Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

SOMMARIO

1. INTRODUZIONE...... 4

2. ANALISI DELLO STATO DI FATTO ...... 11

2.1 Il contesto d’azione ...... 11

3. IL SISTEMA NATURALE E AMBIENTALE...... 24

3.1 Il sistema delle risorse: territorio, ambiente e paesaggio...... 24

3.1.1 Il paesaggio alla scala territoriale...... 32

3.1.2 Il paesaggio locale...... 34

3.1.3 Il funzionamento di stato del paesaggio locale ...... 45

3.1.4 Gli altri indicatori ecologici utilizzati ...... 57

3.1.5 Il paesaggio urbano...... 62

3.1.6 La qualità delle acque superficiali ...... 77

3.2 Studio geologico e geomorfologico del territorio di Polinago...... 79

3.2.1 Premessa ...... 79

3.2.2 Inquadramento territoriale...... 79

3.2.3 Inquadramento geologico generale ...... 80

3.2.4 Geologia del territorio comunale ...... 83

3.2.5 Geolitologia e carta geolitologica ...... 88

3.2.6 Geomorfologia e carta geomorfologica ...... 94

3.2.7 GIS e SIT ...... 104

3.2.8 Bibliografia consultata...... 106

3.2.9 Glossario...... 109

3.2.10 Elenco allegati...... 116

1 di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.3 La cartografia prodotta dal Quadro Conoscitivo sui temi del sistema naturale e ambientale...... 117

3.3.1 Tavola n.°A-1: ortofoto digitale del territorio comunale...... 117

3.3.2 Tavola n.°A-2: carta geolitologica...... 118

3.3.3 Tavola n.°A-3: carta geomorfologica...... 119

3.3.4 Tavola n.°A-4: ambiti ed elementi di tutela derivanti dalla pianificazione sovraordinata...... 121

4. IL SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE ...... 123

4.1 Inquadramento demografico ...... 123

4.1.1 Le dinamiche demografiche locali...... 125

4.1.2 La composizione della popolazione...... 132

4.1.3 La distribuzione della popolazione ...... 142

4.1.4 Le famiglie...... 148

4.2 Caratteristiche del sistema produttivo...... 152

4.2.1 La situazione agricola locale...... 152

4.2.2 Gli altri settori produttivi ...... 196

5. IL SISTEMA TERRITORIALE...... 217

5.1 Il patrimonio edilizio esistente e la condizione abitativa ...... 217

5.1.1 Analisi dello stato attuale...... 217

5.2 Il patrimonio edilizio storico...... 244

5.2.1 Inquadramento storico del territorio comunale di Polinago...... 244

5.2.2 Gli edifici storici ...... 252

5.2.3 La viabilità storica...... 262

5.2.4 Le emergenze naturalistiche nel territorio comunale di Polinago...... 265

5.3 L’attività edilizia...... 269

5.4 Le dotazioni territoriali...... 274

2 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

5.4.1 Generalità...... 274

5.4.2 Attuazione delle dotazioni territoriali a Polinago ...... 277

5.4.3 La scuola...... 279

5.4.4 I parcheggi pubblici ...... 282

5.4.5 Il verde pubblico ...... 288

5.4.6 Le attrezzature di interesse comune ...... 300

5.4.7 Infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti...... 302

5.5 La cartografia prodotta dal Quadro Conoscitivo sui temi del sistema territoriale...... 309

5.5.1 Tavola n.°B-1: le reti tecnologiche...... 309

5.5.2 Tavola n.°B-2: insediamenti antropici e viabilità...... 311

5.5.3 Tavola n.°B-3: tessuti storici e gerarchia funzionale del sistema insediativo derivanti dalla

pianificazione sovraordinata...... 313

6. IL SISTEMA DELLA PIANIFICAZIONE...... 314

6.1 Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale...... 314

6.1.1 Contenuti generali...... 314

6.1.2 La struttura insediativa...... 319

6.1.3 Considerazioni sull’area della collina e della montagna...... 328

6.1.4 Reti di smaltimento: pubbliche fognature e impianti di depurazione...... 347

6.1.5 Reti di adduzione: interventi di captazione e di acquedottistica ...... 348

6.1.6 Il sistema della mobilità...... 349

6.2 Il Piano Regolatore Generale vigente...... 353

3 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

1. INTRODUZIONE

In questi ultimi dieci/quindici anni, la disciplina urbanistica è stata sottoposta ad una rilevante opera di rivisitazione concettuale e metodologica. Notevoli e numerose sono state le prese di posizione critiche verso la cosiddetta "planistica" imperversante ed onnicomprensiva che era stata propugnata negli anni '60 e '70: alcune di esse si sono dimostrate infondate, altre si sono dimostrate pretestuose, altre ancora si è ora capito che erano state espresse con il solo scopo di creare falsi problemi tendenti alla demolizione di quelle importanti precedenti conquiste istituzionali che facevano capo al cosiddetto "controllo pubblico del territorio". Una seconda categoria di critiche si è invece mossa nella direzione di trovare nuovi contenuti e metodologie più aderenti alle necessità che i cittadini andavano sollevando. Facendo esclusivamente riferimento a quest'ultima categoria di problemi sono state molteplici le posizioni assunte dalle diverse "scuole di pensiero" o dai diversi "soggetti" intervenuti nel fecondo dibattito degli anni '80/’90. Non è certamente questa la sede per compiere riflessioni molto approfondite che riprendano i singoli temi dibattuti, né le variegate posizioni emerse. E’ senz'altro incontrovertibile comunque che la disciplina sia stata attraversata da movimenti di "pensiero" che hanno prodotto notevoli "scossoni" agli apparati concettuali e formali tradizionali. Si sono così venuti a formare nuovi stili di pianificazione e nuove "forme- piano" che, pur mantenendo ancora numerosi punti in comune con le acquisizioni precedenti, poiché, ovviamente, non tutto quanto prodotto nel passato ha richiesto di essere rifondato, possono essere considerate delle vere e proprie nuove "generazioni" di piano. Un discreto aiuto ad innovare il piano tradizionale è venuto anche dalla nuova legge regionale dell’Emilia-Romagna (LR n°20/2000) che ha introdotto innumerevoli modificazioni concettuali ed operative. Innanzitutto la forma-piano che da documento unitario ed onnicomprensivo è stata scorporata in tre strumenti dotati di una consistente autonomia tecnica e procedurale: il Piano Strutturale (PSC) che definisce le scelte strategiche e di lungo periodo; il Regolamento Urbanistico-Edilizio (RUE) che definisce gli interventi realizzabili all’interno del territorio urbano consolidato ed il Piano Operativo (POC) che individua e determina gli interventi negli ambiti di nuovo insediamento. Poi l’importanza assegnata al Quadro Conoscitivo che diventa l’elemento essenziale per designare le ipotesi di sviluppo, di conservazione e di tutela al fine di costruire la “Carta

4 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO del Territorio” vero e proprio statuto dei luoghi e dell’identità locale. Poi, ancora la necessità di far corrispondere alle scelte una coerenza di sostenibilità che si esplicita con documenti e contenuti formali in coerenza con l’insieme delle scelte strategiche e non. Infine, ma non ultima, la perequazione urbanistica vera e propria perla concettuale della nuova struttura del piano che potrebbe finalmente far perdere il “peccato originale” dell’urbanistica è cioè il suo non essere stata equa rispetto a tutti i cittadini. Partendo dalle categorie di analisi ed arrivando fino agli strumenti di rappresentazione si é proceduto al superamento di molte ritualità che possono essere considerate come i limiti maggiori delle, ormai superate, pianificazioni del passato. In questo panorama particolarmente vivace, nel quale le continue sollecitazioni a rimettere in discussione anche parti date per scontate e mai veramente sottoposte a verifica seria senza veri o falsi pregiudizi ideologici, ci é parso stimolante affrontare anche in questa sede così parziale (un Comune di piccole dimensioni in termini di abitanti residenti, una realtà collinare ad elevata fragilità ambientale, etc.) alcuni nuovi temi del dibattito in corso al fine di sperimentare nuove strade di ricerca e per trovare risposte meno scontate e tradizionali. Una buona parte di questo percorso innovativo é stato affrontato al livello delle analisi. Oltre ad argomenti più tradizionali che hanno riguardato essenzialmente gli aspetti quantitativi del piano sono stati studiati ed elaborati nuovi filoni di ricerca e nuovi temi di indagine. Tra essi ricordiamo: la forma e le modalità di accrescimento nel tempo dei principali insediamenti abitati di Polinago; l'analisi del paesaggio; le caratteristiche dei principali elementi ambientali e paesaggistici del territorio montano; i principali fattori di ricorrenza urbanistica; le connessioni tra insediamento e servizi pubblici; le coerenze ed incoerenze dello sviluppo sostenibile. Come si può facilmente intuire si tratta di fenomeni difficilmente quantificabili almeno allo stato attuale delle conoscenze scientifiche. Non per questo si potrà cercare però di relegarli come fenomeni secondari o facilmente accantonabili. Gli stimoli invero sono stati e sono piuttosto forti per cercare di far prevalere più accattivanti espressioni di "crescita economica" e di sovradimensionamenti residenziali. Fortunatamente la volontà dell'Amministrazione e la rigidità dell'apparato concettuale e normativo predisposti sono risultati sufficientemente duri per resistere alle tentazioni più estreme e demagogiche. Il risultato conseguito è parso soddisfacente per le attuali condizioni di pensiero. La proposta che si avanza ha tenuto conto, per quanto possibile, anche delle sollecitazioni emerse nelle varie località del territorio comunale e ha riformulato precedenti proposte per conformarsi maggiormente alle indicazioni assembleari.

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La formulazione adottata ha dovuto in ogni caso fare anche i conti con la presenza di previsioni residenziali ormai consolidate da piani particolareggiati già convenzionati che in alcuni casi tendono a forzare gli insediamenti verso soluzioni urbanistiche non del tutto idonee alle caratteristiche ambientali dei siti in cui sono inserite. L’insieme dei piani ha cercato, inoltre, di arginare con tutti i mezzi a sua disposizione i rischi contenuti nelle dinamiche di sviluppo individuate per il Comune in questione, ponendo particolare attenzione alla ricostruzione di una intelaiatura minima di struttura urbana, seppur periferica alle realtà urbane più importanti. Le proposte hanno tenuto, quindi, in grande considerazione gli aspetti di carattere qualitativo: sia nelle indicazioni di Piano inerenti i servizi (genericamente intesi) sia nello studio degli spazi necessari per dare un disegno armonico agli insediamenti esistenti o da realizzare (dove è possibile per la concomitanza di una previsione urbanistica). Un ulteriore aspetto che abbiamo voluto affrontare con il presente lavoro riguarda la informatizzazione della nuova proposta ottenuta predisponendo i materiali fin dalla fase di concepimento dello strumento. La materia appare particolarmente interessante in relazione allo sviluppo della tecnologia dei Personal Computer che a grandi passi si stanno avvicinando alle caratteristiche delle più potenti Workstation, pur mantenendo costi operativi molto più contenuti e quindi sopportabili anche dalle "casse" sempre meno capienti dei Comuni, specialmente se di piccola dimensione. Da quanto appena detto, emerge la necessità di verificare se al termine del processo era possibile dotare l'Ufficio Tecnico di uno strumento operativo in grado di fornire informazioni utilizzabili per la fase di gestione del Piano, a costi ridotti e con tempi ammissibili con i compiti istituzionali che l'Ente si trova a dover rispettare per le sempre più numerose competenze che i livelli istituzionali di scala superiore gli affidano. L'obiettivo principale e non ultimo in ordine di importanza dovrebbe essere quello di produrre i Certificati d'uso di cui alla LR n°33/90 ed il Certificato di Destinazione Urbanistica direttamente con procedure automatizzate. Dalla ricognizione che abbiamo condotto sulle più recenti acquisizioni in questo campo ottenute dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia di , nonché dalle Comunità Montane, abbiamo potuto riscontrare notevoli diversità di impostazione dei problemi che, sinteticamente, possiamo riassumere in un livello decrescente di interesse riscontrabile man mano che si scende di scala, per gli aspetti connessi alla omogeneità dei processi (standardizzazione) ed alla attenzione per la qualità delle grandi basi di dati utilizzabili dal maggior numero possibile di utenti (con finalità principalmente rivolte alla ricerca territoriale ed alla definizione delle cartografie grafiche e numeriche). Mentre

6 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO all'altro verso e cioè partendo dalla scala inferiore del livello istituzionale (Comune) alla superiore è possibile riscontrare un maggior interesse per i problemi gestionali ed operativi immediati, di elevata precisione, direttamente utilizzabili a basso costo e con esigenze di ridotti profili professionali. In particolare, con la presente proposta si intende sperimentare un percorso di ricerca che sviscerando i diversi problemi connessi ad alcuni evidenti limiti di una tecnologia "povera", cerca di recuperare un ambito di azione fortemente operativa per la scala comunale, senza perdere le altrettanto necessarie interrelazioni con le scale territoriali di livello superiore e con i relativi strumenti ivi utilizzati. Ciò é oggi possibile in quanto i "formati" utilizzati ai quattro livelli istituzionali (Regione, Provincia, Comunità Montana, Comune) risultano combinabili integrabili e compatibili, così come, ovviamente, appaiono compatibili tutti i riferimenti attuativi caratteristici della scala comunale (PRG, PP, PEEP, PIP, Piani di Recupero, singoli interventi diretti) anche perché questo é stato proprio l'obiettivo più importante che si é voluto raggiungere con l'uso di strumenti e "pacchetti di programmi" semplici ed a basso prezzo. Tutte le operazioni sono state eseguite con una dotazione hardware molto semplice, utilizzando un personal computer IBM compatibile. Il software, facilmente acquisibile in commercio, lavora in ambiente Windows. Se la questione del trattamento delle informazioni pare sufficientemente risolvibile con le dotazioni ipotizzate, non altrettanto si può dire a riguardo degli elementi a monte ed a valle del processo. In particolare merita una riflessione del tutto specifica il sistema di acquisizione dei dati cartografici che abbiamo utilizzato; si tratta infatti di una "rasterizzazione" ottenuta da un passaggio attraverso uno "Scanner" con una risoluzione di 200 dpi dei fogli della Carta Tecnica Regionale in scala 1:5000 (N° 21 fogli per il Comune di Polinago pari ad oltre 10 Mb di memoria). Questa scelta è stata ritenuta la più soddisfacente pur con tutti i limiti che gli sono propri (approssimazioni grafiche, "staticità dei segni", etc.) in quanto un confronto dei costi e dei tempi di produzione/controllo/collaudo con il sistema "vettorializzato", a nostro avviso, registra dei vantaggi non secondari. Non bisogna infatti dimenticare le finalità molto particolari a cui ci riferiamo: la elaborazione di un PRG che abbisogna di specifici materiali e di basi di dati e non un generico obiettivo di programmazione che molto probabilmente avrebbe reso inidoneo (almeno teoricamente) il ricorso ad un sistema "rasterizzato". Il semplice confronto dei costi di "digitalizzazione" delle CTR (circa 4.000.000 di Lire a foglio a prezzi correnti di mercato per i 21 fogli del Comune di Polinago avrebbe prodotto un costo assolutamente insopportabile per le "casse" comunali); mentre il servizio offerto

7 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO gratuitamente dalla Provincia di Modena che é in possesso dei fogli già "rasterizzati" e georeferenziati in sistema UTM, ha consentito un'economia difficilmente rifiutabile. Entrando più in dettaglio sulla scelta compiuta possiamo sin d'ora individuare il percorso che abbiamo seguito per completare l'iter metodologico intrapreso. Si è infatti proceduto alla "vettorializzazione" solo delle parti significative delle informazioni della CTR mediandole dalla restituzione "rasterizzata": si tratta delle parti più prossime ai centri urbanizzati poiché ritenuti i più indicativi per i futuri interventi urbanistici; mentre per le altre parti si è pensato di mantenere la forma "rasterizzata" che si ritiene soddisfacente per le definizioni contenutistiche dell’ambito rurale. Un secondo tema che ci pare meritevole di essere portato avanti in maniera seria ed approfondita é quello della restituzione e manipolazione delle informazioni catastali. Anche in questo caso si è pensato al ricorso a informazioni offerte e messe a disposizione dalla Provincia di Modena che ha trasformato in formato SHAPE il formato NTF catastale. In questo caso quindi si è utilizzata la base già vettorializzata dell’intero supporto informativo per poter manipolare successivamente tutti i dati per la gestione dei nuovi strumenti urbanistici. L'operazione di sovrapposizione dei dati cartografici su base CTR e di quelli catastali ha mostrato la incongruenza di molti elementi comuni alle due "basi": non vi è cioè totale corrispondenza tra la posizione di edifici, strade, altri manufatti, corsi d'acqua. La risposta finora tentata, anche in altre esperienze, si é consolidata attraverso un "aggiustamento" delle due basi (ed in particolare l'adattamento forzato della base catastale alle caratteristiche della base CTR) che ora, in relazione alla necessità di possedere una base cartografica unitaria caratterizzata dalla presenza delle informazioni corrette di tutte e due le basi, su cui poter impostare, successivamente, operazioni atte a fornire eventuali certificazioni in automatico, ci pare totalmente insufficiente. Con il metodo finora utilizzato infatti si ottiene una terza carta, ma con caratteristiche che la rendono diversa sia dalla CTR che da quella catastale. Pertanto se vogliamo ottenere una base catastale, valida anche per le successive operazioni gestionali, è necessario che tale base rimanga inalterata e su di essa sia "costruita" la corrispondente base di dati urbanistici. La carta "adattata" potrà invece servire per elaborare tutte le carte tematiche e per impostare i principali ragionamenti progettuali antecedenti alla stesura definitiva. Da questo punto l'informazione cartografica dovrà essere incrociata con una base di dati di tipo alfanumerico al fine di predisporre un nuovo sistema normativo che metta in relazione diretta gli "oggetti" cartografici (ambiti, lotti, edifici, spazi aperti, etc) con gli elementi quantitativi e qualitativi degli strumenti urbanistici. A tal scopo si dovranno

8 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO utilizzare sia i programmi di disegno che il database proposti in precedenza in modo da ottenere una struttura informativa sufficientemente relazionata e tale da ottimizzare le diverse categorie di dati. Questa fase dei lavori risulta piuttosto problematica in quanto non è stato mai definito a livello sovracomunale uno standard medio di riferimento (che a nostro avviso dovrebbe essere un compito della Regione). Esiste già un consolidato lavoro prodotto su questa materia dalla Regione Emilia-Romagna per ciò che riguarda la omogeneizzazione dei PRG, ma tutto questo appare ora solo come un materiale di partenza che, tuttavia, non completa l'intero processo che ci proponiamo per i nuovi strumenti. Per riuscire a concludere il percorso di ricerca già avviato, dandogli quel carattere di generalità che merita, inevitabilmente, si dovrà richiedere la collaborazione della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Modena. Riteniamo infatti che a questo punto dell'esperienza proposta per Polinago possa essere una occasione interessante anche per la Regione e per la Provincia stessa. Nel caso non avvenisse questa comunanza di finalità ed obiettivi reciproci, il percorso che abbiamo per ora compiuto rischierebbe di chiudersi in un ambito solo comunale che, per quanto importante ed innovativo non verrebbe a rappresentare quell'importante elemento di sperimentazione meritevole di essere conosciuto e valorizzato in sedi più ampie di dibattito. È comunque vero che se il percorso di ricerca potesse confluire in una sperimentazione più complessiva ed allargata in ambito regionale si potrebbe beneficiare di importanti economie di scala per fare diventare questo esempio un modello eventualmente riproducibile a costi senz'altro interessanti per ogni Ente di piccola e media dimensione. È nostra intenzione peraltro connettere in un piano più organico che investa altri settori del Comune di Polinago (anagrafe, patrimonio, tributi, economato, etc.) le informazioni ottenute per la elaborazione del PRG al fine di ottenere nel tempo un patrimonio informativo aggiornabile con facilità ed al tempo stesso facilmente manipolabile per ottenere altre informazioni ed altre possibili utilizzazioni (certificazioni, altri strumenti di pianificazione attuativa, piani settoriali per la raccolta dei rifiuti solidi urbani e per il trasporto scolastico, controllo di particolari tributi, ICI, etc.). Già ora infatti il Comune é in possesso di strumenti informatici che governano l'aggiornamento dell'anagrafe e delle Concessioni edilizie, nonché parziali elementi del settore economato che con lievissimi aggiustamenti potrebbero entrare in rete con le informazioni acquisite per la elaborazione dei nuovi strumenti urbanistici. Un primo risultato é comunque stato ottenuto e riguarda la restituzione a colori delle tavole di progetto del PSC, del RUE e del POC; da questo momento in avanti però è solo

9 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO con la volontà e la capacità del Comune che si potranno ottenere i vantaggi più consistenti. Certo è che d'ora in avanti ogni qualvolta si dovrà intervenire sugli strumenti urbanistici almeno per le basi cartografiche non bisognerà rincominciare da zero: sarà anche poco, ma è un segnale che inverte una tendenza. Gli sforzi concettuali e propositivi potranno così essere concentrati maggiormente sui contenuti del piano e questa non è certo una questione secondaria.

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2. ANALISI DELLO STATO DI FATTO

2.1 Il contesto d’azione

La conoscenza del contesto di azione, anche dopo i citati "movimenti di pensiero" che hanno scosso profondamente le radici della tradizione disciplinare, permane come uno degli aspetti fondamentali della costruzione tecnica dello strumento urbanistico generale. E tutto ciò rimane vero esaminando la questione da entrambi i corni del procedimento di valutazione ex-ante del piano: quello interno al processo di elaborazione dello strumento, svolto dal planner durante la prima fase di costruzione delle idee dei nuovi piani e quello esterno, svolto dagli organi tecnici preposti all'approvazione del PSC (Provincia e Regione nel caso dell'Emilia-Romagna). Successivamente all'approvazione esisteranno altri momenti di verifica dei contenuti ( ex- post ), ma nella quasi totalità dei casi si tratta di criteri di valutazione che non toccano gli "ingredienti tecnici" della conoscenza e, pertanto, in questa sede, non ne tracceremo i confini di intervento e/o le metafore di comunicazione per ovvi motivi di spazio e di interesse specifico. Ci pare opportuno, invece, inquadrare i confini delle due posizioni citate più sopra, sin dalle prime battute di questa relazione, poiché é da questi punti di osservazione, oggi apparentemente così distanti, che si gioca spesso l'esito iniziale della proposta di piano. Quanto siano importanti questi due momenti e quale peso giocano nell'esperienza quotidiana dell'amministrazione, varrebbe forse la pena di indagare in maniera più approfondita. Certo é che ormai non risulta possibile fare astrazione dal secondo (la valutazione in sede di approvazione), anche se il primo (interno alla pianificazione) rimane, senza ombra di dubbio, quello determinante. Se è vero tutto questo, allora vale proprio la pena di approfondire quali debbano essere, in questo preciso momento storico, le conoscenze necessarie per svolgere in maniera soddisfacente il tema assegnato di pianificazione. La risposta non crediamo debba essere solo quantitativa, come invece troppo spesso viene formalmente richiesto; e neppure può rimanere troppo ancorata a quell'insieme di analisi e documenti che hanno accompagnato la precedente "generazione" di piani. I motivi di questo rifiuto aprioristico sono molteplici e sono già stati in parte, ma molto lucidamente, affrontati in numerosi articoli e saggi da Bernardo Secchi, PierCarlo Palermo, Luigi Mazza e Roberto Gambino, oltre ad altri analisti e critici meno conosciuti.

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Peraltro i cosiddetti nuovi piani si muovono su un substrato conoscitivo piuttosto fertile, almeno in Emilia-Romagna, che non può essere dimenticato né disperso e che deve essere dato per acquisito; non dovrebbe cioè, a nostro avviso, essere richiesto a titolo confermativo o di semplice ritualità, ogni qualvolta si propone una variante generale o una variante sostanziale allo strumento vigente. Restano di certo sempre necessarie ed attuali molte delle analisi che hanno caratterizzato le precedenti stagioni di ricerca ai fini della conoscenza per il piano. In primo luogo quelle di tipo socioeconomico, con l'analisi demografica in posizione baricentrica proprio per le intrinseche caratteristiche di "super-indicatore", che ne contrassegna l'esistenza sia per la conoscenza di ciò e di quanto é accaduto e sta accadendo all'interno dell'area di studio sia per la capacità di esplicazione del ruolo giocato dall'area a livello intercomunale; tutto ciò, peraltro, già oggi avviene con modalità di accesso facilmente acquisibili con informazioni continuamente aggiornate nel tempo. Senza dimenticare le dirette e conseguenti utilizzazioni dei risultati delle ricerche nei campi propri dell'urbanistica quali il dimensionamento del piano; la definizione delle politiche dei servizi pubblici e delle dotazioni urbane e residenziali; la individuazione e la definizione delle politiche in particolari settori della produzione (abitazioni, commercio, artigianato di servizio, turismo, etc.); la qualificazione delle strutture sanitarie; le possibili politiche usufruibili da particolari segmenti della popolazione; e quant'altro necessario in relazione alla dimensione del Comune esaminato ed al suo ruolo svolto in sede sovracomunale. In questo settore di ricerca non é quindi in discussione l'esigenza o meno di eseguire questa particolare tipologia di analisi, ma eventualmente di stabilire quali informazioni di base sono realmente necessarie e come organizzare i dati disponibili e come manipolarli (in senso statistico), a quali modelli concettuali e formali fare riferimento, come estrarre e presentare i possibili scenari interpretativi. Temi da un lato abbastanza semplici in relazione alle disponibilità offerte dalle correnti scienze demografiche e statistiche, ma troppo spesso sottovalutate dalla prassi urbanistica che gli dedica solo spazio fisico (infinite tabelle di origine censuaria, elenchi di dati casuali ed insignificanti, batterie di indicatori insoddisfacenti e poco efficaci). E tutto ciò quasi sempre per rispondere a ritualità richieste dall'esterno, ma che raramente vengono utilizzati per interpretare veramente la realtà in esame: sono parti che in una relazione di accompagnamento ad un piano ci devono essere, ma a che cosa servono e come vengono utilizzate non é dato sapere.

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Un secondo ambito di conoscenza per il piano ancora importante é quello dei settori produttivi, specialmente in relazione alla necessità di individuare, comprendere e governare i processi di conversione e riconversione emersi nel corso degli ultimi dieci/quindici anni sia a livello settoriale che nelle rispettive connessioni intersettoriali. In questo caso tuttavia non si dovrà credere e/o far credere di poter controllare le politiche economiche settoriali, bensì si dovranno interpretare e comprendere i fenomeni di cui sopra al solo scopo di individuare le azioni più consone alla soddisfacente (ovviamente per la collettività) eventuale collocazione spaziale delle nuove attività, anche in relazione al diverso uso possibile, messo a disposizione da quelle già esistenti. Rimane un argomento non generalizzabile il ricorso ad analisi specifiche da richiedersi per approfondire temi particolari per quel determinato contesto o per quella particolare condizione storico-economica. Appaiono, invece, molto interessanti da chiarire argomenti abbastanza nuovi quali, ad esempio: quanti e quali effetti potrebbe causare il mutamento della politica agraria comunitaria e nazionale in una struttura territoriale a rilevante presenza agricola; cosa fare e come impiegare i contenitori e le aree dismesse da una precedente presenza manifatturiera; come governare l'espansione del terziario nei centri storici senza farsi prendere la mano da visioni ideologiche; come governare le possibili modificazioni strutturali della domanda turistica. Sono solo alcune delle domande riferite ai settori produttivi a cui si dovrebbe dare una risposta soddisfacente con un nuovo piano regolatore, eppure appaiono così lontane e difficili da ritrovare nella prassi operativa, anche dei piani della cosiddetta nuova generazione. Un terzo gruppo di conoscenze per il piano di cui non si nutre dubbio sul fatto di dovervi fare riferimento é quello dell'analisi del patrimonio edilizio esistente. Anche qui, tuttavia, il problema che ci si trova ad affrontare se si vuole esprimere una autonoma valutazione sulle reali necessità conoscitive non riguarda tanto e solo il che cosa fare, ma soprattutto il come fare ed il quanto fare . In quasi tutti i piani, infatti, si trovano informazioni abbondanti su questo argomento, spesso accompagnate da carichi cartacei estremamente rilevanti che fotografano e illustrano ogni singolo edificio; raramente però si trovano approfondimenti ulteriori e valutazioni urbanistiche di qualche respiro scientifico. Tutto questo almeno nel passato. Oggi con la legislazione regionale così attenta e precisa nel richiedere anche documentazione conoscitiva, appare più difficile sfuggire ad analisi attente e rigorose sullo stato del patrimonio edilizio esistente specialmente a riguardo di quello storico e di quello agricolo. Eppure solo in rarissimi casi ci é capitato di imbatterci in ricerche ed analisi veramente incisive dal lato dell'interpretazione dei risultati e/o con valutazioni operative veramente conseguenti alle indicazioni scaturite dallo studio.

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Prevalgono invece le analisi puramente quantitative ed illustrative che al controllo formale ricevono una approvazione almeno di facciata: a cosa servano, se non a riempire scaffali ed armadi, non risulta almeno a chi scrive molto chiaro. Certo é, che sono state eseguite ed anche a costi a volte molto onerosi; forse, in un tempo sufficientemente prossimo, potranno anche essere usati per qualche cosa di veramente utile. All'urbanistica operativa averne inquadrato e definito i confini localizzativi, averne classificato le tipologie e le morfologie di contesto, averne interpretato le tendenze di agglomerazione e/o di dispersione, averne temporalizzato le diffusioni, averne caratterizzato le aggregazioni al fine di individuare le forme insediative prevalenti, potrebbe invece permettere di ottenere risultati maggiormente efficaci. È questa infatti una delle nuove strade intraprese dalla cosiddetta terza generazione dei piani e che anche con il piano di Polinago abbiamo cercato di sviluppare in maniera originale e per noi consona ai caratteri fisico-ambientali del luogo. Un quarto gruppo di conoscenze che ci pare essenziale per la comprensione della realtà é quella relativa alla individuazione e rappresentazione dei servizi pubblici. Spesso, se non sempre, ridotta a pura e semplice verifica degli standards urbanistici di passata generazione o delle nuove dotazioni urbane é rimasta una delle “pietre miliari” dell'urbanistica contemporanea. Eppure anche in questo caso oltre vent'anni di urbanistica attiva non solo hanno prodotto risultati poco soddisfacenti dal punto di vista qualitativo in merito alle attuazioni; ma anche altrettanto poco si é potuto vedere sul versante conoscitivo ed interpretativo. Solo i comuni di una certa consistenza demografica hanno prodotto lavori minimamente seri attraverso un vero e proprio piano dei servizi; solo qualche Comune ha prodotto analisi convincenti sulle reali consistenze; rarissimi risultano i lavori che tentano valutazioni rigorose sul versante dei fabbisogni; quasi inesistenti sono i casi di bilanci d'area. La prassi più consolidata si ferma alla verifica di conformità dei livelli minimi di offerta richiesti dalla legislazione regionale. Quasi nulla di veramente innovativo si é potuto leggere in questi ultimi anni in merito alle localizzazioni di tali servizi e/o sulla funzionalità urbanistica e territoriale degli stessi; in qualche caso attraverso studi specialistici e settoriali (parcheggi, scuola, verde pubblico) si è tentato qualche passo in avanti, ma é ancora troppo poco per poterli giudicare in maniera completamente soddisfacente. Un altro argomento conoscitivo per il piano presente nei lavori del passato ed attuale ancora oggi, é quello inerente le infrastrutture di trasporto e i servizi a rete. Per il primo, che nella stragrande maggioranza dei casi del passato si riduceva ad una tavola grafica di semplice rappresentazione della rete, si é ora di fronte a numerose presenze di atti e di

14 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO piani sovracomunali che inquadrano e definiscono gli elementi di maggior interesse non locale che ne ha di molto ridotto l'importanza e conseguentemente la necessità di valutazioni specifiche a scala urbanistica. Certo rimangono importanti e necessarie le interrelazioni con la rete locale e le precisazioni sui livelli di efficienza della rete medesima. Da ciò appare chiaro che valutazioni ed analisi generali su questo versante risultano ora molto meno importanti del passato; appaiono ancora importanti invece considerazioni parziali e specifiche su particolari tronchi che vanno ad investire segmenti importanti e non del tessuto urbano. È qui pertanto che occorrerà concentrare maggiormente l'attenzione se si vuole costruire una realtà veramente con elevati livelli di benessere sociale. Ma questo é un discorso che riprenderemo più avanti parlando del nuovo significato del progetto del (e nel) piano. L'altro versante di questo raggruppamento di conoscenze specifiche per il piano come già detto é quello dei servizi a rete. È questo un versante poco segnato da esperienze significative e che invece ora, specialmente in un periodo storico come quello odierno contraddistinto da capacità di cassa tendenzialmente in riduzione, richiede attenzioni del tutto nuove e significative, specialmente laddove si tratta di interventi caratterizzati dalla presenza esclusiva della mano pubblica. L'argomento che segna il passaggio vero e distintivo tra il precedente ed il più recente modo di concepire la conoscenza per il piano, é quello relativo alle componenti ambientali. È infatti in questa particolare categoria dell'analisi che si é sviluppata la maggiore attenzione del planner contemporaneo e della riflessione teorica di questi ultimi anni. Le analisi e gli studi condotti in questo settore nel passato, quando peraltro ci sono stati, sono apparsi marginali ed impalpabili tanto che non é pensabile, in una ipotesi seria di riconsiderazione critica delle esperienze precedenti, inserire tale branca di studi tra quelli che hanno contraddistinto ed influenzato l'urbanistica in quanto prassi operativa. Certo non é possibile disconoscere il fatto che nel passato molti piani hanno presentato studi ed illustrazioni grafiche testimoniali di una qualche attenzione rivolta alle componenti ambientali; ma a nostro avviso si é trattato di casi molto particolari e riconducibili alla volontà di rappresentare uno specifico problema o alla volontà di comunicare una particolare attenzione metodologica. Non bisogna peraltro dimenticare che in questa regione si é sviluppata una tradizione che, a partire dalla "Metodologia di base" di piacentiniana memoria, ha partorito numerose ricerche empiriche di grande importanza scientifica, specialmente nel campo della individuazione dei limiti alle coltivazioni agrarie e

15 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO forestali, delle capacità d'uso dei suoli, dei limiti allo spandimento dei liquami, delle limitazioni alla capacità portante dei versanti, ed altre ancora. Tuttavia, pur in presenza di esperienze ormai consolidate su singoli aspetti, nella prassi urbanistica rispetto alle tematiche ambientali, manca ancora una visione di insieme capace di coagularsi in azioni combinate su ambedue i fronti. Eppure anche su questo versante le sollecitazioni non fanno difetto; una cultura ambientalistica pregnante, se non dominante, é ormai un dato scontato nelle pratiche disciplinari quotidiane. Il dato negativo però é rappresentato dalla mancata incidenza profonda di tale visione sulla realtà territoriale: la carenza di azioni veramente ecologiche in campo urbanistico, determinata, oltre che da ovvie lacune scientifiche ancora presenti (la materia é molto recente), anche e soprattutto da atteggiamenti particolarmente scriteriati, ha portato a contrapposizioni esclusivamente politiche ed ideologiche che hanno paralizzato questo nuovo fronte della conoscenza per il piano. Le prese di posizione assunte per dimostrare l'esistenza di una insanabile dicotomia tra conservazione e sviluppo, hanno così innestato un freno molto forte alla nascita di una nuova branca di studi e di sperimentazioni sul campo. Nella società contemporanea sta emergendo con sempre maggior forza un bisogno di dimensione umana armonizzata con i ritmi della natura, é quindi necessario ritrovare nuovi equilibri e nuove modalità di azione. E per superare lo stallo culturale in cui si é sprofondati ci é parso importante ed al tempo stesso strategico fare riferimento a due domini disciplinari solo apparentemente distanti, poiché da pochissimo tempo entrati a far parte del dibattito disciplinare: quello che fa capo al cosiddetto "sviluppo sostenibile" e quello della ”Ecologia del paesaggio". Il primo appartiene ancora più al mondo delle idee e della critica costruttiva che non a vere e proprie azioni operative, ma a nostro avviso segnala un atteggiamento verso i problemi dei giorni nostri meritevole di essere ancora approfondito adottando metodologie fortemente operative capaci di allontanare la prassi meramente ideologica che ha contraddistinto la prima parte della nostra storia disciplinare. Considerare solo quello sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri, rappresenta infatti un modo di agire del tutto in controtendenza rispetto al passato ed allo stesso tempo costituisce una guida molto definita da seguire per il futuro. Il secondo, invece, pur essendo stato avviato nel nord Europa a partire dagli anni Sessanta, é ancora in una fase di acerba dinamica, ma potenzialmente possiede tutte le caratteristiche operative necessarie per trovare ampio spazio nelle pratiche dell'urbanistica attiva.

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Questa nuova branca della scienza ecologica che studia la struttura e la dinamica di mosaici complessi di ecosistemi (paesaggi) per prenderli in considerazione in una ottica sistemica, si distanzia però notevolmente dai significati tradizionali attribuiti al paesaggio, all'ambiente ed al territorio per fornire formulazioni alternative piene di suggestioni e spunti operativi. Senza voler fare una storia della nuova scienza appare tuttavia piuttosto importante inquadrare la posizione assunta, appunto dal paesaggio, nell'ecologia, all'interno dell'intero spettro biologico: questa organizzazione biologica si pone infatti ad un livello gerarchico intermedio tra l'ecosistema ed il bioma 1 definendo una scala oltremodo significativa per la programmazione e la pianificazione degli interventi antropici. La interpretazione del sistema di ecosistemi di un determinato ambito territoriale diventa infatti un elemento di conoscenza fondamentale per capire il valore e la vulnerabilità di quell'ambito, specialmente allorquando se ne vuole stabilire la regola evolutiva attraverso nuove previsioni urbanistiche. I due tipi di approccio culturale che abbiamo sintetizzato più sopra (sviluppo sostenibile ed ecologia del paesaggio) non completano tuttavia il ventaglio di opzioni metodologiche introdotte nel presente lavoro al fine di ampliare le conoscenze per il piano. Fondamentale ci pare anche la sperimentazione effettuata nel campo dell'analisi delle forme insediative, della morfologia urbana e della percezione del territorio agricolo. Si tratta di campi abbastanza nuovi dell'analisi urbanistica, ma che si ritiene debbano entrare a far parte del bagaglio indispensabile dei nuovi piani. Dal punto di vista strettamente concettuale tutte e tre le categorie di analisi fanno in realtà riferimento, in misura più o meno intensa, alle metodologie ed alle tecniche approntate per risolvere gli aspetti percettivi e visivi del paesaggio. Lo studio delle componenti formali e strutturali del paesaggio alla grande scala territoriale, alla media scala ecosistemica ed alla più ridotta scala urbana, rappresentano infatti un passaggio obbligato se si vuole cercare di capire la realtà in esame. Le intense modificazioni subite dal paesaggio alle diverse scale nel corso degli ultimi trenta/quarant’anni non possono passare inosservate. Se molto si é cercato di esprimere e di interpretare a livello generale con studi e ricerche spesso molto interessanti, non altrettanto si può dire che sia avvenuto alla scala locale; e questo che rimane il campo di prevalente dominio dell'urbanistica, rischia di rimanere completamente inesplorato se non si affrontano le questioni dal loro giusto punto di vista. La scelta della scala appropriata per lo studio dei fenomeni e la individuazione del giusto tempo per la loro rappresentazione formale, costituiscono le tessere indispensabili per

1 L’intero spettro é composto dai seguenti livelli gerachici: organismo, popolazione, comunità biotica, ecosistema, paesaggio, bioma, regione biogeografica, biosfera.

17 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO comporre il complesso mosaico della conoscenza dei fatti locali. Pur risultando per forza di cose schematici dobbiamo, infatti, osservare che é proprio l'esame di tali questioni che può permettere di scoprire le identità dei singoli luoghi in quanto espressione dello storico connubio tra uomo ed ambiente che, appunto, con le analisi, si tenta di scoprire per cercare, successivamente, di "plasmare" con gli interventi urbanistici. Le tre nuove forme di analisi (per l'urbanistica) saranno descritte nei capitoli seguenti e ad essi rimandiamo per una descrizione più esaustiva. Qui preme solo segnalare il percorso interpretativo seguito e le deduzioni generali scaturite da tale percorso di ricerca. A tal fine non può passare inosservata la scelta di privilegiare un indicatore ecologico al posto di altri al fine di valutare la sostenibilità delle scelte di piano. La necessità di elaborare una valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale (VALSAT) come richiesto dalla nuova legge regionale, infatti, determina la necessità di individuare strumenti operativi e metodologie in grado di soddisfare sia bisogni conoscitivi, sia risposte funzionali e coerenti con le risorse territoriali e paesistiche locali nel tentativo di offrire risposte soddisfacenti anche al Quadro Conoscitivo. Appare perciò comprensibile che la parte della VALSAT relativa alla individuazione delle risorse disponibili ed ai rischi ad esse connaturati in relazione a possibili effetti negativi delle scelte di pianificazione si sovrappone completamente alla parte del Quadro Conoscitivo relative allo Stato di Fatto. Non crediamo che ciò comporti particolari problemi se non quelli di una ripetizione del testo scritto nelle due parti evidenziate. Dal punto di vista contenutistico, invece, si tratta di scegliere il metodo migliore per rappresentare le caratteristiche delle diverse componenti territoriali, il loro modo “abituale di comportarsi” ecologicamente parlando, le loro criticità ed i loro rischi potenziali. Per eseguire in maniera efficace tale compito è ovviamente possibile procedere con modalità diverse: a) descrivere le diverse risorse completando (per quanto ciò sia storicamente possibile in termini scientifici) la panoramica attraverso il ricorso ad una retorica discorsiva fondata sulle conoscenze delle diverse discipline e finalizzata a rappresentare un catalogo il più ampio possibile di conoscenze specifiche; b) utilizzare indicatori ecologici capaci di rappresentare in forma più o meno sintetica i diversi ecosistemi e i loro “funzionamenti”; c) fare ricorso a modelli matematici più o meno complicati in grado di “riprodurre” gli “organismi” di studio.

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Sia la prima che l’ultima modalità pur appartenendo alla categoria delle metodologie più acclamate e sostenute presentano entrambe delle insufficienze che in questa sede non possiamo che introdurre. Le descrizioni discorsive oltre a costituire la pratica più diffusa nella prassi analitica (è comunque sempre abbastanza facile sommare le relazioni di diversi esperti e offrirle alla lettura ed alla interpretazione) si rivelano troppo spesso infruttifere di risultati operativi e piene di retoriche che amplificano solo le maglie dell’ideologia più retriva e della stravaganza senza contenuti. I modelli matematici, invece, pur costituendo un terreno fertile di ricerca, specialmente quando utilizzati per offrire spunti a riflessioni successive, appaiono ormai come strumenti fuori dal tempo per essere stati relegati in posizione totalmente marginale sia a causa di un loro uso piuttosto improprio (un risultato comunque erano in grado di offrirlo anche se completamente inesplicabile), sia per la loro lontananza dai fatti ordinariamente maneggiabili e comprensibili (inestricabilità degli algoritmi e delle funzioni) e sia per la difficoltà di ottenere dati ed informazioni utili per la costruzione dei modelli (cronica carenza dei dati ecologici ed ambientali nel nostro paese). La seconda categoria di metodologie offre allo stato delle cose numerose opportunità conoscitive ed operative. E’ pur sempre vero che con gli indicatori sintetici si ottengono solo delle informazioni grossolane e grezze che richiedono livelli di approfondimento successivo non accettabili dal punto di vista strettamente stilistico o di raffinatezza esplicativa, ma non per questo è necessario “gettare anche il bambino con l’acqua sporca” come dice un conosciuto detto popolare. Se accettiamo l’idea che alcuni indicatori specialmente quelli di tipo ecologico siano in grado di offrire delle prime approssimazioni per ottenere un livello conoscitivo di base buono per effettuare ulteriori elaborazioni concettuali favorendo al tempo stesso l’accrescimento informativo step by step , allora è possibile anche considerare positivamente questa modalità di approccio ritenendola sufficientemente idonea a rappresentare la parte di realtà in esame o almeno le sue forme fenomenologiche. Anche accettando questo versante comunque non è che siano ancora molte le misure disponibili o gli indicatori offerti dalla ricerca scientifica. Noi, per questioni che riporteremo più in dettaglio nel proseguo del lavoro, ne proporremo l’uso solo di alcuni ed in particolare la Biopotenzialità Territoriale (Btc), poiché ci è parso l’indicatore in grado di mostrare oltre ad una semplicità d’uso rimarchevole anche una potenzialità veramente interessante sul quadrante più strettamente progettuale. Tale indicatore tuttavia sarà utilizzato insieme ad altri di diversa origine e caratteristiche al fine di raggiungere un

19 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO discreto livello di dettaglio operativo e per qualificare sia la qualità delle scelte di piano che il VALSAT vero e proprio. Non ci pare disdicevole ricordare comunque che vi era anche un’altra possibilità operativa messa a disposizione dalla più recente letteratura di settore e che prende il nome di “Impronta Ecologica” 2. Si tratta di un nuovo indicatore che definisce per ciascuna persona residente e/o turistica quanta superficie del territorio è richiesta per produrre le risorse che consuma e per assimilare i rifiuti che essa stessa produce. Un’area quindi che sintetizza la quantità di spazio terrestre ed acquatico che ciascuna persona richiede per vivere al suo attuale tenore di vita. La misurazione è già stata effettuata per numerosi Stati tra i quali anche l’Italia; essa mostrano la sostanziale disparità di richieste di spazio da parte dei Paesi ricchi a discapito dei Paesi più poveri e nel contempo ci dice anche che se tutta la popolazione terrestre mantenesse i livelli di consumo e di produzione dei rifiuti pari a quella dei Paesi più sviluppati già oggi occorrerebbero tre sfere terresti per ottenere gli spazi necessari a creare le risorse necessarie a sostenere tali sistemi di vita. Un dato al tempo stesso interessante, ma anche piuttosto preoccupante che solleva numerosi interrogativi rispetto agli attuali modelli di sviluppo (particolarmente nei Paesi maggiormente cresciuti) sia economici che demografici. Modello di sviluppo quindi che risulta direttamente proporzionale alla crescita del valore dell’Impronta Ecologica. Per fare anche solo alcuni esempi è sufficiente ricordare il valore assunto dall’Impronta ecologica in alcuni Stati alla fine degli anni ’90 del secolo appena concluso per capire il grado di problematicità raggiunto da alcune realtà rispetto ai rispettivi territori nazionali. Se prendiamo come riferimento il Canada 3 Paese notoriamente poco affollato ma con situazioni climatiche al limite della coltivabilità, scopriamo tuttavia che possiede un valore dell’Impronta ecologica pari a 5 ettari per abitante (contro un territorio disponibile di 15 ettari/ab che tuttavia scende a valori di debito ecologico se utilizziamo la pura e semplice superficie realmente produttiva); gli Stati Uniti hanno una impronta di 9,6 ettari per abitante (contro i 5,5 ettari/ab disponibili dalle proprie superfici territoriali); in Germania l’impronta è pari a 4,6 ettari/ab contro gli 1,9 ettari/ab dovuti alla propria territorialità; gli olandesi si appropriano di 3,32 ettari pro-capite contro 0,23 ettari/ab del proprio territorio nazionale o di 0,15 ettari/ab se prendiamo in considerazione solo l’area ecologicamente produttiva; Dall’altro capo troviamo invece ad esempio l’India con un valore dell’impronta pari a 0,4 ettari/ab per una disponibilità pressoché analoga di superficie per abitante residente; per

2 M Wackernagel e W. E. Rees “L’Impronta Ecologica”, Edizioni Ambiente Srl, Milano, 2000. 3 Idem pagine 95 e segg.

20 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO l’intero mondo abbiamo un valore pari a 1,8 ettari/ab come bisogno, contro una disponibilità di circa 2 ettari/ab inserendovi anche le superfici acquatiche. Il nostro paese si trova in una posizione intermedia e pur appartenendo a quelli più sviluppati si trova con un debito ecologico pari a 2,7 ettari/ab dovuto ad un consumo pari 4,4 ettari/ab e ad una disponibilità di 1,5 ettari/ab. Al contrario l’Australia, pur appartenendo anch’essa al novero dei Paesi maggiormente industrializzati possiede un valore dell’impronta ecologica inferiore a quello posseduto in termini di superficie nazionale per abitante (3,74 ettari/ab contro i 30 ettari/ab) e quindi, almeno teoricamente, potrebbe fornire una parte di proprio territorio per coprire esigenze altrui. Un insieme di dati che ci permette quindi una prima valutazione sugli sprechi o meglio sugli eccessi nei consumi di alcune popolazioni a discapito di altre o ancora l’apparente situazione di indigenza di alcune connesse alla necessità di supportare il sovraconsumo di altre o almeno di talune altre. Una massa di notizie estremamente interessanti e fervide di potenzialità enunciative (semplicità di comunicare il concetto ed i risultati) ed esplicative (capacità di tradurre una situazione reale al tempo stesso piuttosto complessa), che riesce a anche a mettere in luce, pur sempre nei limiti di un valore aggregato onnicomprensivo che caratterizza formalmente l’Impronta Ecologica, un esito sintetico ma non per questo del tutto banale. L’interesse espresso dal mondo scientifico o almeno da una parte di esso (l’ambientalismo meno ideologizzato e radicale) è la dimostrazione più lampante del significato e del senso attribuito a questo indicatore ecologico e offre spunti di riflessione per ulteriori approfondimenti ed esperienze sul campo. La necessità per un pianificatore di dover operare in ambiti locali più ristretti rispetto a quelli nazionali solitamente studiati da coloro che si sono occupati fino ad ora dell’Impronta Ecologica, conduce verso traguardi immediati meno eclatanti. A chi scrive pare infatti che l’indicatore possieda ancora dei limiti applicativi man mano che si scende di scala, e tutto ciò principalmente per i seguenti motivi: a) a livello comunale la contabilità nazionale non sorregge con le dovute precisioni le esigenze conoscitive attribuibili ai consumi delle diverse comunità locali ed una loro riduzione attraverso meccanismi puramente statistici non appare sostenibile a livello scientifico. D’altro lato cercare di ricostruire la contabilità comunale attraverso forme diverse di acquisizione dei dati basandoci su indagini ad hoc pare altrettanto impercorribile se non a costi impossibili e secondo tempi impraticabili con la durata di una fase analitica di piano;

21 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO b) le materie che entrano nel conteggio finora proposto paiono lasciare ancora numerosi varchi inesplorati che se da un lato conducono solo ad una sottostima dei valori numerici che risultano dai calcoli, dall’altra lasciano aperti comunque dei varchi concettuali e dimensionali piuttosto vaghi e difficilmente accettabili per una conoscenza reale dei fenomeni di cui si sta trattando; c) l’indicatore mostra, come già accennato, notevoli opportunità esplicative, ma non altrettante opportunità sul versante propositivo per la pianificazione territoriale. Anche qualora si giungesse a definire un corretto valore dell’IE per una realtà comunale, quale concreta possibilità di incidere “positivamente” sugli esiti finali rimarrebbe al pianificatore ed al decisore pubblico? Ed a fronte di valori particolarmente elevati e con un deficit di territorio, è forse possibile incidere con la pianificazione territoriale su una o entrambe le componenti in gioco? La nostra impressione attuale pare essere assolutamente negativa; con le conoscenze attuali è infatti piuttosto improbabile che si possa incidere alla sola scala locale, specialmente quando si tratta di piccole realtà comunali periferiche rispetto alle singole città più o meno metropolitane. Come è pressoché impossibile incidere sui consumi individuali e come è pressoché impossibile incidere sulle produttività medie (colturali ed inquinanti) o sui processi tecnologici ed anche sul numero di abitanti complessivi (residenti e turisti) da consentire per un determinato territorio. Un insieme di limiti operativi rispetto alla caratteristica dell’indicatore ed alle esigenze della pianificazione, quindi, ci hanno condotto, per ora, ad un suo accantonamento temporaneo, lasciando tuttavia aperta ogni possibilità di valorizzazione negli ambiti opportuni e attendendone gli sviluppi e gli approfondimenti che ancora oggi gli fanno difetto alla scala di comunità locale. Dopo aver, seppur molto sinteticamente, riportato le motivazione che hanno portato il gruppo di lavoro ad abbandonare la strada intrapresa dall’Impronta Ecologica, non possiamo fare a meno di ricordare anche un altro indicatore ecologico-territoriale che pur non avendo ancora (per quanto a nostra conoscenza) uno stratificato bagaglio scientifico formalizzato, percorre tuttavia in forma più o meno trasversale molte se non tutte le dissertazioni riferite alla sostenibilità degli interventi e per quanto concerne gli ambiti più generali ciò che fa capo al cosiddetto sviluppo sostenibile. Si tratta della carrying capacity (letteralmente capacità di carico) e cioè la capacità di un territorio o di un ambiente o di un paesaggio a seconda di che cosa si sta trattando, di supportare e/o sopportare un determinato intervento o un insieme di interventi (nel caso della pianificazione ad esempio le previsioni del piano). Oppure se esaminata dal lato opposto si può anche definire come

22 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO il limite oltre il quale il consumo di risorse di un sistema ecologico determina una variazione di stato irreversibile o meno. Ebbene, se assumiamo come indicatore il numero di persone che un determinato sistema ecologico (ad esempio un territorio comunale che seppur aperto può essere considerato un ambito di un certo interesse) è in grado di sostenere (la carrying capacity appunto), scopriremo presto quanto ciò sia problematico. Prima di tutto in relazione alla difficoltà di determinare il peso ecologico della popolazione poiché esso “varia al variare di fattori quali il reddito medio pro-capite, le aspettative di consumo, il livello della tecnologia (cioè l’efficienza energetica e dei materiali): in pratica la carrying capacity dipende tanto dai fattori culturali quanto dalla produttività ecologica. In secondo luogo, l’economia globale fa sì che nessuna regione sia più isolabile: tutti hanno accesso alle risorse di tutto il mondo 4 e quindi diventa difficile se non impossibile stabilire un numero esatto di persone considerabile come massimo sostenibile. Al di là, quindi, della piacevolezza o meno di scegliere un termine o l’altro della questione (il numero delle persone o la superficie richiesta loro per vivere) sia la carrying capacity , sia l’impronta ecologica mostrano gli stessi limiti operativi ed è per questi motivi che per le ipotesi di sostenibilità relative al nostro lavoro abbiamo scelto e fatto ricorso alla Biopotenzialità Territoriale (Btc) un indicatore ecologico che invece pare possedere risvolti operativi di ben altra forza e facilità di essere utilizzato date le conoscenze in nostro possesso.

4 Idem pag. 68.

23 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3. IL SISTEMA NATURALE E AMBIENTALE

3.1 Il sistema delle risorse: territorio, ambiente e paesaggio

Quasi cinquant’anni di pianificazione attiva nel nostro paese hanno prodotto ben poche certezze e acquisizioni comuni nella comunità che appartiene in un modo o nell’altro alla casistica del planner . Questo fatto potrebbe essere anche preso come un aspetto non negativo se la mancanza di paradigmi condivisi lasciasse aperta una libertà d’azione basata su forti posizioni etiche ed altrettanto forti itinerari di ricerca sul campo. La realtà purtroppo non è questa ed allora ogni qualvolta si è costretti per motivi operativi ad affrontare temi tuttora connotati da rilevanti ambiguità, ci si rammarica di non poter usufruire di riferimenti chiari e certi in modo da poter dedicare il tempo a disposizione alla ricerca di soluzioni ai problemi reali piuttosto che dover “girovagare” attorno a problemi definitori o anche solo terminologici. Non occorre essere dei raffinati pensatori per intuire che comunque il problema di fondo non risiede solamente su questo aspetto e che, comunque, volenti o nolenti, una qualche attenuante alla improvvisazione terminologica permane e noi la sentiamo come una limitazione anche in questa occasione. E’ certo tuttavia che l’aspettarci definizioni valide una volta per tutte non è una possibilità vantaggiosa in assoluto, visto l’alternarsi delle posizioni culturali espresse dalle nostre generazioni e dal susseguirsi di acquisizioni che portano anch’esse a maggiori conoscenze, le quali direttamente o indirettamente finiscono per produrre ulteriori significati e attribuzioni di senso. La necessità se non l’obbligo a dover ripercorrere tappe solo apparentemente confermate, rimane quindi un compito ineludibile e anche in questo caso cercheremo di affrontarlo come un passaggio importante e forse fervido di innovazioni (almeno a noi sembrano tali) o perlomeno tentativi verso quella direzione. Tre termini rappresentano la sintesi di molteplici teorizzazioni che hanno percorso l’intero arco disciplinare degli ultimi trent’anni: territorio , ambiente , paesaggio . Ciascuno di essi rappresenta quindi non solo il “prodotto” culturale che gli dovrebbe essere proprio, ma anche tutta una serie di sovrastrutture concettuali ed ideologiche attribuitegli nell’applicazione corrente in ragione del diverso e maggiore significato che una determinata “posizione” ha espresso in quel particolare periodo. Sovente invece, sul versante opposto dell’approfondimento, troviamo gli stessi termini usati impropriamente

24 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO come sinonimi uno dell’altro per significare lo stesso concetto. E’ anche per non incorrere in questo pericolo, peraltro piuttosto usuale nell’esercizio di discipline contermini ai campi della progettazione urbanistica, che abbiamo cercato se non di fare chiarezza in generale, almeno di tentarla nella pratica del presente lavoro. Con molta probabilità riusciremo almeno a rendere più comprensibile il lavoro teorico che abbiamo tentato di effettuare coi piani di Polinago. Che cosa abbia significato il termine territorio negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo è materia ancora particolarmente recente per essere data per acquisita da tutti ed una breve sintesi pare quindi opportuna: in quegli anni il territorio era il tutto spaziale, una gigantesca veste che ricopriva la conoscenza e l’ideologia e sotto le cui vestigia si sono formate intere generazioni di planners . Poi, man mano che il tempo trascorreva, con l’assottigliarsi dell’ideologia, anche il significato attribuito al termine si è ridotto fino a ricomprendere quasi solo l’ambito di una entità territoriale di tipo amministrativo o giuridico: in pochi anni il sostantivo onnicomprensivo ed onnivoro è stato rielaborato concettualmente comparendo ormai, oltre il significato di ambito più o meno amministrativo, solo in alcune rielaborazioni storiche o per mano di qualche appassionato revival. Il termine ambiente ha subito il processo inverso e ora ha preso il posto di “territorio” e ormai viene usato per esprimere qualsiasi “oggetto” spaziale o territoriale (oltre a quanto di stretta competenza etimologica). Competenza che, per quanto ci riguarda, investe l’insieme delle condizioni sociali, culturali ed ecologiche che hanno influenza sull’organismo o sugli organismi cui ci si riferisce. Il termine paesaggio dopo essere appartenuto quasi esclusivamente al terreno della geografia (le sue origini sono diverse, ma non territoriali/spaziali), a far data dalla metà degli anni Ottanta del XX secolo, ha invaso il campo della pianificazione divenendo un pilastro di una specifica fattispecie progettuale. Sia sul versante della conoscenza che sul versante del progetto si sono definiti diversi approcci con numerose sfaccettature concettuali. E’ quindi possibile suddividere i due aspetti in modo da offrire un panorama sufficientemente articolato delle rispettive problematiche, visto anche che nel proseguo del lavoro abbiamo pervaso il testo descrittivo di questo termine e c’è necessità di puntualizzazioni più precise rispetto agli altri. La prima operazione concettuale del nuovo approccio conoscitivo riguarda la individuazione del paesaggio e delle sue cosiddette unità rappresentative, laddove esistenti, a cui diamo normalmente il nome di Unità di paesaggio. Con questa scelta si

25 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO aprono almeno due ordini di problemi concettuali individuabili nei termini paesaggio e Unità di paesaggio . Per il primo termine i riferimenti sono ormai innumerevoli anche nel nostro paese al punto tale che attualmente pare esservi più sovrabbondanza di posizioni che certezze e concordanze. In brevissima sintesi si può affermare che allo stato dei fatti esistono due grandi correnti di pensiero: una che privilegia gli aspetti culturali, l’altra che pone attenzione quasi esclusiva verso gli aspetti naturalistici ed ecologici. Tutt’intorno uno sciame di posizioni intermedie e collaterali che cercano di specificare un qualche elemento a favore di una qualche particolarità, ma senza aggiungere molto alla dicotomia che si è andata consolidando. Un giudizio, quest’ultimo, ovviamente molto grossolano e accettabile solamente se si condivide la finalità non analitica e non filosofica del presente lavoro. Ma la comunità scientifica sul tema pare disperdersi sempre più ed allo stato delle cose risultano sfaccettature e particolarismi di tale rilevanza che non portano ad alcunché di comunemente accettato. E’ anche per tali motivi che si punterà nel proseguo del lavoro su quelle posizioni che appaiono maggiormente convincenti nel rispetto delle posizioni altrui anche se ovviamente piuttosto diverse dalle nostre. Mantenendo tale forzata precisazione è invece possibile accomunare in una visione unitaria entrambe le due posizioni estreme precedentemente richiamate e posizionarsi baricentricamente tra esse. Con ciò non si vuole assolutamente porsi banalmente nel mezzo sapendo di non scontentare nessuno, quanto, piuttosto trovare un soddisfacente equilibrio tra elementi che a nostro avviso sussistono in contemporanea quanto trattiamo di paesaggio: dipende solo da quello che vogliamo definire ed a quali finalità operative vogliamo giungere. Il paesaggio è un sistema ecologico complesso ed è dovuto in parte all’azione climatica sugli elementi geologici ed all’azione dell’uomo sugli stessi elementi geologici superficiali e sulla vegetazione. Come dell’uomo è la percezione del paesaggio. Senza tale percezione, infatti, comprensiva peraltro di tutte le sue valenze estetiche che si porta necessariamente appresso, probabilmente, si dovrebbe parlare di qualcosa d’altro e non certo di paesaggio. Una distinzione appare comunque necessaria e riguarda la differenza tra immagine di paesaggio e paesaggio. Tra le innumerevoli definizioni che ormai possono essere ricordate e riprese, risulta spesso ricorrente l’uso sovrapposto dei due termini, ritenendoli in una qualche misura la stessa cosa: “(…) il termine è difficile da definire poiché rappresenta al tempo stesso paesaggio ed immagine dello stesso (…)” . Siamo convinti invece che tra i due termini, anche quando si riferiscano allo stesso “oggetto”, possano e

26 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO debbano esistere delle autonome specificità a meno che non si stia intendendo il Paesaggio come una entità metafisica a cui dedicare definizioni onnicomprensive. Se per paesaggio intendiamo invece un qualche ambito da interpretare e da descrivere non possiamo fare a meno di dover fare una scelta di campo attribuendo al termine immagine (del paesaggio) solo una valenza temporale e spaziale ben definita, mentre “all’oggetto in questione” possiamo attribuire un significato più generale. Spieghiamoci meglio con degli esempi concreti. Ponendoci di fronte ad un determinato paesaggio prendiamo ad esempio proprio quello di Polinago della vallata della Rossenna. E’ una bella mattina primaverile, il cielo è terso, stiamo osservando la configurazione del paesaggio posti in cima al crinale opposto. L’immagine che percepiamo da quella posizione frontale pare corrispondere al paesaggio che stiamo analizzando, tutto lo lascia presumere; muovendo la testa e girando lo sguardo cogliamo un paesaggio sufficientemente omogeneo pur con tutte le differenze del caso (diversità degli ecomosaici). E’ però sufficiente spostarci di qualche centinaia di metri, anche mantenendoci paralleli alla valle come eravamo in precedenza, per scorgere notevoli diversità: l’immagine è mutata, mentre il paesaggio inteso come insieme di ecosistemi continua a mostrarsi con tutta la sua forza espressiva; anzi, facilitando la cognizione di alcuni particolari prima invisibili e permettendoci quindi di aggiungere informazioni a quella già ottenute dalla prima analisi, riesce ad accrescere le nostre conoscenze su di esso. Torniamo al primo punto d’osservazione dopo qualche ora: siamo all’imbrunire, lo spettacolo è sempre maestoso, il paesaggio assume espressioni particolari che aggiungono ulteriori informazioni all’osservatore, ma è ancora quello della mattinata, riconoscibilissimo e solo più familiare. L’immagine invece, no. Essa è cambiata ancora una volta: l’accensione dei lampioni nei piccoli borghi, i fari delle auto che tracciano piccoli raggi lungo le strade, le masse delle montagne che si stagliano sull’orizzonte ormai spento, determinano una scena del tutto nuova, non priva di suggestioni e stimoli visivi per forza inferiori o meno interessanti di quelli percepiti durante la mattinata, ma comunque diversi. Ciò è riscontrabile con ancora maggiore enfasi se torniamo nei due posti durante l’inverno nevoso: l’immagine sarà ancora diversa, ma il paesaggio di questa bellissima valle ripropone sé stesso pur con espressioni diverse rispetto alla primavera. La parte del paesaggio di Polinago preso in esame rimane quella parte del paesaggio di Polinago e non un’altra. Pertanto, per quanto ammesso da queste brevi note, è possibile trarre alcune indicazioni: l’immagine ed il paesaggio coincidono solo durante una visione statica legata ad un solo punto di osservazione.

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Negli altri casi, invece, pur rimanendovi una sovrapposizione legata a quel determinato punto di osservazione, si perdono comunque i riferimenti alle immagini precedenti che rimangono comunque differenti. Nella variazione di posizione quel paesaggio invece o continua a rimanere lo stesso o mostra delle variazioni, ma solo perché è cambiato o sta per cambiare. E’ sempre possibile infatti che ci si imbatta in un ecotono (entità di passaggio non sempre chiara tra un sistema ecologico ed un altro), ma questo è un caso particolare e non lo riprendiamo per non creare confusione a coloro che cercheranno di “intuire” quanto andiamo dicendo. Concludendo questa breve dissertazione possiamo dire che l’immagine di paesaggio rappresenta di volta in volta (a seconda del punto di osservazione) quel paesaggio, ma non il paesaggio di quel contesto. Tanta confusione nel passato è stata determinata proprio da questa sovrapposizione che ha permesso di volta in volta di valorizzare termini quali veduta e panorama, ma ha generato nel contempo anche tanta confusione sul versante prettamente paesistico. Se sono vere le considerazioni espresse più sopra, allora potrebbe essere possibile trovare una qualche forma di accordo e parlare di paesaggio sia in senso ecologico (perché più semplice da riconoscere e da studiare in quanto entità specifica), sia in senso culturale esteso (poiché il paesaggio in larghissima parte è un prodotto dell’attività umana specialmente in Italia) e sia in senso culturale più limitato (poiché l’interpretazione e la successiva comunicazione sono il frutto della conoscenza, delle capacità e delle sensazioni dell’osservatore). Con il termine Unità di paesaggio , pur con tutti i problemi di definizione individuati in letteratura (Romani 1994, Gambino 1995 e 1996), si intende un ambito paesistico che mostra particolari aspetti di consocianza e di omogeneità nelle forme esplicite evidenti e nel comportamento ecologico. Parti di paesaggio, quindi, che evidenziano particolarità tali da non richiedere un riconoscimento autonomo con la valenza di Paesaggio nella sua interezza e molteplicità. Ma anche qualcosa di più di un solo ecosistema che ritrova a quella scala una sua espressività autonoma. In sintesi, un sistema di ecosistemi con solo alcune specificità zonali diverse da altre ad esso contigue che, pur convivendo all’interno dello stesso paesaggio, per una qualche finalità descrittiva o programmatoria, richiede una considerazione autonoma ed eventualmente una particolare forma di azione decisionale diversa da quelle limitrofe. Non bisogna dimenticare che Forman e Godron nel loro ormai famoso “Landscape Ecology” indicano ciascun paesaggio per mezzo di quattro caratteristiche imprescindibili: a) il raggruppamento di ecosistemi; b) il flusso di interrelazioni tra ecosistemi di ogni

28 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO raggruppamento; c) la geomorfologia ed il clima; d) l’insieme dei regimi di perturbazione. Le quali caratteristiche risultano identificabili soltanto attraverso una attenta valutazione delle componenti e degli elementi alla grande scala, che tuttavia non è stata raggiunta interamente nel presente caso di studio. L’analisi ha comunque fornito un patrimonio interessante di conoscenze per il lavoro da compiersi poiché ha permesso di individuare diversi tipi di Paesaggio. La riduzione ottenuta non ha comunque sbilanciato i riferimenti poiché si è ritenuto che le Unità di Paesaggio rilevate, facenti parte o meno di raggruppamenti (paesaggi) diversi, costituiscano in ogni caso delle entità rilevanti per la identificazione delle sensibilità paesistica necessaria per approntare un esperimento concreto di pianificazione. Definiti gli ambiti concettuali/culturali a cui si è ritenuto riferirsi è stato necessario predisporre le modalità operative che hanno permesso di individuare fisicamente a livello spaziale i diversi sistemi di ecosistemi che caratterizzano l’area esaminata. Merita tuttavia di essere ricordato che anche rispetto a questo specifico argomento non è che vi sia una consolidata comunanza di pensiero ed anzi le proposte finora all’attenzione della comunità scientifica oltre che non numerose, appaiono non del tutto soddisfacenti. Certamente il tentativo di forzare l’analisi e la conseguente sintesi operativa verso una individuazione precisa di tipo areale di un oggetto così “sdrucciolevole”, è in ogni caso un’operazione difficoltosa e non priva di ostacoli evidenti e non. Il risultato di tale costruzione appare invece molto fertile dal punto di vista pratico/operativo ed al termine di ogni considerazione critica spinge poi, tutti coloro che debbono confrontarsi con la necessità di ottenere dei risultati concreti, a ricercarne una qualche forma convincente di rappresentazione per le finalità che ci si è posti. Dato per accettato che l’atteggiamento culturale deve rimanere quello riferito al riconoscimento ed alla individuazione di relazioni tra ecosistemi, come dato per accettato dovrebbe essere il fatto che gli ambiti di passaggio da un sistema all’altro non sono quasi mai né evidenti né precisi, è comunque sicuro che una qualche approssimazione debba essere non solo attesa, ma anche accettata. È risaputo dall’ecologia che gli ambiti di transizione (ecotoni) rappresentano essi stessi dei domini dotati di particolare autonomia che meriterebbero di essere studiati ed approfonditi; il considerarli invece come luoghi di “rottura” e di separazione costituisce di per sé una semplificazione ed una approssimazione che richiede grande attenzione, sensibilità ed esperienza per non cadere in errori di valutazione. Una soluzione adottabile al fine di superare tali limitazioni è quella di ricorrere a metodi di rappresentazione alla piccola scala (minimo 1:25000). In questa maniera, infatti, molte delle delimitazioni che si definiscono alla scala di dettaglio

29 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO vengono assorbite dal disegno e quindi tutte le conseguenti imprecisioni acquistano una accettabilità precedentemente imprevedibile: l’esattezza perde il suo valore originario diventando meno rilevante il luogo della scansione assoluta tra due domini, poiché ciascuno può incorporare lungo il rispettivo perimetro esterno anche le condizioni ecotonali dell’altro. I due metodi che a noi paiono meritevoli di segnalazione si pongono l’obiettivo di individuare i confini areali utilizzando limiti fisiografici e vegetazionali. In un caso, attingendo direttamente dai confini dei bacini orografici facilmente identificabili in ogni cartografia (si veda ad esempio il “Documento Preliminare al Piano di Coordinamento Provinciale” di Perugia) nell’altro, individuando bacini visivi attraverso sopralluoghi diretti (si veda ad esempio il Piano Paesistico della Regione Basilicata). Ebbene: entrambi i metodi, pur apprezzabili da tanti punti di vista, finiscono per individuare i confini areali quasi esclusivamente nei crinali. Mentre il risultato raggiunto con la nostra esperienza diretta ci porta a sostenere la non accettabilità delle suddette determinazioni poiché il crinale nella storia dell’intervento antropico del nostro paese ha sempre rappresentato un luogo di azione più che un ambito di delimitazione; conseguentemente attorno ad esso si è “costruito” e non separato. Tranne i casi dei grandi crinali principali dell’Appennino o della montagna alpina che mostrano diversità parziali almeno tra un versante e l’altro, nella stragrande maggioranza degli altri casi il crinale è luogo antropizzato con marginali differenze tra un versante e l’altro, rispetto al tema affrontato. Tagliare una Unità di paesaggio sul crinale rischia pertanto di portare ad errori interpretativi non accettabili. Il metodo da noi proposto utilizzando l’approccio visivo diretto non si pone obbiettivi di confinazione a priori, ma attraverso un percorso di lettura e rilettura critica delle componenti naturali e degli elementi “costruiti” dalla mano dell’uomo nel corso del tempo (tessere) presi singolarmente e poi esaminati nelle relazioni reciproche (mosaico), permette di giungere alla individuazione voluta, favoriti da un percorso/processo che si definisce e si affina man mano che si aggiungono informazioni e conoscenze. Il processo naturalmente risulta molto più lungo e difficoltoso di quello tradizionale derivato dall’esame cartografico o da altro sistema deduttivo. Esso richiede molti spostamenti per osservare dai diversi punti di vista le diverse situazioni e richiede anche molte conoscenze extra disciplinari non sempre disponibili nell’immediatezza dell’osservazione. Ciò provoca la necessità di ulteriori ripetuti sopralluoghi e riaffinamenti delle prime determinazioni, sovente problematici per i tempi ed i costi dell’operazione. Ma a parte queste ultime considerazioni poco rilevanti per quanto stiamo dicendo, con il

30 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO procedimento precedentemente delineato anche l’esito finisce per diventare sempre più convincente ed alfine più soddisfacente.

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3.1.1 Il paesaggio alla scala territoriale

Come detto in precedenza l’operazione di riconoscimento del paesaggio rappresenta un atto che appare ormai indispensabile per le susseguenti fasi operative della pianificazione, anche se esso risulta spesso piuttosto complicato. Al fine di rendere più chiara la comprensione del metodo utilizzato, di seguito, cercheremo di descrivere le operazioni che abbiamo compiuto in un complesso lavoro di aggiustamento successivo effettuato nel corso di numerosi sopralluoghi diretti. Come premessa generale appare importante definire il contesto paesistico generale a cui appartengono gli ambiti inscritti nel territorio comunale di Polinago: siamo nel quadrante Sud della Provincia di Modena, si tratta quindi di un paesaggio di alta collina con punte di grado anche montagnoso (oltre i 1000 msl). Definire la linea di demarcazione anche solo tra le suddette due entità (alta collina e montagna) pare compito piuttosto arduo per la geografia, figuriamoci quindi quanto possa esserlo per coloro che cercano di affrontare tale “missione” con un nuovo approccio intepretativo. Lasceremo pertanto da parte classificazioni di tipo orografico o altimetrico per concentrare l’attenzione sulle questioni attinenti il nostro particolare modo di “percepire” e riconoscere il paesaggio, cercando di trovare all’interno del metodo gli eventuali chiarimenti concettuali. Si ritiene che il riconoscimento dei paesaggi possa avvenire solo partendo dalla grande scala. Sfortunatamente però la “lettura” alla grande scala è sfavorita dalla rilevanza delle operazioni necessarie per la corretta esecuzione dell’operazione di identificazione. Infatti, quando si deve elaborare un strumento urbanistico come ad esempio un Piano Strutturale Comunale, con tutte le implicazioni statutarie che ciò comporta, l’attenzione e le analisi vengono condotte solo sull’interno del territorio comunale e così facendo si lasciano risorse e tempi residuali per tutto ciò che concerne l’esterno. In questo lavoro, pur consapevoli di tale limitazione operativa (tempi e risorse) abbiamo comunque cercato di allargare anche oltre i confini comunali le nostre considerazioni, riuscendo a realizzare un primo tentativo di interpretazione dei paesaggi esistenti alla grande scala. Con ciò non riusciremo a racchiudere i diversi ambiti paesistici in perimetri areali adeguatamente circoscritti, comunque un qualche passo nella direzione del riconoscimento dei tipi lo abbiamo compiuto e quindi lo sottoporremo a verifica. In questo quadrante del territorio provinciale gli elementi morfologici giocano un ruolo fondativo di considerevole spessore. Forse varrà per tanti altri casi, ma è indubitabile che

32 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO nella realtà in esame la presenza di due invadenti formazioni geologiche (quella arenacea e quella argillosa che gli sta di sotto) determinano varietà assolutamente riconoscibili. Nel quadrante Sud del territorio provinciale quindi si presentano paesaggi intervallati dai corsi d’acqua e caratterizzati da morfologie ricorrenti che mostrano nel loro intercedere una stretta analogia con la figura del “pettine” il cui “corpo” è rappresentato dal crinale principale che corre in direzione Est-Ovest, di separazione della Toscana dall’Emilia- Romagna; mentre i crinali secondari, che corrono in direzione ortogonale al principale (Nord-Sud), tracciano un andamento corrispondente a quello dei “denti” del suddetto “pettine”. La forma del territorio comunale è quasi ellissoidale con una inclinazione di circa quaranta gradi rispetto al Nord terrestre. Il fiume Rossenna rappresenta il corso fluviale principale e taglia da sud a nord l’intero territorio comunale: entra all’interno del Comune nei pressi di Brandola, passa nelle vicinanze del capoluogo comunale, bagna la frazione di Gombola ed infine esce dal territorio in esame dopo aver toccato Talbignano. Nel paragrafo seguente descriveremo il Paesaggio di Polinago, pur consapevoli che nel territorio comunale non rimane incluso l’intero areale appartenente al tipo paesistico identificato nel presente lavoro. Questo paesaggio, infatti, scavalca i confini comunali sia in direzione Sud che in direzione Est-Ovest, incuneandosi apertamente nei territori di , Prignano, e .

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3.1.2 Il paesaggio locale

A questo punto, tornando alla questione del riconoscimento paesistico, non si può fare a meno di evitare la domanda sull’esistenza o meno, all’interno dei “tipi” finora descritti, di parti connotate da specifiche caratteristiche che richiedano una autonoma identificazione, per una qualche ragione interpretativa. Ciò potrebbe essere necessario qualora una porzione del paesaggio esaminato mostri caratteri “speciali” tali da differenziare in qualche misura le “ricorrenze” individuate sull’intero; appare congruente con il percorso di “costruzione” ed interpretazione che si sta proponendo che la identificazione di una qualche specificità possa portare ad almeno due differenti risposte: (i) l’ambito mostra solo alcuni caratteri “esemplari” che si miscelano con gli altri dell’intorno riconosciuti come componenti essenziali del paesaggio in osservazione; (ii) l’ambito mostra caratteri “esemplari” che si differenziano dall’intorno in modo determinante e selettivo. Nel primo caso saremo di fronte ad una Unità del “nostro” paesaggio ed in ragione di una qualche esigenza operativa potremmo anche identificarla e cartografarla in maniera autonoma. Nel secondo caso, invece, saremo di fronte ad una Unità appartenente ad un altro paesaggio ed in questa eventualità, qualora l’ambito ricadesse all’interno dell’area di studio, sarebbe proprio opportuno che essa venisse chiaramente identificata e cartografata per non incorrere in errori di valutazione o in omogeneizzazioni interpretative spesso controproducenti. Infatti, se partiamo dall’ipotesi che il paesaggio rappresenti almeno convenzionalmente un unicum è sempre possibile che una “lingua” di un altro paesaggio sia incuneata nel “nostro” e, conseguentemente, diventi opportuno segnalarne la presenza al fine di definire una “azione” congruente con la diversità identificata. Non accorgersi di queste differenze significa non tenere conto di un certo numero di opportunità progettuali. Tutto ciò potrebbe anche non essere un aspetto negativo visto quanto è accaduto fino ad ora, poiché raramente o quasi mai, nella pianificazione, si è tenuto conto delle suddette particolarità; ma noi pensiamo che possa essere vero anche l’opposto ed anzi, il non tenerne conto possa venire considerata come una delle principali motivazioni che hanno determinato l’insuccesso di molti piani del passato. Tuttavia, queste considerazioni rischiano di aprire un versante di analisi del tutto diverso da quello che stiamo affrontando e pertanto riteniamo di escluderlo dai ragionamenti del presente lavoro . Come già anticipato, pur nella varietà dei tipi ecologici mostrati dall’analisi del territorio preso in considerazione che ha coinvolto l’intero areale comunale e si è prolungato ben

34 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO oltre i confini, non siamo tuttavia riusciti a definire un unico paesaggio rappresentato nella sua totale interezza. Nell’ambito territoriale del Comune di Polinago, infatti, abbiamo potuto riscontrare almeno quattro sistemi paesistici: quello formato dai banchi arenacei posti a Sud del capoluogo (Unità di Paesaggio n°1) e alla base del Castello d i Gombola (Unità di Paesaggio n°3), quello delle argille scagliose situato sulla destra idrografica del Torrente Rossenna dalla frazione di Gombola a quella di Talbignano (Unità di Paesaggio n°4) ed infine quello rappresentato dall’alternanza tra i campi aperti e le macchie boscate del resto del territorio comunale (Unità di Paesaggio n°2). La prima unità di paesaggio è contrassegnata da forti asperità che tagliano l’orizzonte e discendono con pendenze elevate fino ai fondovalle nei quali si raccolgono e vengono convogliate le acque meteoriche. Il terreno è quasi completamente coperto da un manto boschivo nel quale predominano, alle quote più alte, le faggete e i querceti mentre i castagneti sono maggiormente rappresentati ad altitudini inferiori; il bosco compare anche nelle zone di crinale e nelle selle che congiungono una cima ad un'altra: solo laddove l’inclinazione del versante è totale (quasi verticale) e senza soprassuolo alcuno, vi è anche la possibilità di cogliere gli strati nudi della formazione arenacea con le sue bancate possenti e ripetute. Le poche zone libere dal bosco hanno sovente una forma sfaccettata, di forma allungata e si distendono di solito dal crinale verso il fondovalle o si dispongono parallelamente alle isoipse del terreno; spesso sono anche le aree che nel contesto esaminato presentano un'acclività minore del terreno e ciò fa sì che storicamente su questi appezzamenti si siano concentrate le attività principali dell'uomo. Infatti, in questi ambiti si ritrovano spesso borghi sparsi o case isolate e si rileva ancora una superstite attività agricola basata sulle colture a seminativo e del prato stabile. In effetti, la copertura quasi completa dei terreni più alti risulta una novità recente poiché nel passato i terreni di vetta erano lasciati al pascolo così come in molte altre parti d’Italia dove è ancora possibile vedere questo tipo di rappresentazione. In questa unità di Paesaggio, la viabilità esistente assume spesso un carattere storico e collega i pochi insediamenti umani, la maggior parte dei quali si trova disposta lungo la linea di mezzacosta del versante. In effetti, gli abitati storici, nel loro insieme, offrono la medesima posizione delle strade e si susseguono lungo queste come un rosario con i suoi grani; risultano scarse le case sparse, rintracciabili comunque nella presenza di qualche essiccatoio per le castagne o in qualche deposito per il legname. La maggioranza delle costruzioni, risultando da epoche piuttosto antiche, rendono ora difficile la spiegazione delle motivazioni insediative d’origine; ma osservando la loro posizione non si

35 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO può fare a meno di ipotizzare una stretta aderenza alle morfologie dei suoli, che al loro ammorbidirsi rendevano più facili le localizzazioni abitative insieme alle prime edificazioni produttive primarie e secondarie, particolarmente laddove si voleva o si era costretti a edificare insieme ad altri. L’uso dei materiali locali giustamente idonei alle funzioni statiche delle costruzioni caratterizzano ancora l’immagine dei fabbricati anche se successivi intonacamenti e ricoperture hanno alterato i cromatismi originari. Laddove ancora sussistono in forma d’origine, invece, mostrano un’omogeneità che li rende ancora meno individuabili in mezzo alle ormai prossime coltri boscate. E’ presumibile che anche le fonti d’acqua che escono spesso copiose dalle bancate arenacee abbiano svolto un ruolo non secondario, proponendo risorse facilmente acquisibili senza rilevanti spostamenti. Ultima ma non meno importante tra le motivazioni che hanno portato allo specifico milieu di Polinago per la scelta della posizione individuale e di relazione dei singoli nuclei, può essere individuata la particolare esposizione del versante rispetto ai punti cardinali. Non può passare inosservata infatti la preferenza assegnata al Sud certamente determinante in un contesto fortemente condizionato dalle situazioni climatiche. Le differenze stagionali si colgono con tratti molto marcati: il verde tenue della primavera si arricchisce di densità più scure nei periodi estivi; l’autunno ingiallisce e arrossisce i boschi in attesa del bianco invernale, colore che si sporca con il sopraggiungere della primavera. La seconda unità di paesaggio (per intenderci, quello delle marne) è quella che assume l'estensione maggiore nel territorio comunale di Polinago e probabilmente conferisce l'identità più marcata all'immagine dell'area stessa. L'ambito è caratterizzato da un'alternanza di colline di forma arrotondata con pendenze dei versanti attenuate e separate tra esse da piccoli fossi che confluiscono a valle nel torrente Rossenna e nel Rio Torello. In termini generali, nell'unità di Paesaggio n°2 la composizione degli spazi aperti prevede un giusto equilibrio tra pieni e vuoti che dà origine ad un mosaico composto da tessere di diversa forma e dimensione. Supponiamo di analizzare l'unità di paesaggio camminando lungo la strada principale di mezzacosta che taglia il fianco della montagna: nella frazione di Talbignano Ponte o nelle zone di fondovalle dove la pendenza del suolo è modesta prevale il campo aperto; gli appezzamenti di terreno assumono generalmente una forma geometrica, con i lati del campo di lunghezza equiparabile e sono sovente intervallati da filari di siepi o di alberi che spesso si dispongono perpendicolarmente alle curve di livello del terreno. Le pratiche colturali più presenti sono quelle a seminativo o a prato stabile; le dimensioni dei campi e le scarse pendenze permettono un utilizzo intensivo dei terreni. Nelle posizioni più soleggiate è possibile cogliere anche la presenza di filari d'uva e di frutteti, spesso coltivati per soddisfare la domanda locale. Le zone

36 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO d'alveo del torrente Rossenna o quelle prospicienti i numerosi fossi che intercalano il paesaggio sono occupate dalle superstiti formazioni boschive; queste macchie verdi sono molto importanti dal punto di vista ambientale perché insieme al reticolo costituito dalle siepi e dai filari alberati, di cui si è già parlato precedentemente, costituiscono dei corridoi ecologici di sosta e di passaggio per la fauna locale e quindi contribuiscono all'arricchimento della biodiversità locale. D'altra parte, questa è anche la zona del territorio comunale che in tempi recenti ha conosciuto i maggiori fenomeni di antropizzazione: è qui che si trovano i pochi insediamenti produttivi ed artigianali dell'intero comune. Gli insediamenti umani presenti, anche di carattere storico, sono in questa zona dispersi sul territorio a formare piccoli borghi di carattere agricolo o in case sparse: l'unico vincolo all'edificazione è dato dalla presenza di frane storiche e dalla vicinanza del fiume. In molti casi gli edifici storici ancora presenti, dato il costante utilizzo dell'uomo, hanno subito degli adattamenti che spesso hanno modificato anche pesantemente i caratteri originari, dando luogo ad una serie di agglomerati di case che ormai non presentano più un vero interesse architettonico (come è ad esempio il caso delle frazioni di Talbignano Ponte o di Cassano). Proseguendo sulla strada si giunge nella frazione di San Martino: in questo ambito territoriale le pendenze del terreno si inaspriscono, le particelle coltivate assumono una forma più allungata e di forma irregolare adattandosi alla forma accidentata del terreno; la copertura del manto boschivo tende ad allargarsi occupando le zone più pendenti. In pratica, rispetto alle zone altimetricamente inferiori della stessa unità di paesaggio, si ha una crescita della porzione a bosco rispetto a quella dedicata alla pratica colturale. Dal punto di vista dell'utilizzo del terreno agricolo prevale il prato stabile sulla coltivazione a seminativo ed è possibile cogliere anche la presenza di piccoli allevamenti bovini, di solito a conduzione famigliare. Una caratteristica peculiare di questa frazione è data dagli insediamenti umani, dislocati in piccoli nuclei distesi lungo la principale strada di mezzacosta, borghi che presentano sovente una forma molto compatta e una buona omogeneità dal punto di vista delle tipologie architettoniche (fra questi, occorre menzionare i nuclei di Ca' Barbino, San Martino e Poggio): alcuni di questi sono ancora dotati di edifici a torre, posti a guardia della antica strada di accesso alla valle (come Ca' Rossi). Scarsi gli edifici sparsi, molti dei quali costituiti da essiccatoi per le castagne o da altri edifici di servizio per l'agricoltura. E' un'unità dove il segno dell'uomo si coglie in maniera marcata e ha plasmato in maniera decisiva l'aspetto del territorio. La terza unità di paesaggio è individuata nella frazione di Gombola: situata a Nord del territorio di Polinago, chiude la vallata del Rossenna e rappresenta una piccola enclave,

37 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO circondato com'è dalle unità di paesaggio n°1 e n°4 che la circoscrivono. Dal punto di vista dell'estensione territoriale rappresenta l'unità di minori dimensioni, ma questo non deve far pensare che a livello ecologico abbia meno importanza delle altre. Probabilmente è l'unità paesistica che presenta il carattere di maggior omogeneità: il suolo, costituito da una successione di banchi arenacei, assume per la quasi totalità dell'ambito pendenze molto elevate, in qualche occasione anche a carattere di strapiombo come nel caso della rupe che sovrasta l'abitato di Ponte Gombola posto sul fondovalle del Rossenna. Gli aspri pendii sono percorsi da piccoli rii che tagliano i fianchi della montagna e ne modellano l'orografia; il terreno è completamente coperto da boschi, spesso costituiti da querceti alternati a faggete. Se si osserva l'Unità dalla vallata posta sulla destra idrografica del Rossenna, l'unica eccezione alla copertura boschiva è rappresentata dalla testimonianza di antichi movimenti franosi, che hanno aperto sottili squarci di colore più tenue posti perpendicolarmente alle isoipse del terreno. L'unico nucleo d'interesse storico è rappresentato dal borgo del Castello di Gombola il quale, sovrastando il fondovalle, ne permetteva una efficace difesa dagli attacchi. Un'infrastruttura viaria collega l'antico castello all'abitato di Ponte Gombola lungo un percorso di crinale abbastanza ripido. Quasi assenti gli edifici sparsi, spesso riconducibili a piccole aziende agricole di recente insediamento. La quarta ed ultima unità di paesaggio individuata nel territorio di Polinago è quello caratterizzata dalle argille scagliose e presenta conseguentemente un'acclività dei suoli abbastanza dolce: le colline arrotondate presentano una predominanza degli spazi aperti separati tra loro da siepi che spesso si affiancano a fossi di piccole dimensioni. Ad equilibrare il paesaggio concorrono qua e là piccoli gruppi di querce o di pioppi neri, che tingono a macchia di leopardo il terreno. Se con l’analisi si entra ad una scala di dettaglio, si può desumere un’alternanza dei campi coltivati alle aree instabili, nelle quali è spesso possibile cogliere i movimenti franosi quiescenti o in essere. Anche dal punto vegetazionale è possibile individuare delle alternanze tra la copertura arborea tipica dei terreni argillosi, costituita da macchie di querce, lecci, ginepri e ginestre, con la vegetazione pioniera che insiste sui terreni di frana come quella costituita da arbusti a basso fusto e rovi. Dal punto di vista dello sfruttamento agricolo, in questo ambito sono predominanti i prati stabili e i terreni a pascolo e la maggior parte degli allevamenti zootecnici ancora presenti nel territorio comunale insistono in questa unità. Sicuramente è l'ambito che assume con maggior evidenza l'aspetto di campagna antropizzata. Qui gli insediamenti umani danno vita a figurazioni molto variegate e discontinue: le strade si muovono con andamenti sinuosi e curvilinei per risalire le quote altimetriche;

38 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO l’edificazione si dilata per dare vita ad un insediamento diffuso e parcellizzato vincolato dalle limitazioni orografiche e della stabilità dei versanti più o meno minuti; la regolarità delle costruzioni più recenti si frammista a quella spontanea dei precedenti nuclei storici dando luogo ad un rilevante allargamento dei territori urbanizzati. Del resto, (e questo appunto è possibile farlo probabilmente anche per l'Unità di Paesaggio n°2), la “campagna urbanizzata”, che cost ituisce il riferimento culturale apparentemente più prossimo, non può comunque divenire la metafora appropriata per questi luoghi, poiché una matrice autonoma, del tutto diversa da quella di pianura classica, ha dato vita alla forma attuale che per essere compresa ed interpretata richiede atteggiamenti del tutto autonomi e riferiti alla specifica realtà. Nulla di estremamente difficile o impossibile, certo, ma particolare e specifico da richiedere un impegno per nulla definibile come scontato. La particolarità dell’insediamento nasce dalle caratteristiche morfologiche dei terreni che variano di pendenza, di orografia, di esposizione anche a distanza di pochi metri determinando variazioni e vincoli posizionali assolutamente incontrovertibili. Da lontano questi paesaggi potrebbero apparire anche omogenei, ma è sufficiente avvicinarsi un po’ ed ecco apparire diversità e fraseggi morfologici a cui l’uomo ha potuto solo avvicinarsi assecondando le sue particolarità; ogni qualvolta per ignoranza o spregiudicatezza ha voluto invece opporvisi ecco allora spuntare movimenti franosi, erosioni spondali ed altri accidenti che hanno messo in pericolo non solo l’area direttamente interessata, ma anche tutto quanto gli stava vicino, costruzioni comprese. Un territorio quindi particolarmente fragile che richiede attenzioni e riguardi molto attenti e rigorosi. Rimanendo all’insieme non può che riscontrarsi una disarticolazione dei motivi continuamente interrotti ed intervallati da tessere diverse capaci solo di dar luogo ad una costellazione multipla di costruzioni e spazi aperti all’interno della quale alcune linee rappresentate dalla viabilità permettono di ricondurre il tutto ad un insieme omogeneizzabile. Alcuni tratti viari sono addirittura rettilinei nella parti di fondovalle e tracciano i segni chiari e inconfondibile dell’urbano edificato, ma nella stragrande maggioranza dei casi sono tortuosi e curvilinei rappresentando forme ed andamenti che solo l’incipienza della sera con l’accensione delle luci notturne, fa apparire come un disegno unitario e continuo. Leggere questi insediamenti come un tutt’uno urbano è forse un eccesso seguendo i criteri classici e ortodossi dell’immaginario disciplinare; leggerli come brandelli isolati ed autonomi è comunque un errore interpretativo altrettanto vistoso. E’ quindi necessario introdurre una nuova categoria concettuale capace di descrivere questa forma insediativa dissonante rispetto alla tradizione. L’insediamento apparentemente destrutturato possiede

39 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO infatti connotati intermedi tra quelli appartenenti all’urbano e quelli appartenenti a ciò che è stato descritto come campagna urbanizzata. Appare distintamente che gli interventi realizzati dagli anni Settanta in poi non hanno seguito che in minima parte la logica insediativa del passato. Volendo trovare l’esistenza di una qualche regola seppur di livello minimale delle nuove forme insediative rispetto a quelle appartenenti alla tradizione, non si può che riconoscerla nella scelta dei luoghi dell’urbanizzazione. Escludendo gli interventi della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta che hanno riguardato opere veramente avulse dal contesto storico e paesistico, la maggioranza degli altri interventi ha coinvolto aree precedentemente coltivate, poste in prossimità di una qualche urbanizzazione preesistente. La sostituzione di precedenti coltivazioni foraggiero/cerealicole, che come detto più sopra erano collocate nei terreni meno acclivi, con agglomerazioni di edifici a bassa densità, appare quindi come la regola insediativa maggiormente ricorrente. Vedremo nel proseguimento del lavoro di precisare meglio altre caratteristiche esprimendo considerazioni più strettamente urbanistiche.

Foto n°1 – Frazione di Brandola: Unità di Paesaggio n°1 (sullo sfondo della foto).

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Foto n°2 – Frazione di Brandola: Unità di Paesaggio n°1.

Foto n°3 – Frazione di San Martino: Unità di Paesaggio n°2.

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Foto n°4 – Frazione di San Martino: Unità di Paesaggio n°2. Al centro della foto è possibile vedere l’Oratorio della Beata Vergine della Rondine sovrastato dal nucleo di Ca’ Barbino.

Foto n°5 - Frazione di Gombola: Unità di paesaggio n°3 (visibi le nella parte centrale della foto).

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Foto n°6 - Frazione di Gombola: Unità di paesaggio n°3. Sullo sfondo è possibile cogliere l’abitato di Cassano.

Foto n°7 - Frazione di Ca’ Matteazzi : Unità di paesaggio n°4.

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Foto n°8 – Frazione di Ca’ Matteazzi: Unità di paesaggio n°4.

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3.1.3 Il funzionamento di stato del paesaggio locale

Dopo aver completato la prima fase dell’analisi paesaggistica alla scala locale costituita dall’operazione di riconoscimento del paesaggio di Polinago pare opportuno soffermarci a studiare il suo meccanismo di funzionamento. Se fino a questo punto abbiamo attinto solo concettualmente alle metodologie dell’Ecologia del Paesaggio poiché il metodo operativo portato avanti è il frutto di riflessioni sufficientemente autonome rispetto alla “tradizione” della nuova disciplina, non altrettanto sarà per quanto concerne gli argomenti trattati nel presente capitolo. Qui, infatti, faremo ricorso ad esperienze in atto inventate e sviluppate da altri, in special modo quelle sperimentate da Vittorio Ingegnoli e dalla sua scuola. In particolare cercheremo di approfondire attraverso l’uso di specifici indicatori ecologici, lo stato ed il funzionamento del paesaggio identificato. Effettueremo le nostre valutazioni dapprima alla sola scala dell’intero territorio comunale poiché, come già detto, non abbiamo ritenuto necessario scomporre l’ambito in sotto unità e neppure abbiamo approfondito l’analisi all’esterno dei confini di Polinago. Per conoscere il funzionamento di un sistema ecologico come quello del paesaggio è necessario conoscere in primo luogo il suo stato biologico. Se la vita di un organismo dipende dalla sua comunità ecologica è evidente che le variazioni di stato di una di queste finiscono per ripercuotersi anche sulle altre che gli stanno attorno, come è evidente che all’interno di un sistema complesso saranno le comunità dominanti a fornire i maggiori contributi di interscambio con l’esterno, specialmente dal punto di vista dei flussi energetici . Riuscire a conoscere lo stato metabolico di un sistema come quello vegetale, senza ombra di dubbio dominante in qualsiasi paesaggio, permette di ottenere informazioni fondamentali a riguardo del funzionamento complessivo. Ebbene, un primo indicatore in grado di esprimere lo stato di un paesaggio in rapporto al metabolismo dei sistemi vegetali ed alla capacità degli ecosistemi di mantenersi in un determinato equilibrio biologico è quello che scientificamente viene chiamato “Biopotenzialità territoriale” (Btc) e si esprime in Kcal/mq/anno. Tale indicatore descrive, infatti, il livello di metastabilità raggiunto dal paesaggio esaminato ; intendendo per metastabilità la peculiarità posseduta da un sistema di ecosistemi di mantenersi entro un limitato intorno di condizioni; che possono alla fine di un processo raggiungerne altre, nel caso che il loro campo di coazioni continui a cambiare. Si parla quindi di metastabilità per indicare che un sistema è in una particolare condizione di equilibrio oscillante intorno ad una posizione centrale più stabile e con le

45 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO estremità divergenti verso altre situazioni generate dalla possibilità del sistema di indirizzarsi verso una diversa posizione di equilibrio. La maggiore o minore metastabilità dipenderà dalla maggiore o minore distanza dalla posizione di massima stabilità e dal livello del gradiente di divergenza tra i due stati. Sistemi a bassa metastabilità avranno quindi poca resistenza ai disturbi (elevata resilienza), ma rapida capacità di recupero; mentre sistemi ad alta metastabilità avranno molta resistenza ai disturbi, ma lenta capacità di recupero . Il metodo migliore per capire la metastabilità è quindi nella descrizione del paesaggio attraverso variabili di stato operanti a diversa scadenze temporali Volendo rappresentare in forma estremamente semplificata alcune possibili condizioni di stato di un teorico paesaggio per mezzo di un diagramma a due variabili, la situazione appena descritta è schematizzabile nel modo esposto nel diagramma della seguente figura 1.

Figura 1 - Modello semplificato di stati di metastabilità.

La Btc rappresenta una stima dei valori utili per conoscere le soglie di metastabilità del paesaggio basandosi sulla capacità latente di omeostasi degli ecosistemi (i.e.capacità di incorporare i disturbi). Per ciascun elemento del paesaggio si ricavano specifici valori di

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Btc, che dipendono essenzialmente dai dati metabolici di quest’ultimo. Alti valori di Btc si ottengono tipicamente in ambienti ricchi di biomassa, mentre elementi poveri o impoveriti mostrano bassi valori di Btc. La Btc è quindi ciò che permette di misurare la potenzialità biologica di un sistema in evoluzione. Come tutti gli indicatori numerici anche questo esprime delle quantità che prese isolatamente non producono alcuna informazione veramente utile, in sé. Per proseguire gli approfondimenti avremo, pertanto, bisogno di valori parametrici che ci consentano di confrontare le diverse situazioni emerse nel lavoro di analisi ad altre ritenute in qualche misura riferimenti attendibili. A questo riguardo è possibile utilizzare i risultati ottenuti dal Prof. Ingegnoli in recenti esperienze di analisi che hanno permesso di quantificare la Btc in diverse realtà territoriali. Ad esempio è stato verificato che: - la Btc per l’intera biosfera è pari a 1,3 Mcal/mq/anno; - la Btc per le terre emerse è pari a 3,9 Mcal/mq/anno; - la Btc per le fasce temperate è pari a 3,25 Mcal/mq/anno; - la Btc per la regione Lombardia è pari a 2,05 Mcal/mq/anno; - la Btc per la regione Emilia-Romagna è pari a 1,6 Mcal/mq/anno; Pertanto, per calcolare il valore della Btc presente nel Paesaggio di Polinago, dovremo dapprima scomporre l’unità tra i diversi ecosistemi (tessere ed insiemi di tessere) applicando i parametri predisposti dallo stesso Ingegnoli in diversi lavori eseguiti a partire dal 1980. La seguente figura 2 mostra le stime dei valori della Btc calcolate per i diversi tipi di elementi paesistici dell’Europa centro-meridionale (valori in Mcal/mq/anno).

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Figura 2 - Stima dei valori dei Btc calcolati per i diversi tipi di elementi paesistici.

Attingendo dalle stime relative ai suddetti valori della figura abbiamo ricostruito, con gli adattamenti del caso, le condizioni presenti nei nostri paesaggi. Il lavoro è stato condotto su un aggiornamento (al 1994) dell’Uso Reale del Suolo effettuato dalla Regione Emilia- Romagna alla scala 1:25000 che ha reso disponibili delle informazioni per tutto il territorio regionale. La presenza di una tale mole di dati ha consentito di esprimere alcune valutazioni dotate di una sufficiente approssimazione. Per poter capire meglio il funzionamento degli apparati ecologici esaminati sarebbe stato utile individuare altre scansioni temporali dei fenomeni in modo da cogliere possibili evoluzioni: purtroppo gli scarsi dati storici in nostro possesso non hanno consentito questa comparazione. Un analogo ragionamento potrebbe essere fatto confrontando alcune realtà differenti, ma al tempo stesso significative dal punto di vista territoriale: con questo secondo confronto sarebbe possibile trarre indicazioni operative e pianificatorie tendenti ad avvicinare le realtà confrontate o perlomeno a mantenerle entro rapporti ritenuti sostenibili per le singole realtà esaminate. Comunque, i calcoli effettuati con un GIS compatibile con i formati regionali ha permesso di estrarre alcuni reports veramente interessanti; la legenda, pur non particolarmente raffinata, fornisce comunque tutta una serie di informazioni determinanti per i calcoli della Biopotenzialità territoriale riferita ai valori

48 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO comunali, provinciali e regionali adottati per i confronti. Il calcolo effettuato e riferito alla realtà comunale di Polinago, ha permesso di individuare nel valore di 2,62 Mcal/mq/anno (vedi tabella 3.1.3.1) lo stato ecologico del paesaggio locale al 1994 (fotointepretazione su ortofoto e relativo volo effettuato direttamente dalla RER). Tale valore è del tutto compatibile con quelli rilevati nel calcolo delle medie provinciali e regionali, così che ci è parso sufficientemente significativo per rappresentare un “modello” riferibile per considerazioni programmatiche e pianificatorie. Di conseguenza, i dati regionali diventano un patrimonio conoscitivo che allarga la visione d’insieme e fornisce indicazioni più generali. Ad esempio il riferimento dell’Ingegnoli relativo alla Regione Emilia-Romagna può essere corretto dal valore di 1,60 al valore di 2,69 Mcal/mq/anno (vedi tabella 3.1.3.2) che appare leggermente ma significativamente più elevato e quindi risulta rappresentativo di una realtà ecologicamente migliore. Se calcoliamo infine il valore medio relativo alla Provincia di Modena che risulta pari a 2,03 Mcal/mq/anno (vedi tabella 3.1.3.3), ci accorgiamo di avere di fronte una realtà ancora diversa e addirittura inferiore a quella media regionale a dimostrazione di un livello qualitativo complessivamente non solo inferiore a quello di Polinago, e ciò era prevedibile, ma anche del valore della Btc regionale. Dalle suddette analisi emergono alcune considerazioni piuttosto importanti per il proseguimento del lavoro: a) il valore medio regionale della Btc mostra una situazione dei livelli ecologici non particolarmente spregevole, collocandosi nella scala di Ingegnoli tra i paesaggi seminaturali; b) la Provincia di Modena concorre a mantenere più basso il valore medio regionale, a dimostrazione di situazioni interne alla regione molto differenziate; c) il territorio di Polinago, collocandosi nella fascia alta dei valori comunali, provinciali e regionale, concorre in maniera piuttosto importante a qualificare i livelli più generali; d) il territorio di Polinago rappresenta solo il 2% del territorio provinciale e lo 0,003% del territorio regionale, quindi qualunque scelta minimamente intelligente potrà incidere comunque solo in misura totalmente relativa sui valori complessivi delle due realtà. Da questi elementi si può formulare una proposta locale totalmente separabile da quella regionale (del resto, una qualche variazione locale non determina scostamenti apprezzabili alle scale maggiori) ma anche sostanzialmente ininfluente per la realtà provinciale (per determinati scostamenti sensibili sarebbe necessario intervenire pesantemente su alcune tessere sensibili).

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Tabella 3.1.3.1 Tabella riassuntiva derivante dall’Uso del Suolo 1:25000 per il Comune di Polinago.

Codice Caso Frequenza destinazione Superficie (mq) Btc Totale (Btc) d'uso

1 44 B 13.549.583 6,0 81.297.498,4 2 12 Cf 455.566 3,5 1.594.480,2 3 1 I 263.527 0,3 79.058,1 4 2 Pp 122.021 1,5 183.031,3 5 27 S 10.627.706 1,0 10.627.705,9 6 31 Ze 22.729.265 1,6 36.366.823,6 7 1 Zi 53.800 0,1 5.380,0 8 2 Zr 122.396 0,2 24.479,3 9 27 Zs 5.860.034 1,8 10.548.060,5 Totale 53.783.898 2,62 140.726.517,3

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Tabella 3.1.3.2 Tabella riassuntiva derivante dall’Uso del Suolo 1:25000 per la Regione Emilia – Romagna.

Codice Caso Frequenza destinazione Superficie (mq) Btc Totale (Btc) d'uso

1 200 Al 207.782.632.322.467 0,2 41.556.526.464.493,4 2 4.420 B 4.074.463.052.729.290 6,0 24.446.778.316.375.700,0 3 639 Ba 134.734.738.779.229 5,5 741.041.063.285.759,0 4 268 Bm 46.960.793.759.812 5,8 272.372.603.806.910,0 5 230 Br 24.652.769.589.914 3,0 73.958.308.769.742,0 6 4.090 C 1.250.801.581.938.180 2,8 3.502.244.429.426.900,0 7 633 Cf 69.191.070.217.396 3,5 242.168.745.760.886,0 8 593 Cp 133.633.488.037.851 4,0 534.533.952.151.404,0 9 1.809 Ct 466.354.025.139.849 2,5 1.165.885.062.849.620,0 10 808 Cv 96.636.410.503.879 2,4 231.927.385.209.310,0 11 3.023 I 647.064.408.177.447 0,2 129.412.881.635.489,0 12 1.735 Iv 163.237.582.202.571 1,0 163.237.582.202.571,0 13 419 L 43.216.338.918.648 0,1 4.321.633.891.864,8 14 186 O 14.841.503.871.048 1,0 14.841.503.871.048,0 15 59 Pc 52.223.950.805.048 1,2 62.668.740.966.057,6 16 2.627 Pp 337.972.588.782.949 1,5 506.958.883.174.424,0 17 59 R 98.660.998.343.571 0,3 29.598.299.503.071,3 18 5.715 S 11.086.713.565.468.500 1,0 11.086.713.565.468.500,0 19 2 Sa 10.542.219.377.755 0,2 2.108.443.875.551,0 20 26 Sp 8.901.268.631.681 0,5 4.450.634.315.840,5 21 48 U 17.279.666.863.898 2,8 48.383.067.218.914,4 22 17 Vs 175.731.274.527.662 0,1 17.573.127.452.766,2 23 10 Za 8.121.310.046.984 0,1 812.131.004.698,4 24 405 Zc 49.555.363.408.539 0,1 4.955.536.340.853,9 25 4.167 Ze 1.327.704.055.513.120 1,6 2.124.326.488.820.990,0 26 206 Zf 21.315.530.180.961 0,1 2.131.553.018.096,1 27 2.315 Zi 312.630.556.851.031 0,1 15.631.527.842.551,6 28 75 Zm 30.677.539.085.477 0,2 6.135.507.817.095,4 29 8 Zn 2.497.898.986.328 0,1 249.789.898.632,8 30 96 Zp 29.968.917.758.471 0,5 14.984.458.879.235,5 31 1.240 Zr 147.558.101.374.818 0,1 14.755.810.137.481,8 32 5.750 Zs 1.030.460.408.029.940 1,8 1.854.828.734.453.890,0 Totale 17.633.491.623.043.600 2,69 47.361.546.295.890.400,0

51 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 3.1.3.3 Tabella riassuntiva derivante dall’Uso del Suolo 1:25000 per la Provincia di Modena.

Codice Caso Frequenza destinazione Superficie (mq) Btc Totale (Btc) d'uso

1 37 Al 17.023.157 0,2 3.404.631,5 2 547 B 421.429.897 6,0 2.528.579.381,0 3 143 Ba 17.252.788 5,5 94.890.333,9 4 63 Bm 8.391.456 5,8 48.670.447,3 5 1 Br 27.787 3,0 83.359,6 6 868 C 127.904.002 2,8 358.131.204,3 7 170 Cf 14.726.932 3,5 51.544.262,6 8 78 Cp 8.529.978 4,0 34.119.913,5 9 181 Ct 43.741.882 2,5 109.354.706,1 10 47 Cv 3.917.591 2,4 9.402.218,2 11 409 I 90.101.121 0,2 18.020.224,3 12 344 Iv 32.713.435 1,0 32.713.434,7 13 104 L 11.052.450 0,1 1.105.245,0 14 33 O 1.531.845 1,0 1.531.844,5 15 18 Pc 18.074.167 1,2 21.689.000,2 16 155 Pp 20.446.268 1,5 30.669.401,8 17 7 R 1.738.379 0,3 521.513,6 18 481 S 1.273.025.524 1,0 1.273.025.523,8 19 2 Za 325.956 0,1 32.595,6 20 71 Zc 8.745.767 0,1 874.576,7 21 531 Ze 360.939.367 1,6 577.502.987,6 22 30 Zf 2.460.276 0,1 246.027,6 23 359 Zi 56.612.769 0,1 5.661.276,9 24 1 Zm 139.668 0,2 27.933,6 25 19 Zp 2.502.694 0,5 1.251.346,8 26 100 Zr 10.108.296 0,1 1.010.829,6 27 656 Zs 134.761.213 1,8 242.570.184,3 Totale 2.688.224.664 2,03 5.446.634.404,6

52 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.1.3.1 La Biopotenzialità nelle diverse Unità di Paesaggio

Le informazioni acquisite a livello d’intero territorio comunale forniscono delle indicazioni molto importanti, ma che possiedono anche alcuni limiti operativi dovuti come in questo caso alla possibilità di generalizzare delle situazioni con differenze accentuate. Per tali motivi abbiamo ritenuto necessario approfondire l’analisi differenziando i calcoli relativi alla Biopotenzialità territoriale per le quattro Unità di Paesaggio precedentemente evidenziate. I dati a nostra disposizione, che ricordiamo essere riferiti ad una rilevazione effettuata nel 1994, mostrano rispettivamente che l’Unità di Paesaggio n°1 possiede una Btc pari a 5,53 Mcal/mq/anno, l’Unità di Paesaggio n°2 possiede una Btc di 2,46 Mcal/mq/anno, la n°3 assume un valore di 4,00 Mcal/mq/anno ed infine l’ultima unità menzionata è pari a 1,88 Mcal/mq/anno (vedi tabelle 3.1.3.1.1, 3.1.3.1.2, 3.1.3.1.3 e 3.1.3.1.4). Al di là delle dimensioni molto differenti in termini di superficie delle quattro Unità (per fare un esempio, la seconda unità è circa 10 volte la terza) troviamo valori della Btc estremamente diversi come peraltro era prevedibile attendersi. Le unità di Paesaggio n°1 e n°3 raggiungono i valori massimi individuati nell’analisi e quindi rappresentano situazioni territoriali dotate di forte resilienza e conseguentemente di difficile modificabilità all'azione degli agenti esterni. L’Unità di Paesaggio n°2 è quella dotata dell'esten sione territoriale maggiore ed è caratterizzata dall’alternanza dei campi aperti alle macchie di bosco: ebbene, tale unità mostra un valore della Btc inferiore a quello registrato complessivamente dal Comune, inoltre nello specifico evidenzia situazioni ben diverse dalla precedente. L'analisi effettuata permette di esprimere alcune considerazioni operative, tra le quali ricordiamo che: a) se la media della Btc all’interno dell’Unità è molto inferiore alla precedente, significa che si è di fronte ad una situazione che presenta dei margini di miglioramento; b) se la media della Btc è pari a 2,46 significa che vi sono molte tessere del mosaico paesistico con valori ancora inferiori. Sicuramente questo sarà uno degli ambiti (insieme al n°4) sede degli interventi operativi, in quanto presenta sia margini di miglioramento sostanziali che dimensioni territoriali adeguate all'intervento preposto. Infine, l’Unità di Paesaggio n°4 presenta i valori più bassi dell’indicatore ecologico: del resto, è utile ricordare che quest’ambito territoriale è condizionato sia da una forte antropizzazione che da vaste zone che a causa dell’instabilità dei terreni non sono utilizzate per le pratiche colturali; insomma, tutte condizioni che abbassano il valore medio della Biopotenzialità territoriale.

53 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 3.1.3.1.1 Calcolo della Biopotenzialità territoriale per l’Unità di Paesaggio n°1.

Codice destinazione Caso Frequenza Superficie (mq) Btc Totale (Btc) d'uso 1 2 B 3.035.265,5 6,0 18.211.593,1 2 5 Cf 269.568,7 3,5 943.490,5 3 1 Pp 14.757,9 1,5 22.136,8 4 7 S 46.184,4 1,0 46.184,4 5 15 Ze 151.673,5 1,6 242.677,5 Totale 3.517.450 5,53 19.466.082,3

Tabella 3.1.3.1.2 Calcolo della Biopotenzialità territoriale per l’Unità di Paesaggio n°2.

Codice destinazione Superficie Caso Frequenza Btc Totale (Btc) d'uso (mq)

1 53 B 7.481.876,4 6,0 44.891.258,5 2 8 Cf 136.981,7 3,5 479.436,0 3 1 I 263.526,9 0,3 79.058,1 4 2 Pp 107.263,0 1,5 160.894,5 5 23 S 6.342.107,7 1,0 6.342.107,7 6 24 Ze 16.584.284,8 1,6 26.534.855,7 7 1 Zi 53.800,3 0,1 5.380,0 8 2 Zr 122.396,3 0,2 24.479,3 9 18 Zs 2.826.978,1 1,8 5.088.560,6 Totale 33.919.215 2,46 83.606.030,4

54 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 3.1.3.1.3 Calcolo della Biopotenzialità territoriale per l’Unità di Paesaggio n°3.

Codice destinazione Superficie Caso Frequenza Btc Totale (Btc) d'uso (mq)

1 3 B 1743110,5592 6,0 10.458.663,4 2 1 Cf 49015,3443 3,5 171.553,7 3 2 S 169906,2285 1,0 169.906,2 4 9 Ze 707581,8153 1,6 1.132.130,9 5 4 Zs 568537,1208 1,8 1.023.366,8 Totale 3.238.151 4,00 12.955.621,0

Tabella 3.1.3.1.4 Calcolo della Biopotenzialità territoriale per l’Unità di Paesaggio n°4.

Superficie Caso Frequenza Codice destinazione d'uso Btc Totale (Btc) (mq) 1 14 B 1289330,5819 6,0 7.735.983,5 2 6 S 4069508,9702 1,0 4.069.509,0 3 17 Ze 5285724,6759 1,6 8.457.159,5 4 14 Zs 2464518,4264 1,8 4.436.133,2 Totale 13.109.083 1,88 24.698.785,1

55 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Figura 1 – Rappresentazione delle quattro Unità di Paesaggio individuate nel territorio comunale di Polinago.

56 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.1.4 Gli altri indicatori ecologici utilizzati

Un discorso del tutto analogo al precedente è possibile farlo anche in riferimento ad altri indicatori ecologici (eterogeneità, dominanza, circuitazione, percolazione, porosità, etc. etc.) che meritano un’attenzione non secondaria per poter completare il discorso che andiamo compiendo con il presente lavoro. Per le finalità dell’urbanistica, dapprima, pare opportuno concentrarsi su quanto può essere connesso alle componenti insediative. A tal riguardo, un indicatore che pare rispondere ai suddetti requisiti è quello conosciuto con il nome di Habitat standard, che rappresenta la superficie utilizzata da una determinata popolazione per vivere e laddove questa trascorre la maggior parte del proprio tempo (abitare, reperire cibo, lavorare, ricrearsi, etc.). Nella fattispecie allorquando si studia la popolazione umana l’unità di misura dell’Habitat standard è espressa in mq/abitanti; tale indicatore permette di determinare il modello evolutivo del paesaggio e contribuisce a definire la sua “capacità portante”. Esso quindi non rappresenta una semplice densità territoriale come lascerebbe intendere la sua unità di misura, ma esprime la specifica quantità di superficie utilizzata dalla popolazione presente per svolgere le proprie funzioni vitali. Per questi motivi alla superficie complessiva del Paesaggio dovranno essere tolte tutte le superfici non coinvolte da una presenza umana continuativa. L’Habitat standard è espresso dalla seguente funzione:

Hs = Hn + Hab + Hpd + Hss

dove Hn = Habitat protettivo; Hab = Habitat abitativo; Hpd = Habitat produttivo; Hss = Habitat sussidiario;

e Hu = Hab + Hpd + Hss

con Hu = Habitat umano.

57 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Pertanto, in base alle suddivisioni effettuate per stimare la Btc, è possibile determinare anche l’entità dell’Habitat standard del paesaggio di Polinago (vedi tabella 3.1.4.1) ed in particolare il valore differenziato tra Hu (l’ambiente dove principalmente vive e transita la popolazione) e Hn (l’ambiente propriamente naturale). Alla data utilizzata nel calcolo (1994) il valore dell’Hu era pari a 19755 mq/ab, dovuto alla presenza di 1864 abitanti: come si può notare si tratta di una situazione fortemente ruralizzata. Facendo ricorso ad una delle ormai usuali rappresentazioni del fenomeno da parte di Ingegnoli ed altri della sua equipe, è possibile comparare anche la situazione di Polinago. Avremo così che per una situazione corrispondente alla condizione di paesaggio agricolo (che rappresenta lo stadio con il più basso carico antropico) il valore di Hs sarà maggiore di 6700 mq/ab, mentre avremo una condizione appartenente al rurale produttivo con Hs compreso tra 2600 mq/ab e 6700 mq/ab. Le altre soglie individuate da Ingegnoli sono collocate attorno a valori ancora più bassi di Hs e cioè: rurale povero, se compreso tra 1640 mq/ab e 2600 mq/ab; suburbano tra 780 mq/ab e 1640 mq/ab; urbanizzato rado tra 500 mq/ab e 780 mq/ab; urbanizzato tra 260 mq/ab e 500 mq/ab ed infine urbanizzato denso tra 80 mq/ab e 260 mq/ab. La situazione del paesaggio di Polinago al 1994 mostra quindi elevati valori di Hn (circa 9006,1 mq/ab) mentre per quanto concerne il parametro relativo all’Habitat produttivo si ha che Hpd = 16785,20 mq/ab spalmati su 3138,82 ha di superficie; infine, per l’indicatore specifico dell’habitat abitativo e sussidiario si desume che Hab+Hss = 2970,16 mq/ab su 555,42 ettari totali.

58 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 3.1.4.1 Calcolo dell’Habitat standard (Hs) per il Comune di Polinago (al 1994).

Codice Superficie Superficie Superficie Elementi del paesaggio destinazione Btc Totale (Btc) % Hu d'uso (mq) Hu (mq)* Hn (mq)*

Formazioni boschive a B 6,0 0,3 4.064.875 9.484.708 prevalenza di latifoglie 13.549.583 81.297.498

Castagneti da frutto Cf 455.566 3,5 1.594.480 0,4 182.226 273.339

Zone urbanizzate I 263.527 0,3 79.058 1,0 263.527 0

Prati stabili Pp 122.021 1,5 183.031 1,0 122.021 0

Seminativi S 10.627.706 1,0 10.627.706 1,0 10.627.706 0

Aree agricole eterogenee Ze 22.729.265 1,6 36.366.824 0,9 20.456.338 2.272.926

Zone industriali Zi 53.800 0,1 5.380 1,0 53.800 0

Zone ad affioramento litoide Zr 122.396 0,2 24.479 0,0 0 122.396 prevalente

Cespuglieti Zs 5.860.034 1,8 10.548.061 0,2 1.172.007 4.688.027

Totale 53.783.898 2,62 140.726.517 36.942.500 16.841.397 * Aree utilizzate nel calcolo degli indicatori ecologici Hu e Hn.

Infine, dalla tabella 3.1.4.2 si può desumere il contributo offerto in termini di Biopotenzialità territoriale dalle superfici Habitat umano (Hs) e Habitat protettivo (Hn): se assumiamo che per il territorio di Polinago la Btc Hu totale è pari a 70.761.970

Mcal/mq/anno e la Btc Hn totale a 69.964.547 Mcal/mq/anno, allora si ha che la Btc espressa dalla superficie Hs è pari a 1,91 Mcal/mq/anno (se si considera che Btc Hu =

Btc totHu /Sup totHu ) mentre lo stesso indicatore ecologico calcolato per la superficie Hn vale 4,15 Mcal/mq/anno; i dati estrapolati dall’analisi sono in effetti congruenti con il valore della Btc rappresentativo dell’intero territorio comunale.

59 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 3.1.4.2 Calcolo della Biopotenzialità totale per l’Habitat protettivo e l’Habitat umano per il Comune di Polinago.

Codice Btc Hn Btc Hu (Mcal/mq/ann Elementi del paesaggio destinazione Btc Hu (mq/ab) Hn (mq/ab) (Mcal/mq/anno) d'uso o)

Formazioni boschive a B 6,0 2173,72 5072,03 24.389.250 56.908.249 prevalenza di latifoglie

Castagneti da frutto Cf 3,5 97,44 146,17 637.792 956.688

Zone urbanizzate I 0,3 140,92 0 79.058 0

Prati stabili Pp 1,5 65,25 0 183.031 0

Seminativi S 1,0 5683,26 0 10.627.706 0

Aree agricole eterogenee Ze 1,6 10939,21 1215,47 32.730.141 3.636.682

Zone industriali Zi 0,1 28,77 0 5.380 0

Zone ad affioramento litoide Zr 0,2 0 65,45 0 24.479 prevalente

Cespuglieti Zs 1,8 626,74 2506,97 2.109.612 8.438.448

Totale 2,62 19755,34 9006,09 70.761.970 69.964.547

Tornando al tema degli strumenti e dei metodi utilizzati per approfondire la conoscenza dello stato del paesaggio abbiamo spinto l’analisi anche in altre direzioni facendo ricorso ad altri indicatori ecologici supplementari in modo da confermare o meno le indicazioni scaturite fino ad ora. Il primo indicatore supplementare analizzato è stato quello denominato con il termine di Eterogeneità (H) che, secondo l’Ingegnoli, dovrebbe misurare il grado di differenziazione dei singoli elementi (tessere del mosaico) che compongono ogni paesaggio. Analizzando il numero e la quantità delle singole componenti in una condizione estrema potremmo infatti trovarci di fronte ad una unica qualità stabilendo una concentrazione assoluta della specie individuata che dimostrerebbe una totale dominanza non certo favorevole al concetto di biodiversità a cui si tende ogni qualvolta si fa riferimento ad un programma di qualificazione di un patrimonio biologico; all’opposto potremmo invece trovarci di fronte ad una situazione forse altrettanto teorica ma ben più felice dal punto di vista ecologico di totale equiparazione delle quantità delle diverse specie esaminate (il che dimostrerebbe una completa suddivisione degli ambiti a disposizione di ciascuna specie). E’ ovvio che tra

60 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO questi due estremi teorici uno totalmente e statisticamente negativo ed uno totalmente positivo (sempre dal punto di vista statistico) troveremo le innumerevoli condizioni reali. E’ comunque altrettanto vero che tanto più ci avvicineremo alla condizione ottimale e tanto più ci troveremo in una situazione favorevole, poiché è usuale collegare il concetto di eterogeneità con quello di differenziazione degli elementi paesistici associando ad una maggiore differenziazione degli elementi anche una maggiore diversità biologica. Un alto valore della Eterogeneità può infatti corrispondere ad una elevata capacità di autoequilibrio del paesaggio rispetto ad eventuali elementi perturbativi, come al contrario un ridotto valore dell’indicatore potrebbe significare una banalizzazione del sistema con conseguente scarsa capacità di autoequilibrio. Tutto ciò comunque non dovrebbe essere preso “alla lettera” poiché come vedremo in seguito non è sempre detto che una elevata differenziazione sia di per sé sufficiente a garantire la bontà della situazione esaminata ed offrendo risposte esaustive in merito agli esisti complessivi dell’analisi. Una eccessiva differenziazione accompagnata ad una dispersione elevata degli stessi elementi ad esempio potrebbe dimostrare condizioni ecologiche non soddisfacenti. Conoscere il grado di diversificazione degli elementi diventa quindi una informazione importante ma non definitiva del lavoro di analisi. Vediamo perciò cosa è emerso nella realtà di Polinago. Per il calcolo abbiamo fatto ricorso ad un indice del tutto simile a quello di Shannon- Wiener studiato per definire la diversità biologica (vedi Forman e Godron 1985, Ingegnoli, 1993 e Massa-Ingegnoli 2000) che è dato dalla seguente formula:

H = -Σ (P i) lg 2 (P i) dove:

Pi = rapporto tra la superficie occupata dall’elemento i-esimo e l’intera area considerata. Ebbene, il valore dell’Eterogeneità (H) emerso dal calcolo in riferimento alla situazione del 1994 è stato pari a 1,98 che, rapportato al valore massimo possibile (3,17), ha permesso di stabilire un H/H max corrispondente a 0,625. Tale valore risulta essere abbastanza soddisfacente 2 ed indica una situazione ambientale di media eterogeneità, anche se questo non implica necessariamente una sua stabilità paesistica.

2 Infatti, com’è semplice comprendere dall’osservazione della formula matematica sopra riportata e dalla conseguente operazione di divisione, il risultato deve rientrare nell’intervallo numerico da 0 (eterogeneità nulla) a 1 (massima eterogeneità).

61 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.1.5 Il paesaggio urbano

Il paesaggio urbano di Polinago non può certamente essere descritto con unica tipologia, anche se molti elementi appaiono come ricorrenti, almeno nelle principali realtà consolidate. Partiremo quindi descrivendo proprio tali forme ricorrenti. Alla scala territoriale l’elemento maggiormente caratterizzante è senza ombra di dubbio la diradazione degli insediamenti ed il loro numero senz’altro cospicuo. La lettura dei fenomeni stratificati in un processo storico che, partendo da piccoli nuclei rurali del periodo parrocchiale, è arrivata ai nostri giorni è stata per noi piuttosto lunga e laboriosa, ma ora è possibile trarre alcune considerazioni da sottoporre a verifica. L’ipotesi che avanziamo tende a dimostrare l’esistenza di fattori socio/culturali iniziali che accompagnati ad una tradizione molto forte (identità locale, rappresentazione religiosa, ricchezza e povertà, frazionamento della proprietà, emarginazione territoriale) hanno determinato un milieu assolutamente specifico che trova riscontri in quasi tutte le parti del versante meridionale della Provincia di Modena. Se sovrapponiamo tali caratteri culturali alla particolare morfologia accidentata di questi territori, ecco che avremo l’insieme paesaggistico che stiamo analizzando. Gli elementi essenziali del paesaggio urbano sono già stati in parte descritti in precedenza, qui merita sottolineare solo alcune specificità che caratterizzano alcuni insiemi. Innanzitutto la posizione dei centri che nella maggioranza dei casi risulta di mezzacosta; rari se non inesistenti quelli di crinale, mentre alcuni casi sono individuabili nell’insediamento di fondovalle lungo il fiume Rossenna come i centri di Gombola e Talbignano; l’ultimo di questi, ad esempio, non solo è quello più recente come fase di espansione, ma ormai rappresenta il secondo ambito abitato di maggior consistenza numerica del Comune. Lungo la sinistra idrografica del torrente Rossenna troviamo non solo il sistema insediativo più caratteristico della forma a mezzacosta, ma molto probabilmente anche quello più antico: infatti esposti sul versante Sud (per ovvie ragioni eliotermiche) si trovano una successione di borghi e borghetti che dall’incrocio della strada che li congiunge la Provinciale arrivano fino quasi al capoluogo comunale.

62 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.1.5.1 Il paesaggio urbano di Polinago

In questo paragrafo cercheremo di affinare l’analisi sui centri urbani presenti nel territorio comunale: a titolo d’esempio applicheremo le metodologie d’indagine derivate dall’Ecologia del Paesaggio alla più importante realtà urbana di Polinago, cioè il suo centro capoluogo. Questo alla luce della convinzione che sia di fondamentale importanza stabilire il livello di metastabilità del paesaggio anche all’interno di aree che possono essere considerate nel contesto complessivo come le più variabili soprattutto a causa della presenza di edificazione. E’ infatti necessario ricordare che, normalmente, nel calcolo della Biopotenzialità territoriale totale di un dato ecosistema, l’apporto della quota relativa alla componente di costruito (edifici o strade che siano) risulta nel quadrante più prossimo allo zero. Sarebbe però riduttivo, come affermato più volte, definire il livello di resilienza di un ecosistema soffermandosi ad analizzare unicamente un solo aspetto dell’intero sistema. Appare necessario, invece, conoscere le caratteristiche morfologiche degli insediamenti, la tipologia degli edifici ed in modo particolare la presenza del verde, il suo “contributo” in termini di biomassa e la sua incidenza nel contesto generale analizzato. Solo così si è in grado di descrivere compiutamente un ecosistema, a qualunque scala si faccia riferimento. In pratica, il procedimento si è basato sull’individuazione delle aree verdi all’interno del perimetro urbanizzato, distinte in sei categorie: prati, aree cespugliate e aree boscate per le quali è stata stilata una classificazione in base alla densità delle alberature: boscata <25%, boscata 25/75% e boscata >75%. Si è ritenuto che questa distinzione fosse la più adeguata a descrivere la situazione in oggetto, poiché consona alla scala a cui si è operato e di conseguenza sufficiente a permettere la stima della quantità di biomassa presente nell’ambito di studio. L’analisi è stata resa possibile tramite l’ausilio di un software GIS che ha semplificato l’intera procedura. La base utilizzata, ritenuta la più adatta ai fini di ciò che si voleva dimostrare, si è rivelata l’ortofotopiano digitale (volo Italia 2000 compiuto nel 1999) che, per quel che riguarda l’area in oggetto, permetteva una chiara visione delle superfici a verde. Si è quindi proceduto alla perimetrazione delle aree a verde e al calcolo delle corrispondenti superfici. Da ciò è emerso che, per quanto riguarda Polinago capoluogo, su 32,31 ettari di territorio urbanizzato ben 11,72 ettari risultano più o meno boscati: quantità quasi equivalente a quella occupata da edifici e dalle strade (14,01 ettari), mentre gli ettari a prato risultano 3,07 contro i 3,50 ad area cespugliata. Specificando ulteriormente l’analisi sulle aree boscate si evince che 3,80 ettari hanno una densità inferiore al 25%, 4,93 ettari si

63 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO collocano tra il 25% e il 75% ed infine, ben 2,98 ettari hanno una copertura arborea maggiore del 75%. Oltre al dato puramente quantitativo, è utile sottolineare che l’operazione di analisi ha permesso di osservare in maniera puntuale come il tessuto urbano sia fortemente permeato dalle aree verdi che si insinuano tra l’edificato in maniera continua anche se diversificata rispetto alla copertura arborea. Aree a prato si intervallano, infatti, a lingue irregolari di fitto bosco e a superfici dove la presenza di alberi è relativa. Se si esclude la parte centrale del paese che insiste su Corso Roma e alcuni rari lotti in cui la vegetazione è assente, il resto appare come un discontinuo in cui il verde costituisce il tramite e in cui gli edifici sono invece distribuiti in maniera piuttosto rarefatta. Si riscontra quindi una bassa densità di costruito e una forma insediativa piuttosto parcellizzata. Il valore complessivo della Biopotenzialità Territoriale (Btc) di Polinago capoluogo esplicita numericamente questo scenario, ovvero lo stato ecologico di questo paesaggio, poiché dal calcolo è emerso che esso corrisponde a 1,21 Mcal/mq/anno (vedi tabella 3.1.5.1.1), quantità alquanto elevata per un territorio urbanizzato. Riferendoci alla classificazione compiuta dall’Ingegnoli, infatti, il nostro valore rientra nella fascia C individuata nella fig.2 a pagina 46, che comprende cespuglieti, prati arborati, siepi e coltivi ricchi. A questo proposito, ricordiamo che normalmente il valore della Btc relativo al territorio urbanizzato rientra nel range compreso tra 0,3 Mcal/mq/anno e 0,6 Mcal/mq/anno circa (l’urbanizzato denso tra 0,18 circa e 0,35 Mcal/mq/anno). Nel caso di Polinago capoluogo, quindi, siamo in presenza di un risultato di molto superiore. Da ciò si deduce che la realtà urbana di cui si tratta ha un’elevata qualità ambientale (relativamente alla media) se teniamo conto del dato quantitativo. Sul termine “qualità”, è importante a nostro avviso esprimere alcune considerazioni che rendano più chiari i concetti espressi. L’indicatore di cui ci siamo serviti, infatti, permettendo la definizione dello stato metabolico di un paesaggio, implica indubbiamente una misurazione dell’aspetto qualitativo di un dato ambito, ma non è esauriente, a nostro avviso, riguardo alla possibilità di descriverlo in toto. Esulando in parte dalla analisi prettamente urbanistica e sconfinando nell’ambito progettuale vero e proprio, riteniamo allora importante considerare, anche se sommariamente, altri aspetti che concorrono a definire la qualità di un luogo, in questo caso di un centro urbano. Essi sono strettamente correlati alla percezione soggettiva degli abitanti o di coloro che in qualche modo interagiscono con le dinamiche urbane e che possono essere di tipo positivo o negativo a seconda della presenza o dell’assenza di alcuni aspetti. Tra essi possiamo ricordare: la componente estetica dell’insieme e delle parti (sia per quanto riguarda l’edificato che le aree verdi); l’accessibilità e quindi le

64 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO possibilità di fruizione degli spazi, anche da parte di persone disabili, bambini e anziani; la presenza o meno di sistemi atti ad attutire i rumori; la sistemazione di alberature ed elementi arbustivi al fine di migliorare la qualità dell’aria; la sicurezza. Dall’osservazione del valore della Btc alcuni di questi aspetti possono in qualche modo essere intuitivamente estrapolati e fatti ricadere all’interno dell’indicatore (la presenza di biomassa, ad esempio, sarà correlata all’abbattimento dell’inquinamento aereo, la rarefazione degli alberi in alcune aree permetterà maggior controllo da parte di chi gioca o passeggia nelle aree verdi, e così via), ma per altri ciò non avviene e necessiterebbero di uno studio puntuale ai fini della progettazione degli insediamenti. Non è comunque questa la sede appropriata per addentrarci in un ambito così complesso e specifico; il nostro intento è quello di indicare una via da percorrere ad un’altra scala di intervento, senza comunque voler entrare pienamente nel merito di questo argomento, che interessa altri livelli. Riteniamo che per l’analisi urbanistica sia sufficiente, per quanto riguarda il centro urbano di Polinago, l’utilizzo dell’indicatore ecologico di cui finora si è parlato che rivela una resistenza ai disturbi contenuta, ma di certo superiore a molte altre realtà urbane. L’orientamento proposto per il futuro potrebbe essere quello del mantenimento dello stato metabolico attuale e di un eventuale suo miglioramento; obbiettivo raggiungibile tramite una politica di pianificazione che indirizzi i nuovi interventi nel pieno rispetto delle caratteristiche urbane attuali (rarefazione dell’edificato, integrazione del costruito con le aree verdi, protezione delle aree dissestate, miglioramento delle aree verdi tramite oculati interventi, etc). In quest’ottica sarà dunque possibile prevedere nuove quote di edificato. Una ulteriore puntualizzazione sullo stato ecologico del paesaggio urbano considerato può essere espressa facendo riferimento ad un altro indicatore, di cui si è già ampiamente trattato: l’Habitat standard. Nel nostro caso bisogna tenere presente che, in linea generale, esso prevederà ovviamente il maggior contributo dall’Habitat umano (ritenendo, però, di potere classificare il 50% delle aree boscate >75% come Habitat naturale) e che quest’ultimo sarà rappresentato per la maggior parte dalla componente di Habitat abitativo e in minor misura dall’Habitat sussidiario, tralasciando la componente produttiva. Il calcolo permette di affermare che l’Habitat abitativo risulta di 272,04 mq/ab, mentre il sussidiario circa 297,10 mq/ab. Ciò conferma per l’ennesima volta lo scenario già prefigurato, mettendo in luce una presenza di consumo del suolo limitata rispetto ad altre realtà urbane ed una forte incisività delle aree a verde “di contorno” all’abitato ed ad esso asservite, in una evidente logica di frammentazione dei lotti.

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Tabella 3.1.5.1.1 Btc del territorio urbanizzato di Polinago capoluogo

Superficie Btc totale area Elementi del paesaggio Btc (mcal/mq/anno) (ettari) (mcal/mq/anno)

Boscato <25% 3,8060 2,0 7,612 Boscato >75% 2,9830 4,0 11,932 Boscato 25%-75% 4,9310 2,5 12,328 Aree Cespugliate 3,5050 1,4 4,907 Prato 3,0710 0,8 2,457 Edifici, strade, piazzali 14,0130 0,0 0,000 Totale urbanizzato 32,309 1,21 39,235

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Foto n°1 - Ponte di Brandola: parte del borgo visto dall’antico ponte romano.

Foto n°2 - Polinago: Corso Roma.

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Foto n°3 - Polinago: edifici .

Foto n°4 - Polinago: ingresso in paese.

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Foto n°5 - Polinago: edifici.

Foto n°6 - Polinago: edifici.

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Foto n°7 - Gombola: Il mulino sul torrente Rossenna, in primo piano si possono ancora osservare le macine in pietra.

Foto n°8 - Gombola: vista del paese dal ponte moderno sul torrente Rossenna.

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Foto n°9 - Castello di Gombola: particolare di un edificio del Castello.

Foto n°10 - Castello di Gombola: vista del borgo storico; a destra la chiesa con il campanile.

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Foto n°11 - Castello di Gombola: particolare del borgo storico.

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Foto n°12 - Talbignano Ponte: vista del paese dalla strada provinciale che l’attraversa.

Foto n°13 - Talbignano Ponte: edifici nei pressi del ponte sul Rossenna.

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Foto n°14 - Cassano: edificio rurale che ha perso completamente i caratteri tipologici originali.

Foto n°15 - Cassano: edificio rurale che ha perso completamente i caratteri tipologici originali.

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Foto n°16 - Ca’ dei Rossi: vista del borgo storico dal versante opposto della vallata.

Foto n°17 - Ca’ dei Rossi: vista del borgo storico; sullo sfondo è possibile osservare due edifici con tipologia a casa – torre.

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Foto n°18 - Ca’ dei Rossi: casa – torre.

Foto n°19 - Ca’ dei Rossi: particolare del borgo storico.

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3.1.6 La qualità delle acque superficiali

I principali corpi idrici presenti nel territorio comunale sono il Torrente Rossenna, il Torrente Cogorno e il Torrente Cervaro e appartengono tutti al bacino idrografico del Fiume Secchia. A titolo conoscitivo il Torrente Cervaro svolge il ruolo di collettore per i reflui provenienti dal Comune di mentre il Torrente Cogorno è il recettore per quelle acque che provengono dal territorio comunale di Pavullo. I dati di seguito riportati rappresentano la sintesi di un lavoro d’analisi svolto nel biennio 1999-2000 dalla Sezione Provinciale dell’Arpa 3.

La qualità biologica L’analisi del biota è stata eseguita con il metodo IBE (Indice Biotico Esteso) basato sulla quantità delle specie riscontrate nei corsi d’acqua.

Tabella 3.1.6.1 La qualità biologica

Stazioni 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 IBE 7 6/7 7 8 7/8 7 7 Rossenna CQ III III III II III-II III III

Il Torrente Rossenna presenta mediamente un livello di classe III, corrispondente ad un ambiente inquinato.

La qualità chimico-microbiologica La classificazione è stata effettuata con il metodo consigliato dal D.Lgs. 152/99.

Tabella 3.1.6.2 La qualità chimico-microbiologica

Stazioni 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Punti 170 140 230 300 125 210 320 Rossenna Livello 3 3 3 2 3 3 2

3 Provincia di Modena, Arpa “Rapporto sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee della Provincia di Modena”, 5° relazione biennale, Modena dicembre 2001.

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Il Torrente Rossenna oscilla negli ultimi anni tra un livello di classe II, corrispondente ad un ambiente in cui sono evidenti alcuni effetti dell’inquinamento, ad un livello di classe III, corrispondente ad un ambiente inquinato.

La classificazione ecologica La classificazione è stata effettuata con la metodologia prevista dal D.Lgs. 152/99.

Tabella 3.1.6.3 La classificazione ecologica

Stazioni 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Rossenna Classe III III III II III III III

Il Torrente Rossenna presenta per questo indicatore un livello di buona qualità.

Per maggiori approfondimenti tematici si consiglia la lettura del testo citato nella nota precedente.

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3.2 Studio geologico e geomorfologico del territorio di Polinago

3.2.1 Premessa

La presente relazione illustra lo studio geologico e geomorfologico, eseguito su incarico del Comune di Polinago e d’intesa con la Provincia di Modena e con il tecnico progettista Arch. Alessandro Tugnoli, a supporto della stesura del Piano Strutturale Comunale e del Piano Operativo Comunale del Comune di Polinago ai sensi della L.R. 20/2000.

3.2.2 Inquadramento territoriale

Il territorio del Comune di Polinago si colloca nel medio Appennino modenese, all’interno del bacino idrografico del Secchia, e ricopre una superficie pari a circa 53,78 Km2. Le sue quote sul livello del mare sono comprese tra i 290 m della confluenza del Rio Ocera nel Torrente Rossenna e i circa 1050 m del M. S. Martino. Polinago confina con i comuni di e Serramazzoni, a nord, con Pavullo, a est, Lama Mocogno, a sud, e Palagano, a ovest. Dal punto di vista cartografico (All. n. 1) il territorio comunale è rappresentato nelle seguenti tavole della Carta Topografica Regionale, alla scala 1:25.000, e sezioni della Carta Tecnica Regionale, alla scala 1:10.000. Scala 1:25.000 219 SO – Serramazzoni 236 NO – Lama Mocogno. Scala 1:10.000 219130 – Prignano S/Secchia 326010 – Gombola 236020 – Montebonello 236050 – Lama Mocogno 236060 – Montecenere.

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3.2.3 Inquadramento geologico generale

L'Appennino Settentrionale (All. n. 2) è una catena montuosa la cui struttura può essere descritta come formata dalla sovrapposizione di diverse falde tettoniche che, del punto di vista teorico, è inquadrabile nel contesto del modello di prisma d'accrezione (Treves, 1984). Secondo tale modello il processo che avrebbe portato alla formazione e all’impilamento delle falde tettoniche che costituiscono l’ossatura della catena appenninica sarebbe iniziato a partire almeno dall'Eocene e tuttora non si sarebbe ancora completamente concluso, come testimoniato dalla sismicità registrata al fronte della catena sepolta nel sottosuolo della Pianura Padana (Pieri & Groppi, 1981). L'evoluzione orogenetica sarebbe avvenuta soprattutto in ambiente sottomarino e può essere inquadrata nel modello geologico globale della Tettonica delle Placche, che prevede la formazione delle catene montuose come conseguenza della chiusura dei bacini oceanici a causa dell’avvicinamento delle placche stesse. Quest'ultimo fenomeno comporterebbe la deformazione, il piegamento, lo smembramento e l'impilamento delle successioni sedimentarie formatesi sui fondali marini, con conseguente costruzione di una nuova catena montuosa. Nell'Appennino Settentrionale (All. n. 2) si possono ricostruire, infatti, diverse successioni sedimentarie d’origine marina, dalle quali sarebbero formate le diverse falde tettoniche che costituiscono l'attuale catena montuosa, in seguito alla chiusura dell'antico Oceano Ligure-piemontese (che costituiva parte del Mare della Tetide) e alla successiva collisione tra le placche continentali euroasiatica e africana. Ognuna di queste successioni sedimentarie può essere correlata (come area di origine) ad un settore distinto (Dominio paleogeografico) che faceva parte dell’originario bacino della Tetide. Le principali unità tettoniche che formano il prisma d'accrezione appenninico settentrionale (Treves, 1984) sono, dall'alto verso il basso: Unità liguri (Liguridi) (riferibili al Dominio Ligure a crosta oceanica) Unità subliguri (riferibili al Dominio sub-Ligure a crosta di transizione) Falda Toscana (riferibile al Dominio Toscano a crosta continentale) Unità umbro-marchigiano-romagnole (riferibili al Dominio Umbro-Marchigiano-Romagnolo a crosta continentale). Il modello del prisma d’accrezione (Treves, 1984) descrive la pila delle falde tettoniche, che formano l’Appennino Settentrionale, con le Liguridi che sovrastano geometricamente le Unità subliguri che, a loro volta, si collocano al di sopra della Falda toscana, ecc.

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Come già accennato, i processi orogenetici sarebbero avvenuti per gran parte della loro evoluzione al di sotto del livello del mare, in un intervallo di tempo di diverse decine di milioni d'anni. Durante questo arco temporale sui terreni che formano la parte superiore del prisma d'accrezione appenninico (Unità liguri e Unità subliguri) i processi sedimentari sono continuati contemporaneamente all’attività orogenetica. Al di sopra delle unità liguri si riconosce infatti la presenza di una successione sedimentaria, la Successione Epiligure. Questa rappresenta il risultato della sedimentazione in ambiente marino avvenuta durante la costruzione del prisma d’accrezione dell’Appennino Settentrionale (tra l'Eocene e la fine del Miocene). Attraverso lo studio di questa successione è stato possibile riconoscere e datare i momenti di acme delle varie fasi tettoniche (riconoscendoli per la presenza di lacune sedimentarie, di discordanze, di corpi sedimentari caotici, ecc.) che si sarebbero succedute durante l’evoluzione della catena montuosa. Queste, hanno lasciato varie testimonianze geologiche anche all’interno delle unità sedimentarie che formano la falda tettonica subligure e la falda toscana, soprattutto sottoforma di unità eterogenee dal punto di vista litologico (Complesso di base di Monte Modino, Unità di e Unità -Vidiciatico) (Bettelli et al., 1989a), formate parzialmente da terreni originati dalla sedimentazione emipelagica normale e da altri messi in posto per fenomeni (sedimentari e tettonici) più o meno direttamente correlati all’azione delle forze orogenetiche. L'attuale distribuzione geografica delle diverse unità tettoniche e delle successioni sedimentarie, secondo fasce subparallele alla direzione del crinale appenninico principale (NO-SE), riflette sostanzialmente la strutturazione a grande scala della catena (prisma d'accrezione), sottolineando anche l'effetto della tettonica distensiva più recente (ultimi 5- 7 milioni di anni), che ha comportato l’apertura del Mar Tirreno e che ha interessato soprattutto le regioni situate a meridione e lungo lo spartiacque appenninico principale. Si riconoscono pertanto, anche nell’Appennino modenese (All. n. 3), fasce di territorio, disposte all'incirca NO-SE, formate da rocce ascrivibili a successioni stratigrafiche distinte che, nell'Appennino modenese (Capitani & Bertacchini, 1997), sono, da S verso N, le unità della Falda Toscana, l'Unità Sestola-Vidiciatico, il Supergruppo del Sambro e il Supergruppo del Baganza (All. n. 3). Al di sopra delle Liguridi, in territorio modenese, sono poi presenti terreni riferibili alla Successione Epiligure, che costituiscono le zone rilevate di Pavullo, di , di , di , di Pigneto, di Montebaranzone e di Montegibbio, con spessori complessivi che in certi casi ammontano a diverse centinaia di metri (All. n. 3). Sul margine pedecollinare affiorano invece soprattutto sedimenti marini plio-pleistocenici che sigillano le strutture tettoniche più antiche e che, in particolare nella

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Pianura Padana (Appennino sepolto), sono a loro volta implicati in strutture deformative neotettoniche (cioè formatesi durante gli ultimi 5 milioni di anni secondo Bartolini et al. (1982) (Pieri & Groppi, 1981; Castellarin et al., 1986), responsabili anche della sismicità padana attuale. Nelle aree di pianura, in superficie, affiorano poi sedimenti d’ambiente continentale derivanti dall’azione di trasporto e di sedimentazione operata dai fiumi e dai torrenti principali, durante il Quaternario superiore fino ai giorni nostri. In questo caso si tratta di successioni clastiche caratterizzate da una granulometria che tende a diminuire verso N (verso la bassa pianura), caratterizzata prevalentemente da ghiaie e da sabbie (depositi di conoide dei fiumi principali (Secchia, Panaro, ecc.) nei pressi del margine pedecollinare, da sabbie, limi e argille nella bassa pianura (All. n. 3).

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3.2.4 Geologia del territorio comunale

3.2.4.1 Introduzione

La geologia dell’Appennino modenese (All. n. 3) è stata trattata in vari studi e ricerche (ad es. Bettelli et al. 1989a, 1989b, 1989c; 1999a; 1999b; Capitani & Bertacchini, AA.VV., 1992; Gasperi et al, 1989; Capitani & Bertacchini, 1997 e relative bibliografie). Più in particolare, la geologia del territorio di Polinago è stata recentemente descritta nelle sezioni alla scala 1:10.000 della Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo (edita dalla Regione Emilia Romagna) rilevate da: - Bettelli G. (1988) – Sez. 219130 - F. Panini (1986) - Sez. 236010 - M. Cavazzuti (1986) – Sez. 236020; - F. Panini (1986) – Sez. 236050; - U. Bonazzi (1986) – Sez. 236060. Il territorio in studio (All. nn. 3 e 4) è caratterizzato dalla presenza di un substrato formato da rocce appartenenti a Unità liguri (riferibili al Supergruppo del Sambro e al Supergruppo del Trebbia), alla Successione Epiligure, nonché ad un insieme di porzioni e lembi di Unità liguri, epiliguri e subliguri, giustapposti e sovrapposti l’un l’altro per cause tettoniche e noto in letteratura come Melange di Coscogno (Bettelli et al., 1989a; 1989b; 1989c; 1999a; 1999b; Gasperi et al., 1989).

3.2.4.2 Unità e successioni sedimentarie

Le rocce presenti nel territorio comunale e riferibili al Dominio ligure sono ascrivibili alle seguenti formazioni e unità litostratigrafiche (All. nn. 3 e 4): Melange della Val Rossenna; Argille della Val Rossenna; Formazione di Monghidoro; Formazione di Monte Venere, Argille variegate, Arenarie di Poggio Castellina; Argilliti a palombini, Argille varicolori; Arenarie di Scabiazza, Argille a Palombini e Ofioliti. Le unità liguri formano quasi per intero il substrato del territorio comunale di Polinago (All. nn. 3 e 4) . Quelle più recenti (Melange della Val Rossenna; Argille della Val Rossenna; Formazione di Monghidoro; Formazione di Monte Venere, che coprono un intervallo temporale che va dal cretaceo superiore all’Eocene) si rinvengono soprattutto nella parte occidentale del territorio, quasi sempre in sinistra orografica rispetto il Torrente Rossenna, verso valle a partire dalla confluenza del T. Cogorno, sia in sinistra che in destra

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Rossenna nelle zone più a monte. Le restanti unità liguri (più antiche) formano soprattutto i versanti in destra Rossenna, a valle della confluenza del T. Cogorno. Appartiene alla Successione Epiligure la Formazione di Loiano. dell’Oligocene, che affiora nel settore sudoccidentale del territorio comunale, a est del T. Mocogno. Di dubbia attribuzione formazionale sono invece alcuni lembi di unità torbiditiche affioranti in aree limitate del settore nord orientale del territorio comunale e compresi all’interno del Melange di Coscogno; forse si tratta di unità riferibili al Dominio Sub-ligure (Bettelli et al., 1989a; 1989b; 1989c¸1999b). Non è compito del presente lavoro analizzare gli aspetti legati prettamente ai problemi di collocazione ed interpretazione stratigrafica delle unità menzionate, anche perché la stessa nomenclatura stratigrafica non ancora del tutto formalizzata. E` ormai noto infatti che ad alcune delle unità sopraelencate, la cui denominazione è stata ripresa dalle sezioni pubblicate della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, verrà infatti attribuita una diversa denominazione nei fogli alla scala 1:50.000 della nuova Carta Geologica d’Italia (Gasperi et al., in stampa; Bettelli et al., 1999a; 1999b). Tutte le unità litostratigrafiche sopraelencate sono di tipo sedimentario, originatesi in ambiente marino, con l’eccezione delle masse ofiolitiche formate da rocce magmatiche intrusive ed effusive che si trovano localmente associate alle Argille a Palombini. Dal punto di vista litologico le unità che costituiscono il substrato del territorio comunale di possono essere raggruppate in quattro insiemi principali (Unità Litologiche) che verranno descritti nel capitolo relativo alla geolitologia (All. n. 9): - Unità Multistratali Competenti; - Unità Prevalentemente Arenacee; - Ofioliti; - Unità prevalentemente argillose (con o senza inclusi lapidei).

3.2.4.3 Coperture quaternarie

Sebbene sia spesso possibile osservare il substrato roccioso in affioramento, molto di frequente questo risulta mascherato o nascosto dalle estese coperture detritiche quaternarie. Queste sono ampiamente distribuite sul territorio comunale e sono di natura quanto mai varia. Si possono infatti distinguere: - depositi fluviali la cui genesi è legata all’azione di erosione, trasporto ed accumulo operata dalle acque incanalate. Presentano generalmente una granulometria

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grossolana da ghiaie e sabbie, e si rinvengono nelle aree di fondovalle, soprattutto del T. Rossenna. Tali sedimenti possono costituire l’alveo attuale e le golene del torrente, i conoidi degli affluenti che sboccano nel Rossenna, oppure si possono rinvenire terrazzati in almeno due ordini distinti nelle fasce laterali all’alveo. Sono terreni “instabili” quando sono inseriti in un contesto fluviale attivo, all’interno del quale possono subire rimaneggiamenti da parte dei corsi d’acqua; al contrario, se ubicati lontano dal torrente, tendono ad essere “stabili” in quanto corrispondono ad aree subpianeggianti le cui caratteristiche granulometriche garantiscono valori di resistenza d’attrito medio alti; - depositi eolici, eluviali e colluviali sulle superfici relitte, correlabili a vari meccanismi genetici e che si rinvengono in tre zone diverse relitte. Queste sono definibili come aree a bassa acclività anticamente modellate dagli agenti esogeni in un contesto morfoclimatico differente da quello attuale. Si tratta pertanto di testimonianze di paleoforme legate a condizioni climatiche differenti dalle attuali. I materiali che le ricoprono, anche per spessori notevoli, presentano generalmente una granulometria medio fine (limi argillosi); - depositi di versante s.l. lungo i versanti, geneticamente correlati all’azione congiunta della forza di gravità e del ruscellamento superficale. Si tratta di depositi eterogenei le cui caratteristiche litologiche dipendono dalla natura delle rocce dai quali derivano. Si possono pertanto avere depositi a composizione argillosa o argilloso limosa con inclusi lapidei, oppure detriti di versante grossolani oppure termini di transizione tra i due estremi. In taluni casi antichi accumuli di frane dei quali non si riconoscono più le caratteristiche distintive, rientrano in questa categoria di coperture superficiali; - accumuli franosi, correlati all’azione della forza di gravità. Si formano quando in porzioni di versante, più o meno estese, si verificano delle variazioni nella distribuzione delle forse o delle resistenze dei terreni tali da superare il limite di equilibrio delle forze medesime. I materiali pertanto (rocce o depositi superficiali) franano verso valle fintanto che non viene raggiunto un nuovo assetto geometrico del versante in equilibrio con la nuova configurazione nella distribuzione delle forze. Questo tipo di depositi è caratterizzato spesso da instabilità potenziale (o effettiva nel caso delle frane ancora attive) e da caratteristiche granulometriche generalmente eterogenee e che, comunque, dipendono dalla natura delle rocce e dei depositi dai quali derivano. I quattro tipi di coperture quaternarie possono essere distinti gli uni dagli altri individuando per ciascuno una differente unità litologica: - Depositi eolici, eluviali e colluviali;

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- Depositi alluvionali; - Depositi di versante; - Accumuli di frana. La distribuzione dei depositi superficiali (con esclusione degli accumuli franosi è riportata) nell’Allegato n. 10.

3.2.4.4 Assetto strutturale

Come già accennato (All. nn. 3 e 4) gran parte del territorio di Polinago è formata da rocce riferibili al Supergruppo della Val di Sambro (Unità Monghidoro nell’Allegato n. 4). Solo la parte NE del territorio è caratterizzata da terreni a composizione prevalentemente argillosa riferibili ai Complessi di base liguri mentre le Arenarie di Loiano affiorano nella zona sud orientale del Comune (Bettelli et al., 1989a; 1989b; 1989c) (All. nn. 3 e 4). I terreni del Supergruppo della Val di Sambro risultano in quest’area coinvolti in un’estesa struttura plicativa coricata di importanza regionale: la Sinclinale della Val Rossenna (Bettelli et al., 1989a; 1989b) (All. n. 5). Questa, nelle sue linee essenziali può essere ricostruita ed osservata nella zona di Gombola (Bettelli et al., 1989a; 1989b) dove presso il Rossenna affiorano gli strati diritti (immergenti prima verso sud che tendono poi a verticalizzarsi) della Formazione di Monghidoro (Cretaceo sup.-Eoc. inf.). Questi, proseguendo verso meridione passano alle Argille della Val Rossenna (Eocene inf.- med.?) e al Melange della Val Rossenna (Eocene inf.-med.?) che costituiscono il nucleo della sinclinale stessa, a monte del quale tornano ad affiorare le rocce della Formazione di Monghidoro in giacitura rovesciata (sempre immergenti verso sud). A quote superiori, stratigraficamente al di sotto ma geometricamente sovrastanti per la giacitura rovesciata della successione, appaiono di nuovo strati e bancate di calcareniti torbiditiche ascrivibili alla Formazione di Monte Venere (Cretaceo sup-Paleocene) (Bettelli et al., 1989a; 1989b). Per le notevoli dimensioni (a scala regionale) della Sinclinale della Val Rossenna, che si estende in senso NO-SE per diversi chilometri, gran parte del territorio comunale viene a ricadere al di sopra del suo fianco rovesciato, formato in prevalenza da rocce ascrivibili alle Formazioni di Monghidoro e di Monte Venere (All. nn. 3 e 4). La giacitura prevalentemente orientata verso i quadranti meridionali degli strati comporta quindi la formazione di pendii più acclivi sui versanti esposi a nord (strati a reggipoggio) rispetto ai versanti esposti a sud, meno acclivi (strati tendenzialmente a franapoggio o verticalizzati).

86 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Sebbene la Sinclinale della Val Rossenna rappresenti forse l’elemento geologico strutturale più importante di questo settore di Appennino Modenese e quindi del territorio di Polinago, nelle zone nord orientale e sud orientale di quest’ultimo si riconosce un assetto geologico strutturale differente. La zona di Brandola e Ponte Brandola (estremità SE del Comune) è caratterizzata dalla presenza di arenarie epiliguri della Formazione di Loiano giustapposte attraverso faglie subverticali ai terreni delle Formazioni di Monghidoro e di Monte Venere. Queste rocce arenacee formano, in virtù delle giaciture poco inclinate degli strati (quasi sempre a reggipoggio), delle aree rilevate che si distinguono nel contesto morfologico circostante in quanto sono densamente boscate da faggi e, più spesso, da castegneti da frutto. L’assetto geologico strutturale della parte di territorio, che si colloca a nord del Rossenna, dopo la confluenza del T. Cogorno, è mal definibile per la presenza di rocce a composizione prevalentemente argillosa con inclusi lapidei, riferibili ai complessi di base liguri e al Melange Tettonico di Coscogno. La particolare natura delle rocce affioranti non rende infatti agevole la definizione dei lineamenti strutturali macroscopici, se non attraverso ricerche puntuali e precise. Le strutture geologiche appaiono, inoltre spesso mascherate da depositi superficiali di versante e da accumuli franosi.

3.2.4.5 Sismicità

Il Comune di Polinago non è compreso tra quelli menzionati nella proposta di riclassificazione formulata dal Ministero e dal Consiglio dei LL.PP., con nota ministeriale n. 424 del 0.9.05.1981 e negli elenchi dei comuni classificati successivamente con il D.M. 23.07.1983. E` comunque possibile fare alcune considerazione tenendo conto dei dati bibliografici a disposizione, riportati ad esempio nel catalogo CNR (C.N.R., 1985), nel catalogo N.T.4-1- 1 di Camassi & Stucchi (1998)4 (All. n. 6), nelle carte di macrozonazione sismica (All. nn. 7 e 8) o negli Annuari Sismici pubblicati a cura dell’Osservatorio Geofisico dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Le ricerche storiche e le registrazioni sismiche collocano il territorio del Comune di Polinago in un’area caratterizzata da terremoti di media intensità (fino al 7°-8° grado della scala Mercalli Cancani Sierberg) con punte anche di elevata intensità (il terremoto del 1501, che alcuni cataloghi localizzano nell’area di Serramazzoni, ed altri più verso il margine pedecollinare, avrebbe raggiunto il 9° grad o della scala Mercalli Cancani Sieberg.

4 Consultabile anche all’indirizzo internet: www.emidius.itim.mi.cnr.it/NT/home.html

87 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.2.5 Geolitologia e carta geolitologica

3.2.5.1 Introduzione

Come descritto nel capitolo precedente, nel territorio di Polinago affiorano numerose unità litostratigrafiche. Tuttavia, dal punto di vista applicativo l’uso di un così grande numero di termini non risulta pratico. Molte unità litostratigrafiche, infatti, presentano caratteristiche litologiche assimilabili e pertanto possono essere raggruppate in unità Litologiche. Più raramente, invece, i membri di una singola formazione possono presentare differenze composizionali tali da giustificare l’attribuzione di parti dell’unità a più di un’unità litologiche.

3.2.5.2 Carta geolitologica

Le informazioni riguardanti le caratteristiche litologiche del substrato sono riportate nella Carta Geolitologica, nella quale sono indicate sia la distribuzione in pianta delle diverse unità litologiche in cui possono essere raggruppate le unità litostratigrafiche, sia l’andamento delle faglie cartografiche principali sia l’assetto della stratificazione, con lo scopo di descrivere la natura del substrato roccioso dal punto di vista litologico. La Carta Geolitologica non è quindi una carta geologica in senso stretto, in quanto non considera gli aspetti stratigrafici, ma piuttosto una carta redatta per scopi applicativi derivata dalla carta geologica. Per la realizzazione della Carta Geolitologica ci si è avvalsi delle Sezioni pubblicate della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo edite dalla Regione Emilia Romagna, citate in precedenza (Bettelli G. (1988) – Sez. 219130; F. Panini (1986) - Sez. 236010; M. Cavazzuti (1986) – Sez. 236020; F. Panini (1986) – Sez. 236050; U. Bonazzi (1986) – Sez. 236060). Più in particolare la carta è stata realizzata utilizzando un software per SIT (Sistema Informativo Territoriale: cfr capitolo relativo), pertanto per la realizzazione pratica della Carta Geolitologica Informatizzata sono stati utilizzati i dati contenuti nella Base Dati della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano Romagnolo scala 1:10.000 prodotta dalla Regione Emilia Romagna che, attraverso la Provincia di Modena, ha fornito i file relativi per la loro elaborazione ai fini dello studio geologico qui presente.

88 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.2.5.3 Unità litologiche

Considerati gli scopi del presente studio e quindi la scala di analisi e di dettaglio adottata (1:10.000) per la realizzazione della Carta Geolitologica, nel territorio del Comune di Polinago le diverse unità litostratigrafiche e i depositi quaternari possono essere raggruppati in otto unità litologiche (All. nn. 9 e 10) delle quali verrà data descrizione qui di seguito, accompagnando ciascuna descrizione con l’elenco delle unità litostratigrafiche che sono raggruppate in ciascuna delle unità litologiche descritte. La numerazione progressiva, adottata per identificare le singole unità litogiche è puramente indicativa e non fa riferimento a classificazioni specifiche pubblicate. Si può comunque osservare che le unità litologiche nn. 1, 2, 3 e 4 sono riferite al substrato roccioso propriamente detto (All. n. 9), mentre le nn. 5, 6, 7 e 8 sono unità delle coperture quaternarie (All. n. 10). Inoltre, i numeri più piccoli sono riferiti alle unità tendenzialmente più resistenti alla degradazione da parte degli agenti esogeni.

Flysch e multilayer competenti (unità litologica n. 1)

Raggruppa le unità litostratigrafiche formate dall’alternanza di strati calcarei e/o arenacei con strati pelitici nelle quali generalmente il rapporto tra gli spessori degli strati lapidei (arenarie o calcari) e degli strati pelitici risulta da > 1 a circa = 1 (All. n. 9). Si tratta di rocce che dall’osservazione del territorio appaiono relativamente più resistenti agli agenti erosivi e tendenzialmente stabili, le quali possono essere soggette a frane e a instabilità di versante quando la giacitura degli strati è sfavorevole (a franapoggio), oppure in presenza di zone intensamente cataclasate o per fenomeni di erosione al piede da parte di corsi d’acqua oppure se molto alterate. Nell’Unità Litologica sono comprese le seguenti unità litostratigrafiche: MSG6 – Melange di Coscogno (lembi di torbiditi calcareo-marnose); MSG7 – Melange di Coscogno (lembi di torbiditi arenaceo-pelitiche); MOH3 – Formazione di Monghidoro (membro arenaceo-pelitico) MOH2 – Formazione di Monghidoro (membro pelitico-arenaceo) MCS – Flysch di Monte Cassio.

89 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Unità Prevalentemente Arenacee (A/P>1) (unità litologica n. 2)

Raggruppa le unità litostratigrafiche a composizione prevalentemente arenacea (All. n. 9), nelle quali gli interstrati non arenacei, quando presenti, sono subordinati agli arenacei sia come spessore sia come frequenza (il rapporto arenaria/pelite è solitamente > 1). Si tratta di rocce mediamente resistenti e stabili. Fenomeni di instabilità possono presentarsi in caso di giacitura sfavorevole degli strati accompagnata da fenomeni di plasticizzazione degli interstrati pelitici, eventualmente presenti, oppure in coincidenza di zone intensamente cataclasate. Nelle unità caratterizzate da cementazione da scarsa a media si possono avere fenomeni erosivi localmente accentuati per alterazione e dilavamento. Spesso il fenomeno di alterazione e di dilavamento risulta più pronunciato nella roccia sana rispetto a quella tettonizzata in “bande di deformazione”5 che, nonostante la cataclasi dei granuli, appare spesso più resistente. Nell’Unità litologica in parola compresa una sola unità litostratigrafica: LOI: Formazione di Loiano (membro delle Arenarie di Loiano).

Unità prevalentemente argillose (unità litologica n. 3)

Raggruppa le unità litostratigrafiche a composizione prevalentemente pelitica o argillosa, con o senza inclusi lapidei (All. n. 9). Dal punto di vista macroscopico si tratta di rocce caotiche, nel senso che non conservano più l’originario ordine stratigrafico e presentano spesso una tessitura del tipo a blocchi in pelite e una foliazione (struttura subplanare di origine tettonica) (Bettelli et al., 1994; 1996). Data la composizione prevalentemente argillosa si tratta di rocce che risentono fortemente delle variazioni di contenuto di umidità, soprattutto nella loro porzione superficiale (meno coerente) alterata, che può presentare uno spessore da pochi centimetri ad alcuni metri. Tali terreni sono quindi caratterizzati da indici di franosità tra i più elevati con sviluppo di fenomeni franosi prevalentemente del tipo rototraslazionale, colata, mudslide o complesso. Nei casi favorevoli (sia per condizioni

5 Sono così chiamate ( deformation bands ) particolari strutture tettoniche assimilabili a faglie che si formano prevalentemente entro formazioni arenacee porose, da scarsamente o mediamente cementate. La deformazione tettonica comporta spesso, oltre che una dislocazione a livello mesoscopico, un incremento localizzato della densità relativa del materiale con diminuzione conseguente anche della porosità. Il maggiore addensamento avviene anche in caso di cataclasi dei granuli che diminuiscono quindi di dimensione ma che vengono anche maggiormente compattati. Il materiale deformato ha acquisito una maggiore resistenza agli agenti erosivi se confrontato con la roccia sana (non tettonizzata) che viene erosa preferenzialmente all’intorno del materiale tettonizzato (più resistente) il quale, localmente, può apparire in rilievo (ad es.: Aydin & Johnson, 1983). Solo nei casi in cui la dislocazione sia di entità elevata (alcuni decimetri o più) la banda di deformazione (faglia) si comporta come elemento di debolezza della roccia o come via preferenziale di infiltrazione per i fluidi. Nell’Appennino Modenese numerosi esempi di bande di deformazione sono visibili soprattutto entro le Arenarie di Loiano, nelle Arenarie di Anconella e in alcuni membri della Formazione di Ranzano.

90 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO climatiche che per giacitura della foliazione tettonica a reggipoggio) possono inoltre instaurarsi fenomeni di calancogenesi, anche accentuati. Nell’Unità sono comprese le seguenti unità litostratigrafiche: APP: Argilliti a palombini; AVT: Argilliti variegate; APC: Arenarie di Poggio Castellina; APA: Argille a palombini; SCB: Arenarie di Scabiazza; AVV: Argille varicolori; MSG2 : Melange di Coscogno (lembi di Argille a palombini); MSG3: Melange di Coscogno (lembi di Argille varicolori); MOH1: Formazione di Monghidoro (membro pelitico) VRO: Argille della Val Rossenna; MVR1: Melange della Val Rossenna (argille con clasti e blocchi poligenici); MVR2: Melange della Val Rossenna (lembi di Argille varicolori e di Arenarie di Scabiazza); LOI4: Formazione di Loiano (membro delle Argille di Rio Giordano).

Ofioliti (unità litologica n. 4)

Raggruppa le Ofioliti (All. n. 9), essenzialmente basalti ( ) e brecce poligeniche a elementi prevalentemente basaltici (bc), che spesso non sono cartografabili essendo di ridotte dimensioni ed incluse entro le Argille a Palombini. In taluni casi, tuttavia si rinvengono masse di dimensioni ragguardevoli che contribuiscono a stabilizzare il pendio, soprattutto quando si collocano al piede di un versante argilloso, dove formano un contrafforte naturale. L’unità assume, solo localmente ed in un unico caso, una certa importanza per la presenza di un affioramento, in destra Rossenna circa un chilometro a valle della confluenza del T. Cogorno, di dimensioni pluridecametriche, posto al piede di un versante del quale favorisce la stabilità. Negli altri casi gli affioramenti presentano estensioni più limitate.

Depositi alluvionali (unità litologica n. 5)

Depositi alluvionali, prevalentemente ghiaiosi e sabbiosi, con copertura limoso-argillosa, quando terrazzati (All. n. 10). Generalmente si presentano lungo l’alveo oppure ai suoi margini. In quest’ultimo caso sono spesso terrazzati e delimitati da scarpate talvolta soggette ad erosione al piede da parte dei corsi d’acqua.

91 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Sulla Carta Geologica6 tali terreni sono indicati con la sigla bn, nella quale n è un numero che indica l’ordine del terrazzo rispetto ai depositi alluvionali in evoluzione dell’alveo medesimo, indicati con la sigla b1. Sono compresi in quest’unità litologica anche i depositi di conoide fluviale che si formano allo sbocco di un corso d’acqua entro un altro che presenta una minore acclività.

Depositi eolici, eluviali e colluviali (unità litologica n. 6)

Depositi di origine eolica, eluviale o colluviale che ricoprono le paleosuperfici (o superfici relitte secondo Panizza & Delvecchio, 1982) con spessori variabili da pochi decimetri ad alcuni metri (All. n. 10). Si tratta di depositi del Quaternario, prevalentemente limosi o limoso argillosi, che ricoprono aree subpianeggianti o comunque a bassa acclività e che, pertanto, presentano generalmente una discreta stabilità. Sulla Carta Geologica7 tali terreni sono indicati con la sigla d1.

Depositi di versante (unità litologica n. 7)

Si tratta di quei materiali eterogenei ed eterometrici, accumulati lungo i versanti per gravità o per ruscellamento, indicati con la sigla a3 sulla Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo della RER. Sono da stabili a potenzialmente instabili a seconda del contesto morfologico, delle condizioni idrauliche e idrogeologiche, del clima, ecc. Presentano granulometria quanto mai diversa a seconda della roccia dalla quale derivano e del processo che li ha generati e possono essere sia coerenti, se associati ad una componente argillosa, sia incoerenti, se essa manca.

Accumuli franosi (unità litologica n. 8)

Vengono raggruppati nella presente unità litologica gli accumuli franosi, derivati sia da frane attive sia da frane quiescenti. In generale si tratta di materiali eterogenei ed eterometrici in matrice pelitica. Talvolta quest’ultima è scarsa o assente, soprattutto per gli accumuli derivati da frane di crollo dove prevalgono i blocchi ed i frammenti di roccia e dove il meccanismo di movimento non è in grado di causare il rimescolamento dei singoli blocchi e frammenti franati.

6 Vedi nota precedente. 7 Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo alla scala 1:10.000 edita dalla Regione Emilia Romagna.

92 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Per il loro meccanismo genetico si tratta di materiali instabili (se in evoluzione) o comunque potenzialmente instabili se non ne viene attuato il presidio o non si realizza la manutenzione dei versanti sui quali insistono.

93 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

3.2.6 Geomorfologia e carta geomorfologica

3.2.6.1 Introduzione

L’analisi geomorfologica del territorio comunale ha portato alla realizzazione di una carta tematica di dettaglio alla scala 1:10.000 sotto forma di progetto informatizzato. Lo studio della geomorfologia è stato condotto con il fine di descrivere le forme ed i processi attualmente attivi, o che lo sono stati in passato, che contribuiscono, o hanno contribuito, a conferire al territorio di Polinago l’attuale assetto morfologico L’indagine è stata condotta utilizzando le informazioni deducibili: dalla cartografia geologica edita; dalle basi dati informatizzate contenute nella Base Dati della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano Romagnolo scala 1:10.000, prodotta dalla Regione Emilia Romagna che, attraverso la Provincia di Modena, ha fornito i file relativi; dai dati forniti dall’Amministrazione Provinciale, con particolare riferimento alle basi di dati informatizzate relative al Sistema Informativo Territoriale del P.T.C.P. modenese; dalla bibliografia scientifica e tecnica disponibili; dalla relazione geologica allegata alla precedente Variante Generale al P.R.G.; dalla relazione geologica e relativi allegati che costituiscono il P.A.E. comunale; da sopralluoghi e rilevamenti condotti in campagna. Benché i dati sui dissesti di versante siano ripresi soprattutto dalla base dati informatizzata del P.T.C.P. della Provincia di Modena, sono state ravvisate delle differenze con quanto riportato nella Base Dati della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano Romagnolo scala 1:10.000 nonché con quanto verificato localmente e attraverso l’interpretazione delle ortofotografie aeree dell’area. Le non conformità riscontrate sono state appositamente cartografate ed introdotte nel progetto informatizzato dell’allegata Carta Geomorfologica, mantenendole comunque distinguibili rispetto la cartografia del dissesto provinciale. In sede di layout della carta definitiva sarà quindi possibile riunire i vari temi relativi al dissesto in un unico tema oppure tenere distinte (attraverso l’uso di un diverso graficismo) quelle che si propongono come integrazioni alla cartografia del dissesto del P.T.C.P.

3.2.6.2 Aspetti generali

I parametri peculiari che hanno condizionato l’evoluzione morfologica del territorio

94 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO comunale possono essere così riassunti: 1. T. Rossena che attraversa l’intero territorio comunale e che si configura come l’elemento regolatore più evidente dell’evoluzione del paesaggio; 2. forte grado di dissesto, evidenziato dalla presenza di numerosi accumuli franosi e movimenti, sia quiescenti sia attivi, tanto che lo stesso capoluogo è stato dichiarato da consolidare, ai sensi della Legge 9 luglio 1908 n. 445, con Decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 18 dicembre 1961 (AA.VV., 1993). 3. agenti morfogenetici principali: acque incanalate (reticolo idrografico) e forza di gravità); 4. caratteristiche del substrato: litologia, cementazione, porosità, fratturazione, ecc. 5. assetto geologico-strutturale: la presenza della Sinclinale della Val Rossenna controlla non poco l’evoluzione geomorfologica dell’area; 6. clima: caratterizzato da precipitazioni meteoriche totali annue elevate (1000 mm o superiori), con conseguenti cospicui apporti sia all’infiltrazione sotterranea sia al reticolo idrografico superficiale.

Torrente Rossenna

Il Torrente Rossenna attraversa l’intero territorio comunale e rappresenta l’elemento regolatore più importante del paesaggio. Da sud verso nord esso si delinea secondo quattro aste fluviali consecutive, che probabilmente seguono altrettanti elementi geologico strutturali (faglie, fratture cartografiche e Sinclinale della Val Rossenna), orientate circa E- O, SO-NE, SE-NO e O-E con alveo che presenta una larghezza da pochi metri ad alcune decine di metri e che spesso è ricoperto8 da depositi alluvionali grossolani, terrazzati in più ordini. La porzione di territorio che si colloca in sinistra Rossenna presenta caratteristiche geologiche e geomorfologiche più omogenee. Essa è contraddistinta da un substrato lapideo dato da flysch cretacei (unità litologica n. 1) e solo nella sua parte centrale è costituito da rocce argillose (unità litologica n. 4). In destra Rossenna si ha invece una situazione molto più eterogenea con un substrato di rocce a composizione prevalentemente argillosa, di rado ofiolitica, o lapidea a NE, lapidea e arenacea a SE e di nuovo lapidea a Sud.

8 Il substrato roccioso affiora lungo l’alveo del Rossenna solo in alcuni tratti, a valle di traverse artificiali, grossomodo tra Ca’ di Tuccio e la confluenza del T. Cogorno, negli altri tratti è invece ricoperto da depositi alluvionali.

95 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Gli affluenti del Rossenna si dispongono rispetto al torrente principale delineando un pattern idrografico grossomodo di tipo ortogonale, che probabilmente è controllato nel suo sviluppo da strutture geologiche. Se si considerano tuttavia i microbacini di alcuni affluenti si possono anche riconoscere pattern piumati (quando il substrato è di tipo argilloso) con sviluppo, alla testata e sui versanti, di fenomeni di erosione a rivoli o, in certi casi, di forme calanchive e/o subcalanchive.

Forte grado di dissesto

Come evidenziato da numerosi studi e ricerche (ad es. AA.VV., 1980; 1993; Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo della RER; Inventario del dissesto della RER; Carta del dissesto del PTCP della Provincia di Modena) il territorio del Comune di Polinago è interessato da un elevato numero di frane e di dissesti di versante, sia attivi sia quiescenti, tanto che l’abitato di Polinago fu negli anni ’60 dichiarato da consolidare (AA.VV., 1993). A titolo di esempio si può anche ricordare la riattivazione recente della frana che minaccia la strada di collegamento alla località di Palaveggio, ampiamente riportata dalle cronache dei telegiornali e quotidiani locali. Tali considerazioni sul dissesto nel territorio di Polinago sono suffragate da un recente studio statistico sulle frane della Regione Emilia Romagna (RER, 1999). Oltre il 25% della superficie del territorio comunale risulta interessato da frane attive o quiescenti. Si tratta di frane attive per il 5.6% e quiescenti per il 20% del territorio. Se si escludono le aree dove sono presenti rocce e terreni riferibili alle unità litotologiche nn. 2 e 5 (Arenarie prevalenti e Depositi eolici, eluviali e colluviali: All. n. 9)9 (Arenarie prevalenti e Depositi eolici, eluviali e colluviali) dove si riscontra una relativa stabilità, le frane sono diffuse abbastanza uniformemente su tutto il territorio comunale. Si tratta di movimenti generalmente rototraslazionali, da colata, tipo mudslide, e complessi entro le rocce a composizione prevalentemente argillosa dell’unità litologica n. 4 oppure di scivolamenti traslazionali in massa, scivolamenti traslazionali, colate di detrito e movimenti complessi entro le rocce delle unità litologiche nn. 1 e 7 (All. nn. 9 e 10), oppure di riattivazioni di frane quiescenti preesistenti (unità litologica n. 8). Localmente, quando si hanno condizioni morfologiche favorevoli, sono poi presenti accumuli di frane per crollo, soprattutto al piede di scarpate soggette a erosione da parte di corsi d’acqua, o per fenomeni di dilavamento favoriti da alterazione per umidificazione/essiccazione, per

9 Si trascura l’unità litologica n. 3 (Ofioliti) in quanto rappresenta una percentuale molto piccola del substrato del territorio comunale. Da notare, comunque, che l’affioramento ofiolitico presso la località Pian Massaro che si colloca al piede del versante è di dimensioni tali da costituire una sorta di contrafforte naturale che conferisce una maggiore stabilità relativa alla pendice soprastante rispetto le aree all’intorno.

96 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO gelo/disgelo, ecc. e dalla presenza di condizioni strutturali favorevoli entro le rocce (fitte alternanze di strati competenti ad altri poco competenti, faglie e diaclasi). In diversi microbacini minori di affluenti del T. Rossenna, le frane si sviluppano una accanto all’altra sovrapponendosi parzialmente e formando dei sistemi di frane coalescenti che ricalcano sostanzialmente l’andamento dei corsi d’acqua secondari contribuendo a formare i riempimenti dei fondivalle, che sono poi a loro volta incisi dalle acque incanalate. Nella zona nord orientale e nei dintorni di Gombola, questi sistemi franosi si sviluppano congiuntamente a forme di tipo subcalanchivo per la contemporanea presenza di dissesti gravitativi di versante e fenomeni di erosione diffusa a rivoli.

Agenti morfogenetici principali

Da quanto appena presentato ne deriva che gli agenti morfogenetici, che più risultano attivi nel territorio di Polinago, sono le acque incanalate (reticolo idrografico) e la forza di gravità. Le prime agiscono con la loro triplice funzione erosiva (potenzialmente su tutto il territorio), di trasporto (lungo le aste fluviali dei corsi d’acqua minori e del T. Rossenna) e di sedimentazione (localmente soprattutto in coincidenza di briglie, sbarramenti naturali, confluenze di un corso d’acqua entro un altro a minore pendenza (conoidi) o altre situazioni in cui si verifica una diminuzione della competenza della corrente idrica. Su tutto il territorio agisce poi la forza di gravità, soprattutto nella dinamica di versante, dove gli squilibri legati alla distribuzione dei pesi e la diminuzione della resistenza dei terreni legata a varie cause, determinano la formazione di frane, dissesti e scoscendimenti in genere, con danni a manufatti viari (ed in certi casi anche ad abitazioni) nonché necessità di interventi di manutenzione del territorio.

Caratteristiche del substrato

Le caratteristiche del substrato roccioso (litologia, granulometria, stratificazione, permeabilità, ecc.) esercitano, e hanno esercitato, un ruolo fondamentale nell’influenzare l’evoluzione morfogenetica di un’area. Tale considerazione è senz’altro valida anche per il territorio di Polinago. Esso (All. n. 9) è infatti formato essenzialmente da tre tipi di rocce (Unità litologiche nn. 1, 3 e 4) e le diverse aree caratterizzate da substrati rocciosi differenti evidenziano macroscopicamente forme del paesaggio dissimili.

97 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

La zona nei dintorni del Castello di Brandola, nella parte sudorientale del territorio comunale, che è caratterizzata da un substrato roccioso prevalentemente arenaceo (All. n. 9) si eleva morfologicamente rispetto le aree circostanti. Essa è caratterizzata da un’abbondante e rigogliosa copertura boschiva data prevalentemente da castagni e faggi; i rilievi presentano sommità dolci che sono fortemente incise da fossi e ruscelli che scorrono in forre profonde delimitate da alte scarpate. Si tratta di aree utilizzate per la raccolta delle castagne e dei frutti del sottobosco. La zona che si colloca prevalentemente in destra del Torrente Rossenna e, limitatamente all’area presso Gombola, anche in sinistra Rossenna, è caratterizzata da un substrato roccioso prevalentemente argilloso-pelitico. Qui prevalgono le forme di erosione calanchiva ed i dissesti gravitativi (frane rotazionali, per colata, tipo mud slide o complesse). Si tratta di aree poco coltivabili e utilizzabili molto limitatamente per la pastorizia o per la produzione di foraggio, sia a causa delle pendeze disagevoli sia per i frequenti e diffusi dissesti gravitativi. La maggior parte del territorio comunale che si colloca in sinistra Rossena, e presso Gombola anche in destra del medesimo Torrente, è caratterizzata da un substrato a composizione prevalentemente lapidea. Quivi si localizzano i rilievi più elevati presenti nel territorio in considerazione. I versante risultano molto acclivi, soprattutto lungo la Val Rossenna, dove la stratificazione spesso a reggipoggio favorisce la formazione di alte scarpate o di pendi comunque scoscesi. Nella parte occidentale del territorio comunale, i versanti presentano invece anche pendenze più moderate per il controllo esercitato dall’assetto della stratificazione tendenzialmente a franapoggio. Tale caratteristica strutturale comporta tuttavia anche la formazione di frane di scivolamento lungo strato o, più spesso, della copertura di alterazione superficiale che si forma per degradazione del substrato roccioso che quindi, anche in questo caso, controlla l’evoluzione morfogenetica dell’area attraverso le sue caratteristiche litologiche, strutturali e sedimentarie.

Assetto geologico-strutturale

Sebbene l’attuale andamento geomorfologico del territorio di Polinago possa essere imputato soprattutto dall’azione delle acque incanalate e della forza di gravità, un condizionamento è stato determinato dal particolare assetto geologico-strutturale. La presenza infatti della sinclinale della Val Rossenna e di alcuni sistemi principali di faglie (All. n. 5: Linea di Polinago e Sistema della Val Rossenna) hanno pilotato fortemente lo sviluppo del reticolo idrografico principale. Lo stesso Rossenna si sviluppa seguendo dapprima la Linea di Polinago ed in seguito parallelamente alla direzione del piano assiale

98 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO della Sinclinale della Val Rossenna (All. nn. 3 e 5). Come già accennato in precedenza, anche la disposizione tendenzialmente ortogogonale al Rossenna da parte degli affluenti principali e minori sembra ricalcare uno schema simile a quello degli andamenti delle faglie principali. La presenza della Sinclinale della Val Rossenna ha inoltre favorito lo sviluppo dei calanchi tipici della zona a sud di Gombola, i quali si sono formati entro le rocce prevalentemente argillose, ascrivibili alle Argille della Val Rossena ed al Melange della Val Rossenna, che affiorano al nucleo della testé menzionata piega coricata.

Clima

Il Comune di Polinago (All. nn. 11 e 12: RER, 1995), è caratterizzato da precipitazioni meteoriche totali annue elevate (1000 mm o superiori) che determinano conseguenti apporti elevati sia alle acque sotterranee (alimentando diverse sorgenti) sia al reticolo idrografico superficiale. Il periodo più freddo va da dicembre a febbraio con temperature medie giornaliere inferiori ai 4°C, con minime che mediamente si attestano atto rno allo 0 o a valori inferiori. Il periodo più caldo è quello dei mesi di luglio ed agosto, con temperatura media giornaliera attorno a 18-19°C e valori massimi mediamente al di sopra di 20-22 gradi. La temperatura minima assoluta fu registrata il 03.01.1979 con –12°C, mentre quella massima assoluta fu misurata il 29.07.1983 con 34,5°C10. I due periodi durante i quali si riscontrano i valori più elevati di precipitazioni cumulate sono quelli di ottobre-novembre (valori medi mensili compresi tra 103 e 108 mm) e di marzo maggio (valori mensili medi cumulati compresi all’incirca tra 80 e 90 mm). Il mese più secco è quello di luglio caratterizzato mediamente da valori di precipitazione mensile cumulata attorno ai 35 mm. La massima precipitazione giornaliera è stata registrata il 26 settembre 1973 con 120 mm.

3.2.6.3 Carta geomorfologica

Per la redazione della Carta Geomorfologica è stato allestito un progetto informatizzato su piattaforma GIS (cfr. capitolo seguente). Nel progetto “Carta Geomorfologica” oltre che gli elementi ed i processi geomorfologici che contraddistinguono il territorio comunale (topografia, frane, calanchi, crinali, alvei dei corsi d’acqua principali, rupi) sono riportati

10 I dati, pubblicati in RER (1995), si riferiscono al periodo compreso tra il primo gennaio 1961 e il trentuno agosto 1993.

99 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO anche elementi paesaggistici e geologico-ambientali (geositi, masse ofiolitiche, superfici relitte, ecc.) che sono peculiarità o situazioni sensibili da tenere in considerazione durante la pianificazione territoriale. Qui di seguito verrà data una descrizione di tutti gli elementi che si è ritenuto utile inserire nel progetto “Carta Geomorfologica” e che ne costituiscono quindi dei temi specifici. Per quanto riguarda invece una descrizione degli attributi contenuti nelle tabelle e nelle basi di dati associati ai progetti “Carta Geomorfologica” e “Carta Geolitologica” si rimanda capitolo che segue il presente: ∗ Forme fluviali : si tratta soprattutto di forme che esprimono la presenza di depositi di origine torrentizia, depositi di alveo attivi suscettibili di rimaneggiamento da parte delle acque incanalate, depositi fluviali terrazzati in più ordini gerarchici, conoidi fluviali che si formano allo sbocco di un corso d’acqua entro un altro, a causa della minore pendenza di quest’ultimo che determina una riduzione della capacità di trasporto solido delle acque. ∗ Depositi superficiali : sono distinti in depositi detritici di versante s.l. e depositi eolici, eluviali e colluviali. I primi sono il risultato di processi di accumulo lungo i versanti di masse di detriti messe in posto per processi gravitativi o di ruscellamento. I secondi invece sono legati a diverse tipologie di meccanismi genetici. Questi ultimi evidenziano la presenza di particolari forme del paesaggio dette superfici relitte o paleosuperfici (Panizza & Delvecchio, 1982). Queste presentano una morfologia spesso subpianeggiante o comunque a bassa acclività; si collocano generalmente nelle parti alte dei versanti, sono sostanzialmente stabili (i fenomeni di instabilità sono limitati alle zone loro marginali contraddistinte da variazioni di acclività), e sono ricoperte da sedimenti tendenzialmente a granulometria fine (limoso-argillosa) che possono raggiungere spessori anche di alcuni metri. Queste forme del paesaggio rappresentano i resti di paleoforme (paleotopografie) correlate a sistemi morfoclimatici diversi dall’attuale e sono pertanto da ritenersi molto antiche (probabilmente pre-oloceniche). ∗ Geositi : nel territorio del Comune di Polinago sono state individuate sette località presso le quali sono presenti elementi geologici o geomorfologici che per le loro caratteristiche peculiari sono da considerare suscettibili di tutela: la Salsa della Canalina, gli affioramenti della Formazione di Monghidoro e delle altre unità della Successione della Val Rossenna presso Ca’ Marastoni (nelle vicinanze di Gombola); la località tipo delle Arenarie di Poggio Castellina; l’Ofiolite di Pian Massaro, le pieghe mesoscopiche nella Formazione di Monghidoro, la sorgente di Brandola; gli strati a franapoggio con inclinazione praticamente uguale al pendio della Formazione di Monghidoro presso Gombola. I criteri che sono stati seguiti per la selezione dei geositi

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menzionati sono stati: a) precedenti segnalazioni in fonti bibliografiche; b) peculiarità dell’elemento geologico nei confronti dell’intero territorio: – la Salsa della Canalina rappresenta l’unico esempio noto e segnalato sulle carte geologiche della RER di manifestazione lutivoma nel Comune di Polinago; – la località Poggio Castellina è segnalata sulla Carta Geologica come affioramento significativo; – l’ofiolite di Pian Massaro costituisce la massa ofiolitica del territorio esaminato che, per le sue dimensioni, rappresenta un’emergenza paesaggistica significativa che contribuisce a conferire al versante (al cui piede si colloca) una migliore stabilità rispetto le aree adiacenti, coinvolte da scoscendimenti e frane anche di grandi dimensioni; – gli affioramenti della Formazione di Monghidoro presso Ca’ Marastoni e le pieghe mesoscopiche nella stessa formazione, sono invece geositi segnalati in una pubblicazione specifica a cura della Provincia di Modena (AA.VV:, 1999); – la sorgente di Brandola, scoperta nel 1448 e recentemente oggetto di un intervento di ripristino architettonico-conservativo, era già nota durante il Medioevo ed il Rinascimento in quanto alle sue acque si attribuivano particolari proprietà curative nei confronti di certe affezioni che colpivano il bestiame o gli esseri umani (Vandelli, 1763); – gli strati a franapoggio con inclinazione praticamente uguale al pendio della Formazione di Monghidoro presso Gombola costituiscono un esempio di intervento di sistemazione di versante instabile in roccia mediante chiodatura) (Bonazzi et al., 1972). ∗ Rupi : sono state segnalate le quattro rupi del Castello di Gombola, di Poggio Castellina, del Castello di Brandola e del Fosso del Cinghio. Si tratta di punti panoramici che emergono rispetto al paesaggio circostante. ∗ Ambito Estrattivo Comunale ed ex cave : sul Progetto “ Carta Geomorfologica” sono state riportate le ubicazioni dell’unico Ambito Estrattivo Comunale previsto dal PAE (Maccaferri, 1998) e delle ex cave segnalate in bibliografia. ∗ Ofioliti : all’interno della formazione delle Argille a palombini sono presenti, soprattutto nella parte nord del territorio comunale, lungo una fascia che segue la destra idrografica del Rossenna, diverse masse ofiolitiche che, per il loro colore e per le loro caratteristiche litologiche, inducono una percezione paesaggistica diversa rispetto alle aree circostanti. Spesso si tratta di limitati affioramenti che raggiungono a stento

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dimensioni decametriche, in un solo caso queste sono maggiori (ofiolite di Pian Massaro) e tali da influenzare, ostacolandoli, i processi di instabilità di versante. ∗ Calanchi : le aree calanchive sono zone caratterizzate da un substrato a composizione prevalentemente pelitico-argillosa o pelitico marnosa sul quale i fenomeni di erosione concentrata in rivoli, con formazione di un fitto reticolo idrografico locale (scala deca- ettometrica), si sviluppano in maniera molto accentuata, spesso preponderante sugli altri processi morfogenetici. Nella carta geomorfologica sono stati riportati i calanchi individuati dal P.T.C.P., mantenendone anche la classificazione. Nel territorio di Polinago sono presenti due aree caratterizzate dalla presenza di calanchi tipici (categoria B del PTCP) ubicati nella zona di Gombola e formatisi entro i terreni che costituiscono il nucleo della Sinclinale della Val Rossenna. Il loro maggior grado di sviluppo ed evoluzione è infatti qui favorito, a differenza di altre aree del territorio comunale, non solo dalla presenza di terreni pelitico-argillosi ma anche dalla giacitura a reggipoggio delle stratificazione, o meglio della foliazione tettonica, che segue grossomodo l’andamento della superficie assiale dei fianchi della struttura plicativa menzionata nel capitolo relativo alla geologia del territorio comunale. ∗ Crinali : sono le zone di spartiacque tra i principali bacini idrografici. Nel progetto “Carta Geomorfologica” sono stati indicati i crinali principali e secondari già evidenziati nel P.T.C.P. della Provincia di Modena. ∗ Sorgenti : sulla Carta Geomorfologica è stata riportata l’ubicazione delle sorgenti ad uso idropotabile e delle aree di possibile alimentazione delle sorgenti idropotabili ricadenti entro il territorio comunale, così come indicato dal P.T.C.P. della Provincia di Modena. ∗ Dissesto di versante : Sono state derivate informazioni bibliografiche sui dissesti di versante soprattutto dal PTCP della Provincia di Modena e dalla Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo. E` stata inoltre condotta un’analisi delle ortofotografie aeree coadiuvata da sopralluoghi sul terreno che ha permesso di individuare diverse situazione in evoluzione non comprese nelle carte e nelle basi dati del PTCP. Per la zona di Polinago è stato inoltre utilizzato uno studio riguardante la proposta di perimetrazione dell’abitato di Polinago dichiarato da consolidare ai sensi della legge n. 405 del 9 luglio 1908 (Rossi, 2001). Le aree dissestate sono state quindi distinte in frane attive, frane quiescenti e aree di potenziale instabilità, seguendo pertanto la classificazione proposta dal P.T.C.P. Grazie alla versatilità dei S.I.T. (Sistemi Informativi Territoriali) è stato possibile mantenere distinti gli elementi relativi

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al dissesto segnalati dal P.T.C.P. dalle integrazioni provenienti da più fonti (Carta Geologica, ortofotografie aeree, rilevamento diretto, ecc.) (cfr. capitolo seguente).

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3.2.7 GIS e SIT

A partire dalla fine degli anni ’60 sono stati messi a punto e resi disponibili specifici strumenti informatici per gestire e analizzare i dati geografici. Questi sono noti sotto la denominazione di GIS (Geographical Information System) che in Italiano viene tradotta in SIT (Sistemi Informativi Territoriali) (Gomarasca, 1997). La diffusione di questi pacchetti informatici presso le Amministrazioni Pubbliche, gli Enti e gli Istituti che si occupano di gestione e pianificazione del territorio, si è andata sempre più sviluppando soprattutto nell’ultimo decennio, in quanto essi consentono più rapide analisi, elaborazioni, memorizzazioni e aggiornamenti dei dati via via raccolti (Gomarasca, 1997). La possibilità di associare ad un determinato dato geografico (posizione sulla superficie terrestre, o eventualmente anche al di sopra o al di sotto della stessa) una serie di dati descrittivi diversi (ad esempio sotto forma di tabelle di dati alfanumerici) sui quali si possono compiere vari tipi di operazioni (selezione, sovrapposizione, intersezione, ecc.) rende i SIT molto utili nella pianificazione territoriale sia a livello di elaborazione di carte tematiche sia a livello del loro aggiornamento veloce con nuovi dati. Pertanto, nella realizzazione del presente Studio Geologico a supporto del PSC del Comune di Polinago ci si è avvalsi di un SIT specifico con lo scopo di realizzare carte tematiche pertinenti ad una sua analisi geologico-ambientale.

3.2.7.1 Carta geolitologica e carta geomorfologica informatizzate

Le analisi della geologia e della geomorfologica del territorio del Comune di Polinago hanno portato alla realizzazione di due carte informatizzate che, singolarmente, costituiscono due SIT tematici: la Carta Geolitologica e la Carta Geomorfologica. Le informazioni georeferenziate relative ai singoli tematismi sono state infatti assemblate in due Progetti distinti denominati: Carta Geolitologica e Carta Geomorfologica. Questi sono stati approntati nella fase preliminare di progettazione distintamente l’uno dall’altro, ma possono anche essere integrati all’interno di un unico Progetto, ad esempio sotto forma di due Viste distinte, che contengono sia Temi specifici diversi l’una dall’altra che Temi comuni ad entrambe (la cartografia ed i limiti del territorio comunali). Come già riferito in precedenza le fonti dei dati relativi alla geologia e alla geomorfologia dell’area in studio sono plurime. Essi infatti derivano sia dalla bibliografia, sia dal Sistema

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Informativo Territoriale della Provincia di Modena11, sia dalla Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo12, sia da controlli diretti e sopralluoghi.

3.2.7.2 Carta geolitologica

Il Progetto denominato “Carta Geolitologica” descrive il territorio comunale dal punto di vista della natura litologica del substrato roccioso e delle coperture superficiali in esso presenti. Contiene inoltre informazioni sull’assetto geologico strutturale generale. Il SIT Carta Geolitologica contiene temi di poligoni, di polilinea e di punti. I temi di poligoni descrivono la distribuzione in pianta delle diverse unità geolitologiche su tutto il territorio comunale. I temi di polilinee forniscono informazioni geologico strutturali relative ai diversi lineamenti tettonici (faglie, sovrascorrimenti e contatti meccanici che individuano i contatti secondari tra le diverse unità litostratigrafiche. I temi di punti forniscono invece informazioni strutturali locali in quanto sono riferito all’assetto della stratificazione.

Carta Geomorfologica

Il Progetto denominato “Carta Geomorfologica” descrive il territorio comunale dal punto di vista fisico, evidenziando la collocazione e disposizione spaziale delle morfosculture principali distinguibili non solo sulla base dell’aspetto macroscopico ma anche in relazione all’agente modellatore (acqua, gravità, uomo, ecc.) e al processo (di erosione, di trasporto o di accumulo) che le ha generate. Nel Progetto Carta Geomorfologica sono contenuti inoltre temi specifici relativi alla tutela del paesaggio e delle risorse (rupi, geositi, sorgenti, cave, opere di consolidamento, ecc.). I temi specifici sono sia del tipo poligono (frane, depositi di versante ed eolici, depositi fluviali, ecc), sia del tipo polilinee (crinali, opere antropiche di consolidamento) sia temi di punti (rupi, geositi, ecc.).

11 La Provincia di Modena ha fornito i dati georeferenziati estratti dal PTCP provinciale.

12 La Regione Emilia-Romagna, attraverso la Provincia di Modena, ha fornito i dati informatizzati georeferenziati.

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3.2.8 Bibliografia consultata

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♦ AA.VV. (1980) – Studio coordinato interdisciplinare sulla stabilità e gli interventi di difesa nell’area del Monte Santa Giulia (Val Rossenna – Appennino Modense). Atti Soc. Nat. Mat. di Modena, 111.

♦ AA.VV. (1992) - Appennino Tosco-Emiliano. (A cura di Bortolotti V.) Guide geologiche regionali. N. 4, pp. 336, BE-MA Editrice, Firenze.

♦ AA. VV. (1993) – Atlante dei centri abitati inastabili del’Emilia-Romagna. Vol. 4 - Provincia di Modena.

♦ AA.VV. (1994) – Appennino Ligure-Emiliano. (A cura di Zanzucchi G.) Guide geologiche regionali. N. 6, pp. 388, BE-MA Editrice, Firenze.

♦ AA. VV. (1999) – I beni geologici della Provincia di Modena. Artioli Eitore, Modena, pp.104.

♦ Bartolini C., Bernini M., Carloni G.L., Costantini A., Federici P.R., Gasperi G., Lazzarotto A., Marchetti G., Mazzotti R., Papani G., Pranzini G., Rau A., Sandrelli F., Vercesi P.L., Castaldini D. & Francavilla F. (1982) - Carta neotettonica dell'Appennino Settentrionale - Note Illustrative. Boll. Soc. Geol. It., 101, 523-549.

♦ ♦ Bettelli G., Bonazzi U., Fazzini P., Gasperi G., Gelmini R. & Panini F. (1989a) - Nota illustrativa alla Carta Geologica Schematica dell'Appennino modenese e delle aree limitrofe. Mem. Soc. Geol. It., 39 (1987), 487-498.

♦ Bettelli G., Bonazzi U., & Panini F. (1989b) – Schema introduttivo alla geologia delle Liguridi dell’Appennino modenese e delle aree limitrofe. Mem. Soc. Geol. It., 39 (1987), 91-125.

♦ Bettelli G., Bonazzi U., Fazzini P.& Panini F. (1989c) -Schema introduttivo alla geologia delle Epiliguridi dell'Appennino modenese e delle aree limitrofe. Mem. Soc. Geol. It., 39 (1987), 215-244.

♦ Bettelli G., Capitani M. & Panini F. (1994a) - The mesoscopic structures of a strongly deformed multilayered sequence: a hypothesis of the origin of the "block-in-matrix" fabric and the layer-parallel extension shown by the ligurian dismembered formations of the Baganza Supergroup outcropping in the Reggio Emilia and Modena Apennines. In: The chaotic rocks in the Southwestern sector of the Emilia Apennines. 1st European Congress on Geological Cartography and Information Systems. , June, 13-16, 1994, Postcongress Field Trip n. 3, Excursion Guidebook, Excursion n. 2.

♦ Bettelli G., Capitani M. & Panini F. (1996b) – Origine della struttura a “blocchi in pelite” e dell’estensione parallela alla stratificazione nelle formazioni smembrate liguri del

106 Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Supergruppo del Baganza affioranti nel settore sudorientale dell’Appennino emiliano. Acc. Naz. Sci. Lett. Arti di Modena, Collana Studi, 15, 261-298.

♦ Bettelli G., Panini F. & Pizziolo M. (1999a) - Carta Geologica d’Italia a scala 1:50.000. Foglio N. 236 “Pavullo”. Istituto Poligrafico dello Stato, Roma (in stampa)

♦ Bettelli G., Panini F. & Pizziolo M. con contributi di: Bonazzi U., Capitani M., Fazzini P., Fioroni C., Fregni P. & Gasperi G. (1999b) – Note illustrative alla Carta Geologica d’Italia a scala 1:50.000. Foglio N. 236 “Pavullo”. Istituto Poligrafico dello Stato, Roma (in stampa).

♦ Bonazzi U., Fazzini P., Gasperi G., Gelmini R., Guadagni A., Minghelli F. & Pellegrini M. (1972) – Bacino del F. Secchia (Appennino Settentrionale): geologia, vegetazione e degradazione, stabilità dei versanti, permeabilità, regime idrologico e opere di regimazione. Atti Soc. Nat. Mat di Modena, 103, 1-131.

♦ Capitani M. & Bertacchini M. (1997) – Aspetti geologici. In AA. VV. (1997) - Seconda Relazione sullo stato dell’Ambiente nella Provincia di Modena. Mucchi Editore, Modena, 29-34.

♦ Camassi R & Stucchi M. (1998) – N.T. 4.1.1, un catalogo parametrico di terremoti di area italiana al di sopra della soglia di danno. (consultabile all’indirizzo internet: http://www.emidius.itim.mi.cnr.it).

♦ Castellarin A., Eva C., Giglia G., & Vai G.B. (con contributo di Rabbi E., Pini G.A. & Crestana G.) (1985) – Analisi strutturale del fronte appenninico padano. Giornale di Geologia, Ser. 3, n. 47, 47-76.

♦ C.N.R. (1985) - Catalogo dei terremoti italiani dall'anno 1000 al 1980. pp. 239.

♦ Elmi C. & Zecchi R. (1974) - Caratteri sismotettonici dell'Emilia Romagna. Quad. Mercanzia n. 21, Cam. Comm. Ind. Art. e Agr., Bologna.

♦ Frassineti G, Marcellini A., Martelli L., Pagani M., Palumbo A., Riva F., Tento A.. & Viel G. (1997) La microzonazione sismica nella pianificazione urbanistica e territoriale: l’esperienza del “Masterplan” del Rubicone e prospettive regionali. In: Geologia delle grandi aree urbane, Bologna, Palazzo dei Congressi, 4-5/Nov.1997.

♦ Gasperi G., Cremaschi M., Mantovani Uguzzoni M.P., Cardarelli A., Cattani M. & Labate D. (1989) - Evoluzione plio-quaternaria del margine appenninico modenese e dell'antistante pianura. Note illustrative alla carta geologica. Mem. Soc. Geol. It., 39 (1987), 375-431.

♦ Gomarasca M.A: (1997) – Introduzione a telerilevamento e GIS per la gestione delle risorse agricole e ambientali. Arte Stampa Daverio (VA), pp. 250.

♦ Maccaferri A. (1999) – P.A.E.- Piano Attività Estrattive del Comune di Polinago.

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♦ Pieri M. & Groppi G. (1981) – Subsurface geological structures of the Po Plain, . C.N.R. Prog. Finalizz. Geodinamica, Pubbl. n. 414

♦ RER (1989) – Repertorio Cartogafico. pp. 98.

♦ Rossi A. (2001) – Perimetrazione e zonizzazione dei movimenti franosi che interessano l’abitato di Polinago al fine di limitare e salvaguardare le attività di trasformazione ed utilizzo del territorio per conto dell’Amministrazione Comunale di Polinago.

♦ Saltini G. (1985) – Lineamenti climatici del Comprensorio e della Provincia di Modena. Tecnica Sanitaria XXIII, 221-238.

♦ RER (1995) – I numeri del clima – Temperature, Precipitazioni, Vento – Tavole climatologiche dell’Emilia-Romagna, 1951-1994.

♦ Regione Lombardia (1996) – Determinazione del rischio sismico a fini urbanistici in Lombardia.

♦ RER (1999) – I numeri sulle frane. Regione Emilia Romagna, Direzione Generale Sistemi Informativi e Telematica, Servizio Cartografico e Geologico. pp.98.

♦ Treves B. (1984) - Orogenic belts as accretionary prism: the example of the Northern Apennines. Ofioliti, 9/3, 577-618.

♦ Vandelli D. (1763) – Dell’acqua di Brandola. Dissertazione di Domenico Vandelli dedicata all’ALtezza Serenissima di Francesco III Duca di Modena, Reggio, , ec. ec. ec., Amministratore, e Capitano Generale della Lombardia Austriaca. Per gli Eredi di BArtolomeo Soliani Stampatori Ducali, pp. 48. Ristampa Anastatica (1990), Grafiche Toschi & C. - Modena.

♦ Zecchi R. (1980) - Guida per la realizzazione di una carta sismotettonica e del rischio sismico. Pitagora Ed., Bologna, pp. 120.

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3.2.9 Glossario

° ALLOCTONO: materiale roccioso di varie dimensioni formatosi in luogo diverso da quello in cui si trova attualmente. Alla scala della catena montuosa il termine sta ad indicare quei terreni, quali le unità liguri, che hanno subito traslazioni rilevanti (decine o centinaia di chilometri) in seguito all’azione delle forze orogenetiche. L’espressione Alloctono ligure, ad esempio, viene spesso utilizzata come sinonimo di LIGURIDI (vedi voce). ° ALLOCTONO INDIFFERENZIATO: vedi LIGURIDI. ° AQUITANIANO: piano stratigrafico che costituisce la base del Miocene in Europa. ° ANTICLINALE: piega degli strati rocciosi con convessità rivolta verso l’alto e che mantiene la polarità normale degli strati ° ARGILLE SCAGLIOSE: termine omnicomprensivo utilizzato in passato per indicare le unità argillose caotiche dell’Appennino Settentrionale (soprattutto i COMPLESI DI BASE liguri). Il suo uso, entrato anche nel linguaggio comune, ha ingenerato comunque molta confusione tra gli stessi specialisti. Il termine andrebbe utilizzato solo in senso descrittivo a richiamare una struttura scagliosa riconoscibile entro una roccia argillosa, e comunque senza attribuirvi alcuna connotazione litostratigrafica formale. ° AUTOCTONO: termine usato con il significato di non trasportato, in posto. Nella letteratura geologica dell’Appennino Settentrionale il termine indica quelle unità (litostratigrafiche) che hanno subito un trasporto tettonico non apprezzabile, in contrapposizione alle unità alloctone che invece hanno subito traslazioni di svariate decine di chilometri durante la tettogenesi appenninica. Esistono vari termini, quali ad es. NEOAUTOCTONO, utilizzati spesso con connotazioni specifiche spesso diverse, e non sempre chiare, a seconda degli autori. ° AVANFOSSA: zona di depressione posta sul fronte esterno di un corrugamento orogenetico in atto nella quale viene sedimentato il materiale di degradazione che scende dai rilievi e dalle montagne in via di innalzamento. ° BACINO IMBRIFERO: area da cui provengono tutte le acque piovane che confluiscono in un fiume. ° BIOCLASTICO: termine applicato a sedimenti formati dai frammenti degli scheletri di organismi; il tipo più comune è rappresentato dai calcari bioclastici. ° BIOTURBAZIONE: rimaneggiamento dovuto all’azione di organismi viventi. Comporta spesso la distruzione totale o parziale delle strutture sedimentarie (giunti di stratificazione, laminazioni, convoluzioni, etc.).

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° BURDIGALIANO: piano stratigrafico del Miocene inferiore europeo. ° CALCARE: termine applicato a qualsiasi roccia sedimentaria costituita principalmente da carbonati. ° CAMPANIANO: piano stratigrafico del Cretaceo superiore. ° CAOTICO INDIFFERENZIATO: vedi LIGURIDI ° CENOMANIANO: piano stratigrafico alla base del Cretaceo superiore. ° CENOZOICO: era geologica comprendente il Terziario e il Quaternario (secondo alcuni autori solo il Terziario) che va da 67 a 2 milioni di anni fa (oppure fino ai giorni nostri se comprende il Quaternario. ° CLASSIFICAZIONE LITOSTRATIGRAFICA: suddivisione e classificazione gerarchica dei corpi rocciosi in unità distinte, sulla base delle loro caratteristiche litologiche. L’Unità litostratigrafica formale fondamentale è la FORMAZIONE. Una formazione può essere suddivisa in vari MEMBRI. Diverse formazioni possono essere riunite in un GRUPPO e più gruppi in un SUPERGRUPPO.

° COLLUVIALI (depositi): materiale eroso e trasportato per azione della gravità (ma lentamente e generalmente in singole particelle e quindi non come corpo in massa quale può essere quello messo in posto da una frana), dell’acqua, etc. ° COMPLESSI DI BASE: termine con il quale nella letteratura geologica si indicano le unità liguri, prevalentemente argillose, che stanno alla base dei Flysch ad Helmintoidi, sedimentatesi prevalentemente durante il Cretaceo inferiore nel OCEANO LIGURE- PIEMONTESE. ° COMPLESSO CAOTICO: vedi LIGURIDI. ° COMPLESSO INDIFFERENZIATO: vedi LIGURIDI. ° CORRENTE DI TORBIDA: flusso fluidale, in ambiente subacqueo, di una sospensione di sedimenti in acqua la cui sedimentazione determina la formazione di un deposito, detto TORBIDITE, caratterizzato da strutture sedimentarie tipiche (granulometria gradata, laminazioni piano parallele e/o convolute, strutture da trazione alla base degli strati, ecc….). ° CRETACICO (CREATACEO): il terzo e più recente periodo dell’Era mesozoica. Corrisponde all’intervallo di tempo compreso tra 135 e 67 milioni di anni fa. ° C.T.R.: Carta Tecnica Regionale. ° DETRITO: materiale derivato dall’alterazione delle rocce da parte dell’azione degli agenti esogeni (pioggia, vento, gelo e disgelo, variazioni termiche giornaliere e stagionali, etc.)

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° ELMINTOIDI: tracce meandriformi di probabile origine animale che si rinvengono spesso alla base degli strati di rocce flyschiodi. ° ELUVIALI (depositi): materiale alterato che è ancora vicino al punto in cui si è formato e che quindi ha subito un trasporto limitato. ° EMIPELAGICO: detto di ambiente marino della profondità tra gli 800 e i 2400 m, e di sedimenti che in esso si formano. ° EOCENE: epoca della parte inferiore del Cenozoico; succede al Paleocene e precede il Miocene.. ° FACIES: insieme delle caratteristiche che contraddistinguono un sedimento depositato in un dato ambiente: tipo di roccia sedimentaria, minerali contenuti, strutture sedimentarie, stratificazione caratteristica, contenuto fossilifero, ecc.. ° FAGLIA: frattura entro masse rocciose all’interno della crosta terrestre, lungo la quale i due blocchi opposti si sono spostati uno rispetto all’altro. ° FINESTRA TETTONICA: si ha una finestra tettonica quando in presenza di una serie di unità accavallate tettonicamente le une sulle altre i fenomeni erosivi determinano l’affiorare delle unità geometricamente inferiori, solitamente al fondo di una valle profondamente incisa. ° FLYSCH: successione di strati sedimentari depositati soprattutto da correnti di torbidità (torbiditi) alternati a sedimenti di deposizione pelagica normale. ° FORMAZIONE: vedi Classificazione Litostratigrafica. ° GIS (Geographic Information System): vedi SIT. ° GRANULOMETRIA: misura degli elementi granulari di una roccia sedimentaria. ° GRUPPO: vedi Classificazione Litostratigrafica. ° LAPIDEO: roccioso. ° LIGURIDI (UNITA` LIGURI): Insieme di terreni di età compresa tra il Giurassico superiore e l’Eocene, sedimentatisi all’interno di un bacino oceanico (OCEANO LIGURE-PIEMONTESE) che separava durante la seconda parte del mesozoico, il continente europeo da una propaggine di quello africano (Adria) esso costituiva una parte del mare della TETIDE. Sono caratterizzate da un alto grado di alloctonia (avendo subito traslazioni di diverse decine di chilometri (forse centinaia) durante i movimenti orogenetici). Geometricamente le Liguridi sovrastano le unità toscane, umbro-marchigiane e subliguri. Le Liguridi sono molto diffuse nell’Appennino modenese e ne costituiscono gran parte della zona intermedia (tra Sestola-Frassinoro e -). Termini quali ARGILLE SCAGLIOSE, COMPLESSO CAOTICO, COMPLESSO INDIFFERENZIATO, CAOTICO INDIFFERENZIATO, ALLOCTONO

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INDIFFERENZIATO, sono stati utilizzati spesso nella letteratura geologica e sono anche entrati a far parte del linguaggio comune (ARGILLE SCAGLIOSE), ad indicare le unità liguri a composizione prevalentemente argillosa (COMPLESSI DI BASE) o altre unità caotiche a composizione prevalentemente argilloso-pelitica. L’uso di questi termini è sconsigliabile in quanto imprecisi alla luce delle ricerche geologiche degli ultimi decenni, essi andrebbero considerati solamente dal punto di vista storico. ° LITOLOGIA: termine che viene comunemente applicato alle rocce, in riferimento alle loro caratteristiche generali. ° LITOZONA: intervallo stratigrafico distinguibile entro un determinato corpo roccioso perché formato di una litologia prevalente. ° MAASTRICHTIANO: piano stratigrafico della sommità del CRETACEO europeo. ° MELANGE: corpo caotico eterogeneo cartografabile di spessore variabile. Esiste un’ampia bibliografia, spesso contraddittoria, sulla connotazione genetica da attribuire al termine (Melange tettonico <-> Melange sedimentario). ° MEMBRO: vedi CLASSIFICAZIONE LITOSTRATIGRAFICA. ° MESOSCOPICO: aggettivo attribuito alle strutture geologiche quando queste presentano dimensioni apprezzabili ad occhio nudo, alla scala dell’affioramento o del campione. Si contrappone a microscopico (apprezzabile con l’ausilio di strumenti ingranditori: microscopio o lente o in certi casi a occhio nudo alla scala del campione a mano) e a cartografabile (dimensioni e forme sono interpretabili solo sulla base dei dati riportati su di una carta e non possono essere apprezzate nella loro globalità che in casi molto eccezionali: sezioni naturali e osservazioni da aereo o da satellite). ° MESSINIANO: piano stratigrafico del Miocene superiore europeo. ° MIOCENE: epoca geologica del Cenozoico suddiviso nei piani Aquitaniano, Burdigaliano, Langhiano, Serravalliano, Tortoniano e Messiniano. ° MONTONATURA: In un corpo franoso si tratta di un dosso arrotondato, sorta di gobba, che verso monte determina una contropendenza nel versante. ° MORFOGENESI: ramo della geografia generale che si interessa delle forme della superficie terrestre, che le descrive, che le ordina sistematicamente e di cui studia l’origine e lo sviluppo. ° MORFOSELEZIONE: fenomeno di degradazione dei materiali rocciosi da parte degli agenti esogeni per il quale vengono alterate e degradate più velocemente certe rocce piuttosto che altre. Il fenomeno è molto evidente nei casi in cui si abbiano rocce stratificate formate da alternanze di strati a litologia differente (ad es.: alternanze di calcari e peliti oppure di arenarie e peliti).

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° NEOAUTOCTONO: termine utilizzato in generale per indicare unità litostratigrafiche sedimentarie che non hanno subito traslazioni tettoniche apprezzabili, e quindi sedimentatesi in epoca posteriore alle fasi tettoniche più recenti. Il termine è stato spesso usato da autori diversi con connotazioni specifiche diverse, ad indicare unità litostratigrafiche diverse. ° NEOGENE (agg: Neogenico): seconda parte dell’era terziaria. Comprende il MIOCENE e il PLIOCENE. ° OCEANO LIGURE-PIEMONTESE: indica il bacino oceanico che separava il continente europeo dal continente africano, durante il Cretaceo, entro il quale si depositarono i sedimenti che sarebbero poi andati a costituire le unità liguri o LIGURIDI; costituiva quindi una parte della TETIDE. ° OFIOLITI: rocce d’origine effusiva (lave a cuscini, ialoclastiti e basalti) e/o intrusiva (gabbri) di ambiente oceanico. ° OLIGOCENE: il terzo periodo del Cenozoico.

° OLOCENE: indica il periodo geologico attuale (all’incirca a partire da 11000 anni fa). ° PALEOCENE: prima epoca del Cenozoico. Nella scala Geocronologica rappresenta l’epoca più antica dell’Era Cenozoica. ° PATTERN IDROGRAFICO: indica il tipo di organizzazione geometrica e gerarchica delle aste fluviali che si individuano entro un bacino idrografico dato. Si possono avere vari tipi di pattern che dipendono principalmente dalla natura litologica e dall’assetto strutturale del substrato: pattern dendritico, subdentritico, angolato, parallelo, ecc. ° PELAGICO: tutto ciò che si riferisce all’ambiente marino profondo (oltre gli 800 m) in cui non arriva la luce. ° PELITI: rocce argillose formate da particelle molto fini. ° PIEGA CORICATA: piega degli strati rocciosi con piano assiale suborizzontale o comunque poco inclinato che comporta su di uno dei fianchi l’inversione della polarità stratigrafica per cui le rocce più antiche vengono a sovrastare quelle più recenti. ° PILLOW (o pillow lava o lava a cuscini): lava effusa in ambiente sottomarino (generalmente in corrispondenza delle dorsali oceaniche) caratterizzata da forme globose (a cuscino). ° PLEISTOCENE: Periodo del tempo geologico compreso tra circa 2 milioni di anni fa e 11.000 anni fa. Impropriamente viene a volte utilizzato in sinonimia con QUATERNARIO. ° PLIOCENE: epoca del Cenozoico.

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° P.O.C.: Piano Operativo Comunale ° POLIGENETICO: detto di manifestazioni che dipendono da diverse cause. ° P.R.G.: Piano Regolatore Generale. ° PRISMA DI ACCREZIONE: elemento strutturale che sovrasta la porzione più superficiale del piano di subduzione, formato dall’impilamento del materiale oceanico abraso dalla placca sottoscorrente . Rappresenta lo stadio iniziale della formazione di diverse catene montuose. ° P.S.C.: Piano Strutturale Comunale ° P.T.C.P.: Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. ° P.T.P.R.: Piano Territoriale Paesistico Regionale. ° QUATERNARIO: l’ultima era della storia della Terra, si divide in PLEISTOCENE ed OLOCENE e va da 2 milioni di anni fa all’attuale. ° R.E.R.: Regione Emilia Romagna. ° SERRAVALLIANO: piano stratigrafico del Miocene. ° SILTITI: rocce clastiche con granuli del diametro tra 1/16 e 1/245 mm. ° SINCLINALE: piega degli strati rocciosi con convessità rivolta verso il basso e che mantiene la polarità normale degli strati. ° SIT (Sistema Informativo Territoriale): Traduzione italiana di GIS (vedi). Un SIT è un sistema informatico per la raccolta, gestione ed elaborazione di informazioni georeferenziate. Sostanzialmente un SIT viene ad essere formato da tre componenti basilari: un elaboratore elettronico (computer), una base di dati georeferenziati e un programma (software) di gestione. I SIT negli ultimi anni si stanno sempre più diffondendo all’interno delle istituzioni e dei centri che si occupano della pianificazione e gestione territoriale, in quanto per la loro versalità consentono la realizzazione una serie di operazioni di raccolta, immagazzinamento, elaborazione e restituzione di dati territoriali, in maniera veloce e aggiornabile a costi relativamente contenuti. Molte istituzioni e amministrazioni territoriali, attraverso l’uso dei SIT, sono attualmente in grado, quasi in tempo reale, di rendere disponibili al pubblico le informazioni territoriali attraverso appositi siti web. ° SOLIFLUSSO: lento movimento discendente del suolo o delle superfici ghiaiose per effetto del gelo e del disgelo dell’acqua contenuta in esso. ° SPARTIACQUE: la zona topografica più alta (linea di crinale) che si trova a separare due sistemi fluviali drenanti non comunicanti. ° SUBSTRATO: termine indicante la roccia inalterata sotto il suolo e/o coperta da detrito. ° SUCCESSIONE EPILIGURE: Successione formata dalle unità litostratigrafiche

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sedimentatesi al di sopra delle LIGURIDI durante il terziario mentre queste traslavano a causa di spinte orogenetiche. ° SUPERGRUPPO: vedi Classificazione Litostratigrafica. ° TERZIARIO (o Cenozoico): era che segue il Cretacico superiore e inizia con il Paleocene. ° TETIDE: oceano a forma di golfo allungato che si estendeva da est verso ovest a separare, già alla fine del Paleozoico e durante il Mesozoico, il supercontinente settentrionale Laurasia (formato dall’unione di Nord America, Europa e Asia) da quello meridionale Gondwana (formato dall’unione di Sud America, Africa, India, Australia e Antartide. ° TETTOGENESI: fenomeni di deformazione di vaste parti della crosta terrestre che ne modificano la struttura sia in profondità sia in superficie. ° TETTONICA A PLACCHE: modello geologico globale che interpreta e riconduce l’evoluzione orogenetica, vulcanica, sismica, sedimentologica, etc. del globo alla dinamica interna alla Terra medesima. ° TETTONIZZATO: si dice di terreno sottoposto a tettogenesi. Indica quindi delle rocce che hanno subito deformazioni a causa degli sforzi tettonici. ° TORBIDITE: roccia formatasi per effetto del deposito dovuto a correnti di torbidità in ambiente sottomarino. ° TORTONIANO: piano stratigrafico del Miocene. ° WURMIANO: è l’ultimo dei periodi glaciali del Quaternario, in ordine cronologico. Esso comprende l’intervallo di tempo grossomodo compreso tra 75.000 e 11.000 anni fa. ° ZOLLE (placche litosferiche): parti della litosfera terrestre in movimento relativo una rispetto all’altra.

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3.2.10 Elenco allegati

ALLEGATO N. 1 – Inquadramento topografico del territorio comunale di Polinago ALLEGATO N. 2 – Schema geologico dell’Appennino Settentrionale ALLEGATO N. 3 – Carta Geologica Schematica della Provincia di Modena ALLEGATO N. 4 – Carta Geologica e sezioni geologiche schematiche della media Montagna e collina modenesi e delle aree limitrofe ALLEGATO N. 5 – Principali lineamenti geologico-strutturali del Modenese e aree limitrofe ALLEGATO N. 6 – Carta degli epicentri (osservati tra il 1000 e il 1980) secondo il catalogo NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1996) e zonazione sismogenetica del territorio italiano (Scandone et al., 1991) ALLEGATO N. 7 – Carta dell’inviluppo delle Isosiste ALLEGATO N. 8 – Carta della macrozonazione sismica e delle massime intensità previste ALLEGATO N. 9 – Comune di Polinago – Unità litologiche del substrato roccioso ALLEGATO N. 10 – Comune di Polinago – Unità litologiche dei depositi superficiali ALLEGATO N. 11 – Mappe delle isoiete e delle isoterme e tabelle dati termopluviometrici della Provincia di Modena ALLEGATO N. 12 – Tabelle dati termometrici e pluviometrici relativi alla stazione di Polinago

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3.3 La cartografia prodotta dal Quadro Conoscitivo sui temi del sistema naturale e ambientale.

3.3.1 Tavola n.°A-1: ortofoto digitale del territor io comunale.

Immagine scattata nell’estate del 1998 in cui è rappresentata la porzione di territorio comprendente il Comune di Polinago con evidenziati i limiti amministrativi del comune ed i toponimi delle principali località abitate. La ripresa aerea ( Volo Italia 2000) consente una visione dettagliata delle caratteristiche oro-idrografiche del territorio, della copertura boscata e degli spazi a prato-pascolo, delle infrastrutture viabilistiche e dell’edificato accentrato e sparso. L’equipaggiamento naturalistico vede, in particolare, la zona a sud-est del territorio comunale coperta da una compatta ed estesa coltre boscata, dove si segnalano le località “Ponte del Diavolo” e “Brandola”, un tempo celebre per la sua acqua sorgiva dalle proprietà terapeutiche. Dall’immagine si deduce, anche in modo intuitivo, l’elevata qualità ambientale di un territorio non compromesso da insediamenti antropici la cui distribuzione, consistenza e qualità, rivelano l’originaria vocazione agro-silvo pastorale delle comunità locali; numerosi nuclei rurali conservano palazzi fortificati (Talbignano) e tracce di case-torri, i borghi fortificati dei castelli di Brandola e Gombola, collegati a vista tra loro e con la roccaforte (scomparsa) di Cinghianello, sono testimonianza degli avamposti difensivi medievali sulla valle del torrente Rossenna.

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3.3.2 Tavola n.°A-2: carta geolitologica.

La Carta Geolitologica descrive il territorio comunale dal punto di vista della natura litologica del substrato roccioso e delle coperture superficiali in esso presenti. Contiene inoltre informazioni sull’assetto geologico strutturale generale. Nella Carta Geolitologica sono indicate sia la distribuzione in pianta delle diverse unità litologiche in cui possono essere raggruppate le unità litostratigrafiche, sia l’andamento delle faglie cartografiche principali sia l’assetto della stratificazione, con lo scopo di descrivere la natura del substrato roccioso dal punto di vista litologico. La Carta Geolitologica non è quindi una carta geologica in senso stretto, in quanto non considera gli aspetti stratigrafici, ma piuttosto una carta redatta per scopi applicativi derivata dalla carta geologica.

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3.3.3 Tavola n.°A-3: carta geomorfologica.

La Carta Geomorfologica descrive il territorio comunale dal punto di vista fisico, evidenziando la collocazione e disposizione spaziale delle morfosculture principali distinguibili non solo sulla base dell’aspetto macroscopico ma anche in relazione all’agente modellatore (acqua, gravità, uomo, ecc.) e al processo (di erosione, di trasporto o di accumulo) che le ha generate. Vi sono rappresentati anche temi specifici relativi alla tutela del paesaggio e delle risorse (rupi, geositi, sorgenti, cave, opere di consolidamento, ecc.). L’analisi geomorfologica è stata condotta con il fine di descrivere le forme ed i processi attualmente attivi, o che lo sono stati in passato, che contribuiscono, o hanno contribuito, a conferire al territorio di Polinago l’attuale assetto morfologico. Ma sono stati anche presi in considerazione anche elementi e peculiarità “paesaggistiche” al fine di orientare la pianificazione sia in termini di limiti e condizioni all’insediamento / trasformazione dei luoghi, sia di opportunità e qualità insite nel territorio. Oltre che gli elementi ed i processi geomorfologici che contraddistinguono il territorio comunale (topografia, frane, calanchi, crinali, alvei dei corsi d’acqua principali, rupi) sono quindi riportati sulla Carta Geomorfologica altri elementi paesaggistici e geologico-ambientali (geositi, masse ofiolitiche, superfici relitte, ecc.) che rappresentano peculiarità o situazioni sensibili da tenere in considerazione durante la pianificazione territoriale. Nel territorio del Comune di Polinago sono state individuate sette località presso le quali sono presenti elementi geologici o geomorfologici che per le loro caratteristiche peculiari sono da considerare suscettibili di tutela (Geositi): la Salsa della Canalina, gli affioramenti della Formazione di Monghidoro e delle altre unità della Successione della Val Rossenna presso Ca’ Marastoni (nelle vicinanze di Gombola); la località tipo delle Arenarie di Poggio Castellina; l’Ofiolite di Pian Massaro, le pieghe mesoscopiche nella Formazione di Monghidoro, la sorgente di Brandola; gli strati a franapoggio con inclinazione praticamente uguale al pendio della Formazione di Monghidoro presso Gombola, . Riguardo ai dissesti di versante sono state utilizzate informazioni bibliografiche tratte soprattutto dal PTCP della Provincia di Modena e dalla Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo alla scala 1:10.000 prodotta dalla Regione

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Emilia-Romagna. E` stata inoltre condotta un’analisi delle ortofotografie aeree coadiuvata da sopralluoghi sul terreno che ha permesso di individuare diverse situazioni in evoluzione, non rilevate nelle carte e nelle basi dati del PTCP. Per la zona di Polinago è stato inoltre utilizzato uno studio riguardante la proposta di perimetrazione dell’abitato di Polinago dichiarato da consolidare ai sensi della legge n. 405 del 9 luglio 1908 condotto dal Prof. A. Rossi. Conformemente al PTCP le frane sono state distinte in attive e quiescenti. La Carta Geomorfologica riporta inoltre informazioni relative alle sorgenti, alle loro aree di possibile alimentazione, ai siti soggetti in passato ad attività estrattive e la perimetrazione dell’ Ambito Estrattivo Comunale.

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3.3.4 Tavola n.°A-4: ambiti ed elementi di tutela d erivanti dalla pianificazione sovraordinata.

La carta sintetizza ambiti ed elementi che la pianificazione sovraordinata individua come meritevoli di tutela da o verso di essi. Si è quindi data una finalità alla cartografia: è stata cioè sintetizzata la propensione dei diversi ambiti ai fini della loro potenziale trasformazione a fini urbanistici (e implicitamente anche di potenzialità e di valorizzazione) mediante tre macro classificazioni: - aree inidonee alla trasformazione urbanistica dei suoli; - aree che presentano forti limitazioni; - aree ed elementi che presentano condizioni / limitazioni; evidenziate da tre gradazioni di colore, dalla minore alla maggior propensione, senza tuttavia perdere il dettaglio della informazione di base da cui discendono i limiti / opportunità.

Ambiti inidonei alla trasformazione urbanistica dei suoli che comprendono: - ambiti di conclamata instabilità geo-litologica; - zone sottoposta a consolidamento ai sensi della Legge 9 luglio 1908, n. 445 (zona A); - aree interessate da frane attive; - calanchi tipici; - ambiti di elevata qualità naturalistica e/o paesaggistica; - zone di tutela naturalistica; - coperture boscate; - ambiti ed elementi con presenza di acque superficiali; - corsi d’acqua e relative fasce d’espansione inondabili; - zone di tutela ordinaria; - reticolo idrografico minore; - sorgenti.

Ambiti che presentano forti limitazioni che comprendono: - ambiti di instabilità geo-litologica; - zone sottoposte a consolidamento ai sensi della Legge 9 luglio 1908, n. 445 (zone B e C)

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aree interessate da frane quiescenti;

Aree ed elementi che presentano condizioni / limitazioni che comprendono: - ambiti di potenziale instabilità geo-litologica; - aree potenzialmente instabili o instabili per altre cause; - ambiti ed elementi con vocazione naturalistica e/o paesaggistica; - zone di particolare interesse paesaggistico e ambientale; - crinali spartiacque principali; - crinali minori; - viabilità panoramica; - ambiti di tutela delle acque; - aree di possibile alimentazione delle sorgenti.

Per una miglior comprensione si è aperta una finestra sul centro abitato di Polinago, particolarmente denso di informazioni e di opzioni non ancora compiutamente sciolti (disseto PTCP / abitato da consolidare - limiti Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico). Le aree urbane e principali centri rurali, la viabilità e i limiti amministrativi fanno da generica base di riferimento.

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4. IL SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE

4.1 Inquadramento demografico

Il presente capitolo è dedicato allo studio delle dinamiche demografiche del Comune di Polinago; quando necessario si è provveduto a riferirsi ad un ambito maggiore, sovente quello dell’intera provincia di Modena. Il trattamento e lo studio dei dati socio demografici restano i capisaldi della pianificazione territoriale, elementi ancora fondamentali quando si intraprende l'elaborazione di uno strumento urbanistico come il Piano Strutturale Comunale; infatti é dal risultato di queste analisi che é possibile risalire ai principali fenomeni che hanno interessato nel passato un determinato territorio comunale e consentono di stabilire, entro i limiti delle tecniche adottate, anche le tendenze evolutive per il futuro più prossimo. Per fare un esempio, la stima legata al dimensionamento delle classi di popolazione future può fornire un supporto conoscitivo indispensabile per quantificare gli interventi previsti in materia sociale, sanitaria, scolastica, occupazionale e per la definizione delle politiche di programmazione urbanistica, avendo la struttura demografica attuale e prevista un’influenza fondamentale nella determinazione della qualità e dell’intensità della domanda collettiva. Negli ultimi 50 anni il Comune di Polinago è stato interessato da due fasi distinte: nella prima (che intercorre tra il 1951 e il 1981) si è assistito ad un costante e consistente spopolamento del territorio che ha portato il numero dei residenti dalle 4915 unità del 1951 alle 2071 sancite dal censimento del 1981. Nella seconda fase, verificatasi negli ultimi venti anni, si è avuta invece una riduzione del trend di calo fino all’assestamento degli ultimi anni: la popolazione residente ha continuato a diminuire ma più lentamente rispetto al trentennio precedente e si è mantenuta vicina a valori prossimi alle 2000 unità, facendo registrare, al 31/12/2000, 1870 abitanti residenti. Da una prima sintetica analisi dei dati storici sulla popolazione residente, si desume come nel Comune di Polinago si ripresentino le medesime dinamiche evolutive tipiche delle zone agricole collinari, che sono state soggette ad un progressivo

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abbandono da parte della popolazione a favore dei centri urbani industrializzati, sovente localizzati in pianura ed attorno al capoluogo di provincia. Negli ultimi anni la novità è rappresentata dal numero non trascurabile d’immigrati stranieri che si sono stabiliti nel Comune, che hanno riequilibrato con la loro presenza il saldo naturale. E’ possibile pensare che questa popolazione, generalmente “giovane” come solitamente è quella d’origine straniera, segua la tendenza di un generale processo di “diffusione” degli insediamenti verso i centri di piccole dimensioni con prezzi delle abitazioni ancora bassi, anche per effetto del progressivo attenuarsi dall’azione polarizzante di Modena che presenta un mercato immobiliare ormai “consolidato e molto rigido”, sia dal punto di vista dei prezzi che della qualità degli alloggi. A ciò si aggiunga l’avvenuta riarticolazione del mercato del lavoro che, oltre a presentare un certo numero di “nuove occupazioni” particolarmente slegate da forzate ubicazioni, contempla l’insorgenza di dinamiche positive all’interno dei mercati del lavoro locali con il consolidamento di economie territoriali esterne. Comunque, questi fenomeni si manifestano nel Comune di Polinago in maniera molto tenue e in ritardo rispetto a zone collinari analoghe poste però più vicine a Modena o lungo direttrici di sviluppo maggiormente consolidate. Infatti, anche le infrastrutture legate alla viabilità influenzano l’entità e la dinamica degli eventi sopra descritti, favorendoli od ostacolandoli a seconda del servizio di mobilità che sono in grado di offrire. Le dinamiche migratorie della popolazione seguono spesso un andamento di “progressione geografica”, ovvero gli abitanti provenienti dalla città o dalla sua prima periferia si spostano verso le parti più esterne occupando prima le zone più vicine al nucleo urbano e via via quelle adiacenti, in seguito alla relativa saturazione delle prime. Questo determina l’insorgere sul territorio di fenomeni simili tra loro che si presentano però diluiti nel tempo, in uno schema “a corona” che parte dal capoluogo e si allarga gradualmente verso l’esterno. Dopo aver descritto a grandi linee le logiche che hanno determinato l’andamento demografico degli ultimi anni nel Comune di Polinago, nel paragrafo seguente focalizzeremo in maniera puntuale i parametri demografici che costituiscono l’ossatura delle precedenti considerazioni.

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4.1.1 Le dinamiche demografiche locali

Il Comune di Polinago si sviluppa su una superficie di 5385 ettari e presenta al 31 dicembre 2000 una popolazione di 1870 abitanti.

Tabella 4.1.1.1 Popolazione residente, densità abitativa, superficie in ettari e altimetria.

Densità abitativa Popolazione Superficie (pop./Kmq) Altimetria (m s.l.m.) residente al territoriale 31/12/2000 (Ettari) 1991 1999 2000 Media Minima Massima

1870 53,84 35,05 34,70 34,73 592 275 1.053

Confrontando il dato dell’anagrafe comunale con quelli desunti dai Censimenti ISTAT (Tabella 4.1.1.1) si rileva, come già evidenziato precedentemente, una flessione molto marcata della popolazione nel periodo che intercorre tra il 1951 e il 1981; negli ultimi venti anni gli abitanti continuano a calare, ma molto più lentamente, attestandosi già nel 1981 attorno alle 2000 unità per poi arrivare ai 1870 residenti certificati dall’ultimo dato in nostro possesso (31/12/2000).

Tabella 4.1.1.2 Evoluzione della popolazione residente (intervallo 1951/2000).

Anno Popolazione residente Variazione assoluta Variazione % 1951 4915 0 0,00 1961 4016 -899 -18,29 1971 2672 -1344 -33,47 1981 2071 -601 -22,49 1991 1887 -184 -8,88 2000 1870 -17 -0,90

L’analisi dello stesso dato, mirata però solo sull’ultimo decennio ed espressa con un intervallo annuale, in pratica ratifica le dinamiche evolutive degli ultimi venti anni, facendo registrare un leggero decremento dei residenti per alcuni anni (al massimo sull’ordine dell’unità percentuale) e un leggerissimo incremento di popolazione per altri (biennio 1995/1996, 1998 e 2000) che solo in un caso supera l’1% (1996),

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quando il dato è pari all’1,2% del totale. Un andamento altalenante quindi, che segue, con molta probabilità, l’arrestarsi del calo.

Tabella 4.1.1.3 Evoluzione della popolazione residente negli ultimi dieci anni (intervallo 1991/2000).

Popolazione residente Variazione assoluta Variazione % Anno 1991 1887 0 0,00 1992 1872 -15 -0,80 1993 1870 -2 -0,10 1994 1864 -6 -0,30 1995 1867 3 0,20 1996 1890 23 1,20 1997 1884 -6 -0,30 1998 1924 40 0,21 1999 1868 -56 -0,29 2000 1870 2 0,10

Tabella 4.1.1.4 Popolazione residente anni 1999 e 2000. Valori assoluti e percentuali 2000/1991 e 2000/1999.

Popolazione residente Variazioni Variazioni 31 dicembre 1999 31 dicembre 2000 2000/1991 2000/1999 M F T M F T assolute % assolute %

962 906 1868 959 911 1870 -17 -1,0 2 0,1

La variazione complessiva di popolazione dal 1991 ad oggi è pari a 17 unità, indice di un decremento complessivo del –1,0%. Anzi, il leggero incremento dei residenti, refrattario negli anni in cui questo fenomeno accade, è da imputarsi essenzialmente a fenomeni d’immigrazione già descritti in maniera sintetica in precedenza, ai quali si affiancano anche movimenti dovuti a fenomeni non generalizzabili o a fattori occasionali. In ogni modo, nell’intervallo temporale considerato, l’incremento di popolazione quando avviene deriva sempre dalla prevalenza del saldo sociale sul saldo naturale che si mantiene comunque sempre negativo. Questa tendenza evolutiva è tipica delle realtà

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territoriali di alta collina e di montagna dell’area modenese e di gran parte della Regione. La tabella seguente, dedicata all’evoluzione del saldo naturale, oltre a confermare quanto è già stato detto, non offre altre considerazioni particolarmente significative per l’individuazione delle possibili tendenze future; l’unica cosa che si evince in maniera chiara è quella che il numero dei morti è sempre largamente superiore a quello dei nati. Va rilevato inoltre che il saldo naturale oscilla abbastanza liberamente anche se entro un intervallo relativamente costante (-20unità).

Tabella 4.1.1.5 Evoluzione del saldo naturale (intervallo 1991/2000).

Anno Nati Morti Saldo naturale 1991 13 35 -22 1992 8 29 -21 1993 8 28 -20 1994 5 38 -33 1995 8 29 -21 1996 11 23 -12 1997 13 32 -19 1998 14 36 -22 1999 14 38 -24 2000 20 38 -18

Nel periodo di riferimento considerato il saldo sociale, rappresentato dalla differenza tra il numero degli immigrati e quello degli emigrati, presenta quasi sempre valori positivi (a parte l’eccezione del 1999). Ad esempio: nel 1991 il saldo sociale è pari a 41 per scendere repentinamente a 6 l’anno seguente; successivamente il dato torna a salire per poi calare di nuovo. Il fatto certo è che, nell’ultimo decennio, a parte annate particolari come il già ricordato 1999, le immigrazioni superano sempre, e a volte in modo consistente, le emigrazioni. Anche in questo caso i dati, alquanto variabili, non si prestano all’individuazione di particolari tendenze da ritenersi significative per una interpretazione corretta del trend futuro. E’ comunque importante sottolineare il valore sempre elevato che assume il saldo migratorio rispetto al saldo naturale: il dato evidenzia una non trascurabile mobilità dei cittadini. Questo consistente turn over della popolazione, sostanziale se riferito al totale dei residenti, è sicuramente molto interessante dal punto di vista sociale

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perché investe in pieno sia la valutazione dei servizi che l’Amministrazione dovrà predisporre per la popolazione che la quota dei fabbisogni abitativi che questa richiederà in un futuro prossimo.

Tabella 4.1.1.6 Evoluzione del saldo sociale (intervallo 1991/2000).

Anno Immigrati Emigrati Saldo sociale

1991 61 20 41 1992 50 44 6 1993 72 59 13 1994 75 48 27 1995 69 45 24 1996 102 67 35 1997 69 56 13 1998 115 53 62 1999 44 76 -32 2000 105 85 20

Il confronto diretto tra saldo naturale e saldo sociale, riportato nella seguente tabella, dà una misura della reale variazione di popolazione che si è verificata nell’ultimo decennio.

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Tabella 4.1.1.7 Confronto tra saldo naturale e saldo sociale (intervallo 1991/2000).

Anno Saldo naturale Saldo sociale Saldo totale

1991 -22 41 19 1992 -21 6 -15 1993 -20 13 -7 1994 -33 27 -6 1995 -21 24 3 1996 -12 35 23 1997 -19 13 -6 1998 -22 62 40 1999 -24 -32 -56 2000 -18 20 2

Tabella 4.1.1.8 Tasso di incremento naturale, migratorio e complessivo (intervallo 1991/2000); valori percentuali ogni mille abitanti.

Tasso Tasso incremento Tasso Anno incremento migratorio incremento naturale totale 1991 -11,66 21,73 10,07 1992 -11,22 3,21 -8,01 1993 -10,70 6,95 -3,74 1994 -17,70 14,48 -3,22 1995 -11,25 12,85 1,61 1996 -6,35 18,52 12,17 1997 -10,08 6,90 -3,18 1998 -11,43 32,22 20,79 1999 -12,85 -17,13 -29,98 2000 -9,63 10,70 1,07

Se si contestualizzano i valori sopra riportati al numero dei cittadini residenti nel Comune di Polinago negli ultimi dieci anni, si ottengono i valori percentuali d’incremento naturale, migratorio e complessivo. Questi indici in pratica ratificano le indicazioni precedentemente individuate e costituiscono un ulteriore tema di discussione. Ad esempio, analizzando i dati sopra riportati si nota subito che il tasso d’incremento naturale assume, nei dieci anni considerati, valori sempre molto bassi; sicuramente non utili a garantire, all’interno del Comune, il necessario ricambio

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generazionale. Sempre dai dati si evince però che l’avvicendamento fra le classi demografiche avviene lo stesso, grazie all’apporto della popolazione immigrata che riporta il tasso d’incremento totale della popolazione in pareggio anagrafico. La tabella seguente riporta i dati legati al calcolo del quoziente grezzo di natalità, di mortalità, del tasso d’immigrazione e di emigrazione e relativizzano i dati assoluti sopra calcolati con la popolazione residente anno per anno calcolata ogni 1000 abitanti.

Tabella 4.1.1.9 Quoziente grezzo di natalità, quoziente generico di mortalità, tasso di immigrazione e di emigrazione (intervallo 1991/2000); valori percentuali ogni 1000 abitanti.

Anno Quoziente Quoziente Tasso di Tasso di grezzo natalità grezzo mortalità immigrazione emigrazione 1991 6,89 18,55 32,33 10,60 1992 4,27 15,49 26,71 23,50 1993 4,28 14,97 38,50 31,55 1994 2,68 20,39 40,24 25,75 1995 4,28 15,53 36,96 24,10 1996 5,82 12,17 53,97 35,45 1997 6,90 16,99 36,62 29,72 1998 7,28 18,71 59,77 27,55 1999 7,49 20,34 23,55 40,69 2000 10,70 20,32 56,15 45,45

Va detto infine che il quoziente grezzo di natalità espresso nella tabella sopra è riferito al numero complessivo di abitanti residenti e subisce quindi l’influsso negativo dato dall’incidenza del numero delle persone anziane sulla totalità della popolazione. Per quest’analisi assume maggiore senso calcolare il tasso di fecondità, che rapporta il numero dei nati per ogni anno rispetto al numero di donne in età feconda (14/44 anni) residenti nel Comune; questo dato esprime dunque la reale tendenza alla procreazione nel periodo esaminato. Dall’esame dei dati anagrafici emerge che il tasso di fertilità praticamente si dimezza nel giro di un decennio: infatti si passa dal valore di 80,70 registrato nel 1981 a quello di 44,98 del 1991; successivamente si assiste ad un lieve incremento dell’indicatore di fertilità, che raggiunge il dato di 46,60 nell’ultimo rilevamento (1997).

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Tabella 4.1.1.10 Evoluzione del tasso di fecondità; valori percentuali ogni 1000 donne.

Anno Donne 14/44 Nati Tasso di fecondità 1981 285 23 80,70 1991 289 13 44,98 1997 279 13 46,60

La tabella è obbligatoriamente riferita a quelle soglie temporali per le quali è stato possibile reperire i dati necessari, e dà un quadro sintetico dell’andamento negli ultimi 20 anni anche se dobbiamo tenere in considerazione che nel calcolo di questo indice esiste un limite oggettivo allorquando viene applicato su quantità assolute di popolazione di piccole dimensioni, come quella in esame, poiché questo indice, venendo calcolato ogni 1000 abitanti crea scarti notevoli per ogni minima differenza. Vale comunque la pena di sottolineare il continuo e consistente calo di fecondità che si riscontra dagli anni ‘70 ad oggi che porta Polinago ad occupare una posizione simile a quella del capoluogo modenese e dei centri limitrofi più urbanizzati.

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4.1.2 La composizione della popolazione

Nell’analisi delle dinamiche demografiche del territorio riveste una particolare importanza lo studio relativo all’analisi della composizione della popolazione e della sua suddivisione in classi d’età. La divisione per classi d’età, oltre a fornire informazioni fondamentali circa la tipologia del gruppo sociale a cui ci rivolgiamo, rappresenta la sintesi in essere degli avvenimenti succedutisi nella dinamica demografica del passato, e, in uguale modo, è in grado di fornire informazioni necessarie per impostare previsioni sulle tendenze demografiche future. Una prima analisi può essere sviluppata sulla distribuzione della popolazione per grandi classi d'età e sulla tendenza evolutiva che questo dato ha compiuto negli ultimi 20 anni. Le tre grandi classi (0-14; 15-64; >65) sono riferite alla popolazione giovane (0-14 anni), potenziale forza lavoro del futuro, all'età attiva e produttiva (15- 64 anni), costituita dalla fascia centrale della vita, e da quella degli anziani (> 65 anni) che fanno ormai parte della popolazione non più attiva (vedi tabella seguente). La tabella conferma, da una nuova visuale, quanto detto fino ad ora circa le dinamiche demografiche. L’invecchiamento della popolazione che si evince dai dati sopra espressi è traducibile nell’inversione dei valori percentuali riferiti alle classi dei più giovani nei primi anni del confronto (1981) rispetto a quelle degli anziani nell’ultimo censimento (1991). Lo spopolamento delle zone di montagna e di alta collina, fenomeno che è durato con veemenza fino agli inizi degli anni ’80, era generato principalmente dalle fasce di popolazione più giovani che ritenevano di non avere più, nei Comuni d’origine, opportunità lavorative adeguate alla nuova condizione. L’unico gruppo sociale a non presentare particolare interesse ad abbandonare il luogo di nascita, era costituito dalle persone che rimanevano legate alle occupazioni tradizionali, come la conduzione del fondo agricolo o all’allevamento di bestiame (anche se da tali attività non traevano un reddito particolarmente elevato) e da quei residenti non più costretti da problemi di lavoro, pensionati o che mantenevano forti vincoli anche lavorativi con i luoghi d’origine.

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Tabella 4.1.2.1 Distribuzione della popolazione maschile per grandi classi di età (valori assoluti).

Meno 15 – 75 e 5 - 9 10 - 14 25 - 34 35 - 44 45 - 54 55 - 64 65 - 74 Totale di 5 24 più 1981 45 48 46 124 100 104 169 162 142 96 1036 1991 24 30 50 112 113 102 105 176 143 122 977

Tabella 4.1.2.2 Distribuzione della popolazione femminile per grandi classi di età (valori assoluti).

Meno 15 – 75 e 5 - 9 10 - 14 25 - 34 35 - 44 45 - 54 55 - 64 65 - 74 Totale di 5 24 più 1981 34 44 62 124 81 80 144 169 150 147 1035 1991 22 27 33 98 97 94 82 155 152 152 912

I dati della tabella sopra mostrano inoltre, per il Censimento 1991, una situazione legata ad una fase abbastanza tipica: la classe dei giovani cala ulteriormente per la carenza di nascite, mentre la classe in età lavorativa si rafforza soprattutto per l’apporto dei residenti da poco immigrati; la classe anziana si assesta su valori alti legati al “normale” invecchiamento della popolazione, dovuto alla diminuzione costante della mortalità anche per le fasce più alte della “piramide”. L’analisi della distribuzione per età della popolazione è interessante per due motivi fondamentali: il primo, perché da questo studio si possono cogliere gli effetti generati dai principali eventi della dinamica naturale e sociale che hanno interessato il gruppo di popolazione nei 50-60 anni precedenti; il secondo, perché la ripartizione per età di una popolazione condiziona in maniera sostanziale le prospettive di sviluppo della società stessa. Per esaminare in maniera efficiente la distribuzione della popolazione per età e per sesso si utilizza una particolare rappresentazione grafica chiamata piramide delle età . Il nome è dovuto alla forma del diagramma che ha una base, rappresentativa delle classi più giovani, di solito molto ampia che si chiude sul vertice rappresentativo dell’ultima classe demografica ancora in vita. La variazione delle condizioni sociali ed economiche avvenute dal secondo dopoguerra in avanti ha inciso fortemente sull’assetto della nostra società, tanto che questa mutazione è

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possibile leggerla sulla piramide della popolazione. Il grafico presenta in ascissa due scale, una a destra e una a sinistra dell’origine, dove trovano posto i valori corrispondenti alla popolazione residente per classe d’età e sesso; in ordinata si hanno le età corrispondenti. Come detto sopra, la base del triangolo delle età risulta tanto più larga quando più il tasso di popolazione giovane è alto rispetto al totale della popolazione residente: quindi, quando ci si trova al cospetto di un gruppo sociale che mantiene positivo il saldo naturale. Viceversa, se a parità di ogni altra condizione la piramide appare stretta alla base e pronunciata nella parte superiore, allora si può affermare che il gruppo sociale rappresentato è composto da una popolazione matura. La forma tipicamente triangolare del grafico è tanto più accentuata quanto più la sopravvivenza delle singole generazioni decresce all’aumentare dell’età. Nel caso di Polinago l’indagine si è svolta utilizzando gli ultimi dati in nostro possesso forniti dall’Anagrafe comunale e risalenti al 31 dicembre 1999. La piramide delle età per il Comune in esame possiede una base molto piccola, indice di una scarsa natalità, una zona mediana in cui si raggruppano la maggior parte dei residenti ed infine una zona terminale non trascurabile, segno di una aspettativa di vita elevata, dovuta al miglioramento generale delle condizioni di vita.

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Femmine Maschi

Grafico 1 – Distribuzione della popolazione per grandi classi di età al 1981

Femmine Maschi

Grafico 1 – Distribuzione della popolazione per grandi classi di età al 1991

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109 105 101 97 93 89 85 81 77 73 69 65 61 57 53 49 45 Età dei componenti 41 37 33 29 25 21 17 13 9 5 1

Femmine Maschi

Grafico 3 - Piramide delle età per la popolazione residente al 31 dicembre 1999

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L’analisi di alcuni indicatori legati allo stato della popolazione, di seguito elencati, fornirà la base per ulteriori indagini. L’indice di vecchiaia della popolazione è un indicatore molto significativo del rapporto che intercorre tra le classi anziane e le nuove generazioni, spesso utilizzato per valutare in maniera sintetica il “grado d’invecchiamento” di una determinata popolazione. Quando l’indice supera il valore di 100, allora la classe non attiva (>65 anni) supera numericamente quella più giovane (0-14 anni); nel caso in esame i dati sono sconfortanti: si parte dal valore di 191,8 del Censimento 1981 per arrivare a quello di 377,9 riferibile al 1999.

Tabella 4.1.2.3 Evoluzione dell’indice di vecchiaia nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

191,8 271,1 285,9 312,6 308,2 305,9 324,4 326,4 333,5 359,4 348,0 360,6 327,8 377,9

Gli indici di dipendenza totale, giovanile e senile valutano il rapporto che intercorre tra la popolazione in età attiva e quella inattiva; ad indici di dipendenza elevati corrispondono realtà sociali nelle quali le classi non attive (0-14 e >65 anni) superano in quantità quelle attive (15-64 anni) con una conseguente ricaduta in termini di occupazione, reddito, consumi e servizi attesi. Di conseguenza, un’attenta valutazione di questi indicatori fornisce già una buona informazione riguardo le necessità e i bisogni insoddisfatti della popolazione residente e sono utili al progettista per meglio calibrare e dimensionare le dotazioni territoriali. Di seguito si riportano le serie storiche degli indici per gli ultimi venti anni.

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Tabella 4.1.2.4 Evoluzione dell’indice di dipendenza totale nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

64,76 62,9 63,01 65,3 66,64 66,58 67,73 70,29 71,32 71,92 72,29 71,12 71,17 71,53

Tabella 4.1.2.5 Evoluzione dell’indice di dipendenza giovanile nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

22,2 16,95 16,33 15,83 16,33 16,4 15,96 16,49 16,45 15,65 16,13 15,44 16,64 14,97

Tabella 4.1.2.6 Evoluzione dell’indice di dipendenza senile nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

42,56 45,95 46,68 49,48 50,31 50,18 51,77 53,8 54,87 56,26 56,15 55,68 54,54 56,57

L’indice di struttura consente di valutare il rapporto tra le classi d’età che sono al termine dell’attività lavorativa (40-64 anni) da quelle che hanno appena intrapreso la loro carriera professionale (15-39 anni). Nel caso di Polinago, e per l’ultimo dato in nostro possesso, è facile osservare che il rapporto tra le due classi tende ormai alla parità (valore pari a 103,9).

Tabella 4.1.2.7 Evoluzione dell’indice di struttura nel periodo 1981/1999.

Anno 1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

146,0 135,8 135,7 131,4 128,6 119,3 125,2 119,9 117,6 112,9 113,4 107,3 105,9 103,9

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L’indice di ricambio, calcolato come il rapporto percentuale tra la popolazione attiva, in procinto d’uscire dal mercato del lavoro (60-64 anni), e quella che nel suddetto mercato vi è appena entrata (15-19 anni), non è altro che un ulteriore indice di struttura prevalentemente congiunturale. Nella realtà non si configura quasi mai una vera e propria sostituzione materiale, ma bisogna interpretare il dato come un indicatore di una tendenza, di una necessità nella ricerca di nuovi sbocchi occupazionali per le nuove leve, se queste si trovano in esubero rispetto agli occupati in via di pensionamento. Questo non è il caso di Polinago, dove l’indice è di gran lunga lontano dalla situazione di pareggio tra le due classi considerate.

Tabella 4.1.2.8 Evoluzione dell’indice di ricambio della popolazione attiva nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

106,9 179,25 175,7 165,42 170,59 168,27 186,81 188,89 205,33 178,65 196,47 175,56 179,76 161,36

A conclusione del paragrafo si riportano alcuni dati relativi alla struttura della popolazione.

Tabella 4.1.2.9 Evoluzione della percentuale di popolazione anziana nel periodo 1981/1999.

Anno 1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

25,83 28,21 28,64 29,93 30,19 30,12 30,87 31,6 32,03 32,73 32,59 32,54 31,86 32,98

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Tabella 4.1.2.10 Evoluzione della percentuale di popolazione in età lavorativa nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

60,7 61,39 61,35 60,49 60,01 60,03 59,62 58,72 58,37 58,17 58,04 58,44 58,42 58,3

Tabella 4.1.2.11 Evoluzione della percentuale di popolazione giovanile nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

13,47 10,4 10,02 9,57 9,8 9,85 9,51 9,68 9,6 9,11 9,37 9,02 9,72 8,73

Tabella 4.1.2.12 Evoluzione della percentuale di grandi anziani nel periodo 1981/1999.

Anno 1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

11,73 14,8 15,49 15,83 15,07 14,51 14,27 14,36 14,11 14,14 14,76 15,39 15,33 16,22

Tabella 4.1.2.13 Rapporto di mascolinità nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

100,1 101,46 101,79 102,23 102,81 107,13 106,1 106,14 105,97 105,16 107,01 105,9 107,1 106,18

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Tabella 4.1.2.14 Età media totale nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

46,04 48,64 48,82 49,16 49,11 48,7 49,44 49,51 49,59 49,76 49,67 49,59 49,13 49,67

Tabella 4.1.2.15 Età media maschile nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

44,83 46,99 47,4 47,65 47,52 47,32 47,94 47,86 48,1 48,24 48,16 47,93 47,51 47,62

Tabella 4.1.2.16 Età media femminile nel periodo 1981/1999.

Anno

1981 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

47,25 50,31 50,27 50,7 50,74 50,17 51,04 51,27 51,17 51,35 51,28 51,35 50,86 51,85

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4.1.3 La distribuzione della popolazione

Nei fenomeni socio demografici fin ad ora analizzati si è considerato il territorio comunale come un unicum indistinto al quale riferire i dati relativi alla popolazione. Risulta invece evidente il ruolo fondamentale che assumono, in uno studio di carattere urbanistico, le logiche insediative di distribuzione e di diffusione della popolazione all'interno del territorio comunale. Pertanto, a complemento delle analisi sulla popolazione già sviluppate nel paragrafo precedente, si è effettuata una comparazione dei dati relativi ai principali centri e frazioni del comune di Polinago con il numero dei relativi residenti e la loro distribuzione per nucleo famigliare.

Tabella 4.1.3.1 Distribuzione della popolazione sul territorio comunale.

Località Toponimo Abitanti Numero famiglie Di cui unipersonali Numero medio componenti del nucleo famigliare Polinago Polinago 515 228 68 2,3 Polinago Badaglia 10 6 4 1,7 Polinago Beguzzi 20 10 4 2,5 Polinago Belenci 10 7 5 1,4 Polinago Berchio 2 1 0 2,0 Polinago Carloni 6 3 1 2,0 Polinago Casale 14 7 3 2,0 Polinago Fiorentino 12 5 2 2,4 Polinago Pian del Fiume 14 7 3 2,0 Polinago Piciniera 10 5 2 2,0 Polinago Poggio 12 7 3 1,7 Polinago Ronchi 9 5 1 1,8 Polinago Serre 17 5 0 3,4 Gombola Mulino del Ponte 46 17 6 2,7 Brandola Ponte di Brandola 33 16 5 2,1 Polinago Monteleone 11 6 3 1,8 San Cà dei Rossi 29 15 7 1,9 Martino Talbignano Talbignano Ponte 77 31 8 2,5 Cassano La Chiesa 23 7 0 3,3 Talbignano Talbignano 48 20 5 2,4 Talbignano La Canalina 18 9 3 2,0 Case - 953 414 147 2,3 sparse Tratto da: Provincia di Modena, Sistema Statistico Nazionale “Patrimonio edilizio e componente demografica del fabbisogno abitativo” , dicembre 1995.

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Questa tabella sintetica, che è stata predisposta dalla Provincia di Modena 13 durante lo studio del patrimonio edilizio storico del territorio di competenza, fornisce già notevoli punti di discussione che cercheremo di sviluppare in seguito. Per quando interessa la distribuzione della popolazione sul territorio comunale si può notare che, alla data del Censimento 1991, circa la metà dei residenti (953 persone su 1887) abitavano in case sparse, un altro terzo (515 persone) risiedevano nel Capoluogo mentre il resto dei cittadini (419) vivevano nelle frazioni minori del Comune di Polinago. Prima di avanzare qualsiasi tipo di supposizione, sarebbe molto interessante analizzare la serie storica legata alla distribuzione della popolazione. Purtroppo, all’atto della redazione del Quadro Conoscitivo, non eravamo in possesso dei dati per i decenni precedenti, per cui potremo riportare solo alcune analisi avanzate per realtà territoriali molto simili alla nostra. Di solito, in condizioni territoriali analoghe, la logica insediativa è basata sul fatto che nel capoluogo comunale e nelle frazioni più vicine alla pianura, quindi meglio servite dal punto di vista viabilistico, la popolazione non diminuisce quasi mai in valore assoluto, nemmeno negli anni in cui altrove si assiste allo spopolamento più accentuato. Il significato di questo fenomeno risponde a regole migratorie e localizzative applicabili a vaste porzioni di territorio della provincia modenese secondo le quali si assiste, negli anni considerati, ad un accentramento della popolazione verso i centri principali delle varie zone che, pur non essendo vere e proprie città, sono in grado di offrire un insieme di condizioni economiche, sociali, strutturali ed insediative di tipo proto urbano o comunque più affini alle nuove esigenze che vanno via via delineandosi. Il calo della popolazione interessa nella maggior parte dei casi i residenti delle “case sparse”, più svantaggiati rispetto alla localizzazione dei servizi e alle opportunità economiche offerte. Si ha quindi ragione di pensare che il capoluogo del Comune, se ha incrementato il numero di abitanti, lo deve anche ad un fenomeno di migrazione interna che sposta una certa quota di residenti dalle campagne e dagli insediamenti isolati di montagna, verso i suddetti centri maggiormente serviti e strutturati. Non si può dire molto specificatamente alle frazioni, ma è facile che per i piccoli borghi rurali la tendenza sia legata strettamente alla loro posizione geografica e ai

13 Provincia di Modena, Sistema Statistico Nazionale “Patrimonio edilizio e componente demografica del fabbisogno abitativo”, dicembre 1995.

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particolari caratteri morfologici che, se non favorevoli, non hanno certo favorito le loro possibilità di crescita. Conferma di ciò si coglie dalla comparazione effettuata con i moderni strumenti di gestione dei dati territoriali (GIS) in nostro possesso. L’analisi si è basata sul confronto tra il perimetro del territorio urbanizzato leggibile dalla Carta Tecnica Regionale (CTR) in scala 1:5000 (aggiornata per gli edifici al 1994) con quella rilevabile dagli ortofotopiani realizzati grazie al volo aereo compiuto nel 1998 su tutto il territorio provinciale. Dal confronto risulta che i perimetri delle aree urbanizzate sono rimasti pressoché immutati, a parte qualche nuovo edificio che travalica il limite leggibile dal CTR. Questo risultato certifica sicuramente una situazione positiva, perché il consumo di aree pregiate dal punto di vista paesaggistico, ambientale e forestale si è limitato nel tempo. E’ altresì vero che, se si legge il dato tenendo conto delle dinamiche evolutive che hanno interessato Polinago, si può attribuire il mantenimento dello status quo più al decremento demografico che ad una attenta strategia pianificatoria.

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4.1.3.1 La popolazione straniera

Un altro dato che occorre tenere in considerazione è quello legato alla presenza di cittadini d’origine straniera. D’altra parte, a seguito delle regolarizzazioni anagrafiche dei cittadini stranieri avvenute a seguito del Decreto Legislativo n°486 dell’ottobre 1995, si è verificata una notevole performance dei flussi migratori in ingresso. In realtà si tratta spesso solo dell’avvenuta regolarizzazione di cittadini stranieri in gran parte già presenti sul territorio, che tuttavia solo in virtù del decreto hanno reso anagraficamente esplicita la loro presenza. Questa “nuova” categoria di cittadini rivestirà in futuro un ruolo sempre più importante nella società, sia per le potenzialità di crescita che potranno svilupparsi dalla commistione delle culture che per la dinamicità espressa dalla fetta più giovane e meno “soddisfatta” della popolazione. E’ necessario quindi favorire i processi di massima integrazione sociale e individuare nel contempo le caratteristiche peculiari e le richieste espresse da questa classe di cittadini in quanto tra i primi destinatari degli interventi attuabili in sede locale. Analizzando i dati relativi alla situazione locale, si evince che al 31 dicembre 1999 i cittadini residenti stranieri assommavano a 71, quattro dei quali appartenevano all’area della Comunità Europea mentre 67 erano classificati come extracomunitari; pertanto la percentuale degli stranieri UE sul totale degli stranieri residenti era pari al 5,6%. Osservando la variazione percentuale dei dati nel periodo 1999-2000, si osserva che gli stranieri UE sono aumentati del 33,3% mentre gli extracomunitari sono cresciuti del 42,6%, portando la variazione percentuale totale degli stranieri ad un valore pari al 42,0 %.

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Tabella 4.1.3.1.1 Cittadini stranieri residenti per aree di nazionalità - Valori assoluti, variazioni assolute, percentuali e composizione percentuale - Anno 2000.

Cittadini stranieri residenti % stranieri UE sul Valori assoluti 31/12/00 Variazioni percentuali 1999-2000 totale degli stranieri residenti UE Extra UE Totali UE Extra UE Totali

4 67 71 33,3 42,6 42,0 5,6

Se si estrapolano invece i dati assoluti, al 31 dicembre 2000, delle dieci nazionalità più rappresentate, si nota che il gruppo di stranieri predominante appartiene all’area del Maghreb ed è costituito di immigrati dal Marocco (20 persone) e dalla Tunisia (6); seguono l’Albania (24 persone), la Turchia e la Romania entrambe con sei elementi ciascuno. Sotto la voce “altre nazionalità” si trovano altri 9 cittadini.

Tabella 4.1.3.1.2 Cittadini stranieri residenti per nazionalità (le prime 10 per numerosità) - Valori assoluti al 31/12/2000.

Nazionalità

Marocco Tunisia Ghana Albania Cina Filippine Turchia Pakistan Nigeria Romania Altre Totale

20 6 0 24 0 0 6 0 0 6 9 71

Passando in disamina i dati anagrafici degli iscritti e dei cancellati, si nota che per quanto riguarda la prima voce, 15 persone provenivano da altri comuni italiani, 17 dall’estero, uno non era classificato per un totale di 33 persone. Per quanto concerne invece i cancellati dall’anagrafe si legge che 12 sono emigrati in altri comuni, uno è stato cancellato perché nel frattempo ha acquisito la cittadinanza italiana, 3 sono stati eliminati per irreperibilità per un totale di 16. Il saldo migratorio al 2000 per l’anagrafe assomma a 17 persone.

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Tabella 4.1.3.1.3 Cittadini stranieri: flusso e saldo migratorio - Valori assoluti - Anno 2000.

Iscritti Cancellati Saldo Da Dall'est Non altrove Totale Per altri Per Per Per Non Totale Migratorio altri ero class. comuni l'estero acquisizione irreperibilità altrove comu citt. Italiana class. ni 15 17 1 33 12 0 1 3 0 16 17

Infine, si propone una tabella di sintesi che riguarda l’ultimo biennio a disposizione (1999-2000): gli stranieri presenti a Polinago passano dai 50 del 1999 ai 71 nel 2000, con una variazione percentuale pari al 42,0%. Il dato sicuramente più interessante è che nel 2000, a fronte di una popolazione residente pari a 1870 persone, il numero degli stranieri era pari al 3,8%, un valore tutt’altro che trascurabile per una realtà territoriale come quella del Comune in esame.

Tabella 4.1.3.1.4 Cittadini stranieri residenti - Valori e variazioni assolute e percentuali. Composizione percentuale sul totale dei residenti al 31 dicembre degli anni 1999 e 2000.

Popolazione residente Stranieri

1999 2000 Variazioni Variazioni 1999 2000 Variazioni Variazioni % sulla assolute percentuali assolute percentuali pop. 1999-2000 1999-2000 1999-2000 1999-2000 residente

1868 1870 2 0,1 50 71 21 42,0 3,8

Da: Provincia di Modena, Settore Statistica - Osservatorio Demografico 2000

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4.1.4 Le famiglie

Come già detto precedentemente, le analisi legate alla conoscenza della struttura e della composizione delle famiglie fornisce importantissime indicazioni sul comportamento socio economico della popolazione, in quanto è in grado di individuare tendenze connesse alla dinamica demografica e al fabbisogno abitativo molto più significative di quelle desunte dall'analisi dei singoli parametri sugli individui. Il dato statistico che tradizionalmente si utilizza per il dimensionamento del fabbisogno di alloggi di una popolazione è il rapporto abitanti/stanza; valore che poteva dare una efficace rappresentazione del fenomeno fino al secondo dopoguerra, quando l’urgenza abitativa era molto sentita ed anche indicatori grossolani servivano per dimostrare fenomeni omogenei e di vasta rappresentatività. Oggi, per dare una giusta interpretazione al problema, occorre tenere conto delle effettive esigenze del nucleo famigliare la cui dimensione, composizione ed evoluzione determina l'entità e le caratteristiche della domanda e delle condizioni del patrimonio edilizio esistente e futuro. E’ la famiglia, infatti, il vero indicatore della domanda e la sua controfaccia è l’alloggio poiché si costruiscono alloggi e non stanze individuali e negli alloggi ci abitano famiglie, anche se statisticamente formate da un solo individuo. Ovviamente i dati sulle famiglie finiscono necessariamente per incrociarsi con quelli generali esposti nella prima parte di questo elaborato relativi ai singoli abitanti, ma come famiglie. Dall’analisi comparata emergono alcune peculiarità che meritano di essere evidenziate; ad esempio, se si analizza la tabella seguente, si può osservare che nel Comune in esame il numero medio dei componenti per famiglia è di circa due persone, un valore inferiore anche alla pur bassa media nazionale. D’altra parte, questo valore è confermato dai dati già esaminati nel paragrafo precedente, se ci si ricorda l’età media della popolazione residente e l’andamento del saldo naturale. A Polinago ci si trova di fronte ad una popolazione matura, suddivisa in un gran numero di famiglie che vivono, nella metà dei casi, nelle case sparse nel territorio comunale. Per quanto riguarda la localizzazione delle famiglie sul territorio e la loro relativa composizione, si può solo rileggere la tabella 4.1.3.1 alla luce delle ipotesi avanzate.

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Nel capoluogo risiedevano 228 famiglie, 68 delle quali composte solo da una persona (la media dei componenti per Polinago è pari a 2,3); nelle case sparse le famiglie erano 414, 147 delle quali sono di tipo unipersonale (media ancora pari a 2,3). Le frazioni più popolose risultavano Talbignano Ponte con 31 nuclei famigliari (8 composti solo da una persona con una media di 2,5), Talbignano con 20 famiglie (5 singles e media pari a 2,4) e Mulino di Gombola con 17 (6 unifamigliari e media di 2,7).

Tabella 4.1.4.1 Numero di famiglie residenti e numero medio dei componenti nel periodo 1991/2000.

Numero medio Anno Popolazione residente Numero famiglie componenti 1991 1887 927 2,04 1992 1872 928 2,02 1993 1870 933 2,00 1994 1864 930 2,00 1995 1867 926 2,02 1996 1890 930 2,03 1997 1884 922 2,04 1998 1924 929 2,07 1999 1868 909 2,06 2000 1870 906 2,06

Se si opera una disamina sull’evoluzione dei nuclei famigliari negli ultimi dieci anni (1991-2000), si osserva un dato in tendenza con quello finora riscontrato in relazione ai singoli individui, cioè che le famiglie calano: in effetti, nel 1991 erano 927, per passare a 909 nel 1999, valore mantenutosi sostanzialmente stabile anche per l’anno successivo (906); in termini percentuali il decremento 1991-2000 è pari al 2,30%. A questo proposito è comunque utile ricordare che spesso, analizzando campioni demografici di grande scala, si nota che ad una popolazione stabile o in calo corrisponde un incremento dei nuclei famigliari: in sostanza il leggero calo riscontrato per il decennio 1999-2000 può essere imputato anche ad una eccezione statistica. Per lo stesso periodo si nota una stasi della dimensione media famigliare, passata da circa 2,04 componenti per famiglia del 1991 ai 2,06 della fine del decennio. Il fenomeno non è più imputabile però a fenomeni di emigrazione (per quel periodo il

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saldo migratorio è positivo) ma è legato probabilmente a fattori sociali e culturali ben precisi. Uno di questi riguarda sicuramente il calo delle natalità; le giovani coppie, orientate verso nuovi modelli di vita, tardano a procreare e non prevedono, in genere, più di un figlio all’interno della coppia. Un altro fattore è legato all’indice di vecchiaia della popolazione, anch’esso costantemente in aumento. Al 31 dicembre 2000, dato ultimo a nostra disposizione, si stima che siano 401 le famiglie unifamiliari (pari al 44,3% della popolazione), 239 quelle composte da due persone (26,4% sul totale), 137 quelle con tre componenti (15,1%), 89 da quattro (9,8%) e 29 da cinque (3,2%). Chiudono la classifica 11 famiglie con sei o più componenti, pari all’1,2% del totale.

Tabella 4.1.4.2 Famiglie per numero di componenti - Valori assoluti (stime) al 31/12/2000.

Famiglie per numero di componenti 1 2 3 4 5 6 e più Totale Tot. Componenti

401 239 137 89 29 11 906 1867

Tabella 4.1.4.3 Famiglie per numero di componenti - Valori percentuali (stime) al 31/12/2000.

Famiglie per numero di componenti

1 2 3 4 5 6 e più Totale

44,3 26,4 15,1 9,8 3,2 1,2 100,0

Se si raffrontano le stime dei valori percentuali delle famiglie per numero di componenti nel decennio 1991/2000, si rileva sostanzialmente un grande aumento dei nuclei domestici composti da una persona (43,2%), dato impressionante se si pensa cosa significhi in realtà: famiglie composte da persone sole, in molti casi vedove e anziane.

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Tabella 4.1.4.4 Famiglie per numero di componenti - Valori percentuali (stime) 2000/1991.

Famiglie per numero di componenti

1 2 3 4 5 6 e più Totale Tot. Componenti

43,2 -7,7 -3,5 -14,4 -14,7 -8,3 9,0 -1,2

Il dato del resto è confermato dal calo sistematico delle altre tipologie di nucleo famigliare: del 7,7% per quelle composte da due persone, del 3,5% per quelle da tre, del 14,4% e del 14,7% rispettivamente per quelle da 4 e 5 componenti per terminare con il decremento dell’8,3% per le famiglie con 6 e più componenti. La tendenza evidenziata dovrà essere considerata nel dimensionamento residenziale del futuro Piano Strutturale, in quanto impone sia una verifica della superficie media residenziale dell’alloggio tipo che del numero di immobili da prevedere. Nella tabella successiva si riportano invece i dati riferiti al numero dei matrimoni celebrati all’interno del Comune nel decennio 1991-2000, dai quali si evince che non esiste una tendenza definita nell’andamento che questi dati assumono, poiché la loro variabilità, seppur entro un campo relativamente ristretto (4/20), si rivela negli anni considerati completamente casuale.

Tabella 4.1.4.5 Numero di matrimoni celebrati nel periodo 1991/2000.

Anno Popolazione residente Numero famiglie Matrimoni celebrati

1991 1887 927 14 1992 1872 928 20 1993 1870 933 13 1994 1864 930 17 1995 1867 926 13 1996 1890 930 14 1997 1884 922 15 1998 1924 929 4 1999 1868 909 9 2000 1870 906 10

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4.2 Caratteristiche del sistema produttivo

4.2.1 La situazione agricola locale

Analizzare un settore economico come quello relativo all'agricoltura, che da sempre ha rivestito un’importanza strategica per l'economia locale, e vederne le trasformazioni contemporanee come un qualcosa di parziale e strategicamente marginale, rischia di impoverire le interpretazioni. Infatti, quanto è accaduto negli ultimi vent’anni e quanto sta avvenendo all'interno delle politiche comunitarie, porta a valutare il settore con un'ottica completamente diversa rispetto al passato. Le flessioni negative che si riscontrano in tutti i parametri di analisi dell'andamento del settore primario, riguardanti ad esempio il numero di addetti, del numero di aziende, della superficie agricola, ecc., mettono in rilievo una trasformazione radicale della struttura sociale ed economica dell'intero settore, che può rivelarsi solamente se si accettano alcuni presupposti basati su un diverso atteggiamento culturale e sociale attraversato dalla comunità locale più che dato da sconvolgimenti settoriali. Non bisogna dimenticare che nel periodo storico considerato la dimensione territoriale comunale è rimasta immutata e, come vedremo in seguito, anche la dimensione della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) rispetto ad altri parametri ha subito una variazione non sostanziale. D'altro canto, il vistoso calo del numero degli occupati nel settore primario è solo in parte attribuibile all’aumento della meccanizzazione e alla modernizzazione dei processi produttivi, bensì è più probabile che in questo senso siano intervenuti altri fattori più strettamente strutturali, legati alle caratteristiche della popolazione residente. Negli ultimi 30 anni a Polinago l'agricoltura ha subito una forte involuzione a causa di problematiche di carattere economico riscontrabili anche a scala nazionale, oltre a fattori socio culturali strettamente connessi alla realtà locale, non diversi da quelli già considerati nello studio delle dinamiche demografiche della popolazione del Comune. Ci si riferisce in questo caso ai movimenti migratori che negli anni del "boom" economico (1950/1970) hanno interessato le giovani generazioni, le quali hanno abbandonato le campagne e le zone montane per indirizzarsi verso aree geografiche dove potevano trovare sbocchi occupazionali più gratificanti e redditizi rispetto all'agricoltura. Ciò ha innescato un fenomeno sociale destinato a produrre

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effetti progressivi oltre che immediati: in primo luogo, la mancanza di interesse rispetto al settore primario e l'allontanamento degli strati più produttivi della popolazione ha inevitabilmente aumentato il divario già esistente tra questo e gli altri settori produttivi. Di conseguenza, le aziende agricole “superstiti” hanno dovuto riorganizzare strutture e metodi produttivi per fare fronte alla competitività del mercato economico. Nelle zone più sfavorite dal punto di vista dello sfruttamento agricolo dei terreni (sia a causa della particolare morfologia che per la litologia dei suoli, spesso poco consoni alle colture impiantate) si sono osservati in passato anche fenomeni di abbandono, che hanno restituito vaste porzioni del territorio comunale ai cicli biologici naturali; queste terre appaiono oggi coperte da arbusti e cespugli o invase completamente dal bosco. Inoltre, in passato le aree marginali della collina erano oggetto di una attenta opera di regimazione idrica operata dagli stessi agricoltori; oggi, queste aree trovandosi in stato di abbandono, possono essere soggette a fenomeno erosivi o, in casi più gravi, a veri e propri disastri idrogeologici causati dalla forte urbanizzazione, dal prelievo di inerti da cave e dall’aumento della viabilità. Infine, si consideri che, se dalla metà degli anni ’80 il numero dei residenti si è praticamente assestato, non è capitato lo stesso per gli addetti del settore agricolo, dal momento che i nuovi abitanti gravitano professionalmente attorno alla città di Modena e alla sua cintura industriale (basti pensare ai comparti industriali di Carpi, e Sassuolo) e, a meno di qualche caso sporadico, non si occupano comunque di agricoltura. I dati specifici che verranno analizzati nel capitolo seguente consentiranno una conferma e, al contempo, una puntuale esposizione dei fenomeni appena considerati.

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4.2.1.1 Analisi dei dati

La superficie territoriale del Comune di Polinago è complessivamente pari a 5384 ettari. Il primo dato da mettere in evidenza, relativamente al settore primario, è legato al decremento di superficie a destinazione agricola che si è verificato dal 1961 in poi; si specifica che per destinazione agricola si intende l'estensione territoriale delle aziende e non le aree effettivamente sfruttate a fini produttivi, estensione definita invece come Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Dalla tabella 4.2.1.1.1 si può osservare l'evoluzione della quota di terreno agricolo rispetto all'intera superficie territoriale del Comune, avvenuta nei 30 anni che intercorrono tra il 1961 e il 1990.

Tabella 4.2.1.1 Superficie complessiva delle aziende agricole e rapporto percentuale con la superficie comunale (1961/1990).

Variazione % Valore Variazione ANNI Superficie (in ettari) sul decennio percentuale totale (in ettari) precedente 1961 5021,73 93,27% 0 0 1970 4941,36 91,78% -80,37 -1,60% 1982 4283,90 79,56% -657,46 -13,30% 1990 3539,47 65,74% -744,43 -17,38%

Alla luce dei dati esposti in tabella, risulta evidente quanto sopra accennato: la superficie delle aziende agricole passa dai 5021,73 ettari del 1961 (pari al 93,27% della superficie territoriale comunale) ai 3539,47 ettari registrati nel 1990 (65,74%), presentando una diminuzione in valore assoluto di 1482,26 ettari. Si ricordi che, nell'ambito di un territorio comunale, le aree non utilizzate ai fini agricoli comprendono sia i terreni urbanizzati sia quelli abbandonati come i calanchi, le frane, gli affioramenti rocciosi e gli alvei dei fiumi. Sebbene l'espansione dell'edificato, dal 1986 ad oggi 14 , è stata trascurabile se confrontata con analoghe realtà territoriali della provincia di Modena, è molto probabile che le nuove aree

14 La considerazione avanzata nel testo nasce da una comparazione effettuata al computer tra la Carta Tecnica Regionale alla scala 1:5.000 (che è appunto aggiornata al 1986 per gli edifici e per le infrastrutture viarie) e il volo aereo compiuto su tutto il territorio comunale nel 2000.

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urbanizzate abbiano interessato proprio estensioni significative per la produzione agricola, andando ad occupare aree pianeggianti, che presentano una buona esposizione solare e una facile accessibilità ai centri abitati; insomma, tutte aree sicuramente pregiate anche per l'agricoltura. Ma il grande incremento di superficie non utilizzata per fini agricoli è certamente da ascriversi anche a fenomeni naturali di evoluzione morfologica (come i movimenti franosi o la riconquista da parte del bosco di terreni già dedicati alla pratica colturale) e a casi di totale abbandono di zone poco produttive o di difficile utilizzazione; questi ultimi fattori incidono sicuramente anche sul valore della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). A questo proposito, si analizzi la tabella 4.2.1.2, che riporta proprio la variazione della SAU nel periodo 1970/1990: si evince che nel 1970 l’estensione SAU per il Comune oggetto dell’indagine era pari a 3261,91 ha, che corrisponde al 60,58% del totale della superficie comunale; dieci anni dopo la stessa superficie è passata al 48,68% del totale (2621,08 ha) con una perdita secca per la pratica colturale di 640,83 ettari (variazione percentuale rispetto al censimento precedente pari al 19,64%). Il IV° censimento dell’agricoltura (1990) registra infine una SAU di 2341,47 ha, che in termini percentuali vale il 43,8% dell’intera superficie comunale; la variazione di superficie rispetto al 1982 è di 279,61 ettari (-10,66%).

Tabella 4.2.1.2 Superficie Agricola Utilizzata (SAU) nel periodo 1970/1990.

Variazione Variazione % sul ANNO SAU (in ettari) % Sup. terr. totale (in ettari) decennio precedente 1970 3261,91 60,58% - - 1982 2621,08 48,68% -640,83 -19,64% 1990 2341,47 43,48% -279,61 -10,66%

Negli stessi anni, si assiste contemporaneamente ad un calo sostanziale delle aziende agricole presenti nella realtà comunale; infatti, se si studiano i dati della tabella seguente si evince che, delle 832 aziende presenti nel 1961, solo 733 sono ancora attive nel decennio successivo con una perdita di 99 attività (-11,89%). Nel 1982 le attività agricole sono 538, ben 195 in meno rispetto al precedente censimento (variazione percentuale pari al 26,60%) e infine nel 1990 si portano a 317, facendo registrare un calo percentuale del 41,07%. Per quanto attiene la superficie media aziendale, si nota che nel 1961 è pari a 6,03 ettari, nel 1970 si attesta a 6,74 ha per arrivare poi, al censimento 1982, ad un

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valore di 7,96 ettari: in pratica, nei venti anni studiati si ha una relativa uniformità della superficie media aziendale che oscilla sempre intorno ai 7 ettari, attestandosi quindi su valori abbastanza bassi rispetto a realtà territoriali limitrofe, a conferma della supremazia dell'azienda a conduzione familiare di medio – piccole dimensioni sulle altre tipologie agricole produttive. Solo con il IV° censimento del 1990 si registra un aumento della superficie media aziendale, che infatti risulta pari a 11,16 ettari: ciò può essere attribuito sia alla crescente meccanizzazione avvenuta nei processi colturali (grazie alla quale è possibile coltivare fondi più estesi con la stessa manodopera) sia all’accorpamento delle aziende più piccole da parte di quelle di dimensioni maggiori che ad altri processi non facilmente interpretabili.

Tabella 4.2.1.3 Numero delle aziende agricole e superficie media per il periodo 1961/1990.

ANNO Numero Aziende Variaz. ass. Variazione % Superficie media (in ettari)

1961 832 - - 6,03 1970 733 -99 -11,89% 6,74 1982 538 -195 -26,60% 7,96 1990 317 -221 -41,07% 11,16

A conferma di ciò, si può osservare la tabella seguente che raggruppa le aziende per classi di superficie. La comparazione è stata sviluppata per il ventennio 1970 - 1990.

Tabella 4.2.1.4 Ripartizioni delle aziende per classi di superficie (1970/1990).

N° N° Variazione N° Variazione Superficie Variazione Variazione aziende aziende ass. aziende ass. (in ettari) % 1970-1982 % 1982-1990 1970 1982 1970-1982 1990 1982-1990 <1 47 26 -21 -44,68% 26 0 0,00% 1-2 82 50 -32 -39,02% 47 -3 -6,00% 2-5 224 158 -66 -29,46% 100 -58 -36,70% 5-10 219 168 -51 -23,28% 76 -92 -54,76% 10-20 125 94 -31 -24,80% 42 -52 -55,32% 20-50 22 27 +5 22,73% 25 -2 -7,40% >50 3 5 +2 66,67% - -5 -100%

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La tabella 4.2.1.4 evidenzia, per il decennio 1970 -1982, un calo rilevante del numero delle imprese agricole avvertito per ogni classe dimensionale, a parte le due maggiori fra queste che invece esprimono una tendenza inversa, con una crescita di qualche punto percentuale. Dal 1982 al 1990 si nota invece se non una ripresa quanto meno un assestamento del numero delle aziende. Nello specifico, sempre facendo riferimento all’ultimo decennio segnalato, si nota che le aziende di piccole dimensioni (per intenderci, fino a due ettari) mantengono i valori espressi nel censimento 1982 (in effetti, la classe d’aziende con dimensioni inferiori a un ettaro fa segnare lo stesso valore di dieci prima, 26 unità, mentre la famiglia immediatamente superiore cala di 3 punti assoluti, attestandosi a 47 unità); le classi superiori subiscono invece un decremento costante. In ogni caso, si deve sottolineare che, nel 1990, le aziende più numerose sono quelle che presentano estensioni medie e piccole (grosso modo comprese tra i 2 e i 20 ettari), costituendo da sole quasi la totalità delle aziende complessivamente presenti sul territorio, a conferma di una concentrazione connessa anche alle tradizioni lavorative dei luoghi. Nella tabella 4.2.1.5 le aziende agricole del Comune di Polinago sono state suddivise a seconda delle diverse forme di conduzione presenti, che nel censimento ISTAT sono così codificate: con Conduzione diretta del coltivatore si intende il podere sul quale lavora direttamente l'intestatario, anche se coadiuvato da altri componenti familiari o da operai salariati; nella Conduzione in economia rientrano i casi in cui il titolare dell'azienda si occupa dei terreni solo a livello organizzativo senza prestare opera materiale e la lavorazione è completamente demandata a operai salariati; con Conduzione a colonia parziaria si intende l'antica forma della mezzadria in cui un podere affidato ad un colono viene da questi lavorato con una suddivisione del ricavato tra il lavoratore e il proprietario; infine, nella categoria Altre sono comprese tutte le diverse gestioni (cooperative, ecc.); nell’ultima classe sono considerati anche i casi di aziende i cui terreni non sono in realtà sfruttati in maniera produttiva.

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Tabella 4.2.1.5 Ripartizione delle aziende per forma di conduzione (1961/1990).

Conduzione In Conduzione ANNO Altre Totale diretta economia parziale 1961 653 39 139 1 832 1970 636 45 52 0 733 1982 505 22 11 0 538 1990 295 19 1 2 317

L'esame dei dati evidenzia immediatamente alcune tendenze: dal '60 ad oggi la mezzadria diminuisce progressivamente fino a scomparire: le aziende organizzate con questo sistema economico passano dalle 139 del 1961 all’unica unità registrata nel 1990. Nel decennio che intercorre tra il 1961 e il 1970 si registra invece una crescita delle conduzioni In economia (le aziende passano in questo lasso di tempo da 39 a 45), ma negli anni successivi il trend si inverte; nel 1990 le aziende caratterizzate da questa forma d’impresa sono solo 19. Del resto, la gestione A conduzione diretta rappresenta ancora la forma di gestione più frequente delle attività del settore primario per territori come quello di Polinago, in quanto, con 295 unità su 317 complessive (al censimento 1990) è pari al 93,06% della totalità delle unità produttive agricole presenti nel Comune. Del resto, specifici studi compiuti sul ruolo dell'impresa familiare in agricoltura 15 hanno proposto una tesi secondo la quale la gestione diretta, esercitata cioè da un nucleo familiare o da una parte di esso, costituisce la forma di conduzione più consona per organizzare la struttura produttiva agricola attuale, in quanto dimostra una notevole capacità di adattamento al progresso tecnico (e quindi ai processi di modernizzazione della produzione) e al contempo gode dei vantaggi che derivano sia dalla compresenza delle tre figure di manager, lavoratore e capitalista nella stessa persona dell'imprenditore, che dalla dimensione tipica dell'impresa che minimizza qualsiasi spreco in termini di economia di scala. Negli anni più recenti la possibilità di poter usufruire di prestazioni part-time da parte di qualche componente familiare stabilmente impiegato in altri settori, garantisce da una parte la risposta alle richieste di maggiore forza lavoro nei momenti stagionali di punta della produzione dall’altra, alla sicurezza di un reddito indipendente dall'andamento dell'economia agricola che all'occorrenza può incrementare il capitale da investire nell'organizzazione della stessa. I limiti di questa forma di conduzione sono insiti proprio nelle sue peculiarità

15 Giovanni Galizzi, “Il ruolo dell’impresa familiare e la moderna agricoltura” in Genio Rurale n.7/8, 1994.

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che, paradossalmente, rappresentano del resto anche i punti di eccellenza della struttura produttiva. Per fare un esempio pratico, proprio il fatto che siano incentrati diversi ruoli fondamentali nella stessa persona dell'imprenditore carica questa figura di troppe responsabilità, tanto da legare inevitabilmente le sorti dell'azienda alle maggiori o minori capacità dell'individuo. Ancora: l’assenza di soggetti in grado di garantire un valido ricambio generazionale nella gestione aziendale, fa sì che queste vengano a decadere una volta che viene a mancare il vecchio imprenditore. Del resto, il problema più sentito nel settore primario è generato proprio dal disinteresse che i giovani manifestano verso l'attività agricola, visto che attualmente preferiscono intraprendere altri percorsi professionali. Se si passa ora all’analisi delle principali tipologie colturali presenti nel territorio (tabella 4.2.1.6) suddivise nelle tre classi principali Seminativi, Prati permanenti e pascoli e Coltivazioni permanenti : nell'intervallo considerato (1970/1990) si denota che, in termini percentuali, le estensioni a Seminativo crescono nel decennio 1970 - 1982, per poi calare in quello successivo (le aree in oggetto passano dai 2318,54 ettari del 1970 ai 2300,05 del 1982 per giungere infine ai 1881,27 ettari del 1990; in termini percentuali sul totale SAU significa passare dal 71,08% all’87,75% nel primo decennio, per poi attestarsi attorno all’80,34% nel 1990); questo, a discapito dei Prati permanenti , che letteralmente crollano dal valore di 798,93 ettari registrato nel 1970 (24,49% sul totale SAU) a quello di 182,09 del 1982 (6,95% sempre espresso sul totale SAU); nel 1990 tali estensioni rappresentano ancora il 17,83% del totale SAU (417,51 ha). Le Coltivazioni permanenti subiscono un lieve calo dal 1970 al 1982 (da 144,44 ha del 1970 ai 138,94 del 1982); il decremento è confermato anche nel decennio successivo (la coltura in oggetto utilizza 42,69 ettari al censimento 1990, pari all’1,82% del totale SAU). Questo valore è comunque poco significativo, visto che tale coltura riveste un’importanza minore nell’ambito dell’economia aziendale.

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Tabella 4.2.1.6 Estensione delle colture e ripartizione della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) tra i diversi tipi di colture (1970-1990).

Estensione Estensione % SAU % SAU Estensione % SAU Colture 1982 1970 (in ha) 1970 1982 1990 (in ha) 1990 (in ha) Seminativi 2318,54 71,08% 2300,05 87,75% 1881,27 80,34% Prati e pascoli 798,93 24,49% 182,09 6,95% 417,51 17,83% Colt. perm. 144,44 4,43% 138,94 5,30% 42,69 1,82%

Anche se non si dispone dei dati necessari per operare una divisione delle principali coltivazioni in zone omogenee riferibili a precise aree geografiche all'interno del territorio comunale di Polinago, vale la pena di sottolineare l'importanza che i fattori ambientali assumono nella scelta e nella realizzazione degli indirizzi produttivi agricoli, legati alla coltivazione di diversi prodotti. Tra i principali fattori limitanti ricordiamo quelli morfologici: gran parte dei terreni potenzialmente coltivabili presentano pendenze considerevoli e quindi non risultano adatti ad uno sfruttamento agricolo intensivo; inoltre sono spesso ricoperti da una fitta copertura arborea spontanea, logica componente ambientale di un paesaggio di alta collina come quello in esame. Alla luce di questo dato si nota che all'interno del territorio comunale le zone agricole di preminente indirizzo produttivo sono in genere localizzate in prossimità dei centri urbani poiché questi, come è stato in precedenza accennato, sono sorti in porzioni di territorio con caratteristiche strutturali e morfologiche relativamente favorevoli, aventi cioè gli stessi connotati necessari ad un'utilizzazione agricola produttiva. Tornando brevemente alle specializzazioni produttive, vale la pena di specificare che tra i seminativi troviamo prevalentemente coltivazioni di foraggiere avvicendate, mentre tra le esigue coltivazioni arboree troviamo solo colture fruttifere di medio pregio (mele, pere). Se si esaminano i dati relativi all'ambito zootecnico, si può constatare che nel ventennio 1970-1990 (tabella 4.2.1.7) il numero dei capi bovini è rimasto pressoché inalterato, attestandosi attorno ad un valore medio di circa 2500 unità. Del resto, le scelte politiche ed economiche che vennero effettuate su scala nazionale intorno agli anni '80, con l’imposizione di quote fisse di carne bovina e latte, in altre realtà territoriali hanno dato luogo a vincoli così restrittivi da influire pesantemente sull'organizzazione zootecnica locale; a Polinago, area già specializzata nell’allevamento zootecnico e integrata da molti anni nella filiera di produzione del Parmigiano – Reggiano, queste

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decisioni hanno probabilmente ratificato una situazione già positiva, concretizzandosi in un aiuto per l’economia locale.

Tabella 4.2.1.7 Numero di capi di bestiame (1970-1990).

Bovini

ANNI Numero di capi Variazione assoluta Variazione %

1970 2476 - - 1982 2434 - 42 - 1,70% 1990 2579 + 145 + 5,96%

Suini

ANNI Numero di capi Variazione assoluta Variazione %

1970 - - - 1982 9465 - - 1990 8096 -1369 -14,46%

Ovini e caprini

ANNI Numero di capi Variazione assoluta Variazione %

1970 - - - 1982 18 - - 1990 96 +78 + 433,34%

Poche parole sulle altre forme d’allevamento: per quanto concerne il comparto suinicolo, si assiste ad un calo considerevole del numero dei capi; ciò è giustificabile se ci si ricollega al discorso fatto precedentemente: è probabile che molti agricoltori si siano convertiti ad altre forme d’allevamento (ad esempio, bovini) al momento più redditizie. Poco si può dire riguardo al settore ovino e caprino oltre all’affermazione che questo comparto copre una piccola nicchia del mercato zootecnico locale.

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4.2.1.2 Analisi dei dati desunti dal V° Censimento dell’Agricoltura 2000

Con la finalità di aggiornare e completare le informazioni desumibili dalla serie storica dei censimenti, sono state prese in considerazione anche le schede ISTAT 16 relative al V° censimento dell’agricoltura appena c onclusosi. L'analisi si è rivolta principalmente all’esplicitazione delle caratteristiche delle aziende agricole esistenti sul territorio oltre all’individuazione degli elementi qualitativi della forma insediativa agricola; in seconda battuta, la ricerca si è concentrata sulla definizione dei modelli socio gestionali della produzione e sull’analisi del nucleo familiare dell’imprenditore, per tentare una stima sul futuro del settore primario. Le finalità operative di queste analisi si stemperano in diverse direttrici all'interno del progetto; esse, pertanto, saranno fatte emergere solo in parte, e solo laddove la loro esplicitazione si renderà opportuna spiegando un determinato fenomeno che si ritiene di dover evidenziare poiché rappresentativo della situazione sotto osservazione. Nel Comune in esame, l’ultimo censimento ISTAT si è concretizzato nella stesura di 200 questionari, che hanno rilevato l’esistenza di 196 aziende ancora attive (154 delle quali allevano bestiame) mentre sono tre quelle che, presenti nel censimento 1990, oggi non sono più esistenti; sei sono invece quelle non censite. Uno dei criteri adottati nella classificazione è di tenere distinte e separate le aziende che possiedono capi di bestiame da quelle che invece esplicitano l’unica attività aziendale attraverso la coltivazione dei terreni. In concreto, questa è la situazione per il Comune di Polinago:

16 Durante la predisposizione del Quadro Conoscitivo, si sono rese disponibili anche le schede elaborate per il V° Censimento dell’Agricoltura; i dati sono stati studiati prima ancora che le schede giungessero ufficialmente all’Istituto di Statistica Nazionale; pertanto, la qualità e la completezza dei dati sono ancora oggetto di verifica.

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Tabella 4.2.1.2.1 Classificazione delle Aziende per il Comune di Polinago.

Aziende con coltivazioni:

Superficie Agricola Totale (SAT)

Tipo di coltura insediata N° aziende % rispetto alla superficie Ettari del territorio comunale

Seminativi 121 1366,96 25,39%

Coltivazioni legnose agr. 78 37,22 0,69%

Orti familiari 156 2,22 0,041%

Prati permanenti 87 289,26 5,37%

Pascoli 8 12,18 0,23%

SAU 193 1707,84 31,72%

Boschi 187 640,2 11,90%

Arboricoltura da legno 1 1,15 0,02%

Sup. agricola non util. / 183,92 3,41%

Altra superficie / 54,85 1,02%

Superficie totale SAT 196 2587,78 48,06%

Aziende con allevamenti:

Tipo di animale allevato Aziende Capi

Bovini e bufalini 64 2417

Ovini e caprini 9 72

Equini 6 20

Suini 7 3631

Altri allevamenti 142 /

Totale 154 /

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Dalla prima delle due tabelle sopra riportate si evince che la superficie totale occupata dalle Aziende agricole (SAT) è di circa 2587,78 ettari, pari al 48,06% della superficie del territorio comunale; la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è di 1707,84 ettari, equivalente al 31,72% del totale comunale. Fra i tipi colturali presenti nelle aziende, la voce seminativi impegna in complesso 1366,96 ettari (25,39%), i prati permanenti assommano a 289,26 ha (5,37%), la superficie occupata dalle coltivazioni legnose agricole è pari a 37,22 ha (0,69%), i pascoli sono pari allo 0,23% del territorio del Comune (12,18 ettari); infine, si trovano gli orti familiari per un’estensione complessiva di 2,22 ettari (0,041%). Questo per quanto attiene alla superficie effettivamente sfruttata dal punto di vista agricolo; passando alle altre utilizzazioni, si nota che le coperture a bosco occupano 640 ettari, circa l’11,90%, le aree non utilizzate sono circa il 3,41% del totale (183,92 ha) mentre l’arboricoltura da legno impegna solo 1,15 ettari (0,02%). Alla voce altra superficie si assegnano 54,85 ettari, pari all’1,02% della superficie totale del comune. Quindi, anche da una prima tabella sintetica come quella precedente, si possono i caratteri basilari dell’agricoltura locale: tra le coltivazioni, si coglie una netta predominanza dei seminativi come grano, erba medica, ecc.; molto distaccati seguono gli appezzamenti lasciati a prato permanente, quindi sostanzialmente utilizzati per la raccolta del fieno. I pascoli hanno valori poco significativi anche per una zona vocata all’allevamento bovino come questa; probabilmente, ciò è dovuto alla consistente meccanizzazione avvenuta all'interno delle aziende facendo sì che oggi risulti più pratico ed economico stabulare i capi piuttosto che lasciarli pascolare nei terreni a questo scopo dedicati. Le superfici dedicate alla coltivazione della vite e degli orti familiari sono quasi insignificanti facendo presupporre, da parte della famiglia conduttrice, un utilizzo domestico dei prodotti realizzati. In conclusione, una zona che riflette nell’organizzazione della propria agricoltura la sua vera vocazione d’area legata alla filiera di produzione del Parmigiano-Reggiano. Se si analizza il secondo gruppo d’aziende: a caratterizzare il livello dimensionale delle imprese agricole è parso logico assumere come parametro il numero dei capi bovini; infatti, per quanto detto sopra, si ritiene di affidare a questo capo di bestiame il ruolo più importante nel campo della zootecnia locale. Con questo assunto, all’ultimo censimento, a Polinago si ha la seguente classificazione:

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Tabella 4.2.1.2.2 Dimensione aziendale a seconda del numero di capi bovini.

Dimensione aziendale Numero di aziende

Con meno di 20 capi (183 totali) 25

Da 20 a 50 capi (498 totali) 13

Da 51 a 80 capi (466 totali) 8

Da 81 a 120 capi (877 totali) 10

Oltre 120 capi (263 totali) 2

Totale 58

La prima suddivisione operata tende a distinguere le aziende dal punto di vista dimensionale; ora, appare necessario entrare nel dettaglio dei singoli sottogruppi per studiarne le caratteristiche. A questo proposito prendiamo la prima famiglia di dati, quella costituita dalle aziende con meno di venti capi bovini. La prima analisi riguarda quindi la dimensione aziendale con la valutazione della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), della Superficie Agricola Totale (SAT) e del tipo di coltivazioni impiantate.

Tabella 4.2.1.2.3 Aziende con meno di 20 capi di bestiame.

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAT)

(in ettari)

8 Meno di 10 ettari

14 Da 11 a 20 ettari

2 Da 21 a 30 ettari

1 Oltre 30 ettari

25 Totale

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Come si evince dai dati, 8 aziende su 25 (circa il 32%) presentano una SAT inferiore ai 10 ettari mentre 14 (pari al 56% del totale) si collocano tra gli 11 e i 20 ettari; in pratica, ben 22 aziende su 25 presentano estensioni medio – piccole (pari all’88% delle aziende con meno di 20 capi). Solo due aziende si trovano nella fascia media, compresa tra i 21 e i 30 ettari e una sola supera il valore di 30 ettari, visto che quest’attività ha una SAT pari a 66 ettari. La tabella successiva studia invece il tipo di coltura impiantata al momento del V° censimento.

Tabella 4.2.1.2.4

Tipo di colture impiantate per aziende con meno di 20 capi.

Superficie totale

Tipo di coltura insediata % rispetto alla superficie del Ettari territorio comunale

Seminativi 216,18 4,01%

Coltivazioni legnose agricole 2,78 0,05%

Orti familiari 0,43 0,008%

Prati permanenti 16,1 0,3%

Pascoli 0 0,00%

SAU 236,3 4,39%

Boschi 104,84 1,95%

Arboricoltura da legno 0 0,00%

Sup. agricola non utilizzata 45,45 0,85%

Superficie a vite 2,13 0,04%

Altra superficie 6,21 0,12%

Superficie totale 327,46 6,08%

I dati relativi al sottogruppo analizzato presentano in piccolo le medesime caratteristiche già evidenziate nella tabella 4.2.1.2 .1: la SAT è pari a 327,46 ettari, che corrispondono al 6,08% della superficie comunale; la SAU a 236,3 ha (circa lo 4,39%). La coltura che impegna più superficie agricola è il seminativo, pari al 4,01%

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del totale comunale (216,18 ettari), seguono i prati permanenti con 16,1 ha (pari allo 0,3%) e di seguito le altre voci. I dati rilevati dal censimento 2000 consentono di effettuare anche analisi di tipo socio economico, come quella che tende ad evidenziare le caratteristiche attuali della vita in campagna, ponendo uno specifico riferimento al rapporto tra tipo aziendale e tipologia familiare. A questo proposito si focalizzi l’indagine sui dati demografici del conduttore agricolo e sulla sua struttura familiare.

Tabella 4.2.1.2 .5

Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende con meno di 20 capi.

Età del conduttore

Età del conduttore agricolo Numero conduttori Percentuale sul totale

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 0 0,0%

Tra 41 e 60 anni 4 16,0%

Oltre 60 anni 21 84,0%

Totale 25 100% Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 20 80% 365 5 20% Totale 25 100%

Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 1 4%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 2 8%

conduttore NO 20 80%

Totale 23 92%

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Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

3 14 3 3 0

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 0

A tempo indeterminato 2

Totale 2

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Capo Azienda Numero Percentuale sul totale

Conduttore 22 88%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 3 12%

Totale 25 100%

Il primo dato che risalta subito é quello relativo all'incidenza degli agricoltori ultrasessantenni sul totale degli intervistati: infatti, ben 21 conduttori su 25 (pari all’84%) si collocano in questa fascia d’età. Questo è un dato che, se proiettato al futuro, porta a stimare un ulteriore calo d’aziende nel corso del prossimo decennio solo per l'effetto del pensionamento degli attuali conduttori.

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Se tale processo attualmente in atto si confermerà nel tempo con le caratteristiche rilevate nel corso degli ultimi anni, tra un decennio si avrà un calo sostanziale d’aziende familiari di questo tipo. Se si prosegue nell’analisi dei dati si evince che sono solo 4 gli agricoltori con età compresa tra i 41 e i 60 anni (16%) mentre non si trova nessun conduttore con età inferiore alla soglia dei 40 anni. Di questi 25 agricoltori, 5 impiegano tutto il loro tempo nell’impresa famigliare (pari al 20%) contro 20 (80%) che invece dedicano meno di 365 giorni all’anno nell’Azienda. Il risultato è particolare se si analizza il dato successivo, relativo all’esistenza o meno di altre attività remunerative extra aziendali: solo un agricoltore dichiara di svolgere un’attività che occupa maggior tempo dell’azienda agricola, 2 svolgono un lavoro integrativo all’impresa ma ben 20 affermano di non occuparsi di altro al di fuori del lavoro nei campi. Si indaghi sulla struttura familiare del conduttore e si consideri il numero dei componenti attivamente impegnati in agricoltura (conduttore compreso): il nucleo più comune è quello costituito da due componenti, con 14 unità; seguono a pari merito i nuclei monocomponenti e quelli costituiti da tre e quattro persone. Non si ravvisano famiglie più numerose. L’indicatore è importante perché il numero dei componenti attivi all’interno dell’impresa familiare può determinare la sopravvivenza futura dell’Azienda, in quanto sopraggiunti i limiti d’età del conduttore principale, il testimone dovrà passare ad un componente della famiglia già impegnato. Infatti, per le ridotte dimensioni di questo gruppo d’aziende, appare illogico che passino in mano ad una persona esterna al nucleo del reggitore quando invece è più probabile che l’azienda scompaia con il conduttore. La supposizione affermata precedentemente è confermata dai dati relativi ai dipendenti, a titolo indeterminato o a quello a termine, presenti all’epoca del censimento; in totale sono solo 4, suddivisi equamente nei due sottogruppi. Infine, se si analizza la persona che effettivamente regge l’azienda, si coglie che per 22 casi si tratta proprio del conduttore (pari all’88% del totale) mentre per i rimanenti tre è Altra persona (per il restante 12%). In conclusione, la situazione delle aziende agricole a conduzione famigliare appare molto fragile se valutata nell’arco di dieci anni futuri; è presumibile che a tale data molte delle aziende oggi presenti siano scomparse oppure accorpate da altre di dimensioni maggiori. L’unica speranza per questa classe d’aziende è che trovino le risorse umane necessarie all’interno del nucleo famigliare, anche se, a causa delle

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mutate condizioni sociali, le giovani generazioni non si sentono invogliate a proseguire un’attività faticosa e poco redditizia come quella agricola. Se si passa ad analizzare la classe successiva d’aziende, quelle che in pratica presentano da 20 a 50 e da 51 ad 80 capi; nell’analisi tali classi saranno raggruppate in una sola famiglia, in quanto rappresentano le aziende di dimensione media.

Tabella 4.2.1.2 .6 Aziende da 20 a 80 capi di bestiame.

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAT)

(in ettari)

1 Meno di 10 ettari

7 Da 11 a 20 ettari

5 Da 21 a 30 ettari

7 Oltre 30 ettari

21 Totale

Dalla tabella precedente, si coglie che su 21 Aziende che costituiscono la fascia mediana sette (pari al 33,3%) possiedono una Superficie Agricola Totale (SAT) oltre i 30 ettari, mentre cinque si collocano tra i 21 e i 30 ettari (23,8%). Tra le Aziende di dimensioni minori, con SAT compresa tra gli 11 e i 20 ettari, si trovano ancora sette aziende (33,3%) mentre al di sotto dei 10 ettari è presente solo un’attività (4,75%). Quindi, con questa classe, ci si trova già di fronte ad aziende che sono ben strutturate per competere nel mercato agricolo locale. Si entri nel dettaglio delle colture impiantate:

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Tabella 4.2.1.2.7

Tipo di colture impiantate per aziende tra 20 e 80 capi.

Superficie totale

Tipo di coltura insediata % rispetto alla superficie del Ettari territorio comunale

Seminativi 200,8 3,73%

Coltivazioni legnose agricole 3,35 0,06%

Orti familiari 0,18 0,003%

Prati permanenti 19,06 0,35%

Pascoli 0,15 0,003%

SAU 283,68 5,27%

Boschi 100,31 1,86%

Arboricoltura da legno 0 0,0%

Sup. agricola non utilizzata 11,82 0,22%

Superficie a vite 0,61 0,01%

Altra superficie 9,3 0,17%

Superficie totale 518,07 9,62%

Complessivamente la classe indagata si sviluppa su una Superficie Agricola Totale di 518,07 ettari, che rappresenta il 9,62% della superficie dell’intero territorio comunale; la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è pari a 283,68 ettari (circa il 5,27% del totale comunale). All’interno delle Aziende agricole, le colture più comuni sono comprese tra le voci seminativi , che occupano 200,8 ettari (3,73%), i prati permanenti , pari a 19,06 ha (0,35%) e le coltivazioni legnose agricole per 3,35 ha (0,06%). Seguono orti familiari (circa 0,18 ha, circa lo 0,003%) e pascoli per 0,15 ettari (0,003%). A costituire la porzione non utilizzata per l’agricoltura concorrono i boschi con 100,31 ettari (pari all’1,86%), la superficie agricola non utilizzata con 11,82 ha (0,22%), e altra superficie per 9,3 ettari (0,17%). In concreto, le estensioni occupate dalle singole colture ripropongono, seppure ad una diversa scala, la

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stessa situazione delle aziende di piccola estensione vista precedentemente (per intenderci, le Aziende con meno di 20 capi). Infatti, come nel caso precedente, gli orti sono concepiti solo ad uso della famiglia conduttrice; mentre praticamente scompaiono le estensioni a vite , poco redditizie all’altitudine media di Polinago.

Si passi ora all’analisi dei dati legati alla famiglia conduttrice dell’Azienda:

Tabella 4.2.1.2.8

Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende tra 20 e 80 capi.

Età del conduttore

Età del conduttore agricolo Numero conduttori Percentuale sul totale

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 5 23,8%

Tra 41 e 60 anni 14 66,67%

Oltre 60 anni 2 9,52%

Totale 21 100%

Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 6 28,6% 365 15 71,4% Totale 21 100%

Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 2 9,52%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 1 4,76%

conduttore NO 18 85,71%

Totale 21 100%

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Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

0 4 10 4 2

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 0

A tempo indeterminato 1

Totale 1

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Capo Azienda Numero Percentuale sul totale

Conduttore 18 85,71%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 0 0,0%

Totale 21 100%

Per questa dimensione aziendale, tra gli imprenditori agricoli la classe demografica più rappresentata è quella compresa tra i 41 e i 60 anni: infatti, in questa fascia d’età si collocano ben 14 conduttori su 21 totali (pari al 66,67%); segue con 5 unità (pari al 23,8% del totale) il sottogruppo compreso tra i 21 e i 40 anni. Per concludere, gli agricoltori ultrasessantenni sono solo 2 (9,52%) mentre nessuno possiede meno di 20 anni. Come si può immediatamente cogliere dal confronto tra le due classi d’aziende già esaminate, ad una dimensione aziendale superiore corrisponde un’età

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media inferiore del conduttore. Questo può nascere in parte dal fatto che, per le Aziende piccole, ci si trovi di fronte ad un’agricoltura di sussistenza, quindi marginale al mercato, dall’altra, che le giovani generazioni concepiscano il lavoro agricolo come una vera impresa, che prevede investimenti ed innovazione costante della filiera produttiva. Su 21 agricoltori, 15 di questi svolgono l’intera annata lavorativa all’interno dell’Azienda (71,4%), mentre i restanti 6 (pari al 28,6%) sono impiegati per minor tempo. Di questi, tre possiedono un’attività extra aziendale che in due casi (pari al 9,52%) per essere svolta occupa un tempo minore di quello speso in azienda; in uno (4,76%), un impegno maggiore. Ben 18 agricoltori su 21 dichiarano però di non possedere nessun’altra forma di guadagno oltre quella realizzata dall’impresa agricola (85,71%): del resto, la dimensione media delle Aziende esaminate fa percepire un impegno lavorativo non trascurabile. Se si indaga la struttura familiare del conduttore: se in particolare si esamina il numero dei componenti attivamente impiegati nell’attività aziendale si evince che la classe più rappresentata è quella costituita da tre elementi con 10 casi; seguono a pari merito con 4 unità i nuclei costituiti rispettivamente da 2 e quattro elementi. Tra i gruppi famigliari più numerosi, 2 sono compresi nella voce oltre quattro mentre nessuna azienda è diretta da una persona singola. La constatazione che si può esprimere è che anche in questo caso, se si compie una comparazione con le aziende di scala inferiore, si coglie che la dimensione media delle famiglie proprietarie è statisticamente superiore; nel caso precedente, se si ricordano i dati, il nucleo famigliare predominante era costituito da due persone, in molti casi costituito da coniugi anziani. Se si analizza il numero dei dipendenti impiegati nell’attività dell’azienda a vario titolo, si nota che è pari ad uno; ciò è probabilmente dovuto al fatto che ad occuparsi dell’attività aziendale concorre una porzione consistente del nucleo famigliare. Infine, se si osserva il titolo della persona che di fatto gestisce l’azienda, si evince che in 18 casi su 21 (85,71%) è proprio il conduttore agricolo mentre per i rimanenti tre non si ha notizia. In conclusione, con il sottogruppo analizzato, ci si trova di fronte ad una dimensione aziendale consistente e ben calibrata, nella quale la risorsa più preziosa è rappresentata dall’età media dei conduttori e dalla struttura dei nuclei familiari proprietari. Di conseguenza, se queste aziende riusciranno a mantenere nel tempo standard di produzione adeguati al livello delle imprese più competitive, non incorreranno probabilmente nelle crisi strutturali tipiche del settore.

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A questo punto occorre passare alla classe successiva, costituita da Aziende che presentano allevamenti con un numero compreso tra gli 80 e i 120 capi bovini.

Tabella 4.2.1.2.9 Aziende da 80 a 120 capi di bestiame

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAT)

(in ettari)

0 Meno di 10 ettari

0 Da 11 a 20 ettari

2 Da 21 a 30 ettari

8 Oltre 30 ettari

10 Totale

Come si può cogliere immediatamente, la dimensione aziendale prevalente si colloca oltre la soglia dei 30 ettari; infatti in questa classe si trovano 8 attività su 10 (80%), mentre due sono comprese tra i 21 e i 30 ettari (20%); nessuna Azienda ha dimensioni inferiori. Pertanto, ad un numero di capi consistente corrisponde una Superficie Agricola Utilizzata (SAT) di un certo rilievo. Nella tabella successiva si analizzano le colture impiantate all’atto del censimento.

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Tabella 4.2.1.2.10

Tipo di colture impiantate per aziende tra 80 120 capi.

Superficie totale

Tipo di coltura insediata % rispetto alla superficie del Ettari territorio comunale

Seminativi 272,82 5,06%

Coltivazioni legnose agricole 3,7 0,068%

Orti familiari 0,1 0,002%

Prati permanenti 33,77 0,63%

Pascoli 5,10 0,094%

SAU 337,7 6,27%

Boschi 53,2 0,99%

Arboricoltura da legno 0 0,0%

Sup. agricola non utilizzata 2,42 0,045%

Superficie a vite 1,25 0,023%

Altra superficie 7,17 0,133%

Superficie totale 423,26 7,86%

Tra i tipi di colture impiantate, a dominare sono ancora i seminativi con 272,82 ettari impiegati (5,06% del territorio comunale), la seconda voce più rilevante sono i prati permanenti che assommano a 33,77 ettari (0,63%), seguono i pascoli con 5,1 ha (0,094%) e le coltivazioni legnose agricole (3,7 ha per lo 0,068%). L’estensione occupata dagli orti è insignificante (0,1 ettari, pari allo 0,002% del territorio comunale). Tra le destinazioni non agricole, i boschi occupano circa 53,2 ettari (0,99%) mentre altre superfici rappresentano lo 0,133% totale (pari a 7,17 ha). In complesso, la SAU impegnata da queste Aziende è pari a 337,7 ettari, estensione equivalente allo 6,27% del territorio comunale; la superficie totale è invece di 423,26 ettari (7,86%). Si passi ai dati legati alla figura del conduttore agricolo:

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Tabella 4.2.1.2.11 Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende tra 80 e 120 capi.

Età del conduttore

Età del conduttore agricolo Numero conduttori Percentuale sul totale

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 3 30%

Tra 41 e 60 anni 4 40%

Oltre 60 anni 3 30%

Totale 10 100%

Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 2 20% 365 8 80% Totale 10 100%

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Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 0 0,0%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 0 0,0%

conduttore NO 10 100%

Totale 10 100%

Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

0 3 4 1 0

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 1

A tempo indeterminato 0

Totale 1

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Percentuale sul totale Capo Azienda Numero

Conduttore 9 100%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 0 0,0%

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Totale 9 100%

Se si indaga relativamente all’età anagrafica del titolare dell‘impresa, si coglie che 3 conduttori hanno tra i 21 e i 40 anni (30% del totale), 4 si collocano nella fascia tra i 41 e i 60 (40%) mentre gli agricoltori ultrasessantenni sono tre (pari al 30%). Nessuno è censito nella classe più giovane (in altre parole, con meno di venti anni). Di questi, 8 impegnano la totalità del loro tempo lavorativo nell’azienda agricola (80%) mentre solo 2 dichiarano di lavorare meno di 365 giorni all’anno; nessun agricoltore fra quelli censiti svolge un’attività complementare al di fuori dell’impresa familiare. Se si estrapolano i dati connessi alla composizione del nucleo familiare attivamente occupati nel settore primario, si evince che il gruppo più rappresentativo è quello costituito da tre elementi (compreso il conduttore) con quattro unità (40%), segue il nucleo famigliare composto da due persone con tre (30%) e infine, si ha solo una famiglia con quattro componenti (10%). Nessun gruppo è rappresentato dai sottogruppi estremi (composti rispettivamente da una sola persona e da oltre quattro). Oltre ai componenti della famiglia del conduttore, all’atto della stesura del V° censimento, nelle Aziende con queste caratterist iche dimensionali viene stimato solo un lavoratore a tempo determinato. L’ultima parte della tabella, che identifica la persona che di fatto gestisce l’azienda, assegna questo ruolo nella persona del conduttore (per il 100% delle risposte ottenute). In conclusione, per la classe aziendale medio – grande, si possono ripetere le stesse considerazioni già affrontate per il sottogruppo appena inferiore. Il dato analizzato nella prima sezione della tabella, che evidenzia l’esistenza di tre agricoltori ultrasessantenni, non genera le stesse preoccupazioni sulle sorti delle imprese espresse per la categoria inferiore ai 20 capi, perché queste attività presentano dimensioni e strutture tali da risultare appetibili a possibili acquirenti esterni al nucleo proprietario originale, eliminando senza dubbio il rischio legato all’estinzione dell’impresa all’atto della cessazione del periodo attivo da parte dell’attuale conduttore. Infine, si svolga la medesima analisi sui dati relativi alle grandi fattorie d’allevamento, quelle che in altre parole possiedono oltre 120 capi.

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Tabella 4.2.1.2.12 Aziende con oltre 120 capi di bestiame.

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAT)

(in ettari)

0 Meno di 10 ettari

0 Da 11 a 20 ettari

0 Da 21 a 30 ettari

2 Oltre 30 ettari

2 Totale

Nel Comune di Polinago, all’atto della redazione dell’ultimo censimento dell’agricoltura, sono solo due le Aziende che superano la soglia dimensionale prefissata (rispettivamente una possiede 122 capi bovini, l’altra con 141); entrambe possiedono Superfici Agricole Totali (SAT) superiori ai 30 ettari. Adesso si osservino le colture presenti nelle due aziende.

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Tabella 4.2.1.2.13

Tipo di colture impiantate per aziende oltre 120 capi.

Superficie totale

Tipo di coltura insediata % rispetto alla superficie del Ettari territorio comunale

Seminativi 86,17 0,15%

Coltivazioni legnose agricole 0,3 0,006%

Orti familiari 0,02 0,001%

Prati permanenti 5 0,093%

Pascoli 1 0,018%

SAU 92,49 1,72%

Boschi 9,26 0,17%

Arboricoltura da legno 0 0,0%

Sup. agricola non utilizzata 0,5 0,001%

Superficie a vite 0 0,0%

Altra superficie 1,3 0,024%

Superficie totale 103,55 1,93%

I dati relativi alla classe analizzata esprimono che la Superficie Totale è di circa 103,55 ettari, che corrisponde all’1,93% della superficie comunale; la SAU è circa 92,49 ha (quota pari all’1,72%). La coltura più presente è ancora il seminativo, pari al 0,15% del totale comunale (86,17 ettari), i prati permanenti si estendono per 5 ha (0,093%), mentre alla voce pascoli si ha solo un ettaro (0,018%); di seguito le altre voci. Bisogna premettere che i dati presentati fanno riferimento a due sole aziende agricole; pertanto i valori espressi, rappresentando un range molto ristretto del fenomeno, non possono interpretare uno scenario generale ma fotografano solo la situazione attuale. Di seguito si passa all’analisi dei dati legati al conduttore agricolo.

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Tabella 4.2.1.2.14

Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende oltre 120 capi.

Età del conduttore

Numero conduttori Percentuale sul totale Età del conduttore agricolo

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 1 50%

Tra 41 e 60 anni 0 0,0%

Oltre 60 anni 1 50%

Totale 2 100%

Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 2 100% 365 0 0,0% Totale 2 100%

Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 0 0,0%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 0 0,0%

conduttore NO 2 100%

Totale 2 100%

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Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

0 0 1 1 0

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 0

A tempo indeterminato 1

Totale 1

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Percentuale sul totale Capo Azienda Numero

Conduttore 2 100%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 0 0,0%

Totale 2 100%

Nelle due aziende rappresentative della classe maggiore, un conduttore ha un’età che si colloca tra i 21 e i 40 anni mentre l’altro possiede più di sessant’anni; entrambi sono impiegati per meno di 365 giorni all’anno all’interno dell’impresa ma non possiedono un’ulteriore forma di integrazione economica. Uno dei due conduttori, quello con età superiore ai sessant’anni, appartiene ad una famiglia che impiega altre due persone nell’attività primaria; l’altro, gestisce l’azienda con l’aiuto di altri tre componenti. In totale, il numero degli addetti esterni alla famiglia del conduttore è pari a un’unità, impiegato fra le altre cose a tempo indeterminato. In tutte e due i casi è il conduttore che, di fatto, si occupa dell’andamento dell’attività.

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Aziende agricole che non praticano l’allevamento dei bovini.

Si estenda l’indagine alle Aziende agricole presenti nel territorio comunale che, all’atto del V° censimento dell’agricoltura, svolge vano la loro attività solo attraverso la coltivazione degli appezzamenti di terreno o possedevano allevamenti di animali diversi dai bovini 17 .

Tabella 4.2.1.2.15

Classificazione delle colture nelle Aziende.

Superficie totale

Tipo di coltura insediata % rispetto alla superficie del Ettari territorio comunale

Seminativi 590,99 10,97%

Coltivazioni legnose agricole 27,09 0,50%

Orti familiari 1,49 0,027%

Prati permanenti 215,33 4,00%

Pascoli 5,93 0,11%

SAU 757,67 14,07%

Boschi 372,59 6,92%

Arboricoltura da legno 1,15 0,02%

Sup. agricola non utilizzata 123,73 2,30%

Superficie a vite / /

Altra superficie 30,87 0,57%

Superficie totale 1215,44 22,57%

17 Per il caso specifico dei sette allevamenti suinicoli presenti nel Comune, verrà svolta un’indagine ad hoc.

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A questo proposito, si deve osservare che le successive analisi si sono basate su un totale di 101 schede ISTAT, mentre non è stato possibile utilizzarne altre 44 per varie carenze dei dati. Per questa particolare categoria di Aziende, emerge che sono ancora i seminativi a possedere le maggiori estensioni agricole; infatti sono complessivamente 590,99 gli ettari ad essi dedicati (pari al 10,97% del territorio comunale); i prati permanenti assommano a 215,33 ettari (4,00%) mentre le coltivazioni legnose agricole occupano un’area di circa 27,09 ha (0,5%); infine, a pascolo si hanno complessivamente 5,93 ha (0,11%) e ad orto 1,49 ettari (0,027%). La Superficie Agricola Utilizzata totale è di circa 757,67 ettari, pari al 14,07%. Tra le colture non agricole, il bosco occupa 372,59 ha (6,92%), la superficie non utilizzata assomma a 123,73 ha (2,30%), altra superficie è pari a 30,87 ha (0,57%). In totale la SAT di queste Aziende è pari a 1215,44 ettari, circa il 22,57% del totale. La dimensione delle Aziende è la seguente:

Tabella 4.2.1.2.16

Classificazione dimensionale delle Aziende agricole (SAT).

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAT)

(in ettari)

77 Meno di 10 ettari

19 Da 11 a 20 ettari

3 Da 21 a 30 ettari

2 Oltre 30 ettari

101 Totale

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Tabella 4.2.1.2.17

Classificazione dimensionale delle Aziende agricole (SAU).

Numero Aziende Superficie Agricola Totale (SAU)

(in ettari)

96 Meno di 10 ettari

4 Da 11 a 20 ettari

0 Da 21 a 30 ettari

1 Oltre 30 ettari

101 Totale

Come si evince dalla tabella 4.2.1.2.16, su 101 aziende indagate 77 presentano una Superficie Agricola Totale inferiore a 10 ettari (pari al 76,23% del totale), 19 hanno un’estensione compresa tra gli 11 e i 20 ettari (18,81%), tre appartengono alla classe tra i 21 e i 30 ha (2,97%) ed infine due aziende hanno superfici superiori ai 30 ettari. Se si concentra l’analisi sulla effettiva superficie utilizzata per la pratica colturale (SAU), la situazione si modifica in maniera sostanziale, in quanto ben 96 aziende su 101 (94,06%) hanno un’estensione coltivabile inferiore ai 10 ettari, 4 tra gli 11 e i 20 ha (3,96%) e solo un’azienda supera i 30 ettari (0,99%). Si premette che nell’analisi dei dati relativi alla struttura familiare del conduttore, non vengono considerate le schede relative alle cinque Aziende che possiedono allevamenti suinicoli; tali schede saranno vagliate successivamente.

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Tabella 4.2.1.2. 18

Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende dedicate solo alla coltivazione.

Età del conduttore

Numero conduttori Percentuale sul totale Età del conduttore agricolo

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 8 8,33%

Tra 41 e 60 anni 24 25,0%

Oltre 60 anni 64 66,6%

Totale 96 100,0%

Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 96 100,0% 365 0 0,0% Totale 96 100,0%

Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 2 2,08%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 10 10,41%

conduttore NO 86 89,58%

Totale 96 100,0%

Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

187

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15 50 8 5 3

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 0

A tempo indeterminato 0

Totale 0

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Percentuale sul totale Capo Azienda Numero

Conduttore 95 98,96%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 1 1,04%

Totale 96 100%

Si focalizzi ora l’indagine sulle Aziende che possiedono anche un allevamento suinicolo: tra quelle appartenenti al sottogruppo analizzato sono in totale cinque, per un ammontare di 3627 capi.

188

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Tabella 4.2.1.2.19

Analisi socio demografica della famiglia del conduttore per Aziende suinicole.

Età del conduttore

Numero conduttori Percentuale sul totale Età del conduttore agricolo

Meno di 20 anni 0 0,0%

Tra 21 e 40 anni 0 0,0%

Tra 41 e 60 anni 2 40,0%

Oltre 60 anni 3 60,0%

Totale 5 100,0%

Giornate di lavoro svolte in azienda nell’annata agraria

Meno di 365 5 100,0% 365 0 0,0% Totale 5 100,0%

Attività remunerativa extra aziendale del conduttore

Si, il conduttore dedica un tempo Numero %

Attività remunerativa Minore a quello dedicato all’azienda 0 0,0%

extra aziendale del Maggiore a quello dedicato all’azienda 4 80,0%

conduttore NO 1 20,0%

Totale 5 100,0%

189

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Componenti della famiglia del conduttore che lavorano in azienda

Numero dei componenti della famiglia del conduttore

Uno Due Tre Quattro Oltre quattro

4 1 0 0 0

Altra manodopera aziendale

Altra manodopera aziendale

A tempo determinato 0

A tempo indeterminato 6

Totale 6

Persona che di fatto gestisce l’azienda

Percentuale sul totale Capo Azienda Numero

Conduttore 3 100,0%

Coniuge 0 0,0%

Altro familiare 0 0,0%

Parente del conduttore 0 0,0%

Altra persona 0 0,0%

Totale 3 100%

All’atto della stesura del V° censimento, due impre nditori agricoli dichiarano di avere un’età compresa tra i 41 e i 60 anni (40% del totale) mentre tre superano i sessant’anni (60%); tutti svolgono la loro attività in un tempo inferiore a 365 giorni. Quattro agricoltori su cinque (80%) possiedono infatti un’attività complementare all’impresa agricola che li impegna per un tempo superiore all’attività principale; uno solo (20%) non è impegnato in altre attività. Se si entra nel dettaglio relativamente al numero dei componenti familiari attivamente impiegati nelle aziende agricole, si

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evince che per quattro casi su cinque ad essere occupato è il solo conduttore, in uno il nucleo attivo è costituito da due persone (conduttore e coniuge). A supportare l’attività lavorativa della famiglia del conduttore, sono presenti 6 dipendenti, inquadrati a titolo indeterminato. Per tutte le Aziende analizzate la persona che di fatto gestisce l’impresa è lo stesso conduttore.

191

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4.2.1.3 Conclusioni riferite al settore primario

Dalle analisi effettuate é emersa una sostanziale fragilità strutturale dell'intero settore che nel corso dell'ultimo decennio si é mostrata in tutta la sua intensità: il numero delle aziende si é drasticamente ridotto, inoltre le aziende presenti sono ancora fortemente condizionate dalla conduzione familiare. Nel contempo, gli imprenditori agricoli sono complessivamente invecchiati dando luogo ad un’ulteriore insicurezza per il futuro economico di questo settore; inoltre non si è avuta un’evoluzione connessa alla produzione agricola, in quanto le coltivazioni sono rimaste quelle del passato con una prevalenza delle foraggiere e del grano che forniscono rese economiche di scarso spessore, peraltro fortemente vincolate dalle caratteristiche orografiche dei terreni. Le aziende censite sono normalmente di dimensioni medio - piccole (circa tra i 7 e i 15 ettari) spesso costituite da appezzamenti non contigui che rendono ancora più problematica la economicità delle lavorazioni; si assiste inoltre ad un forte ricorso a maestranze che svolgono in azienda solo un lavoro a carattere di part-time . In ultimo, il settore della zootecnia si é ulteriormente ridimensionato attenendosi alle tendenze di origine regionale, nazionale e comunitaria. Di contro, si possono rilevare anche fattori positivi come nel caso del bilancio ambientale complessivo che senza ombra di dubbio é migliorato rispetto al passato, specialmente laddove i terreni sono stati lasciati ad usi più naturalistici. Un ulteriore elemento che ci é parso meritevole di attenzione é legato al mantenimento della residenza sul fondo agricolo. Si tratta di un fenomeno particolarmente sentito da tutti coloro che hanno sempre fatto riferimento ad un modello sociale ed economico caratterizzato da una stretta comunanza tra residenza e conduzione agricola del fondo. È risaputo che nel passato tra questi due elementi caratteristici vi sia stato un legame univoco e non separato; tuttavia oggi non pare più esservi solo questo modello di conduzione familiare e di fronte al permanere di situazioni tradizionali, troviamo forme maggiormente articolate, sia sul versante della conduzione del fondo (forme di lavoro part-time, forme di lavoro salariato, forme di lavoro in conto-terzi, etc.), sia sul versante della presenza in area rurale di popolazione che non svolge un’occupazione attinente al mondo agricolo; ovvero, sempre più sovente si assiste ad un distacco tra luogo di residenza e luogo dell'azienda, fenomeno riscontrabile in tutte le aree vocate all’agricoltura. Dall’analisi delle schede ISTAT é emerso infatti che va affievolendosi nel tempo il rapporto

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diretto, e storicamente riscontrato, tra abitazione agricola e localizzazione dei fondi coltivati. Questo, a conferma di una tendenza emersa anche in altri contesti, per la quale si sta sempre più diffondendo una situazione che vede l'agricoltore ancora attivo spostarsi dal luogo di residenza anche in altri fondi affidatigli con forme di gestione tra le più diverse. Nel contempo, le conduzioni part-time risultano crescere in maniera costante sia all'interno della singola azienda, sia con apporti provenienti dall'esterno della famiglia conduttrice, per sopperire all'anzianità dei conduttori. Inoltre, a questo proposito, è utile leggere i dati raccolti dall’Ufficio Tecnico comunale riguardanti l’edilizia rurale: dalla tabella 4.2.1.3.1 emerge che negli ultimi dieci anni non è stata realizzata nessuna nuova abitazione, mentre sono stati costruiti 33 edifici di servizio all’attività agricola. Complessivamente le concessioni edilizie rilasciate risultano 67, con una distribuzione abbastanza omogenea negli anni, a parte un leggero picco nel biennio 1997-1998 (pari a 22 licenze).

Tabella 4.2.1.3.1 Concessioni edilizie e nuove costruzioni agricole realizzate tra il 1990 e il 2000.

1990 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative N° 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 unità Lavorative 1 6 3 4 5 3 2 3 2 4

Nuove costruzioni Sup. abitabile 0 0 13 40 0 100 20 60 0 0 agricole

Sup. servizio 315 1176 117 902 1891 836 1205 1405 572 762

Volumetria 2047 6110 4969 3710 8680 5937 5954 7040 1499 4700

N° concessioni 1 8 4 6 6 6 12 10 8 6

La tabella seguente riporta gli stessi dati, espressi però per i recuperi dei corpi edilizi: per quanto attiene le unità abitative si hanno sempre valori nulli, a parte le eccezioni del 1992 (tre abitazioni) e del 1994 (una sola).

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Tabella 4.2.1.3.2 Concessioni edilizie e recuperi edilizi tra il 1990 e il 2000.

1990 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative N° 0 3 0 1 0 0 0 0 0 0 unità Lavorative 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

Recupero Sup. abitabile 0 297 340 168 273 144 490 0 0 0 agricole

Sup. servizio 195 35 410 784 105 185 399 120 138 0

Volumetria 487 965 2310 560 1200 900 2680 300 65 0

N° concessioni 1 3 5 1 1 8 2 2 0

La situazione delineata conferma del resto i dati rilevati dall’ultimo censimento dell’agricoltura (2001), che presenta un settore fortemente in crisi e, a parte qualche realtà produttiva ben strutturata, avviato a svolgere un ruolo marginale dell’economia. Del resto, recenti ricerche effettuate in altre realtà provinciali hanno mostrato una rilevanza del fenomeno anche maggiore di quanto riscontrato lungo le valli del Rossenna. Si può quindi cominciare ad intravedere qualcosa di più di una semplice casualità o di particolari fattori esogeni tendenti ad allontanare l'azienda dal luogo di residenza: si potrebbe trattare invece di un fenomeno più radicato che costituisce una novità da non sottovalutare in toto. A livello operativo, nel campo urbanistico questa tendenza potrebbe significare che non si verificherà più la necessità di associare l'esigenza di un alloggio alla costituzione di una nuova azienda agricola eliminando alla fonte ogni ambiguità. Nonostante si sia assistito ad un progressivo invecchiamento dei nuclei familiari impegnati nell’agricoltura, si riscontra ancora una notevole presenza di abitanti “storici” che occupano le case sparse rurali. Gli anziani, anche se in parte impossibilitati a svolgere le consuete mansioni aziendali, mantengono la residenza nelle proprie case che lascia trasparire un radicamento al luogo di nascita che va ben oltre il semplice ragionamento economico di convenienza. Infatti, facendo riferimento all’ultimo censimento del 1990 a Polinago il numero dei residenti nelle case sparse è di 953, pari al 50,45% del totale dei residenti. Del resto, a dimostrazione del fatto che

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ancora oggi la maggior parte della popolazione è ancora culturalmente ed affettivamente legata ad un modello di vita agricolo, plasmato sulle esigenze del ciclo delle colture e delle stagioni, si ha dalla preponderante localizzazione dei residenti nelle case sparse. Popolazione che continua ad occupare le abitazioni originarie e tende disfarsene solo a causa dell’avanzato degrado dell’edificio o a causa della perdita di autonomia. In altre realtà recentemente studiate si assiste infatti ad un costante abbandono delle case sparse rurali a favore di abitazioni collocate in città o nella periferia metropolitana al semplice raggiungimento dell’età della pensione. Di sicuro si tratta di realtà collinari che possiedono fattivi legami funzionali e parentali con la città, ma è altrettanto vero che nelle zone della montagna modenese il legame con il luogo ed il desiderio di indipendenza giocano un ruolo non secondario. Ciò potrà anche innescare un altro livello di necessità come quello connesso all’assistenza all’anziano da parte della collettività, specialmente per i casi di persone sole o con pochi parenti stretti, ma è indubitabile che anche in questo caso esprime anche un modo di intendere la vita che sperimenta approcci piuttosto speciali con il servizio pubblico e con i tempi della propria esistenza. Si configura pertanto una situazione per la quale non appare più necessario stabilire la corrispondenza tra l’edificio residenziale e il terreno produttivo agricolo di pertinenza, in quanto la realtà mostra che già oggi esistono pochi casi che presentano questa relazione diretta ancora valida; a causa dell’invecchiamento dei conduttori nel prossimo futuro tale relazione si ridurrà ulteriormente fino a scomparire del tutto.

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4.2.2 Gli altri settori produttivi

4.2.2.1 Generalità

In un paragrafo precedente si è analizzato lo stato di salute in cui versano le aziende agricole ancora operanti nel territorio comunale di Polinago; questo capitolo si occupa degli altri settori produttivi, distinti tra il settore secondario , comprendente industria ed artigianato, e il settore terziario , costituito dalle attività commerciali e dai servizi alla persona. A questo punto è opportuno spendere qualche parola per spiegare le caratteristiche dei dati utilizzati nel seguente capitolo. I tre censimenti ISTAT databili al 1951, 1961 e 1971 presentano una metodologia e un’accuratezza d’indagine molto simile; pertanto nei primi paragrafi del capitolo è stato possibile confrontare senza difficoltà i dati desunti dalle analisi tematiche. Il VI° Censimento ISTAT realizzato nel 1981 presenta invece delle novità sostanziali rispetto ai precedenti: il campo d’analisi si è notevolmente ampliato comprendendo alla voce Servizi sia il Settore della Pubblica Amministrazione che altri settori pubblici e privati; alla voce Imprese vengono accorpati tutti i servizi pubblici ecc. Per quanto concerne la predisposizione delle analisi sul campo, si nota una migliore preparazione dei rilevatori, una più razionale organizzazione degli uffici preposti all’elaborazione dei dati nonché l’utilizzo di validi strumenti di riscontro dei risultati una volta non disponibili. Tutto questo porta ad una difficoltà oggettiva di confronto tra il censimento del 1981 e i precedenti; pertanto lo stesso è confrontato solo con il successivo del 1991, realizzato con la stessa metodologia d’indagine. Infine, in appendice si trova anche il quadro conoscitivo prodotto dal Censimento intermedio dell’industria e dei servizi realizzato nel 1996: questa indagine si è resa necessaria per dar conto delle profonde modifiche intervenute nel sistema produttivo italiano nel corso della prima metà degli anni ’90. La metodologia di lavoro impiegata per la predisposizione del Censimento 1996 si discosta ancora dai precedenti: basandosi sull’integrazione tra le informazioni raccolte dagli archivi amministrativi e statistici e da una verifica ad hoc sul campo, consente di ridurre il numero delle imprese da sottoporre ad intervista, di limitare i tempi di diffusione dei dati e di predisporre un archivio statistico aggiornabile anno per anno. Per prima cosa, si analizzi la serie storica dei censimenti 1951 – 1971; la prima tabella (tabella 4.2.2.1.1) fornisce i valori assoluti desunti dalle analisi mentre la

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seconda scheda pone in risalto le differenze assolute. I dati sono suddivisi in tre grandi gruppi, distinguibili in industria, commercio ed altre attività, alle quali viene affiancato il dato relativo al settore primario, comparto economico peraltro già analizzato nel dettaglio.

Tabella 4.2.2.1.1 Unità locali ed addetti: dati assoluti (1951 -1971).

1951 1961 1971 Attività economiche Unità locali Addetti Unità locali Addetti Unità locali Addetti

Industrie estrattive ------Industrie manifatturiere 32 54 44 63 28 57 Alimentari 18 35 7 16 10 12 Tessili - - 6 10 4 4 Abbigliamento e assimilate 8 12 19 22 5 5 Legno e mobilio 3 4 7 8 4 5 Metalmeccaniche 3 3 5 7 4 9 Lavorazioni di minerali non m. - - - - 1 22 Chimiche e assimilate ------Altre ------Costruzioni e impianti 1 6 5 56 9 44 Elettricità, acqua e gas - - 1 2 - - Commercio 40 80 54 92 51 85 Ingrosso 1 1 - - - - Minuto 33 67 41 69 40 63 Alberghi e pubblici esercizi 6 12 12 21 10 22 Altre att. commerciali - - 1 2 1 - Trasporti e comunicazioni 3 9 9 18 17 28 Credito e assicurazioni 2 2 3 4 3 5 Servizi 1 1 4 4 7 10 Industrie 33 60 50 121 37 101 Commercio 40 80 54 92 51 85 Altre attività 6 12 16 26 27 43 TOTALI 79 152 120 239 115 229 Agricoltura - - 14 33 12 33

Se si esamina il tema delle industrie, al 1951, il numero delle unità era pari a 33 con 60 addetti; dopo un decennio il primo valore sale a 50 (+17), pari ad un incremento del 51,51%, gli addetti salgono fino a toccare il tetto delle 121 unità facendo registrare una crescita pari a 61 punti (in termini percentuali questo valore è pari ad un incremento del 101,66%). Nel decennio successivo (1971) le unità censite sono 37 mentre gli addetti sono 101; il confronto con il 1961 fa emergere in sostanza un calo generalizzato del settore, che si concretizza in un calo di 13 punti per le attività locali (-26,0%) e di 20 per gli addetti (-16,53%). Infine, se si effettua una

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comparazione fra i dati del 1951 e quelli del 1971, emerge che nei venti anni considerati le unità locali salgono complessivamente di 4 unità (+12,12%) e gli occupati di 41 (+68,33%).

Tabella 4.2.2.1.2 Unità locali ed addetti: differenze assolute (1951/1971).

1951-1961 1961-71 1951-1971 Attività economiche Unità locali Addetti Unità locali Addetti Unità locali Addetti

Industrie estrattive ------Industrie manifatturiere +12 +9 -16 -6 -4 +3 Alimentari -11 -19 +3 -4 -8 -23 Tessili +6 +10 -2 -6 +4 +4 Abbigliamento e assimilate +11 +10 -14 -17 -3 -7 Legno e mobilio +4 +4 -3 -3 +1 +1 Metalmeccaniche +2 +4 -1 +2 +1 +6 Lavorazioni di minerali non m. - - +1 +22 +1 +22 Chimiche e assimilate ------Altre ------Costruzioni e impianti +4 +50 +4 -12 +8 +38 Elettricità, acqua e gas +1 +2 -1 -2 - - Commercio +14 +12 -3 -7 +11 +5 Ingrosso -1 -1 - - -1 -1 Minuto +8 +2 -1 -6 +7 -4 Alberghi e pubblici esercizi +6 +9 -2 +1 +4 +10 Altre att. commerciali +1 +2 - -2 +1 - Trasporti e comunicazioni +6 +9 +8 +10 +14 +19 Credito e assicurazioni +1 +2 - +1 +1 +3 Servizi +3 +3 +3 +6 +6 +9 Industrie +17 +61 -13 -20 +4 +41 Commercio +14 +12 -3 -7 +11 +5 Altre attività +10 +14 +11 +17 +21 +31 TOTALI +41 +87 -5 -10 +36 +77 Agricoltura - - -2 - - -

Se si sviluppa l’analisi sui singoli rami d’attività che costituiscono questo comparto economico, ponendo una particolare attenzione alle attività manifatturiere: per questa voce si evince che a Polinago nel 1951 si avevano in totale 32 unità locali che utilizzavano 54 addetti; dopo un decennio il numero delle unità era passato a 44, con 63 impiegati effettivi, segnando rispettivamente un incremento assoluto di 12 punti per le unità locali (+37,5%) e di 9 persone per gli addetti (+16,6%). Al censimento 1971, il numero delle unità era pari a 28 mentre quello degli impiegati si assestava a 57; il confronto con il censimento precedente fa segnare, per il primo parametro, un calo di 16 punti (-36,4%) mentre per quanto concerne gli addetti si ha

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che anch’essi calano di 6 valori (-9,52%). Infine, se si mettono in relazione i valori del primo e terzo censimento (per intenderci, il 1951 e il 1971), si evince che, mentre le unità calano seppure di poco (- 4, per un valore percentuale pari al 12,5%), i lavoratori impiegati in questo settore salgono di tre unità (5,55%); in sostanza, nei vent’anni considerati, il settore manifatturiero si mantiene sostanzialmente sugli stessi livelli. A completare il panorama relativo alle industrie, si elencano di seguito le voci Costruzioni e impianti , Elettricità, acqua e gas e Industrie estrattive . Per la prima voce si desume che, se nel 1951 si aveva un’unica attività che impegnava 6 dipendenti, nel decennio successivo le attività salivano a 5 con 56 addetti (presentando rispettivamente una crescita pari a +4, pari al 500%, e a +50 che corrisponde ad un incremento dell’830%); nel 1971 le imprese erano in tutto 9 con 44 addetti: il confronto con il 1961 dimostra una crescita pari a 4 unità (80%) mentre si assiste ad un calo degli addetti pari a 12 (-21,42%). L’analisi delle differenze assolute espresse per il lasso temporale che intercorre tra il 1951 e il 1971 esprime una crescita sostanziale del comparto, in quanto le unità locali salgono di 8 punti (900%) e gli addetti di 38 (+733,33%). Di poco conto la voce legata agli impianti tecnologici, in quanto solo per il censimento del 1961 si registra un’attività che coinvolge in tutto due addetti; assente invece il comparto estrattivo. Se si passa alla seconda voce, legata al commercio: dalle 40 attività e dagli 80 addetti registrati dal primo censimento si passa alle 54 imprese del 1961 (coinvolgenti il lavoro di 92 persone) per arrivare alle 51 aziende (con 85 addetti) segnalate dal terzo censimento 1971; in termini di differenze assolute e percentuali tra il 1951 e il 1961 il trend del settore è di crescita (per la prima voce +14, pari al +35%, e per la seconda di +12, che vale 15 punti percentuali), andamento che si inverte per il decennio successivo quando si segnala un calo pari a tre unità (- 5,55%) per le attività e di 7 dipendenti (-7,60%). Se si vuole infine entrare nello specifico del settore, è possibile consultare le tabelle allegate. Si esamini adesso la voce Altre attività , che comprende i servizi ai cittadini, le attività di credito e di assicurazione e simili: il settore appare nei trent’anni considerati quello trainante per l’economia locale, in quanto dimostra performance di crescita continua; per quanto concerne i dati relativi alle attività economiche si coglie che passano dalle 6 del 1951 a 16 del 1961 (+10, pari al 266%) per giungere infine alle 27 del 1971 (+11 per il periodo 1961-1971, che vale il 68,75% e +21 per i venti anni che dividono il 1951 dal 1971, che corrispondono al 350%). Se si studiano i dati

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degli addetti impegnati nel settore, si vede che passano dai 12 del primo censimento ai 26 del secondo, per attestarsi infine alle 43 unità presenti nel 1971: in termini di differenze i dati espressi valgono +14 per il decennio 1951-1961 (116,66%), +17 per quello successivo (pari al 65,38%) ed infine di +31 per il ventennio 1951-1971 (516,66%). In conclusione nei venti anni analizzati, se si esclude il decennio 1961-1971 per il quale i settori commercio e industria registrano un’inversione di tendenza, si assiste ad una costante crescita dei comparti economici, sia a livello del numero delle imprese presenti che di quello degli addetti impiegati. Occorre comunque sottolineare che l’interpretazione dello scenario economico espressa nelle sezione precedente si fonda su una base di dati molto ristretta, per cui è giusto attribuire ad essa il peso che le compete. Dopo aver analizzato la serie storica 1951-1971, si entri ora nel dettaglio degli ultimi censimenti ISTAT, quelli per intenderci realizzati tra il 1981 e il 1991. Nella tabella 4.2.2.1.3 è possibile analizzare la distribuzione delle Unità Locali e degli addetti tra le categorie Industria , Commercio e Servizi : dall’ultimo censimento emerge che a Polinago le unità presenti nella prima classe sono complessivamente 52, le quali impegnano 208 addetti; per il commercio le attività risultano 51 (e 86 addetti) mentre i servizi sono presenti con 68 unità locali (115 persone impiegate). Se si pongono in relazione i dati 1991 con quelli del 1981 si evidenzia che, per quanto riguarda l’industria si è avuto un decremento pari a 18 punti per quanto riguarda le unità locali (- 21,71%); per contro gli addetti sono cresciuti di 38 unità (+ 22,35%). Alla voce Commercio emerge che la situazione prospettata dal censimento 1991 è identica a quella del 1981 a livello di lavoratori impiegati; le unità locali invece di 9 punti assoluti (pari al 15% in meno rispetto ai dieci anni precedenti). Infine, il comparto dei servizi evidenzia una tendenza di parcellizzazione delle attività economiche: infatti nel periodo considerato si assiste alla nascita (o alla conversione) di imprese di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare. In effetti, i dati statistici segnalano un incremento delle U.L. pari a 16 unità (+ 30,77%) mentre il numero degli addetti del settore resta sostanzialmente invariato. In sostanza, mentre negli ultimi dieci anni i settori dell’Industria e dei Servizi hanno fatto registrare incrementi discreti, in linea con la crescita economica nazionale, per contro le attività commerciali hanno subito uno stallo, probabilmente legato alla crisi strutturale del comparto della vendita al dettaglio.

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Tabella 4.2.2.1.3 Distribuzione di unità locali ed addetti: 1981 - 1991.

Industria Commercio Servizi Totale Unità Unità Unità Unità Addetti Addetti Addetti Addetti locali locali locali locali 1981 70 170 60 86 52 112 196 399 1991 52 208 51 86 68 115 171 409 Provincia MO 15795 132205 19452 55286 17332 79165 52579 266656 1991

Sempre attraverso l’analisi del censimento 1991, si evince che per il Comune in esame il numero medio degli addetti nell’industria è pari a 4,00, meno della metà di quello fatto registrare dalla media della Provincia di Modena (8,37). Il commercio, a livello locale, presenta una media di 1,69 addetti (contro i 2,84 provinciali) per attività esistente mentre il settore dei servizi evidenzia una media di 1,69, molto inferiore a quella della provincia modenese (4,57); ciò fa comprendere che le aziende presenti sul mercato locale sono soprattutto di piccole dimensioni e spesso a conduzione famigliare.

Tabella 4.2.2.1.4 Numero medio di addetti per unità locale: 1981 - 1991.

Industria Commercio Servizi Totale 1981 2,42 1,43 0,46 2,03 1991 4,00 1,69 1,69 2,39 Provincia MO 8,37 2,84 4,57 5,07 1991

Se si estrapola il dato legato al numero degli addetti calcolato alla popolazione residente (ed espresso per cento unità), è facile cogliere che a Polinago l’industria occupa 11,05 cittadini ogni cento, contro i 21,91 registrati a livello provinciale, il commercio impiega 4,57 su cento (contro i 9,16 del modenese) e il settore dei servizi esprime un valore che si assesta attorno a 6,11 (13,12); in conclusione, nella realtà territoriale esaminata il numero degli occupati espressi in percentuale sono sempre quasi la metà di quelli registrati a livello di provincia.

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Tabella 4.2.2.1.5 Numero di addetti sulla popolazione residente (x 100): 1981 - 1991.

Industria Commercio Servizi Totale 1981 8,20 4,15 5,40 19,27 1991 11,05 4,57 6,11 21,72 Provincia MO 21,91 9,16 13,12 44,18 1991

Se si analizza la distribuzione percentuale dei settori (tabella 4.2.2.1.6): a livello d’unità locali, si nota che rispetto al totale l’industria occupa una fetta di mercato pari al 30,41% (contro il 30,04% della provincia di Modena), il commercio assorbe il 29,82% (37,00% a livello provinciale) e i servizi il 39,77% (32,96%); se si passa agli addetti attivi, emerge che 50,86 su 100 lavorano nell’industria (49,58% la media provinciale), 21,03 su 100 sono impiegati nel comparto commerciale (20,73%) ed infine la quota da corrispondere al settore dei servizi è pari al 28,12% (29,69%). In pratica a livello locale si rispettano le quote presenti a livello provinciale.

Tabella 4.2.2.1.6 Distribuzione percentuale dei settori: 1981 - 1991.

Unità locali Addetti Industria Commercio Servizi Industria Commercio Servizi 1981 35,70 30,61 26,53 42,60 21,55 28,07 1991 30,41 29,82 39,77 50,86 21,03 28,12 Provincia MO 30,04 37,00 32,96 49,58 20,73 29,69 1991

Come già detto nell’introduzione del capitolo, il Censimento intermedio del 1996 si è occupato prevalentemente delle attività industriali e dei servizi privati destinati alla vendita. Il Censimento è stato indetto grazie alla Legge n° 681/1996 e concorre all’integrazione e alla verifica dell’Archivio Statistico delle Imprese Attive (ASIA); in particolare si è reso necessario per aggiornare le informazioni riguardo a settori economici che hanno subito repentine trasformazioni nel corso degli ultimi anni.

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Tabella 4.2.2.1.7 Distribuzione di Imprese, Unità Locali e Addetti: Censimento Intermedio 1996.

Attività economiche Imprese Unità Locali Addetti

Industrie estrattive 0 0 0 Industrie manifatturiere 25 29 165 Costruzioni e impianti 34 35 54 Elettricità, acqua e gas 0 0 0 Commercio 32 33 61 Alberghi e pubblici esercizi 3 4 7 Altre att. commerciali 6 8 19 Trasporti e comunicazioni 14 16 22 Credito e assicurazioni 0 1 0 Altri servizi 4 4 5 Industrie 59 64 219 Commercio 35 37 68 Servizi 24 29 46 TOTALI 118 130 333

In breve, le Unità Locali censite per l'industria sono in tutto 64 e impiegano 219 addetti: se si confrontano i dati del censimento 1991 si assiste ad un incremento sia delle attività economiche (+ 12 rispetto al 1991) che dei lavoratori impiegati nella produzione di beni (+11); per contro, il settore commerciale subisce un calo nel numero delle Unità Locali (-14) così come del numero degli occupati (-18). Infine, si nota che per quanto riguarda il settore dei servizi i dati desunti dal censimento intermedio non sono neanche lontanamente comparabili con quelli registrati nel 1991. Pertanto, per questi dati non è logico effettuare la comparazione con il censimento precedente. Alla luce di quanto detto precedentemente, se si focalizza lo studio solo sui settori Industria e Commercio e si vanno a confrontare i parametri legati al numero medio di addetti per attività economica e per popolazione residente, si constata che nei dieci anni presi a riferimento la situazione rimane sostanzialmente uguale: questa è sicuramente una nota che deve destare preoccupazione perché significa che il mercato locale non ha mantenuto tassi di crescita concorrenziali.

Tabella 4.2.2.1.8 Numero medio di addetti per unità locale: 1996.

Industria Commercio Servizi Totale 1996 3,42 1,83 1,58 2,56

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Tabella 4.2.2.1.9 Numero medio di addetti sulla popolazione residente (x100): 1996.

Industria Commercio Servizi Totale 1996 11,58 3,59 2,43 17,62

In ultimo, il dato legato alla percentuale dei settori produttivi è stato inserito a puro titolo di riferimento, se si considera quanto detto prima sulle inesattezze del dato legato ai servizi.

Tabella 4.2.2.1.10 Distribuzione percentuale dei settori: 1996.

Unità locali Addetti Industria Commercio Servizi Industria Commercio Servizi 1996 49,23 28,46 22,30 65,76 20,42 13,81

Alcune brevi note riguardo le infrastrutture turistiche: da un’ulteriore indagine del 1996 18 , emerge che a Polinago esiste un solo esercizio alberghiero, dotato di 36 camere e di 72 posti letto complessivi; i bagni sono 46. La statistica però non segnala le dotazioni delle strutture extralberghiere né le presenze registrate nell’annata nell’unico hotel del Comune. Gli indirizzi espressi dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), 19 riguardo alle politiche di sviluppo da perseguire nella Comunità Montana del Frignano, tendono alla valorizzazione delle risorse ambientali e testimoniali esistenti. Gli ambiti di specializzazione principali si identificano infatti nell'offerta di prodotti alimentari tipici della zona e nel turismo; la crescita e lo sviluppo futuro sono da ricercarsi inoltre nella collaborazione con realtà territoriali anche lontane, nella cessione di beni e servizi radicati al territorio e nello sviluppo di condizioni tali da garantire la nascita di nuove imprenditorialità grazie all'utilizzo di politiche locali adeguate. A conclusione del paragrafo, è utile commentare i dati relativi all’attività edilizia a servizio dell’artigianato e del commercio. La Regione Emilia-Romagna, 20 in un rapporto databile al 1997, ha elaborato una serie di dati derivanti dal mosaico dei

18 Fonte INFOCAMERE – CERVED, dati tratti dallo studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. 19 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione Parte seconda: pagg. 93-96.

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PRG vigenti; alla voce Comparti Produttivi si evince che il Comune di Polinago ha già attuato aree per circa 8,50 ettari; per contro, le superfici ancora da realizzare valgono 5,67 ettari.

Tabella 4.2.2.1.11 Aree di destinazione d’uso produttivo distinte per stato d’attuazione al 31 dicembre 1997. Dati derivati dal mosaico dei PRG (in valore assoluto).

Aree produttive (Ha) Polinago Attuate Non attuate

8,50 5,67

Per quanto attiene al comparto commerciale si evince che, negli ultimi dieci anni, l’Ufficio Tecnico ha dato il benestare per tre licenze edilizie (una nel 1996 e due nel 1999) a tutt’oggi non ancora utilizzate; se si analizzano invece le pratiche relative al recupero, emerge che nel 1998 sono tre gli alloggi realizzate a servizio del commercio; le unità lavorative sono invece cinque in tutto (una realizzata nel 1992, una nel 1998 e le altre nel 2000).

Tabella 4.2.2.1.12 Concessioni edilizie e nuove costruzioni commerciali tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative 0 0 0 0 0 0 0 0 0 N° 0 unità Lavorative 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0

Nuove costruzioni Sup. abitabile 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 commerciali

Sup. servizio 0 0 0 0 0 100 0 0 70 0

Volumetria 0 0 0 0 0 300 0 0 420 0

N° concessioni 0 0 0 0 0 2 0 0 1 0

20 Regione Emilia-Romagna, Provincie dell’Emilia-Romagna , INU: “Rapporto sullo stato della

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Tabella 4.2.2.1.13 Concessioni edilizie e recuperi commerciali tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative N° 0 0 0 0 0 0 0 3 0 0 unità Lavorative 0 1 0 0 0 0 0 1 0 3

Recupero Sup. abitabile 0 120 0 0 0 0 0 605 0 330 commerciali

Sup. servizio 0 0 0 0 0 0 90 129 0 0

Volumetria 0 360 0 0 0 0 250 4332 0 1080

N° concessioni 0 1 0 0 0 0 1 5 0 3

Per quanto attiene il ramo artigianale, dai dati si coglie che nell’intero decennio si ha la realizzazione di una sola unità abitativa (1991) contro le sei dedicate ad unità lavorative (una nel 1991 e cinque nel 1996); la tabella relativa ai recuperi edilizi fa registrare invece dati nulli.

Tabella 4.2.2.1.14 Concessioni edilizie e nuove costruzioni artigianali tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative N° 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 unità Lavorative 1 0 0 0 0 5 0 0 0 0

Nuove costruzioni Sup. abitabile 60 0 0 0 0 0 0 0 0 3011 artigianali

Sup. servizio 290 0 0 0 0 1252 0 4277 0 0

Volumetria 1310 0 0 0 0 6135 0 21240 0 21993

1 N° concessioni 2 0 0 0 3 0 3 0 2 DEM

pianificazione urbanistica in Emilia-Romagna, 1997.

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Tabella 4.2.2.1.15 Concessioni edilizie e recuperi artigianali tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Abitative N° 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 unità Lavorative 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

Recupero Sup. abitabile 0 98 0 0 0 0 0 0 0 0 artigianali

Sup. servizio 504 0 0 0 0 160 0 0 0 0

Volumetria 2400 510 0 0 0 720 0 0 0 0

N° concessioni 1 3 0 0 0 3 1 0 0 0

In breve, a conclusione del capitolo dedicato alle attività produttive, si può sottolineare che le analisi condotte nel territorio di Polinago hanno evidenziato che caratteristica comune degli insediamenti è quella di essere tutti riconducibili alla tipologia di tipo 1, così come definita dall’art.51 “Indirizzi e direttive in materia di regolamentazione urbanistica delle aree produttive” riguardo alla direttiva sulla tipizzazione delle aree artigianali.

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4.2.2.2 La popolazione attiva

Nel capitolo sull'analisi socio demografica della popolazione di Polinago sono già state affrontate alcune tematiche legate all’attività lavorativa dei cittadini; problematiche che saranno sviluppate più approfonditamente in questa sezione del documento. L’obiettivo è quello di focalizzare alcuni dati caratteristici della popolazione residente attiva, intendendo con questa dizione tutti i residenti nel Comune di età superiore ai 14 anni, occupati in attività produttive e non. Nell'analisi sui settori economici abbiamo quantificato la presenza d’unità locali appartenenti ai diversi rami produttivi e il numero di addetti di cui le stesse unità si servono nell’organizzazione delle attività, consapevoli che tali addetti non coincidevano con la reale quantità di popolazione attiva all'interno del territorio, che risulta notevolmente maggiore. Per procedere in queste analisi è sembrato opportuno fare riferimento a dati relativamente recenti (censimento 1991) poiché la situazione, legata all'evoluzione delle dinamiche insediative in altra sede focalizzata, si dimostra in continua mutazione. Un primo sguardo suddivide la popolazione attiva secondo generiche condizioni professionali, senza entrare nello specifico dei singoli settori produttivi. Si analizzi come prima cosa la tabella 4.2.2.2.1, che esplicita la condizione lavorativa dei residenti nel territorio comunale: al censimento 1991 risultano come occupati 718 cittadini (pari al 38% della popolazione totale), 23 dichiarano di essere temporaneamente senza occupazione (1,21%) mentre 21 sono in cerca del primo impiego (1,11%); in pratica il totale della popolazione attiva è pari a 762 cittadini (40,33% del totale dei residenti). Per quanto concerne la parte non impiegata attivamente nei processi produttivi, sempre al 1991, si ha che tale quota vale 1127 unità (59,66%), scomposte in 152 casalinghe (8,05%), 82 studenti (4,34%) e 893 ritirati dal lavoro, per un valore percentuale pari al 47,27% della popolazione totale.

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Tabella 4.2.2.2.1 Popolazione residente al 1991 in età dai 14 anni in poi per condizione professionale e non.

Occupati 718 38,00% Disoccupati 23 1,21% Popolazione attiva In cerca di prima occupazione 21 1,11% Totale popolazione attiva 762 40,33% Casalinghe 152 8,05% Studenti 82 4,34% Popolazione non attiva Ritirati dal lavoro 893 47,27% Totale popolazione non attiva 1127 59,66% Totale popolazione 1889 100,00%

Tra i 741 abitanti in condizione professionale attiva (o potenzialmente attivi, considerato che in questa stima si trovano anche i residenti in cerca del primo impiego), 21 s’inseriscono nella classe degli imprenditori e dei liberi professionisti (2,83%), i lavoratori in proprio sono 249 (che equivale al 33,60%) e gli impiegati 101 (13,63%); per i dati restanti si coglie dalla tabella seguente che nella categoria dei coadiuvati sono presenti 77 lavoratori (10,39%), i soci di cooperative sono solo 3 (0,40%) ed infine alla voce Altri lavoratori dipendenti sono raggruppate 285 unità (che vale il 38,46%). I dirigenti sono 5 e rappresentano lo 0,67% del totale della popolazione attiva. Come facilmente si può desumere comparando i dati della tabella seguente con quelli presenti nella tabella 4.2.2.2.3, esiste una discrepanza legata al valore del numero degli occupati nell’industria, nel commercio e nei servizi; scarto comunque contenuto e che non inficia le considerazioni fatte nel paragrafo precedente.

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Tabella 4.2.2.2.2 Popolazione residente attiva in condizione professionale al 1991 per posizione nella professione.

Popolazione in condizione professionale 741 100,00% Occupati in agricoltura 202 27,26% Occupati nell’industria 308 41,56% Occupati in altre attività 231 31,17% Imprenditori e liberi professionisti 21 2,83% Lavoratori in proprio 249 33,60% Soci di cooperative 3 0,40% Coadiuvati 77 10,39% Dirigenti 5 0,67% Direttivi, quadri, impiegati 101 13,63% Altri lavoratori dipendenti 285 38,46%

E’ opportuno spendere infine qualche parola sui tassi legati alla condizione professionale dei cittadini di Polinago. Come è possibile desumere dalla tabella successiva, il tasso d’attività totale è pari al 40,3% e può essere ulteriormente suddiviso tra quello d’attività maschile, che vale il 49,7%, e quello riferito all’universo femminile della popolazione, stimato nel 30,3% del totale. Per sommi capi, si può segnalare che il tasso d’occupazione totale vale il 38,0%; entrando anche in questo caso nello specifico della divisione fra i due sessi, si denota che quello maschile si porta al 47,4% mentre quello femminile è pari al 28%. Infine, al 1991 il tasso di disoccupazione si assesta attorno al 5,8% (quello maschile vale il 4,75 mentre quello femminile il 7,6%): circa la metà del tasso nazionale e bene o male allo stesso livello di quello fatto registrare a scala provinciale.

Tabella 4.2.2.2.3 Tassi legati all’attività professionale per i residenti: 1991.

Tasso di attività 40,3% Tasso di attività maschile 49,7% Tasso di attività femminile 30,3% Tasso di occupazione 38,0% Tasso di occupazione maschile 47,4% Tasso di occupazione femminile 28,0% Tasso di disoccupazione 5,8% Tasso di disoccupazione maschile 4,7% Tasso di disoccupazione femminile 7,6%

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Purtroppo si nota che anche nella realtà territoriale studiata il tasso di disoccupazione femminile è, in proporzione, quasi il doppio di quello maschile: a determinare questo risultato concorrono una serie di concause tra le quali è possibile elencare le difficoltà incontrate dalle donne sul mercato del lavoro, dovute a piccole discriminazioni o alla difficoltà di ritornare al proprio impiego dopo la forzata pausa della maternità.

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4.2.2.3 La mobilità dei cittadini

Come si è rilevato in una considerazione precedente, la popolazione attiva presente all'interno del territorio comunale supera di molto il numero degli addetti impiegati nelle unità produttive locali; già questo fenomeno può fare sì che, tutti i giorni, un determinato numero di residenti fuori del Comune entri per ragioni di lavoro nel territorio comunale e viceversa. Per tentare una stima degli spostamenti sistematici, per intenderci quelli legati al tragitto casa – lavoro, si possono utilizzare i dati relativi alla mobilità rilevati all’atto dell’ultimo censimento del 1991. Operando con questa metodologia bisogna però tenere sempre ben presente che si sta valutando solo una componente della mobilità totale dei cittadini; in altre parole il dato segnala solo gli specifici spostamenti fatti dai lavoratori e dagli studenti per raggiungere i luoghi dove svolgono la propria attività professionale: tutti gli altri movimenti, definiti come non sistematici o erratici, non possono essere valutati con questo metodo. D’altronde, l’evoluzione che ha subito la nostra società negli ultimi venti o trent’anni, ha comportato un’inevitabile modificazione dei costumi e degli stili di vita, fatto che si ripercuote anche sui tassi di motorizzazione e sulla struttura dei movimenti; per intenderci meglio, da studi recenti si è notato che la quota legata agli spostamenti fissi, una volta preponderanti, rappresentano oggi una quota minoritaria rispetto al totale della mobilità, mentre a prevalere sono gli spostamenti erratici tipici di una società matura ad alto tasso di terziarizzazione e con un’alta quota di lavoratori non legati più alle produzioni tradizionali. L’altro concetto importante che non bisogna sottovalutare è legato agli alti tassi di motorizzazione che possiede la realtà territoriale oggetto dell’analisi; tassi così elevato che fanno si che solo cinque anni sono sufficienti a rendere poco rappresentativi i dati e, di conseguenza, a ridurre l’attendibilità dei risultati; figurarsi quando le ultime rilevazioni risalgono all’ultimo censimento. Per dare un’idea del fenomeno, si riportano alcuni sintetici dati 21 : nel 1995 le autovetture circolanti nel territorio comunale erano in totale 998, 849 delle quali a benzina (85,07%), 107 alimentate a gasolio (10,72%), 37 a GPL (3,70%) e solo cinque a metano (0,5%). Fatte queste doverose premesse, si può tentare comunque una disamina dei dati presenti nel censimento, valutandoli per quello che attualmente rappresentano, dati ormai vecchi e rappresentativi solo di una quota di

21 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. I dati in oggetto sono tratti dal paragrafo relativo agli indicatori socio demografici.

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mobilità minore. Il fenomeno del pendolarismo inquadra, dunque, una situazione di movimenti quotidiani nelle diverse direzioni; nella tabella 4.2.2.3.1 si sono individuati tutti gli spostamenti compiuti dai residenti da e per Polinago con l’individuazione dei mezzi di trasporto utilizzati. Come è facile desumere dai dati, gli spostamenti quotidiani totali effettuati dai cittadini di Polinago sono circa 569, un valore non molto elevato se si confronta con il numero dei residenti del Comune nel 1991 (pari a 1889 unità) e a quello della componente attiva della popolazione. Se si va a distinguere tra i mezzi di trasporto utilizzati, risulta che a dominare sono gli spostamenti compiuti con l’auto privata: infatti, su 569 movimenti quotidiani ben 307 (53,95%) hanno utilizzato questa modalità di trasporto. Il dato del resto conferma la stessa tendenza espressa anche a scale territoriali più vaste, come quella rilevata a livello regionale e, più distintamente, provinciale. I cittadini che usufruiscono di un passaggio auto sono 45, pari ad un valore percentuale del 7,90%, mentre la modalità moto vale nove spostamenti, che equivalgono all’1,58% del totale. Questo per le modalità di movimento compiute con un mezzo privato; se invece si analizzano gli spostamenti con il bus e la corriera, si evince che sono in totale 125 (21,96%) mentre la modalità a piedi o bici equivale a 83 (14,58%); valori entrambi non trascurabili ma del resto giustificati dalla dimensione territoriale dell’area oggetto dell’esame.

Tabella 4.2.2.3.1 Spostamenti quotidiani compiuti dai residenti: 1991

Mezzo di trasporto utilizzato

Comune di Piedi o bici o Bus Conducente Passeggero Moto Totale origine altro corriera auto auto

83 125 307 45 9 569 % 14,58% 21,96% 53,95% 7,90% 1,58% 100,00%

Se si compie la stessa operazione sulla componente degli spostamenti generata dalla classe degli studenti, si evince che le modalità di trasporto sono chiaramente differenti: il mezzo di trasporto preponderante è in questo caso il bus, con 119 movimenti su 180 totali (66,11%) seguito dai passaggi auto (22, per un valore percentuale pari al 12,22%) e a piedi o in bicicletta (34, 18,88%); del resto, questi valori sono attendibili se si considera la giovane età e le possibilità economiche

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della classe rappresentata. A conferma di questo concetto, si ha che sono solo cinque gli spostamenti compiuti in auto (2,77%), probabilmente compiuti da studenti universitari o delle ultime classi superiori.

Tabella 4.2.2.3.2 Spostamenti quotidiani compiuti dagli studenti: 1991

Mezzo di trasporto utilizzato

Comune di Piedi o bici o Bus Conducente Passeggero Moto Totale origine altro corriera auto auto

34 119 5 22 - 180 % 18,88% 66,11% 2,77% 12,22% 0,00% 100,00%

In ultimo, si estrapolino i dati per la categoria dei lavoratori attivamente occupati: i movimenti espressi da questo gruppo di cittadini è pari a 389 movimenti; ben 302 di questi sono compiuti alla guida dell’auto di proprietà (77,63%) mentre i passeggeri sono in complesso 23 (5,91%). Seguono 9 spostamenti in moto (2,31 %), sei in bus (1,54%) e 49 a piedi o in bici (12,59%). Queste percentuali sono giustificate dalle possibilità economiche espresse dalla classe analizzata e dalla modalità degli spostamenti che, in genere, hanno una percorrenza maggiore rispetto a quella compiuta dalla categoria degli studenti. Appare comunque molto basso il dato relativo ai trasferimenti in bus, soprattutto se confrontato al valore espresso nell’analisi precedente. È come se i cittadini, una volta variata la condizione professionale (per intenderci, il passaggio tra l’essere studenti e il diventare lavoratori), ripudino il mezzo pubblico a vantaggi dell’auto privata; questo si può forse solo giustificare a causa di forti carenze del servizio di trasporto pubblico tali da non soddisfare le richieste minime della popolazione. A conclusione del paragrafo, è utile fornire alcune notizie riguardo al tema del servizio di trasporto pubblico attualmente esistente a Polinago: il collegamento tra il centro capoluogo, le frazioni e i Comuni contermini è assicurato dall’Azienda ATCM che copre l’intero territorio comunale tramite due direttici principali, la Pavullo– Polinago-Palagano e la Polinago–Sassuolo. Inoltre, l’Amministrazione assicura un servizio di scuolabus a tutti i ragazzi in età scolare, che è affidato in appalto ad un gestore privato anche se viene mantenuto materialmente con mezzi di proprietà comunale. Per gli alunni delle scuole superiori che devono raggiungere Pavullo (dove si trova il plesso scolastico di livello secondario più vicino) esiste un servizio

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integrato tra scuolabus e ATCM per garantire la coincidenza e la integrazione dei due servizi di trasporto pubblico.

Tabella 4.2.2.3.3 Spostamenti quotidiani compiuti dagli occupati: 1991

Mezzo di trasporto utilizzato

Comune di Piedi o bici o Bus Conducente Passeggero Moto Totale origine altro corriera auto auto

49 6 302 23 9 389 % 12,59% 1,54% 77,63% 5,91% 2,31 % 100,00%

In ultimo, bisogna fare qualche considerazione su un tema di estrema gravità legato alla mobilità dei cittadini, che è quello degli incidenti stradali. La provincia di Modena si è attivata ormai da diversi anni per tentare di ridurre il numero dei sinistri, che purtroppo avvengono ogni anno sulle strade del territorio di competenza. A questo scopo il Settore Sanità, unitamente a quello della Viabilità della Provincia, ha avviato un programma operativo che, da un lato, tende alla raccolta delle schede ISTAT con lo scopo di individuare i nodi stradali particolarmente pericolosi per la viabilità; dall’altro, ha svolto una campagna di sensibilizzazione delle utenze più deboli mediante incontri nelle scuole o organizzando giornate di guida sicura. Dato il breve periodo di sperimentazione, non è ancora possibile quantificare con precisione la validità degli interventi in campo ma di sicuro la metodologia del progetto è quella giusta. Del resto la Provincia di Modena si è posta come obiettivo quello di ottemperare alle disposizioni UE, che fissano come priorità assoluta la riduzione del 40% dei morti sulle strade nei prossimi dieci anni. I decessi ad essi conseguenti rappresentano, anche nella provincia di Modena, la prima causa di morte in entrambi i sessi tra 15 e 24 anni e la seconda, nei maschi, tra i 25 e i 44 anni. La rilevazione ISTAT del 1997 presso le Forze dell’Ordine registra 105 deceduti entro 7 giorni dall’incidente (in base a confronti effettuati su archivi di mortalità si ipotizza una sottostima dei deceduti che oscilla intorno al 10%). Il numero di feriti registrati a livello provinciale per il 1997 risulta pari a 4.495 unità (in media 12 feriti al giorno). Per quanto riguarda gli aspetti territoriali, la provincia di Modena rappresenta il 14% degli incidenti regionali, con una particolare concentrazione nella fascia tra il capoluogo e la pedemontana.

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Nel territorio di nostro interesse, nel periodo che intercorre tra l’inizio della campagna di screening e il 1997, si sono segnalati sei incidenti che hanno comportato otto ricoveri ospedalieri e, per fortuna, nessun morto. Di certo, questi valori così bassi sono da imputare alla particolare posizione del Comune, al di fuori dei grandi flussi di traffico, e alla sua conformazione morfologica, che impone particolare attenzione alla guida; in ogni caso occorre non sottovalutare questa componente della mobilità per l’alto valore della vita umana, che va sempre e comunque salvaguardata.

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5. IL SISTEMA TERRITORIALE

5.1 Il patrimonio edilizio esistente e la condizione abitativa

5.1.1 Analisi dello stato attuale

Tra gli elementi caratterizzanti la strumentazione urbanistica di una determinata area geografica vi è quello dell’interrelazione esistente tra la domanda/offerta degli alloggi e la tendenza demografica locale. L’evoluzione di una popolazione, influenzata da particolari fattori economici, sociali e culturali, determina infatti un tipico fabbisogno abitativo ed una tipica domanda di abitazioni. Popolazione residente e abitazioni rappresentano quindi la sintesi di una serie di variabili, fra loro connesse, che s’influenzano vicendevolmente. La possibilità di trattare dati censuari molto disaggregati permette di svolgere una buona previsione che consenta di superare l’equazione, valida fino agli anni ’60, per la quale, ad ogni futuro residente era sufficiente associare una stanza. Oggi, la frammentazione dei nuclei famigliari e le esigenze legate al modello di vita attuale e alle nuove occupazioni, impongono uno sforzo interpretativo per orientare in maniera più efficace la programmazione urbanistica ed edilizia. Infatti occorre distinguere, all’interno del generico termine “domanda abitativa”, le diverse opzioni di domanda/offerta degli alloggi: dalla richiesta di case in locazione, agli alloggi a mutuo agevolato, alla possibilità di recupero del patrimonio edilizio esistente, tema questo fino ad oggi disatteso da molte indagini tematiche ma che può rivelarsi interessante soprattutto se si tiene conto delle dinamiche demografiche odierne. Prima di avviare una programmazione edilizia di nuovi alloggi, è innanzitutto opportuno verificare se la domanda di una società come quella esaminata, che presenta saldi sociali costanti o vicini allo zero, non sia già soddisfatta da un recupero avvenuto in passato, attento al patrimonio edilizio esistente. Per disegnare lo scenario futuro del fabbisogno edilizio del Comune, occorrerà quindi studiare la proiezione nel breve e medio periodo delle previsioni demografiche in conformità ad un modello predefinito d’evoluzione. Nel capitolo sulla distribuzione della popolazione all'interno del Comune di Polinago sono stati

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già focalizzate alcune caratteristiche delle condizioni abitative presenti nell'area, soprattutto dal punto di vista delle dinamiche insediative e delle logiche che negli ultimi anni hanno guidato la localizzazione dei residenti vecchi e nuovi. Abbiamo quindi visto la supremazia d’alcuni insediamenti urbani sulle altre frazioni, il relativo recente ampliamento d’alcuni centri, il progressivo allontanamento dalle abitazioni sparse, genericamente le più antiche, a favore degli aggregati residenziali di recente edificazione e le probabili epoche di costruzione e d’espansione dei principali insediamenti. Vediamo ora qualche dato specifico sul patrimonio edilizio esistente, cercando di inquadrare le mutazioni, quantitative e qualitative, avvenute negli ultimi 20 anni. Nel 1995 l’ISTAT ha realizzato, per la Provincia di Modena, il piano topografico digitalizzato basandosi, per i dati anagrafici, sul Censimento 1991 22 . Questo studio consente di associare ad ogni sezione censuaria le caratteristiche della popolazione residente a lei pertinente. Si può così disaggregare ulteriormente il dato censuario, passando dalla dimensione comunale dei precedenti censimenti alla soglia minima territoriale rappresentata dalle singole località, frazioni o alle case sparse, appartenenti al territorio comunale. Di seguito si entrerà nel dettaglio di queste analisi per l’area in esame. La tabella 5.1.1.1 valuta la consistenza del patrimonio edilizio per la serie storica dei censimenti 1951-1991, disaggregata per distretto d’appartenenza e Comune. A questo punto, occorre precisare che i dati relativi al censimento 1971 sono inficiati da errori legati all’approssimazione con cui fu effettuato il rilevamento; pertanto i valori elencati vanno considerati con il beneficio del dubbio. Per quanto attiene il Comune in esame si evince dunque che il numero delle abitazioni è costantemente cresciuto negli anni, passando dalle 1099 censite nel 1951 alle 1562 del 1991. Unica incongruenza il dato riferito al 1971, pari a 1004 abitazioni, inferiore a quello registrato nel decennio precedente (1191 al Censimento 1961). In termini d’indice, se si assume il valore di 100 per il 1951, si evince che questo passa a 108,4 per il 1961, decresce a 91,4 per il 1971 e torna a salire attestandosi rispettivamente al valore di 116,5 per il 1981 e 142,1 per l’ultimo censimento. Gli alloggi di proprietà pubblica sono praticamente trascurabili rispetto al numero totale: incidono per lo 0,9% per il 1981 e per l’1,2% per il 1991 e la percentuale è anche più bassa della media della Provincia di Modena pari al 3,2%.

22 Lo studio, svolto dal Sistema Statistico Nazionale e dalla Provincia di Modena, è illustrato nel volume “Patrimonio edilizio e componente demografica del fabbisogno abitativo” , dicembre 1995.

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Tabella 5.1.1.1 Consistenza del patrimonio abitativo per i Censimenti 1951-1991.

Abitazioni in proprietà Totale abitazioni pubblica Aree o Valori Incidenza % Comuni Valori assoluti Numero indice (base 1951=100) assoluti sul totale 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 1981 1991 1981 1991 Distretto di 13591 14794 16062 25305 30217 100,0 108,9 118,2 186,2 222,3 356 346 1,4 1,1 Pavullo

Polinago 1099 1191 1004 1280 1562 100,0 108,4 91,4 116,5 142,1 12 19 0,9 1,2

In pratica il patrimonio edilizio comunale è cresciuto negli ultimi quarant’anni del 42,1%: tale incremento non si può pensare sia correlato solo alle dinamiche evolutive della popolazione residente; anzi, considerando che il trend demografico per lo stesso periodo è in costante calo, si può ipotizzare che tale crescita dipenda sia dalla sostituzione delle vecchie abitazioni, funzionali alle attività agricole ma poco rispondenti alle moderne esigenze abitative, che alla vocazione turistica del Comune. Infatti, se si focalizza l’analisi alle sole abitazioni occupate (tabella 5.1.1.2), emerge che nella serie storica la tendenza è di calo: si passa dalle 1052 abitazioni occupate nel 1951 alle 990 del 1961 (indice del 94,1), alle 811 del 1961 (indice pari a 77,1), alle 759 del 1971 (72,1) per attestarsi infine attorno al valore del 1991 pari a 812 (77,2). In conclusione, nella serie storica considerata, le abitazioni occupate sono diminuite del 22,8%. Il dato è legato essenzialmente alle dinamiche demografiche del Comune.

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Tabella 5.1.1.2 Consistenza del patrimonio abitativo occupato per i Censimenti 1951-1991.

Totale abitazioni occupate Aree o Valori assoluti Numero indice (base 1951=100) Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 12222 11978 11121 12369 13668 100,0 98,0 91,0 101,2 111,8 di Pavullo

Polinago 1052 990 811 759 812 100,0 94,1 77,1 72,1 77,2

Per quanto attiene al titolo di godimento delle abitazioni (tabelle 5.1.1.3 e 5.1.1.4), si rileva che le case di proprietà aumentano fino al censimento 1961, decrescono nel decennio successivo (575 nel 1971) per poi risalire a 617 nel 1981 e passare, infine, a 650 nell’ultimo censimento ISTAT. In termini percentuali si è avuto un leggero decremento del 3% sull’intera serie storica considerata. A Polinago, nei quarant’anni considerati, il numero delle abitazioni di proprietà non cresce; questo dato è in controtendenza rispetto alla situazione della Provincia di Modena dove, nel medesimo lasso di tempo, tali alloggi crescono di quasi cinque volte. Focalizzando l’attenzione sull’ambito più ristretto della Comunità Montana del Frignano, di cui Polinago fa parte, si nota che anche in questo caso si assiste ad un incremento del numero delle abitazioni di proprietà pari al 42,1% sul totale delle abitazioni occupate. Diversa la situazione per le abitazioni in affitto: nel Comune in esame il trend è di costante calo. Infatti, gli alloggi in affitto, pari a 155 nel censimento 1951, diventano 100 nel 1991, pari ad un decremento percentuale del 35,5%.

Tabella 5.1.1.3 Titolo di godimento delle abitazioni occupate in proprietà per i Censimenti 1951-1991.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Aree o In proprietà (valori assoluti) In proprietà (Numero indice base 1951=100) Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 7251 7496 7530 8946 10307 100,0 103,4 103,8 123,4 142,1 di Pavullo

Polinago 670 685 575 617 650 100,0 102,2 85,8 92,1 97,0

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Tabella 5.1.1.4 Titolo di godimento delle abitazioni occupate in affitto per i Censimenti 1951- 1991.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Aree o In affitto (valori assoluti) In affitto (Numero indice base 1951=100) Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 2642 2698 2636 2587 2282 100,0 102,1 99,8 97,9 86,4 di Pavullo

Polinago 155 137 138 100 100 100,0 88,4 89,0 64,5 64,5

Di seguito (tabella 5.1.1.5) si riporta la situazione di Polinago per godimento delle abitazioni ad altro titolo; in pratica se si fissa a 100 l’indice di riferimento per il 1951, allora si evince che tale valore si porta a 27,3 nell’ultimo censimento; in sostanza, comparando questo dato con quello registrato nel Distretto di Pavullo per lo stesso periodo storico (pari a 46,3 nel 1991), si assiste ad un decremento notevole.

Tabella 5.1.1.5 Titolo di godimento delle abitazioni occupate ad altro titolo per i Censimenti 1951-1991.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Aree o Altro titolo (valori assoluti) Altro titolo (Numero indice base 1951=100) Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 2329 1784 955 836 1079 100,0 76,6 41,0 35,9 46,3 di Pavullo

Polinago 227 168 98 42 62 100,0 74,0 43,2 18,5 27,3

Di indubbio interesse è il contenuto della tabella seguente, che correla il numero medio di stanze per abitazione e il numero (sempre medio) degli occupanti per stanza. Al 1991, per ogni abitazione si hanno quasi 5 stanze contro le 4,1 del 1951; per contro, il numero medio degli occupanti si dimezza, passando dal valore di 1,1 del primo censimento ai 0,5 dell’ultimo.

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Il Comune di Polinago, infatti, pur occupando un ruolo nella concentrazione urbana "a rete" della città di Modena, risulta un'appendice della "seconda fascia", interessata cioè da fenomeni “urbani” solo in seguito alle successive saturazioni dei centri collinari più prossimi alla città, e perciò in ritardo rispetto questi su una serie di dinamiche, tra cui anche l'andamento del mercato delle abitazioni. Se in altri comuni limitrofi già a partire dagli anni '70, per il rapido mutare delle condizioni, i costi di costruzione sono progressivamente lievitati al punto da dover limitare le dimensioni degli alloggi per poter mantenere il livello dei prezzi e massimizzare gli indici disponibili, a Polinago questo fenomeno non ha ancora assunto dimensioni tali da essere rilevato dai dati censuari a disposizione. Pertanto si evince che oggi le abitazioni sono più spaziose e meno affollate di quarant’anni fa, condizione che garantisce un aumento del benessere degli abitanti e delle condizioni igieniche in generale.

Tabella 5.1.1.6 Numero medio di stanze per abitazione, numero medio di residenti per stanza per i Censimenti 1951-1991.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Aree o N° medio di stanze per abitazione N° medio occupant i per stanza Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 4,3 4,2 4,4 4,8 4,8 1,1 0,9 0,8 0,6 0,5 di Pavullo

Polinago 4,1 4,2 4,5 4,9 4,9 1,1 1,0 0,7 0,6 0,5

Sicuramente rilevante il dato relativo alle abitazioni non occupate sul totale. A Polinago queste ultime sono solo 47 nel 1951, mentre nel 1991 la cifra decuplica fino a raggiungere le 750 unità: praticamente il numero delle case sfitte cresce di 16 volte. Percentualmente questo significa che, mentre nel 1951 solo il 4,3% delle abitazioni non era abitato con continuità, nel 1991 questi fabbricati passano al 48,0%: in pratica metà del patrimonio edilizio del territorio comunale non è più utilizzato per residenza ma, quando avviene, ad altro titolo (per vacanza, studio, lavoro, ecc.). Comunque il dato comunale è confermato da quello più generale relativo al distretto

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amministrativo d’appartenenza, nel quale il numero delle case non occupate aumenta di quasi 12 volte in quarant’anni.

Tabella 5.1.1.7 Abitazioni non occupate per i Censimenti 1951-1991.

Totale delle abitazioni non occupate Aree o Valori assoluti Numero indice (base 1951=100) Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 1369 2816 4941 12936 16549 100,0 205,7 360,9 944,9 1208,8 di Pavullo

Polinago 47 201 193 521 750 100,0 427,7 410,6 1108,5 1595,7

Tabella 5.1.1.8 Abitazioni non occupate (in percentuale) per i Censimenti 1951-1991.

Totale delle abitazioni non occupate Aree o Valori assoluti Incidenza % sul totale delle abitazioni Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Distretto 1369 2816 4941 12936 16549 10,1 19,0 30,8 51,1 54,8 di Pavullo

Polinago 47 201 193 521 750 4,3 16,9 19,2 40,7 48,0

Affinando l’indagine sulle abitazioni non occupate per il decennio 1981-1991, è possibile rilevare qual è la quota di questa tipologia che viene utilizzata saltuariamente per le vacanze. A Polinago nel 1981 tale categoria di alloggi è pari a 382 unità (pari al 73,3% del totale delle case non occupate e al 29,8% delle abitazioni presenti sul territorio comunale); nel 1991 questa frazione cresce ulteriormente, visto che raggiunge la cifra dell’80,8%, pari al 38,8% del totale delle abitazioni presenti sul territorio comunale. La media comunale, del resto, rispecchia la media del distretto d’appartenenza (pari a 72,1% per lo stesso Censimento).

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Tabella 5.1.1.9 Abitazioni non occupate per vacanza per i Censimenti 1981-1991.

Abitazioni non occupate utilizzate per vacanza

Valori assoluti Incidenza % sul totale delle Incidenza % sul totale delle

abitazioni non occupate abitazioni Aree o

Comuni 1981 1991 1981 1991 1981 1991 Distretto di 8664 11926 65,4 72,1 33,4 39,5 Pavullo

Polinago 382 606 73,3 80,8 29,8 38,8

La tabella successiva offre una panoramica delle caratteristiche dimensionali degli alloggi occupati e del relativo titolo di godimento. Questi elementi sono fondamentali perché costituiscono la base per attuare una programmazione della domanda edilizia futuro sicuramente più calibrata alla realtà territoriale in esame. La dimensione media degli alloggi occupati è pari a 104 mq, pari alla media provinciale e di poco superiore a quella del Distretto (103 mq). Altro dato saliente è quello relativo al numero medio degli occupanti per alloggio, che nel caso in esame si attesta sui 2,3 componenti (rispetto alla media provinciale di 2,7). L’indice di coabitazione, rapporto tra il numero delle famiglie e quello delle abitazioni occupate, vale per Polinago 102,3 (contro la media della Provincia e del Distretto di 101,3). La situazione di coabitazione può essere determinata, in questi casi, più dalla tipologia di aggregazione e di composizione famigliare che dall’effettiva carenza di alloggi.

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Tabella 5.1.1.10 Caratteristiche e titolo di godimento delle abitazioni (caratteristiche dimensionali) al Censimento 1991.

Caratteristiche dimensionali delle abitazioni Comuni e località abitate Totale superficie Dimensione N° stanze N° medio Indice di abitazioni media abitazioni abitazioni occupanti per coabitazione occupate (mq) occupate (mq) occupate abitazione (famiglie/abitazione)

Polinago 84604 104 3946 2,3 102,3

La tabella seguente è un riepilogo di dati già evidenziati precedentemente: al 1991, il 52,0% delle abitazioni presenti sul territorio comunale sono occupate, il 38,8% delle abitazioni totali sono utilizzate saltuariamente per le vacanze (pari all’80,8% delle case non occupate) e la densità abitativa si porta pari a 29 abitazioni per chilometro quadrato (contro la media del Distretto di 51 abitazioni/kmq).

Tabella 5.1.1.11 Caratteristiche e titolo di godimento delle abitazioni (titolo di godimento) al Censimento 1991.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Abitazioni in proprietà di Enti Comuni pubblici o Valori assoluti Composizioni % e località previdenziali abitate Valori % sul In Ad altro In Ad altro In affitto Totale In affitto Totale assoluti totale proprietà titolo proprietà titolo abitato

Polinago 650 100 62 812 80,0 12,3 7,6 100,0 19 1,2

Riguardo l’età delle abitazioni, si evince che il 37,3% del totale è ante 1919; il 9,8% risale al periodo tra il 1919 e il 1945; il 45,2% è state costruito tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1981; solo il 7,6% è stato realizzato negli ultimi venti anni. Le abitazioni ristrutturate negli ultimi venti anni sono 164, il 10,5% del

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patrimonio edilizio totale e rappresentano il 18,1% del totale degli alloggi costruiti o ristrutturati dopo il 1981. Tabella 5.1.1.12 L’epoca di costruzione delle abitazioni per il Censimento 1991.

Totale abitazioni per epoca di costruzione Comuni e località Valori assoluti abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 583 153 216 206 285 119 1562

Tabella 5.1.1.13 L’epoca di costruzione delle abitazioni per il Censimento 1991 (composizioni percentuali).

Totale abitazioni per epoca di costruzione Comuni e località Composizioni % abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 37,3 9,8 13,8 13,2 18,2 7,6 100,0

Di seguito sono riportate le stesse indicazioni per le case non occupate: 310 sono precedenti al 1919, 75 sono state realizzate tra il 1919 e il 1945, 86 nel secondo dopoguerra (1946-1960), 91 tra il 1961 e il 1971, 127 tra il 1972 e il 1981. Solo 61 (8,13% del totale non occupate) è stato edificato negli ultimi venti anni, dato omogeneo alla media del Distretto del Frignano (11,2%).

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Tabella 5.1.1.14 L’epoca di costruzione delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991.

Abitazioni non occupate per epoca di costruzione Comuni e località Valori assoluti abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 310 75 86 91 127 61 750

Tabella 5.1.1.15 L’epoca di costruzione delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991 (composizioni percentuali).

Abitazioni non occupate per epoca di costruzione Comuni

e località Composizioni % abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 41,3 10,0 11,5 12,1 16,9 8,1 100,0

Infine si analizzi la dotazione funzionale delle abitazioni per il Censimento 1991, suddivisa per abitazioni occupate e non occupate. Per quanto riguarda gli alloggi occupati, ci si trova di fronte ad una situazione sostanzialmente soddisfacente: il 60,2% del totale all’atto del censimento non presenta carenze, contro un 30,4% che ne evidenzia solo alcune. Solo il 9,4% del patrimonio edilizio occupato presenta gravi problemi.

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Tabella 5.1.1.16 La dotazione funzionale delle abitazioni occupate per il Censimento 1991

Abitazioni occupate per caratteristiche funzionali

Valori assoluti Composizioni %

Aree o Con limitate Con gravi Con limitate Con gravi Senza carenze Senza carenze Comuni carenze carenze carenze carenze funzionali funzionali funzionali funzionali funzionali funzionali

Polinago 489 247 76 60,2 30,4 9,4

La situazione appare diversa se si leggono i dati relativi alle case non occupate: il 39,5% del totale non presentano carenze funzionali, il 49,3% degli alloggi si colloca nella fascia centrale e solo l’11,2% segnala gravi problemi a livello di dotazioni. A questo proposito sarebbe interessante indagare lo stato di conservazione e le carenze di dotazioni funzionali che presenta il patrimonio edilizio non occupato e non utilizzato per le vacanze stagionali; in pratica su quei 144 alloggi (pari alla differenza tra i 750 alloggi non occupati e i 606 non occupati utilizzati per vacanza al Censimento 1991) che attualmente rientrano in questa casistica. Infatti questi edifici, se presentassero caratteristiche strutturali adeguate, potrebbero essere recuperati per soddisfare in parte il futuro fabbisogno abitativo del Comune, logiche di mercato e decisioni dei proprietari permettendo. Un’analisi calibrata di questo tipo permette di effettuare un dimensionamento più corretto della quota di nuova edificazione da inserire nelle previsioni del Piano.

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Tabella 5.1.1.17 La dotazione funzionale delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991

Abitazioni non occupate per caratteristiche funzionali

Valori assoluti Composizioni %

Aree o Con limitate Con gravi Con limitate Con gravi Senza carenze Senza carenze Comuni carenze carenze carenze carenze funzionali funzionali funzionali funzionali funzionali funzionali

Polinago 296 370 84 39,5 49,3 11,2

Come già detto precedentemente, lo studio effettuato dall’ISTAT nel 1995 era innovativo perché associava le caratteristiche del patrimonio edilizio esistente alle sezioni di censimento; in appendice al paragrafo si riporteranno le tabelle già trattate precedentemente disaggregate per nuclei storici, frazioni e case sparse. Si legga la tabella 5.1.1.17: si evince che 805 abitazioni appartengono alla voce case sparse (su un totale di 1562, pari al 51,5% del totale del patrimonio edilizio comunale), 402 delle quali sono occupate e 403 risultano non occupate. La quota d’abitazioni utilizzate per le vacanza è pari a 319, quindi gli alloggi abbandonati o utilizzati ad altro titolo sono 84. Nel capoluogo comunale la stessa analisi evidenzia che le abitazioni totali sono 437, 227 delle quali occupate e 210 non occupate. Se si considera che il numero delle case per vacanze si attesta a 166, allora sono 44 le case che attualmente non trovano un utilizzo. Un parametro utile nella valutazione del fenomeno dello spopolamento del territorio è dato dall’indice di concentrazione delle case non occupate , calcolato con l’esclusione delle case per vacanze. Se si assume valore uno per la media provinciale, si evince che il comune di Polinago si posiziona attorno ad un valore medio di 2,9, quasi tre volte quello provinciale. Il dato è ancora più allarmante se si considera che solo un terzo delle case attualmente non occupate è in stato di grave degrado mentre le altre si trovano in condizioni statiche migliori.

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Tabella 5.1.1.18 Caratteristiche delle abitazioni al censimento 1991 disaggregate per singole località.

Abitazioni Comuni e Valori assoluti Composizione % sul totale centri Indice di Non concentrazione abitati Non Non occ. utilizzate occupate Totale Occupate Abitazioni occupate delle case non occupate per vacanza utilizzate per occupate vacanza

Polinago 1562 812 750 606 52,0 38,8 2,9

Ca’ Rossi 28 15 13 12 53,6 42,9 2,8

Polinago 437 227 210 166 51,9 38,0 2,9

Ponte 31 17 14 12 54,8 38,7 2,8 Gombola Ponte 34 27 7 5 79,4 14,7 1,3 Talbignano

Badaglia 9 6 3 3 66,7 33,3 2,0

Beguzzi 16 9 7 6 56,3 37,5 2,7

Belenci 17 7 10 10 41,2 58,8 3,6

Berchio 2 1 1 1 50,0 50,0 3,1

Canalina 13 9 4 4 69,2 30,8 1,9

Carloni 4 3 1 0 75,0 0,0 1,5

Casale 30 7 23 21 23,3 70,0 4,7

Chiesa- 15 7 8 6 46,7 40,0 3,3 Cassano

Fiorentino 9 5 5 4 55,6 44,4 2,7

Monteleone 13 6 7 7 46,2 53,8 3,3

Pian del 6 6 0 0 100,0 0,0 0,0 Fiume

Piciniera 11 5 6 5 45,5 45,5 3,3

Poggio 12 7 5 5 58,3 41,7 2,5

Ponte 23 16 7 7 69,6 30,4 1,9 Brandola

Ronchi 8 5 5 3 62,5 37,5 2,3

Serre 7 5 2 2 71,4 28,6 1,7

Talbignano 32 20 12 8 62,5 25,0 2,3

Case 805 402 403 319 49,9 39,6 3,1 Sparse

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Tabella 5.1.1.19 Caratteristiche e titolo di godimento delle abitazioni (caratteristiche dimensionali) al Censimento 1991 disaggregate per singole località.

Caratteristiche dimensionali delle abitazioni Comuni e località abitate Totale superficie Dimensione N° stanze N° medio Indice di abitazioni media abitazioni abitazioni occupanti per coabitazione occupate (mq) occupate (mq) occupate abitazione (famiglie/abitazione) Polinago 84604 104 3946 2,3 102,3 Ca’ Rossi 1505 100 70 1,9 100,0 Polinago 21188 93 1018 2,3 100,4 Ponte Gombola 2043 120 98 2,7 100,0

Ponte Talbignano 3021 112 140 2,9 114,8 Badaglia 501 84 26 1,7 100,0 Beguzzi 880 98 42 2,2 111,1 Belenci 550 79 26 1,4 100,0

Berchio 50 50 2 2,0 100,0 Canalina 1054 117 48 2,0 100,0 Carloni 360 120 17 2,0 100,0 Casale 690 99 36 2,0 100,0

Chiesa- Cassano 817 117 33 3,3 100,0 Fiorentino 455 91 21 2,4 100,0 Monteleone 555 93 27 1,8 100,0 Pian del Fiume 805 134 35 2,3 116,7

Piciniera 383 77 20 2,0 100,0 Poggio 1105 158 48 1,7 100,0 Ponte Brandola 1668 104 79 2,1 100,0 Ronchi 420 84 17 1,8 100,0

Serre 626 125 29 3,4 100,0 Talbignano 2200 110 104 2,4 100,0 Case Sparse 43728 109 2010 2,4 103,0

Riguardo alla tabella precedente, si può evidenziare il dato relativo all’indice di coabitazione: mentre per la maggior parte delle località si attesta molto vicino alla media comunale, a Ponte Talbignano è pari a 114,8; in località Beguzzi raggiunge il valore di 111,1 mentre il valore più elevato si evince a Pian del Fiume, dove vale 116,7.

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Tabella 5.1.1.20 Caratteristiche e titolo di godimento delle abitazioni (titolo di godimento) al Censimento 1991 disaggregate per singole località.

Titolo di godimento delle abitazioni occupate Abitazioni in proprietà di Enti Comuni e Valori assoluti Composizioni % pubblici o località previdenziali abitate Valori % sul In Ad altro In Ad altro In affitto Totale In affitto Totale assoluti totale proprietà titolo proprietà titolo abitato Polinago 650 100 62 812 80,0 12,3 7,6 100,0 19 1,2

Ca’ Rossi 14 0 1 15 93,3 0,0 6,7 100,0 0 0,0

Polinago 162 52 13 227 71,4 22,9 5,7 100,0 19 4,3 Ponte 12 2 3 17 70,6 11,8 17,6 100,0 0 0,0 Gombola Ponte 19 7 1 27 70,4 25,9 3,7 100,0 0 0,0 Talbignano Badaglia 6 0 0 6 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0

Beguzzi 9 0 0 9 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0

Belenci 6 1 0 7 85,7 14,3 0,0 100,0 0 0,0

Berchio 1 0 0 1 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0

Canalina 8 1 0 9 88,9 11,1 0,0 100,0 0 0,0

Carloni 30 0 0 3 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0

Casale 7 0 0 7 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0 Chiesa- 6 1 0 7 85,7 14,3 0,0 100,0 0 0,0 Cassano Fiorentino 4 1 0 5 80,0 20,0 0,0 100,0 0 0,0

Monteleone 6 0 0 6 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0 Pian del 6 0 0 6 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0 Fiume Piciniera 3 1 1 5 60,0 20,0 20,0 100,0 0 0,0

Poggio 7 0 0 7 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0 Ponte 11 1 4 16 68,8 6,3 25,0 100,0 0 0,0 Brandola Ronchi 5 0 0 5 100,0 0,0 0,0 100,0 0 0,0

Serre 4 0 1 5 80,0 0,0 20,0 100,0 0 0,0

Talbignano 17 2 1 20 85,0 10,0 5,0 100,0 0 0,0 Case 334 31 37 402 83,1 7,7 9,2 100,0 0 0,0 Sparse

Se si affina l’indagine sul titolo delle abitazioni occupate, si nota che nel capoluogo comunale gli alloggi sono così goduti: il 71,4% (pari a 162 alloggi) sono di proprietà, il 22,9% (corrispondenti a 52 appartamenti) sono in affitto mentre sotto la voce Ad altro titolo compaiono i rimanenti 13 (5,7% del totale).

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La voce Case Sparse prevede 334 alloggi di proprietà (83,1%), 31 concessi in locazione (7,7%) e i rimanenti 37 (9,2%) ad altro titolo.

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Tabella 5.1.1.21 La dotazione funzionale delle abitazioni occupate per il Censimento 1991 disaggregate per singole località.

Abitazioni occupate per caratteristiche funzionali

Valori assoluti Composizioni % Comuni e località abitate Senza carenze Con limitate Con gravi Senza carenze Con limitate Con gravi funzionali carenze funzionali carenze funzionali funzionali carenze funzionali carenze funzionali

Polinago 489 247 76 60,2 30,4 9,4

Ca’ Rossi 6 8 1 40,0 53,3 6,7

Polinago 205 21 1 90,3 9,3 0,4

Ponte Gombola 14 3 0 82,4 17,6 0,0

Ponte 13 14 0 48,1 51,9 0,0 Talbignano

Badaglia 2 3 1 33,3 50,0 16,7

Beguzzi 7 2 0 77,8 22,2 0,0

Belenci 5 2 0 71,4 28,6 0,0

Berchio 1 0 0 100,0 0,0 0,0

Canalina 5 4 0 55,6 44,4 0,0

Carloni 0 2 1 0,0 66,7 33,3

Casale 1 4 2 14,3 57,1 28,6

Chiesa- 5 2 0 71,4 28,6 0,0 Cassano

Fiorentino 2 2 1 40,0 40,0 20,0

Monteleone 3 2 1 50,0 33,3 16,7

Pian del Fiume 3 1 2 50,0 16,7 33,3

Piciniera 3 2 0 60,0 40,0 0,0

Poggio 5 1 1 71,4 14,3 14,3

Ponte Brandola 8 6 2 50,0 37,5 12,5

Ronchi 1 2 2 20,0 40,0 40,0

Serre 4 1 0 80,0 20,0 0,0

Talbignano 9 9 2 45,0 45,0 10,0

Case Sparse 187 156 59 46,5 38,8 14,7

Disaggregato il dato per località abitate, si possono analizzare nel dettaglio i dati relativi alle dotazioni funzionali delle abitazioni; in particolare, soffermando l’attenzione sul dato del capoluogo, si nota che su 227 abitazioni occupate, ben 205 sono registrate come assenti da carenze (pari al 90,3% del patrimonio edilizio occupato); gli alloggi che presentano qualche problema sono 21 (9,3%) mentre solo un alloggio (0,4%) ha gravi carenze. La situazione più sfavorevole è quella

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segnalata nelle case sparse: sono 59 su 402 le abitazioni che presentano gravi carenze (14,7%), mentre gli immobili senza difetti assommano a 187 (pari al 46,5%). Gli alloggi con qualche problema funzionale sono 156 (38,8%). La tabella successiva tratta le dotazioni delle abitazioni non occupate; in evidenza, ancora una volta il dato relativo al capoluogo: a Polinago 170 abitazioni non presentano carenze di sorta (81,0% del totale), 40 hanno qualche problema funzionale (19,0%) mentre nessuna abitazione è segnalata fra quelle con gravi problemi. Case Sparse contempla 92 abitazioni funzionali (22,8%), 241 comprese nella fascia centrale (59,8%) e 70 tra quelle che possiedono gravi carenze (17,4%).

235

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Tabella 5.1.1.22 La dotazione funzionale delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991 disaggregate per singole località.

Abitazioni non occupate per caratteristiche funzionali

Valori assoluti Composizioni % Comuni e località abitate Senza carenze Con limitate Con gravi Senza carenze Con limitate Con gravi funzionali carenze funzionali carenze funzionali funzionali carenze funzionali carenze funzionali

Polinago 296 370 84 39,5 49,3 11,2

Ca’ Rossi 3 10 0 23,1 76,9 0,0

Polinago 170 40 0 81,0 19,0 0,0

Ponte Gombola 2 12 0 14,3 85,7 0,0

Ponte 1 6 0 14,3 85,7 0,0 Talbignano

Badaglia 0 1 2 0,0 33,3 66,7

Beguzzi 2 4 1 28,6 57,1 14,3

Belenci 4 4 2 40,0 40,0 20,0

Berchio 0 1 0 0,0 100,0 0,0

Canalina 2 2 0 0,0 50,0 0,0

Carloni 0 0 1 0,0 0,0 100,0

Casale 10 11 2 43,5 47,8 8,7

Chiesa- 1 5 2 2,5 62,5 25,0 Cassano

Fiorentino 0 4 0 0,0 100,0 0,0

Monteleone 2 5 0 28,6 71,4 0,0

Pian del Fiume 0 0 0 0,0 0,0 0,0

Piciniera 0 5 1 0,0 83,3 16,7

Poggio 1 2 2 20,0 40,0 40,0

Ponte Brandola 5 2 0 71,4 28,6 0,0

Ronchi 0 3 0 0,0 100,0 0,0

Serre 0 1 1 0,0 500 50,0

Talbignano 1 11 0 8,3 91,7 0,0

Case Sparse 92 241 70 22,8 59,8 17,4

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Tabella 5.1.1.23 L’epoca di costruzione delle abitazioni per il Censimento 1991 per singole località.

Totale abitazioni per epoca di costruzione Comuni e Valori assoluti località abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 583 153 216 206 285 119 1562

Ca’ Rossi 17 3 6 1 1 0 28

Polinago 36 35 59 101 145 61 437

Ponte 0 7 16 6 2 0 31 Gombola Ponte 2 14 10 3 3 2 34 Talbignano

Badaglia 2 0 3 3 0 1 9

Beguzzi 2 1 0 2 10 1 16

Belenci 10 1 0 4 1 1 17

Berchio 2 0 0 0 0 0 2

Canalina 6 2 1 3 0 1 13

Carloni 4 0 0 0 0 0 4

Casale 18 3 1 1 7 0 30

Chiesa- 10 0 2 0 1 2 15 Cassano

Fiorentino 8 0 0 0 1 0 9

Monteleone 6 2 2 0 3 0 13

Pian del 5 0 0 0 1 0 6 Fiume

Piciniera 8 0 0 1 1 1 11

Poggio 5 4 2 1 0 0 12

Ponte 11 3 1 4 4 0 23 Brandola

Ronchi 2 0 4 0 2 0 8

Serre 0 0 2 1 1 3 7

Talbignano 14 4 6 3 3 2 32

Case Sparse 415 74 101 72 99 44 805

237

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Tabella 5.1.1.24 L’epoca di costruzione delle abitazioni per il Censimento 1991 (composizioni percentuali) disaggregate per singole località.

Totale abitazioni per epoca di costruzione Comuni e Composizioni % località abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 37,3 9,8 13,8 13,2 18,2 7,6 100,0

Ca’ Rossi 60,7 10,7 21,4 3,6 3,6 0,0 100,0

Polinago 8,8,2 8,0 13,5 23,1 33,2 14,0 100,0

Ponte 0,0 22,6 51,6 19,4 6,5 0,0 100,0 Gombola Ponte 5,9 41,2 29,4 8,8 8,8 5,9 100,0 Talbignano

Badaglia 22,2 0,0 33,3 33,3 0,0 11,1 100,0

Beguzzi 12,5 6,3 0,0 12,5 62,5 6,3 100,0

Belenci 58,8 5,9 0,0 23,5 5,9 5,9 100,0

Berchio 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Canalina 46,2 15,4 7,7 23,1 0,0, 7,7 100,0

Carloni 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Casale 60,0 10,0 3,3 3,3 23,3 0,0 100,0

Chiesa- 66,7 0,0 13,3 0,0 6,7 13,3 100,0 Cassano

Fiorentino 88,9 0,0 0,0 0,0 11,1 0,0 100,0

Monteleone 46,2 15,4 15,4 0,0 23,1 0,0 100,0

Pian del 83,3 0,0 0,0 0,0 16,7 0,0 100,0 Fiume

Piciniera 72,7 0,0 0,0 9,1 9,1 9,1 100,0

Poggio 41,7 33,3 16,7 8,3 0,0 0,0 100,0

Ponte 47,8 13,0 4,3 17,4 17,4 0,0 100,0 Brandola

Ronchi 25,0 0,0 50,0 0,0 25,0 0,0 100,0

Serre 0,0 0,0 28,6 14,3 14,3 42,9 100,0

Talbignano 43,8 12,5 18,8 9,4 9,4 6,3 100,0

Case Sparse 51,6 9,2 12,5 8,9 12,3 5,5 100,0

L’epoca di costruzione degli alloggi evidenzia le dinamiche edilizie verificatesi negli ultimi 80 anni nel territorio comunale; il dato fa emergere nello stesso tempo come le frazioni più piccole siano spesso anche quelle meno coinvolte nei processi di nuova

238

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costruzione o di sostituzione dei vecchi immobili, garantendo in molti casi la conservazione delle caratteristiche architettoniche storiche.

Tabella 5.1.1.25 L’epoca di costruzione delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991 disaggregate per località.

Abitazioni non occupate per epoca di costruzione

Comuni e Valori assoluti località abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981 Polinago 310 75 86 91 127 61 750 Ca’ Rossi 9 2 0 1 1 0 13 Polinago 17 18 23 52 65 35 210 Ponte 0 3 8 2 1 0 14 Gombola Ponte 0 4 2 0 0 1 7 Talbignano Badaglia 0 0 1 1 0 1 3 Beguzzi 1 0 0 2 1 0 10 Belenci 7 0 0 2 1 0 10 Berchio 1 0 0 0 0 0 1 Canalina 3 0 0 1 0 0 4 Carloni 1 0 0 0 0 0 1 Casale 14 2 1 0 6 0 23 Chiesa- 7 0 0 0 0 1 8 Cassano Fiorentino 4 0 0 0 0 0 4

Monteleone 4 0 1 0 2 0 7 Pian del 0 0 0 0 0 0 0 Fiume Piciniera 5 0 0 1 0 0 6 Poggio 3 2 0 0 0 0 5 Ponte 4 1 0 0 2 0 7 Brandola Ronchi 0 0 2 0 1 0 2 Serre 0 0 2 0 0 0 2 Talbignano 3 4 2 1 1 1 12 Case Sparse 227 39 44 30 42 21 403

Si analizzino le età di costruzione delle abitazioni non occupate suddivise per località: a Polinago capoluogo ben 152 abitazioni su 210 sono state costruite dopo il 1961 (72,4%); presumibilmente molte di queste sono adibite a seconde case; l’altro dato interessante riguarda ancora le Case Sparse , categoria per la quale si hanno

239

Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

227 abitazioni realizzate prima del 1919 (56,3%) mentre sono solo 93 (23,1%) gli immobili realizzati dopo il 1961.

240

Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 5.1.1.26 L’epoca di costruzione delle abitazioni non occupate per il Censimento 1991 (composizioni percentuali) disaggregate per singole località.

Abitazioni non occupate per epoca di costruzione Comuni e Composizioni % località abitate Prima 1919- 1946- 1961- 1972- Dopo il Totale del 1919 1945 1960 1971 1981 1981

Polinago 41,3 10,0 11,5 12,1 16,9 8,1 100,0

Ca’ Rossi 69,2 15,4 0,0 7,7 7,7 0,0 100,0

Polinago 8,1 8,6 11,0 24,8 31,0 16,7 100,0

Ponte 0,0 21,4 57,1 14,3 7,1 0,0 100,0 Gombola Ponte 0,0 57,1 28,6 0,0 0,0 14,3 100,0 Talbignano

Badaglia 0,0 0,0 33,3 33,3 0,0 33,3 100,0

Beguzzi 14,3 0,0 0,0 0,0 71,4 14,3 100,0

Belenci 70,0 0,0 0,0 20,0 10,0 0,0 100,0

Berchio 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Canalina 75,0 0,0 0,0 25,0 0,0 0,0 100,0

Carloni 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Casale 60,9 8,7 4,3 0,0 26,1 0,0 100,0

Chiesa- 87,5 0,0 0,0 0,0 0,0 12,5 100,0 Cassano

Fiorentino 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Monteleone 57,1 0,0 14,3 0,0 28,6 0,0 100,0

Pian del 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Fiume

Piciniera 83,3 0,0 0,0 16,7 0,0 0,0 100,0

Poggio 60,0 40,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Ponte 57,1 14,3 0,0 0,0 28,6 0,0 100,0 Brandola

Ronchi 0,0 0,0 66,7 0,0 33,3 0,0 100,0

Serre 0,0 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 100,0

Talbignano 25,0 33,3 16,7 8,3 8,3 8,3 100,0

Case Sparse 56,3 9,7 10,9 7,4 10,4 5,2 100,0

241

Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Tabella 5.1.1.27 L’epoca di ristrutturazione delle abitazioni totali per il Censimento 1991 (composizioni percentuali) disaggregate per singole località.

Abitazioni totali Comuni e Abitazioni ristrutturate dopo il 1981 % sul totale Valore assoluto e abitazioni costruite o località abitate composizione Valori assoluti Composizione percentuale ristrutturate dopo il percentuale 1981 Polinago 1562 100,0 164 10,5 18,1 Ca’ Rossi 28 100,0 3 10,7 10,7 Polinago 437 100,0 28 6,4 20,4 Ponte 31 100,0 2 6,5 6,5 Gombola Ponte 34 100,0 6 17,6 23,5 Talbignano Badaglia 9 100,0 1 11,1 22,2 Beguzzi 16 100,0 3 18,8 25,0 Belenci 17 100,0 0 0,0 5,9 Berchio 2 100,0 1 50,0 50,0 Canalina 13 100,0 2 15,4 23,1 Carloni 4 100,0 0 0,0 0,0 Casale 30 100,0 8 26,7 26,7 Chiesa- 15 100,0 2 13,3 26,7 Cassano Fiorentino 9 100,0 2 22,2 22,2 Monteleone 13 100,0 0 0,0 0,0 Pian del 6 100,0 0 0,0 0,0 Fiume Piciniera 11 100,0 1 9,1 18,2 Poggio 12 100,0 3 25,0 25,0 Ponte 23 100,0 2 8,7 8,7 Brandola Ronchi 8 100,0 0 0,0 0,0 Serre 7 100,0 1 14,3 57,1 Talbignano 32 100,0 3 9,4 15,6 Case Sparse 805 100,0 96 11,9 17,4

Infine, nella tabella 5.1.1.26 si analizza il numero delle abitazioni ristrutturate dopo il 1981. Nel Comune in esame, su 1562 abitazioni 164 hanno subito negli ultimi venti anni una ristrutturazione (quota pari al 10,5% del totale delle abitazioni e al 18,1% degli alloggi costruiti dopo il 1981); entrando nel dettaglio delle singole località, si nota che a Polinago capoluogo gli immobili recuperati sono 28 su 437 (6,4% sul totale immobili e 20,4% sul totale del costruito post 1981); con la dizione Case Sparse si hanno 96 abitazioni ristrutturate su 805 (11,9% sul totale edifici, mentre la percentuale riferita al totale degli immobili realizzati dopo il 1981 è pari al 17,4%).

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Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Questi dati dimostrano anche la non rilevanza, almeno fino all'inizio degli anni '90, del fenomeno del recupero edilizio che invece comincia a rappresentare una rilevante fetta del mercato delle abitazioni in quasi tutte le altre realtà provinciali. È da presumere pertanto che tale fenomeno comincerà presto a svilupparsi anche a Polinago, sia per il calo della domanda di nuovi alloggi, sia per la convenienza ad utilizzare un patrimonio di un certo valore culturale quando non di stretto valore storico e sia, soprattutto, per la presenza di una quantità veramente rilevante di abitazioni ed edifici costruiti da oltre 30 anni presenti nel territorio comunale.

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Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

5.2 Il patrimonio edilizio storico

5.2.1 Inquadramento storico del territorio comunale di Polinago.

Le prime tracce della presenza dell’uomo nella vallata del Rossenna risalgono ai tempi della preistoria, anche se le prime fonti attendibili di insediamenti stabili risalgono solo all’Alto Medioevo 23 : infatti “(…) Nel periodo feudale (…) le comunità della valle facevano parte del pago o comprensorio del verabolo che, partendo dalle Piane di Mocogno, si allungava di qua e al di là del torrente Rossenna fino alle propaggini del Comitato di Modena. Ne farebbe prova un cippo di pietra collocato in località Cinghianello presso i campi “Le piantate e gli orti”. Vi era incisa sopra una croce con la dicitura “Crux de verabulo”. Era ancora visibile all’inizio del secolo. Esse, sotto i Longobardi prima, poi, sotto i Franco-Carolingi, i Supponidi (famiglia gentilizia scesa probabilmente in Italia tra quei nobili e fidati Franchi che Carlo Magno vi spedì per tenere a freno i Longobardi), sotto gli Attoni, gente nuova venuta dalla Toscana nella valle del Po, favorita prima dai re Ugo e Lotario, poi dagli imperatori Sassoni, godettero sempre di autonomia e relativa indipendenza anche perché i grandi contendenti erano lontano o sollecitati da più pressanti richiami (…) con la disgregazione del feudalesimo e il sorgere dei Comuni, il potere si allargò alle diverse comunità che si vennero gradualmente costituendo e identificabili adesso nelle frazioni-parrocchie. La partecipazione però restava ristretta ancora alle famiglie ricche e colte, ai cosiddetti maggiorenti o signori. Prevalsero allora a Polinago e a Brandola la famiglia Montecuccoli, i De Gomula e i Cesi a Gombola, Cassano e San Martino vallata. Poiché le occasioni di contesa non erano rare, ogni comunità rilevante aveva insieme al suo signore uno o più castelli con spalti e torri d’avvistamento che sorgevano sulle alture. Hanno fatto storia, e sono ancora evidenti i resti dei castelli Rancidoro, Polinago, Brandola, Mirasole di Cadignano, Palaveggio, Gombola, Cassano e il palazzo di Talbignano.” “(…) Nel 1750 Polinago divenne sede di vicepresidenza del governo estense (…)”. “(….) Dal 1861 le locali amministrazioni ebbero un sindaco, un consiglio comunale, e una giunta comunale interpreti della volontà e degli interessi del popolo (…). L’attuale struttura amministrativa risultante di Polinago capoluogo e delle frazioni di

23 “Polinago e le sue frazioni” , di Pasquino Fiorenzi, Elletitre Edipiani Modena, 1986.

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Comune di Polinago QUADRO CONOSCITIVO

Brandola, Gombola, Cassano e San Martino Vallata, lo ricompose, nel 1859, Luigi Carlo Farini che governò i territori modenesi dopo che ne fu cacciato l’ultimo duca austro-estense, Francesco V “ 24 .

Riportiamo di seguito alcune notizie storiche riguardanti le singole frazioni del territorio comunale così come riportate nella bibliografia in nota.

Gombola

“(…) Il pago del verabulo che, scendendo dall’altitudine delle Piane del Mocogno s’avvallava fino alle propaggini del comitato di Modena, ebbe nella contea di Gombola la sua espressione storico-politica più rilevante. Di parte ghibellina, capeggiò le comunità della montagna nella lotta contro i guelfi di Modena di Reggio e di Bologna, le incitò e sostenne nella rivolta al Marchese Azzo VIII d’Este, signore non gradito di Modena (1301-1306), le organizzò per respingere l’invasione del Duca Passerino (1321), e, nel proprio interesse, le ordinò e le destabilizzò a piacimento. Dal 1265 al 1268 le aveva coinvolte nella lotta tra le opposte fazioni modenesi degli Aigoni e dei Grasolfi, quest’ultimi ospitati nel castello di Brandola. E’ di quest’epoca, e precisamente del 1271, la notizia che un certo Sguarza da Gombola lasciò ai Padri Predicatori di Modena “tre case, terre, biade ed altri effetti per la costruzione della Chiesa di San Matteo”, oggi Chiesa di San Domenico. Il toponimo le deriva da “Saxus Gomulum”, ossia “cumulo rosso”, l’immenso macigno sopra il quale sorsero il castello e il borgo e che cade a strapiombo sul fianco sinistro del torrente Rossenna, di fronte a quel fenomeno di antichissima formazione geologica che sono le “Lastre” , potenti strati di arenaria aventi la stessa inclinazione della superficie topografica e tendenti a scivolare sugli interstrati argillosi, tanto da richiedere un intervento per consolidarli mediante inchiavardamento. La storia di Gombola si identifica un po’ con la nobile famiglia che la ebbe in feudo: la famiglia “De Gomula”. Poiché l’avvicendamento sul territorio italiano di imperatori, re, potenti, feudatari ingenerava anarchia di attribuzione di poteri, i comitati, espressione giuridica di allora per indicare circoscrizioni minori vaste di territori e di popolazioni, finirono per sbriciolarsi in circoscrizioni minori alle quali di diritto o di prepotenza si imposero famiglie privilegiate con il titolo di conti, marchesi, visconti, margravi. Dal

24 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pagg. 10-11.

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1156 questi titolari vantarono diritti giurisdizionali anche oltre i confini del loro piccolo dominio, sicché gli altri signori, inferiori di titolo, si appellarono sovente al comitato di Modena. Questa fu anche la sorte del Frignano e, in questo contesto, diplomaticamente, si evidenziò il comitato rurale di Gombola. Secondo ogni probabilità, i ministeriali dei conti di Gombola furono i violatori dei privilegi di Rocca Santa Maria, condannati da Matilde di Canossa nel placito di Montebaranzone dell’aprile del 1108, con il quale venivano tolti loro i diritti di albergo e di altre prestazioni, devoluti al vescovo di Modena Dodone. I De Gomula contestarono aspramente, ma la contessa precisò: “Nessuno di Rocca Santa Maria sarà obbligato a questo servizio di albergaria e a tutti quelli che tengono terre dei Conti di Gombola le restituiscano immediatamente per non pregiudicare i diritti della Rocca“. Altre volte la Contessa li aveva privilegiati con donazioni come quando, poco prima di morire, li infeudò dei monti San Martino alla vallata. L’importanza di Gombola è riconosciuta anche negli Statuti Modenesi che, nel secolo XIV la qualificarono come comitato. Altri conti rurali non si trovano nell’Appennino modenese ai quali possa adattarsi il citato placito matildico. Fu il comitato gombolese quasi un’isola di tipo arcaico nell’Appennino di Modena. Lì si formò un codice statuario che forse in origine fu schiettamente feudale, con gradazioni di titoli e di competenze. Infatti, i conti di Gombola finirono per estendere il loro ombrello dominazionale a Polinago, Brandola, Rancidoro, Cassano, Morano, Casale, Pompeano, Scorzolese, La Pieve del Monte, Lama, Sasso Morello, Cadignano. Il comitato di Gombola conservò l’antica giustizia amministrata dai propri titolari. Rimasero frattanto soggetti alla giustizia comitale degli Attoni, come immediatamente Montebaranzone e mediamente per investiture a vassalli, Le Pievi di Trebbio, di Pelago di Pavullo. Al conte spettava la podestà esecutiva e la presidenza dell’assemblea - il mallo -. L’applicazione delle leggi spettava al collegio di scabini o giudici inquisitori e di altri che lo assistevano. Questi ultimi, a loro volta, formavano altrettante dinastie di vassallaggio in ogni comitato. Erano gli stessi chiamati sulle terre di ragione immediata e mediata del conte (…)”. “(..) Il castello, la torre, le prigioni, il borgo, all’interno del borgo la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo “Potenza di Dio”, furono costituiti su una cima sassosa, a strapiombo sul fiume Rossenna. Una prima notizia di questa rocca è in un documento del 1016 nel quale Berno, figlio di Gherardo da Brandola riconosce ai Monaci di San Pietro in Modena proprietà da lui prima rivendicate. Verso il 1130 una slavina la fece crollare. Ricostruita, la famiglia

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De Gomula vi scrisse nelle sue tetre sale la propria storia di potenza, di prepotenza, di durissimi giudizi, di violenze e di oppressioni. Protetta da tre lati dal fiume Rossenna, il cui corso in quel punto è particolarmente tortuoso, aveva vulnerabile solamente il lato nord, ma anche a questo con scarse possibilità di favorevole esito, poiché a considerare bene il troncone di roccia su cui fu costruito il campanile della chiesa parrocchiale, il “Saxus Gomulum” doveva essere assai più vasto verso Sud- Est ed anche più elevato tanto da rendere meno percorribile l’unica strada di accesso, dalla parte Nord. Questa strada, poco più di un sentiero, portava direttamente al fortilizio di Palaveggio, che stava a guardia di tutta la zona meridionale della valle. Era il posto di osservazione più idoneo per avvistare i segnali delle altre rocche e torri dei De Gomula poste a Talbignano, San Martino Vallata e Morano. Palaveggio, oltre che essere il miglior avamposto a difesa del castello di Gombola, traeva vantaggio anche dal sottostante fortilizio della rocca di Talbignano dalla quale, attraverso cunicoli e sentieri, praticabili solo da chi li conosceva bene, si poteva raggiungere e dare l’allarme con il semplice stormire delle campane poste in cima alla torre (…)”. “Compito della famiglia Cesis, nuova famiglia del contado di Gombola, sarà la ricostruzione della rocca, non più sul Saxum Gomulum, ma nell’amena Villa di Talbignano, dove, nel 1515 era ancora ubicata una chiesa soggetta alla Parrocchia di Cassano. Della famiglia Cesis, come già prima della famiglia De Gomula, ce ne fa la storia Girolamo Tiraboschi, sempre nel dizionario storico-topografico degli Stati Estensi (…)”. “Di fatto Gherardo o Gherardino fu l’ultimo di questa famiglia conte di Gombola, come tra poco vedremo. Doveva egli essere morto verso il 1416 perciocché in quest’anno a 25 di giugno il Marchese Niccolò III avendo riguardo a meriti de’ maggiori del nobil uomo Geminiano de’ Cesis, di lui medesimo, gli fece dono dei castelli di Gombola e di Pompeiano, della torre di San Martino, detta della Casa de’ Rossi, ora San Martino di vallata, e della torre di Talbignano. Questo Geminiano de’ Cesis Batista, di cui si è fatto cenno, e questo primo Geminiano era stato medico dei Marchesi Niccolò II ed Alberto D’Este, signori di Ferrara e di Modena.” 25

Polinago

25 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pagg. 12-15.

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“La storia di Polinago indietreggia molto nel tempo e si perde nel groviglio delle oscure vicende dell’Alto Medio Evo. La prima collocazione toponomastica è del 931 in un placito tenuto in Renno del Conte Supone conservato nell’archivio capitolare di Parma ed in altre carte dell’archivio capitolare di Modena negli anni 943, 996, 1003, 1013. Polinago con il titolo di Pieve è ricordato in un altro documento del 1035 e successivamente in un altro ancora del 1038 (...)". “La Pieve di Polinago estendeva il suo prestigio su gran parte della Valle del Rossenna (…)”. ”Nel 1212, invece, Polinago fu dato in feudo alla famiglia Montecuccoli dall’imperatore Ottone IV. La nobile famiglia tramite sue personalità laiche ed ecclesiastiche, per diversi secoli influì politicamente e religiosamente sul territorio, spesso in concorrenza con la potente famiglia De Gomula, signora di Gombola. Fino a quando la famiglia Montecuccoli signoreggiò sul Comune di Brandola, Polinago obbedì alla sua giurisdizione.” 26

Brandola

“Come altre comunità della Valle Rossenna, anche Brandola appartiene al territorio del verabulo e fu successivamente dominio dei Romani, dei Longobardi, dei Franco- Carolingi, dei Supponidi, degli Ottoni di Germania e degli Estensi di Modena. Brandola è nominata in un documento del secolo XI e particolarmente, nella dedizione ai modenesi nel 1197. Negli anni 1265 e 1268 accaddero nei pressi di questo luogo alcuni fatti d’arme provocati dalla lotta tra gli Aigoni di Modena di parte guelfa e i Grasolfi di parte ghibellina (…)”. “Se i De Gomula, signori di Gombola, dominarono il feudo di Brandola, pare che fossero i signori di Brandola a dominare dapprima il feudo di Gombola. Infatti, in un documento del 1144, copia di un altro del 1016, si precisa che Berno, figlio del fu Gherardo da Brandola, essendosi impossessato della rocca di Gombola, riconosce la proprietà di metà dello stesso al Monastero di San Pietro a Modena. C’è addirittura chi afferma che i De Gomula, discendano dai signori di Brandola (…)”. “Nella seconda metà del secolo XIV i conti di Gombola cedettero Brandola ai Montecuccoli che la tennero fino al 1408; fu in quell’anno che dai Montecuccoli passò alla famiglia dei Pio, i quali la aggregarono al governo di Sassuolo. Nel 1496, sorti gravi dissensi nella famiglia Pio, il Duca Ercole

26 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pag. 16.

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I fece occupare Brandola dai suoi soldati. All’impresa per spiegabile spirito di vendetta, partecipò con 500 fanti anche Cesare Montecuccoli, signore di Polinago. Tornato in possesso dei Pio, che la tennero fino al 1599, venne recuperata alla camera ducale che, a sua volta, nel 1622 la concesse in feudo con il titolo di marchesato, alla nobile famiglia di Camillo Zavagli di Ferrara, che ritenne fino alla occupazione francese del 1796 (…)”. “Le rovine di esso, servirono nel 1875 alla costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale. Brandola podesteria con sede nella rocca fin dalla sua prima storia entrò nella geografia amministrativa di Polinago nel 1859 a seguito della ristrutturazione della Provincia dal Dittatore Luigi Farini (…). “Nel 1961 la Curia Arcivescovile di Modena, vendette per “un piatto di lenticchie” (tre milioni di lire) la Chiesa e la Casa Canonica. L’operazione fu fatta all’insaputa della popolazione, che la ritenne un sacrilegio. Dove pregò un popolo devoto, oggi, si rincorrono e si accoppiano polli e conigli. Una stalla. Dal 1962 il servizio religioso si svolge nella modesta cappella presso il ponte (…)”. “Brandola è una delle quattro frazioni del Comune di Polinago. Il toponimo è di origine germanico-longobarda: Brandilo-Brando. Sul breve tratto di fiume che la sparta, macinavano in passato cinque mulini: quello di Cuccorosso, del Ghiraldo, del Corso, della Cabassa e di Minello. Il fianco sinistro degrada in terre fertilissime, ricche di vigne e di filari sul fiume Rossenna, mentre quello destro sale rapidamente verso le “selve” cariche di boschi, mecca dei micologi dalle quali scendono diversi castelli. Unifica i due versanti l’antichissimo ponte costruito dalle truppe austro-estensi durante la prima guerra d’Indipendenza (1859)”. In prossimità di Brandola vi è un piccolo borghetto di Casa di Messer Pola, “(…) sontuosa residenza della antichissima famiglia Pola, già nota a Polinago dal secolo XVI. Sono ancora rilevabili insegne, iscrizioni, modanature architettoniche molto eleganti, fregiature finissime. Dopo le famiglie dei governatori e dei podestà doveva essere la più influente.” 27

27 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pagg. 17-18.

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Talbignano

“Il castello di Talbignano da Enrico III Imperatore Romano concesso a Rolando Conte di Gomola e da Sigismondo Romano Imperatore, essendosi estinto il casato dei Gomola, donato a Cesis Geminiano assieme al comitato di Gombola come regno. Enea e Orazio de Cesis signori di Gombola ne curarono i restauri nell’anno del Signore 1613 (…)”. “La decisione della famiglia Cesis di ubicare la nuova residenza a Talbignano ebbe motivi di comodità e ragioni strategiche. Qui, infatti, dai tempi lontanissimi si levava una torre fortificata d’avvistamento che, con quelle di Pompeano, Morano e Ca’ dei Rossi a San Martino Vallata controllava la parte meridionale del feudo (…)”. “Di Talbignano o Talpiniano, dal latino “Talpinius”, si ha notizia in una carta dell’Archivio Capitolare di Modena dell’anno 1308. In un altro documento dello stesso archivio, datato al 3 dicembre 1333, si riferisce che “Pinello da Talbignano modenese, Procuratore di Ugolini da Talbignano beneficiato nella Cattedrale di Modena, presenta a Giovanni Rettore della Chiesa di Santa Maria Rotonda dei Galluzzi in Bologna e insieme canonico della Pieve di Santa Maria di Polinago una lettera del Cardinale Bertrando legato, con cui concede un canonicato nella Pieve medesima al detto Ugolino, così Giovanni, come Rodolfo, canonico egli pure di quella Chiesa” 28 .

San Martino Vallata

“(…) L’amena vallata che, dai monti sovrastanti, scende ondeggiando al torrente Rossenna, precisa meglio quella che, moltissimi anni or sono, altro non era che una oscura e selvosa località San Martino Vallata. La sua prima collocazione storica risale ad una carta dell’Archivio Capitolare di Modena che, in data 1035, la ricorda come “cappella” della Pieve di Polinago insieme a San Maria di Gradana, San Michele di Sasturno, San Pietro di Tavernella, Santa Lucia di Curinano (forse Cuspiano), San Giovanni di Mocogno, San Andrea di Cadignano, San Paolo di Casarola, San Pietro di Pianorso, San Niccolò di Rancidoro, San Ippolito di Cassano, Santa Margherita di Maranello, San Bartolomeo di Casale, San Giorgio di San Giorgio, San Benedetto di Gombola, San Giacomo e San Filippo di Scorzolese, San Giovanni di Cinghianello, San Salvatore di Brandola, San Geminiano di Sasso

28 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pag. 19.

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e Santa Apollinare dell’Ospedale di Pian dell’Acqua. SI dice che, poco prima di morire, nel 1115, Matilde di Canossa, la grande contessa, fece dono dei monti di San Martino ai conti di Gombola. Ecco perché nelle investiture successive di quei feudatari, sono sempre ricordate le torri di San Martino dette anche le Torri di “Ca’ de’ Rossi”. Sono tre e risalgono all’età matildica. Ne restano i ruderi. Servivano, insieme a quelle di Talbignano, di Morano e Pompeano, da avvistamento e da difesa del versante meridionale della Contea di Gombola. Le Torri di Ca’ de’ Rossi sono ricordate anche in una carta del 1377 nella quale si racconta che Venturino da Costrignano, mandatario degli uomini del comune di San Martino di Cassano, sottomise i beni dei mandanti ai Marchesi Niccolò ed Alberto D’Este. Dapprima San Martino fece civilmente comunità con Cassano, poi, quando, estinta la famiglia dei De Gomula, il marchese Niccolò III d’Este investì nel feudo di Gombola Geminiano della nobile famiglia Cesis, fu integrata in quella podesteria seguendone le vicende politiche fino al momento della dominazione francese (1796-1814), che soppresse tutte le istituzioni feudali. Dal 1815 al 1859 San Martino fu sezione del Comune di Sassuolo 29 . Da quella data entrò a far parte dell’Amministrazione civica di Polinago” 30

29 “La valle del Rossenna” , Ottavio Parisi, Aedes Muratoriana, Modena, 1967. 30 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo I°, pagg. 20-21.

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5.2.2 Gli edifici storici

La casa rurale storica é il risultato diretto di un complesso di relazioni intercorrenti tra l’ambiente fisico e le peculiarità sociali, economiche e culturali di una data società. In paesi come il nostro, in cui la distribuzione della popolazione agricola é caratterizzata da piccoli nuclei o da case sparse, uno studio attento sull’abitazione e sui suoi modi d’aggregazione può costituire la migliore fonte di conoscenza di una comunità di collina. Per quanto concerne il podere emiliano, la casa agricola ne rappresenta il centro pulsante; i rapporti di produzione e l’organizzazione economica adottati all’interno dell’azienda ne influenzano la morfologia. Di fatto, l’edificio rurale é una struttura prettamente funzionale, al servizio dell’azienda. Ne consegue quindi che ogni variazione o evoluzione dei rapporti gestionali e tecnologici all’interno del podere, influisce direttamente sull’organizzazione della dimora contadina. Il fenomeno di spopolamento delle zone montane che ha caratterizzato l’Appennino modenese dal secondo dopoguerra in avanti ha provocato come diretta conseguenza l’abbandono di molti immobili presenti nell’area; anno dopo anno, lo stock edilizio storico tende sempre più a ridursi e a trasformarsi in rudere, in quanto gli edifici si degradano ad un punto tale che il mercato, anche quello fiorente delle seconde case, non reputa più conveniente recuperare. La predisposizione del Quadro Conoscitivo, propedeutico alla formazione del nuovo strumento di pianificazione comunale, può fornire un’occasione per stilare, a distanza di quindici anni dall’ultimo studio tematico 31 , un aggiornamento sullo stato di conservazione del patrimonio edilizio storico. L’indagine s’impegna a valutare lo stato in cui versano gli edifici che presentano un interesse storico testimoniale, evidenziando nel contempo le modifiche apportate ai corpi edilizi negli ultimi anni, la congruenza e l’integrazione dei recuperi effettuati con la trama architettonica originaria, se ancora leggibile.

31 Infatti, alla fine degli anni ’80, i progettisti del piano regolatore vigente hanno effettuato un’indagine tesa al rilevamento dei beni culturali immobili, basato sia sullo stato di conservazione degli edifici storici, sia sulle trasformazioni che i centri abitati hanno subito nell’ultimo secolo. Il lavoro, di per sé molto corposo, terminava con delle proposte di recupero delle principali emergenze architettoniche presenti sul territorio comunale.

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Un approfondito censimento dello stato dell’arte del patrimonio edilizio storico, se è capace di proporre un codice di lettura delle tipologie edilizie, può essere utile per codificare delle regole certe (e si spera condivise) da applicare al recupero edilizio delle emergenze esistenti. Infatti, una ristrutturazione attenta, basata su una metodologia “scientifica”, genera paradossalmente anche un controllo sulla qualità per le nuove edificazioni. Ecco che la realizzazione di un abaco dello stato di conservazione del patrimonio edilizio storico offre uno strumento in più all’Amministrazione comunale competente per selezionare, e calibrare, gli interventi in modo da massimizzare sia gli investimenti effettuati che i risultati ottenuti. Lo studio più completo sulla tipologia della casa rurale emiliana é quello compiuto dal CNR a metà degli anni ’50. Da questo studio emerge che: - nella nostra regione le forme abitative funzionali sono numerose, influenzate dai rapporti di produzione e dalle diverse colture impiantate; - le forme d’insediamento più antico ed ancora documentabili si trovano nelle zone montane, mentre quelle di più recente acquisizione sono nella bassa pianura; - le tipologie edilizie che presentano una omogeneità e una stabilità maggiore nel territorio si trovano in pianura, mentre in montagna vi é maggiore varietà delle forme. Nell’area in esame, la maggioranza dei fabbricati tradisce un’origine legata alle pratiche agricole; numerose sono le chiese parrocchiali e gli oratori. Anche l’insediamento più antico, pur presentando caratteri tipologici di tipo rurale, spesso è costituito da minute aggregazioni di più corpi di fabbrica aventi differenti destinazioni d’uso. Ancora oggi non é raro trovare nelle campagne edifici colonici che presentano una torre. Questi manufatti rappresentano i nuclei primigeni della colonizzazione delle campagne avvenuta tra i secoli XIII e XV e la torre, ripresa dagli schemi tipologici tipici dei borghi medioevali, é la forma edilizia più consona ad un ambiente spesso malsano ed insicuro. La distribuzione degli spazi interni prevede al piano terra i locali per gli animali e gli strumenti agricoli; al piano superiore, i locali per gli uomini e per la conservazione delle derrate alimentari; all’ultimo piano invece vi si trovava la colombaia, nello stesso tempo fonte alimentare e di fertilizzanti molto apprezzati 32 .

32 Gli escrementi dei colombi vengono utilizzati a tale scopo fino al secolo XVIII

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Nel tempo, la variazione delle condizioni ambientali e delle tecniche produttive porta di conseguenza all’alterazione morfologica della dimora rurale: alla torre vengono accorpati edifici più bassi ed allungati, spesso disposti in maniera da circoscrivere uno spazio aperto. L’impianto a corte, comunque poco presente nel nostro territorio, può realizzarsi in due forme: a corte chiusa, quando appare completamente circondata da edifici o mura; aperta, quando é parzialmente delimitata da siepi vive o filari di alberi. All’interno vi si trova l’orto ed uno spazio specifico, l’aia, sede delle attività di trasformazione dei prodotti agricoli. Nell’area in esame, una particolare attenzione si è rivolta all'individuazione degli antichi mulini ad acqua 33 , che servivano per la macinazione e la trasformazione di numerosi prodotti agricoli locali, quali il grano per la panificazione, il granoturco per la farina gialla da polenta, l'orzo, l'avena e la segale. Gli edifici che ospitavano gli strumenti per la macinazione si presentavano in genere con dimensioni abbastanza ridotte ma al loro fianco sorgevano, quasi sempre, altri fabbricati che accoglievano diverse funzioni, dall'abitazione alle attività complementari alla macina per le trasformazioni manifatturiere dei prodotti. Oggi, della maggior parte di questi mulini si conserva traccia nei toponimi, ma purtroppo questa testimonianza rimane spesso l'unica traccia dell'antica attività economica, poiché il mutamento delle destinazioni d'uso degli edifici, le opere di ristrutturazione o la semplice incuria rendono nella maggioranza dei casi molto difficile la lettura tipologica dei fabbricati. Indipendentemente dal loro stato di conservazione tutti questi edifici presentano rimaneggiamenti e modificazioni e comunque, adattati a svolgere principalmente una funzione residenziale, hanno perduto le caratteristiche tipologiche legate alla loro antica funzione produttiva. Altri fabbricati i cui toponimi fanno pensare ad ulteriori attività manifatturiere (fornaci, fabbrerie, ecc.) risultavano ubicati nei pressi dei torrenti principali, e spesso potevano usufruire di adduzioni dirette di acqua attraverso piccoli canali che lambivano gli insediamenti.

33 Il tema dei mulini ad acqua verrà ripreso ancora a pagina 38.

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Brevi cenni sui materiali e sulle tecniche costruttive storiche:

Murature Di fatto, le murature si distinguono essenzialmente per il tipo di materiale in cui sono realizzate. Spesso, è la posizione geografica insieme alla morfologia dell’area che determina l’uso di un determinato tipo di pietra. Nelle zone di fondovalle era ovviamente privilegiata la pietra di fiume, magari unita a mattoni, utili a realizzare archi di scarico della struttura e piccole volte. Più frequente l’uso della pietra di cava, che era grossolanamente squadra per adattarla allo scopo; nelle nostre zone prevalgono le pietre sedimentarie come le arenarie e le marne calcaree. Se l’immobile era dislocato lontano sia dal greto del fiume che dalle cave più vicine, allora il materiale di costruzione che veniva privilegiato era costituito dal pietrame recuperato dal dissodamento dei campi coltivati; le pietre venivano accumulate al centro del campo o sotto gli alberi isolati all’atto dell’aratura ed erano successivamente recuperate per l’utilizzo. Spesso nei cantonali è ancora possibile rilevare pietre che presentano raffigurazioni molto interessanti, legate alla vita dei campi o alla famiglia proprietaria. Comunque, qualunque fosse il materiale utilizzato, era posto in opera con un procedimento d’assemblaggio e sovrapposizione dei pezzi litici fino ad ottenere un piano orizzontale che cresceva fino all’altezza desiderata.

Coperture Nelle zone montane, oltre i 700-800 metri d’altitudine, storicamente le coperture erano realizzate a “piagne”, in altre parole da lastre in arenaria che erano poste in opera a secco. La funzione di gronda era garantita dalle lastre sovrapposte; sulla linea di displuvio le pietre erano poste orizzontalmente a coprire il trave centrale. In certi casi, e per le abitazioni costruite più recentemente, alle piagne è stato privilegiato il coppo di fornace, utilizzato sia sovrapposto (coppo su coppo) che con l’utilizzo d’embrici o di lambrecchiature (legname grezzo ottenuto dalla scortecciatura del fusto).

Stuccature In certi casi, alla muratura a secco era unita una stuccatura; realizzata tra pietra e pietra aveva lo scopo d’impedire all’acqua di penetrare nella struttura muraria.

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Spesso la stuccatura era costituita da una malta di calce; in alcuni casi, poteva essere realizzata da un impasto di terra e sabbia.

Strutture d’accesso, porte, finestre e colombaie La forma e la dimensione delle aperture nelle dimore storiche era condizionato sia dall’utilizzo che l’edificio doveva svolgere che dalla particolare zona climatica e altimetrica in cui insisteva l’immobile. Di solito, le abitazioni comuni prevedevano porte e finestre di piccole dimensioni; in molti casi gli architravi delle porte, realizzati in legno o in pietra, portavano impressa la data di costruzione o il nome e lo stemma della proprietà del fondo. Molto interessanti anche le spallette delle porte e delle finestre, spesso costituite da blocchi unici in pietra ornati con disegni e ideogrammi. In concreto, con le informazioni desunte dagli studi precedenti é stato possibile creare una mappatura degli edifici rurali storici esistenti nell’area d’indagine. Successivamente, si é proceduto ad uno studio più approfondito con l’integrazione di dati fotografici e rilievi sul posto eseguiti sul singolo edificio storico. A questo scopo si é studiata una scheda di raccolta dati in cui, edificio per edificio, sono indicati: - la denominazione dell’immobile e altri dati di riconoscimento; - la classificazione tipologica di appartenenza; - lo schema strutturale degli elementi che compongono la struttura edilizia (pilastri e travi in legno, pilastri ed archi, solai e volte multiple ...); - lo stato di conservazione; - l’impiego attuale e le eventuali variazioni d’uso; - le trasformazioni strutturali, interne ed esterne, avvenute nel tempo. Questo tipo di schedatura, seppur parziale, é necessaria per valutare lo stato di conservazione, ovvero, il grado d’alterazione in cui versano gli edifici storici censiti dal precedente Piano Regolatore.

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Comune di POLINAGO Stato dell’arte del patrimonio edilizio storico in territorio extraurbano

Localizzazione dell’edificio:

Numero scheda Toponimo Frazione Riferimento fotografico CTR 1:5000 Data rilievo

La Rullino n°: Negativo n°: 14 giugno 42/22 Gombola Casella 4 17-21 2001

Caratteristiche dell’edificio allo stato attuale:

Stato di Proservizi Rapporto Grado di conservazione conservazione Schema presenti nel con l’area Tipo di edificio o d’alterazione della delle parti Tipo di impiego strutturale complesso di tipologia originaria fisiche edilizio pertinenza dell’edificio Villa Pietra Sufficiente Continuo Pollaio Aia Elevato grado di Edificio conservazione dei caratteri Pilastri e residenziale non Buono Saltuario Forno Siepe tipologici originari travi in legno rurale Pilastri e Edificio civile Medio Non usato Porcile Parco Parziale alterazione dei archi caratteri tipologici originari Struttura in Viale Edificio religioso Cattivo Proprio Essicatoio c.a. alberato Casa colonica Misto Rudere Improprio Garage Muro di cinta Totale alterazione dei Accessorio caratteri tipologici originari Crollo agricolo Altro Altro Altro Altro Edificio produttivo Nuova edificazione Altro Note: Note: Note: Note: Note: Note: Note:

Classificazione tipologica proposta dal precedente PRG:

Restauro scientifico Restauro e risanamento Restauro e risanamento Ristrutturazione edilizia conservativo di tipo A conservativo di tipo B

Planimetria dell’area d’interesse:

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Fotografie allegate:

Foto n°1 – Vista d’insieme del nucleo rurale “La Casella”.

Foto n°2 – Vista frontale dell’edificio principale dell’abitato.

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Foto n°3 – Vista di un altro edificio attualmente adibito ad uso stagionale.

Foto n°4 – Particolare del portone e dell’architrave posto sulla facciata posteriore dell’edificio principale del nucleo.

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Commento alla scheda:

Il nucleo rurale è molto interessante perché ha mantenuto pressoché intatte sia le sue caratteristiche tipologiche che materiche.

I muri degli edifici principali sono costituiti da conci in pietra mentre quelli dei fabbricati dedicati ai proservizi sono realizzati in mattoni.

La copertura di tutti gli edifici del nucleo rurale è realizzata a piagne anche se attualmente si rilevano alcuni rimaneggiamenti successivi realizzati con coppi a marsigliese.

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L’allegato “E” del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) vigente descrive le emergenze architettoniche vincolate ai sensi della Legge 1089/39. Questa la situazione per il Comune in esame: Palazzo di Talbignano, Chiese parrocchiali di Santa Maria Assunta (in questo caso è vincolato anche il campanile maggiore) e San Martino in Vallata, Oratorio della Beata Vergine della Rondine ancora a San Martino in Vallata, Ponte Cervaro sul Rio Cervaro ed ex chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Gombola.

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5.2.3 La viabilità storica

Le analisi svolte durante l’allestimento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) si sono occupate anche della viabilità storica presente nell’area in esame, evidenziando quelle direttrici che ancora oggi sono utilizzate da quelle che attualmente sono declassate a sentieri, a strade ghiaiate o di cui si sono perse letteralmente le tracce. Le principali vie di attraversamento dell'epoca corrispondono solo in parte alle attuali; infatti queste seguono le medesime direttrici territoriali ma per lo più presentano andamenti diversi, come è ovvio in un territorio d’alta collina ed in buona parte anche montano, dove i varchi naturali di passaggio rimangono gli stessi. Il comune risente in maniera forte dell’assetto orografico del territorio: la valle, in alcuni punti stretta ed aspra, è sempre stata tagliata fuori dalle principali vie storiche di comunicazione. Infatti i principali percorsi lungo la direttrice nord-sud attraversavano le vicine vallate del Panaro e del Secchia, lasciando alle vie di crinale il compito di collegare le valli fra loro (percorsi tratteggiati in grassetto). Infatti, come è possibile leggere dalla carta, Polinago era collegato alla pianura solo da una viabilità storica minore, ora classificata dal PTCP vigente come strada panoramica, che correva parallelamente al corso del torrente Rossenna. Dello stesso ordine di importanza della precedente era anche la strada di mezzacosta che dall’attuale Talbignano raggiungeva il capoluogo comunale, passando dai borghi di Ca’ dei Rossi, Cassano e il Poggio. Anche per questo tracciato rimangono rilevanti tracce sulle quali insiste l’attuale infrastruttura viaria. Esistevano inoltre strade minori, che svolgevano nel passato un ruolo di servizio e portavano alle località rurali meno importanti, collocate quasi sempre a mezzacosta o in posizione di fondovalle. Ebbene una parte rilevante di questo importante reticolo secondario è andato completamente perduto, ovvero ha assunto una connotazione molto marginale per effetto di una chiara declassificazione funzionale.

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Figura n°1 – Viabilità storica rilevabile nel Comune di Polinago.

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I Mulini della valle del torrente Rossenna

Come già avanzato precedentemente, una delle caratteristiche peculiari del territorio comunale è data dalla presenza di antichi mulini che, in parte, insistono ancora sulle rive del torrente Rossenna. Come si può desumere dalla lettura di uno Studio di fattibilità: 34 “(…) Il territorio della Valle del torrente Rossenna e dei suoi principali affluenti (Rio Mocogno, Rio Lavachiello, Rio Giordano, Rio Cogorno, Rio Pratola, Rio di Selva, Rio Torella, Rio Cervaro) ha da epoca antichissima ospitato numerosissimi mulini che utilizzano l’energia dei corsi d’acqua naturali per la macinazione del frumento, granturco, castagne, biade, ghiande, ed anche noci e olivi (frutto presente nella valle fino al 1600-1700) per la produzione di olio. E’ da segnalare inoltre la presenza di opifici ad acqua quali filatoi, tintorie, folloni per tessuti di lana, magli per la lavorazione del ferro. Lungo il percorso del Torrente Rossenna in Comune di Polinago erano attivi i mulini: di Casa Tucci, del Mulinetto, di Cuccorosso, del Ghiraldo, del Corso, della Cà Rossa, di Minello, di Casa Turrini, di Contratto, di Gombola, di Sotto, di S. Croce, di Talbignano. Oggi la maggior parte di questi mulini sono inattivi, in diversi si conservano le strutture, altri hanno cambiato destinazione, molti si trovano in abbandono e in grave stato di degrado. E’ da segnalare il ricordo che nel Mulino di Turrini tra macina e macina veniva inserita una lastra di sughero per la “sbucciatura” del farro, antichissimo cereale utilizzato per preparare anche minestre. Il Mulino di Gombola (o Veratti) resta uno dei pochi ad acqua ancora in attività. La promozione di un recupero e restauro di questo mulino per un utilizzo produttivo e didattico, può diventare un importante tassello di questo progetto organico dei Borghi del Rossenna (…)” .

34 Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo II°, pag. 31.

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5.2.4 Le emergenze naturalistiche nel territorio comunale di Polinago.

L’acqua di Brandola 35

Il toponimo deriva dalla parola latina “balneum” o bagno, lascia supporre quassù, non molto lontano da Ponte Ercole, un insediamento romano. Lo testimonierebbero i nomi di Ercole ed Apollo, divinità greco-romane, reperti di antichissime costruzioni, ritrovamenti di monete consolari ed imprenditoriali, monili ed altri oggetti preziosi in giacenze sepolcrali. C’erano forse quassù, fin da allora stabilimenti termali? Una cosa è certa, le acque riscoperte quassù nel 1448 meritano uno studio particolarissimo. Fu un’occasione a riproporle: “in quell’anno, infatti, racconta Gabriele Falloppia nel suo libro “Medicatis aquis”, infieriva nella zona un’epidemia che mieteva numerosissime vittime fra i bovini con orina sanguigna; quand’ecco si constatò che tutti gli animali che bevevano l’acqua di questa sorgente, guarivano, mentre gli altri morivano inesorabilmente nonostante ogni cura. Diffusasi la notizia, i contadini dei dintorni corsero ad abbeverare le loro bestie ammalate alla fonte miracolosa e ben presto si cominciò ad usare l’acqua anche per curare certe malattie degli uomini (mali di vescica e vizi d’orina con sangue). Galassi Pio, che allora signoreggiava su Brandola, inviò un campione dell’acqua al celebre medico Michele Savonarola, il quale la analizzò e ne parlò nel suo trattato “De balneis et termis”. Successivamente diversi altri, fra questi Bartolomeo Accursini nel “Tractatum et consultationum medicinalium”, che cita in diversi punti l’acqua di Brandola da lui usata per curare certi suoi illustri pazienti affetti da malattie di fegato e di ulcera, Andrea Bacci ed Antonio Vallisnieri. Verso la fine del secolo XVII, la conca in cui si raccoglieva l’acqua della sorgente era serrata da un chiavistello ed era collocata in un piccolo edificio interrato nel pendio del monte. Esso fu restaurato nel 1740; poi nel 1777, il duca Francesco III, per eliminare le frodi che si erano andate diffondendo ad opera dei rivenditori d’acqua, che non esitavano ad adulterarla. autorizzò il livellario della fonte, Andrea Bertacchi, a rilasciarla solo entro fiaschi di vetro munito di particolare sigillo a garanzia della genuinità.

35 I testi della sottosezione relativa alle emergenze naturalistiche del Comune di Polinago sono state desunte dallo Studio di fattibilità “Borgo di Gombola – Circuito ambientale integrato” , S.T.A. Bioarchitettura – Arch. G. Bartolacelli, settembre 1998. Tomo II°, pagg. 32-41.

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Ponte Ercole o Ponte del Diavolo

A proposito di questa originalità geologica, il Tiraboschi nel suo dizionario topografico-storico, particolareggia: "(…) Nel territorio di Brandola è un pregievole scherzo della natura, cioè un ponte di pietra tutto di un masso da essa formato, che ha 42 braccia di corda, 8 di raggio e 5 di Ercole, con cui si nomina, e quello di

Montapollo, che è un larghezza e sotto ha una strada, né vi scorre acqua se non per pioggia. Se il nome di Ponte monticello a meriggio del ponte, venga da culto, che ivi si rendesse ad Ercole o ad Apolline, non può dirsi che per congettura. Di questa originalità ne parla anche lo storico frignanese Lorenzo Gigli nel suo scritto intitolato Vocabolario etimologico-topografico e storico delle Castella, Rocche, Terre e Ville antiche e moderne della Provincia del Frignano compilato tra il 1721 e 1723, del quale si servì largamente Girolamo Tiraboschi per il suo dizionario topografico - storico degli Stati Estensi. Il Gigli racconta: "Non devo lasciare di notare due cose mirabili, che rinomato rendono un monte del distretto di questa Villa. Su questo monte detto Montapollo in primo luogo ammirasi con stupore un bel lungo sasso d'un pezzo solo, che sta eretto sopra una bassa e curva pendice nullamen che se fosse ad uso attuale di ponte, e quella bassa pendice fosse un bel grosso fiume, chiamasi Pontercole, cioè Ponte d'Ercole quasi che Ercole solo l'avesse potuto, colle sue smisurate forze colassù trasferire...." "L'altra cosa degna d'esser ivi notata si è che in largo circuito di questo ponte si vanno successivamente, massimamente dopo galiarde piogge astersive, scoprendo di quando in quando monete antichissime d'oro, d'argento e di bronzo, catenelle d'oro, aghi d'oro, anelli d'oro, diamanti, agate ed altri vari preziosi lapilli in diverse bellissime statuette eccellentemente intagliati (...). Molte suppellettili sono entrate in Musei, di esse fece riproduzioni diligenti don Giuseppe Bosi, parroco di Monzone. Su questo colle sì dovizioso é opinione comune che vi fosse già eretto un castello col nome di Montapolli, o almen un tempio dedicato ad Apolline". Ponte Ercole, detto anche Ponte del Diavolo, sempre presente negli itinerari del turista e al quale l'immaginazione popolare ha dato spiegazioni magiche, ha invece dalla scienza la sua risposta. Questa e nella descrizione del giovane geologo modenese

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Ugo Bonazzi che ne descrive così le caratteristiche morfologiche e ne indica le cause della genesi: "L'arco del ponte ha una forma leggermente rampante verso il Nord-Est, presenta i fianchi quasi verticali e subparalleli e la superficie superiore, piana e inclinata verso Sud-Ovest. Qui l'arco si salda al fianco sinistro della vallecola, mentre dalla parte opposta fa corpo con una spalla che sporge dal fianco destro del solco, terminando in alto, bruscamente, con un gradino alto un paio di metri. L'arco, posto a circa 3 metri sul fondo della valletta, ha una luce di 21 metri e una freccia di mt. 2,10. Sulla superficie inferiore dell'arco, centralmente, si nota una concavità trasversale raccordata ai fianchi da due creste arrotondate. lì ponte, lungo 33 metri circa, ha una larghezza quasi costante di un paio di metri e tende ad ampliarsi solo all'estremità Sud/Ovest dove raggiunge circa 3 metri; nella parte centrale l'arco si assottiglia fino a 70 cm. lì piano del ponte ha un andamento uniforme nella sua parte centrale, per una ventina di metri, salvo una leggera concavità longitudinale (minore di quella posta nella superficie della volta), e si raccorda ai fianchi con spigoli arrotondati; dappertutto si leggono scritte lasciate dai visitatori e, oltre a questo, si nota un pozzetto circolare del diametro di 15 centimetri e profondo 10, occupato da acqua nei periodi di pioggia e con un letto di 2 cm. di granuli sabbiosi.

In corrispondenza della spalla, il piano del ponte è tagliato da una profonda fossa longitudinale, mentre una Cavità imbutiforme compare nell'ultimo tratto: è profondo poco meno di 30 cm. e Contiene anch’essa un po' di detrito sabbioso e acqua.

L'infossatura della spalla si presenta come una specie di vasca, profonda circa 2 m e priva in parte di pareti; queste hanno uno spessore variabile tra i 20 e i 40 cm. per il fatto di essere interamente concave e per la non perfetta perpendicolarità del fianco a valle. Ognuna di esse si presenta assottigliata in corrispondenza di due fori circolari, larghi rispettivamente cm. 33, quello della parete a monte è cm. 60, l'altro. Il fondo della fossa, quasi pianeggiante all'estremità Nord/Est, passa dolcemente, al centro, ad una concavità circolare poco profonda (cm. 2-3) e conformata a scodella, dopo la quale le pareti presentano un leggero ispessimento che può sembrare residuo di un setto trasversale separate originariamente due cavità che,

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allargandosi ed approfondendosi, hanno formato la fossa. In seguito, un gradino di cm. 2 - 3 abbassa ulteriormente il fondo, che termina con una seconda Concavità più ampia, dalla quale di diparte un sottile canale, che, attraversa la soglia di un varco nella parete a valle, attuale scarico delle acque di raccolta, scende lungo il fianco esterno del ponte. lì materiale nel quale ha preso forma il ponte, appartiene al membro arenaceo della formazione di Rio Giordano, attribuito all'Eocene medio/sup. (Oligocene?) da Serpagli (1962). Si tratta di un 'arenaria quarzoso/feldspatica grossolana, generalmente in grossi banchi poco cementati, contenenti una quantità variabile, ma sempre scarsa di carbonati e di matrice, mai superante singolarmente il 14%. (Gazzi e Zuffa 1970). Negli affioramenti prossimi ai ponte, gli strati raggiungono lo spessore di m. 2,2 e mostrano interamente una certa variabilità di tessitura, verticale e laterale; nemmeno rara è la presenza di letti di conglomerato fine. Gli strati, inoltre, sono attraversati in varie direzioni da fasci di fratture aperte o cementate e pendono di pochi gradi verso Sud/Sud-Ovest. Ciò si osserva anche alla spalla del ponte, ove infatti affiorano due strati che si distinguono non tanto per la presenza di un giunto, quanto per le variazioni di dimensione dei clastici. Quello più basso, affiorando dal detrito per un metro e mezzo, costituisce la vera e propria spalla; l'altro, spesso circa 2 m. ha fianchi trasversali rispetto alla direzione degli sfrati e si prosegue attraverso la vallecola raggiungendo il fianco opposto. lì ponte é formato da un tratto di strato in cui i fianchi hanno una direzione prossima a quella di massima tendenza, il ché conferisce al monolite o alla sua superficie superiore l'inclinazione longitudinale verso Sud/Ovest cui ho già accennato (…)”.

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5.3 L’attività edilizia

L'analisi dell'attività edilizia passata evidenzia le caratteristiche delle opere progettate e realizzate, distinte secondo la loro destinazione d'uso. Si è ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione su questo particolare comparto dell’analisi territoriale poiché dall’esame di questi dati è possibile estrapolare alcune considerazioni atte a validare l’attendibilità delle previsioni quantitative esprimibili dal nuovo strumento urbanistico. In concreto, è possibile individuare sia l’entità complessiva dell’attività edilizia anno per anno che la dimensione media degli alloggi da prendere come riferimento per il futuro. Inoltre, se in un decennio si è costruito un determinato numero d’unità abitative, e questi valori si mantengono stabili nel tempo, allora è molto probabile che la struttura produttiva locale (quella che in altre parole opera abitualmente all’interno del territorio comunale) sia dimensionata per ottemperare a questa domanda anche in futuro. Pertanto, se ci si pone anche l’obiettivo di mantenere il livello delle attuali occupazioni, oltre a quello del reddito medio locale, è presumibile che il Piano Strutturale non debba scendere al di sotto di un certo valore dimensionale proprio per garantire tali livelli di capacità economica. In effetti, nella valutazione dell’attendibilità del dato per un corretto dimensionamento del piano si dovrebbe sempre stabilire un legame diretto con la capacità produttiva locale. Nel dimensionamento della singola unità edilizia è inoltre buona cosa abbinare le densità fondiarie ad un valore di riferimento il più possibile radicato alla tradizione locale. Queste considerazioni non sono certamente le sole da prendere in esame, ma certo forniscono informazioni molto interessanti per calibrare la programmazione edilizia che s’intende sviluppare nel futuro. Da un rapporto realizzato dalla Regione Emilia-Romagna 36 emerge che, alla data del 31 dicembre 1997, per il piano in vigenza a Polinago, su 46,05 ettari destinati alla edilizia residenziale ben 34,86 erano già stati attuati (pari al 75,7% del dimensionamento totale del Piano) contro 11,19 ettari ancora da realizzare (quota pari al restante 24,3%). Il dato, se attendibile, dimostra che il Piano ha già esaurito in parte la potenzialità edificatoria riconducibile alla edilizia residenziale. Per verificare il rapporto regionale abbiamo quindi pensato di stimare l’attività edilizia

36 Regione Emilia-Romagna, Provincie dell’Emilia-Romagna , INU: “Rapporto sullo stato della pianificazione urbanistica in Emilia-Romagna, 1997.

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avvenuta nel territorio comunale negli ultimi dieci anni. Con queste finalità si è quindi avviato un proficuo rapporto di collaborazione con l’Ufficio Tecnico comunale per la calibrazione del fenomeno suddetto.

Tabella 5.3.1 Aree di destinazione d’uso residenziale distinta per stato d’attuazione al 31 dicembre 1997. Dati derivati dal mosaico dei PRG (in valore assoluto).

Aree residenziali

Comune (Ha) Attuate Non attuate

Polinago 34,86 11,19

Nella tabella 5.3.2 è possibile esaminare i dati relativi alle nuove abitazioni realizzate nel periodo che intercorre tra il 1991 e il 2000; fonte dei dati è l’Ufficio Tecnico Comunale. Per un’adeguata comprensione dei dati, occorre precisare che al pari delle nuove costruzioni sono stati considerati anche gli ampliamenti di edifici preesistenti che in termini di superficie hanno dato luogo a nuove unità immobiliari, cambi d’uso che hanno definito una attuale destinazione residenziale e demolizioni totali con conseguente ricostruzione. Se si analizza per prima cosa il dato relativo alla dimensione media degli alloggi, allora si evince che negli ultimi dieci anni questo valore oscilla in maniera sostanziale; per completezza bisogna specificare che la media è stata calcolata valutando la superficie utile residenziale, ottenuta dalla somma della superficie utile abitabile e di quella accessoria. In effetti si parte dal valore medio di 116 mq registrato per il 1991 a quello di 167 mq per l’anno successivo; nel 1993 la superficie media delle abitazioni era pari a 185,5 mq che diventano 210 mq nel 1994, per attestarsi infine a 198,3 mq nel 2000. Se si effettua il calcolo della superficie media residenziale per gli alloggi di nuova costruzione realizzati negli ultimi dieci anni, si può dunque affermare che la media è pari a circa 174 metri quadrati, valore abbastanza attendibile per la zona.

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Tabella 5.3.2 Concessioni edilizie e nuove costruzioni realizzate tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

N° alloggi 3 4 6 1 1 8 12 7 1 6

Sup. utile 204 528 599 30 70 658 937 919 80 329 abitabile (mq)

Sup.

accessoria 144 140 514 180 120 921 835 400 62 861 Nuove (mq) costruzioni Sup.

residenziale 348 668 1113 210 190 1579 1772 1319 142 1190 (mq) Superficie

media per 116 167 185,5 210 190 197,3 147,6 188,4 142 198,3 alloggio (mq)

Volumetria 1044 2004 3339 630 570 4737 5316 3957 426 3570

N° concessioni 2 5 2 1 2 5 1 3 11 7

Si analizzi adesso il numero delle concessioni edilizie per la nuova residenza: dai dati riportati si evince che nel decennio considerato sono 39. E’ da rilevare che dal 1991 al 1994 le licenze concesse sono in tutto dieci mentre tra il 1995, anno di approvazione dello strumento di pianificazione comunale attualmente in vigenza, e il 2000 si concentrano le restanti 29; 2 concesse nel 1995, 5 l’anno successivo, una nel 1997, 3 nel 1998 per raggiungere rispettivamente i valori di 11 e 7 per gli ultimi due anni esaminati. E’ indubbio che l’approvazione del Piano ha costituito un volano per l’economia edile locale, che ha risposto alle istanze dell’esistente domanda di nuova residenza. Ci si occupi a questo punto dell’attività edilizia del Comune. La tabella 5.3.2 evidenzia anche il numero delle nuove edificazioni ad uso residenziale; in questo lasso di tempo i nuovi alloggi sono 49, con una media di quasi 5 immobili/anno. Il dato sopra descritto non è ancora però sufficiente a descrivere le dinamiche del mercato immobiliare locale; per avere un idea più precisa della situazione occorre analizzare anche i dati relativi ai recuperi edilizi per il medesimo periodo storico. Anche i dati della tabella seguente derivano dall’attività dell’Ufficio Tecnico comunale.

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Tabella 5.3.3 Concessioni edilizie e recuperi edilizi tra il 1991 e il 2000.

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

N° alloggi 0 1 1 4 1 1 2 5 12 22

Sup. utile 0 898 354 302 70 150 434 381 1468 1538 abitabile (mq) Sup.

accessoria 0 459 265 35 0 61 278 543 979 407 (mq) Recupero Sup.

residenziale 0 1357 619 337 70 211 712 924 2447 1945 (mq) Superficie

media per 0 1357 619 84,3 70 211 356 185 204 88,5 alloggio (mq)

Volumetria 0 7480 1709 1011 210 351 2330 2772 7341 5835

N° concessioni 6 16 17 12 6 10 22 11 22 19

Nel decennio considerato gli immobili recuperati ad uso residenziale sono 49; se si analizzano i dati annualmente, allora si nota che anche in questo caso si verifica una brusca variazione del trend in atto: mentre per il periodo che intercorre tra il 1991, primo anno campionato, e il 1998 sono solo 15 gli alloggi oggetto di recupero, nel biennio finale si concentrano i restanti 34 interventi. Anche in questo caso si può verificare l’effetto dato dall’approvazione del PRG vigente. Si focalizzi adesso l’attenzione sulle concessioni per il recupero approvate dall’ufficio competente; in totale assommano a 141, distribuite con omogeneità negli anni: a parte le annate 1991 e 1995, per le quali si hanno solo sei concessioni, le altre presentano valori quantitativamente confrontabili. In conclusione: per quanto riguarda il valore da imputare alla superficie media residenziale dei nuovi alloggi, ci si può basare su un dato compreso tra i 170 e i 180 metri quadri precedentemente calcolato; invece, per quanto attiene la quantificazione dell’attività edilizia comunale, dall’analisi dei dati è emerso che esiste una notevole variazione tra i primi cinque o sei anni e l’ultimo periodo. Pertanto, verificato che negli ultimi anni il trend legato alla pratica edilizia si è

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modificato, non è sbagliato basare la pianificazione futura solo sull’ultimo periodo. In effetti, se così non si facesse, si potrebbe commettere l’errore di sottodimensionare l’attività edilizia attuale. Se si considerano gli ultimi cinque anni (per intenderci, dal 1996 al 2000), allora, per la nuova residenza la media delle realizzazioni è pari a circa 6,8 alloggi/anno (infatti, per il lustro considerato, sono 34 i nuovi alloggi realizzati). Se si applica lo stesso ragionamento anche per il dato relativo al recupero edilizio, allora emerge che nello stesso periodo gli immobili risanati ad uso abitativo sono 42 (media pari a 8,4 alloggi/anno).

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5.4 Le dotazioni territoriali

5.4.1 Generalità

L'argomento in questione, pur rivestendo un’importanza rilevante nel progetto urbanistico, ha progressivamente perso il focus dell'interesse che vi si era concentrato fino dalla metà degli anni Settanta, finendo per essere relegato non solo ai margini del dibattito disciplinare, ma anche e soprattutto nel più angusto e retrivo spazio della pratica computistica. Eppure trattando di standard urbanistici gli argomenti non soddisfacentemente chiariti non dovrebbero mancare: dalla necessità di individuare le nuove forme della domanda sociale, all’esigenza di definire la giusta tipologia dei servizi che un Comune al passo coi tempi dovrebbe fornire; dalla necessità di conoscere il corretto metodo per dimensionare il servizio, all’esigenza di stabilire dove localizzarlo sul territorio; dalla necessità di stabilire coerenti rapporti tra previsione e attuazione nella pratica amministrativa, all’esigenza di conoscere in anticipo i costi di realizzazione e di gestione dell'opera per effettuare le opportune priorità di intervento. Si tratta di una molteplicità di argomenti di cui veramente poco si conosce ed altrettanto poco si fa per scoprirlo. Il Piano Strutturale di Polinago non può certamente essere il luogo per risolverli tutti, ma può almeno diventare una esperienza iniziale per tentare di fare chiarezza su alcune questioni che a noi paiono di un certo rilievo. In primo luogo ci si dovrebbe chiedere se ancora oggi uno standard possa rappresentare il parametro di riferimento più appropriato per esprimere la quota (seppur minima) dei servizi della città; é dal 1968 che i PRG vengono approvati solo se possiedono dotazioni sufficienti a garantire le quantità minime fissate dal Decreto 1444. Purtroppo al soddisfacimento puramente quantitativo dei piani non ha fatto riscontro un adeguato livello qualitativo dei servizi: il minimo é diventato massimo e quanto previsto é rimasto quasi sempre solo sulla carta. I significati che gli sono stati attribuiti dalla pratica urbanistica, hanno infatti ridotto il reale spessore della proposta, appiattendolo in un modello di comportamento uniformante che si é ripetuto identico in tutte le realizzazioni successive senza

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alcuna differenza tra luoghi e tempi di attuazione. In molti piani anche quelli della cosiddetta “Terza Generazione” il problema è stato affrontato e risolto solo con la proposizione di banali tabelle di raffronto tra previsioni e quote richieste dalla legge: raramente si disaggrega per quartieri e/o frazione, raramente si disaggrega per zone territoriali omogenee, ancora più raramente e solo per autoreferenziare la proposta, si confrontano le previsioni con le preesistenze già realizzate. A nostro avviso quindi, stabilire una quantità minima di superficie da destinare ad un determinato servizio urbano rapportata ad ogni abitante residente e previsto (una volta per tutte) non può più consentire di cogliere l'intero ventaglio degli elementi quanti/qualitativi che richiedono e caratterizzano l'esistenza di un servizio urbano singolo e/o di insieme. Peraltro la domanda espressa dalla società si é sempre modificata nel tempo e quanto era ritenuto importante ed indispensabile nei primi anni Settanta é scemato negli anni successivi (anche come esito diretto delle realizzazioni già attuate), mentre molto di quanto era stato considerato superfluo venti/venticinque anni fa é divenuto indispensabile ai giorni nostri. Allo stato delle cose ovviamente il ragionamento mantiene valore solo se si rimane in ambito di dissertazione culturale: il soddisfacimento delle quantità minime di legge appare ancora una condizione sine qua non per l'approvazione del Piano e forse lo resterà ancora per molto tempo; quindi bisognerà continuare a rispettarlo. La metodologia per cogliere con un maggior grado di efficacia il livello qualitativo e quantitativo dei servizi urbani appare, invece, una questione aperta a contributi non privi di interesse disciplinare. Ed é su questo versante che intendiamo muoverci con minori ritualità. Il termine fondamentale del problema rimane ancora oggi quello riferito alla individuazione della domanda espressa dalla popolazione locale ed al suo dimensionamento. La materia, tuttavia, in una società complessa come la nostra, come si può facilmente intuire, non é così semplice, specialmente se si vuole interpretare almeno l'essenza del problema. Consapevoli quindi della impossibilità reale di comprendere e controllare l'intera galassia di aspetti minuti e parziali che caratterizzano questo dominio, ci si potrebbe ritenere soddisfatti di cogliere almeno le sue parti prevalenti; peraltro in un lavoro operativo come quello dell'urbanistica diventa essenziale cogliere e rappresentare gli elementi quantitativi del fenomeno ed anche questo é un problema non secondario da risolvere. La prima domanda a cui occorre dare risposta é quindi quella di determinare chi deve(ono) essere colui(oro) che esprime(ono) questa domanda. È facile convenire

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che il fruitore dei servizi urbani debba essere principalmente il cittadino residente. E di norma lo é. Un discorso a parte lo merita il parcheggio pubblico, che pare essere l'unico vero servizio capace di mettere in crisi l'affermazione appena effettuata. In questo caso infatti il termine di riferimento é molto spesso il luogo urbano, preso come insieme, a svolgere il ruolo di catalizzatore della domanda e conseguentemente non può essere sufficiente considerare il residente l'unico utilizzatore di un servizio così inteso. Ma qui il problema vero semmai é se debba essere la comunità (e se sì, in quale quantità) a farsi carico di una spesa i cui benefici risultano concentrati spesso solo su alcune persone che svolgono attività private o se deve essere il diretto beneficiario a soddisfare tale esigenza (collettiva). A nostro avviso nella stragrande maggioranza dei casi é proprio questa la soluzione; mentre alla collettività rimarrà il carico relativo ai parcheggi necessari a soddisfare le esigenze delle rimanenti ed esclusive funzioni pubbliche ed in questa situazione il riferimento tornerà ad essere il cittadino residente. Tutto ciò ovviamente vale per una città di grandi o medie dimensioni; nei piccoli centri rimarrà sempre il Comune l’operatore principale. L'unica divergenza sostanziale a tale proposta é riscontrabile all'interno degli aggregati urbani consolidati, ma non opportunamente dotati di parcheggio. In questo caso é chiaro che l'azione diretta del privato potrebbe non essere sufficiente a coprire il deficit arretrato anche in presenza di una volontà espressa. Le possibilità pubbliche allora rimarrebbero solo due: l'intervento rivolto esclusivamente a reperire l'area successivamente realizzata e gestita dal privato (azione unicamente amministrativa); l'intervento completo anche delle fasi di realizzazione e gestione dell'impianto. La seconda domanda a cui occorre dare risposta riguarda quale metodologia utilizzare per dimensionare l'ammontare della domanda. Per quanto già detto risulta abbastanza facile ormai dimostrare che non possa essere l'intera cittadinanza il parametro di raffronto più indicato; per ciascun servizio occorrerà pertanto individuare la fascia di utenza di riferimento.

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5.4.2 Attuazione delle dotazioni territoriali a Polinago

La Regione Emilia-Romagna 37 ha sviluppato nel 1997 un rapporto sui dati derivanti dalla mosaicatura dei PRG regionali vigenti; una sezione tematica è dedicata agli standard urbanistici suddivisi secondo la canonica tipologia: parcheggi pubblici (indicati con il simbolismo P), verde (V), scuole (S) e attrezzature d’interesse comune (Ac). I dati, aggiornati al 31 dicembre 1997, sono rapportati alla popolazione residente alla data di approvazione del PRG. Nella tabella 5.4.2.1 è possibile leggere la situazione relativa al Comune di Polinago per quanto attiene gli standard già attuati.

Tabella 5.4.2.1 Standard urbanistici attuati al 31 dicembre 1997. Dati derivati dal mosaico dei PRG (in valore assoluto).

Superficie per tipologia Superficie di standard/abitante Residenti (Ha) (Mq/ab) (n° ab) P V S+Ac Totale P V S+Ac Totale 0,21 11,63 4,35 16,19 1890 1,11 61,53 23,02 85,66

Dalla tabella emerge che la superficie destinata a parcheggio pubblico (P) è pari a 0,21 ettari, valore che rapportato alla popolazione residente nel Comune equivale a 1,11 mq/abitante; il verde (V) già realizzato è pari a 11,63 ettari (61,53 mq/abitante) mentre scuole e attrezzature comuni (S+Ac) valgono in tutto 4,35 ettari (23,02 mq/abitante), per un totale di superficie a standard per abitante pari a 85,66 mq. A questo proposito, si ricorda che l’articolo n°46 de lla vecchia legge regionale (LR 47/78) fissava per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti una superficie minima ed inderogabile da destinare ai servizi pubblici collettivi pari a 25 metri quadri per abitante. Dai dati riportati, emerge che già alla data del rapporto regionale le superfici dedicate al verde e alle attrezzature scolastiche soddisfano in pieno le dimensioni fissate dalla Legge. Diverso il discorso per i parcheggi pubblici: in effetti la LR 47/78 regolava la dotazione minima in 3 mq/abitante, cifra ancora lontana dalla soglia minima fissata dall’articolo 46.

37 Regione Emilia-Romagna, Provincie dell’Emilia-Romagna , INU: “Rapporto sullo stato della pianificazione urbanistica in Emilia-Romagna, 1997.

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Del resto, la nuova Legge Regionale n° 20/2000 appe na entrata in vigenza segnala, al comma 3 dell’art.A-24, che per quanto riguarda l’insieme degli insediamenti residenziali, la quota minima di dotazioni territoriali da considerare è pari 30 mq per ogni abitante effettivo e potenziale calcolato sia per gli insediamenti esistenti che per quelli previsti. La stessa legge fissa quote minime di dotazioni territoriali anche per i comparti, esistenti e programmati, di carattere direzionale, commerciale e industriale. Cosa che la legge non fa è entrare nello specifico delle singole ripartizioni per tipo di standard, operazione invece che la LR 47/78 fissava con scrupolosa precisione.

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5.4.3 La scuola

Se si considera ad esempio il servizio scolastico di competenza (o di interesse) comunale si nota che per ogni grado di istruzione corrisponde una precisa e specifica categoria di utenti interessati: non essendoci attualmente l'Asilo Nido che interessa la popolazione in età fino a 2 anni, si consideri la popolazione di età tra i 3 ed i 5 anni per la Scuola Materna, tra i 6 e 10 anni per la Scuola Elementare e i cittadini tra gli 11 ed i 13 anni per la Scuola Media. Stabilendo i diversi livelli di scolarizzazione é possibile verificare il grado di rispondenza del servizio scolastico; ovvero calcolando le presenze ai vari livelli scolastici é possibile misurare le percentuali di scolarizzazione attualmente presenti. A Polinago si trovano attualmente 34 bambini iscritti alla Scuola Materna rispetto ad una popolazione in età scolare di 26 unità (dati anagrafici aggiornati al 31 dicembre 1998); ciò corrisponde ad un livello di scolarizzazione superiore al 100%; è logico supporre che il servizio scolastico sia frequentato anche da residenti d’altri comuni che non trovano soddisfacente il servizio offerto dalle strutture vicino a casa. Se si passa alla classe d’età successiva (6-10 anni): nell’anno scolastico 2000/2001 erano iscritti all’unica Scuola Elementare 45 alunni; se si considera che nel Comune in esame erano circa 58 i cittadini in età scolare, allora si evince che in questo caso si ha un tasso di scolarizzazione pari al 77,60%: è naturale che alcuni bambini residenti frequentino le scuole dei comuni contermini; quanto affermato assume maggior forza se si considera che le Elementari fanno già parte del ciclo scolastico obbligatorio. Infine, nella Scuola Media si hanno 36 iscritti contro 35 residenti in età scolare: per questo caso specifico si può affermare che la dotazione scolastica soddisfa in pieno la domanda locale. I parametri individuati consentono di cogliere già un primo importante elemento di valutazione, ma da soli non riuscirebbero ovviamente ad esprimere pienamente l'intera problematica inerente la qualità del servizio offerto. Un secondo elemento che può allora entrare in gioco é quello del numero delle aule attualmente disponibili. Esaminando questo ulteriore parametro si ha infatti la possibilità di evidenziare eventuali livelli di sovrautilizzo e/o di sottoutilizzo degli spazi disponibili e quindi della loro conseguente rispondenza agli standard specifici richiesti dalla legislazione vigente in campo scolastico (25 scolari per aula). Analizziamo la situazione esistente a Polinago: i tre livelli di scolarizzazione sono

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presenti nel capoluogo (precisamente in Via Sorbelli, 2) in un unico plesso scolastico; la Scuola Materna Statale è suddivisa in due sezioni, con un valore medio per modulo di 17 bambini; per la Scuola Elementare si ha una sezione unica composta da 5 aule per 45 scolari complessivi, cioè un valore medio di 9 alunni per aula che dimostra una notevole sottoutilizzo della struttura scolastica. Per concludere, nell’unica Scuola Media Statale si ha una sola sezione per complessive 5 aule (tre aule ordinarie e due speciali) e 36 iscritti e cioè un valore medio di 12 scolari per aula, valore anch’esso piuttosto basso. I dati sintetici riportati nella relazione dimostrano che la Materna si trova in una situazione molto vicina all’ottimale utilizzazione, mentre per le scuole di livello superiore si evincono situazioni di parziale sottoutilizzo . Un discorso a parte merita l’assenza all'interno del comune dell'Asilo Nido, anche a fronte della presenza di bambini residenti in età fino ai 2 anni; questa situazione di notevole carenza va quindi considerata ed esaminata con particolare attenzione nell'organizzazione futura dei servizi. Approfondendo ulteriormente il problema, si potrebbero scoprire altri elementi di qualità utili per l’espressione di giudizi ancora più argomentati, quali ad esempio la dotazione di spazi per attività specialistiche e spazi per l'attività di gruppo, spazi per l'attività all'aperto, ecc. che farebbero emergere l'inadeguatezza di alcune strutture esistenti, ma per ora riteniamo che già quelli individuati consentano di formulare una valutazione soddisfacente per gli scopi che ci siamo prefissati. Ci sembra comunque opportuno sottolineare la contraddizione rilevata fra i dati quantitativi elencati sopra, inerenti le dotazioni scolastiche esistenti, e l'osservazione delle stesse da un punto di vista che potrebbe definirsi "prestazionale". Se, infatti, facciamo riferimento agli indici di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica contenuti nelle Norme Tecniche relative all'edilizia scolastica del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, vediamo che nessuna struttura scolastica del comune di Polinago soddisfa i requisiti richiesti: le superfici complessive risultano insufficienti per gli edifici di tutti i gradi di istruzione, alcune in maniera considerevole. Tali norme prevedono per le Scuole Materne, di una o due sezioni, una superficie minima di 1.500 mq, per le Scuole Elementari con 5 classi una superficie di almeno 2.295 mq ed infine per le Scuole Medie con tre classi, come quella di Polinago, una dimensione minima di 3000 mq. Se, quindi, da una parte le aule risultano sottoutilizzate per l'esiguo numero di bambini che le frequentano, dall'altra è l'intero complesso scolastico a risultare inadeguato poiché non dimensionato secondo i

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minimi stabiliti per un buon funzionamento, soprattutto in termini d’aule speciali, strutture scientifiche, spazi all'aperto, luoghi per attività interdisciplinari. Quindi la situazione che abbiamo presentato mostra, allo stato attuale, una struttura scolastica che soddisfa le esigenze locali di tipo quantitativo in termini di rapporto aule/studenti, tranne che per l'Asilo Nido della cui mancanza è già stato detto. Nella tabella seguente si riportano alcuni dati sintetici riguardanti le strutture scolastiche esistenti nel comune (vedi tabella 5.4.3.1).

Tabella 5.4.3.1 Dotazioni scolastiche presenti nel territorio comunale.

Popolazione in Località Scuola Aule Iscritti età scolare Polinago Materna 2 34 26 Polinago Elementare 5 45 58 Polinago Media 5 (3) 36 35

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5.4.4 I parcheggi pubblici

Come si é visto precedentemente, il Parcheggio rappresenta il servizio più anomalo tra quelli individuati tra le dotazioni territoriali. È anomalo perché può essere realizzato dai privati per soddisfare esigenze di interesse non generale; é anomalo perché deve soddisfare richieste molto diverse a seconda delle destinazioni d'uso degli edifici; é anomalo perché il suo utilizzo risulta molto diversificato nei vari momenti della giornata; é anomalo perché dipende dai volumi dei flussi di traffico registrati sulle arterie stradali e risulta molto differenziato a seconda della tipologia e della dimensione del centro urbano; é anomalo perché risulta molto diversificato nei vari punti del centro urbano. Nessun altro servizio possiede tante componenti che entrano in gioco contemporaneamente; risulta molto difficile, pertanto, effettuare considerazioni di tipo generale valide per ogni luogo e per ogni orario. Sfortunatamente nel nostro paese non esistono neppure analisi e ricerche tese a illustrare le diverse situazioni. Per definire dei criteri guida per quantificare la domanda si dovrà pertanto fare ricorso al buon senso e a dati scaturiti da situazioni analoghe o ritenute tali. Si valuti invece la dotazione minima che dovrebbe essere necessaria tenendo conto anche di altri elementi più rispondenti al carattere così specialistico del servizio. Il primo dato essenziale da conoscere sarebbe il numero degli autoveicoli presenti nei diversi punti e nelle diverse ore della giornata nel territorio urbano di Polinago. Valore in qualche modo misurabile, ma non facilmente acquisibile se non a costi elevatissimi. Un metodo più approssimato, ma ugualmente soddisfacente potrebbe essere quello di cercare di costruire la mappa dei luoghi attrattori di traffico e su quelli dimensionare la domanda derivata. Gli attrattori nel comune di Polinago sono essenzialmente i luoghi di lavoro, le scuole, i negozi, i pubblici esercizi, le banche, i luoghi pubblici, i luoghi di svago e ricreazione, i servizi sanitari allargati, i luoghi di culto, i cimiteri, i servizi e le attrezzature pubbliche. Bisogna inoltre tenere conto del parcheggio residenziale oltre al parcheggio occasionale dovuto al traffico di attraversamento. Dimensionando la quantità di autoveicoli spettanti a ciascuna attività presente é così possibile verificare la rispondenza alle esigenze del servizio. Gli insediamenti residenziali, che dovrebbero già essere dotati d’aree autonome di sosta e di manovra, mostrano alcune situazioni insoddisfacenti anche in relazione

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all'elevato numero di autoveicoli presenti all'interno di ogni singola unità familiare. Del resto, non esistendo dati della Motorizzazione continuamente disponibili che ci forniscano informazioni precise sulla reale entità di questo valore a scala comunale, abbiamo dovuto fare ricorso ad estrapolazioni da altre fonti, pur con la consapevolezza di effettuare approssimazioni e non stime perfette. Un'indicazione può essere fornita dai dati sul pendolarismo riferiti all'ultimo censimento (1991); da questi, si desume che sono circa 569 le persone (pari al 30,12% dell’ammontare complessivo della popolazione residente) che dal comune quotidianamente si spostano in auto o su altri mezzi per giungere nei luoghi di studio o di lavoro. Dallo stesso censimento si deduce che sono circa 307 i cittadini che optano ogni mattina per l’utilizzo del mezzo privato; a questo dato dovremmo aggiungere una quota di abitanti che usano l’auto per svolgere altre operazioni all’interno del territorio comunale e un’altra che tiene conto invece degli autoveicoli che provengono dall’esterno del Comune per venire a lavorare a Polinago. Infine, per avere il numero d‘auto circolanti, dovremmo calcolare l’incremento di automobili avvenuto dal 1991 ad oggi, tenendo in conto il tasso di motorizzazione del comune in esame. Come si può facilmente intuire il risultato del calcolo risulta comunque piuttosto aleatorio e quindi poco attendibile. Un valore più attendibile per approntare la stima degli autoveicoli presenti nel comune di Polinago appare invece quello fornito da un studio datato 1995, 38 nel quale si mettono a disposizione dati trasmessi dall’Ufficio della Motorizzazione: a quella data le autovetture circolanti nel territorio comunale erano in totale 998, pari ad un tasso di motorizzazione di 0,53 automobili/abitante. Se rapportiamo questa percentuale alla quantità di popolazione attuale (1870 al 31 dicembre 1999) e consideriamo un leggero incremento nei valori percentuali dovuti all’aumento del tasso di motorizzazione, otteniamo un numero di vetture pari a 1125 unità. Questo valore è del resto in accordo con i valori medi espressi in analoghe situazioni territoriali. La stima di 1,2 auto 39 per famiglia sembra, infatti, quella più vicina alla situazione reale. Se infatti pensiamo che nell'area urbana di Modena il tasso medio di motorizzazione è ugualmente di 1,2 auto per nucleo familiare, e considerato che in città esistono sia gravissimi problemi di parcheggio che la minore necessità dell’utilizzo del mezzo privato per i piccoli spostamenti affrontabili con i mezzi

38 A questo proposito, si legga il capitolo 6, paragrafo 3 “La mobilità dei cittadini” del Quadro Conoscitivo di Polinago.

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pubblici, appare lecito considerare come attendibile la stima fatta per Polinago. Il Comune, tipicamente montano, possiede una rete di trasporto pubblico che, collegando l'area centrale solo con alcuni centri prestabiliti, soddisfa di conseguenza le esigenze di mobilità in misura solo parziale, in quanto la quasi totalità dei posti di lavoro dista in maniera considerevole dalle abitazioni (anche all'interno del territorio comunale) e dove la rarefazione degli insediamenti rende di solito necessario lo spostamento motorizzato. Se le auto presenti all'interno del comune sono quindi 1125 e quelle che si muovono quotidianamente sono circa 600, ecco che la quantità di auto non impiegate per andare al lavoro risultano essere circa 600. Abbiamo inoltre tenuto in considerazione, sempre in relazione ai dati sul pendolarismo dell'ultimo censimento (1991), la quantità d’auto che quotidianamente entra nel territorio comunale per motivi di studio o di lavoro, che ammonta a circa 100 unità, poiché anche queste vetture necessitano di un parcheggio durante le ore del giorno. Infine, per le nostre finalità dovremo prendere in considerazione il patrimonio complessivo di auto presenti all'interno del comune: delle circa 1200 auto esistenti 900 trovano posto in parcheggi privati, se si ipotizza che ad ogni nucleo familiare corrisponda in media un posto macchina, ma le 300 auto rimanenti necessitano di un parcheggio che andrà valutato nella quantificazione del fabbisogno esistente. Per verificare poi le reali esigenze scaturite dalle funzioni urbane extra-residenziali abbiamo individuato i valori minimi di parcheggio richiesti dalle diverse funzioni di servizio presenti a Polinago (vedi tabella 5.4.4.1).

39 Con le supposizioni effettuate precedentemente, il numero degli autoveicoli esistenti è pari a 1125.

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Tabella 5.4.4.1 Posti auto minimi richiesti dalle diverse funzioni urbane.

Funzione Posti Auto Scuola Media 15 Scuola Elementare 5 Scuola Meterna 5 Chiesa 10 Cimitero Capoluogo 30 Cimitero Frazione 10 Municipio 30 Poliambulatorio 10 Cinema 20 Attr. Turistico Ricreativa 50 Campo Tennis 15 Campo Calcio 20 Carabinieri 3/5 Centro Commerciale 20 Negozio 3 Bar 3/5 Ristorante 10 Trattoria 6/8 Pizzeria 10 Gelateria 3 Banca 5/7 Ufficio 2 Posta 5 Azienda artigianale 3 Artigianato Di Servizio 3/5

Da tutto ciò emerge che a Polinago per soddisfare i reali fabbisogni di parcheggio dovrebbero essere presenti almeno 700 posti auto o almeno 14.000 mq di superficie destinata a tale funzione. Se questo dato fosse confermato nella sua interezza significherebbe che per soddisfare le esigenze di parcheggio comunale lo standard dovrebbe essere almeno pari a 7,5 mq/ab. Nella realtà é possibile assegnare una percentuale di riduzione dei suddetti valori per effetto della non contemporaneità delle funzioni. Questa percentuale non è facilmente quantificabile ma in ogni caso, per non determinare eccessivi sottodimensionamenti, non dovrebbe superare il valore del 20%.

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In conclusione, il valore complessivo dei parcheggi pubblici dovrebbe essere pari a 560 posti auto e le superfici almeno pari a 11.200 mq; per Polinago, la dotazione territoriale riferita ai parcheggi é quindi pari a 6 mq/ab. Si passi ora ad analizzare la situazione dei parcheggi esistenti a Polinago; i dati sono stati ottenuti grazie ad una ricognizione compiuta dall’Ufficio Tecnico comunale. Solo nel capoluogo del Comune, si hanno circa 348 posti auto, variamente dislocati e tutti soggetti a tariffa libera; 6 di questi sono destinati a particolari categorie di utenze. Nello specifico, nel Corso Roma sono 113 le aree attrezzate a sosta; 6 parcheggi sono riservati, 5 ai disabili e uno AVAP. Ancora: in Via dei Friniati sono state localizzate 86 aree a parcheggio (ma nessuna è riservata) mentre in Via Cabri sono 49; dalla tabella è poi possibile cogliere l’ubicazione delle altre aree di sosta. A Gombola Ponte l’offerta di parcheggio è pari a circa 80 posti auto, suddivisi tra la Via Valrossenna (48 spazi sosta) e la Via San Michele (per altri 32 posti). Per concludere: se dalle supposizioni precedenti si sono stimati in 560 i posti auto necessari a soddisfare il fabbisogno di sosta sia della popolazione residente che di quanti usufruiscono dei servizi offerti dalla città, e se dalla ricognizione sul patrimonio esistente di parcheggi è emerso che attualmente sono circa 430 le aree di sosta aperte al pubblico, allora si può dire che sarebbe necessario colmare il disavanzo registrato in termini di posti auto (pari a circa 130 posti auto, per una superficie di circa 2600 mq) per ottemperare alle finalità che il Piano Strutturale si deve porre. L’allocazione dei parcheggi da predisporre in futuro sarà decisa solo dopo aver valutato attentamente sia i bisogni pregressi della città che i possibili disequilibri locali tra l’offerta di servizi e aree di sosta esistenti non ancora risolti.

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Tabella 5.4.4.2 Localizzazione e tipo di tariffazione dei parcheggi esistenti nel Comune.

Numero dei posti Tipo di tariffazione della Numero dei posti Località Localizzazione auto sosta auto riservati Polinago Corso Roma 20 libera 2 disabili ,1 AVAP Polinago Corso Roma 20 libera 2 disabili Polinago Corso Roma 9 libera 1 disabili Polinago Corso Roma 23 libera Polinago Corso Roma 14 libera Polinago Corso Roma 27 libera Polinago Via dei Friniati 86 libera Polinago Via A. Tassoni 36 libera Polinago Via della Pieve 16 libera Polinago Via A. Cabri 35 libera Polinago Via della Pieve 5 libera Polinago Via della Pieve 14 libera Polinago Piazza della Liberta' 22 libera Polinago Via della Pieve 3 libera Polinago Via A. Cabri 8 libera Polinago Via A. Cabri 6 libera Polinago Via P. Ferrari 4 libera Gombola Ponte Via Valrossenna 23 libera Gombola Ponte Via Valrossenna 7 libera Gombola Ponte Via San Michele 18 libera Gombola Ponte Via San Michele 14 libera Gombola Ponte Via Valrossenna 9 libera Gombola Ponte Via Valrossenna 6 libera Gombola Ponte Via Valrossenna 3 libera Totale Corso Roma 113 libera 5 disabili ,1 AVAP Totale Piazza della 22 libera Libertà Totale Via A. Cabri 49 libera Totale Via A. Tassoni 36 libera Totale Via dei Friniati 86 libera Totale Via della Pieve 38 libera Totale Via P. Ferrari 4 libera Totale Via San 32 libera Michele Totale Via 48 libera Valrossenna Totale parcheggi 428 libera 5 disabili ,1 AVAP

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5.4.5 Il verde pubblico

Tra le dotazioni territoriali previste dalla legislazione vigente, il Verde pubblico ha sempre rappresentato l'elemento più lontano dalla considerazione dei bisogni nella maggioranza degli individui; o almeno ciò lo é stato fino ad oggi. E’ certo che, almeno all'interno dei grossi centri urbani, il verde svolge anche una funzione igienico-sanitaria essenziale per diluire i forti carichi di inquinamento emessi dalla città; ma da questo a ritenerlo un servizio indispensabile come tanti altri, é occorso tanto tempo e anche tante battaglie contro luoghi comuni e motivazioni interessate (per il proprietario terriero é chiaro che è sempre meglio avere un'area edificabile di un’area a verde improduttiva ). La guerra non é stata forse ancora del tutto vinta poiché rimangono ancora frange di cittadini che intravedono una spesa nella quota utilizzata per la realizzazione di un giardino o di un parco pubblico. Le argomentazioni non sono più numerose, ma fanno ancora presa sull'ascoltatore distratto: con gli stessi soldi sarebbe meglio asfaltare una strada! Oppure: esiste già tanto verde attorno! le priorità sono altre! la manutenzione costa troppo!. Peraltro la stessa disciplina non é che si sia arricchita molto dalla proposizione degli standard di legge del 1968; poco o nulla si é cercato di scoprire in più di quanto scaturito dalle ricerche della fine degli anni Cinquanta. Oltre alle poche informazioni messe a disposizione da alcune indagini sociologiche svolte con scopi di tutt'altro genere che, comunque, hanno permesso di venire a conoscenza del comportamento o delle aspettative dell'utente all'interno di un giardino/parco pubblico, poco o nulla si é fatto anche a livello accademico per cercare di capire quali potevano essere i nuovi riferimenti per dimensionare e localizzare questo servizio. La stessa manualistica che tanto era riuscita a produrre nel passato, anche se attingendo a piene mani da studi e ricerche tedesche della fine dell'Ottocento o d’origine nordamericana dell'immediato Dopoguerra, é stata ora soppiantata da volumi a volte anche molto interessanti ed importanti dal punto di vista scientifico, ma essenzialmente riferiti al progetto visto come entità a sé, quasi non esistesse un problema di scala superiore inteso a risolvere la questione dell'insieme del verde e del suo rapporto con le altre parti della città. Eppure quest'ultimo problema riveste una importanza altrettanto consistente se non superiore a quello della singola area, che per quanto sia progettata bene e realizzata in maniera non inferiore, rimane pur sempre un elemento parziale di un

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discorso che rischia di apparire spezzettato e non concluso. D'altra parte é anche facile capire che per risolvere un tema così complesso non esistono ricette valide una volta per tutte. Come é anche facile pensare però che se non riprendiamo in mano la questione dalle basi é molto probabile che si perseguano solo aspetti localistici dimenticando o sottovalutando aspetti di carattere più generale. In questo caso le basi non possono essere che le risposte ai perché del servizio ed ancora prima a quale tipo d’offerta specifica si sta facendo riferimento. Senza aver la pretesa di scrivere un nuovo manuale in quanto non rappresenta lo scopo del presente lavoro, vale la pena, in ogni caso, di iniziare a proporre una prima suddivisione del verde in relazione alle funzioni svolte a livello urbano e territoriale. La dotazione territoriale in oggetto corrispondere alle seguenti esigenze urbane: a) al verde di servizio; b) al verde attrezzato per lo sport; c) al verde di arredo; d) al verde ecologico necessario per il ricambio dell'aria. Le ultime due funzioni elencate, poiché rappresentano esigenze di tipo estetico (il verde di arredo) e di tipo sanitario ed ecologico (il verde di ricambio dell'aria), non rientrano comunemente nella valutazione qualitativa e quantitativa delle dotazioni territoriali, anche se poi, soprattutto per le carenze di dotazioni specifiche, in molti piani entrano dalla finestra e sono conteggiate, specialmente le prime, per dimostrare valori di attuazione maggiormente consistenti. Tutto ciò avviene con più frequenza nei piani dei centri di maggior dimensione, in quanto la rilevante presenza d’arterie stradali determina anche una rilevante presenza di aree spartitraffico, di aree inglobate nella rete e non diversamente utilizzabili (ad esempio all'interno delle rotonde) e di aree di risulta, nelle quali o la crescita spontanea di erbe ed arbusti o la messa a dimora per una precisa scelta offre comunque una risposta che può essere usata tatticamente anche per il dimensionamento del verde urbano. Il verde ecologico, necessario al ricambio dell'aria, può essere considerato come una esigenza generale della città poiché la sua presenza emerge soprattutto laddove le dotazioni tra funzioni industriali, residenziali, commerciali e del traffico s’intrecciano con presenze verdi assolutamente inferiori a quelle necessarie. In questo caso allora diventa sempre più importante considerare il verde anche come elemento di compensazione biologica degli eccessi di calore e degli inquinanti espulsi dalle altre funzioni umane: ciò é quanto asserisce la più moderna scienza

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ecologica ed é quanto riteniamo debba essere individuato come prassi per un corretto progetto urbanistico. Il motivo per il quale abbiamo ritenuto di non approfondire il punto precedentemente specificato (ma il discorso vale anche per altre realtà territoriali di piccole dimensioni), è nel fatto che la funzione di ricambio dell'aria é poco probabile che possa essere svolta solo dai piccoli giardini o dai parchi attrezzati se non analizzati in maniera sistemica (ad esempio all’interno di un progetto di una rete ecologica), poiché gli effetti di scambio biologico eterotrofo richiedono sempre quantità abbastanza rilevanti di biomassa. Non é pertanto una stupidaggine ritenere che, almeno per la suddetta funzione dell'ecosfera, possa ritenersi soddisfacente anche una presenza agricola importante contermine all'area cui si sta facendo riferimento. Non é una sciocchezza neanche ritenere che siano i grandi parchi territoriali a svolgere l'intera funzione; ma queste estensioni verdi non sono considerate come una dotazione urbana e pertanto non rientrano nelle valutazioni imposte dalla presente relazione. Nei capitoli precedenti relativi al paesaggio abbiamo comunque approfondito tali aspetti ed indagato le direzioni da seguire a livello programmatorio. Il verde di servizio ed il verde attrezzato per lo sport, invece, costituiscono l'essenza della struttura di questa categoria di funzioni urbane. Su queste pertanto spingeremo l'analisi al fine di individuare le eventuali debolezze da risolvere in sede progettuale. Con la dizione verde per lo sport intendiamo prendere in considerazione un concetto allargato del termine. Infatti, In queste funzioni si includono normalmente anche le strutture edilizie che permettono lo svolgimento “protetto” dell’attività sportiva vera e propria, strutture che normalmente hanno ben poco di verde; con il concetto allargato intendiamo tuttavia ritenere come fondamentale il contesto che le ingloba, il quale normalmente e prevalentemente e di tipo “a verde”.

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5.4.5.1 Il verde attrezzato per lo sport

Un riferimento che occorre mettere in chiaro sin dall'inizio é quello dei cosiddetti praticanti. Se si analizzano le statistiche ufficiali, emerge che in Italia vi sono 11 milioni di tesserati alle Federazioni Sportive Nazionali. Il solo esame del dato ci mostra una situazione assolutamente incomprensibile nella quale un italiano su cinque, compresi i bambini appena nati ed i vecchi ultrasessantenni, è iscritto ad una Federazione. A parte la dimensione del dato che può o no lasciare perplessi, appare evidente che le iscrizioni ad una federazione, oltre a permettere l'attività servano anche ad altre questioni di natura più prettamente politica. Senza voler entrare in quest’argomento che esula dagli scopi analitici prefissi, in ogni modo è naturale rilevare una netta divisione tra coloro che svolgono una pratica sportiva vera e propria (la minoranza) e coloro che svolgono uno o più sports come attività ricreative (definite più propriamente con i termini stranieri di leisure o loisir ). Gli studi più recenti nel settore hanno valutato come circa il 20-25% dei praticanti totali frequentano quasi esclusivamente strutture ed attrezzature locali 40 . Appare appropriato pertanto dimensionare i fabbisogni a questa scala. Il primo dato che occorre individuare é relativo al numero dei praticanti delle varie discipline sportive. L'operazione si presenta però subito piuttosto ardua poiché non si possiedono informazioni a scala locale. Si farà pertanto ricorso alle uniche statistiche esistenti che sono a livello nazionale anche se si é consapevoli di una probabile sottostima dei dati ISTAT, poiché nelle nostre realtà i praticanti sono in numero maggiore della media nazionale. Nel corso degli anni Ottanta il numero dei praticanti é cresciuto di oltre il 50%, passando dagli 8.089.000 del 1982 ai 12.263.000 dell'ultima rilevazione ISTAT effettuata nel 1988 (vedi Tabella 5.4.5.1.1); nello stesso periodo la crescita dei praticanti ha riguardato quasi nella stessa maniera sia gli uomini (50%) che le donne (+56%).

40 Una recente ricerca commissionata dalla Agertur Emilia-Romagna denominata “Effetto sport” ha definito che “pur esistendo un esercito di sportivi, il movente sport non produce vacanze. Coloro che viaggiano, si muovono, sono frequentemente “fuori casa” per motivi sportivi e normalmente, ricadono nel settore dell’ospitalità, quasi mai in quello delle vacanze.” Bologna,1992.

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Tabella 5.4.5.1.1 Persone che praticano lo sport in Italia (in migliaia).

Anno 1982 1988 Uomini 5528 8276 Donne 2561 3988 Totale 8089 12263

L'età dei praticanti non si modifica di molto nel corso degli anni, tranne che per la fascia della terza età, nella quale si registra un incremento dovuto ad una maggiore diffusione d’abitudini e pratiche sportive tra questo segmento.

Tabella 5.4.5.1.2 Età delle persone che praticano sport al 1988.

Numero dei praticanti Età Valore percentuale (Migliaia) 3- 9 1114 9,1% 10-14 2250 18,3% 15-24 3672 29,9% 25-34 2234 18,2% 35-44 1381 11,3% 45-54 871 7,1% 55-64 481 4,0% >64 260 2,1% Totale 12263 100,0 %

Le motivazioni più ricorrenti per chi pratica lo sport non agonistico sono: svago, divertimento, gioco; benessere e forma fisica; mantenimento e terapia fisica. Il livello di preferenza ovviamente varia in rapporto al sesso ed all’età del praticante; nel 1988 il dato complessivo forniva un’incidenza dell'81,70% e del 66,20% tra maschi e femmine per la prima motivazione; del 37,80% e del 46,8% per la seconda motivazione; del 3,90% e del 10,80% per la terza motivazione. Se fino alla fine degli anni Ottanta la motivazione del benessere e forma fisica erano una prerogativa esclusivamente femminile, oggi quest’interesse si sta diffondendo sempre con maggiore intensità anche tra il pubblico maschile e specialmente nella fascia 25-34 anni si riscontra un interesse molto pronunciato (50%). Le discipline sportive praticate in Italia coprono ormai tutto lo spettro disponibile. Il calcio rimane lo sport

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praticato dal maggior numero di maschi (36%), ma altri sports pervengono ad incidenze non indifferenti (tennis 15,7%, nuoto 10,5%); mentre tra le femmine le attività al coperto coprono quasi l'intera quota della domanda (ginnastica e danza 42,2%, nuoto 19,9% e pallacanestro, pallavolo, pallamano 14,1%). Quasi l'85% dei praticanti svolge l'attività preferita almeno una volta la settimana, ma la maggior parte degli intervistati (51,3%) ha dichiarato di sostenere complessivamente un impegno sportivo oscillante tra una e 4 ore alla settimana. La valutazione del livello di soddisfacimento delle strutture é comunque legata, oltre che al numero dei praticanti ed al numero delle ore settimanali in cui svolgono l'attività sportiva, anche ad altri fattori tra i quali ricordiamo la dimensione dell'impianto (direttamente proporzionale allo spazio assegnato ad ogni praticante per il corretto svolgimento dell'attività) ed il numero d’ore settimanali di funzionamento dello stesso. Attraverso tali parametri é possibile costruire delle curve d’utenza caratteristiche d’ogni pratica sportiva e d’ogni tipologia d’impianto. Attingendo dalle informazioni riportate in precedenza e dai dati contenuti nelle ricerche di base per il lavoro preparatorio all'elaborazione di alcuni PRG per Comuni di grandi dimensioni, i quali hanno usato proprio il metodo sopra esposto per dimensionare i fabbisogni d’impiantistica sportiva 41 , abbiamo individuato le esigenze rispetto alla situazione esistente anche per il Comune di Polinago. Una breve nota: nel calcolo degli utenti teorici sono stati considerati tutti i residenti, sia maschi che femmine, con età compresa tra i 6 e i 50 anni e sulla quota risultante è stata applicata la percentuale di praticanti a livello nazionale. Le uniche eccezioni nel calcolo del dimensionamento degli impianti riguardano gli sport del calcio, del nuoto e delle bocce: nel primo caso non è stata considerato l’utilizzo dell’impianto da parte della componente femminile della popolazione, visto che tale pratica ha appena preso piede in Italia e le utenti sono ancora numericamente scarse; per il tennis e il gioco delle bocce la popolazione praticante considerata appartiene ad un range di più ampio spettro rispetto a quelli elencati precedentemente. infatti, proprio per le caratteristiche di basso impatto fisico e per le implicazioni ludiche espresse rispettivamente dalle attività sportive citate, la classe d'età considerata spazia tra i 6 e i 70 anni d'età.

41 Comune di Bologna, Progetto preliminare di PRG ‘84, “4.8 Sistema del verde e impiantistica sportiva”, Relazione, 1984.

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Campi di Calcio Dimensione del campo: 8000 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 1344; Dotazioni d’area metropolitana: 1,09 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 170; Fabbisogno: un impianto. Un campo di gioco è collocato nel centro capoluogo del Comune; inoltre presso la Parrocchia è presente un campo da calcetto.

Campi di Rugby e Hockey Dimensione del campo: 5000 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 1080; Dotazioni d’area metropolitana: 0,03 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 25; Fabbisogno: nessun impianto.

Piscine Coperte e/o scoperte Dimensione vasca: 300 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 1152; Dotazione d’area metropolitana: 0,02 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 205; Fabbisogno: nessun impianto.

Palestre Dimensione sala: 800 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 624; Dotazioni d’area metropolitana: 0,128 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 405; Fabbisogno: un impianto. Nel capoluogo è presente un palazzetto di gestione comunale; inoltre la scuola è dotata di palestra.

Piste Polivalenti Dimensione pista: 600 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 320;

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Dotazioni d’area metropolitana: 0,128 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 85; Fabbisogno: nessun impianto.

Campi da tennis Dimensione campo: 800 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 168; Dotazioni d’area metropolitana: 0,319 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 125; Fabbisogno: un impianto. Nel territorio comunale vi sono due campi da tennis collocati nel capoluogo.

Impianti di atletica leggera Dimensione impianto: 2000 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 3000; Dotazioni d’area metropolitana: 0,2 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 85; Fabbisogno: nessun impianto.

Campi da bocce Dimensione impianto: 70 mq; Capacità utenti settimanali di un impianto: 294; Dotazioni d’area metropolitana: 0,012 mq/ab; Polinago: utenti teorici = 425; Fabbisogno: due impianti. Nel capoluogo è presente una bocciofila con due campi. La struttura è inoltre dotata di attrezzature di servizio per il gioco (docce, tribunetta e bar). Inoltre, presso la Parrocchia si trovano altri due campi. Riassumendo, le necessità attuali legate alle attrezzature sportive del Comune di Polinago sono le seguenti: un campo di calcio, una palestra, un campo di tennis e due campi di bocce. La ricognizione effettuata dall’Ufficio Tecnico comunale ha evidenziato che le superfici esistenti dedicate al verde per lo sport coprono complessivamente un’estensione di circa 7,83 ettari: l’area maggiore è dislocata in via San Martino

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(5,05 ettari, tiro a volo); il restante è compreso tra Via dei Friniati (per 2,48 ettari, campo da calcio e da tennis) e via Perini (0,289 ettari, palazzetto e bocciofila).

Tabella 5.4.5.1.3 Localizzazione delle aree a verde per lo sport nel capoluogo comunale.

Localizzazione delle aree a verde di servizio nel Area Area capoluogo comunale (in mq) (in Ha)

Via dei Friniati (campo da calcio e campi da tennis) 24841,7 2,48 Via Perini (palazzetto e bocciofila) 2898,9 0,289 Via San Martino (tiro a volo) 50556,26 5,055 Totale delle aree a verde per lo sport 78296,86 7,829

Se confrontiamo infatti gli impianti sportivi esistenti con quelli necessari (tabella 5.4.5.1.4), riscontriamo una situazione complessivamente equilibrata. Nessun problema per quanto riguarda le strutture dedicate agli sport delle bocce e per il gioco del calcio: le strutture esistenti riescono a coprire in pieno le richieste dei residenti. La situazione più delicata riguarda forse le pratiche sportive da effettuare al coperto: la palestra di pertinenza della Scuola, essendo principalmente ad uso degli studenti, può essere sfruttata da altri utenti solo in determinati orari; questo fatto può far sorgere qualche problema d’affollamento nell’unico impianto comunale esistente. La piscina è invece assente e per i residenti che vogliono cimentarsi negli sport acquatici non c’è altra alternativa che rivolgersi presso altri comuni. Del resto, il potenziale bacino d’utenza presente nel territorio comunale non giustifica la programmazione di una piscina.

Tabella 5.4.5.1.4 Superficie per impiantistica sportiva richiesta ed esistente al 1994 (in mq).

Impianto Strutture Richieste Strutture Esistenti Calcio 1 2 Hockey e Rugby 0 0 Palestre 1 2 Piste Polivalenti 0 0 Piscine 0 0 Tennis 1 2 Bocce 1 4 Totale 4 10

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5.4.5.2 Il verde di servizio

Il verde di servizio rappresenta la quota di spazi destinati a giardino e a parco necessari per risolvere le esigenze di carattere ludico - ricreativo dei cittadini del comune e dei bambini in particolare. Le caratteristiche formali, dimensionali e localizzative di tali spazi devono pertanto essere poste in stretta relazione con la struttura demografica della popolazione e con quella degli insediamenti (tenendo in considerazione, ad esempio, le densità edilizie, le tipologie dei fabbricati, la morfologia del paesaggio urbano e non, ecc.). Insieme alla suddetta categoria di spazi rientrano in questa particolare fascia di servizi pubblici anche tutti quegli spazi verdi che completano, ed integrano, la presenza di un'altra funzione urbana pubblica per la quale vi dovrebbe essere una continua comunicazione tra spazi interni ed ambiti all'aperto: tra esse ricordiamo le scuole, le attrezzature sanitarie, le strutture per anziani, i centri giovanili, le biblioteche, i musei, i teatri, i servizi tecnologici, i cimiteri, ecc. I giardini ed i parchi pubblici dovrebbero essere previsti, in relazione alla loro funzione preminente, a partire proprio dalla residenza, nel senso che già al livello urbano di vicinato dovrebbe corrispondere una adeguata dotazione di spazi destinati alla fruizione dei bambini e degli anziani. Ad esempio, un parco giochi per bambini di età fino agli 8 - 10 anni di dimensione compresa tra i 1000 ed i 1500 mq, dovrebbe essere collocato in ogni unità urbana (200/300 abitanti) specialmente laddove risultano più intense le densità abitative e dove prevalgono le tipologie "a condominio". Di contro, tali spazi appaiono meno necessari laddove le tipologie edilizie ricalcano modelli "a villetta" con giardino privato adiacente, che determinano autosufficienze almeno sul versante della passeggiata e della permanenza nel verde. Se invece si considera una unità di scala superiore come, ad esempio, quella di una frazione nel caso di Comuni di piccola dimensione (500/3000 abitanti), é possibile stabilire una necessità minima di almeno un giardino/parco di dimensione non inferiore a 5000 mq. È così possibile individuare un nuovo modello di dotazione direttamente rapportato alle densità territoriali presenti nelle diverse realtà geografiche e paesistiche. Nel caso di Polinago oltre al parametro popolazione va tenuto in debita considerazione anche quello della localizzazione del servizio; poiché le dotazioni esistenti sono concentrate principalmente in alcune località, sarebbe opportuno

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formulare un ragionamento più articolato. Nel capoluogo comunale le aree a verde pubblico attualmente realizzate ammontano a circa 1,93 ettari complessivi: si ricordi che alla data del 31 dicembre 1997 le estensioni a verde già realizzate dal PRG su tutto il territorio comunale erano pari a circa 9,76 ettari, equivalenti ad una dotazione di circa 51,64 mq per abitante residente. Nella tabella seguente si riportano la localizzazione delle aree a verde per quanto attiene il capoluogo comunale.

Tabella 5.4.5.2.1 Localizzazione delle aree a verde di servizio nel capoluogo comunale

Localizzazione delle aree a verde di servizio nel Area Area capoluogo comunale (in mq) (in Ha)

Corso Roma 5520,7 0,55 Via A. Cabri 4974,1 0,49 Via dei Friniati 1588,8 0,16 Via degli Erri 1655,7 0,16 Via L. A. Muratori 4463,9 0,44 Via degli Erri 752,9 0,07 Piazza J. Barozzi 410,6 0,04 Totale delle aree a verde di servizio 19366,6 1,93

Se poi consideriamo l'importanza che assume il parametro accessibilità quando i fruitori degli spazi verdi sono i bambini, ci rendiamo conto della necessità di prevedere o un giardino/parco o almeno un parco giochi per bambini di età fino ai 10 anni per ogni frazione geografica che conti tra i 150 e i 300 abitanti. In tali località minori, per le caratteristiche strutturali e tipologiche dell'insediamento, possiamo ritenere sufficiente perlomeno la previsione di un parco giochi per bambini corredato di un'area verde di servizio, il tutto di superficie non inferiore a 0,2 - 0,3 ettari. Per quanto riguarda il Capoluogo e le frazioni di Talbignano, di Gombola e Brandola si ritiene che per ciascuna località debba essere previsto un parco giochi ogni 50/70 bambini (nel caso di unità di vicinato con densità superiori a 100 ab/ettaro) e di almeno un giardino parco di dimensione minima pari a 0,5 ettari (0,7 ettari nel caso di inesistenza di parchi gioco). La seguente tabella 5.4.5.2.2 mostra le esigenze delle diverse località costruite tenendo conto dei parametri minimi prima individuati. Sommando le dotazioni individuate per le attrezzature impiantistiche a sport con quelle relative al verde di servizio, si ottiene una dotazione complessiva necessaria a coprire le esigenze di verde definite per l'intero ambito comunale. Anche rispetto a

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questa tipologia di servizio si evidenzia un valore molto elevato, se si pensa alla dimensione del comune in termini di popolazione, ma anche e soprattutto se rapportata al già elevato livello ecologico complessivo rilevato e messo in evidenza nei capitoli precedenti. Ad esempio, dal risultato dell’indagine conoscitiva, emerge che il centro capoluogo possiede già una dotazione a verde di servizio più che soddisfacente (vedi tabella 5.4.5.2.1); il Piano Strutturale deve comunque valutare la dislocazione e le dimensioni delle aree verdi residue negli ambiti territoriali proposti.

Tabella 5.4.5.2.2 Quantità minime di superficie a verde di servizio nelle diverse località abitate.

Superfici a verde di servizio (in mq) Polinago capoluogo 6000 Talbignano 3000 Gombola 3000 Brandola - San Martino - Totale 12000

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5.4.6 Le attrezzature di interesse comune

La passata legge urbanistica regionale (47/78 e successive modifiche) stabiliva che tra queste attrezzature vi debbano rientrare anche quelle religiose con un valore minimo di 1,2 mq/ab. Nel caso di Polinago, ma questo vale anche per gli altri comuni di dimensioni comparabili, la storia locale é stata contraddistinta per centinaia d'anni dalla presenza di Parrocchie intese come centri ordinatori dell'intero territorio e risulta ora molto facile individuare una dotazione superiore alla richiesta minima. Sul versante invece delle restanti attrezzature il discorso si riduce fortemente di intensità in quanto le dotazioni esistenti risultano piuttosto ridotte soprattutto per la dimensione demografica del Comune. A Polinago, infatti, esistono solo alcune strutture di livello comunale: nel capoluogo si trovano una Biblioteca Comunale (all’interno della Scuola) e un Centro Civico (situata presso la residenza comunale). Per la maggioranza di queste attrezzature risulta abbastanza complicato effettuare valutazioni numeriche in quanto appare prevalente l'effettiva presenza di presidio rispetto alla semplice e diretta dimensione fisica degli spazi interni ed esterni. Per la Biblioteca comunale, che nei comuni di piccola dimensione rimane un servizio sempre parziale per l'impossibilità economica di dotarsi di strutture ed attrezzature adeguate alle esigenze di un corretto e moderno funzionamento, é tuttavia possibile individuare un criterio di dimensionamento soddisfacente. Identificando in un rapporto tra abitanti e volumi presenti nella struttura pari all'unità (poiché generalmente riconosciuto come standard di qualità) e un rapporto tra volumi e superficie pari a 30, si definiscono dei parametri comunque utili per avere alcune indicazioni di massima rapportate alla dotazione minima necessaria per la Biblioteca. L’unico problema è legato agli orari di apertura della struttura che coincidono con quelli dei corsi scolastici: forse sarebbe opportuno prevedere l’apertura della Biblioteca anche in orario serale per consentire una migliore accessibilità al servizio da parte della popolazione. Sono assenti invece le attrezzature sanitarie di base adeguate al fabbisogno locale, specialmente quelle rivolte agli anziani, ai giovani, ai disabili e a quelle categorie di persone con particolari problemi sociali (droga, AIDS, etilisti, etc.), come consultori familiari, primo servizio d'urgenza, day hospital ; l’unica struttura sanitaria di cui può usufruire

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la popolazione è il servizio di assistenza domiciliare che, ad esempio, nel 1995 ha seguito complessivamente 10 utenti. Infine, per quanto riguarda più prettamente le attività ludiche e ricreative, si rileva che nell’intero territorio comunale non esiste né un teatro né un museo aperto al pubblico.

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5.4.7 Infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti

Per non considerare la qualità della vita urbana completamente esaurita dal soddisfacimento degli standard prescritti dalla legge, é necessario inscrivere tra le funzioni di servizio anche altre attrezzature che in una qualche maniera fanno ormai parte dello stile di vita individuato dalla nostra società. Si tratta di un insieme di attrezzature di vario genere che vanno dai servizi sanitari ormai ritenuti essenziali ed arrivano fino all'artigianato di servizio. La disciplina urbanistica ha ormai sanzionato che il dimensionamento e la localizzazione di tutte queste attrezzature in base a specifici standard di funzionamento, che variano evidentemente secondo la dimensione demografica del comune ed il suo trend di crescita economica e sociale, devono essere previsti, con apposite destinazioni, all'interno degli strumenti di pianificazione come prassi ordinaria. Con ciò ottenendo di volta in volta un miglioramento della qualità urbana ed una innovazione nel settore dei servizi. Infatti la vigente Legge Regionale, al comma 1 dell’art.A-23 “ Infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti ”, in qualche misura tiene conto di queste esigenze esprimendo che: “(…) Per infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti si intendono gli impianti e le reti tecnologiche che assicurano la funzionalità e la qualità igienico - sanitaria degli insediamenti (…)”. Senza voler appesantire la trattazione con argomenti squisitamente tecnici, riteniamo di fare cosa buona e giusta concentrare principalmente l'attenzione sui servizi legati alla captazione e alla depurazione delle acque reflue civili ed industriali, in quanto per le altre reti tecnologiche (acqua, energia elettrica, telefono) ormai la dotazione é data per scontata; gli attuali stili di vita determinano infatti, ed a volte impongono, una loro presenza in tutte le realtà. L’unico punto di criticità potrebbe riguardare l’acquedotto a gestione privata che serve la frazione di Gombola. Attualmente l’Amministrazione comunale sta cercando di tessere un rapporto proficuo di collaborazione con l’Ente gestore per far sì che le caratteristiche di servizio dell’impianto idrico siano il più possibile compatibili con le disposizioni tecniche e sanitarie fissate dagli Enti competenti in materia.

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Oggi le sorgenti captate ad uso potabile sono complessivamente cinque, tre di competenza del Consorzio che gestisce l’acquedotto privato di Gombola; due 42 che integrano la fornitura d’acqua del servizio pubblico. Nelle tabelle seguenti si riportano le caratteristiche delle sorgenti sopracitate.

Tabella 5.4.7.1 Localizzazione e caratteristiche delle sorgenti captate ad uso potabile: acquedotto pubblico.

Frazione Oggetto Ditta rilevamento Anno rilevamento

Ca' Vecchia Sorgente Gestir s.r.l. 1997 Ca' Marastoni Sorgente Gestir s.r.l. 1997 Chiesa Vecchia Sorgente Gestir s.r.l. 1997 Chiesa Vecchia Sorgente Gestir s.r.l. 1997 Case Tre Sorgente Gestir s.r.l. 1997 Casa Mislei Sorgente Gestir s.r.l. 1997

Tabella 5.4.7.2 Localizzazione e caratteristiche delle sorgenti captate ad uso potabile: acquedotto privato di Gombola.

Portata Anno Volume Località Oggetto 3 ( l/min) rilevamento (m )

Maranello-Braglia Sorgente 25 1977 - Le Serre Sorgente 9 1996 - Le Serre-Ca' Nova Serbatoio 1996 6 Castello di Gombola Serbatoio 1984 3 Gombola-Ca' di Riccio Serbatoio 1986 10 Gombola Serbatoio 1989 10 Gombola Ponte Serbatoio 1989 10 Gombola-Pianadolo Serbatoio 1958 40 I Segaticci Serbatoio 1994 40 Pian di Fiume Sorgente 25 - - Pian di Fiume Serbatoio 1958 20

Un discorso a parte merita invece il servizio del gas metano; in questo caso la copertura dei centri urbani principali del territorio comunale è ancora piuttosto

42 In realtà, a servizio dell’acquedotto pubblico concorrono in totale sei sorgenti, ma effettivamente sono solo due quelle utilizzate a tempo pieno nella fornitura di acqua potabile; le restanti sorgenti

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assente e non garantisce un servizio soddisfacente. La situazione attuale mostra un buon livello solo a Gombola, Talbignano e nel Capoluogo; Brandola e San Martino sono serviti solo da bombole di gpl. Analogo discorso deve essere effettuato per il sistema fognario; la rete attuale di raccolta dei reflui copre, infatti, solo il fabbisogno espresso dal centro capoluogo e dai nuclei abitati ad esso più vicini. Gli scarichi fognari del centro urbano di Polinago sono fatti confluire ad un moderno impianto di depurazione a biodischi, adeguato agli abitanti equivalenti esistenti. Diversa la situazione per gli altri nuclei abitati presenti nel territorio comunale: a garantire lo smaltimento e la successiva depurazione delle acque di fogna, si è optato per sedici fosse Imhoff, progettate e dimensionate per un numero adeguato di abitanti equivalenti. Nella tabella 5.4.7.3 è possibile cogliere le caratteristiche tecniche degli impianti di depurazione a servizio della collettività.

Tabella 5.4.7.3 Localizzazione e dimensionamento degli impianti di trattamento delle acque reflue.

N° Ab. Ae ins. Localita' Tipo Ab. equiv. Anno Note serviti prod.

Gombola - Mulino di Sotto Imhoff 73 15 0 1975 Capacità 7310 litri Gombola - Mulino Veratti Imhoff 73 15 0 1975 Capacità 7310 litri Gombola - Bar Baroni Imhoff 116 15 0 1976 Capacità 11604 litri Talbignano - Ponte Imhoff 116 30 0 1985 Capacità 11604 litri CÓ dei Rossi Imhoff 95 30 0 1991 Svuot. annuale 9457 litri Il Poggio Imhoff 73 15 0 1991 Svuot. annuale 7310 litri Brandola - Ponte (nuovo) Imhoff 73 50 4 1991 Capacità 7310 litri Brandola - Ponte (vecchio Imhoff 73 35 0 1991 Capacità 7310 litri Brandola - Casa Biondi Imhoff 73 40 0 1991 Capacità 7310 litri Brandola - Valle Imhoff 73 40 0 1991 Capacità 7310 litri Gombola - Piazza Imhoff 116 15 0 1976 Capacità 11604 litri Talbignano - Valle Imhoff 116 20 0 1985 Capacità 11604 litri Talbignano - Vitroplast Imhoff 116 30 1 1985 Capacità 11604 litri Polinago - La Lama Biodischi 2000 500 1 2000 Prog. Prov. entro 31/7/00

Riguardo all'efficacia del servizio tecnologico appena analizzato, si evince quindi una situazione abbastanza soddisfacente, almeno se si considera la realtà di media montagna con la quale ci si trova a confrontare. Per i nuclei urbani di crinale e per vengono utilizzate solo in situazioni di emergenza idrica.

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gli insediamenti sparsi la valutazione é invece leggermente diversa: il sistema fognario e di depurazione risulta sempre di ridotte dimensioni anche se nei piccoli centri le fosse Imhoff svolgono il ruolo con sufficiente efficacia. Inoltre, l’Ufficio Tecnico del Comune sta progettando altri sei impianti di trattamento da realizzarsi in quelle borgate che necessitano ancora di una integrazione del servizio; i nuovi impianti non sono semplici fosse Imhoff ma sono integrati da scolmatori e da filtri a sabbia, dispositivi che ne migliorano sicuramente l’efficacia di depurazione. Con i nuovi impianti, che verranno realizzati in tempi brevi, l’Amministrazione riuscirà a garantire il trattamento dei reflui urbani per tutti i nuclei e le borgate minori del Comune.

A conclusione del capitolo, si rileva che nel territorio comunale si trova una stazione radio televisiva posta sul Monte San Martino presso la località Casa Contardo.

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Figura n°1 – Rete dell’acquedotto comunale: particolare del centro capoluogo.

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Figura n°2 – Rete di adduzione della rete del gas metano: particolare del centro capoluogo.

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Figura n°3 – Rete di smaltimento dei reflui: particolare del centro capoluogo.

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5.5 La cartografia prodotta dal Quadro Conoscitivo sui temi del sistema territoriale

5.5.1 Tavola n.°B-1: le reti tecnologiche.

Il Quadro Conoscitivo ha portato alla individuazione cartografica delle principali infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti, in particolare le reti tecnologiche a servizio della popolazione accentrata e sparsa del territorio comunale: - rete gas metano; - rete distribuzione energia elettrica; - rete acqua e sistema fognario.

La Tavola B.1-a riporta gli impianti per la trasmissione e distribuzione della energia elettrica (fonte ENEL) distinguendo le linee a media tensione e le cabine MT/BT. In relazione alla direttiva della LR 30/2000 art.13 per le diverse linee presenti e previste sul territorio, sono state esplicitate le fasce laterali di rispetto per il perseguimento degli obiettivi di qualità di 0,2 T e al ricettore e per l’individuazione di potenziali ricettori con esposizione superiore a 0,50 Tesla.

La Tavola B.1-b localizza gli impianti per la trasmissione e la distribuzione del gas metano (fonte META SpA) distinguendo le linee a media e bassa pressione e segnalando i diversi impianti: cabine di zona, valvole a sfera, riduttori di pressione scarichi.

La Tavola B.1-c tratta delle reti e impianti del “ciclo dell’acqua”. Localizza le reti di accumulo e distribuzione dell’acqua e le reti ed impianti di smaltimento e trattamento dei reflui (fonte META SpA e Comune di Polinago). La rete acquedottistica mette in evidenza i due diversi proprietari/gestori: l’acquedotto privato di Gombola che serve una limitata e centrale porzione del territorio comunale e la rete in gestione a META SpA che serve il resto del territorio comunale con acqua derivata dal Consorzio intercomunale del Dragone.

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Sono stati evidenziati gli impianti che caratterizzano le reti: i serbatoi, interrati e non, i pozzi di raccolta, pozzetti di diramazione, saracinesche, valvole a sfera, i contatori e le vere e proprie sorgenti localizzate sul territorio comunale. Il sistema fognario distingue le reti esistenti dal quelle in corso di realizzazione, localizza le fosse Imhoff e l’unico depurato presente sul territorio comunale, a biodischi, a servizio del capoluogo. La tavola B-1d (di sintesi) ha riportato le principali caratteristiche delle reti e degli impianti mediante una loro dettagliata rappresentazione sui tre abitati principali e cioè Polinago, Gombola e Talbignano visualizzati direttamente sull’ortofoto, ad un scala di rappresentazione che consente di cogliere l’intero insediamento e un adeguato intorno. Si coglie in tal modo l’immediatezza dei percorsi delle reti e del loro impatto / presenza sul territorio (come appariva al 1998) anziché sulla Carta Tecnica Regionale risalente al 1976-78 e al 1985 per i soli edifici e la viabilità.

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5.5.2 Tavola n.°B-2: insediamenti antropici e viabi lità.

La tavola offre una visione sintetica dei principali insediamenti antropici sia di ambiente urbano che produttivo rurale. Di questo ultimo, in particolare, sono riportate le Aziende agricole a indirizzo zootecnico distinte per classi d’ampiezza degli allevamenti bovini. Sono indicati gli allevamenti suinicoli unitamente alle strutture casearie in attività. Il sistema insediativo distingue le strutture con caratteristiche di bene culturale o d’interesse storico- testimoniale indicando con toponimo e perimetrazione gli insediamenti rurali storici e beni culturali sparsi e gli elementi d’interesse storico- testimoniale con la precisazione del genere (chiesa, oratorio, torre, etc) 43 . Le testimonianze archeologiche (minime sparse sul territorio) saranno riportate non appena rese disponibili in formato digitale dal Museo Civico/Archeologico di Modena. La banca-dati individua in particolare le aree all'interno delle quali ricadono zone di accertata e rilevante consistenza archeologica ovvero di concentrazione di materiali archeologici o di segnalazioni di rinvenimenti, nonché zone di probabile presenza e/o a rilevante rischio archeologico (zone di tutela). Le suddette aree sono - di norma - così individuate: AR.1 Controllo archeologico preventivo AR.2 Vincolo archeologico di tutela AR.3 Vincolo di scavo archeologico preventivo AR.4 Persistenza dei segni della centuriazione romana. La viabilità storica è l’altro elemento lineare di interesse.

A questa descrizione si sommano elementi descrittivi del sistema insediativo accentrato e sparso che vede Polinago Centro urbano che ospita servizi di base civili, commerciali, artigianali alla popolazione accentrata e sparsa e attività connesse all’economia turistica montana (elemento descrittivo ulteriore è il perimetro dell’ambito urbano stabile di Polinago), mentre Talbignano e Gombola sono Insediamenti minori di riferimento alla popolazione sparsa. Come Insediamenti

43 Parte delle persistenze culturali sparse nel territorio sono state tratte dalla cartografia allegata al volume “ Insediamento storico e beni culturali. Il Frignano –Comuni di Lama Mocogno, Pavullo nel Frignano, Polinago e Serramazzoni ”. IBACN, Amministrazione provinciale di Modena. Modena, 1998.

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rurali principali sono stati indicati quelle borgate che presentano minime reti di captamento – trattamento reflui. Le dotazioni territoriali esistenti individuano gli impianti sportivi, la struttura scolastica e le aree a verde pubblico, nonché gli impianti tecnologici per il trattamento dei reflui e i relativi rispetti. Le previsioni insediative non attuate completano la rappresentazione del quadro conoscitivo evidenziando: - le zone per attrezzature ad uso collettivo; - le zone produttive; - le zone residenziali.

La viabilità principale, i corsi d’acqua ed i limiti amministrativi fanno da generica base di riferimento.

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5.5.3 Tavola n.°B-3: tessuti storici e gerarchia fu nzionale del sistema insediativo derivanti dalla pianificazione sovraordinata.

Dopo aver ripreso quelle che sono le Zone ed elementi di specifico interesse e valore storico-testimoniale riportate nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (Insediamenti urbani storici e strutture insediative storiche non urbane, Elementi d’interesse storico-testimoniale artt. 22 e 24 del PTCP), la cartografia tende a offrire una rappresentazione territoriale della gerarchia del sistema insediativo e opzioni di qualificazione e sviluppo. Il Centro abitato avente questo rango funzionale è Polinago, indicato come “Centro urbano idoneo ad erogare i servizi di base civili, commerciali, artigianali alla popolazione accentrata sparsa e centro specialistico dell’economia turistica montana ”. Elementi descrittivi del sistema insediativo sono quindi : - l’ambito urbano stabile con funzioni prevalentemente residenziali, compresi i servizi diffusi alla residenza e alla famiglia quali servizi pubblici di base, commercio, artigianato dei servizi; - gli ambiti insediati di Talbignano e Gombola con funzioni prevalentemente residenziali. L’ambito edificato con funzioni essenzialmente produttive collocato al congiungimento del Torrente Rossenna. Anche in questo caso la viabilità, i corsi d’acqua principali ed i limiti amministrativi fanno da generica base di riferimento.

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6. IL SISTEMA DELLA PIANIFICAZIONE

6.1 Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale

6.1.1 Contenuti generali

La Provincia di Modena si è dotata del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) nel 1998. Il Piano è stato adottato in Consiglio Provinciale il 25 febbraio con la delibera n°72 ed è stato successiva mente approvato in Giunta Regionale con la delibera n°1864 del 26 ottobre del lo stesso anno. Nel presente paragrafo viene riportata una sintesi 44 dei contenuti, degli obiettivi e delle prestazioni richieste dal PTCP per il territorio del comune di Polinago. Sostanzialmente il Piano individua quattro punti peculiari sui quali sviluppare le metodologie d’analisi: a) il primo concerne la specificazione (negli aspetti di criticità e vulnerabilità, ma anche nelle condizioni e modalità all’uso) di quegli elementi dei sistemi fisico- naturali e storico-antropici che definiscono in modo integrato la matrice paesistico-ambientale e ne strutturano stabilmente l’organizzazione; b) il secondo riguarda l’individuazione di politiche di sviluppo sociale ed economico condivise, nell’assunto del minor livello di “esposizione” sul versante delle risorse non riproducibili o scarsamente rinnovabili, per garantire prestazioni di adeguata efficienza del sistema e cogliere le opportunità offerte dall’inserimento in reti globali di città e di imprese e dalla valorizzazione di risorse immateriali quali l’innovazione tecnologica ed organizzativa e la formazione delle risorse umane; c) la terza parte tratta sull'assunzione di previsioni di sviluppo del sistema relazionale orientate a ridurre l’attuale impatto ambientale caratterizzato da elevati livelli di inquinamento atmosferico e acustico e da un forte

44 Il materiale di sintesi è stato fornito dal Settore Programmazione e Pianificazione Territoriale della Provincia di Modena.

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deterioramento della vivibilità degli insediamenti verso standards prestazionali più efficienti e sicuri e a maggiore accessibilità; d) infine, la quarta ed ultima proposta si realizza nella definizione dei diversi ruoli e specializzazioni dei centri abitati e delle aggregazioni urbane del sistema provinciale ai fini della localizzazione ed il dimensionamento delle funzioni strategiche e di rango sovracomunale ai fini del consolidamento, ricomposizione e riqualificazione delle strutture insediative. In pratica, per ciascun settore d’indagine vengono definiti alcuni obiettivi prestazionali da raggiungere e le conseguenti azioni strategiche da applicare per raggiungere i risultati prefissati; tutto questo si esplica in sintesi nel: a) garantire nel lungo periodo la consistenza e la fruibilità delle risorse naturali locali; a.1) rispetto alla consistenza delle risorse idriche ciò si traduce in prestazioni che si riferiscono: - al contenimento dei prelievi; - alla salvaguardia dell’efficacia dei processi di alimentazione degli acquiferi sotterranei attraverso la limitazione delle impermeabilizzazione del suolo nelle aree che contribuiscono maggiormente a tale alimentazione; - alla razionalizzazione dell’uso della risorsa e alla riduzione degli sprechi. a.2) rispetto alla qualità delle risorse idriche si perseguono prestazioni che si riferiscono: - alla definizione di soglie minime di qualità delle acque superficiali e sotterranee da garantire nelle diverse porzioni del territorio; - alla tutela delle aree di alimentazione e in particolare dei suoli a maggiore vulnerabilità dell’acquifero dalle attività inquinanti o potenzialmente inquinanti; - alla riduzione degli apporti chimici nel suolo derivanti dall’attività agricola; - al completamento, ammodernamento e adeguamento delle reti e degli impianti per lo smaltimento, il trattamento e la depurazione dei reflui di tutti gli insediamenti; - alla tutela dei corsi d’acqua dagli scarichi non sufficientemente diluiti e da ogni altra potenziale fonte inquinante. a.3) con riferimento alle risorse di materiali litoidi l’obiettivo si traduce in prestazioni riguardo al contenimento dell’estrazione e del consumo dei materiali più pregiati che sono contenute nel relativo piano di settore.

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b) garantire nel lungo periodo il benessere ambientale ; b.1) con riferimento alla qualità degli ambienti urbani dal punto di vista sanitario (inquinamento atmosferico, acustico, elettromagnetico, ecc.) l’obiettivo si traduce: - nell’applicazione sistematica e nel rispetto delle soglie di legge; - nell’ammodernamento e mitigazione dei cicli produttivi; - nell’aumento del verde urbano; -nella tutela delle aree periurbane a verde o agricole anche per il loro contributo alla qualità dell’ambiente urbano; - nell’assunzione e incentivazione di un modello di mobilità che privilegi le modalità di spostamento meno impattanti sul piano ambientale (ossia in sintesi i trasporti collettivi a più alta capacità e la mobilità pedonale e in bicicletta) e riduca il traffico nei centri urbani. c) garantire livelli accettabili di sicurezza degli insediamenti rispetto ai rischi ambientali; - il mantenimento e l’adeguamento idraulico dei corpi idrici; - l’individuazione delle aree più esposte ai rischi idraulici e idrogeologici e le conseguenti limitazioni e condizioni agli insediamenti; - la limitazione all’insediamento di attività produttive pericolose nelle aree più sensibili; - l’introduzione di misure di mitigazione dei rischi. d) riordinare il sistema insediativo , secondo il modello della rete di centri e la gerarchia storicizzata, per ridurne i costi di funzionamento: ambientali, sanitari, sociali e direttamente economici. Esso si traduce in indirizzi e direttive tendenti: - a consolidare la struttura policentrica storica del sistema insediativo, sviluppando l’offerta insediativa in coerenza con la gerarchia storicizzata dei centri, con la razionalizzazione della rete dei servizi pubblici e privati e con la capacità delle reti infrastrutturali; - a polarizzare i servizi che generano maggiore attrattività nei nodi urbani complessi che godono di più efficace e diversificata accessibilità; - a privilegiare la trasformazione e la riqualificazione delle aree già urbanizzate, rispetto alla ulteriore dilatazione urbana; - a favorire forme ragionevolmente compatte degli insediamenti urbani e a consolidare i confini fra urbano e non urbano;

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- a frenare la tendenza alla dispersione indifferenziata degli insediamenti nel territorio, quanto meno nelle forme che generano maggiori diseconomie e maggiore impatto ambientale; - a favorire un riordino anche degli insediamenti industriali, individuando un sistema di Poli Produttivi di rilievo provinciale, costituiti da aree industriali ecologicamente attrezzate, nei quali promuovere lo sviluppo dei servizi e delle infrastrutture, qualificare l’immagine, convogliare gli investimenti privati; - a favorire un modello di mobilità che privilegi le modalità di spostamento meno impattanti. - a massimizzare l’accessibilità del territorio dall’esterno e al proprio interno, entro un quadro di sostenibilità; - a qualificare e promuovere il sistema locale modenese nel suo complesso, ovvero il “Sistema Modena”; - a favorire l’integrazione sociale e l’equa diffusione delle opportunità; - a sviluppare la cooperazione interistituzionale e la capacità di governo dell’area vasta. Questi obiettivi strategici assumono pesi e valenze diverse nelle diverse parti del territorio provinciale: la loro diversa modulazione dà luogo a strategie differenziate per aree con la finalità principale “ di valorizzare nelle reti globali le identità locali, le risorse territoriali e umane specifiche dei diversi ambienti locali, le complementarità fra le diverse parti del territorio.” Tutto questo si esprime in obiettivi specifici riferiti: - alle differenti unità paesaggistiche (individuate e descritte nell’Appendice alle Norme del PTCP - attuazione dell’art. 7 del PTPR), ciascuna colta come mix inscindibile di valenze ambientali e sedimenti storico-antropici, ciascuna portatrice di un’identità alla cui salvaguardia vanno riferiti e condizionati gli interventi di trasformazione; - al territorio rurale , di cui salvaguardare l’identità e il rilievo economico, frenando l’erosione dei suoli coltivati almeno in quelli a più elevata fertilità che costituiscono per il settore agricolo una risorsa strategica, orientando i modelli colturali verso produzioni di qualità con più ridotto apporto di chimico, e nel contempo garantendo la compresenza e la sinergia fra la funzione primaria agricola e le altre funzioni compatibili e integrabili che possono sviluppare opportunità economiche dal godimento delle risorse ambientali e dal riuso del patrimonio edilizio sparso;

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- al territorio della montagna , riconosciuta come area sempre più integrata con l’economia del sistema urbano sottostante, nella quale va sviluppata un’equilibrata integrazione fra le attività economiche tradizionali del settore agroalimentare, da sostenere, la diffusa economia dei servizi (turismo, tempo libero, sport, servizi sanitari e sociali, ecc.) che trova nella qualità ambientale e paesaggistica il fattore primario di produzione, l’indubbia vocazione ad un’offerta insediativa di qualità, da governare attentamente proprio per non compromettere le risorse primarie del territorio, e, infine, le nuove opportunità economiche che possono scaturire dallo sviluppo delle reti di comunicazioni immateriale.

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6.1.2 La struttura insediativa

Mobilità, costi e “dispersione” insediativa

Di seguito si riportano alcune indicazioni così come espresse dal documento di programmazione provinciale: “(…) Appare una progressiva separazione delle dinamiche relative alla scelta della residenza, all'allocazione delle attività produttive e alla scelta dei centri di servizio. Si determina così una moltiplicazione delle occasioni quotidiane di mobilità e una dilatazione dei percorsi che investono spesso un’ampia parte della provincia di residenza o addirittura diverse province. Una parte della popolazione 'vive' quotidianamente un territorio ampio e dedica una quota crescente del proprio tempo di vita e delle proprie risorse allo spostarsi. Questa diffusione territoriale dell'armatura urbana comporta ormai dei costi sempre più elevati nell'organizzazione e gestione sia dei servizi a rete (acqua e depurazione, gas, trasporti, rifiuti), sia degli altri servizi pubblici (sociali, scolastici, assistenziali, culturali). Peraltro, questi costi sociali diventano progressivamente anche costi individuali (tempi di percorrenza, prezzo dei servizi, ecc.). Il fenomeno, che è anche il prodotto positivo di una diffusa capacità di valorizzare le risorse locali e le economie d'ambiente e di produrre una buona qualità insediativa, nel suo persistere sta rischiando di determinare effetti controproducenti e di risolversi nella crescita di limiti allo sviluppo e di diseconomie esterne, a causa della quantità crescente di risorse bruciate per il trasporto (energia, tempo, risorse finanziarie, beni ambientali compromessi), e per il funzionamento dell’intera rete dei servizi collettivi. Questa “sindrome diffusiva”, analizzata alla scala provinciale ad un livello di maggiore dettaglio, mostra connotati molteplici. Si possono isolare due componenti principali e complementari del fenomeno, anche perché a ciascuna di esse possono corrispondere valutazioni diverse e modalità di risposta diverse da parte del PTCP in termini di indirizzi e direttive ai Comuni. Le due componenti che sembra utile evidenziare sono le seguenti: - la dispersione della popolazione dal capoluogo provinciale (ma ormai il fenomeno interessa anche Carpi) ha interessato con flussi migratori positivi non più solo la cintura metropolitana, ma, sia pure in modo differenziato, buona parte dei restanti comuni della provincia, dalla bassa pianura alla media montagna; - la dispersione non ha interessato solo i capoluoghi comunali, ma anche, nell’ambito dei comuni, numerosi altri centri abitati medi e piccoli, fino a soglie

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dimensionali molto basse, prescindendo largamente dalla dimensione e dalla dotazione di servizi urbani di ciascuno di essi. Si possono fare due valutazioni. Da un lato sono condivisibili le preoccupazioni per uno sviluppo eccessivamente disperso in ogni parte del territorio (maggiori costi ambientali diretti dovuti agli insediamenti, maggiori costi ambientali indiretti dovuti all’aumento e all’allungamento della mobilità, maggiori costi di gestione dell’intero sistema dei servizi sia puntuali che a rete, ecc.), dall’altro è innegabile che la diffusione della popolazione in quasi tutti i comuni corrisponde ad una diffusione di opportunità di sviluppo, al risarcimento del depauperamento di risorse umane e sociali della montagna e della bassa pianura avvenuto nei decenni precedenti nella fase di esodo dalle campagne verso la città, infine ad una proficua capacità di valorizzare risorse e specializzazioni locali di ciascuna porzione di territorio. Si tratta quindi di un fenomeno dagli effetti ambivalenti, richiede di affermare e consolidare una più visibile gerarchia del sistema in relazione al rango e alla qualità dell’offerta dei servizi urbani, e alle possibilità offerte dal sistema infrastrutturale, ma senza penalizzare a priori le possibilità evolutive di ciascuna porzione di territorio."

La crescita del territorio urbanizzato e pianificato

Nei centri della montagna, che raccolgono solo il 5,5% della popolazione dei centri della provincia, si colloca il 10,9% del TU’86 dell’intera provincia (e questo scarto è attribuibile alla diffusione delle seconde case nei decenni passati); ma si colloca quasi il 15% dell’incremento TP/TU’86 della provincia (e questo scarto ancora maggiore dimostra che il fenomeno della sovraproduzione edilizia in montagna, o almeno del sovradimensionamento dei PRG, non è affatto superato). La disaggregazione dei dati per classi dimensionali dei centri aiuta a chiarire se e dove sia avvenuto un contenimento dell’espansione urbana: - in particolare nella classe di centri con meno di 500 abitanti, che rappresenta solo il 6,3% del TU’86 dell’intera provincia, si colloca il 10,7% di tutto l’incremento TP/TU’86 della provincia. In particolare nella collina-montagna i dati disaggregati mostrano la tendenza all’ulteriore frammentazione del sistema insediativo, e all’ulteriore dilatazione (almeno nelle intenzioni dei PRG) dei centri abitati, prescindendo largamente dalla dimensione degli stessi, dalle dotazioni urbane e dalle dinamiche demografiche. Va però detto che nel caso della collina-montagna le entità assolute (in ettari) di questa dilatazione dell’urbano reale e potenziale sono in effetti ben poca cosa rispetto ai numeri dell’area centrale della provincia: in tutta

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l’area montana l’incremento TU86/TP, di circa 600 ettari, vale meno di un quinto di quello corrispondente dell’area centrale. E tuttavia colpisce per la sua rilevanza rispetto alla consistenza effettiva della compagine sociale ed economica dell’area montana, e ancora di più per la sua diffusione che coinvolge quasi ogni minima struttura urbana.

Le previsioni dei PRG vigenti

Pur con la prudenza con cui occorre valutare i dati, a causa dei livelli di approssimazione e di disomogeneità fra comune e comune, tuttavia sembra di leggere: - che le aree di espansione prevalentemente residenziali, pur rilevanti, non sono più la componente principale dell’espansione urbana; - che hanno un peso maggiore, soprattutto in termini di incremento percentuale, le previsioni espansive per le attività produttive; - che le aree per servizi costituiscono ormai la componente più rilevante della dilatazione urbana, anche se, come si dirà altrove, le dotazione di aree per servizi pro-capite risultano già molto buone, mediamente al di sopra degli standard minimi della legge regionale.

Territorio urbanizzato e pianificato e vulnerabilità dell’acquifero principale

Potrebbe essere soddisfacente constatare che le scelte dei piani più recenti sembrano tendere, sia pure lentamente, a correggere il tiro. Infatti l’incremento di estensione fra TU86 e TP è stato ancora di circa 2980 ettari (+24%), ma questo si colloca per oltre 2000 ettari (il 68%) nelle aree a vulnerabilità bassa o bassissima, per circa 510 ettari nelle aree a vulnerabilità media e ‘solo’ per i restanti 430 ettari (il 15%) nelle aree a vulnerabilità alta o altissima. Tuttavia la soddisfazione per il segnale di mutamento di rotta è mitigata dall’entità comunque ancora consistente delle aree che vengono interessate: siamo ben lontani da un auspicabile arresto dell’espansione urbana nelle aree più vulnerabili; altri 430 ettari di queste aree che potranno essere sottratte alle loro funzioni idrologiche naturali non sono poca cosa per l’equilibrio del sistema idraulico.

Le trasformazioni dell’insediamento sparso

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In tutto il territorio provinciale gli insediamenti sparsi di origine agricola sono soggetti da tempo a fenomeni, diffusi in tutta la regione: - le trasformazioni della maglia aziendale e dei modelli colturali hanno prodotto un’esuberanza del patrimonio edilizio rispetto alle esigenze aziendali e la cessazione dell’utilizzazione agricola o zootecnica per numerosi immobili sia residenziali che produttivi; - i connotati sociali ed economici delle zone rurali sono sempre meno ‘settoriali’: la “campagna urbanizzata” è la sintesi di una pluralità complessa di attività economiche primarie, secondarie e terziarie; negli stessi nuclei familiari si mescolano più fonti di reddito; le famiglie il cui reddito primario è di origine agricola sono ormai una percentuale ridottissima; - anche nell’uso del patrimonio edilizio la mescolanza di funzioni era ormai diffusa anche prima della L.R. 6/95, ed ora riceve nuova spinta dal mutamento normativo. Se la popolazione sparsa residente è segnalata in diminuzione (anche se con trend modesti rispetto al passato), d’altra parte sono pure ovunque in diminuzione le abitazioni effettivamente inutilizzate, mentre crescono quelle ad utilizzazione saltuaria o stagionale. In generale questi fenomeni sono avvenuti gradualmente senza attraversare vere e proprie crisi da abbandono (se non limitatamente alle porzioni del territorio montano dotate di minore accessibilità), e hanno permesso di rinnovare e quasi reinventare la vitalità economica e sociale delle campagne e della montagna. Le aree nelle quali i fenomeni di abbandono e fatiscenza di edifici ex-rurali mantengono una rilevanza locale significativa sono sempre più ristrette alle parti della montagna e della bassa pianura più lontane e meno accessibili dall’area centrale modenese. Gli aspetti più preoccupanti delle trasformazioni fisiche e funzionali degli insediamenti sparsi extraurbani e dei loro risvolti sui connotati del paesaggio riguardano le zone agricole periurbane, o in altri termini quelle dell’area centrale a più elevata densità insediativa. Il fenomeno non va quindi “esportato”. Servizi urbani e soglie minime funzionali dei centri

La presenza e distribuzione dei servizi urbani puntuali di base rappresenta il più efficace indicatore del livello di autosufficienza/dipendenza della loro popolazione. Nell’area della collina e montagna, la situazione, come è da attendersi, è più complessa, in relazione alle ragioni orografiche e storiche della frammentazione del sistema insediativo, dei più lunghi tempi di percorrenza del servizio di scuolabus e

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della necessità di assicurare comunque in qualche forma livelli di servizi di base anche alle zone ad utenza rarefatta; ciò motiva l’esistenza di una rete di servizi più capillare. Le scuole elementari sono ancora presenti in tutti i centri fino a 400/500 abitanti (meno Monteombraro), ma in molti casi si tratta di plessi sottodimensionati con utenze non superiori a 50/60 alunni; sono ancora presenti scuole elementari anche in alcuni centri di 150 /200 abitanti ma in questi casi si tratta di pluriclassi il cui destino deve essere considerato ormai segnato. Si possono individuare per la montagna soglie significative: - una prima fascia riguarda i centri al di sopra dei 900/1000 abitanti, che hanno tutti una discreta dotazione di servizi di base e mostrano anche una tenuta demografica generalmente buona o almeno discreta; - una seconda fascia riguarda i centri fra i 400 e gli 800 abitanti, che si potrebbe definire la fascia dei centri ‘a rischio’. Qui sono tuttora diffusamente presenti sia le scuole elementari che le medie inferiori, ma sono da attendersi proprio in questi centri i maggiori effetti dei processi di razionalizzazione e riduzione dei servizi nei prossimi anni, anche perché in molti di questi centri le previsioni demografiche disaggregate per classi di età segnalano la tendenza alla ulteriore riduzione della popolazione in età scolastica; - una terza fascia riguarda i centri al di sotto dei 400 abitanti; qui la dotazione dei servizi scolastici è già prevalentemente assente o comunque è generalmente condannata a non sopravvivere a lungo; la dotazione dei servizi privati, ove è presente in forme significative, è sostenuta più dall’utenza stagionale turistica che dall’utenza stanziale.

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Monitorare le trasformazioni degli insediamenti

Una gestione non statica ma evolutiva del PTCP e delle politiche urbane richiede l’attivazione e manutenzione di strumenti di monitoraggio in continuo delle trasformazioni degli insediamenti. In particolare devono essere monitorati: - lo stato e le modificazioni delle destinazioni urbanistiche dei suoli e lo stato della loro attuazione, e le potenzialità di offerta residue; - l’attività edilizia e i mutamenti d’uso del patrimonio edilizio. Per la prima prestazione occorre integrare con nuovi livelli informativi il Mosaico degli strumenti urbanistici comunali implementato presso il SIT della Provincia e definire delle procedure routinarie di comunicazione dai Comuni alla Provincia delle operazioni di attuazione dei PRG. Per la seconda prestazione occorre rendere sistematico e certo l’invio da parte dei Comuni dei moduli ISTAT per la rilevazione dell’attività edilizia di nuova costruzione, nonché di concordare le modalità per un’estensione della rilevazione alle ristrutturazioni edilizie che comportino incremento del carico urbanistico e cambi d’uso. Per entrambe le prestazioni, e inoltre per assicurare una reale confrontabilità delle previsioni urbanistiche dei Comuni, occorre inoltre che alcuni parametri e unità di misura fondamentali siano uniformati nella definizione e applicati in modo omogeneo nelle operazioni di rilevazione dei dati, nelle Relazioni illustrative degli strumenti urbanistici, nelle istruttorie degli stessi da parte degli Uffici della Provincia. A questo fine sono previste le direttive ed indirizzi di cui all’art. 46 delle Norme.

La distribuzione commerciale

La seconda e la terza fascia di cui sopra sono quelle situazioni dove potrà trovare utile applicazione la formula degli esercizi multiservizio prevista dalla legge di riforma del settore del commercio. Il PTCP assume l’obiettivo prestazionale di salvaguardare un’equilibrata presenza delle diverse tipologie di distribuzione commerciale nelle diverse parti della struttura insediativa, e di contenere gli impatti delle trasformazioni della rete di vendita sul sistema economico e sull’efficienza delle infrastrutture.

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L’obiettivo si traduce in una serie d’azioni strategiche e normative differenziate in relazione alle diverse parti del sistema insediativo e alle diverse tipologie di vendita; in particolare: - nelle aree collinari e montane a domanda debole occorre mantenere i servizi di prima necessità favorendo la tenuta dei nuclei di servizio tradizionali, ovvero prevedendo, laddove si verifichino fenomeni di desertificazione del servizio, norme di agevolazione e incentivi all’apertura di esercizi multifunzione e multiservizio così come previsto dalla Legge 114/98. Queste prestazioni trovano specificazione da un lato nei Piani pluriennali di sviluppo delle Comunità Montane e dall’altro nella emanazione di specifiche normative per gli esercizi multiservizio. Le soglie di consistenza demografica sopra individuate sembrano essere quelle che, pur con tutte le possibili eccezioni e particolarità locali, meglio corrispondono in generale a realistiche possibilità di mantenere anche per il futuro determinate dotazioni di servizi pubblici e privati; ma, giova essere chiari, non si tratta certo di livelli ottimali, si tratta appunto di soglie minime, da verificare in concreto caso per caso, anche in relazione all’ulteriore potenziale utenza gravitante o transitante. Frenare la dispersione insediativa nelle forme che generano maggiore impatto ambientale e maggiori diseconomie. Il PTCP si pone con forza l’obiettivo prestazionale di frenare e successivamente fermare l’ulteriore dispersione insediativa, almeno in quelle modalità che risultano più onerose per l’efficiente funzionamento del sistema dei servizi collettivi, nonché più critiche in termini di conseguenze sul sistema della mobilità e quindi di impatto ambientale. A questo fine individua delle soglie minime di consistenza dei centri abitati e di dotazione di servizi di base al di sotto delle quali non è opportuno perseguire politiche di espansione urbana per la residenza. Tali soglie sono articolate in relazione ai diversi contesti territoriali (pianura, montagna) e comunque assumono tra gli altri come indicatore-chiave la presenza, e la ragionevole possibilità di permanenza nel tempo, del servizio scolastico dell’obbligo, almeno per quanto riguarda il ciclo elementare; ciò in quanto la presenza della scuola elementare e la sua permanenza anche in prospettiva di processi di razionalizzazione del servizio, costituisce un buon indicatore della presenza anche di altri servi di base privati: un minimo di esercizi commerciali, la farmacia, ecc.

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Per i centri abitati al di sotto di tali soglie il PTCP prevede che si perseguano, con riguardo alla funzione residenziale, politiche urbanistiche volte prioritariamente al recupero, alla riconversione di insediamenti dismessi, eventualmente all’addensamento nell’ambito del territorio urbanizzato e solo in modo selettivo a modeste espansioni. Questa prestazione è sinergica con le prestazioni relative al consolidamento della struttura policentrica del sistema insediativo; essa trova attuazione attraverso i PRG comunali e il coordinamento a livello intercomunale delle politiche urbane e, in questo ambito, in un’attenta e realistica programmazione dei servizi di base.

Innalzare il livello di qualità ambientale e insediativa delle aree per insediamenti produttivi manifatturieri

Con riferimento agli insediamenti produttivi manifatturieri Il fenomeno diffusivo interessa sia l’area della bassa pianura, sia, soprattutto, l’area centrale mentre nella montagna e collina sembra più corretto parlare di frammentazione degli insediamenti, strutturata in riferimento alle diverse polarità territoriali. Le prestazioni da raggiungere per l’innalzamento della qualità nell’offerta di aree per insediamenti produttivi sono individuate nelle seguenti: - crescita del livello di sostenibilità ambientale, sia attraverso la ricerca di maggiore coerenza fra caratteri ambientali e requisiti degli insediamenti, sia attraverso il potenziamento delle infrastrutture ecologiche; - miglioramento delle condizioni di accessibilità e della infrastrutturazione per la movimentazione delle merci, con una maggiore relazione fra localizzazioni produttive e sviluppo delle infrastrutture ed in particolare di quelle dedicate alla logistica; - integrazione e sviluppo di servizi specializzati all’interno della aree produttive a supporto delle imprese e del personale addetto; - attenta valutazione delle tipologie di attività insediabili in funzione sia della compatibilità’ urbanistica ed ambientale, sia della promozione di effetti sinergici fra le imprese insediate in ciascuna area produttiva; - miglioramento della immagine complessiva degli insediamenti, sia in termini di riordino urbanistico, sia in termini di qualità architettonica. - raggiungimento di requisiti minimi di qualità funzionale delle aree produttive.

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Tutelare i caratteri distintivi del territorio rurale e utilizzarne il patrimonio edilizio e le risorse ambientali anche per funzioni non agricole

L’obiettivo strategico della salvaguardia complessiva del territorio rurale si traduce nei seguenti fondamentali obiettivi prestazionali: - frenare l’erosione dei suoli coltivati, anche nelle prospettive attuali di riduzione delle produzioni, almeno per tutti quei suoli ad elevata fertilità e con scarse limitazioni d’uso che costituiscono per il settore una risorsa strategica; - convertire i modelli colturali verso una riduzione degli apporti chimici; - garantire la compresenza e la sinergia fra la funzione primaria agricola e le altre funzioni compatibili che possono trovare ragion d’essere e opportunità nel godimento delle risorse ambientali e occasioni di insediamento nel recupero del patrimonio edilizio, specie se di interesse culturale. Queste prestazioni sono ulteriormente articolate e dettagliate nel Piano di Sviluppo Agroalimentare e Rurale della Provincia di Modena (D.C. n. 140 del 13/05/1998) che ha individuato le aree di maggior valore agricolo, le filiere portanti del settore e le possibili sinergie intersettoriali.

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6.1.3 Considerazioni sull’area della collina e della montagna

L’area contribuisce allo sviluppo socioeconomico ed alla competitività del sistema provinciale prioritariamente attraverso la valorizzazione delle proprie risorse ambientali di pregio, quali fattori di sviluppo e qualificazione dell’apparato produttivo e come elementi di distintività, immagine ed attrattività del territorio e del sistema socioeconomico nel suo complesso. L’offerta turistica e le filiere alimentari dei prodotti tipici e di elevato tenore qualitativo costituiscono di conseguenza i principali ambiti di specializzazione e di vantaggio comparato dell’area nel contesto socioeconomico provinciale. L’accrescimento del potenziale competitivo del sistema socioeconomico locale e la contestuale acquisizione di una più marcata identità da parte dell’area si incardinano di conseguenza su: - processi di progressiva “apertura” di più ampie parti del sistema socioeconomico della montagna verso le reti esterne; - facendo leva sull’identità delle sue componenti attraverso l’offerta di beni e servizi radicati nelle specificità del territorio, creando così le condizioni di vantaggio competitivo per il rapporto con il globale; - sviluppando e consolidando relazioni esterne e forme di collaborazione e complementarietà con i sistemi socioeconomici appartenenti a realtà territoriali diverse, prioritariamente riferite alla pianura ed alla pedecollina della provincia; - sviluppo delle condizioni per l’innalzamento della qualità della vita e l’insediamento di nuova popolazione, costituite prioritariamente dalla qualificazione dei servizi diffusi e di livello locale e dall’accessibilità ai servizi puntuali e di livello sovralocale, attraverso un approccio ed obiettivi diversificati a seconda che si tratti di aree in cui si è instaurato un autonomo processo di ripopolamento oppure di aree caratterizzate da fenomeni di riduzione del presidio antropico e di impoverimento socioeconomico; - creazione delle condizioni per la crescita di imprenditorialità innovative e di prospettive di lavoro qualificato mediante l’applicazione di modelli di sviluppo integrato incentrati su relazioni sinergiche tra le diverse funzioni territoriali ed i diversi settori economici al fine di generare processi virtuali di crescita di valore aggiunto e occupazione; - la qualificazione ed il potenziamento dei comparti produttivi maggiormente dotati di specificità dei prodotti e di immagine derivante dai luoghi di produzione e dalle

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peculiarità dei processi di produzione, con particolare riferimento al comparto lattiero-caseario e ad altri comparti orientati su prodotti difficilmente imitabili in contesti territoriali differenti; - la qualificazione ed il riposizionamento strategico dell’offerta turistica.

Strategie e prestazioni generali

L'area appenninica modenese sta raggiungendo livelli di integrazione funzionale ed economica con il sistema urbano sottostante molto più avanzati rispetto alle altre realtà provinciali emiliane; il suo sistema insediativo e l'economia montana tradizionale si stanno riconvertendo in un sistema integrato nel quale le attività agricole e artigianali si compenetrano con le attività turistiche e commerciali e con gli usi del territorio riferibili al tempo libero. Forzando i termini, si può affermare che il ruolo della montagna modenese non è più quello di un'area 'interna', ma quello di un grande 'bacino periurbano' con un'economia variegata sempre più integrata con l’economia del sistema urbano sottostante e sempre più portata a soddisfare bisogni della popolazione urbana. Tuttavia questa trasformazione non è uniforme su tutto il territorio e non è priva di contrasti e ‘sofferenze’. Un marcato ritardo nell’integrazione si segnala nella fascia occidentale e anche nelle aree maggiormente integrate vi sono ‘isole’ a specializzazione agricola particolarmente fragili. Le tendenze contrapposte che agiscono sul sistema ambientale possono essere descritte come una sorta di dualismo privo di equilibrio, un dualismo per ora conflittuale nel quale stentano ad emergere le occasioni e le forme di integrazione e di sinergia. Si assiste al procedere nella collina e media montagna di dinamiche economiche e insediative tipiche delle aree di cintura metropolitane: - presenze industriali consistenti e peso non in diminuzione dell’economia industriale in termini di addetti; - un crescente flusso migratorio positivo che interessa ormai quasi tutti i comuni; - una tendenza all’ulteriore erosione ambientale da parte dello sviluppo insediativo (infrastrutture, attività estrattive, nuove urbanizzazioni); Parallelamente vi è stata una ristrutturazione della filiera agricola portante, ossia quella zootecnica, che ha determinato una riduzione del numero di aziende e ad un aumento del numero medio di capi allevati, ristrutturazione non ancora sufficiente a ridurre gli elementi di fragilità del comparto.

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Indipendentemente dalla 'forza' relativa che esprimono nelle diverse parti della montagna, il settore agricolo e il settore forestale, pur mantenendo un rilievo economico maggiore che in altre parti dell’Appennino, non costituiscono più le attività ordinatrici dei sistemi economici montani. Vi è un rischio effettivo di destrutturazione del settore agricolo per eccessiva riduzione del numero e della densità delle unità produttive. Ciò potrebbe portare a fenomeni di abbandono delle coltivazioni, che, ove non immediatamente sostituite da un diverso governo dei suoli (rimboschimenti, gestione associata dei prati- pascoli), darebbe luogo in una prima fase ad un incremento della erosione e del dissesto dei versanti. D’altra parte la riduzione della superficie coltivata ha costituito altrove la premessa indispensabile per una progressiva rinaturalizzazione: e, con essa, per un ritorno nel tempo ad un equilibrio idrogeologico dinamico meno artificiale e più duraturo, connotato da una maggiore duttilità delle pendici alle azioni dinamiche delle acque. Pur frammentate e parzialmente compromesse da un carico antropico cospicuo (in rapporto alla fragilità del territorio) e comunque superiore a quello sostenuto dal territorio montano in qualunque epoca passata, le risorse ambientali locali, complessivamente riconducibili alle qualità dei contesti montani, rimangono pregevoli e alimentano segmenti economici propri: il turismo e il tempo libero, alcune produzioni agricole di qualità, il commercio e l'artigianato alimentati dai elevati flussi di transito e dalle presenze stagionali e dei week-end. Anche i segmenti economici più connaturati al contesto ambientale, come il turismo, attraversano peraltro fasi sofferte riconducibili all’invecchiamento strutturale e all’emergere della concorrenza di nuovi territori, ciò che richiede di innovare le forme di offerta e di promozione dell’offerta. Le chiavi di un nuovo assetto ambientale sostenibile per l'area montana sono da ricercare nell'equilibrio e nell'integrazione fra le attività economiche tradizionali da sostenere, l'indubbia domanda a vocazione insediativa, che se non strettamente governata rischia di compromettere ulteriori risorse, e una qualità ambientale e paesaggistica che è il fattore di produzione primario di un'economia sempre più orientata verso i servizi (turismo, pubblici esercizi, tempo libero, sport, servizi sanitari e sociali, servizi per la terza età, attività culturali, ecc.). In questa direzione vanno orientate le politiche settoriali tra cui si segnalano in sintesi estrema:

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- il sostegno del sistema agricolo-zootecnico della montagna centrale e in particolare la salvaguardia quantitativa e qualitativa della filiera del Parmigiano- Reggiano, quale elemento strutturante del sistema economico; - il sostegno alle diverse forme ed ai diversi segmenti dell’economia turistica, con particolare riferimento al turismo invernale e al turismo rurale ed escursionistico, anche attraverso la valorizzazione della sentieristica; - nella fascia occidentale, l’inserimento di funzioni extragricole di carattere terziario, a sostegno della tenuta socio-economica;

Obiettivi prestazionali specifici – le funzioni dei centri urbani

La gerarchizzazione della struttura insediativa sotto descritta, in quanto trova sanzione nell’art.39 delle Norme, assume il significato di riferimento necessario per le politiche settoriali e gli atti di programmazione della Provincia, delle Comunità Montane, dei Comuni e degli altri enti e amministrazioni pubbliche subregionali. Centri Ordinatori – (Pavullo nel Frignano) E’ centro portante dell'armatura urbana regionale, a cui è assegnato un ruolo di polarizzazione dell'offerta di funzioni rare e di strutturazione delle relazioni sub-regionali. I Centri Ordinatori sono da considerare, i recapiti preferenziali: - delle politiche di potenziamento delle economie di relazione, attraverso il miglioramento dell'accessibilità e dei sistemi infrastrutturali per la mobilità e le comunicazioni; - delle politiche di qualificazione e potenziamento dei servizi settoriali; sanitari, in particolare ospedalieri; - scolastici superiori all'obbligo e di formazione professionale; di offerta culturale; - delle politiche di decentramento degli uffici delle Amministrazioni Statali e Regionali; - degli interventi di ristrutturazione e ammodernamento della rete commerciale al dettaglio, nonché di qualificazione dell'artigianato dei servizi; - degli interventi che contribuiscono al potenziamento del peso insediativo e alla qualificazione del tessuto urbano; - finanziamenti pubblici per l'edilizia residenziale a valenza sociale e per l’affitto; - finanziamenti pubblici per la riqualificazione urbana e l'infrastrutturazione urbana.

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Seguono nella gerarchia funzionale i Centri Integrativi ossia quei centri abitati che assumono, o possono assumere, funzioni di supporto alle politiche di integrazione territoriale, contribuendo, in forma interattiva con i Centri sovraordinati, alla configurazione del sistema dei servizi in ciascuna area territoriale omogenea , ovvero svolgendo funzioni di presidio di territori a debole armatura urbana. I Centri Integrativi costituiscono la massima articolazione spaziale prospettabile per le funzioni non di base: sanitarie, scolastiche, culturali, di attrazione commerciale, ecc.. I Centri di presidio vanno sostenuti nel loro ruolo di coagulo dell’offerta dei servizi di base nei territori collinari-montani a struttura insediativa frammentata e a domanda debole. I Centri Integrativi di Presidio in montagna sono l’aggregato di /Sestola; ; Pievepelago; Serramazzoni; Zocca . Polinago è Centro di Base (Sono definiti Centri di Base i centri urbani minori idonei ad erogare i servizi di base civili, commerciali, artigianali alla popolazione accentrata e sparsa. E’ pure Centro specialistico dell’economia turistica montana per la funzione portante dell’economia del turismo climatico collinare-montano e/o per le potenzialità agrituristiche, ambientali e sportive (aggregato di Fanano/Sestola; ; Frassinoro; Guiglia; Lama Mocogno; ; Montefiorino; Montese; Palagano; Pievepelago; ; Serramazzoni; Zocca.) Alcuni sono anche quali centri di qualificazione, valorizzazione, specializzazione turistico invernale. Per i Centri Specialistici dell’economia turistica montana le azioni strategiche sono tutte quelle necessarie a sostenere e qualificare l’offerta turistica, ossia: - sviluppo della ricettività (alberghi, campeggi, villaggi turistici, ostelli), delle attività culturali ricreative, ristorative e sportive; - interventi per la qualificazione degli spazi urbani e l’arredo; - tenuta e qualificazione dell’offerta commerciale e di servizi artigianali alla persona; - calendario di iniziative di animazione; - organizzazione della promozione e della commercializzazione del prodotto turistico. Questi centri dell’area montana sono da considerare, sulla base delle diverse potenzialità, i recapiti primari, con riferimento all'ambito collinare e montano, delle politiche riferite: - al rafforzamento della dotazione di servizi per l'utenza turistica, sia accentrata che sparsa, sia stanziale che itinerante;

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- al miglioramento della qualità morfologica urbana e al recupero delle forme insediative storiche della collina e della montagna; - al rafforzamento della dotazione di attrezzature sportive, ricreative e per lo spettacolo; - al rafforzamento delle politiche per il turismo rurale e l’agriturismo .

Gli altri centri abitati dell’area omogenea della collina e della montagna

Assumono il ruolo di nodi di una rete insediativa diffusa a supporto delle attività economiche locali (turistiche, ricreative, artigianali e agricole) per la quale si pongono obiettivi di tenuta. Per i centri abitati al di sopra di una soglia critica intorno ai 400 abitanti (accentrati e sparsi) appare possibile assegnare la prestazione di consolidare un ventaglio minimo di servizi di base alla popolazione di natura pubblica e privata, a livelli ragionevoli di efficienza ed economicità e nuove urbanizzazioni il cui dimensionamento sia ragionevolmente rapportato ad esigenze e fabbisogni di natura meramente locale anche in relazione alle dinamiche socio economiche, al trend di incremento dei nuclei familiari registrato nell’ultimo decennio e al numero di nuovi alloggi effettivamente costruiti in quel centro nel medesimo decennio. Per i centri abitati al di sotto della soglia sopra individuata, i Comuni definiranno, in un processo di necessaria azione selettiva, in quali centri limitare le opzioni urbanistiche al recupero edilizio, al completamento di aree già interamente urbanizzate, eventualmente all’integrazione di singoli lotti contigui al territorio urbanizzato e in quali prevedere anche modeste espansioni contigue all’edificato esistente, in relazione alla dimensione demografica del centro, alla lontananza da altri centri abitati, alla presenza e/o alla possibilità di mantenimento di alcuni esercizi di base, fra cui la sede relativa al primo ciclo dell’obbligo. In ogni caso, e per tutti i centri, le eventuali scelte urbanistiche di nuova urbanizzazione, ove siano possibili in relazione alla morfologia del territorio al sistema delle tutele, dovranno assumere modalità aggregative e caratteri tipologici e morfologici richiamanti la cultura dell’edilizia tradizionale locale e dovranno ricercare un inserimento non conflittuale delle nuove costruzioni nel contesto ambientale ed insediativo storicizzato. Per quanto riguarda gli insediamenti produttivi industriali e artigianali la strategia è quella di favorire l’insediamento, in zone compatibili, di attività produttive ad alto

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valore aggiunto, scarso impatto sulle infrastrutture viarie, assenza di problematiche rispetto al reperimento delle materie prime, allo smaltimento dei reflui e dei rifiuti, limitata consistenza delle strutture edilizie che rendano gli interventi coerenti con i prioritari obiettivi di tutela e valorizzazione dell’ambiente naturale e storico. In questa direzione si individuano come azioni strategiche: - lo sviluppo e qualificazione del Polo di Pavullo-Madonna dei Baldaccini, che viene riconosciuto come Polo produttivo di rilievo provinciale; - una ulteriore limitata offerta di aree produttive, scelte preferibilmente fra quelle già’ previste dai PRG e dislocate in modo da costituire riferimento per ambiti intercomunali, nelle quali promuovere progetti di riqualificazione e di promozione.

Obiettivi prestazionali specifici - ambito socio-economico

Sono individuate le seguenti prestazioni come la riorganizzazione del sistema produttivo in direzione di: - un processo di rinnovamento delle imprese in termini strutturali e gestionali; - una contestuale crescita di attività economiche innovative e dotate di migliori prospettive di sviluppo, in grado di rapportarsi in modo sinergico con i settori del turismo, delle attività agro-ambientali ed in generale con la valorizzazione a fini economici delle caratteristiche dell’ambiente naturale e del paesaggio; - sostenere la qualificazione e la ristrutturazione del sistema agricolo-zootecnico valorizzando gli ambiti di maggiore specializzazione e specificità territoriale, (Piano di Sviluppo Agroalimentare e Rurale della Provincia di Modena - delibera di Consiglio Provinciale n.140 del 13.05.98), con particolare attenzione alla filiera del Parmigiano-Reggiano; - nella fascia collinare, salvaguardia e valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche, incremento e la qualificazione del turismo naturalistico e dell’ospitalità in ambito rurale, (valorizzandone l’immagine e le peculiarità soprattutto in progetti da inserirsi nel “Programma di rivitalizzazione economica delle aree rurali della Collina Modenese”), forme di incentivazione economica dell’artigianato tipico locale; - lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni telematiche e di altre tecnologie dell’informazione, comprese esperienze di telelavoro, volte ad agevolare il contatto del sistema socioeconomico della montagna, ed in particolare dei subsistemi più marginalizzati per localizzazione geografica e difficoltà di collegamento viario, con gli ambiti urbani provinciali ed extra-provinciali a maggiore grado di sviluppo

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complessivo, al fine principalmente di sostenere il modello organizzativo a rete delle imprese e superare le condizioni di “isolamento” di larghe fasce dell’apparato produttivo attraverso - l’accesso alle risorse immateriali (informazioni, know-how, cultura, etc.) ed a potenziali bacini di domanda di beni e servizi; - facilitare e consolidare il collegamento delle popolazioni della montagna con i servizi rari di livello provinciale concentrati prevalentemente nel Capoluogo provinciale e nell’area centrale ed appartenenti in particolare ai settori della pubblica amministrazione, sanità, cultura e formazione professionale; - veicolare l’immagine delle aree della montagna prevalentemente a fini promozionali dei propri prodotti.

La sostenibilità degli insediamenti e i fattori di criticità ambientale

Sostenibilità ambientale ed evoluzione del sistema insediativo: obiettivi strategici. La nozione di sostenibilità ambientale implica che i processi ecologici vengano riconosciuti nelle proprie modalità di funzionamento ed alla scala in cui essi effettivamente operano, ovvero alla scala in cui è ragionevolmente possibile misurarne gli effetti e porsi l’obiettivo di intervenire per contenere o arrestare fenomeni di disfunzionalità o di rischio. - quadro conoscitivo che metta in comune informazioni e interpretazione delle informazioni sui processi ambientali (condivisione della diagnosi ); - definizione delle invarianti non negoziabili e dei limiti di soglia non superabili (condivisione dei valori ); - condizionamenti che ricadono specificamente su ciascuno e le azioni positive di spettanza di ciascuno (condivisione delle politiche e dei progetti ). L’aumento di conoscenza dei fenomeni ambientali nella nostra realtà territoriale indirizza con forza a porre il complesso delle politiche territoriali ed ambientali a scala adeguata in termini di: - indagine e monitoraggio; - obiettivi e politiche di intervento. Famiglie di limiti fondamentali che traducono la nozione di sostenibilità dello sviluppo sono: - i limiti nella emissione in atmosfera di gas climalteranti, che inferiscono;

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- i limiti nel rilascio nell’ambiente di inquinanti (aerei, liquidi e solidi), in termini di quantità e in termini di concentrazione, (ovvero i limiti di compromissione qualitativa di aria, acqua e suolo); - i limiti nell’uso e consumo delle risorse idriche superficiali e sotterranee, che inferiscono; - sui sistemi di approvvigionamento e distribuzione; - sui modelli di consumo; - sull’estensione e le forme degli insediamenti (impermeabilizzazioni, confinamento dei vettori fluviali); - i limiti nel depauperamento della copertura vegetale del suolo, che inferiscono; - sull’estensione e i modelli di utilizzo agricolo del suolo, - sull’estensione e le forme degli insediamenti e delle infrastrutture; - i limiti di esposizione al rumore, che inferiscono: - i limiti di esposizione ai campi elettrici e magnetici, che inferiscono. Il PTCP non calcola il fabbisogno globale di nuovi insediamenti, né affida questo compito ai Comuni; individua tuttavia le condizioni e i limiti condivisibili di soddisfacibilità della domanda insediativa, in relazione a tre gruppi di problematiche: - volontà di tutela di determinate risorse ambientali; - limiti di sostenibilità rispetto al mantenimento nel tempo degli equilibri ambientali; - limiti di sostenibilità rispetto ai costi di funzionamento del sistema e all’efficienza delle reti infrastrutturali.

Gli obiettivi strategici a) Garantire nel lungo periodo la consistenza e il rinnovo delle risorse idriche; che si traduce in prestazioni riguardanti: - il contenimento dei prelievi, - la salvaguardia dell’efficacia dei processi di alimentazione degli acquiferi, - il contenimento dell’impermeabilizzazione dei suoli nelle aree di ricarica degli acquiferi, - la razionalizzazione dell’uso delle risorse e la riduzione degli sprechi; b) garantire il ripristino e il mantenimento di livelli accettabili di qualità delle acque superficiali e sotterranee; che si traduce in prestazioni riguardanti: - il completamento, adeguamento ed efficacia delle reti e degli impianti per lo smaltimento e la depurazione dei reflui di tutti gli insediamenti;

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- la tutela dei corsi d’acqua; - la tutela dei suoli a maggiore vulnerabilità dell’acquifero dalle attività inquinanti o potenzialmente inquinanti; c) garantire accettabili livelli di sicurezza degli insediamenti rispetto ai rischi idraulici; che si traduce in prestazioni riguardanti: - il mantenimento e l’adeguamento dell’officiosità idraulica dei vettori idrici; - il contenimento della subsidenza; - la limitazione degli insediamenti nelle aree più esposte; d) ridurre la quantità di rifiuti da smaltire; che si traduce in prestazioni riguardanti: - la riduzione all’origine della produzione di rifiuti; - l’aumento della quota recuperata e riciclata; - il recupero energetico dalla frazione di rifiuti non diversamente recuperabile. La dimensione e il grado di diffusione raggiunti dal sistema insediativo (ossia la crescita edilizia indifferenziata che si è verificata in tutti i comuni piccoli e medi e in tutti i centri abitati di ciascun comune, a prescindere dalla dimensione, dalla collocazione e dalla dotazione di servizi), i costi di funzionamento che il sistema evidenzia (in particolare i costi ambientali, sanitari, sociali e direttamente economici di un aumento esponenziale della mobilità con auto privata) e la varietà e diffusione di impatti ambientali che occorre controllare, portano all’indicazione di obiettivi strategici; da essi il PTCP fa discendere una serie articolata di prestazioni-obiettivo rapportate ai caratteri del sistema insediativo dell’area modenese: - tutelare dall’espansione urbana la fascia pedecollinare del territorio provinciale a più elevata sensibilità ambientale; - tutelare i caratteri distintivi del territorio rurale e valorizzarne il patrimonio edilizio e le risorse ambientali anche per funzioni non agricole integrabili nel contesto rurale; - valorizzare le risorse ambientali periurbane ai fini della qualità ecologica e paesaggistica delle aree urbane; - tutelare le discontinuità delle strutture insediative.

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Rischio idraulico e criticità idraulica

Pericolosità idraulica: si intende la probabilità che un certo fenomeno (naturale o indotto più o meno direttamente dall’antropizzazione) si verifichi in un certo qual territorio, in un determinato intervallo di tempo; Criticità idraulica: è in situazione di criticità ambientale una forma naturale od antropica dalla cui evoluzione dinamica si possono produrre scenari di pericolo. Il rischio idraulico nelle zone collinari e montane del territorio modenese è strettamene connesso al problema del dissesto con attivazione di fenomeni erosivi indotti dal corso d’acqua nelle fasi di piena, all’esistenza di situazioni di vulnerabilità elevate in aree con tempi di corrivazione e di formazione di un’onda di piena molto rapidi, alla presenza puntuale di tombinature di torrenti in aree urbanizzate. Come indicatori di dissesto sono stati presi pertanto i fenomeni di erosione di sponda e di fondo, i fenomeni di sovralluvionamento e/o di trasporto di massa in corrispondenza delle conoidi, mentre le analisi puntuali relative al dissesto sono già state ampiamente trattate nel PTCP - attuazione dell’art. 7 del PTPR. All’interno del PTCP è stata anche analizzata la situazione della criticità idraulica del territorio che ha portato alla zonizzazione di cui agli artt. 17 a e b e 18. Nel bacino del fiume Secchia l’analisi effettuata dalla Bozza di discussione del “Piano stralcio per la difesa idrogeologica e della rete idrografica del bacino del fiume Po” evidenzia che i fenomeni di dissesto fluvio-torrentizi sono molto importanti alla testata del bacino e in tutto il territorio del sottobacino del Torrente Dragone; decrescono di intensità con l’aumentare della distanza dalla sorgente. Riguardo alla criticità idraulica il PTCP individua “Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua” (art. 17) e “invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua” (art. 18) e ne definisce un impianto normativo esauriente. Un documento analitico di riferimento comunque da considerare è anche il “Piano nazionale di emergenza Bacino del Po D.M. 650/1995” allegato al Programma provinciale di previsione e prevenzione di Protezione Civile. Tale documento evidenzia i possibili scenari di evento connessi ai diversi punti di debolezza dell’asta fluviale e le persone coinvolte dall’evento idrologico critico. Le situazioni ad elevata criticità idraulica sono da segnalarsi soprattutto in relazione alla possibilità di fenomeni fluvio-torrentizi estremi in aree prossime al crinale in cui la formazione dell’onda di piena avviene in tempi molto rapidi.

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L’inventario dei centri abitati montani esposti a pericolo della Bozza di discussione del “Piano di Bacino” fornisce un quadro conoscitivo del dissesto idraulico in montagna utilizzando indicatori che hanno come sistema di riferimento il territorio comunale. Il quadro che ne deriva è quello riportato di seguito che coincide con il quadro tracciato nel Piano nazionale Bacino Po del Programma di previsione e prevenzione di Protezione Civile.

Interventi e misure volte alla riduzione del rischio

La presenza degli elementi esposti al rischio si dimostra in forte aumento rendendo sempre più necessaria l’attivazione: a) di regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree a rischio: - delimitazione delle fasce fluviali e regolamentazione dell’uso del suolo all’interno delle stesse; - indirizzi per la delimitazione delle fasce fluviali sul reticolo minore; - revisione degli strumenti urbanistici vigenti a scala comunale in termini di compatibilità con le condizioni di rischio; - indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica; - indirizzi e prescrizioni per la progettazione delle infrastrutture interferenti: ponti e rilevati stradali e ferroviari, opere civili, etc; - indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere pubbliche e di interesse pubblico secondo i criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idraulico e idrogeologico; - incentivazione per l’allontanamento di insediamenti residenziali vicino alle fasce fluviali; b) di previsione e sorveglianza degli eventi metereologici estremi: - monitoraggio meteo-idrologico di previsione di piena e del rischio di frana; - monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o temporaneamente quiescente; - monitoraggio idrogeologico e morfologico dei corsi d’acqua; - coordinamento e integrazione con le funzioni di protezione civile;

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c) di mantenimento delle condizioni di assetto dei sistemi idrografici: - manutenzione programmata sugli alvei, sulle opere idrauliche, sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione; - adeguamento del servizio di polizia idraulica; - definizione di piena di progetto; - definizione dei valori limite di deflusso nei punti singolari della rete idrografica; d) di misure strutturali di tipo estensivo: - rinaturazione e recupero naturalistico e funzionale delle aree fluviali golenali e inondabili in genere; - mantenimento delle aree di espansione naturale e intercettazione del trasporto solido sui corsi d’acqua montani; - opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; - riforestazione e miglioramento dell’uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica; e) di misure strutturali di tipo intensivo già documentate in questo capitolo: - riferite al reticolo idrografico e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto; - riferite all’adeguamento delle infrastrutture viarie di attraversamento o interferenti. Per il raggiungimento degli obiettivi di cui ai punti 1 e 4 la puntuale osservazione delle norme del PTCP - attuazione dell’art. 7 del PTPR e delle direttive ed indirizzi di cui all'art. 43 delle presenti Norme consentirà una notevole diminuzione della pericolosità idraulica. L’esplicazione piena delle competenze di protezione civile che passa attraverso la realizzazione del Programma provinciale di previsione e prevenzione di Protezione Civile e della pianificazione dell’emergenza in fase di attuazione in Provincia di Modena permetterà il raggiungimento degli obiettivi di cui ai punti 2 e 3. La realizzazione degli interventi progettati e documentati in questo capitolo permetterà il pieno raggiungimento delle prestazioni di cui al punto 5.

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La risorsa acqua nel bacino del fiume secchia – quantità e qualità Acque superficiali - Aspetti qualitativi

Si individuava la tendenza alla potenziale crisi di disponibilità di risorsa, in rapporto alle punte di domanda per i Comuni alimentati dal Consorzio del Dragone, caratterizzati da scarsa disponibilità di risorse locali: Montefiorino, Frassinoro, Palagano, Lama Mocogno, Serramazzoni e, in misura meno preoccupante, per i Comuni di Sestola e Pievepelago, stimando al 2000 un deficit di risorsa pari a circa 50 l/ sec. Restano confermati i Comuni nei quali è più probabile un’emergenza idrica in condizioni di massima presenza nel breve periodo con l’aggiunta dei Comuni della Comunità Montana Modena Est e di alcuni comuni della pedecollina, mentre nel medio periodo (al 2007), a causa dell’espansione turistica, carenze di risorse più o meno accentuate vengono stimate per quasi tutti i comuni montani, e nel complesso pari a circa 100 l/sec. al 2007. Nel Fiume Secchia si registra una significativa compromissione dello stato di qualità delle acque sin dalle zone più a monte. L’impatto successivo degli apporti di scarichi civili e suinicoli del Torrente Rossenna e il contributo dei reflui fognari degli insediamenti civili e produttivi nella zona pedecollinare ne acuiscono successivamente lo scadimento. Complessivamente negli ultimi anni la classe di qualità del Secchia si è mantenuta costante. Per quanto attiene invece alle stazioni poste in prossimità della sorgente, si registra negli anni uno scadimento qualitativo tale da auspicare un approfondimento di indagini. Ciò conferma la necessità di operare al fine di migliorare, da un lato la situazione degli scarichi e dell’impiantistica direttamente interessata e dall’altro esaminare il funzionamento delle reti di fognatura e dei sistemi idraulici con l’obiettivo di eliminare eventuali inconvenienti legati al cattivo funzionamento.

Acque sotterranee - entità e qualità della risorsa

Aree di possibile alimentazione delle sorgenti -vulnerabilità Possono essere a questo riguardo presi in considerazione approfondimenti locali che portino a diverse indicazioni. (metodologia GNDCI-CNR Appendice 1).

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Per le aree così individuate secondo gradi differenziati di sensibilità vengono quindi definite disposizioni, per lo più rivolte all'azione di piano e di regolamentazione locale, al fine di orientare le scelte di assetto del territorio sulla base di una accurata valutazione dei seguenti elementi: - presenza di "centri di pericolo", ovvero: insediamenti, manufatti, attività localizzate, nonché modalità d'impiego di insediamenti, manufatti ed aree che possono dare luogo direttamente o indirettamente a fattori certi o potenziali di degrado delle acque destinato al consumo umano; - rischi connessi ad una eventuale significativa estensione dell'edificazione; - rischi connessi allo scarico di acque reflue nei corsi d'acqua; - rischi connessi all'eventuale insediamento di industrie che producano impatto sulle risorse idriche (industrie inquinanti o idroesigenti); - rischi connessi ad eventuali discariche di materiali lisciviabili; - rischi connessi allo stoccaggio, anche provvisorio, all'aperto di prodotti chimici nonché all'installazione di depositi di materiali pericolosi; - rischi connessi all'eventuale presenza di condutture che trasportino sostanze dannose per l'acqua; - rischi connessi all'eventuale presenza di allevamenti intensivi di bestiame; - rischi connessi all'eventuale presenza di attività agricole intensive; - rischi connessi allo smaltimento dei liquami sul terreno. Gli indirizzi normativi previsti all’art 42 delle Norme del presente Piano, ad integrazione delle prescrizioni di cui all'art. 28 (del PTCP - Attuazione Piano Territoriale Paesistico Regionale) sono inoltre integrati da apposite disposizioni procedurali, riportate in Appendice agli indirizzi normativi stessi, per quanto riguarda: - la definizione delle aree di salvaguardia delle opere di captazione: - metodi di perimetrazione per i pozzi, secondo il duplice criterio, statico e cronologico; per le zone di salvaguardia delle sorgenti, anche in questo caso secondo un duplice criterio, di tipo statico e basato sul tempo di dimezzamento della portata massima annua; - criteri di protezione delle captazioni di acque destinate al consumo umano; - prescrizioni normative specifiche per le diverse zone di rispetto; - apposite limitazioni finalizzate alla protezione degli acquiferi urbani protetti. Per quanto concerne l’ubicazione dei pozzi si fa riferimento all’elaborato cartografico “Fonti di approvvigionamento idrico per uso civile captate da acquedotti pubblici ”

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allegato al volume “ Il servizio acquedotto-acquedotti e reti di distribuzione dell’acqua potabile in Provincia di Modena ” (edito dalla Provincia di Modena - Osservatorio sui Servizi Pubblici Economici - 1995) Eventuali aggiornamenti sono affidati ai Comuni nell’ambito della redazione delle norme di tutela (prescritta dal D.P.R. 236/88) così come indicato dall’art. 42 del presente Piano.

Pianificazione e tutela delle risorse idriche sotterranee basate sull’utilizzazione delle Carte della vulnerabilità.

- Previsione delle possibili conseguenze di situazioni di inquinamento puntuale (potenziale o in atto) delle Risorse Idriche Sotterranee; - previsione delle possibili conseguenze di situazioni di inquinamento diffuso (potenziale o in atto) delle RIS; - giudizio preventivo di progetti di inserimento di nuove attività nel territorio o di trasformazioni territoriali coinvolgenti l'acquifero soggiacente; - identificazione di zone che meglio si prestano per l’insediamento di attività potenzialmente pericolose per l’acquifero soggiacente; - giudizio di compatibilità tra attività esistenti e vincoli da imporre su parti del territorio al fine di prevenire inquinamenti delle RIS; - processo decisionale in merito allo spostamento di opere di presa idropotabili a rischio o indifendibili con il sistema di aree di salvaguardia; - identificazione di RIS strategiche, scarsamente soggette a rischio di inquinamento, da vincolare preventivamente (aree di riserva); - identificazione delle priorità nelle operazioni di disinquinamento degli acquiferi vulnerati (piani di risanamento puntuali e zonali); - progettazione delle reti di monitoraggio a qualsiasi livello territoriale, sia per la sorveglianza, sia per la previsione di inquinamenti delle RIS; - pianificazione globale di vasti territori ove sussistono scompensi antropogenetici da correggere o mitigare.

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Prestazioni-obiettivo sulla qualità - quantità delle acque

Zona A – Zona B Le prestazioni richieste in materia di qualità e quantità delle acque superficiali e sotterranee, e i conseguenti indirizzi e direttive alla pianificazione, sono espresse con riferimento, nello specifico, alle zone A e B omogenee per problematicità di tipo idrico - ambientale ( Tavv. N. 7 e n. 8). La definizione delle prestazioni fa inoltre riferimento alle “Aree di possibile alimentazione delle sorgenti” (Tav.n.8); e alla suddivisione del territorio in base all’appartenenza alle classi di sensibilità ricavate dalla Vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi - così come definite nella Tav. n. 7. Individuazione fisica Zona A: Bacini idrografici dalla confluenza Leo-Scoltenna - dalla confluenza Secchia-Dolo Dragone fino al confine provinciale Sud. Individuazione fisica Zona B: Bacini e sottobacini idrografici da Marano - Castellarano fino alla Zona A.

Principali elementi di criticità Qualità Acque Superficiali: livelli di contaminazione organica superiori a quelli definiti dagli obiettivi di qualità. Qualità Acque Sotterranee: elevata presenza di cariche batteriche. Quantità Acque Superficiali e Sotterranee: regime idrologico fluttuante con periodi critici di magra.

Insediamenti esistenti Insediamenti di civile abitazione o adibiti a servizi (Alberghi, Rifugi, ecc.). Le potenziali fonti di inquinamento derivanti da tali insediamenti risultano prevalentemente due: i Rifiuti Solidi Urbani e le acque reflue. Un Servizio inadeguato di raccolta dei rifiuti solidi urbani comporta una loro scarsa evacuazione dall’area contribuendo alla proliferazione di microdiscariche incontrollate. Analogamente le case sparse, non servite da pubbliche fognature, sono generalmente dotate di dispositivi di evacuazione degli scarichi cloacali assimilabili a scarichi a dispersione.

Insediamenti Zootecnici

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La pericolosità di tali insediamenti è sicuramente da considerarsi superiore rispetto a quella degli insediamenti di cui sopra, sia per la presenza di stoccaggi delle deiezioni animali che per la pratica agronomica a loro connessa, quale lo spandimento agronomico o fertirrigazione su vasta area di liquami e fanghi, l’utilizzo di concimi chimici, diserbanti e pesticidi.

Insediamenti produttivi Le problematiche connesse a tali insediamenti sono riconducibili a quelle degli insediamenti abitativi e di servizio con la differenza quali-quantitativa dei reflui e dei rifiuti. Infatti, in dipendenza del tipo di processo produttivo, variano le qualità e le quantità dei reflui liquidi e dei rifiuti che possono essere anche tossici e nocivi. Un insediamento produttivo rimane pertanto generalmente un elemento ad elevato rischio la cui collocazione va attentamente valutata nelle zone maggiormente sensibili.

Pubblica fognatura e scarichi di pubblica fognatura Di notevole interesse risultano le problematiche connesse alle pubbliche fognature che interferiscono con le zone di possibile alimentazione delle sorgenti. L’eventuale dispersione dei reflui fognari può avvenire attraverso tre principali vettori: - perdite dal tracciato della rete: non improbabili in considerazione della remota epoca di costituzione rilevabile per le fognature della zona montana, dei materiali utilizzati, delle condizioni geomorfologiche generalmente sfavorevoli nelle zone montane; - dispersione nel sottosuolo attraverso manufatti terminali adibiti a trattamenti fisici o successivamente allo scarico: generalmente sono presenti fosse settiche o fosse Imhoff, sottoposte a scarsa manutenzione ed attenzioni; - dispersione nel sottosuolo successivamente a scarichi terminali non dotati di sistemi di depurazione.

Prestazioni - obiettivo per la Zona A e la Zona B

Obiettivi di Qualità Acque Superficiali Le caratteristiche chimico-fisiche delle acque devono essere compatibili con l'uso ricreativo;

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Nella ZONA A le caratteristiche fisico-chimico-batteriologiche devono essere conformi alla vita dei Salmonidi (D.Lgs. 130/92 acque designate e classificate - elenco Appendice 2) e all'utilizzo a scopo idropotabile (nelle sezioni individuate dalla L.R. 9/83). Nella ZONA B le caratteristiche chimico-fisico-batteriologiche devono tendere alla conformità degli obiettivi per la vita dei Salmonidi ed essere conformi all'utilizzo a scopo idropotabile (nelle sezioni individuate dalla L.R. 9/83). In particolare per alcuni corsi d'acqua: R. Vallecchie, Frascara, T. Tiepido, R. Chianca le acque devono essere conformi alla vita dei Ciprinidi (D.Lgs. 130/92, in quanto acque designate e classificate). Obiettivi di Qualità Acque Sotterranee: (acquiferi delle sorgenti): Le caratteristiche chimico-fisico-batteriologiche delle acque non devono subire variazioni del loro chimismo naturale. Obiettivi di Quantità' Acque Superficiali : Nei corsi d’acqua classificati dal D. Lgs. 130/92 (elenco Appendice 2) deve essere garantito un Deflusso Minimo Vitale (D.M.V.) idoneo per la vita dei salmonidi e tale da non alterare le caratteristiche ambientali e/o compromettere l’uso ricreativo, devono essere garantiti i quantitativi derivati a scopo idropotabile, deve essere mantenuta la continuità idraulica in tutti i corsi d'acqua. Obiettivi di Quantità' Acque Sotterranee (acquiferi delle sorgenti): Riservare le disponibilità prioritariamente a scopo idropotabile; tutelare l'area di alimentazione al fine di evitare interventi che modifichino i processi di naturale alimentazione degli acquiferi (riferimento a classe 1 di sensibilità).

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6.1.4 Reti di smaltimento: pubbliche fognature e impianti di depurazione

Prioritario risulta dotare gli insediamenti di reti ed impianti per il ciclo dell'acqua adeguati ed efficaci. Sul tema delle pubbliche fognature e della depurazione sono riferimenti : - il “Piano di risanamento idrico dei bacini dei fiumi Secchia e Panaro”, strumento ha attivato un sistema di controlli sulle acque superficiali e sotterranee che permette di valutare l’andamento qualitativo in rapporto agli obiettivi fissati. - l’art.141 della Legge 388 del 23/12/2000 e relativo Piani programma stralcio di interventi urgenti per il settore fognario depurativo. Ulteriori elementi normativi definiscono i corsi d’acqua superficiali su cui porre particolare attenzione, ci si riferisce ai corsi d’acqua “classificati” dal D.Lgs 130/92 per la vita acquatica e ai tratti collocati a monte di prese acquedottistiche. Va infine citata la direttiva CEE n. 91/271 del 21/05/1991, il recepimento della quale dovrebbe essere prossimo, che impone limiti più restrittivi allo scarico dei depuratori pubblici e definisce modalità e tempi per la realizzazione degli impianti su fognature non depurate. Le linee di intervento devono essere necessariamente orientate al completamento del sistema di depurazione biologica e all’ottimizzazione e miglioramento degli impianti esistenti.

Azioni strategiche - principali interventi da attuare

- Completamento del sistema impiantistico fognario - depurativo della zona montana della Provincia; - interventi sulle fognature e sulla depurazione nelle zone di alimentazione delle sorgenti, nei corsi d’acqua classificati di cui al D.Lgs 130/92, in corsi d’acqua interessati da prese di acqua potabile in zone di parco; - interventi sugli impianti di depurazione esistenti per l’allineamento ai limiti delle direttive CEE; - interventi sulle reti principali: Rifacimento collettori e manufatti in rete obsoleti.

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6.1.5 Reti di adduzione: interventi di captazione e di acquedottistica

Con riferimento al Piano provinciale per l’uso razionale delle risorse idriche (1990), per quanto riguarda la zona montana , a differenza di quanto riscontrato per la Pianura, gli interventi individuati nel Piano, sono per la maggior parte rimasti da attuare (1999). A tale proposito è stato costituito un gruppo di lavoro composto da M.E.T.A. S.p.A. e dai tecnici nominati dalle Comunità Montane, coordinato dalla Provincia, con il compito di elaborare sia le linee programmatiche per la predisposizione di un nuovo Piano provinciale Acquedotti relativo al territorio montano che le linee di investimento.

Azioni strategiche - principali interventi da attuare:

- Razionalizzazione e interventi di protezione e tutela delle opere di presa delle principali sorgenti che alimentano acquedotti pubblici. - captazione di nuove risorse, se disponibili, per i Comuni che riscontrano un deficit tra domanda e risorsa disponibile (Lama Mocogno, Montecreto, Palagano, Polinago, Prignano, Serramazzoni, Guiglia e Zocca), assicurando il corretto equilibrio ambientale; - interventi di captazione e adduzione di acque superficiali da prelevare in quota ad integrazione delle risorse del Consorzio Intercomunale del Dragone. Potenziamento degli invasi ad uso plurimo in alta quota (Montecreto, Sestola, Fanano, Riolunato); - realizzazione di invasi di compensazione al servizio delle adduttrici consortili. - Interventi di ammodernamento dell’acquedottistica di adduzione al fine di ridurre la perdite.

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6.1.6 Il sistema della mobilità

Gli obiettivi del PTCP con peculiare riferimento all’area in questione hanno quale prerequisito generale la scelta di interventi sostenibili sotto il profilo ambientale e volti a garantire elevata prestazione al territorio, in termini di qualità e funzionalità. Gli obiettivi primari del Piano sono, pertanto, riassumibili nei seguenti punti chiave : - potenziare e ottimizzare il trasporto di persone e merci rendendone minimo l’impatto sull’ambiente ed i costi associati; il che significa intervenire sul sistema infrastrutturale esistente, modificandolo e potenziandolo, o realizzando nuove infrastrutture, sempre nella duplice ottica del conseguimento di elevate performances funzionali relative al rapporto tra domanda ed offerta e della sostenibilità ambientale intesa come rispetto e salvaguardia della qualità della vita: riduzione delle emissioni inquinanti, miglioramento della sicurezza sulle strade, abbattimento dei consumi energetici. - favorire l’accessibilità ai poli insediativi e produttivi principali del territorio, migliorando la rete di collegamento interna e quella di raccordo con il sistema autostradale e ferroviario nazionale; il che significa identificare le aree territoriali ed i poli di riferimento significativi per sottosistemi territoriali locali, e definire e quantificare le linee di desiderio della domanda di spostamento esistente tra tali poli al fine di dimensionare correttamente le reti di collegamento ed adduzione. - definire un disegno infrastrutturale ferroviario e stradale organizzato su direttrici di forza alle quali delegare il ruolo di arterie primarie nella gerarchia della rete infrastrutturale complessiva procedendo pertanto ad una gerarchizzazione delle infrastrutture di trasporto basata sulla effettiva funzionalità e sul rapporto tra domanda ed offerta. - perseguire il potenziamento e la razionalizzazione del TPL; a partire dal presupposto del diritto alla mobilità, da attuare a livello regionale e provinciale attraverso l’utilizzo, in forma coordinata tra i comuni, di strumenti (attuazione di percorsi dedicati, politica della sosta, etc.) che permettano di incidere significativamente sullo spostamento, dall’uso del mezzo privato a quello pubblico, per la mobilità urbana ed extraurbane e puntando sull’intermodalità come principale caratteristica della mobilità sul territorio. - conseguire un utilizzo più razionale nei tempi e nei modi delle infrastrutture, verificando anche le possibilità di agire sulla differenziazione degli orari di esercizio delle attività commerciali, dei poli educativi e sociali, degli insediamenti produttivi,

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sull’organizzazione di servizi collettivi ad hoc funzionali a realtà territoriali peculiari e sulla effettiva fattibilità di controllo della domanda di transito stradale attraverso politiche di pricing dell’infrastruttura. - realizzare una scala di propedeuticità temporali, verificando le priorità di realizzazione dei vari tipi di infrastrutture in base ad una logica di sistema che fornisca gli elementi atti ad evitare che le disorganicità di attuazione possano vanificare i benefici attesi o addirittura peggiorare il funzionamento di alcune componenti del sistema complessivo. Ciò attraverso l’utilizzo di strumenti tecnici per la previsione dei possibili scenari del sistema, quali: modelli di simulazione del traffico e di diffusione dei relativi inquinanti, modelli di previsione dell’incidentalità, che permettano di fornire gli elementi a supporto delle decisioni.

La distribuzione della mobilità: fattori di criticità e tendenze in atto: bacino di Pavullo

Il quadro della mobilità attuale emerge dalle elaborazioni effettuate sui dati ISTAT del censimento del 1991, sulla matrice Origine/Destinazione del trasporto pubblico ricavata dai dati del Consorzio ATCM, sui dati forniti dalle Ferrovie dello Stato S.p.A., sulla base di rilievi aggiornati di conteggio del traffico e sulla base delle analisi effettuate per il Piano Regionale Integrato dei Trasporti. Il bacino di traffico del comune di Pavullo risulta definito come spostamenti in uscita da Pavullo verso i comuni di: Modena (98 spostamenti nell’ora di punta), Serramazzoni (65 spostamenti nell’ora di punta) e Sassuolo (26 spostamenti nell’ora di punta). Per quanto riguarda gli spostamenti attratti verso Pavullo, dai comuni di: Lama Mocogno (69 spostamenti nell’ora di punta), Serramazzoni (52 spostamenti nell’ora di punta), Modena (26 spostamenti nell’ora di punta) e Polinago (22 spostamenti nell’ora di punta). Tali flussi rappresentano, rispettivamente, il 56% ed il 63% della mobilità di scambio con il resto del territorio provinciale. Una prima gerarchizzazione funzionale può essere definita con la distinzione tra le direttrici principali della mobilità territoriale interprovinciale, che costituiscono la struttura portante della rete viaria, e le direttrici secondarie, con funzione di relazione e sostegno ai sistemi insediativi provinciali.

Area montana Direttrici principali:

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SS 12 Abetone-Brennero; SS 486 di Montefiorino (Radici in Monte); SS 324 del Passo delle Radici; SP 4 Fondovalle Panaro; Direttrici secondarie: SP 40 di Vaglio; SP 28 di Palagano; SP 23 di Valle Rossenna; SP 19 di Castelvecchio; SP 21 di Serramazzoni; SP 33 di Polinago; Le analisi effettuate sulla domanda di spostamento, sulla base dei dati del Censimento ISTAT 1991 e dei risultati del modello di simulazione dei flussi di traffico aggiornato al 1998, rivelano, per l’intero territorio provinciale, differenti standard di mobilità: in particolare una domanda di spostamento decisamente meno dinamica sull’intera area montana. Per quanto riguarda lo scenario attuale e con riguardo all’Area Montana si considera che l’intera rete, che costituisce il sistema di trasporto stradale dell’area montana, non rivela flussi veicolari giornalieri di consistenza tale da generare condizioni di significativa criticità mentre rileva punte significative solo in determinate condizioni legate a spostamenti di tipo turistico. Gli oltre 9.500 passeggeri trasportati sulle direttrici forti del sistema di trasporto collettivo extraurbano (linee autobus ATCM e ferrovia Modena-Sassuolo) costituiscono circa il 50% dell’utenza complessiva giornaliera extraurbana rilevata sull’intera rete pari a 18.775 viaggiatori (movimenti di sola andata). Un’ulteriore quota della domanda complessiva, pari al 30%, risulta distribuita complessivamente sulle direttrici che collegano la Pianura con il Capoluogo, Sassuolo con il Capoluogo e Sassuolo con Vignola; il restante 20% si rivela polverizzato sulle rimanenti 20 direttrici con un massimo pari al 2,78% sulla direttrice Montefiorino/Palagano - Lugo - Sassuolo.

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Le scelte di piano per le Infrastrutture viarie in area montana

Gli interventi di riqualificazione e potenziamento della SS486 (Variante nel tratto Cerredolo-Ponte Dolo-Montefiorino) fondovalle Secchia, della SS12 Abetone - Brennero (tratto Pavullo - Abetone) e della SP4 fondovalle Panaro (Variante di Marano s/P e ammodernamento della diramazione in località Torre) si configurano come progetti in grado di facilitare le relazioni di mobilità esistenti tra l’area montana e il resto del territorio provinciale. Si considera inoltre il potenziamento delle principali strade provinciali, a completamento della funzionalità della rete stradale dell’area.

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6.2 Il Piano Regolatore Generale vigente

Il Piano Regolatore Generale (PRG) vigente è stato approvato dalla Giunta regionale alla data del 31 gennaio 1995; andando a ritroso nel tempo si scopre che il Comune si era dotato nel 1974 di un Piano di Fabbricazione (PdF), al quale sono state successivamente affiancate quattro varianti. All’atto della predisposizione del Quadro Conoscitivo, si è compiuta una ricognizione sull’intero territorio comunale per individuare le aree oggetto di trasformazione urbanistica previste dal Piano: scopo di tale operazione era quello di calcolare lo stato di fatto e di diritto dello strumento di pianificazione del quale si vuole proporre l’aggiornamento.

Tabella 6.2.1 Stato di diritto del Piano Regolatore Generale vigente.

Area per destinazione Zone PRG Codice PRG Area (in ettari) d’uso (in ettari) ACO Attrezzature di completamento 4,483 AEE Attività estrattive 4,066 AEP Attrezzature di espansione 97,858 P Parcheggi 1,583 PCA Produttive di completamento 3,104 PEA Produttive di espansione 7,133 10,237 RCB Residenziali di completamento B 0,942 RCC Residenziali di completamento C 0,584 REB Residenziali di espansione B 1,127 REC Residenziale di espansione C 4,697 TCB Turistica di completamento B 0,374 TCC Turistica di completamento C 3,495 11,220 ZAC Agricole di completamento 4,342

I dati espressi dalla tabella 6.3.1 evidenziano che, per quanto riguarda le superfici dedicate prevalentemente all’edilizia residenziale, il Piano esprime ancora oltre 11 ettari non attuati mentre le aree destinate alle attività artigianali e produttive sono pari a 10,23 ettari per un totale di 21,46 ettari. Dalla tabella 6.3.2 si coglie invece la collocazione territoriale della totalità delle aree non attuate: la maggior parte delle zone dedicate alla residenza sono allocate a Polinago capoluogo mentre quelle destinate alle attività produttive sono equamente ripartite tra il centro principale del Comune e la località di Talbignano Ponte.

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Tabella 6.2.2 Stato di diritto del Piano Regolatore Generale vigente per località.

Località Zone PRG Area (in ettari)

Polinago PEA 5,172 Polinago RCB 0,411 Polinago PCA 3,032 Polinago AEP 2,951 Polinago RCB 0,174 Polinago TCB 0,374 Polinago TCC 2,483 Polinago RCB 0,263 Ca' dei Rossi REC 0,754 San Martino AEP 1,792 Poggio RCC 0,108 Ca' del Ghiddo ACO 2,496 Ospitaletto AEE 4,066 Polinago P 0,506 Polinago P 0,273 Polinago ACO 0,876 Polinago P 0,505 Polinago AEP 9,225 Cassano P 0,167 Ca' Matteazzi ACO 0,140 Ca' Matteazzi P 0,021 Ca' Matteazzi TCC 1,012 Talbignano ACO 0,274 Talbignano ACO 0,198 Talbignano PEA 1,961 Talbignano REC 0,720 Talbignano P 0,111 Talbignano PCA 0,072 Brandola RCC 0,476 Polinago REB 1,127 Polinago AEP 83,890 Ca' dei Rossi ZAC 0,033 Ca' Matteazzi ZAC 0,693 Talbignano RCB 0,094 Talbignano ZAC 1,641 Brandola ZAC 1,975 Polinago REC 2,048 Polinago REC 1,175 Polinago ACO 0,499 Polinago ACO 0,000

In conclusione, si può senz’altro asserire che le dimensioni delle zone omogenee del Piano non attuate non sono certo trascurabili; d’altra parte le indicazioni emerse

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dall’analisi sono utili solo a titolo d’analisi, in quanto si delega al Piano Strutturale Comunale futuro l’individuazione degli ambiti di trasformazione urbana più consoni alla morfologia del territorio e alle caratteristiche socio economiche della popolazione insediata.

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