ASSESSORATO i PER LACULTURA

giovedì 24 settembre 1987, ore 16 The Big Club SETTEMBRE MUSICA

Giorgio Gaslini, pianoforte Pianista e compositore, Giorgio Gaslini è stato uno dei primi musicisti jazz italiani. Già attivo in questo ambito nella secon­ da metà degli anni ’40, può essere considerato l’esponente di punta di una vera e propria “ scuola italiana” , impegnata, ol­ tre che nella personale rilettura della tradizione jazzistica, an­ che in un’opera di divulgazione ad ampio livello che ha visto lo stesso Gaslini suonare e dialogare con il pubblico nei luoghi più disparati, dalle scuole alle fabbriche, dai centri sociali agli ospedali psichiatrici. Parallelamente alla normale attività con­ certistica in importanti teatri, festival internazionale, club ita­ liani e stranieri, Giorgio Gasimi si dedica anche alla composizione nel campo della musica per cinema e teatro e in quello della con­ temporanea. Già titolare, nel 1972, del corso di Jazz al Conser­ vatorio di S. Cecilia di Roma e in seguito anche al “ Giuseppe Verdi” di Milano, è stato animatore di numerosi altri corsi di perfezionamento e ha scritto alcuni saggi di tecnica strumentale e musicologia. Nel 1976 ha fondato la prima etichetta discogra­ fica indipendente italiana. '1898-1937)

‘Songs e dintorni”

Gershwin’s materials Bidin’ my time Someone to watch over me How long has this been going on ’s wonderful (jazz waltz suite) da “ ” Percorsi Somebody loves me Oh, lady be good! Soon Clap yo’hands (Alabama suite)

Il pianoforte YAMAHA è gentilmente offerto dalla Ditta TA ULINO di Livorno Ferraris L’arte musicale di Gershwin

Se si intende cogliere l’essenza dell’arte musicale di Gershwin, al di là del suo mito e del mito personale del compositore, biso­ gna soffermarsi separatamente su tre diversi aspetti che corri­ spondono ai successivi stadi evolutivi della sua carriera: Gershwin pianista, Gershwin songster e Gershwin compositore di lavori orchestrali e di opere. Naturalmente tra queste diverse attività non vi sono compartimenti stagni: l’una si integra nell’ altra e il risultato è l’inconfondibile sigla stilistica gershwiniana; sepa­ randole è però possibile comprendere un po’ più a fondo il si­ gnificato e l’importanza che ognuna di esse ha avuto nella determinazione del risultato finale, di quella sigla inconfondibile. Gershwin compì il suo apprendistato musicale attraverso il pia­ noforte. Il primo maestro di musica che esercitò una grande in­ fluenza su Gershwin ancora fanciullo, Charles Hambitzer, era principalmente un pianista che, oltre a guidarlo nello studio dello strumento, gli fece conoscere anche una certa porzione di lette­ ratura musicale pianistica, accostandolo a Chopin, Listz e De­ bussy: una terna quanto mai significativa, se si tien conto che Gershwin fin dalle sue prime prove compositive dimostrò un ta­ lento armonico naturale (non coltivato cioè attraverso studi teo­ rici ed esercizi), un gusto finissimo nella ricerca di soluzioni accordali inusitate e singolari. Il suo primo mestiere potenziò moltissimo il talento esecutivo e improvvisai ivo. Negli anni tra il 1914 ed il 1917 Gershwin fu impiegato come song-plugger al­ la dipendenze di una ditta di canzonette di Tin Pan Alley, la Re- miele & Company. Il song-plugger (letteralmente, “ propagan­ dista di canzoni” ) aveva il compito di sondare il mercato per decidere quali canzoni valesse la pena pubblicare, e di reclamiz­ zare quelle pubblicate dalla ditta. Mansione principale di Ger­ shwin nell’ ambito di questo mestiere, fu quella di presentare le canzoni ai potenziali acquirenti mettendone in luce le qualità mi­ gliori mediante elaborazioni e variazioni, e adattandole alle sin­ gole possibilità vocali mediante trasposizioni in ogni tonalità. Questa attività, che lo impegnava tutta la giornata, dalle otto alle dieci ore al giorno, sviluppò in Gershwin una straordinaria capacità improvvisati va che, nel corso della successiva carriera, mise a frutto nelle occasioni pubbliche o private in cui si esibiva come pianista. Di Gershwin pianista ci rimangono diverse testi­ monianze dirette (dischi e rulli di pianole) che, per brillantezza di fraseggio, verve ritmica mantenuta in costante tensione me­ diante un personale uso del rubato, confermano gli sperticati elogi di chi ebbe occasione di ascoltarlo dal vivo in privato: “Ho sen­ tito suonare molti pianisti e molti compositori di fronte ad un pubblico di amici” , ricorda Rouben Mamoulian, che diresse la prima esecuzione di Porgy andBess, “ ma non ho mai conosciuto nessuno che suonasse con altrettanto spontaneo entusiasmo. Co- me alcune persone privilegiate hanno avuto in dono dal cielo quel­ la benedizione che si chiama gioia di vivere, così George aveva ricevuto la benedizione di provare intensa gioia suonando il pia­ noforte. Bastava che ne vedesse uno per essere felice. Traeva dai tasti le melodie come se fossero state fili d ’oro, e si divertiva a trastullarsi con esse, a intrecciarle in imprevedibili e compli­ catissimi ricami, ad avvolgerle e svolgerle con maliziosa grazia, a farle precipitare in cascate di ritmi sempre diversi. Si ascolta­ va suonare con lo stesso piacere con cui lo ascoltavano i presen­ ti e non si stancava mai di ripetere un motivo. Era capace di eseguire I have got rhythmper la millesima volta mettendoci tanta freschezza come se l’avesse scritta la sera prima”. Un riflesso un po’ sbiadito della sua tecnica improvvisativa è l’elaborazione pianistica di 18 dei suoi “hits” pubblicata nel 1932 con il titolo di George Gershwin’s Book. Questo continuo eser­ cizio dell’ improvvisazione pianistica divenne per l’attività crea­ tiva di Gershwin una sorta di inesauribile miniera di spunti tematici da cui egli traeva continuamente stimolo e ispirazione per i suoi songs, la cui immediatezza e freschezza deriva da una inventiva costantemente sollecitata e mantenuta ad uno stadio ribollente. Anche per quanto riguarda la sua attività creativa di maggior impegno e respiro (i lavori orchestrali) il pianoforte rappresen­ tò il pilastro della costruzione musicale, tanto più nella fase ini­ ziale quando l’inesperienza nel trattamento orchestrale fece gravare il peso della costruzione musicale principalmente sul suo strumento (nella Rapsodia in Blu e nel Concerto in fa) riesuman­ do inconsciamente in una versione naive - americana quel tipo di concerto Biedermeier che andò per la maggiore in un certo periodo dell’ Ottocento in cui il pianoforte faceva la parte del leone e l’orchestra si limitava a qualche discreto intervento. Col grandissimo successo di questi due lavori e della Rapsodia in blu in particolare, Gershwin si guadagnò la fama di compositore “ colto” , consolidata poi da Un americano a Parigi, creandosi anche un repertorio concertistico che, assieme alle improvvisa­ zioni sui suoi songs, gli permetteva di esibire il proprio talento pianistico nel corso delle sue tournée. Nonostante l’importanza davvero basilare che il pianoforte ebbe nella sua attività com­ positiva e artistica, Gershwin ci ha lasciato pochi brani per pia­ noforte solo, ma quei pochi, come i Preludi, dimostrano, tra le pieghe delle sincopazioni di ascendenza jazzistica e quelle del- l’intonazione blues, quanto ancora delle seduzioni armoniche dei grandi modelli della sua prima giovinezza determinasse l’at­ mosfera della sua musica. Fu comunque l’attività di songster che gli procurò fama, onori e favolosi guadagni. Nel corso di qualche anno, dopo il suo pri­ mo grande successo, Swanee, lanciato da Al Jolson nel 1920, fu un’ ascesa progressiva al vertice della “ hit parade” della can- zonetta dell’ epoca, che era da armi stabilmente occupato da due grandi maestri: Irving Berlin e Jerome Kern. Con la raffinatez­ za dei loro song, il modo con cui sapevano fondere assieme l’in­ venzione melodica con attraenti costruzioni armoniche, la giusta mescolanza di sentimentalismo, humour e swing, avevano tra­ sformato un prodotto commerciale di immediato consumo in qualcosa di più elevato e duraturo, che poteva sfidare l’usura derivata dai mutamenti di gusto e delle mode, e divenire un “ evergreen” , una melodia immortale. Gershwin seguì il loro esempio, dimostrando tosto, oltreché un grande talento, una for­ te personalità che riusciva ad apporre ad una formula quanto mai standardizzata un proprio indelebile sigillo. Nel breve spa zio di 32 batture-tale è la lunghezza standard della parte crucia­ le del song, il refrain - la creatività gershwiniana trovava quasi sempre modo di contemperare le esigenze di memorabilità me­ lodica che una canzone di successo deve avere, con una grande finezza e una grande fantasia, specialmente armonica e ritmica. Se ricerchiamo nelle sue prime canzoni di successo dopo Swa- nee le ragioni di quel successo che tutt’ oggi continuano a riscuo­ tere, due elementi colpiscono di più: l’innesto di “ blue-notes” (di bemolli, cioè, sui gradi dispari della scala, terzo, quinto, set­ timo) che, assieme al ritmo incalzante e sincopato, attribuisco­ no un carattere vagamente blues alle melodie, e le sottigliezze armoniche che rendono particolarmente attraenti i suoi temi; le acquisizioni “ colte” dell’infanzia e quelle “ popolari” diretta- mente assorbite dal clima della cultura urbana di quegli anni, saturo di jazz e di ragtime, si fondono dando origine ad un pro­ fumatissimo bouquet: lo stile gershwiniano. Un altro elemento che assicurò alla canzone di Gershwin il suc­ cesso e il pregio ben noti è l’intima fusione fonetica, prosodica, metrica ed espressiva con il testo, favorita dall’assiduità della collaborazione con il fratello Ira, che ben presto divenne il suo esclusivo paroliere. Da un lato Ira non si lasciava sfuggire occa­ sione per creare testi che già da soli rimanessero impressi nella mente. È il caso, ad esempio, di ’S Wonderful, in cui la ripeti­ zione della 5 (“ ’S wonderful” , “ ’S marvellous” ..), messa in risalto da George con una sosta sulla nota in ritmo puntato, crea tutta una sibilazione, un vero fischio di contentezza in accordo con il contenuto gioioso del testo. Da parte sua, George faceva spiccare il testo con accorgimenti tipo l’impiego di terzine in tem­ po binario (caso famoso, sulle parole “ lady, be good” nella omonima canzone) o con improvvise alterazioni della formula' ritmica prevalente; accorgimenti che, spezzando l’uniformità me­ trica, creano un andamento più eccitante e memorabile. Questa corrispondenza metrico-prosodica tra testo e musica, crea mo­ menti di assoluta perfezione: “ evergreens ” come Liza o The man I love derivano il loro duraturo successo non tanto e non solo dalla seducente invenzione melodica, ma proprio dalla grada- zione espressiva e retorico - musicale nel rapporto fra testo e musica. E talora tale rapporto è così sofisticato ed inedito che song di Gershwin oggi fra i più noti e popolari stentarono all’ epoca a raggiungere questa notorietà e questo successo. Un caso clamo­ roso è proprio quello di The man I love, ora uno degli “ ever­ green” più verdi che mai. Presentato e ripresentato in diversi musicals in cui passò pressoché inosservato, dovette attendere che un’ ammiratrice del compositore, Lady Mountbatten, ne fa­ vorisse il lancio in Europa, a Londra e poi a Parigi, prima di fare il suo ritorno trionfale negli Stati Uniti, venir pubblicato ed inciso in diverse edizioni discografiche riportando un succes­ so popolare. Se si vuol cercare di spiegare le ragioni di un rico­ noscimento così difficoltoso per una canzone che ottenne poi uno straordinario successo, una è sicuramente legata proprio al carattere instrinseco del song. Nel refrain, prima che la melo­ dia, nella parte centrale, assuma un carattere decisamente can­ tabile, per tutta la prima parte indugia su quella sorta di motivo arioso, quasi declamato, che è divenuto poi la memorabile sigla della canzone. Originariamente questo tema era stato concepito come prima parte (verse) di un altro song, e questa natura più recitativa che melodico-cantabile, in un genere di comunicazio­ ne musicale che si atteneva a regole molto standardizzate, de­ terminò molto probabilmente il ritardo del suo successo. Il migliaio di song che Gershwin scrisse nella sua carriera arti­ stica non è solamente una collana di successi con poche perle di più scarso valore, ma determinò anche, come in qualsiasi ve­ ro itinerario artistico, una progressiva evoluzione stilistica. Ger­ shwin, che aspirò incessantemente ad una elevazione culturale della sua arte ed a una promozione culturale della sua attività creativa, realizzò queste sue aspirazioni mediante un progressi­ vo raffinamento del suo linguaggio musicale che si attuò princi­ palmente attraverso il costante esercizio compositivo nell’ ambito del song. Per rimanere ancora in questo ambito, se si pongono a confronto non solo i suoi primi successi come Swanee o TU build a , ma anche gli “ hits ” della sua pro­ duzione degli anni Venti con i song composti negli ultimi anni della sua breve vita per i suoi ultimi musical o per Hollywood, come ad esempio They all laughed di Shall We Dance, concepito per A damsel in Distress, si può notare un gusto spiccato per atmosfere armoniche sempre più sofisticate in cui la triade perfetta è una rara eccezione e la norma sono invece gli accordi dalla settima in su. Anche per quanto riguarda l’an­ damento ritmico, alla marcata accentuazione di un tempo ed alle inflessioni blues si sostituisce ora una struttura ritmica molto più fluida e ricercata in cui non si può non avvertire un influsso del­ lo swing che, inteso come stile jazzistico, si stava affermando proprio in quegli anni. E se poi dal campo specifico del song ci spostiamo a quello delle sue composizioni di maggior impe­ gno, alle composizioni orchestrali ed all’opera, è evidentissimo che esse sono costantemente alimentate da un’ invenzione melo­ dica di schietta ascendenza canzonettistica, e proprio questa è la caratteristica più originale della carriera musicale di Gershwin: la sua ferrea volontà e la sua ostinata ambizione di elevarsi da una dimensione popolare ad una dimensione colta. Se Gershwin, al pari dei suoi illustri e famosi colleghi del mon­ do della canzonetta, si fosse limitato a scrivere song e musical di successo, oggi lo ricorderemmo come uno dei più grandi song- ster, forse il più grande; questa sua ambizione e i risultati crea­ tivi che ne derivarono fanno invece sì che egli sia tutt’ oggi anche uno dei casi più interessanti non solo nell’ ambito della musica statunitense ma dell’ intera storia della musica moderna. Fu il successo della Rapsodia in blu a destargli questa ambizione, fi­ no ad allora più o meno sopita. Si era in un’ epoca in cui il jazz esercitava un’ attrattiva irresistibile su tutti, era divenuto il sim­ bolo stesso della frenesia di vivere dell’America Anni Venti. A sua volta la Rapsodia in blu, per la coscienza collettiva ameri­ cana, e non solamente per quella, divenne il simbolo dell’ età del jazz e apparì, a chi volle crederlo, una sorta di consacrazione del jazz ad un rango più elevato. Commissionatagli da Paul Whì- teman per un concerto che era stato annunciato con il titolo am­ bizioso'di “An Experiment in Modem Music ” e che sotto l’apparenza di un’operazione culturale celava intenti schietta­ mente commerciali e spettacolari, era stata composta da Ger­ shwin in poche settimane, quindi affidata all’ arrangiatore della band di Whiteman, Ferde Grofé, perché l’orchestrasse; facen­ do appello a tutte le sue forze creative, scrisse un lavoro che svi­ luppava in uno spazio di tempo ed in una dimensione sonora più dilatata principi fondamentali al conseguimento del succes­ so nell’ambito della canzone e del musicali una memorabilità tematica tinta abbondantemente di “ blue” , uno schema formale facilmente comunicativo ed evidente, un’ elaborazione tematica che ricalca quella variazione ornamentale di cui si serviva istin­ tivamente per le sue improvvisazioni pianistiche ed un’ altrettanto istintiva coerenza tematica che connette i motivi fra di loro me­ diante relazioni più o meno evidenti. La Rapsodia in blu era stato un incontro fortuito di Gershwin con un impegno compositivo di largo respiro; le successive com­ posizioni orchestrali furono invece un volontario cimento con ld “ grandi forme” ; dapprima con il concerto per pianoforte ( Con­ certo in fa, del 1925) interpretato ora in una chiave spettacolare, con gesti altisonanti e certe volte un po’ esagerati, ma anche con dovizie di suggestivi temi cantabili e fischiettabili, ricchi di swing, e di blues, e di brillanti passaggi pianistici. Quindi si cimentò con il poema sinfonico (Un americano a Parigi) approdando così al- l’ambita meta della composizione puramente orchestrale. Questa volta Gershwin, privandosi del suo strumento, si impe­ gnava davvero in un’ ardua impresa tanto più che era sua inten­ zione non solo “ raffigurare le impressioni di un turista americano a Parigi che se ne va a zonzo per la città” , ma anche rifarsi al “ tipico stile francese, alla maniera di Debussy e dei Sei”. Con Un americano a Parigi, Gershwin non solo intendeva dimostra­ re a sé e al mondo di saper padroneggiare il mezzo sinfonico, ma anche risultare culturalmente aggiornato, apparire come un compositore che nei suoi viaggi parigini non solo aveva bighel­ lonato per la città fermandosi a tutte le soste obbligate del turi­ sta, ma aveva anche assorbito in pochissimo tempo le qualità salienti dello “ stile francese” . Il risultato è quello che tutti co­ nosciamo: una sfilata di gustosissime immagini musicali che si susseguono velocemente come tanti fotogrammi di un film, im­ merse in atmosfere timbriche e contornate da episodi che ora suggeriscono Ravel, ora Milhaud, ora Debussy, ora Strawinsky: insomma, lo “ stile francese” in passerella. Nella dimensione spettacolare della sua arte, Gershwin raggiunse con Un americano a Parigi un grande equilibrio tra le sue carat­ teristiche stilistiche e le sue ambizioni colte. Un equilibrio insu­ perato e insuperabile, perché nei tre ultimi lavori orchestrali della sua carriera creativa, la Seconda Rapsodia, la Ouverture cuba­ mele Variazioni su “ ”, l’esibizione delle cono­ scenze tecniche successivamente acquisite attraverso uno studio faticoso tende a scollarsi dalle migliori qualità inventive del mu­ sicista, rendendo queste composizioni meno organiche. Poiché tutta la musica di Gershwin, tanto “ popular” che “ cultivated” si regge sulla spettacolarizzazione di forme semplici (i song) e complesse (le composizioni orchestrali), più ostentata diventa l’e- sibizione di queste tecniche (contrappunto, orchestrazione, svi­ luppo, struttura formale), meno riuscito è il risultato artistico complessivo. Da questa fatale contraddizione è sostanzialmente immune il pro­ getto più ambizioso della carriera creativa di Gershwin, la “ folk opera” Porgy and Bess. Ma qui si muoveva su un terreno a lui molto più congeniale, in quanto poteva mettere a frutto sia il suo straordinario talento di songster nella caratterizzazione sta­ tica dei singoli personaggi, sia la competenza drammaturgica ac­ quisita in vent’ anni di assidua attività artistica nell’ ambito del musical, sia le tecniche acquisite nel corso dei suoi studi e delle sue esperienze creative precedenti impiegate nel trattamento delle parti orchestrali e nei concertati, in una successione di colora­ tissime sequenze sceniche che fanno da sfondo alle diverse pun­ tate della travagliata vicenda sentimentale di Porgy e di Bess. Questi tre aspetti dell’ arte musicale di Gershwin concorrono ad abbozzare un ritratto del compositore e del musicista, non del Personaggio Gershwin e della costellazione mitica che lo circon­ da, frutto di un insieme di cause storiche e di doti personali quan- to mai complesso e variegato. Ma anche spogliato di quella co­ stellazione mitica che tanto favorì il successo alla sua epoca ed il consolidamento del suo mito nei cinquant’ anni che ci separa­ no dalla sua tragica e prematura morte, anche passato attraver­ so un vaglio critico per quanto è possibile spassionato rispetto ad un’arte così coinvolgente, la sua figura di musicista rappre­ senta un caso unico nella storia della musica americana e non solo di quella; fra tutti coloro che ieri ed oggi hanno aspirato ed aspirano ad elevare il popular a rango di cultivated, è stato l’unico che vi sia riuscito rimanendo sempre fedele al primo ter­ mine: alla creazione musicale intesa come diretta e spettacolare comunicazione di massa.

Gianfranco Vinay leggere di musica

Dovendo suggerire un percorso di letture su Gershwin, viene spontaneo chiedersi quale utilità potrà esso riservare. Se nei libri si cercano i se­ greti nascosti ” delia musica di questo maestro, con ogni probabilità nes­ suna utilità. Se invece tramite essi si aspira a ricostruire con maggiore nitidezza il profilo della personalità, il guadagno sarà, verosimilmente, superiore. Anche in questa direzione, però, le fonti prime da consultare restano gli spartiti. Il libro può essere utile, solo in un secondo momen­ to, come supporto e non come surrogato dell’esperienza musicale diret­ ta. Sulla vita di Gershwin sono disponibili alcune opere impostate con taglio che indulge forse troppo nell’aneddotica: le biografie di Mario Pasi (1), di David Ewen (2) e di René Chalupt (3). Volumi ricchissimi di immagini, di lettura amabile e scorrevole, sono quelli di Edward Ja- blonski - Lawrence Stewart (4) e di Antonio Mingotti (5). Un’accurata bibliografia e discografia aggiornata al ’74 si ha per opera di Charles Schwartz (6). Ricordiamo ancora l’agile e garbato libretto di Maria Vit­ toria Pugliaro (7). Per studiare la situazione della musica americana agli inizi del secolo si può ricorrere al libro di Gianfranco Vinay (8) o al sag­ gio di Richard Goldman nel voi. X della Storia della Musica Oxford- Feltrinelli (9). Due interessanti studi criticamente avveduti si hanno per mano di Charles Haines e Luigi Pestalozza (IO). Angelo Chiarie (1) M. PASI, George Gershwin, Guanda, Parma 1958 (2) D. EWEN, La storia di George Gershwin, Milano 1956 (3) R. CHALUPT, George Gershwin. Le musicien de la Rhap­ sody in Blue, Amiot-Dumont, Paris 1959 (trad. It. Nuova Accademia Milano 1959) (790.H.41) (4) E. JABLONSKI-L.D. STEWART, The Gershwin Years, ■ Doubleday, New York 1973) (5) A. MINGOTTI, Gershwin. Eine Bildbiographie, Kindler, München 1958 (793.D.25) (6) C. SCHWARTZ, George Gershwin. A selective bibliography and discography, The College Music Society, Detroit 1974 (802.H.16) (7) M.V. PUGLIARO, La Rapsodia in Blue, l’arte e l’amore nella vita di George Gershwin, S.A.S. Torino 1952 (8) G. VINAY, Il Novecento II, EDT, Torino 1978, pp. 100-2, 141-3 (803.G.22/1) 1 (9) R.F. GOLDMAN, La musica negli Stati Uniti, in La musica moderna 1890-1960, a cura di M. Cooper, Feltrinelli, Mila­ no 1974, pp. 548-53 I (10) C. HAINES, George Gershwin ovvero del musicista come eroe, in “ L’Approdo Musicale” , anno I, n. 4, Edizioni ERI, Torino 1958, pp. 3-23; L. PESTALOZZA, Il mondo musi­ cale di Gershwin, ibid., pp. 24-45 (777.R.4) A seguito dell’ indicazione bibliografica è riportato il numero di collo­ cazione dei volumi presso la Civica Biblioteca Musicale “ Andrea Della Corte”, Villa Tesoriera, corso Francia 192. POZZO GROS MONTI S.pA - TORINO