investimento prevede: . L’incremento delle borse di studio in medicina generale, garantendo il completamento di tre cicli di apprendimento triennali; . L’avvio di un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere a tutto il personale sanitario e non sanitario degli ospedali; . L’attivazione di un percorso di acquisizione di competenze di management per tutti i dirigenti apicali degli enti del SSN, al fine di prepararli a fronteggiare le sfide attuali e future in una prospettiva integrata, sostenibile, innovativa, flessibile, sempre orientata al risultato. Questa misura sarà

183

accompagnata da una riforma dei meccanismi di individuazione dei dirigenti primari ospedalieri, basata su criteri esclusivamente di merito. . L’incremento dei contratti di formazione specialistica per affrontare il cosiddetto “imbuto formativo”, vale a dire la differenza tra il numero di laureati in medicina e il numero di posti di specializzazione post-lauream previsto e garantire così un adeguato turn-over dei medici specialisti del SSN. Il potenziamento delle competenze tecniche, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario avverrà attraverso un programma di assegnazione di borse di studio e erogazione di corsi di formazione specifici da realizzare entro l’orizzonte del PNRR (metà 2026). Il costo complessivo di questi interventi è stimato in 0,74 miliardi. In particolare saranno finanziate: . Borse di studio di medicina generale: ogni anno del triennio 2021-2023 sarà pubblicato un decreto governativo di assegnazione delle risorse economiche alle Regioni per finanziare 900 borse di studio aggiuntive all’anno per corsi specifici di medicina generale di durata triennale (per un totale di 2.700 borse aggiuntive). Questa distribuzione temporale assicura il completamento degli ultimi corsi entro metà 2026; . Un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere: si prevede l’avvio di 150.000 operatori dipendenti del SSN entro la fine del 2024 e di 293,386 operatori entro metà 2026; . Progetti formativi per lo sviluppo di percorsi di acquisizione di competenze di management per tutti i dirigenti apicali degli enti del SSN: si prevede la formazione di 2.000 persone entro la metà del 2024 e di 4.500 persone entro la metà del Q2 2026; . 4.200 contratti di formazione specialistica aggiuntivi, per un ciclo completo di studi (5 anni) a partire dal 2020.

M6C2.3 Centro di eccellenza per le epidemie L’andamento delle epidemie nel XXI secolo segnala la necessità di un’attenzione particolare alla circolazione e diffusione dei virus, in particolare dovuti a fenomeni di spillover. L’individuazione, su base nazionale competitiva, di un centro di eccellenza per le epidemie consentirà una più pronta e efficace risposta della comunità scientifica nazionale rispetto al sequenziamento dei virus e alle correlate esigenze di ricerca e sviluppo per la cura e il contenimento delle conseguenti malattie.

Focus sulle dimensioni trasversali del Piano

Divari territoriali Individuare standard qualitativi, tecnologici e organizzativi, uniformi a livello nazionale, significa ristrutturare a livello regionale una gamma di servizi che spaziano dall’assistenza primaria, ai consultori familiari, all’area della salute mentale, salvaguardando, al contempo, le peculiarità e le esigenze assistenziali di ogni area del Paese. Lo scopo è garantire alle persone, indipendentemente dalla regione di residenza, dalla fase acuta alla fase riabilitativa e di mantenimento, un’assistenza continua e diversificata sulla base dello stato di salute. Con questo piano si intende potenziare i servizi assistenziali territoriali consentendo un’effettiva esigibilità dei LEA da parte di tutti gli assistiti. Si prevede, in tal modo, di superare la frammentazione e il divario strutturale tra i diversi sistemi sanitari regionali, puntando a un percorso integrato che parte dalla “casa come primo luogo di cura”, per arrivare alle Case della Comunità” e agli Ospedali di Comunità, superando la carenza di coordinamento negli interventi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali. L’impulso all’assistenza domiciliare integrata ha, inoltre, l’obiettivo ambizioso di raggiungere il 10 per cento degli assisiti ultrasessantacinquenni in ogni regione. Infine il potenziamento del Fascicolo di sanità elettronica attraverso la costituzione di un repository nazionale, lo sviluppo di piattaforme nazionali 184

(telemedicina) e il rafforzamento di modelli predittivi assicurerà strumenti di programmazione, gestione e controllo uniformi in ogni territorio.

Divari di genere La crisi pandemica sta sollevando alcune riflessioni in ordine all’importanza delle differenze di genere per comprendere gli effetti delle patologie, su cui in futuro occorrerà porre attenzione e immaginare, ove rilevante, percorsi differenziati di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Un impatto diretto di questa missione sui divari di genere potrebbe derivare dal rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare. Essi potrebbero incoraggiare un aumento dell'occupazione sia nel settore dei servizi di cura, a cui contribuiscono maggiormente le donne, sia più in generale nell’economia riducendo l’onere delle attività di cura fornito in famiglia dalle donne. L’implementazione di strutture assistenziali di prossimità per le comunità, consentirà anche percorsi di prevenzione, diagnosi e cura per ogni persona con un approccio basato sulle differenze di genere, in tutte le fasi e gli ambienti della vita.

Divari generazionali: i giovani La missione avrà un impatto diretto sui giovani tramite l’attivazione di borse di studio che riguardano in particolare il corso di formazione specifica in medicina generale. Inoltre, accanto alla creazione di posti di lavoro derivanti da quanto in generale previsto dalla missione, si potrà avere un impatto sulle opportunità di lavoro qualificato e di imprenditorialità tra i giovani da quanto previsto in tema di ecosistema per l’innovazione.

185

Una collaborazione tra la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile e il Forum Disuguaglianze e Diversità per l’Agenda 2030 Pubblicato il 8 Giugno, 2021 in Università e giustizia sociale Firmata una lettera di collaborazione tra la RUS e il ForumDD per realizzare iniziative per ridurre le disuguaglianze e creare ambienti universitari inclusivi e perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030

Il ForumDD è impegnato, sin dal marzo 2019, per promuovere la giustizia sociale nelle missioni delle Università italiane e a questo scopo ha lavorato in questi due anni con un gruppo di 26 Atenei e, da maggio 2020, all’interno del Gruppo di Lavoro sul ruolo delle università nel contrasto alle disuguaglianze (GdLD), istituito dal MUR. A questo impegno si aggiunge adesso la formalizzazione di una collaborazione tra il ForumDD e la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, una rete promossa dalla CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – con la finalità di attuare un coordinamento tra tutti gli Atenei impegnati sui temi della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale, e, in particolare, la finalità di promuovere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e diffondere la cultura e le buone pratiche di sostenibilità, mettendo in comune tra gli Atenei competenze ed esperienze, in modo da incrementare gli impatti positivi in termini ambientali, etici, sociali ed economici delle azioni messe in atto dalle singole Università, rafforzando la riconoscibilità e il valore dell’esperienza italiana a livello internazionale. Il Forum Disuguaglianze e Diversità e la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile si impegneranno a realizzare iniziative di comune interesse per ridurre le disuguaglianze e creare ambienti universitari inclusivi e perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030. https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/una-collaborazione-tra-la-rete-delle-universita- per-lo-sviluppo-sostenibile-e-il-forum-disuguaglianze-e-diversita-per-lagenda-2030/

186

Italia ed Europa: uscire da un purgatorio irrisolto verso un futuro più giusto. Conversazione con Fabrizio Barca Pubblicato il 20 Giugno, 2021

Abbiamo incontrato Fabrizio Barca, statistico ed economista, coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità. Aldilà dei ruoli istituzionali da lui ricoperti – dalla Banca d’Italia all’OCSE, dal Ministero Economia e Finanze alla carica da Ministro per la coesione territoriale, Barca si presenta innanzitutto come portatore di una visione e di un’etica chiara e convinta, che fa della lotta alle diseguaglianze il punto di partenza per ogni discussione. In questo delicato momento di crisi e di cambiamento politico italiano, condivide un’analisi socio-politica del Bel Paese, indicando qual è, a suo avviso, la strada da seguire – sinceramente a sinistra. Intervista pubblicata su Il Grand Continent

Lei ha partecipato all’esperienza di un governo tecnico. Come giudica il governo Draghi appena insediato? Il governo appena costituito dal Presidente del Consiglio Mario Draghi rappresenta un unicum, anche in un paese con una storia particolare come la nostra. Infatti i governi Dini1, e Ciampi2, due tecnici, erano governi con un forte mandato politico, l’uno di centro destra, l’altro di centro sinistra. Il governo Monti3 era un governo tecnico sia nella testa sia nella composizione, ma eseguiva, anch’esso, un preciso mandato politico, contenuto in un Programma negoziato dal governo di centro-destra con l’Unione Europea al fine di mettere in sicurezza i conti pubblici del paese, poi fatto proprio dal centro sinistra quando apparve che solo un governo di unità nazionale e tecnico potesse garantirne l’attuazione. Qui siamo invece in presenza di un governo senza un mandato strategico-politico da parte dei partiti. Viste le dichiarazioni molto aperte fatte in sede di presentazione dal Presidente del Consiglio, si tratta di un governo che potrà essere giudicato soltanto quando si capirà in che modo intende realizzare gli obiettivi proposti, quali l’accelerazione della campagna vaccinale, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e gli altri obiettivi annunciati4.

Rispetto, per l’appunto, al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), come analizza il rischio, sollevato da alcuni italiani, che il recovery plan intensifichi il vincolo esterno sull’Italia, procrastinando così una crisi euroscettica di qualche anno? Questa è un’enorme partita per l’Europa. Perché è la partita su cui l’Europa forse si avvia a (e rischia di) cambiare la propria governance.Ovvero emettere titoli di stato europei, andando nella direzione sana indicata Piketty ed altri, accompagnando al potere monetario un potere fiscale, un Ministro del Tesoro, un Parlamento che lo controlli etc… Quindi la partita ovviamente non è solo italiana. E se la partita va male, va molto male per l’Italia, ma va molto male anche per l’Europa, dato che quest’ultima si sta giocando la sua partita in Italia…

Cosa è stato fatto dal governo Conte II? Cosa cambierà con il governo Draghi? Il governo Conte II è stato, in qualche modo, consapevole dell’importanza della partita che stava giocando: ci ha messo l’anima, nel modo in cui si lavora in quest’epoca, cioè negli uffici del governo. Dopo una partenza sbagliata – raccolta dei progetti esistenti, prima dell’identificazione di una gerarchia di obiettivi – e una prima

187

bozza (a inizio dicembre 2020) fragile e con un’ipotesi di governance velleitaria, le critiche ricevute – anche le nostre, di Forum Diseguaglianze Diversità (ForumDD) – l’hanno indotto a modifiche, incorporate nella bozza approvata il 12 gennaio, da cui il Governo Draghi sta ora ripartendo. Su quel testo noi del ForumDD abbiamo avanzato proposte puntualiaffinché il Piano divenga una strategia- paese. Sono proposte che riflettono diagnosi e visione del ForumDD. Bisogna rendere espliciti i risultati attesi in termini di condizioni di vita e lavoro, in modo da fornire un quadro di certezze per i milioni di italiani che stanno ricostruendo il loro piano di vita: per lavoratrici e lavoratori che non hanno o presto non avranno più un lavoro; per le PMI; per i giovani presi in contropiede dalla crisi. Farà per loro differenza sapere che aumenteranno i posti negli asili nido (fonte di maggiore uguaglianza di opportunità, di domanda nel territorio, di possibilità di lavoro specie per le donne), verranno rigenerati (energeticamente ed esteticamente) palazzi e luoghi pubblici, promosse imprese nella filiera verde, migliorati i servizi di cura e della salute e la mobilità, rafforzata la collaborazione imprese-università, e offerte opzioni di rilancio (magari attraverso Workers Buyout) a imprese in difficoltà. E sapere in quale misura e quando. Lo Stato può giocare questa carta, una carta keynesiana non solo nel senso di spingere la domanda aggregata, ma anche nel senso di dare certezze in una situazione di forte incertezza. E per fare ciò bisogna che, da un lato, siano coinvolte in prima fila, con forti missioni strategiche, le nostre grandi imprese pubbliche; e dall’altro che siano individuate le filiere territoriali di attuazione e siano investite del compito di attuare gli interventi rompendo, lì dove si possono rompere, i silos settoriali, e costruendo strategie territoriali che coinvolgano gli attori e siano monitorate e sollecitate. Non è detto che non ce la facciamo. Ma per riuscirci è necessario che il nuovo governo, come avevamo chiesto al precedente, esca dalle sue stanze chiuse. Non si illuda che basta sostituire tecnici a tecnici. Si cambino tempestivamente, come spesso è necessario, i vertici delle amministrazioni centrali responsabili dell’indirizzo e poi si costruisca un confronto serrato e informato fra queste tecno-burocrazie e i saperi diffusi rappresentati dal forte partenariato sociale ed economico del paese. Non un “grande dibattito sui massimi sistemi”, ma un confronto sui singoli obiettivi strategici: raccolta di reazioni, quesiti e proposte; valutazione e decisione; informazione alle parti e al paese circa le decisioni assunte e le loro motivazioni. E poi, subito dopo, un reclutamento di giovani e forti risorse umane in tutte le filiere amministrative di attuazione, sfruttando l’opportunità unica del rinnovamento di un’intera generazione – oltre 500.000 posti da riempire – con bandi rapidi (3-6 mesi) e moderni, e curando poi l’inserimento con la saldatura fra “vecchi/e” e “nuovi/e” attorno ai risultati attesi del Piano. Su quest’ultimo punto il nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato segnali convincenti. Non ha fatto lo stesso, ancora, sull’indispensabile dialogo sociale. Qui si gioca la partita italiana.

Il patto di stabilità va bene così o potrebbe essere abolito, come propone Olivier Blanchard? La pars destruens di Blanchard è condivisibile ed evidente. È noto da tempo che un sistema “one size fits all”, che valuti la sostenibilità del debito su regole fisse, è un sistema inadatto, dato che, come osserva giustamente Blanchard, la sostenibilità è legata a una molteplicità di fattori: dai comportamenti futuri dei governi alle vicende del contesto esterno, alla fiducia degli investitori. Che a questo limite si possa trovare una soluzione, sostituendo un meccanismo composto da regole fisse con dei criteri discrezionali che verranno interpretati di volta in volta, valutando tali molteplici e variabili fattori, mi lascia dubbioso. Sorgono due possibili opzioni. Tale valutazione potrebbe essere affidata, come suggerisce Blanchard, ad un organo tecnico – nonostante il fatto si tratti chiaramente di una valutazione politica: tale opzione sottrarrebbe dunque ulteriore credibilità democratica. Alternativamente, la valutazione potrebbe essere affidata al Consiglio Europeo: ciò potrebbe mettere il Consiglio nella condizione di effettuare un bilanciamento di condizioni politiche, meno irrigidito di quanto non sia oggi. Opzione che rappresenterebbe, probabilmente, un passo in avanti, ma sempre soggetta alla volatilità del quadro delle alleanze inter-statali. Rimane il fatto che la vera soluzione si cela nell’evoluzione dell’Unione

188

monetaria in un’unione politica: nella quale il neonato Stato federale europeo, valuterebbe, nel suo complesso, le scelte fiscali da prendere.

Lei coordina il Forum Disuguaglianze Diversità, una rete di associazioni e di accademici la cui visione e filosofia fa delle disuguaglianze il punto di partenza per ogni discussione, proposta ed azione politica. Oggi le disuguaglianze costituiscono una delle questioni strutturanti del dibattito sia scientifico che politico: come analizza l’evoluzione e la costruzione delle diverse posizioni riguardo alla questione? Per usare un’espressione gramsciana, veniamo da un quarantennio segnato da una profonda modifica del senso comune, marcato dalla depoliticizzazione, personalizzazione e responsabilizzazione esclusivamente individuale degli stati di disagio e di minore accesso e opportunità di voce delle persone. Questo fino a modificare radicalmente la parola “povertà”: se nel Dopoguerra tale parola richiamava il contesto nel quale le persone erano nate, in cui si erano trovate a dover crescere e vivere, in quest’ultimo quarantennio la “povertà” viene assai spesso percepita come il frutto di una scelta individuale. Nessuno ha negato l’esistenza delle diseguaglianze, ma esse sono state reinterpretate come uno stato passeggero della vita degli individui e delle società, come frutto delle loro personali scelte.

Questa visione è poi cambiata? Verso la fine di questo lungo periodo – nei primi anni 2000, anche prima della crisi del 2008 – la punta di diamante del pensiero neoliberale e liberale, The Economist, ha iniziato a percepire che la concezione delle diseguaglianze come stati temporanei – della vita delle persone o delle società – non reggeva. La teoria del trickle down effect, del “tanto poi si cresce e la ricchezza arriva a tutti”, era errata. Al livello europeo, questa consapevolezza era già molto forte – in grandi figure come Anthony Barnes Atkinson, e in reti di studiosi europei che portavano avanti il tema delle disuguaglianze personali e territoriali sul piano analitico ed empirico. È una consapevolezza che ha radici nell’impianto costitutivo dell’UE. Ricordo che il Trattato UE alla parola “felicità’” presente nella Costituzione americana preferisce “harmonious development”, lo sviluppo armonioso che prevede che a ognuno sia data una chance. E che sin dai suoi albori la Comunità e poi l’Unione Europea mostrano piena consapevolezza del fatto che la libera circolazione di lavoro, merci e capitali tende di per sé ad accrescere le disuguaglianze territoriali. E dunque, che l’obiettivo della pace debba essere fondato su un’”identificazione” – la parola utilizzata da Freud nelle sue risposte a Einstein nel 1933 su cosa potesse evitare la guerra che incombeva – fra i cittadini dell’Europa, degli uni negli altri e nelle altre. Concetto fissato nell’obiettivo della “coesione”, valorizzato nei Trattati e, non a caso, da Jacques Delors quando si è imboccata la strada dell’Unione Monetaria, e di nuovo o ora nel Next Generation EU. E invece, soprattutto dagli anni novanta, l’azione pubblica dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri muove in una direzione diversa e le disuguaglianze si aggravano. Nelle loro tre distinte forme. Al di là delle disuguaglianze “classiche”, ovvero economiche, di reddito e di ricchezza, che cessano di ridursi e spesso crescono, anche con forza, dagli anni ’80, ve ne sono due altre: quelle – assai gravi – di accesso ai servizi fondamentali, causate dall’indebolimento del welfare state, con la negazione e la corrosione dei sistemi pubblici della salute, della scuola, della mobilità, e dell’accesso e uso consapevole del digitale; e le disuguaglianze di riconoscimento, concetto fondamentale della filosofia tedesca, ovvero la negazione del riconoscimento del valore, del ruolo, dell’identità, dei valori propri a fasce della società, siano esse insegnanti, operai o residenti nelle aree marginalizzate, periferiche e rurali di tutta Europa. Come del resto avviene anche negli Stati Uniti. E si noti che il mancato riconoscimento dei propri valori, la loro messa in discussione da parte di valori diversi, la sfida delle “diversità” all’omogeneità e unicità, rappresenta, secondo la grande politologa e 189

studiosa di comportamenti umani, Karen Stenner, sin dal suo volume anticipatorio del 2005 (“The Authoritarian Dynamic”), il fattore scatenante di quella reazione di rabbia e risentimento da parte di chi ha una predisposizione, appunto, all’omogeneità. È l’insieme di questi fattori che, in assenza di un disegno alternativo progressista che proponga a un tempo forti valori comuni e uno scenario di vita possibile più giusto, spiega le spinte autoritarie dell’ultimo decennio.

Come si è tradotta tale consapevolezza in termini di proposte e iniziative concrete al livello europeo e internazionale? Anche in Europa come negli Stati Uniti c’è stato chi ha previsto ciò che stava per succedere: Danuta Hübner, economista e social-democratica polacca, che aveva accompagnato e gestito l’entrata della Polonia nell’UE, avvertiva che questi fenomeni stavano aprendo faglie gravi. E che dietro pesava la negazione di ogni via collettiva di uscita: There is no alternative, it’s up to you…. Take your life in your hands; we can’t do anything about it. E così, divenuta Commissaria europea proprio alla coesione, ha tentato, nel 2008, la costruzione di una operazione europea che usi la politica di coesione come leva per aprire un’alternativa, luogo per luogo, nello spirito di Jacques Delors. Mi chiamò a costruire e coordinare la squadra e producemmo, attraverso un percorso di oltre un anno, un Rapporto di diagnosi e di proposte: “An Agenda for a Reform of Cohesion Policy”, che anticipava ciò che dieci anni dopo è diventato pensiero comune: le disuguaglianze personali e territoriali non sono sostenibili, la priorità politica sta nell’innalzare l’accesso e la qualità dei servizi fondamentali, per rendere davvero “europea” la cittadinanza. E proponeva opzioni concrete animate da un metodo, il place-based approach, nonché un modo di disegnare e attuare le politiche, né top-down né bottom-up, che unisce forti indirizzi generali di principio a livello europeo-nazionale-regionale con strategie territoriali affidate ai Comuni, con un forte dialogo sociale con la società civile, il mondo del lavoro e le imprese. Tale tentativo è stato contrastato con forza dal pensiero neoliberista dominante incarnato dalla componente egemone della Banca Mondiale. Ma ha trovato invece nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), uno spazio di discussione (non a caso) nel Comitato sulle politiche territoriali5 – da cui matureranno alcune delle idee che Hubner farà sue. Questo in parallelo con altre importanti operazioni OCSE iniziate negli anni 2000 e 2010, operazioni intellettuali che hanno visto Enrico Giovannini6 – mio compagno di strada di una vita – in prima linea, e la Francia in una posizione interessante, con la Commissione Stieglitz-Fitoussi-Sen7 lanciata da Sarkozy nel 2007. E’ un’iniziativa che promuove la discussione sui limiti delle misurazione data dal PIL (“Beyond GDP”) e sull’instaurazione di nuovi indicatori basati sul benessere, e che ha costituito la base di diverse iniziative OCSE negli anni a venire, nonché dell’iniziativa ONU del 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile. Il tentativo ha influenzato il disegno della politica di coesione, ma non è stato raccolto dalla politica, rimasta ancorata all’impianto del ventennio precedente. Eppure inizia a maturare un’altra visione, che vede nelle diseguaglianze un fenomeno permanente, frutto di scelte – come dirà Anthony Atkinson – e non di fenomeni inevitabili. Non frutto della globalizzazione, ma di come l’abbiamo gestita: a partire nell’accordo TRIPs8 del 1994, che sbilancia il difficile equilibrio fra tutela della proprietà intellettuale e della conoscenza come bene comune prioritario dell’umanità – di cui paghiamo in queste ore, con i vaccini, le drammatiche conseguenze. E frutto, ancora, di un new public management che assume la conoscenza perfetta da parte di pochi centri di competenza e nasconde decisioni politiche dentro gusci tecnici. Fino a culminare in una sistematica disattenzione per i saperi diffusi. Queste sono, in estrema sintesi, nell’analisi del ForumDD, le cause dell’attuale stato di cose. Certo, l’entrata in gioco in produzioni competitive di masse di forza lavoro in Cina, Indonesia e India tende a ridurre il potere contrattuale della classe operaia e medio-bassa dell’Europa. Ma anziché rispondere con un ruolo più forte e innovativo dei sindacati, si risponde delegittimandoli e considerandoli istituzione del passato. Così, gli sviluppi della tecnologia dell’informazione e del digitale 190

destabilizzano i vecchi lavori. Ma di nuovo, a questa sfida non si risponde interrogandosi a livello di politiche pubbliche su come indirizzare il cambiamento affinché produca buoni e non cattivi lavori, ma lasciando fare a una supposta intelligenza del mercato e permettendo che le piattaforme digitali diventino possesso esclusivo e monopolio di poche corporation. Si abbandona così il terreno di quella che sta diventando la nuova grande leva di trasformazione mondiale. Insomma, l’attuale grave stato delle disuguaglianze è frutto di scelte, di politiche e di quel cambiamento di senso comune da cui siamo partiti.

I populismi presenti in Europa oggi sono quindi il frutto del ritardo di comprensione del ruolo strutturale delle disuguaglianze? Certamente. Alle lacerazioni sociali i partiti di sinistra e centro-sinistra, egemonizzati dalla cultura neo- liberista, non danno risposta e cessano di esercitare “rappresentanza”. La democrazia viene mortificata perché il suo metodo di formazione delle decisioni e di attuazione della sovranità popolare viene ridotto al voto, negando e chiudendo gli spazi per il metodo del “governo attraverso il dibattito”, per la partecipazione, per il confronto acceso, aperto, informato e ragionevole: il solo strumento, come scrive Amartya Sen, che consente di prendere decisioni giuste. Da qui, la nascita di movimenti e populismi. Da un lato, la nascita di forme nuove di azione politica, anche assai diverse: partiti-movimenti, movimenti che combinano azioni pratiche locali e solidarietà internazionale ma rifuggono dal misurarsi con le istituzioni (folk politics, li definiscono Nick Srnicek e Alez Williams), organizzazioni di cittadinanza attiva che realizzano azioni collettive o influenzano le azioni pubbliche, e alleanze, come quella dello stesso ForumDD. Dall’altro, a volte in connessione con queste forme, la ricerca di forme semplificate che tornino a rendere visibile il popolo. Che si definisca il populismo con Pierre Rosanvallon9o con Chantal

Mouffe10, esso costituisce un tentativo di ricostruire una visibilità del popolo. Che tuttavia può evolversi in direzioni assai diverse.

Si potrebbe dunque valutare lo scontento come un elemento positivo, in quanto epifenomeno del malfunzionamento del sistema? In questo senso, è abbastanza facile pensare il populismo in termini positivi, associandolo ad esempio alle recenti manifestazioni e rivolte in America Latina – che hanno addirittura portato, in Cile, alla formazione di un’Assemblea costituente. Diventa però più difficile quando ci si riferisce all’episodio di Capitol Hill. Lei ha scatenato una polemica su Twitter riguardo a questa vicenda, indicando l’insurrezione come una conseguenza delle diseguaglianze negli Stati Uniti. Non si tratta qui giustificare l’ingiustificabile? Non dobbiamo mai confondere la parola “giustificare” con “spiegare”. Giustificare è riconoscere la validità di un modo di comportamento; spiegare significa non accontentarsi di semplificazioni – in questo caso, classificare Trump come causa e non, primariamente, come effetto – e ricercare le ragioni ultime di ogni fenomeno. Il fatto è che sinora il populismo, che pure può aprire opportunità per il rilancio di progetti di emancipazione, è stato colto e cavalcato assai più di frequente e con ben più efficacia da progetti autoritari di destra, in Italia come altrove nell’Occidente. Il populismo è uno stato transeunte, non è una condizione stabile. Si manifesta e scatena quando viene meno quello che Rosanvallon chiama il popolo sociale, quando rimane solo il popolo costituzionale e numerico. Quando viene negata al popolo, attraverso l’indebolimento dei corpi intermedi e della democrazia, la possibilità di contare e di combattere, o, come direbbe Albert Hirschmann, di avere una voce. Gli si dà solo la possibilità di exit. Allora la democrazia si impoverisce, e scattano questi meccanismi. Nel fenomeno populista ci sono due anime: da un lato, il tentativo di ricostruire canali di rappresentanza che non ci sono più; dall’altro, la tentazione di risolvere proprio la complessità della rappresentanza in un rapporto diretto con un leader, un grande semplificatore, un Cesare.

191

Nella storia, abbiamo assistito all’evoluzione in entrambe le direzioni. Il populismo americano anti- baroni della finanza a cavallo fra ‘800 e ‘900 si evolve e influenza il Partito democratico alimentando di idee e di impulsi il New Deal. Si pensi, anche in termini di virulenza del linguaggio e di radicalità della battaglia contro poteri che apparivano invincibili, ai lavori e alle conclusioni della Commissione del Senato diretta dall’italo-americano Ferdinand Pecora11, che condurrà, fra l’altro, alla disgregazione della Banca Morgan. L’altra strada è quella del fascismo: stessa rabbia, stesso scontento, stessa incapacità di trovare una rappresentanza. Che tuttavia determina, è cavalcata e incanalata, da una proposta autoritaria. Quindi il populismo può prendere due strade: o rigenera la democrazia, o diventa autoritarismo. Ha in sé entrambe le potenzialità.

Chi dovrebbe essere l’attore politico responsabile di promuovere un processo che dia una voce al popolo, nel contesto delle strutture partitiche esistenti oggi in Italia e in Occidente? I partiti rappresentano, in Italia anche per dettato della Costituzione, l’associazione fondamentale della democrazia. Al giorno d’oggi, i partiti si dovrebbero lasciare rigenerare dalla domanda di ricostruzione di un popolo sociale, e tornare ad esercitare questa nuova funzione all’interno del quadro democratico. Ma non nello stile degli anni del trentennio post-bellico! Non si tratta di ricostruire partiti di massa. E questo per due ragioni fondamentali. In primo luogo, perché oggi i saperi sono diffusi: l’istruzione di massa, con tutti i suoi limiti, fa sì che milioni di essere umani in Europa, come altrove, abbiano i saperi che servono a governare: pazienti, studenti e studentesse, anziani e anziane, pendolari… tutti sentono di poter contribuire e possono contribuire al disegno dei servizi fondamentali. Non esprimono solamente bisogni; esprimono anche soluzioni. E questo richiede una democrazia diversa da quella che avevamo quarant’anni fa. In secondo luogo: oggi torniamo a riconoscere il tema gravissimo della subalternità di classe, ovvero della necessità di un riequilibrio di poteri fra chi controlla solo il proprio lavoro e chi controlla anche il capitale, materiale o immateriale che sia. Ciò si accompagna anche con consapevolezze che nacquero, ma non furono abbastanza fertili, nel ’68: la consapevolezza di altre tre subalternità, quella di genere, di razza, e una subalternità di tutti noi a noi stessi, sarebbe a dire il riconoscimento della non sostenibilità ambientale. Io qui sono mouffiano [da Chantal Mouffe, ndr]: ricostruire la democrazia significa ricostruire arene di confronto e di raccolta di saperi, di elaborazione di decisioni e atti che diano forma e allo stesso tempo soddisfino queste quattro subalternità, senza perderne la specificità. https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/italia-ed-europa-uscire-da-un-purgatorio- irrisolto-verso-un-futuro-piu-giusto-conversazione-con-fabrizio-barca/

Pandemia e Big Data, ecco cosa abbiamo imparato (e cosa dobbiamo correggere nel futuro)

In News e Interviste

192

Pubblicato il 19 Giugno 2021

Chiara Stella Scarano da Sanità & Informazione 11 giugno 2021 – “La necessità di un maggiore coordinamento nella gestione dei flussi di informazione, condivisione dei dati bio-clinici e l’opportunità di potenziare la digitalizzazione al centro del webinar organizzato da Big Data in Health Society con il coordinamento di IGOR Comunicazione. Verso il Big Data in Health International Congress 2021 ad ottobre”.

La pandemia di Sars-Cov-2 è stata la prima nell’era della digitalizzazione e dei Big Data. Come ha funzionato, quanto è servita e quanto servirà ancora, se implementata o ottimizzata, la raccolta dei dati, anche dal punto di vista della genomica? E quale sarà il futuro dell’epidemiologia, e la governance nella gestione di eventuali future pandemie, anche alla luce di un altro fenomeno che ha caratterizzato l’informazione in questo frangente, la cosiddetta “infodemia”? A questi interrogativi si è cercato di dare risposte durante il webinar “Big Data 4 Infodemics & Epidemics” tenutosi ieri e organizzato da Big Data in Health, con ospiti di eccezione quali il fisico ed epidemiologo Alessandro Vespignani, l’assessore alla Sanità della Regione Puglia PierLuigi Lopalco, l’informatico e scrittore Walter Quattrociocchi, la biologa molecolare esperta in genomica Maria Luisa Chiusano, e la Health Market Director di Microsoft Veronica Jagher. Ognuno di loro ha contribuito, mettendo in campo le esperienze legate agli ultimi 15 mesi relative al proprio settore, a fornire spunti di riflessione e risposte sui temi in oggetto. Ad emergere, la necessità di implementare il coordinamento e la condivisione di dati.

I dati nelle previsioni. Utili se ben interpretati, altrimenti si prestano a storture «Per la prima volta nella storia – afferma Vespignani – è stato fatto un enorme uso di dati e modelli come riferimento nelle previsioni sull’andamento della pandemia. Intanto, il lavoro dell’epidemiologia computazionale è stato eccellente, ci ha dato la possibilità di scorgere la pandemia quando questa era ancora ufficialmente un’epidemia, ci ha reso edotti sul reale numero iniziale di casi in Cina (migliaia) quando erano ufficialmente solo poche decine». «Il problema con le previsioni basate sui dati è che non si possono vedere o toccare con mano, motivo per cui all’inizio le previsioni fatte tramite modelli numerici non sono state particolarmente ascoltate. Con l’avanzare della pandemia invece il registro è cambiato – osserva lo scienziato – e i modelli numerici sono stati presi fortemente in considerazione, con risultati però non sempre ottimali: i singoli si sbilanciavano in previsioni, senza tener conto del fatto che il dato numerico va analizzato e contestualizzato, e che c’è una grande differenza tra previsione e scenario». Capire come evolve il virus grazie ai dati genomici, uno strumento fondamentale «L’utilizzo della genomica – interviene Chiusano – ha dato una sferzata enorme alla gestione del fenomeno pandemico, grazie al sequenziamento delle varianti virali e all’estrema accessibilità e condivisione dei dati relativi a queste. Eppure, nonostante siamo in possesso di una grandissima quantità di dati su quello che riguarda la letalità, la contagiosità, i sintomi, a scarseggiare sono i dati relativi all’ambiente, che interagisce e influisce pesantemente sul virus e le sue mutazioni. Nel futuro – osserva la biologa – credo che si dovrà lavorare maggiormente sull’integrazione di dati multidisciplinari, e creare un maggior coordinamento a livello centrale (europeo) sull’interpretazione e la condivisione di questi dati».

Potenziare la digitalizzazione per sistemi sanitari più “intelligenti” «Sin dall’inizio della pandemia abbiamo cercato e messo in campo soluzioni digitali – spiega Jagher – che supportassero tutti i nuovi modelli di riferimento per ogni aspetto della vita quotidiana, da quello sanitario a quello sociale. Abbiamo approntato piattaforme virtuali per le visite in ospedale, per raccogliere i dati dei pazienti e snellire il lavoro del personale sanitario, così come per il monitoraggio da remoto dei pazienti a domicilio. Abbiamo creato i chatbot (software progettati per simulare la conversazione con un essere 193

umano, n.d.r.) dal momento che, soprattutto allo scoppio della pandemia, i centralini delle istituzioni sanitarie letteralmente scoppiavano, subissati dalla quantità di telefonate di cittadini giustamente in cerca di risposte di ogni genere. Credo che valorizzando i processi di digitalizzazione – conclude la direttrice del settore sanità Microsoft – e implementando il patrimonio informativo avremo sistemi sanitari molto più intelligenti e performanti, con benefici su tutta la filiera, dal cittadino al personale sanitario fino ai sistemi ospedalieri».

Persone dietro le tecnologie. Non trascuriamo la formazione «Credo che la digitalizzazione debba essere evidence based – dichiara Lopalco -. Se non abbiamo la cultura per applicare questo principio, dobbiamo creare quella cultura. Sicuramente un campo su cui dobbiamo impegnarci di più è la formazione continua. La pandemia ha messo in evidenza una criticità nella gestione dei flussi dei dati, con una non sempre felice integrazione dei vari sistemi e uno scarso coordinamento, dovuto anche al fatto di avere in Italia 21 sistemi sanitari diversi. Per contro – aggiunge Lopalco – l’esperienza pandemica ha comportato un rafforzamento nelle infrastrutture digitali. Tuttavia un sistema di sorveglianza epidemiologica ha bisogno di risorse umane dietro le tecnologie, almeno finché non arriviamo a livelli di intelligenza artificiale talmente elevati da essere in grado di inserire i dati e curarli. Fino ad allora, a questo compito saranno deputate le persone, non dimentichiamolo».

Come gestire i dati nel veicolare l’informazione, un fattore essenziale «Il modo in cui viene recepita l’informazione influisce sull’adozione delle politiche, e viceversa – commenta Quattrociocchi -. Durante la pandemia abbiamo assistito a un’infodemia, una esplosione di informazioni sulla gestione dell’emergenza. E l’informazione è stata veicolata soprattutto dai social, che però, ricordiamo, non nascono come strumenti di informazione ma di intrattenimento. Questo – conclude – ha creato una sorta di corto circuito, con vuoti comunicativi soprattutto sulla divulgazione di contenuti complessi come quelli scientifici, dando luogo a fenomeni manipolatori e alle pericolose fake news». https://bigdatainhealth.org/pandemia-e-big-data-ecco-cosa-abbiamo-imparato-e-cosa- dobbiamo-correggere-nel- futuro/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Big+data+in+Health+Soc iety+Newsletter

194

195

196

197

198

199

200

201

Primo webinar Big Data in Health Society. Dati bio-clinici: ognuno per sè o tutti per tutti?

In News e Interviste Pubblicato il 19 Giugno 2021 IGOR Comunicazione per Big Data in Health Society

Si è tenuto il primo webinar di Big Data in Health 2021, a cura di Big Data in Health Society con il coordinamento di IGOR Comunicazione; l’incontro digitale ha dato il via agli appuntamenti verso la IV edizione di Big Data in Health International Congress – in programma a fine ottobre 2021, e ha affrontato il tema “Infodemics & Epidemics”. Relatori, il presidente di BDHS Antonio Scala, Maria Luisa Chiusano del laboratorio di bio-informatica all’Università di Napoli Federico II, Veronica Jagher, Pierluigi Lopalco, Walter Quattrociocchi e Alessandro Vespignani, e Livio Gigliuto dell’Istituto Piepoli che li ha coordinati. Al centro del webinar il tema spinoso delle modalità di condivisione dei dati bio-clinici e la loro destinazione d’uso, in carico e a disposizione non solo ad enti con fine pubblico, ad esempio gli ospedali e le aziende sanitarie locali, ma anche di organizzazioni private e di molte aziende che si occupano di salute. In primo luogo, la progressione della quantità di dati a disposizione dovrebbe essere realmente compresa e utilizzata dalle istituzioni, ha avvertito Walter Quattrociocchi, professore associato al CDCS della Sapienza Università di Roma. “Stiamo vivendo in un sistema informativo nuovo, un condensato di fenomeni e attori che hanno completamente modificato la struttura attraverso la quale ci informiamo. In realtà, l’esperienza pandemica ha mostrato come non ci sia molta capacità di comunicazione tra i due mondi. In estrema sintesi: il ricercatore scientifico fa la ricerca, pubblica l’articolo su una rivista autorevole, ne semplifica i risultati in modo da comunicare al decisore politico il quale, alla fine, si trova costretto a rispondere che non sa bene cosa farci perché non ha capito fino in fondo la ricerca. Questo è il punto”. Sempre nel corso del webinar, l’epidemiologo computazionale Alessandro Vespignani, in collegamento dalla Northeastern University di Boston, ci ha ricordato che “l’epidemiologia computazionale, come fosse un’agenzia d’intelligence, ha cercato di dare una serie di informazioni per trovare risposta alla pandemia. Quello che è mancato è stata un’infrastruttura simile a quella che abbiamo per i grandi centri di previsione meteorologica nazionali. Purtroppo, non c’è stato coordinamento e molte delle informazioni provenienti da questo lavoro d’intelligence sono state lasciate a gruppi di ricerca sparsi, a parte qualche esempio negli U.S.A. e in Europa. Dunque, quel che mi aspetto per il futuro è che vi sia un grande sforzo comune per rendere operativo tutto ciò che abbiamo imparato in questi lunghi mesi di pandemia ed essere più pronti per le prossime volte. Il che significa avere centri strutturati di risposta epidemiologica attraverso i dati che non siano lasciati sulle spalle dei gruppi accademici o all’insegna dell’emergenza. Su un altro versante, bisogna invece migliorare e proseguire sulla strada degli standard – ha continuato Vespignani – e del coordinamento sovranazionale, dove l’Oms ha da poco annunciato una piattaforma per un centro di Data Analytics.

202

Altro aspetto ancora è capire quali passi in avanti sono stati fatti rispetto a dati inaccessibili per anni, come quelli trattati dalle grandi compagnie tecnologiche e che invece e per fortuna, durante la pandemia sono stati messi a disposizione in nome del “data for good”. Ecco, dobbiamo continuare questo percorso”. Sia chiaro: nessuno mette in discussione la libertà imprenditoriale di produrre informazione riservata. O quella di raccogliere ed elaborare per proprio conto dati clinici e sanitari ai fini di ricerche (pubbliche o private). Libertà d’impresa, diritti d’impresa. Ovviamente, nel pieno rispetto del diritto alla proprietà dei propri dati personali da parte dei cittadini. Del resto, è pratica comune che non solo le imprese ma anche le reti di professionisti intorno alla salute – ingegneri clinici, medici di medicina generale, medici specialisti, informatici, assicuratori, etc. – arricchiscano e gestiscano in autonomia i propri database, facendo uso di molteplici piattaforme informatiche e software che purtroppo spesso non permettono una interoperabilità tra dati e tra dati e dispositivi medici. Insomma, quasi una Babele. E’ però vero che, come ha sottolineato l’assessore alla sanità pugliese Pierluigi LoPalco intervenuto al webinar, “senza la sanità affidata a 21 Regioni, in Italia, la pandemia non si sarebbe potuta affrontare”. Ora però bisogna far parlare fra di loro i dati. Perchè con i dati “il totale è maggiore della somma delle parti”, per cui i benefici di unire più fonti sono probabilmente molto maggiori di quelli ottenuti presidiando le singole raccolte dati. La pandemia da Sars-Cov-2 ci ha aiutato quindi a comprendere che le aspettative, gli obiettivi, le organizzazioni sanitarie pubbliche e private devono cambiare. E, tra i primi a reagire, va annoverata la governance dell’Unione Europea che, della condivisione dei dati, ne ha fatto una guida per il futuro ribadendo un concetto che già circolava da tempo prima della pandemia: open data. La stessa Veronica Jagher, director healthcare industry solutions Microsoft,durante il suo intervento ha ribadito che effettivamente “i dati durante la pandemia non hanno funzionato bene, anche a causa della mancata adozione di standard di formato e di piattaforma finalizzati ad una interoperabilità in fase di raccolta dati, che consentisse decisioni rapide e “data driven”, ovvero “guidate dai dati”. D i fatto, siamo stati colti tutti impreparati e sarebbe ingiusto cercare imputati e colpevoli. Inoltre, c’è stata una difficile collaborazione tra governi e organizzazioni sanitarie a seguito della mancata definizione di quali dati fossero prioritari da raccogliere. La mancata omogeneità dei dati sanitari raccolti dalle singole organizzazioni ospedaliere e pubbliche ha poi reso quasi impossibile l’analisi”. A sua volta, l’epidemiologo Pierluigi LoPalco ha descritto quanto è stato fatto nella sua regione. ”In Puglia, per fortuna, avevamo già un buon servizio di sorveglianza epidemiologica. Certamente l’abbiamo dovuto aggiornare e rendere compatibile per colmare i debiti informativi e per gestire i flussi d’informazione dell’emergenza pandemica che ci chiedevano a livello nazionale in modo peraltro, va detto, non uniforme. Perché un flusso va alla Protezione Civile e l’altro all’Istituto Superiore di Sanità. Quando gli stessi dati devono viaggiare su canali differenti, con modalità diverse, piattaforme e formato di dati diversi ma con l’aggiunta della rapidità di trasmissione e anche con l’ansia di fornire un dato unico, l’errore è dietro l’angolo. Dal punto di vista mediatico – ha proseguito Lopalco -, tutto ciò ha contribuito a dare l’idea che le Regioni non abbiano saputo governare i propri dati, che i dati fossero falsi o non trasparenti. Si è sentita la mancanza di un’infrastruttura nazionale che macinasse i dati della sorveglianza epidemiologica Regione per Regione, fornendo un coordinamento e uno standard efficace tale da far dimenticare la mancanza d’integrazione fra i vari sistemi”. Il problema è quindi come evitare che la vecchia cultura competitiva, basata spesso su interessi locali e visioni ristrette del diritto imprenditoriale, rallenti questo processo di condivisione. Il rischio è che si arrivi ad invocare politiche transnazionali forti e precise, “calate dall’alto”, per imporre tale condivisione. In questo momento la condivisione è e deve rimanere un processo win-win, che porti ad espandere il mercato e ad arricchire le possibilità imprenditoriali: la scommessa sta nel trovare nuove forme di collaborazione che salvaguardino gli investimenti pregressi evitando politiche predatorie. 203

In materia di dati e di dati bio-clinici, è necessario mettere in campo per i prossimi anni un forte impegno culturale e formativo. Ma ancora di più, per ridurre l’impatto negativo di raccolte ed elaborazioni dati eterogenee e incomplete, va appunto realizzato l’effettivo coordinamento da parte delle istituzioni, nazionali e transnazionali. “Si tratta, evidentemente, di un passaggio affatto semplice che inevitabilmente dovrà avere carattere legislativo e concordato” conclude Antonio Scala, presidente di Big Data in Health Society, la società scientifica promotrice del webinar. “Cosa che peraltro già ha mostrato la sua necessità nel momento in cui, per esempio, si è discusso di brevetti per i vaccini, a causa dei molteplici e ripetuti problemi di fornitura drammaticamente vissuti dai singoli governi dell’UE. Un passaggio che non può prescindere però dalla protezione e dal potenziamento di quello che è l’ecosistema che deve produrre questo cambiamento, ovvero le imprese – che senza profitto non hanno ragione di esistere – e gli istituti di ricerca – che al contrario vengono spesso resi miopi ed incapaci di creare innovazione da una gestione basata solo su indicatori aziendalistici e quantitativi”. https://bigdatainhealth.org/primo-webinar-big-data-in-health-society-dati-bio-clinici-ognuno- per-se-o-tutti-per- tutti/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Big+data+in+Health+Socie ty+Newsletter

Il valore del Misery Index delle famiglie italiane è aumentato nel mese di aprile 2021 a seguito dell’incremento sia della componente inflazione che della componente disoccupazione. Nel corso dello stesso mese l’indicatore è aumentato sia nell’Area euro, che in Francia e Spagna, mentre è rimasto stabile in Germania.

Misery Index in Italia Nel mese di aprile 2021 il Misery Index delle famiglie italiane, calcolato con gli scostamenti semplici, è aumentato rispetto al mese precedente attestandosi a 3,8 (3,2 a marzo), mostrando, quindi, un peggioramento nella condizione delle famiglie. Tale andamento è derivato dall’aumento di 3 decimi sia del tasso d’inflazione (1,1% ad aprile, da 0,8% del mese precedente) sia del tasso di disoccupazione (10,7% ad aprile, da 10,4% del mese precedente).

204

Per quel che riguarda le medie annue dell’indicatore, i primi quattro mesi del 2021 mostrano valori maggiori rispetto alla media annua del 2020, sia considerando gli scostamenti semplici quanto quelli ponderati, e superiori alla media del 2019 negli scostamenti semplici. Le previsioni per il 2022 e 2023, basate sulle ultime elaborazioni del CER, mostrano un dato in crescita nel 2022 e in riduzione nel 2023. Questo andamento è collegato alla risalita del tasso d’inflazione nel 2022 a cui fa seguito un calo di inflazione e disoccupazione nel 2023.

Misery Index nei paesi dell’Area euro Nell’Area euro il valore del Misery Index, calcolato con gli scostamenti ponderati, è aumentato nel mese di aprile. Il tasso di disoccupazione è diminuito di 1 decimo (8,0% ad aprile, da 8,1% del mese precedente), mentre il tasso d’inflazione è aumentato di 3 decimi (1,6% ad aprile, da 1,3% del mese precedente). In Germania il Misery Index è rimasto stabile nel mese di aprile. Il tasso d’inflazione è aumentato di 1 decimo (2,0% ad aprile, da 1,9% del mese precedente), mentre il tasso di disoccupazione è diminuito di 1 decimo (4,4% ad aprile, da 4,5% del mese precedente).

205

In Francia il valore del Misery Index è aumentato ad aprile. Il tasso di disoccupazione è diminuito di 6 decimi (7,3% ad aprile, da 7,9% del mese precedente), mentre il tasso d’inflazione è aumentato di 2 decimi (1,6% ad aprile, da 1,4% del mese precedente). In Spagna il Misery Index è aumentato ad aprile 2021. Il tasso d’inflazione è aumentato di 8 decimi (2,0% ad aprile, da 1,2% del mese precedente) e il tasso di disoccupazione è aumentato di 1 decimo (15,4% ad aprile, da 15,3% del mese precedente). La Francia mostra il valore più moderato del Misery Index (0,870), calcolato con gli scostamenti ponderati e i dati armonizzati Eurostat, seguita da Germania (0,896), Italia (1,133) e Spagna (1,417). Il Misery Index dell’Area euro è pari a 0,932.

206

La Sanità del futuro, più connessa e sostenibile In News e Interviste Pubblicato il 19 Giugno 2021 Michele Lovati da Datamanager.it 11 giugno 2021 “Sviluppo di reti e strutture di prossimità. Telemedicina e teleassistenza. Valorizzazione dei dati sanitari per ribaltare il paradigma della medicina territoriale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede riforme e investimenti per il potenziamento del sistema salute. L’esperienza sul campo di Vivisol, Evidation Health e Policlinico Gemelli di Roma“.

La pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova il nostro Sistema Sanitario Nazionale, richiedendo un dispendio di risorse per fronteggiare la situazione di emergenza: nel Documento di Economia e Finanza si legge che la spesa sanitaria nel 2020 è cresciuta del 6,5% rispetto all’anno precedente, arrivando a circa 123 miliardi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) l’emergenza sta stimolando anche la crescita del mercato della sanità digitale. I diversi periodi di lockdown imposti in questo periodo per fermare il virus hanno portato a restrizioni sulla circolazione delle persone, accrescendo in cittadini, professionisti sanitari e manager delle strutture sanitarie la consapevolezza di quanto sia cruciale il contributo del digitale nel processo di prevenzione, accesso, cura e assistenza. Pur nelle enormi difficoltà di questo periodo, i modelli di cura sono stati forzatamente ridisegnati in ottica Connected Care, ripensando con l’aiuto del digitale ciascuna fase per ridurre le ospedalizzazioni e per gestire i pazienti sul territorio. Il sistema diventerà necessariamente più remoto, connesso e sostenibile: le persone eviteranno di andare in ospedale, tranne in circostanze inevitabili, si potranno connettere virtualmente con i loro medici, mentre le cure primarie e i servizi sanitari ambulatoriali potranno essere coordinati a distanza. http://www.datamanageronline.it/www/delivery/afr.php?zoneid=73&cb=INSERT_RANDOM_NUMBER_HE RE Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, lo scorso anno la spesa per la Sanità digitale in Italia è stata pari a 1,5 miliardi di euro, corrispondente a circa 25 euro per abitante, l’1,2% della spesa sanitaria pubblica. C’è stato un aumento del 5% rispetto al 2019, confermando il trend degli anni precedenti (+3% nel 2019, +7% nel 2018). Il digitale rappresenta una priorità per le strutture sanitarie italiane, per superare le fragilità del nostro sistema, tra le quali la disparità a livello socioeconomico e geografico nell’accesso ai servizi, la ridotta integrazione tra servizi ospedalieri e servizi territoriali, i tempi di attesa molto elevati per l’accesso ad alcune prestazioni sanitarie. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si è posto tra gli obiettivi prioritari proprio il superamento di queste fragilità, prevedendo un capitolo (Missione 6) di riforme e investimenti dedicati al settore salute per un totale di 15,63 miliardi di euro di cui 8,63 per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione, con particolare focus sul Fascicolo Sanitario Elettronico, e 7 per lo sviluppo di reti di prossimità e strutture, e per la telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale. Se si riuscisse a sfruttare pienamente le tecnologie digitali, il cittadino-paziente sarebbe posto al centro dei processi di prevenzione e cura, soddisfacendo una delle linee guida dell’ISS: per far questo, occorre rivedere la relazione fra operatori e pazienti e consentire un migliore e più rapido accesso alle informazioni e ai servizi

207

sanitari, così da rendere più appropriato e sostenibile il rapporto con i professionisti sanitari e con il sistema salute.

I servizi digitali Secondo i dati dell’Osservatorio, i servizi digitali più utilizzati dai cittadini sono il ritiro online dei documenti clinici (37% dei cittadini che hanno fatto accesso al servizio referti, rispetto al 29% rilevato a inizio 2020), le prenotazioni online di visite o esami (26% contro il 23%) e il pagamento delle prestazioni (17%, in aumento dal 15%). La sfida per il futuro sarà di mettere a disposizione dei cittadini servizi digitali progettati tenendo in considerazione le loro esigenze, che siano semplici da utilizzare, facilmente accessibili, e integrati nel Fascicolo sanitario elettronico (FSE), strumento che può diventare sempre più vantaggioso per cittadini e pazienti. Una ricerca di Doxapharma mostra come i pazienti ritengano importante integrare nel FSE, oltre a referti e ricette, anche sistemi per la prenotazione online di visite ed esami (78%), ma anche i propri piani di cura (80%) e le informazioni sulla propria patologia (78%) e su prestazioni sanitarie convenzionate o con esenzione (77%). Dalla stessa ricerca, emerge che nei mesi centrali dell’emergenza sanitaria è aumentato il numero di cittadini che ha utilizzato Internet per informarsi sui corretti stili di vita. Il 79% di chi ha cercato in passato questo tipo di informazioni intende farlo in futuro attraverso i canali digitali, il 74% è interessato a farlo per problemi di salute e malattie, il 73% per farmaci e terapie. Diverse istituzioni, aziende sanitarie e altri enti in questo periodo hanno introdotto dei chatbot per rispondere in maniera automatica alle principali richieste da parte dei cittadini sul tema Covid. Secondo IDC, la crescita degli sviluppi nella porta d’accesso digitale ai servizi migliorerà l’esperienza della salute dei pazienti. In quest’ambito, in Europa è previsto un aumento di spesa del 51% in app per mobile, 50% in servizi al paziente e in infrastrutture di supporto, 39% in AI e machine learning. Entro il 2023, il 65% dei pazienti europei avrà accesso alle cure tramite una porta d’accesso digitale. In questo anno e mezzo, IDC ritiene che i consumatori europei di servizi sanitari siano stati a proprio agio negli incontri virtuali con i loro medici, mentre i medici hanno approfittato della tecnologia delle riunioni remote anche per ottenere informazioni utili dai rappresentanti di vendita del settore farmaceutico. Ciò si aggiunge a una tendenza a lungo termine verso canali digitali come e-mail certificate, portali di siti Web di aziende farmaceutiche, webinar, conferenze virtuali. Gli incontri di persona aumenteranno sicuramente con la scomparsa della pandemia, ma i medici prescrittori continueranno a fare sempre più affidamento su questi strumenti digitali remoti che offrono la comodità di accedere alle informazioni sui farmaci e sui dispositivi dove, quando e come lo desiderano, migliorando la produttività e riducendo i costi per le aziende sanitarie. Anche secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’utilizzo delle piattaforme di collaborazione ha subito un forte balzo in avanti durante l’emergenza sanitaria: il dato è confermato dall’utilizzo da parte dei medici di medicina generale (52% contro 12% pre-emergenza), dei medici specialisti (70% contro 30%) e dei pazienti (30% contro 11%). I pazienti dimostrano un notevole interesse verso queste modalità di comunicazione: il 74% vorrebbe utilizzare in futuro le comunicazioni con i medici via SMS, l’82% tramite piattaforme di collaborazione, il 94% via e-mail, addirittura il 96% tramite app di messaggistica istantanea. «Il digitale sta cambiando i tradizionali punti di contatto della Sanità, introducendone di nuovi, come siti web, app e chatbot» – conferma Chiara Sgarbossa, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità. «Le nuove tecnologie devono essere impiegate per riprogettare l’esperienza degli utenti affinché possano accedere più facilmente e velocemente a informazioni e servizi secondo modelli di cura innovativi e sostenibili. Sarà importante da questo punto di vista superare barriere e diffidenze, riconoscendo la specificità dei diversi profili di cittadini e sapendo progettare percorsi differenziati in grado di superare il potenziale “digital divide”, 208

che rischierebbe di escludere proprio quelle fasce di popolazione che hanno maggiore bisogno di sostegno». Le diverse competenze digitali di base dei cittadini limitano maggiormente l’utilizzo dei canali digitali soprattutto tra gli anziani: il 70% della popolazione utilizza abitualmente PC, tablet o smartphone, ma questa percentuale scende al 30% tra gli over 65. La costruzione del nuovo modello di Sanità connessa dovrà anche essere necessariamente inclusiva: per far questo sarà importante sviluppare la cultura e le competenze digitali di professionisti sanitari, cittadini e pazienti.

Valorizzazione dei dati L’utilizzo delle tecnologie digitali, in un momento di così forte pressione su medici e ospedali, ha facilitato le analisi dei dati alla base delle decisioni cliniche e dato supporto alle strutture sanitarie nella continuità di cura e nell’operatività. La sfida principale per i prossimi anni è la costruzione di un sistema sanitario connesso basato su soluzioni digitali in grado di generare dati, raccoglierli, integrarli, condividerli e valorizzarli, grazie all’utilizzo di Big Data e di analytics. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, le aziende sanitarie dimostrano un livello di maturità nella gestione e valorizzazione dei dati sui pazienti, soprattutto per quanto riguarda i dati di tipo amministrativo: il 62% li analizza con strumenti di descriptive analytics, l’8% con logiche di advanced analytics, mentre il 14% li raccoglie e non li analizza. I dati gestionali e organizzativi sono analizzati in modalità descrittiva dal 43% delle aziende, con strumenti avanzati dal 5%, mentre il 24% non li analizza anche se disponibili. Le fonti dei Big Data sono molteplici: cartelle cliniche elettroniche, dati del sistema sanitario, analisi di laboratorio, messi in relazione con informazioni demografiche, ricerche scientifiche e cliniche. Questi dati sono poi incrociati con i dati provenienti da app, dispositivi indossabili, sensori che monitorano lo stato di salute. Secondo Ennio Tasciotti, professore di Tecnologie Biomediche all’Università San Raffaele di Roma, fondatore e direttore del Centro di Medicina Biomimetica del Methodist Hospital Research Institute di Houston, i Big Data hanno la possibilità di migliorare in modo deciso la nostra salute e la medicina avanza in direzione delle 4P: personalizzata, predittiva, preventiva, partecipativa. «La scienza dei dati avrà un ruolo centrale nel futuro della medicina e permetterà di mettere in relazione, per esempio, le spese farmaceutiche con l’incidenza di determinate malattie, oppure correlare il profilo genomico di ciascun cittadino con la sua alimentazione e il suo stile di vita, prevedendo con quali probabilità certe malattie possano svilupparsi». Nonostante questo periodo di difficoltà, anzi in qualche caso proprio come supporto alla gestione dell’emergenza sanitaria, sono stati sviluppati diversi progetti interessanti. Tra gli altri, merita una menzione quello sviluppato dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che utilizza soluzioni di Advanced Analytics per prevedere gli afflussi in terapia intensiva, capire le eventuali complicanze mediche dei malati di coronavirus, pianificare il lavoro nei reparti, prevedere gli impatti sull’organizzazione, nonché programmare e gestire in modo efficace la somministrazione dei vaccini. A raccontare il progetto, ci viene in aiuto Andrea Cambieri, direttore sanitario di Presidio del Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma: «In stretto contatto con la direzione ICT, guidata dal direttore Paolo Sergi e, in particolare, con la divisione Data warehouse e Flussi IRCCS coordinata da Antonio Marchetti, abbiamo cercato di capire quali metriche fossero più idonee. La sfida è definire un numero ristretto e gestibile di indicatori di cui una parte sono esterni, come per esempio l’andamento dei contagi o l’indice R con T, e una parte sono interni, come gli accessi al pronto soccorso, i tamponi risultati positivi sul totale dei tamponi effettuati, il coefficiente di operatori che si ammalano, la forza lavoro che può rientrare, i posti letti disponibili, e così via.

209

Tutti indicatori necessari per capire come “gestire il fronte” – mette in evidenza Cambieri – cosa che riusciamo a fare con la capacità predittiva sfruttando le potenzialità della piattaforma che utilizziamo». I numeri aiutano a capire dove, come e quando gestire in modo dinamico i posti letto in più, per esempio, non solo per le terapie intensive ma anche posti letto “normali” da convertire in letti per le zone sub-intensive e letti per i malati meno gravi che devono comunque essere gestiti in reparti ad hoc, reparti Covid. «Serve una pianificazione accurata perché gli impatti sono molteplici» – spiega Cambieri. «È necessario allertare il servizio tecnico per far arrivare l’ossigeno, pianificare il lavoro e i turni di medici e personale infermieristico, organizzare il trasferimento dei “malati bianchi”, pazienti non Covid, recuperare gli asset, macchinari necessari al monitoraggio dei pazienti, farmaci, presidi medici. Senza una capacità di gestione previsionale, con analisi predittive, questa organizzazione sarebbe pressoché impossibile. Ci troveremmo nel caos».

Telemedicina e teleassistenza Nell’ambito dell’attuazione dei servizi di sanità in rete, secondo l’ISS assume grande rilevanza la definizione di modalità tecnico-organizzative finalizzate a consentire l’integrazione socio-sanitaria e a sostenere forme innovative di domiciliarità. I servizi di telemedicina possono rappresentare, in questo senso, una parte integrante del ridisegno strutturale e organizzativo della rete di assistenza del Paese. La telemedicina può in particolare contribuire a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, consentire la fruibilità di cure, servizi di diagnosi e consulenza medica a distanza, permettere il costante monitoraggio di parametri vitali, al fine di ridurre il rischio d’insorgenza di complicazioni in persone a rischio o affette da patologie croniche. La telemedicina in questo periodo ha registrato un vero e proprio boom di interesse fra gli operatori del settore: i medici hanno compreso quanto sia fondamentale per garantire la continuità delle cure, anche a domicilio, e per l’integrazione tra ospedale e territorio, e quanto possa rappresentare un alleato importante per mantenere un contatto più costante e appropriato con i pazienti, in questa fase di emergenza, ma anche nel futuro. Secondo IDC, una piattaforma di telemedicina fa risparmiare 32 minuti di cure secondarie per paziente, e riscuote successo tra i pazienti, tanto che il 76% di essi chiede che, in caso di nuovi bisogni sanitari, vengano curati nuovamente in questa forma. IDC prevede che già quest’anno in Europa gli investimenti nelle applicazioni per il virtual care aumenteranno del 23%. Secondo l’Osservatorio, oggi il servizio di telemedicina più utilizzato è il tele-consulto con medici specialisti (47% degli specialisti, e 39% dei MMG), seguito dalla tele-visita (39% degli specialisti e dei MMG) e il tele- monitoraggio dei propri parametri clinici (28% e 43%). Tra le aziende attive in questo settore, Vivisol, uno dei principali gruppi europei operanti nel settore dell’assistenza domiciliare in ambito sanitario. In questo difficile periodo, Vivisol ha rafforzato il proprio servizio assistenziale e risposto alle complesse esigenze dei propri clienti, adottando una soluzione di telediagnosi innovativa, che consente di monitorare i pazienti al proprio domicilio evitando il ricorso all’ospedalizzazione e rendendo in tal modo più efficiente la gestione territoriale dei malati meno gravi. La soluzione scelta dall’azienda, nella sua veste di homecare provider, le ha garantito un prezioso supporto tecnologico per le sue centrali mediche operative, così come già accaduto per le centrali di ospedali e ASST, consentendo al personale sanitario la gestione dei pazienti da remoto, tramite l’accesso a una piattaforma facile da utilizzare e intuitiva, che in pochi minuti è in grado di fornire, mediante dashboard di analisi dei dati, lo stato di salute di tutti i pazienti da monitorare. Il check-up quotidiano dei malati può avvenire scegliendo tra diverse modalità: tramite il call-center, con l’inserimento manuale dei dati raccolti, tramite il download automatico dei dati inseriti autonomamente dal paziente nella app oppure caricati via Bluetooth direttamente dal saturimetro in dotazione. In pochi anni, la tecnologia supporterà ancora meglio questi ambiti applicativi.

210

«Vedo un futuro interessante nell’ambito della medicina a distanza» – afferma Cambieri del Gemelli di Roma. «E non mi riferisco solo alla telemedicina che siamo riusciti ad attivare oggi, ma alla cosiddetta “tecno- assistenza” fatta di wearable device che si connettono con l’ospedale in maniera push, anche non percepita dal paziente, e che possono consentire alla struttura sanitaria di assistere i pazienti in modo proattivo, chiamando il paziente se e quando necessario. Oggi, avviene il contrario, è il paziente che chiama l’ospedale per fare visite, controlli, richieste di aiuto. La tecno-assistenza di cui l’analisi dei dati è l’elemento cardine ci consentirà di ribaltare il paradigma». In quest’ottica, interessante l’esperienza di Evidation Health, società americana con sede in California, che ha sviluppato la piattaforma Achievement, con oltre quattro milioni di iscritti, dai quali raccoglie, previo consenso informato, informazioni cliniche e indicatori biometrici tramite comuni dispositivi tecnologici indossabili. In questo modo, l’azienda ha rovesciato completamente l’approccio tradizionale della medicina, basando la cura delle persone sulla prevenzione costante invece che su interventi che riparano i problemi quando insorgono nel nostro organismo. La mole di dati generata è notevole, le informazioni sono gestite con un rigoroso controllo della privacy dell’utente e sviscerate con analytics che permettono di individuare precocemente i primi segnali di malattie, comunicando alle persone i comportamenti da adottare per prevenirle. La piattaforma è molto semplice da utilizzare per gli utenti, ma i risultati che si ottengono possono avere un enorme impatto sulla salute pubblica: la piattaforma, infatti, può essere sfruttata per guidare i pazienti nell’analisi delle rispettive situazioni medico-sanitarie, così da innescare un circolo virtuoso dell’informazione che si traduce in cure tempestive e appropriate. È anche possibile seguire programmi personalizzati che incoraggiano attività e comportamenti salutari, o farsi monitorare i percorsi di riabilitazione, in modo che la app possa valutare se l’attività fisica che si sta facendo è sufficiente o se sono necessarie eventuali azioni complementari. Certo, in Italia manca ancora la piena applicazione del nuovo regolamento europeo sui dispositivi medici (in vigore dal 26 maggio), che continuiamo a chiamare nuovo, anche se è del 2017, e ha già subito proroghe e aggiustamenti a causa della pandemia. I punti critici non sono pochi: il regolamento alza il livello di attenzione sulla sicurezza dei dispositivi, introducendo anche il requisito di usabilità, e mettendo in capo ai produttori importanti responsabilità di controllo su produzione e commercializzazione. Non solo. Anche molti software che erogano servizi di telemedicina, secondo il regolamento, sono da considerarsi dispositivi medici, e quindi il regolamento intercetta anche la materia del GDPR. Mentre da una parte, la telemedicina registra un vero boom di interesse, dall’altra il nuovo regolamento – almeno in questa prima fase di applicazione – potrebbe portare a una contrazione dei dispositivi medici reperibili sul mercato, a causa dei requisiti di conformità previsti dalle disposizioni europee. Si tratta di un cambiamento epocale, ma operatori sanitari, utenti finali e autorità di controllo non sono ancora completamente pronti a questo passaggio.

AI, Investimenti Marginali Gli investimenti nell’intelligenza artificiale in ambito sanitario nel nostro Paese sono ancora marginali. Le strutture sanitarie hanno adottato applicazioni di AI, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di prime sperimentazioni, soprattutto basate sull’elaborazione delle immagini per effettuare attività di supporto alla decisione diagnostica e del testo libero. I medici specialisti indicano l’elaborazione delle immagini come l’applicazione di AI più utile nel supporto della propria pratica clinica e l’ambito più promettente nel prossimo quinquennio (28%). Ci sono anche sperimentazioni significative nell’interpretazione del linguaggio naturale, scritto e parlato. Secondo IDC, entro il 2024, la proliferazione di dati farà sì che il 60% delle infrastrutture IT per la Sanità sarà costruita su una piattaforma dati che utilizzerà l’intelligenza artificiale per migliorare l’automazione dei processi e il processo decisionale.

211

L’intelligenza artificiale migliorerà la microsegmentazione dei pazienti per prevederne i rischi, permetterà cure più precise e sarà utilizzata nel triage. IDC prevede anche che entro il 2026, il 65% dei flussi di lavoro di imaging medico utilizzerà l’intelligenza artificiale per rilevare la malattia sottostante e guidare l’intervento clinico, mentre il 50% utilizzerà la teleradiologia per condividere studi e migliorare l’accesso ai radiologi. È importante sottolineare che l’applicazione di intelligenza artificiale in Sanità richiede che le informazioni da elaborare siano raccolte in digitale, e quindi la presenza di cartelle cliniche elettroniche e sistemi aziendali di gestione delle immagini diagnostiche è un prerequisito. Secondo Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, per accelerare la diffusione di sistemi di intelligenza artificiale e sfruttarne tutti i potenziali benefici bisognerà agire su tre fronti: «Aumentare la disponibilità di dati, strutturati e non, in digitale per poter addestrare le soluzioni di AI e generare valore nel supportare cure personalizzate; sviluppare le competenze digitali dei medici e dei profili che si occupano di gestire queste soluzioni, con particolare attenzione ai data scientist; comprendere i limiti di questi strumenti e che il loro ruolo non sarà come sostituto del medico ma di supporto alle sue decisioni». https://bigdatainhealth.org/la-sanita-del-futuro-piu-connessa-e- sostenibile/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Big+data+in+Health +Society+Newsletter

212