ALAN M.DERSHOWITZ IL MISTERO VON BULOW Traduzione di Vittorio Beonio Brocchieri Prefazione di Gian Domenico Pisapia

PREFAZIONE. Ho aderito ben volentieri al desiderio dell'amico Mario Spagnol di presentare questo libro del professor Alan Dershowitz, perché si tratta di un caso giudiziario ricostruito e narrato dallo stesso avvocato che svolse la difesa in grado di appello; e questa circostanza consente al lettore italiano di essere partecipe di un'esperienza processuale particolarmente interessante, soprattutto perché svoltasi in un Paese dove vige il sistema accusatorio, al quale si è in gran parte ispirato anche il nuovo codice italiano di procedura penale. La vicenda è di quelle, abbastanza frequenti anche presso di noi, che vanno sotto il nome convenzionale di "gialli", in quanto sono caratterizzate dal dubbio, che dà luogo alla consueta contrapposizione tra "innocentisti" e "colpevolisti", tipica dei processi indiziari. L'esposizione, piuttosto minuziosa e un po'lenta nella prima parte, acquista man mano ritmi sempre più veloci e incisivi, fino ad assumere, nelle ultime pagine, il carattere di un vero e proprio thriller. Ma il volume ha come destinatari elettivi, oltre agli amanti del "gallo", avvocati e magistrati - e questo giustifica una mia prefazione -, sia per le puntuali osservazioni di psicologia e di deontologia forense, sia per gli interessanti riferimenti all'esperienza processuale nordamericana. Quando l'autore descrive, ad esempio, lo stato di sofferenza del difensore che vede ingiustamente osteggiato il proprio compito da un magistrato maleducato o arrogante, dice cosa che molti avvocati, anche italiani, hanno provato nella loro esperienza; così come è certamente valida anche per noi l'osservazione che "occorre diffidare degli avvocati che promettono troppo" perché "la maggior parte di quelli che affermano di usare la loro influenza in realtà bluffano". Certamente istruttive, soprattutto per coloro che non hanno ancora esperienza di processi svolti con rito accusatorio, sono, poi, le considerazioni svolte dall'autore circa la scelta della strategia da seguire nell'utilizzazione delle prove, come pure la descrizione del tormento del difensore che deve decidere se far rendere o no l'interrogatorio al proprio assistito. Non manca, per la verità, qualche punto della narrazione in cui l'autore non riesce a nascondere il suo orgoglio per essere riuscito al ribaltare una pesante sentenza di condanna in una di piena assoluzione; ma bisogna doverosamente aggiungere che Dershowitz non manca di date atto che il merito della vittoria non va attribuito a lui soltanto ma a tutta una "squadra" di avvocati, assistenti e studenti, che hanno svolto il loro arduo compito con una metodologia raffinata, che induce ad amare riflessioni per la sperequazione che ne deriva, a favore di chi può permettersi una difesa più agguerrita e a svantaggio di chi non ha questa possibilità. Particolarmente incisive sono, infine, le osservazioni in materia di "certezza giudiziale", spesso contrapposta alla "verità reale", così come l'illustrazione del concetto di "ragionevole dubbio". Come è noto, negli Stati Uniti d'America l'imputato non può essere condannato se la sua colpa non è provata "oltre ogni ragionevole dubbio"; ma questo principio deve valere per ogni Paese Civile, e già la saggezza romana insegnava la massima in dubbio pro reo, o, come oggi si suol dire, meglio un colpevole assolto che un innocente condannato. Voglio concludere queste brevi note con le parole stesse dell'autore: "La storia insegna che nei Paesi dove vengono calpestati di diritti degli imputati, vengono anche calpestati i diritti delle vittime del crimine. Un Paese democratico si distingue da uno oppressivo proprio per il modo in cui tratta tutti i suoi cittadini, siamo vittime dell'ingiustizia o di atti criminali. E i principi del 'ragionevole dubbio'e di un 'giusto processo'sono tra i segni di una vera democrazia". Penso che queste parole sino la migliore presentazione di un libro che merita di essere letto non solo perché racconta, con dovizia di particolari, una storia vera di un caso che poteva risolversi in un errore giudiziario, m anche perché offre un esempio di come il sistema accusatorio possa contribuire a far emergere la verità, e quindi a fare giustizia, meglio di quanto non riescano a fare i processi ispirati al modello inquisitorio. GIAN DOMENICO PISAPIA

Questo libro è affettuosamente dedicato a mio padre, Harry Dershowitz, morto due giorni prima della nostra vittoria nel ricorso del caso Bulow. E'stato lui ad insegnarmi il rispetto per il precetto biblico "La giustizia: tu seguirai solo la giustizia". IL MISTERO VON BULOW

DRAMATIS PERSONALE I protagonisti Claus von Bulow, nato a Copenaghen, Danimarca, l'11 agosto 1926. Ha spostato Martha von Auersperg il 6 giugno 1966. Cosima von Bulow, sua figlia unica, è nata nell'aprile 1967. Martha ("Sunny") von Bulow, nata a Crawford, nacque su un pullman il 1° settembre 1931. Il 20 luglio 1957 sposa il principe Alfred ("Alfie") von Auersperg. Dal matrimonio nascono la principessa Annie Laurie Kneissl e il principe Alexander con Auersperg. Il 6 giugno 1966 sposa Claus von Bulow. Principe Alexander von Auersperg, figlio del principe Alfred e della principessa Martha con Auersperg, nato nel 1959, Laureato alla Brown University nel 1983, attualmente lavora presso una società finanziaria di New York. Recentemente ha ereditato circa 45 milioni di dollari dalla nonna materna, Annie Laurie (Crawford) Aitken. Principessa Annie Laurie ("Ala") Kneissl, nata von Auersperg, figlia di Alfred e Martha von Auersperg nata nel 1958. Ha spostato Franz Kneissl il 31 maggio 1980.- Vive attualmente a New York. Ha ereditato recentemente circa 45 milioni di dollari dalla nonna materna. Cosima von Bulow, figlia di Claus e Martha von Bulow, nata nel 1967. Frequenta attualmente la Brown University. Diseredata recentemente dalla nonna materna per una somma di circa 30 milioni di dollari per essersi schierata a fianco del padre. Maria Schrallhammer, governante di Martha von Bulow a partire dal 1957. Nata vicino a Monaco, in Germania, ha lavorato per Ala Kneissl dopo il secondo coma di Sunny. Si è ritirata in Germania dopo il secondo processo. Alexandra Isles, attrice di commedie brillanti e amante di Claus von Bulow tra il 1979 e il 1981. Andrea Reynolds, amica di Claus von Bulow gli è costantemente vicina durante l'appello e il secondo processo. E'stata profondamente coinvolta nella lite e nella polemica sulla stampa. GLI AVVOCATI Richard Kuh, in precedenza procuratore distrettuale di Manhattan, attualmente si dedica alla libera professione. Incaricato dalle famiglie von Auersperg e Aitken di svolgere un'indagine discreta sulle circostanze dei coma di Sunny. Stephen Famiglietti, procuratore capo durante il primo processo. Attualmente si dedica alla libera professione. Herald Price Fahringer, difensore capo al primo processo. John Sheehan, avvocato esperto e di successo del Rhode Island, accomandato a Claus von Bulow dal senatore Claiborne Pell; è stato consulente a entrambi i processi. Alan Dershowitz, avvocato capo per il ricorso e la domanda di appello e sovrintendente alla strategia difensiva per il secondo processo. Susan Estrich, Jeanne Baker, Christopher Edley, David Fine, avvocati hanno collaborato con Dershowitz. Joann Crispi Andrew Citron, laureati alla Harvard Law School, hanno collaborato con Dershowitz prima, con Claus von Bulow poi e infine con Thomas Puccio durante il secondo processo. John "Terry" MacFayden, avvocato del Rhode Island in precedenza difensore d'ufficio. ha continuato a collaborare con Dershowitz come consulente locale e associato per il ricorso e la domanda d'appello. Thomas Puccio, principale avvocato in aula di Claus von Bulow nel secondo processo. Precedentemente è stato procuratore e adesso esercita la libera professione a New York. Roanne Sragow, in precedenza assistente del procuratore distrettuale della contea del Middlesex, Massachusetts, ha collaborato per le trattative finanziarie con David Marriott. Marc DeSisto e Henry Gemma, pubblici accusatori al secondo processo. I TESTIMONI David Marriott, in precedenza tipografo, giurò di aver consegnato alcune droghe a Clarendon Court. Padre Philip Magaldi, stimato parroco a North Providence, ha convalidato il racconto di Marriott. Truman Capote, noto scrittore e amico di lunga data di Martha von Bulow, ha fornito un affidavit(deposizione scritta presentata sotto giuramento) per la mozione d'appello, ma è morto prima del secondo processo. Joanne Carson, seconda moglie di Johnny Carson e amica di Truman Capote, del quale ha confermato il racconto. C.Z. Guest, esponente dell'alta società di New York e di Newport, ha convalidato l'affidavit di Capote. I MEDICI Dr. Richard Stock, di New York, medico di fiducia di Martha von Bulow per ventinove anni. Dr. Janis Gailitis, di Newport, Rhode Island, il medico che ha assistito Martha durante entrambi i coma. Dr. George Cahill, professore ad Harvard e uno dei massimi esperti di diabete; in precedenza direttore dei Joslin Research Laboratories. Ha testimoniato a entrambi i processi. Dr. Robert Bradley, collega di George Cahill al Joslin Institute, dichiarò al primo processo di essere sicuro al cento per cento che il primo coma venne provocato dall'insulina e al novantanove per cento per quel che riguarda il secondo coma. Dr. Arthur Rubenstein, professore e preside del Dipartimento di Medicina alla University of Chicago Medical School, ha fornito un affidavit per l'istanza di ricorso ed è stato testimone per la difesa nel secondo processo. Dr. Leo Dal Cortivo, tossicologo, perito medico della contea di Suffolk (New York), ha fornito un affidavit per l'istanza di ricorso e ha testimoniato per la difesa nel secondo processo. Dr. Harold Lebovitz, docente di medicina ed esperto di endocrinologia e di diabete al Downstate Medical Center di New York, ha fornito l'affidavit per il ricorso e ha testimoniato per la difesa al secondo processo. SI PREPARA LA SCENA "In questo caso c'è tutto", dichiarò l'accusa, "i soldi, il sesso, la droga; c'è Newport, New York, l'Europa; la nobiltà, le cameriere, il maggiordomo, un giardiniere. Clarendon Court [la villa teatro dei principali avvenimenti] è chiusa da un grande cancello che impedisce all'uomo della strada di guardarvi dentro. Questo processo però dà anche a costui la possibilità di darci un'occhiata e di vedere come veramente vivono i ricchi." Un commentatore ha definito il caso Bulow "un dramma epico", degno del palcoscenico. Uno spettacolo che, con un cast d'eccezione, "avrebbe inorgoglito Cecil B. De Mille, con tutti i suoi intrighi controintrighi, i suoi protagonisti e le sue comparse, i giorni di tensione spasmodica intervallati da momenti di assoluta comicità". Non c'è da stupirsi se qualcuno lo ha definito il caso giudiziario del decennio. Ma i media attribuiscono queste iperboliche definizioni ai processi clamorosi almeno una volta all'anno. Un giornalista ha una volta definito il caso di Patricia Hearst: "Un altro processo del secolo, il quarto o il quinto nel sessantennio di carriera forense di F. Lee Bailey". In America i processi hanno sempre costituito occasione di spettacolo, qualcosa tra la commedia, una gara sportiva e una rappresentazione edificante. Per essere definito il processo dell'anno, un caso giudiziario deve soddisfare certi requisiti: gli attori devono essere abbastanza noti, ricchi, affascinanti o misteriosi per catturare l'immaginazione popolare. Il crimine in questione deve apparire sufficientemente perfido, frutto di un connubio di lussuria e avidità. Meglio ancora se l'imputato è condannato in prima istanza in seguito a una concomitanza di circostanze e poi emergono fatti nuovi che spingono a riconsiderare il verdetto. La colpevolezza o l'innocenza dell'accusato devono essere veramente inerte, cosicché i sostenitori di ognuna delle due tesi abbiano di che discutere. la vicenda risulta poi ancora più avvincente se esistono più scenari possibili in modo che, se l'accusato risulta innocente, qualcun altro deve essere colpevole di qualche cosa. Infine, naturalmente, la giustizia deve trionfare, anche se qualche scettico continuerà,, naturalmente, a dubitare. In base a questi criteri, molti americani ed europei, hanno ritenuto che il caso di Claus von Bulow - l'elegante aristocratico danese accusato di aver tentato due volte di uccidere la sua bella moglie, un'ereditiera americana - potesse legittimamente aspirare al titolo di "caso del decennio". Una giornalista che ha seguito tutti i principali processi negli Stati Uniti durante gli ultimi vent'anni, ha affermato di non aver mai visto un caso che avesse suscitato tanto clamore sulla stampa come il primo processo von Bulow. E il processo d'appello ha avuto un'eco anche maggiore, con la presenza di più di duecento giornalisti. Poiché nel Rhode Island è consentita la trasmissione televisiva dei dibattimenti, molte ore dei due processi sono state trasmesse in diretta, a volte sui canali nazionali. I networks hanno dato largo spazio all'avvenimento nei loro notiziari. Probabilmente il pubblico che ha assistito al processo von Bulow è stato superiore a quello di qualsiasi altro processo nella storia. Uno degli episodi più noti ebbe luogo proprio alla fine del primo processo. Claus von Bulow, seduto con portamento aristocratico, attende la giuria (gente che difficilmente avrebbe potuto incontrare negli ambienti che frequentava a Newport)che avrebbe dovuto giustificarlo. Il suo sforzo per sembrare superiore a quanto accadeva intorno a lui viene però meno quando si alza per ascoltare la sentenza. Si tiene le mani e sembra stia girando i pollici. Il volto è rivolto al cielo, mettendo in risalto il profilo della fronte e del naso. I pollici si fermano improvvisamente quando il portavoce della giuria pronuncia la parola "colpevole". La macchina da presa coglie una quasi impercettibile smorfia. Ricordo che guardando queste immagini durante il notiziario della sera pensai che il sistema giudiziario americano aveva fatto il suo dovere. Una giuria di normali cittadini del Rhode Island, chiamati a giudicare un ricco e potente aristocratico, aveva emesso il suo verdetto a nome della società. Ma la procedura giudiziaria americana non termina col verdetto. Questa storia racconta appunto come Claus von Bulow venne condannato per un crimine che, probabilmente, non è mai stato commesso e come sia poi riuscito a scagionarsi, sia davanti alla legge, sia davanti alla maggioranza dell'opinione pubblica, anche se non agli occhi della sua totalità. Poiché dopo il primo processo sono stato il principale avvocato del ricorso di Claus von Bulow e ha elaborato la strategia difensiva per il secondo processo, questa storia è raccontata in prima persona. Il mio compito, come avvocato del ricorso, comincia dopo che la giuria ha emesso il primo verdetto di colpevolezza. Durante il primo processo non ho avuto alcun ruolo, avendo ricevuto l'incarico di rappresentare il signor von Bulow immediatamente dopo il verdetto della prima giuria. Ma la responsabilità di quanto è accaduto da questo momento i poi è sostanzialmente mia. Il secondo processo è stato brillantemente condotto in aula da Tom Puccio, che si è valso degli elementi raccolti dall'équipe che avevo formato dopo il primo processo. Dato che ero responsabile per il ricorso e perla raccolta di nuove prove per il secondo processo, mi trovavo in una posizione privilegiata per confrontare i due procedimenti. Il mio osservatorio sul caso è stato eccezionale, ho avuto accesso a informazioni e persone non raggiungibili dal grande pubblico. Ora che il caso è chiuso, gran parte di ciò che era coperto da segreto può essere rivelato. La storia di questo caso comincia anni prima del drammatico giorno in cui, a Newport, la vita di Claus von Bulow venne sconvolta dal verdetto di colpevolezza emesso dalla giuria. Uno dei problemi di questa vicenda è proprio quello di stabilire quando essa sia cominciata. Secondo l'accusa, la vicenda ebbe inizio solo tre anni prima, quando finì la storia d'amore fra Claus e la sua ricca moglie e cominciò quella con un'attrice di commedie televisive di nome Alexandra Isles. Claus nacque Claus Cecil Borberg, a Copenaghen, in Danimarca, nel 1926. Suo padre, Svend Borberg, era commediografo e critico teatrale. Sua madre, Jonna, era la figlia di Frits Bulow, un ricco e illustre rampollo della famiglia tedesca dei von Bulow. Svend e Jonna divorziarono quando Claus aveva dieci anni. Due anni Svend sposò la nipote di Henrik Ibsen. Claus venne quindi allevato dalla madre che, all'inizio della seconda guerra mondiale si trasferì a Londra. Claus, dopo essere fuggito dalla Danimarca, allora occupata dai nazisti, si iscrisse all'Università di Cambridge all'età di sedici anni e si laureò in legge dopo la fine della guerra. Nello stesso periodo suo padre - che era rimasto in Danimarca e aveva presieduto un organismo chiamato Società letteraria tedesco-danese - vene processato per collaborazionismo e condannato a quattro anni di prigione. Malgrado venisse in seguito assolto nel processo d'appello, trascorse più di un anno in prigione e morì poco dopo il suo rilascio. Come si espresse in seguito Claus, "io e mio nonno ci schierammo da una parte, mio padre - più per incoscienza che per malvagità - scelse il campo opposto". dopo la laurea Claus, che nel frattempo aveva adottato il cognome della madre, entrò nello studio del noto avvocato inglese Quintin Hogg - in seguito Lord Hailsham - come praticante. Più tardi lavorò per J. Paul Getty e divenne alla fine uno dei suoi principali collaboratori. Claus e sua madre vivevano a uno dei migliori indirizzi di Londra - Belgrave Square - in un grande appartamento nel quale, sempre secondo le parole di von Bulow, "potevano mangiare agevolmente duecento persone e dormire, un po'strette, almeno trecento". Fino al 1966 condusse una vita da scapolo aristocratico, in giro per tutte le principali città del mondo. Sunny nacque invece nel 1931 su un pullman che andava da White Sulphur Springs, in West Virginia, a New York. Suo padre, George Crawford, aveva già settantun anni quando sua moglie, Annie Laurie - che aveva spostato quattro anni prima, quando aveva ventott'anni - diede alla luce la loro unica figlia, Martha. La bambina venne dapprima soprannominata "Choochoo" per lo strano posto dove aveva deciso di nascere, ma questo soprannome venne presto sostituito da "Sunny". Secondo alcuni il soprannome alludeva al buon carattere della piccola, per altri al fatto che il padre avrebbe desiderato un figlio. Quattro anni dopo la nascita di Sunny, George morì, lasciando una enorme fortuna. Al momento della sua scomparsa la società che aveva fondato - la Columbia Gas and Electric - era valutata almeno tre quarti di miliardo di dollari. Nel 1957 Sunny Crawford sposò il principe Alfred Eduard Friedrich Vincenz Martin Maria von Auersperg, un bel giovane, istruttore sportivo ed erede dello sventurato destino degli Asburgo. Sunny aveva scovato lo squattrinato nobiluomo in una di quelle "trappole per ereditiere" che si trovano in Europa, dove ricche parvenues americane vanno in cerca di matrimoni principeschi. La coppia ebbe due figli durante il loro matrimonio durato otto anni. La prima, la principessa Annie Laurie - il nome della nona - soprannominata "Ala", nacque nel 1958. Il secondo, il principe Alexander, nel 1959. Il padre, il principe Alfie, a quanto pare non riuscì a adattarsi alla vita familiare e coniugale e continuò a fare il seduttore come prima del suo incontro con Sunny. Durante una cena a Londra, l'infelice Sunny incontrò il disinvolto scapolo Claus von Bulow. Poco dopo Claus cominciò a corteggiarla e, dopo una relazione clandestina durata due anni e il divorzio dal principe Alfie, si sposarono. Fu in questo periodo che Claus e Sunny cominciarono a usare il prefisso von davanti al loro cognome. Un anno dopo nacque la loro unica figlia a cui vene dato il nome di Cosima, come quello della figlia della sua madrina. (L'originaria Cosima von Bulow era una figlia illegittima di Franz Liszt e aveva sposato il direttore d'orchestra Hans von Bulow ma, innamoratasi poi di Richard Wagner, aveva finito per sposarlo.) Dopo la nascita di Cosima, Sunny perse apparentemente ogni interesse per il sesso e condusse una vita da casalinga. Un giornalista di "McCall's", molto ostile a Claus von Bulow, ha descritto in questi termini la giornata tipica di Sunny in questo periodo: Questa , secondo molte testimonianze, la giornata tipica di Sunny von Bulow. Dopo essersi alzata verso le 11, si intratteneva con sua madre, la cui casa è sul lato opposto del viale dove si trova Clarendon Court, per un'ora. Poi veniva portata dal suo autista a una lezione di ginnastica. Seguiva un "piccolo shopping". Dopo il pasto - il suo piatto preferito era fegatini di pollo e bacon - ritornava a casa, si metteva in pigiama e guardava la televisione con Claus. "Una cara, semplice creatura", afferma una distinta signora di Newport, "che pensa che la felicità consista nel guardare Lawrence Welk alla TV cenando sul vassoio." E questo fino all'ora di andare a letto, circondata dai suoi quattro labrador e dal marito. Ai parties la si vedeva di rado, sempre però con abiti firmati, e si ritirava di buon'ora, paralizzata dal sua timidezza. Secondo le testimonianze di amici, quando trascorreva l'estate a Newport, faceva una ventina di vasche a nuoto. La governante dice che passava le ore a mettere in ordine i fiori.

Tutti concordano sul fatto che Sunny fosse una persona deliziosa, sensibile e generosa. Ma per qualche motivo, lei e Claus si allontanarono l'uno dall'altra nel corso degli anni. Claus allora cercò altre amicizie. Nel 1978 incontrò Alexandra Isles - una piacente attrice di commedie, anch'essa di origini aristocratiche e danesi - e tra loro nacque una relazione. Nel 1979, Alexandra insistette per essere spostata. A Natale del 1979, Sunny von Bulow entrò in coma per la prima volta; nel Natale del 1980 vi entrò definitivamente. La tesi fondamentale dell'accusa fu semplice ed essenziale. Claus era incastrato in un matrimonio infelice. Non amava la sua ricchissima moglie, ma amava il suo denaro e il tenore di vita che questo gli permetteva. Amava anche Alexandra Isles. Ma se avesse divorziato da Sunny e spostato Alexandra, avrebbe dovuto rinunciare anche al suo train de vie lussuoso e ai soldi. Se però avesse scelto i soldi, rimanendo con Sunny, avrebbe perso Alexandra che insisteva per il divorzio. Secondo l'accusa Claus cercò di conservare tutto; il denaro di Sunny e l'amore di Alexandra. L'unico modo per riuscire nell'intento era che Sunny morisse di morte naturale; e Claus avrebbe così aiutato la natura iniettando di nascosto alla moglie dell'insulina, una sostanza naturalmente presente nell'organismo umano e della quale è difficile individuare una somministrazione eccessiva. Il diabolico piano però fallì, dato che Sunny von Bulow si riprese rapidamente dalla crisi del Natale 1979. Ebbe invece almeno parzialmente successo un anno dopo, quando il coma di Sunny fu irreversibile. Ma l'insuccesso finale fu totale, dato che Claus venne accusato di omicidio, abbandonato da Alexandra e privato della fortuna di Sunny. Claus von Bulow sostenne invece che tutta la vicenda era già cominciata da alcuni decenni, prima ancora di aver incontrato Sunny, quando sua moglie iniziò la sua discesa in un inferno fatto di pillole, alcool e crisi depressive. Secondo la difesa, quindi, Sunny era stata la causa del suo coma somministrandosi per iniezione o ingoiandoli, volontariamente o meno, insulina o barbiturici. Le incertezze nella difesa di Claus von Bulow - incertezze attribuibili al fatto che essendo innocente non poteva sapere come Sunny era entrata in coma - vennero invece astutamente attribuite dall'accusa, durante il primo processo, a una strategia difensiva che intendeva lasciarsi aperte più possibilità. A ciò l'accusa oppose una linea basata sull'alternativa "vero o falso": è vero o falso che Claus von Bulow ha somministrato insulina alla moglie con l'intenzione di ucciderla in due diverse occasioni? La giuria rispose affermativamente e riconobbe von Bulow colpevole per entrambi i capi d'accusa. La mia parte nella vicenda di von Bulow cominciò parecchie settimane dopo il verdetto di colpevolezza. Era il 1° aprile, una ricorrenza celebrata nella nostra famiglia con gare di scherzi. Alle 7 di mattina squillò il telefono. Un uomo con un distinto accento inglese si presentò come Claus von Bulow. Solo poche settimane prima avevo assistito all'emissione del verdetto da parte della giuria di Newport, Rhode Island, che condannava von Bulow per aver attentato in due occasioni alla vita della moglie. Del processo però non sapevo molto. Dell'accusato sapevo solo che era danese e che era ricco. Così quando l'individuo coll'accento inglese disse di essere Claus von Bulow, fui certo che qualche parente - ignaro del fatto che von Bulow era danese e non inglese - stesse giocandomi uno stupido scherzo. "Falla breve", dissi, "sono solo le sette e io sono andato a dormire alle due". "Mi spiace professore", riprese la voce al telefono, "ma io sono veramente Claus von Bulow e vorrei che le prendesse in considerazione la possibilità di assumere la mia difesa nel ricorso." Questa telefonata di primo mattino fu l'inizio di una battaglia giudiziaria di tre anni per rovesciare il giudizio di colpevolezza emesso a carico di Claus von Bulow. Mi venne affidata la direzione generale della preparazione dell'istanza di ricorso, al la testa di un gruppo di diciotto avvocati e studenti di legge e, dopo aver ottenuto un processo d'appello, rimasi come coordinatore dietro le quinte per questo secondo processo. All'inizio diedi per scontato che von Bulow fosse colpevole, come del resto sono la maggior parte degli imputati condannati! Col tempo mi convinsi però che von Bulow era probabilmente innocente. Alla fine ne fui quasi certo. Questo non mi capita spesso: in genere più procedo nella conoscenza del caso, più mi convinco della colpevolezza dei miei clienti e non mi capita mai di essere certo della loro innocenza (Perché io difendo imputati che ritengo colpevoli, lo spiego nel mio libro The Best Defence.) Com'è riuscito Claus von Bulow a convincermi? La risposta è semplice: non ci ha mai provato. Ma il suo comportamento, i passi che intraprese, le sue opinioni, le sue domande,. mi sembrarono espressioni di un uomo innocente. Mi chiese ad esempio di trovare un investigatore privato di prim'ordine per svolgere indagini informali. Non ha mai esitato anche quando gli proponevo indagini che, se fosse stato colpevole, avrebbero potuto provare la sua colpevolezza. In base alla mia esperienza, gli accusati colpevoli tendono a limitare le indagini troppo approfondite. E le nuove prove cominciarono ad arrivare. Di queste prove parlerò in seguito, prove che smontarono pezzo per pezzo l'edificio costruito dall'accusa. Un caso giudiziario è come un film non ancora montato, con migliaia di fotogrammi dei quali solo una piccola parte apparirà alla fine sullo schermo. Il ruolo del sistema giudiziario - polizia, accusa, difesa, giudice - è quello di montare il film del processo; scegliere quello che la giuria deve sapere e quello che deve finire nel cestino dei rifiuti. Fino a che punto dobbiamo risalire indietro nel tempo? Quali dettagli devono essere messi in luce? Quali comparse chiamate in causa? Le nostre opinioni sul crimine derivano in gran parte dal teatro e dalla televisione. Cechov osservò una volta a proposito del teatro che "se nel primo atto appendete una pistola al muro, questa pistola all'ultimo atto deve sparare, altrimenti sarebbe inutile appenderla lì". Il fatto è che nell'universo ristretto costituito dai tre atti di una commedia o nei quarantotto minuti di un telefilm, non c'è spazio per le coincidenze o il caso. Se un attore ha un dolore al petto nel primo atto, potete star certi che avrà un attacco di cuore al terzo. Se un uomo d'affari stipula un'assicurazione sulla vita del suo socio prima della prima interruzione pubblicitaria, è sicuro che quest'ultimo verrà assassinato prima dell'ultimo spot. Nella vita reale, però, la maggior parte dei dolori al petto sono solo indigestioni, e le assicurazioni sulla vita decisioni di routine. Nei drammi però non c'è spazio per gli aspetti più quotidiani dell'esistenza. Uno dei compiti più difficili della giustizia criminale è distinguere tra ciò che può essere importante in una trama o in una sceneggiatura e ciò che ha effettivamente rilevanza giuridica. l giudice deve saper discernere quali elementi - armi, polizze di assicurazione, testamenti, dolori al petto, relazioni amorose, eccetera - devono essere portati a conoscenza della giuria. Il pericolo è che la giuria, abituata a una visione teatrale della giustizia, dimentichi che nella vita reale non vi è nessuno che possa ordinare e selezionare gli avvenimenti in base all'importanza che assumeranno in seguito. Le pistole appese ai muri delle case sono nella realtà destinate a rimanere semplici ornamenti. Nel celebre film giapponese Rashomon, una brutale violenza conclusa con un omicidio è presentata attraverso gli occhi di ciascuno dei protagonisti. Nessuna versione è più vera di un'altra, sono solo diverse. Ma per la legge, a differenza dell'arte, ci deve essere una verità. Può essere difficile, forse impossibile coglierla, ma questo è il compito fondamentale, se non l'unico, della giustizia. Nel caso von Bulow non si potrà mai arrivare a una verità che convinca tutti. Sunny von Bulow ormai non può più parlare, e forse nemmeno lei potrebbe dire che cosa veramente sia successo. Nel periodo intercorso fra i due coma, Sunny era lucida e poteva parlare, eppure nemmeno lei sembrò avere idea di ciò che poteva aver causato il suo primo coma. Claus von Bulow affermò di essere sicuro solo di non aver mai tentato di nuocere alla moglie. Non ci sono testimoni che possano dire di aver assistito a un delitto. La domanda quindi, prima ancora che "chi è il colpevole?", deve essere: "è stato veramente commesso un crimine?". I due coma di Sunny sono un fatto reale, ma furono provocati da qualcuno? o piuttosto da Sunny stessa? Se accettiamo questa seconda ipotesi, si sia trattato di un gesto volontario o meno, non c'è alcun delitto. In questo libro lascio al lettore libero di scegliere la risposta che preferisce. Non cercherò di raccontare ciò che accadde. Neppure io sono assolutamente sicuro, anche se ho una mia ferma opinione che si basa sulle risultanze del processo e sulla conoscenza e l'osservazione dei principali personaggi coinvolti. Quello che posso fare è raccontare le diverse verità emerse. Naturalmente la mia opinione trasparirà malgrado il desiderio di obiettività, ma il lettore potrà comunque trarre le sue conclusioni. Questo atteggiamento potrà sembrare nichilistico, ma è solo il risultato di molti anni di esperienza nel sistema accusatorio legale. Il libro comincerà quindi col presentare gli avvenimenti così come li ha presentati l'accusa nel primo vittorioso processo. Quindi verranno presentati gli spettacolari elementi nuovi emersi solo dopo il verdetto e che gettano una luce interamente nuova sia sulla versione dell'accusa sia sui protagonisti della vicenda. Da ultimo verrà presentata la vicenda così come è stata ricostruita durante il secondo processo. Queste diverse storie verranno raccontate attraverso le parole dei principali protagonisti, nessuno dei quali conosce l'intera storia, ma ciascuno dei quali ha contribuito al mosaico con una propria tessera. Nella ricostruzione che proporremo verranno raccontati fatti mai emersi prima, provenienti da documenti e testimoni che, per diverse ragioni, erano rimasti nell'ombra. Non c'è da sorprendersi se due versioni contrastanti ma plausibili della stessa vicenda possono risultare egualmente convincenti. Una storiella ebraica che sono solito raccontare ai miei allievi può dare un'idea di ciò che voglio dire. Un saggio rabbino presiedeva una corte di giustizia in una shtetl dell'Europa orientale. Un giovane studente era stato inviato a osservare il saggio all'opera. Il caso riguardava una lite domestica. Parlò per prima la moglie: "Rabbi, mio marito è un uomo terribile. Sta in giro tutta la notte, si beve tutto il suo salario, mi picchia e non si lava". Il rabbino rifletté un po'e quindi emise il suo verdetto: "Figlia mia, ti ho ascoltato e tu hai ragione". Quindi parlò il marito: "Rabbi, mia moglie è una strega, urla giorno e notte, on vuole coricarsi con me, non cucina e non si occupa della casa". Il rabbino rifletté ancora e diede la sua risposta: "Figlio mio, ti ho ascoltato e penso che sia nel giusto". Lo studente allora si alzò ed esclamò: "Ma, rabbi, non possono aver ragione entrambi!". Il rabbino ci pensò su e disse :"Figliolo, hai ragione". No, lo studente non aveva ragione. Nella vita come per la legge entrambe le parti coinvolte in una disputa domestica possono aver ragione - e più spesso torto - allo stesso tempo. Ciò non è però sempre vero, soprattutto quando si tratta di fatti specifici, come nel caso von Bulow. Ma anche così la storia del rabbino chiarisce un punto importante del mestiere di avvocato: non puoi sperare di vincere se la tua storia non è convincente. Troppo spesso l'avvocato non riesce a persuadere la giuria anche prima che questa abbia ascoltato la versione del suo antagonista. In questo caso la sua sola speranza è che la tesi sostenuta dal suo rivale risulti ancora più fragile e insostenibile. Durante il primo processo, l'accusa fu convincente e la difesa no. Nel secondo processo avvenne il contrario. Questo libro racconta l'appassionante - e per certi aspetti inedita - storia di questo rovesciamento di un processo che aveva sempre gli stessi protagonisti. Ma è anche un esempio di come il sistema giudiziario americano può contribuire a far emergere la giustizia. Oggi si sentono dire molte cose su corti di giustizia costrette a mettere in libertà persone colpevoli grazie a cavilli legali. qualche volta accade. Ma succede anche che le corti rovescino un verdetto per dare all'accusato odo di provare la sua innocenza. E'quello che è accaduto in questo caso, ed è una storia affascinante di come le libertà civili possano essere poste al servizio della ricerca della verità. PARTE I IL PRIMO PROCESSO OVVERO SANGUE BLU, GLICEMIA E DOLCIUMI

1. LA VERITÀ DELLA GOVERNANTE: LEALTÀ E TRADIMENTI Il primo processo a Claus von Bulow racconta, in sostanza, la verità della governante. Maria Schrallhammer ne fu la testimone principale e una testimone abile. In un caso fondato quasi interamente du inferenze tratte dal contesto, Maria era ciò che più si avvicinava a un testimone oculare. Secondo Stephen Famiglietti, il procuratore capo, molto abile, durante il primo processo, "fu Maria Schrallhammer a dare veramente il via all'indagine". "Se le credete", chiese retoricamente il tenente John Reise, l'ufficiale di polizia del Rhode Island che condusse le indagini e si pensò avesse risolto il caso, "come potete pensare che costui sia innocente?". E molti osservatori, tra i quali alcuni giurati, sono infatti dell'avviso che fosse stata "soprattutto la testimonianza di Maria a nuocere a von Bulow", come disse un commentatore. Chi era questa donna alla quale ci si riferì come alla "governante di ferro", alla "governante del secolo", ricordando la fedele governante di Rebecca di Daphne Du Maurier, Mrs. Danvers? Maria Schrallhammer era in primo luogo una "dama di compagnia", e secondariamente una Frau tedesca. Nata in un piccolo villaggio presso Monaco, venne educata in un vicino convento cattolico a entrare al servizio dell'aristocrazia. Prima di entrare al servizio di Sunny von Auersperg era stata alle dipendenze della famiglia di Alfred von Krupp, il famigerato magnate degli armamenti che durante il periodo nazista utilizzò il lavoro di schivi e venne condannato a Norimberga per crimini di guerra. Quando Sunny sposò il principe Alfred "Alfie" von Auersperg, la coppia cercò una governante adatta a Sunny. La cameriera della baronessa von Krupp venne loro raccomandata e alla fine assunta. Da questo momento in poi, Maria Schrallhammer dedicò la sua intera esistenza a Sunny, che considerò sempre la sua "padrona". Un amico di Maria affermò che "viveva solamente per la famiglia, era tuta la sua esistenza". Ma un'altra vita l'attendeva. Il suo progetto era di tornare alla fine in Germania - Paese del quale aveva ancora la cittadinanza - e di trascorrere, una volta andata in pensione, i suoi ultimi anni nella sua amata patria. Anche se Maria era al servizio di tutta la famiglia di Sunny, non era una governante di famiglia. Era soprattutto a Sunny che si dedicava, "una dama di compagnia", appunto. I mariti potevano cambiare, i figli crescere e andarsene, ma Sunny restava. Sunny era l'unico oggetto delle attenzioni di Maria in una casa piena di servitori e domestiche. Il rapporto tra Maria e Sunny può essere difficilmente comprensibile per chi non è abituato a questo tipo di relazioni personali. Ma Maria aveva le molto chiare su quale fosse il suo posto nella vita. Si prendeva cura di ogni particolare della vita della sua padrona, l'aiutava a vestirsi, l'ascoltava e le era costantemente vicina. "Facevo tutto per lei" disse una volta alla giuria. Un altro domestico - osservando come Maria fosse l'unica persona ad avere accesso ai più intimi dettagli della vita di Sunny - disse che erano come sorelle. Ma Maria negò di essere come una sorella. "La sua padrona si è mai confidata con lei?" venne chiesto a Maria durante il primo processo. "No, molto raramente." "E lei, si è mai confidata con la sua padrona?" "Sì, se qualche cosa mi preoccupava glielo dicevo." Questo rapporto continuò durante tutto il periodo del matrimonio con Claus von Bulow. Continua, in modo strano, anche oggi che Sunny giace in coma irreversibile. Fino a poco tempo fa, Maria si recava a visitare la sua signora diverse volte alla settimana e le parlava. Oggi prega per lei. Nessuno - marito, parenti, amici, figli - era piò di Maria vicino a Sunny von Bulow. Nessuno si trovava in posizione più favorevole per osservarne le abitudini e le attività quotidiane. Nessuno avrebbe potuto essere un testimone migliore in un processo che riguardava la sua vita e un possibile tentativo di sopprimerla. Era quasi come se un'invisibile macchina da prese avesse seguito Sunny durante tutti gli ultimi ventitré anni della sua vita. Maria Schrallhammer raccontò diverse volte la sua storia dopo aver saputo che la sua padrona non sarebbe mai più uscita dal secondo coma. Il primo col quale parlò fu Richard Kuh, l'avvocato assunto dalla famiglia di Sunny per indagare sulle cause dei due coma. L'8 gennaio 1981, diciotto giorni dopo che Sunny venne colpita dalla crisi finale, Maria incontrò Richard Kuh nel suo studio. Kuh, ora libero professionista dopo essere stato procuratore distrettuale della contea di New York, era stato indicato dal banchiere di Sunny come la persona più idonea per svolgere discretamente accertamenti su un'eventuale origine dolosa del coma di Sunny. Il primo passo di Kuh fu quello di interrogare tutti i testimoni chiave degli avvenimenti relativi ai coma senza mettere in allarme Claus von Bulow sui sospetti della famiglia. L'incontro dell'8 gennaio fra la Schrallhammer e Kuh fu ovviamente della massima importanza perché fu la prima volta che Maria raccontò la sua storia a un estraneo, una storia che aveva avuto il suo epilogo solo due settimana prima. E'importante anche perché questa storia venne raccontata prima che la famiglia giunta a conclusioni definitive su quanto era avvenuto e sul da farsi. nessuno face pressioni su Maria per confermare la sua versione a unta teoria preesistente. Tutto ciò che Kuh voleva sapere erano - per dirla con le parole di Joe Friday in Dragnet - "i fatti , ma'am, solo i fatti". Maria trascorse un'ora con Kuh e gli riferì i fatti fondamentali a proposito dei quali avrebbe poi testimoniato in entrambi i processi. Kuh prese appunti dettagliati di quello che Maria gli riferì. Né l'accusa né la difesa ebbero accesso a questi appunti durante il primo processo. La ragione per cui rimasero segreti è che Kuh e gli accusatori affermarono che essi erano protetti dal segreto professionale cui un avvocato era tenuto rispetto ai suoi clienti. Il giudice del primo processo accettò questa tesi e non obbligò Kuh a mostrare i suoi appunti malgrado una richiesta della difesa. la prima giuria non venne quindi mai a conoscenza di quello che Maria aveva detto a Kuh durante il loro primo incontro. Questo punto avrebbe avuto un'importanza decisiva nel seguito della vicenda. Così anche il silenzio di Maria sulla sua prima versione degli avvenimenti assunse una notevole rilevanza. Maria raccontò poi quello che aveva da dire anche alla polizia del Rhode Island e al grand jury. E infine, il 4 febbraio 1982, tutti poterono vedere e ascoltare la Schrallhammer quando testimoniò davanti alla corte - e alle telecamere - in occasione del primo processo a Claus von Bulow a Newport, nel Rhode Island. ciò che gli spettatori videro fu una donna di cinquantanove anni che sembrava il prototipo della fedele governante tedesca. La fisionomia sottile, l'espressione triste, il colorito grigiastro, il sorriso nervoso e l'abito vecchiotto contribuirono a farla apparire fragile e diffidente, almeno durante l'interrogatorio da parte del procuratore Famiglietti. L'accusa indusse Maria a parlare dei precedenti storici e biografici della sua testimonianza diretta. Si arrivò quindi al fatale 27 dicembre 1979, quando Sunny von Bulow per poco non morì nel suo cottage di Newport, Clarendon Court, la faraonica villa di venti stanze che era stata usata come set per il film Alta società. Maria cominciò col riferire alla giuria a proposito dell'umore di Sunny la sera prima del coma. Sunny era triste ma non depressa, e questo perché la sua primogenita Annie Laurie si era dovuta temporaneamente separare dal suo fidanzato, Franz Kneissl, l'erede di una ditta produttrice di sci, perché questi era andato a trovarla sua famiglia in Europa per un periodo di due settimane. La famiglia aveva bevuto dell'eggnog fatto in casa come si usa nei giorni di festa. Sunny ne aveva preso un bicchiere o due. Alle 20 circa, si ritirò per la notte nella camera che divideva con suo marito, Claus. Il mattino dopo, circa alle 9,30, Maria stava scendendo dalle stanze dei domestici quando si imbatté in Claus. Maria stava recandosi nella stanza della sua padrona per vedere se era già sveglia. Claus le disse però che aveva mal di gola e che non avrebbe dovuto svegliarla. Circa cinque minuti dopo, Maria si avvicinò alla porta chiusa della stanza di Sunny e la udì gemere: Maria bussò e quindi entrò. Claus era tornato a letto. Maria si avvicinò alla sua padrona e le afferrò il braccio destro che pendeva dal bordo del letto. Era "freddo come il ghiaccio... rimisi il braccio sul letto e tentai di svegliarla", ma Sunny non si mosse. Maria urlò e tentò di scuoterla. ancora nessuna risposta. "Era priva di sensi, pensai che fosse svenuta." Dato che Sunny aveva in genere un sonno leggero e si svegliava al minimo rumore o contatto, Maria si spaventò. "Bisogna chiamare il medico", disse a Claus, "chiamare sua madre." "Sta semplicemente dormendo", rispose con calma Claus, "la notte scorsa non abbiamo dormito", spiegò. "La lasci dormire." "Non sta dormendo", gridò Maria, "è svenuta. Non riesco a svegliarla." Claus però insistette sul fatto che nel giro di poche ore sarebbe stata benissimo, e Maria lasciò la stanza. Mezz'ora dopo tornò e non vide alcun miglioramento. Tentò ancora di svegliare la sua padrona. Anche questa volta nessuna risposta. Maria rinnovò la richiesta a Claus, che stava leggendo a letto accanto alla moglie la richiesta di chiamare un medico. Claus disse a Maria che non vi era un medico di fiducia della famiglia a Newport, ma Maria replicò che Sunny aveva visto una volta il dottor Gailitis. "Ieri sera ha bevuto", affermò a questo punto Claus, "lasci che le passi dormendo." Maria sapeva che Sunny aveva scarsa tolleranza per l'alcool. "Dopo due drink, era già ubriaca" testimoniò. Ma questo sembrava essere qualcosa di più serio dei postumi di una sbronza postnatalizia. Maria continuò a entrare e a uscire dalla stanza, controllando lo stato della sua padrona e insistendo con Claus perché chiamasse un medico o la madre di Sunny. Maria spiegò alla corte che non aveva preso l'iniziativa lei stessa "perché lui non aveva voluto che io chiamassi, e io non conoscevo un medico a Newport". dopo colazione, Maria tornò nella camera da letto e constatò che lo stato della sua padrona non era migliorato. "O chiama lei il medico", minacciò, rivolta a Claus, "o lo farò io." Claus allora cedette alle sue insistenze e chiamò il dottor Janis Gailitis. Il medico era però fuori e Claus dovette lasciare un messaggio. Chiamò anche la madre di Sunny, Annie Laurie Aitken. Quando Claus riuscì finalmente a contattare il dottore gli disse che sua moglie "ha un problema con l'alcool e la notte scorsa ha bevuto troppo e oggi non si sente bene" ma che Sunny si era alzata e che egli le aveva anche dato un bicchiere d'acqua. Quando Maria sentì quello che aveva detto, abbandonò la stanza sconvolta perché "non era affatto vero". Maria era sconvolta anche perché mentre Claus stava parlando col medico, il respiro di Sunny si era fatto irregolare e inoltre continuava a gemere. ma Claus non fece cenno al medico di questi sintomi preoccupanti. Circa alle 6 del pomeriggio, Maria si avvicinò alla stanza, Claus stava telefonando in tono concitato al medico. Sunny rantolava. Come Maria riferì alla giuria, "la signora stava rantolando e pensai che sarebbe potuta morire a ogni istante. Quasi non respirava più e ebbi l'impressione che il respiro stesse per arrestarsi". Claus chiamò il medico: "Per favore, venga immediatamente", lo pregò, "pagherò per il suo disturbo qualunque cifra". Il dottor Gailitis arrivò nel giro di pochi minuti. "Ha smesso di respirare", gridò il medico dopo aver tentato il massaggio cardiaco, e ordinò a Claus di chiamare il pronto soccorso. Il dottor Gailitis elimino il vomito dalla gola di Sunny e praticò la rianimazione bocca a bocca, salvandole la vita. Sunny venne trasportata d'urgenza al Newport Hospital, dove, il giorno dopo, riprese conoscenza. Nel frattempo, ritornata a casa, Maria tolse il lenzuolo dal letto di Sunny, notando una macchia di urina. I sospetti di Maria si fecero più gravi perché ne dedusse che Sunny non si era affatto alzata per andare in bagno. Perché - si chiese - Claus aveva mentito al medico? Malgrado i suoi sospetti e i dubbi, Maria non riferì ai alla sua padrona come si era comportato Claus mentre lei era ancora incosciente. "Non volevo intromettermi nelle loro questioni coniugali", si giustificò, "ero solo una dipendente." Questa, in breve, la versione della governante a proposito del primo coma. Naturalmente non è tutta la storia. Esperti medici avrebbero passato molte ore a cercare di capire le cause biochimiche che avevano condotto Sunny a un passo dalla morte. Ma fu il racconto agghiacciante di quelle ore decisive - e soprattutto il ritardo nel ricorrere al medico - fatto da Maria Schrallhammer che fece sì che il comportamento di Claus von Bulow verso sua moglie il 27 dicembre 1979 venisse definito "indegno di un marito".

Sarebbe trascorso quasi esattamente un anno tra i due coma di Sunny. Durante quell'anno, 1980, Maria assunse il ruolo di super investigatore. Come disse in seguito un giornalista, "Claus si teneva in casa un nemico formidabile". Un nemico occulto e temibile. Maria trovò un alleato nel principe Alexander, il secondogenito di Sunny. Insieme si recarono dalla matriarca della famiglia, la madre di Sunny, Mrs. Aitken, e le riferirono come il comportamento di Claus durante la crisi della moglie fosse stato perlomeno negligente. Maria insisteva su questo punto, senza però che Sunny o Claus ne avessero sentore. Ma la signora Aitken le diede ascolto e avvertì Claus che avrebbe dovuto chiamare il medico a ogni minimo inconveniente della figlia, "anche per un callo". In risposta a questi rimproveri, Claus decise di mettere a punto una sua linea difensiva per la condotta tenuta quel giorno e scrisse una lettera al dotto Gailitis per chiedere il suo parere sul proprio comportamento. Questa lettera venne definita dall'accusa come "un tentativo di coprirsi le spalle" da parte di Claus e venne usata contro di lui nel primo processo. La lettera, che ci dà l'opportunità rara, di ascoltare la voce di un uomo che non venne mai ascoltato dalla giuria, è questa: 22 gennaio 1980 Gentile dottor Gailitis, mia moglie sta facendo rapidi progressi e ha quasi interamente recuperato le forze. Le siamo entrambi molto grati. Io avrei adesso bisogno del suo parere personale, e preferibilmente per iscritto. Mia suocera ritiene che io sia in colpa per non aver fatto ricorso al medico prima, durante la giornata. E'una domanda che mi sono posto più volte anch'io, nei giorni che sono seguiti alla crisi di mia moglie. I fatti, come le ho già riferito, possono essere riassunti così: 1. Ho assistito a molti omenti di "incoscienza" negli ultimi quattordici anni. In nessun caso, al momento o retrospettivamente , si è reso necessario l'intervento di un medico. Quando mia moglie si è rotta l'anca, due anni or sono, mi sono naturalmente rimproverato per non essere stato con lei quando si recò in bagno. Non ho commesso questa volta lo stesso errore. 2. Mia moglie dormì durante la notte di martedì 25. La sua voce era molto rauca e il mattino del 26 aveva mal di gola. La notte del 26 non dormì affatto e io rimasi sveglio con le i durante la notte e durante il giorno del 27. La lasciai solo per pochi momenti per portarle dei ginger ale o del dolce di tapioca che mi aveva chiesto. Quando, finalmente il mattino del 27 si addormentò, pensai che fosse proprio quello di cui aveva bisogno. I nostri figli, perfettamente sani e non ancora ventenni, a volte dormono fino all'ora di pranzo, quando lo permettiamo loro. Il suo respiro era in ogni caso perfettamente regolare e si sarebbe alzato ogni tanto per recarsi in bagno. Ho tentato di raggiungerla telefonicamente verso le 2.30 del pomeriggio e ci sono riuscito circa un'ora dopo, quando le ho fatto quel breve riassunto dei fatti. Poco dopo le 6, improvvisamente, il respiro di mia moglie si è fatto affannoso e io l'ho chiamata immediatamente. Lei è arrivato subito, come l'ambulanza, salvando la situazione. la mia impressione è che la vera crisi sia giunta all'improvviso e inaspettatamente. quello che era successo prima, non diverso dalle molte notti insonni che ho trascorso. In verità, se non ci fosse stato il soffocamento, anche questa volta non ci sarebbe stata nessuna crisi. Se devo dire il mio parere, mia moglie non si era riavuta completamente dalla violenta influenza che aveva avuto circa dieci giorni prima, e che deve aver lasciato tracce nei suoi polmoni. Unitamente agli antidepressivi, tutto ciò che le è quasi stato fatale. Il dottor Stock e lei siete ancora sconcertati dalla basa pressione sanguigna. Non so se ha valutato le cose correttamente. Ho qualcosa da rimproverarmi? Dall'ora di pranzo del 25 fino al 27 sono rimasto sveglio per più di cinquanta ore, e forse la mia capacità di valutare le circostanze ne ha risentito. Le sono sempre molto grato e vorrei avere la sua opinione su questo punto, anche qualora questa dovesse riuscirmi sgradevole. Sinceramente Claus von Bulow (Nella sua corrispondenza privata, Claus firmava in genere col solo cognome Bulow, tralasciando il "von". La storia di come e in quali circostanze il "von" venne aggiunto al cognome affascinò la stampa. Claus mi disse che Sunny insistito perché il suo secondo marito avesse un "von" anche se era un surrogato inadeguato del titolo principesco del suo primo marito. Claus aveva diritto ereditario a questa particella, secondo quello che pensa chi dà importanza a queste cose. Il suo diritto al titolo è confermato dall'Adel Kalenders tedesco, l'albo della nobiltà, che cita suo bisnonno e suo nonno come aventi diritto al "von", cosa certificata anche da una lettera della principessa Bismarck. dopo aver ricevuto la patente di nobiltà, tutti i membri della famiglia Bulow avevano diritto a fregiarsi del "von". alcuni lo fecero, altri no. La famiglia di Claus comprendeva ministri danesi, un ambasciatore, un giudice della corte suprema e un generale. durante la disputa sollevata dai von Auersperg sul diritto all'uso del "von" da parte di Claus, Sunny continuò ancora a chiamarsi "signora von Bulow". Quando mi chiamava nel mio ufficio, come accadeva quotidianamente durante il processo, si annunciava alla mia segretaria con "Mr. von Bulow", pronunciando il "von" alla tedesca come "fon". Questo fece sì che la irriverente segretaria, Maureen Doherty, lo chiamasse bizzarramente "the fun guy", l'allegro ragazzo o "Fonzie", come il personaggio della serie televisiva. I nostri documenti più riservati erano inseriti in un dossier separato sotto il titolo "the Fonz".)

Il dottor Gailitis rispose un paio di settimane più tardi, nei termini sperati da Claus: Caro signor von Bulow, sono lieto di sapere che la signora von Bulow sta migliorando. Gli avvenimenti che hanno portato alla gravissima crisi di Mrs. von Bulow, vomito, aspirazione di contenuto gastrico e arresto cardiocircolatorio, erano imprevedibili. Non ho dubbi che riconoscendo l'improvviso aggravamento delle sue condizioni e avvertendomi lei le abbia salvato la vita. Sinceramente Janis Gailitis, M.D.

Questa lettera deve aver soddisfatto Claus e forse anche la signora Aitken, che la lesse. Ma i sospetti di Maria aumentarono. Qualche settimana dopo il primo coma, Sunny si ammalò ancora, questa volt nel suo appartamento di New York, la principesca abitazione di quattordici stanze nell'Upper Fifth Avenue. Quando Maria le portò il vassoio della prima colazione quel mattino di febbraio, non fu in grado di mettersi a sedere, di vedere il vassoio e aveva difficoltà a parlare. Questa volta Claus chiamò il medico di famiglia, ma il dottor Stock - medico di fiducia di Sunny per ventinove anni - non ritenne necessario venire pensando che si trattasse di una normale influenza. Claus attribuì la colpa del malessere a un hamburger indigesto mangiato la sera prima da Sunny. Ma Maria si preoccupò, pensando sempre allo strano comportamento di Claus di qualche settimana prima. Qualche settimana dopo, Maria fece una scoperta che trasformò la sua preoccupazione per il comportamento poco premuroso di Claus nei confronti della moglie nel vero e proprio sospetto che questi stesse cercando di attentare alla sua vita. La scoperta fu quasi casuale. Maria stava pulendo l'armadio a muro della camera di Claus nell'appartamento della Fifth Avenue. ( A New York, la coppia non condivideva la stessa stanza, apparentemente perché Claus si svegliava prima di Sunny e non voleva disturbarla. Vi era però un'altra ragione: Claus mi disse che non aveva quasi più avuto rapporti sessuali con sua mogie dopo la nascita di Cosima, circa tredici anni prima.) L'armadio era in comune tra Sunny e Claus. Conteneva "tutti i vestiti da sera, le scarpe da sera, e qualche altro vestito di Sunny". Conteneva anche qualche abito di Claus, ma la maggior parte degli oggetti presenti nell'armadio appartenevano a Sunny. Pulendo l'armadio, Maria trovò una "valigetta da viaggio" che Claus usava ogni settimana nei suoi spostamenti "avanti e indietro da Newport". La valigetta era aperta e, spostandola, Maria notò al suo interno una borsa chiusa in plastica nera "lunga una quindicina di centimetri e con una cerniera lampo". Maria decise di aprirla. "Non so veramente perché lo feci, semplicemente lo feci." Nella borsa aperta Maria trovò "Valium, pillole, una polverina e del liquido". cosa fossero il liquido e la polverina senza etichette, non lo sapeva. Ma il valium aveva una ricetta. Maria guardò rapidamente se fosse una ricetta per Claus o per Sunny. Ciò che vi lesse la sorprese. Era per una certa "Leslie Baxter", nome che le era del tutto ignoto. dopo aver fatto questa scoperta, Maria chiamò la figlia di Sunny, Ala, e le riferì tutto. Qualche giorno dopo, portò la borsa nell'appartamento di Ala dove esaminarono il contenuto, presero nota delle etichette e prelevarono "alcuni campioni del liquido e della polverina". Le boccette vennero quindi rimesse nella borsa nera, che venne nuovamente riposta nell'armadio di Claus. I campioni vennero portati da Ala al medico di famiglia, il dottor Stock, per essere analizzati. Nel frattempo Claus era assente e non sospettò affatto che il contenuto del suo armadio fosse stato esaminato con tanta attenzione. Mentre Maria continuava a controllare la borsa nera, il dottor Stock completò le analisi dei campioni. Si scoprì che la pasta gialla era Valium e la polverina bianca Secobarbital, un barbiturico. Ovviamente il dottor Stock sapeva che Sunny faceva ricorso a entrambi questi farmaci. Nel corso degli anni glieli aveva prescritti più volte. Ma il mistero riguardava piuttosto la forma in cui erano stati trovati. Di solito Sunny li prendeva in pillole. Perché allora erano stati trovati in pasta e in polvere, forme nelle quali non sono in genere reperibili in farmacia? La faccenda era resa più intricata dalla misteriosa persona - Leslie Baxter - il cui nome figurava sulla ricetta del Valium. si trattava di un uomo o di una donna? Un amico di Claus o di Sunny? Nessuno sapeva la risposta. E nessuno aveva il coraggio di cercarla direttamente da Claus o da Sunny. La borsa nera e il suo contenuto rimasero quindi avvolti nel sospetto. Ma vene comunque compiuto un tentativo per andare a fondo del mistero riguardante il coma di Sunny del Natale 1989 e le sue frequenti ricadute. Nell'aprile del 1980, Sunny ancora una volta si svegliò nella sua casa di New York sentendosi poco bene. parlava in modo confuso e faceva movimenti convulsi. Questa volta Maria non esitò e chiamò la madre di Sunny, che avvertì il dottor Stock, il quale decise die vedere chiaro nei problemi fisici di Sunny e ordinò una settimana di ricovero per una serie di analisi al Columbia Presbyterian Hospital. Dopo aver saputo che sarebbe stata ricoverata, Sunny chiamò Maria nella sua stanza e le ingiunse aspramente di non chiamare più sua madre senza il suo esplicito permesso. Maria si convinse però che "era stato Claus a farle dire questo" perché "era molto preoccupato" che fosse stato chiamato il dottor Stock. Comunque Sunny si recò in ospedale perle analisi. Quando queste furono completate, Maria ebbe la gioia di sapere che la sua padrona non aveva nulla di serio. Nessun tumore o cose del genere, solo un piccolo problema: "Gli esami rivelarono che gli zuccheri nel sangue diminuivano". In sostanza i medici scoprirono che Sunny soffriva di una forma di Ipoglicemia reattiva relativamente frequente. Come il diabete, l'ipoglicemia reattiva è il risultato di un cattivo funzionamento del meccanismo che regola i rapporti fra l'insulina naturalmente presente nel corpo umano e gli zuccheri nel sangue. Contrariamente ai diabetici, nei quali il tasso di zucchero aumenta dopo l'ingestione di carboidrati, coloro che soffrono di ipoglicemia reattiva presentano un abbassamento del livello di zuccheri nel sangue dopo aver mangiato o bevuto carboidrati. Il caso di Sunny era piuttosto grave. Durante un testo di tolleranza del glucosio, gli zuccheri nel sangue scesero a 23,(23 milligrammi per 100 millilitri dopo l'ingestione di 100 unità di glucosio. Il livello normale è tra i 65 e i 90 milligrammi.) che un esperto giudicò "il valore più basso che io abbia mai visto in un caso di ipoglicemia reattiva". Il suo medico di fiducia, il dotto Stock, qualificò il suo caso nella cartella clinica come "una grave forma di ipoglicemia reattiva". Un'ipoglicemia reattiva, anche se grave, non rappresenta un pericolo per la vita, ma non si può fare molto per curarla. La soluzione più comune è una dieta ragionevole. Dato che l'abbassamento è provocato dai carboidrati, il paziente dovrebbe evitare di consumare grandi quantità di alimenti ricchi di carboidrati, come i dolci, gelati e alcolici. A Sunny venne detto di fare attenzione alla sua dieta, e i domestici ricevettero le istruzioni del caso. Bibite dietetiche sostituirono i drink zuccherati e la frutta fresca i dessert. Tutti si sentirono sollevati alla notizia che Sunny non era gravemente ammalata e, come la stessa Schrallhammer avrebbe testimoniato più tardi, nessuno prese troppo sul serio la diagnosi dell'ipoglicemia reattiva. La prova migliore del fatto che Sunny si era ripresa dai suoi problemi, fu il suo comportamento al matrimonio della figlia Ala, in Austria, nella tarda primavera. Il ricevimento fu veramente regale, con una lista di invitati che pareva uscita dal Royal Families of the World di Burke. Ci fu anche un sontuoso ballo nel Palazzo Arcivescovile. Sunny ricevette i suoi regali ospiti senza presentare alcun segno di malessere. Tutto sembrava ritornato alla normalità nello splendore di Salisburgo. Ma Maria continuò a essere sospettosa e preoccupata e a tenere d'occhio per tutta l'estate la misteriosa borsa nera. Ma fu solo la domenica dopo il giorno del Ringraziamento che vide nuovamente la borsa di plastica mentre stava riordinando la stanza di Claus a New York. Questa volta si trovava, insieme a varie riviste, in una sacca di tela bianca che Claus aveva preparato per una gita a Newport. Ancora una volta Maria aprì la borsa. questa volta trovò qualcosa di diverso, e di più sinistro. Oltre alle boccette, vide una fiala con la scritta "insulina" con diversi aghi e una siringa. Non aveva mai visto cose simili prima. Maria avvertì immediatamente il figlio di Sunny, Alexander, e gli mostrò eccitata la fiala e l'occorrente per iniettarne il contenuto. "Insulina, per farne che?" domandò incredula. "La signora von Bulow non ha il diabete e non ha alcun bisogno di insulina." Questa frase - "perché l'insulina?" - ebbe grande eco nel pubblico; come disse più tardi la stessa Maria: "Tutti sapevano che io avevo detto 'perché l'insulina?'". Non era la prima volta che Maria aveva visto siringhe e aghi. Molti anni prima - per essere precisi, nel 1969 a Majorca - Maria aveva visto Claus far uso di questi aggeggi " per farsi iniezioni di vitamine". Si ricordava bene degli aghi e delle siringhe perché Claus "era solito gettare via gli aghi e i ragazzi giocavano con le siringhe" usandole come pistole ad acqua. Anche se qualche volta Claus aveva fatto iniezioni di vitamine a Sunny, Maria non aveva mai visto la sua padrona in possesso di aghi o siringhe. Maria rimase sconcertata dalla nuova scoperta, ma non sapeva cosa fare. Doveva mettere in guardia la sua padrona? Doveva affrontare direttamente Claus? Anche questa volta pensò che non aveva altra scelta che continuare a tenere, discretamente e in silenzio, la situazione sotto controllo. Una settimana più tardi, Sunny ebbe un nuovo malore. si era sentita poco bene durante tutta la giornata: "Aveva un forte mal di testa e raffreddore". Prese quindi un'aspirina dall'abbondante scorta che teneva a portata di mano. (Maria affermò che era solita comperare due o tre confezioni di aspirina formato famiglia per volta, e che una confezione era sempre "sul suo comodino".) Verso le 10 di sera, Claus von Bulow bussò alla porta di Mari. "Temo che sia successo qualcosa", spiegò, "ma non è niente di grave, non si spaventi." Quando Maria entrò nella stanza della signora, la vide stesa nel letto "in una pozza di sangue... Aveva una ferita nella parte posteriore della testa" dalla quale sgorgava il sangue. Vi erano macchie di sangue ovunque, sul cuscino, sul letto, sul tappeto. Claus spiegò che Sunny aveva avuto un attacco di vertigini ed era caduta battendo il capo. Maria cercò di parlare alla sua padrona, ma Sunny diceva cose "sconnesse" e le i non riusciva a capirla. Era "in un completo stato confusionale". Questa volta Maria non dovette insistere perché Claus chiamasse il medico: stava già componendo il 911. L'ambulanza arrivò e Sunny venne portata al Lenox Hill Hospital, dove la ferita venne ricucita e lei fu sottoposta a terapia per un iperdosaggio da aspirina. Rimase all'ospedale sei giorni. Maria non sapeva cosa pensare di questi episodi confusi. Si confidò con un amico tedesco, col quale era rimasta in contatto epistolare, affermando che "qua non tutto va per il meglio" e raccontando quanto le era successo durante i malori della signora. Dopo aver raccontato al suo amico il terribile giorno di dicembre quando aveva tentato in tutti i modi di indurre Claus a chiamare un medico, descrisse i suoi sentimenti quando finalmente il dottore arrivò: "Mio Dio, che sollievo! E'stata letteralmente strappata alla morte. Con un'ambulanza del pronto soccorso l'hanno portata in ospedale. Grazie a Dio, lentamente si è ripresa. Hanno scoperto che il livello di zuccheri nel sangue era molto basso. Un punto a suo [di Claus] vantaggio." Maria proseguì raccontando al suo amico cosa aveva fatto e i suoi timori: Le sue condizioni in febbraio erano molto precarie. Sono andata in segreto dalla signora Aitken a dirle la verità. Io e Bulow siamo ormai ai ferri corti. In aprile la signora Bulow ha passato almeno due settimane al Medical Center per analisi. Le hanno diagnosticato qualcosa circa gli zuccheri nel sangue. Ma in ospedale stava abbastanza bene. Talvolta mi sento male al pensiero di cosa accadrà in futuro. La signora si fida ciecamente di suo marito e ne dipende totalmente. Lui, naturalmente, ha un'amante. Tutta la nostra vita è cambiata. Non si danno più ricevimenti e non escono neppure. La signora sta ingrassando ed è molto infelice per questo.

I timori di Maria circa quello che sarebbe successo in futuro erano ben fondati. Coll'avvicinarsi del Natale, tutta le famiglia fece i preparativi per trasferirsi nuovamente a Newport, ma Claus glielo impedì perché era stanca e avrebbe potuto "prendere l'influenza". "Perché non si prende qualche giorno di vacanza a New York invece di venire con noi?" suggerì Claus. La famiglia non intendeva comunque trascorrere il Natale a Newport perché la madre di Sunny era a New York malata e la tradizione voleva che tutta la famiglia fosse riunita per il pranzo di Natale. L'idea era poi di trascorrere il week-end prenatalizio a Clarendon Court e quindi di tornare a New York per Natale. L'ultima volta che Maria vide la borsa nera fu quando Sunny e Claus si stavano preparando per partire. Mentre stava portando alcune delle loro valigie all'ascensore, la notò in una sacca di tela bianca con la scritta "Metropolitan Opera", insieme ad alcune riviste . Mentre l'ascensore stava scendendo, Maria aprì rapidamente la borsa e vi sbirciò dentro. Vide ancora l'insulina e le siringhe con gli aghi. Questa fu l'ultima occasione che Maria ebbe per mettere sull'avviso Sunny o per chiedere a Claus spiegazioni sullo strano contenuto della borsa. Ma, pur essendo molto preoccupata, Maria non disse nulla e si limitò ad augurare buon viaggio a Claus e alla sua padrona. Fu l'ultima volta che la vide cosciente. Maria venne più tardi a sapere da Alex che, dopo l'arrivo a Newport, Sunny trascorse il sabato a decorare l'albero di Natale che aveva ordinato per Clarendon Court. La famiglia - Sunny, Claus, Alex e Cosima; Ala era in Europa - pensò di cenare presto quella sera in modo da poter vedere il film Dalle 9 alle 5. Non è chiaro se Sunny abbia mangiato molto. Ma insistette per avere come dessert un grande gelato con caramello."(Anche se questo capitolo è incentrato sul racconto della governante, alcuni elementi sono desunti da altre testimonianze e altre fonti.) dopo il film, la famiglia tornò a casa. Claus si ritirò nel suo studio a lavorare. Sunny, Alex e Cosima andarono a chiacchierare in biblioteca. Prima di recarsi in biblioteca, Sunny andò in bagno per qualche minuto. (Anche se a Clarendon Court Claus e Sunny dividevano la camera da letto, i bagni erano separati.) Quando tornò, aveva un bicchiere che Alex pensò essere pieno di ginger ale. I tre si sedettero in biblioteca e parlarono per circa una mezz'ora. Claus entrò e chiese se qualcuno voleva qualcosa. Sunny disse che le avrebbe fatto piacere avere un po'del brodo di pollo rimasto e Claus andò a prenderlo. Mentre Claus era in cucina, Alex noto che la voce di sua madre si indeboliva progressivamente. Si preannunciava un'altra crisi. Sunny divenne debole al punto di non riuscire a sollevare il bicchiere. Quando tentò di alzarsi, ricadde seduta. Alex domandò a sua madre se avesse preso sonniferi o barbiturici. Rispose di no. Ma Alex ripeté la domanda "tre o quattro volte". Sembrava preoccupato per la possibilità che sua madre avesse preso pillole, perché Claus gli aveva detto che era solita farlo. Alex prese in braccio sua madre e la portò in camera da letto. Sunny protestò dicendo che non voleva essere aiutata e che era in grado di muoversi da sola, ma Alex non era di questo parere. La distese sul letto, ma lei si alzò e andò in bagno. Alex corse a chiamare lo "zio Claus", espressione con la quale si riferiva al suo patrigno, in biblioteca, ma Claus era impegnato in una telefonata d'affari con New York. Alex ritornò quindi in camera della madre giusto mentre le i si stava rimettendo a letto. LA aiutò a coricarsi e le rimbocco le coperte. Mentre Alex stava uscendo, dopo che Claus era giunto in camera da letto, sua madre gli chiese di aprire le finestre. Anche se la temperatura era parecchio sotto lo zero sulla riva dell'oceano Alex sapeva che sua madre amava dormire in una stanza fredda. Sunny augurò buona notte a suo figlio per l'ultima volta, e Alex raggiunse alcuni amici in un bar sulla costa. Il mattino dopo Alex chiese alla sua sorellastra di tredici anni, Cosima, se la madre si era già alzata. Cosima gli rispose che dormiva ancora. Quando ritornò dopo una passeggiata mattutina in riva all'oceano e si sedette a tavola per il break fast, Claus si stupì che Sunny non si fosse ancora alzata. Anche se dormiva fino a tardi, erano ormai le 11 passate. Claus si recò in camera da letto, ritornandone pochi minuti più tardi. Giunto presso la stanza dove si faceva colazione, fece un cenno ad Alex in modo che Cosima non potesse vedere. Alex seguì Claus nella stanza. Non appena vi entrò si rese conto che il problema era serio. sua madre giaceva, priva di conoscenza , sul pavimento di marmo del bagno. La testa si trovava sotto il lavabo e le gambe erano rivolte verso la vasca. Perdeva sangue dalla bocca e le labbra erano gonfie. La camicia da notte era sollevata intorno alla vita. L'acqua scorreva nel lavabo. (Sembra che Sunny aprisse sempre il rubinetto quando si chiudeva in bagno, cosa che faceva spesso.)sotto il corpo vi era una pozza di urina. Claus le si avvicinò e le mise un dito sotto le narici. "Respira ancora" esclamò apparentemente sollevato, correndo a chiamare il pronto intervento. Alex toccò il collo di sua madre e sentì che era gelido. Trovò una pelliccia e gliela mise addosso per scaldarla. Sei minuti dopo arrivò l'ambulanza che portò Sunny - mentre Claus la seguiva - al pronto soccorso del Newport Hospital. La temperatura corporea era di poco superiore ai 27 gradi, il polso variava tra 36 e 40. Pochi minuti dopo, Sunny ebbe un arresto cardiaco e due medici intervennero per rianimarla. Alle 2 del pomeriggio Claus telefonò a New York a Maria per avvertirla che Sunny era stata ancora male ed era stata ricoverata in ospedale. Pochi giorni dopo, Maria venne portata dall'autista a Newport. Ma nel frattempo le condizioni di Sunny erano state giudicate troppo gravi perché potesse essere curata nel Newport Hospital, che non dispone di una TAC e di altri sofisticati strumenti diagnostici e terapeutici. Sunny era stata quindi trasferita a Boston e affidata a eminenti specialisti nella cura del coma profondo del Peter Bent Brigham Hospital.(L'atmosfera drammatica che regnava in aula venne spezzata per qualche istante da risatine quando Maria chiamò l'ospedale "Peter Pan Woman's Hospital".) Quando Maria si recò a trovare la sua padrona, le venne detto che "non vi era assolutamente più alcuna speranza". Mentre ripeteva lentamente queste parole alla giuria, Maria si portò una mano al volto, la voce le tremò e scoppiò in lacrime. Con questa nota di dolore, terminò il racconto della governante al primo processo. La deposizione di Maria Schrallhammer ebbe un effetto dirompente per la posizione di Claus von Bulow. anche se l'avvocato difensore, Herald Price Fahringer, tentò di screditare la sua testimonianza, il suo controinterrogatorio ebbe come unico risultato di aggravarne le conseguenze. Uno degli avvocati dell'accusa dichiarò alla stampa che "Fahringer è un ottimo avvocato, ma Maria è inattaccabile". Maria riusciva a "impadronirsi " delle sue domande "e a ribaltarglierle contro in modo micidiale". Un commentatore si espresse in questi termini: "Solo la testimonianza diretta di von Bulow potrebbe controbattere quella della Schrallhammer". Tutto quello che Fahringer riuscì ad ottenere da Maria fu che questa riconoscesse che non aveva dato una risposta completa alla giuria quando le era stato chiesto se Sunny le aveva mai detto che lei e Claus stavano pensando al divorzio. Ma anche la spiegazione di Maria per non aver detto l'intera verità deve averla messa in buon luce davanti ai giurati: "Ho promesso alla signora von Bulow che non ne avrei parlato con nessuno... Pensavo ancora che la signora potesse uscire dal coma e non volevo tradire la sua fiducia". 2. IL RACCONTO DEL FIGLIO: LA RICERCA DELLA BORSA NERA Maria fu la star indiscussa del primo processo, ma attorno a lei si mossero altri attori. Tra questi il figliastro di Claus, Alex; il banchiere di famiglia, Morris Gurley; l'amante di Claus, Alexandra Isles, e diversi periti medici. Gli altri furono comparse che ebbero brevi momenti di notorietà quando si trattò di chiarire alcuni dettagli del dramma. La regia era nelle mani degli avvocati dell'accusa e della difesa che tentarono di combinare insieme le diverse storie secondo gli interessi dei loro rispettivi clienti. Il racconto di Alex ha veramente inizio dopo il secondo coma della madre. Naturalmente ha arricchito anche la deposizione della governante circa gli eventi che avevano portato ai due episodi di coma confermando anche altri punti della sua testimonianza, come la scoperta dell'insulina nella borsa nera. Ma quello che disse fu rilevante soprattutto per quel che riguardava gli avvenimenti che seguirono alla dichiarazione di irreversibilità del coma di sua madre da parte dei medici. All'epoca Alex aveva ventuno anni e studiava alla Brown University. La Stampa lo soprannominò "il principe studente". Molto bello, con una voce bassa, fece la sua deposizione in tono monotono e triste, dando risposte brevi e facendo sempre in modo di apparire rispettoso verso l'autorità. Era l'unico a essere stato con Sunny poco prima dei due coma. Ma la sua importanza come testimone deriva dalle indagini condotte discretamente dalla famiglia dopo il secondo coma. questo fu un momento confuso e di grande tensione per i figli di Sunny, soprattutto per Alex e Ala. Claus alluse con Ala alla possibilità di staccare il respiratore e di lasciare morire Sunny. I figli discussero tra loro dei sospetti che nutrivano nei confronti dello zio Claus. Poche settimane dopo la diagnosi infausta sulle condizioni di Sunny, Alex, Ala e Claus erano seduti nell'appartamento di New York e Ala disse che aveva sentito che Claus era coinvolto in una vicenda sentimentale. Claus ammise subito la sua relazione con Alexandra Isles, spiegando che la loro madre era stata "incapace di avere rapporti sessuali" dopo la nascita di Cosima. Sunny, spiegò Claus, gli permetteva di soddisfare le sue esigenze sessuali con altre donne, purché lo facesse con discrezione. Alex e Ala non riuscirono a credere che la loro madre, una donna molto bella e molto femminile, non avesse avuto alcuna vita sessuale nel corso degli ultimi tredici anni. Sospettosi nei confronti del loro patrigno, spaventati perla loro madre, desiderosi di evitare uno scandalo che coinvolgesse la loro vita privata, i ragazzi si accordarono per incontrarsi nello stravagante appartamento di Manhattan della madre di Sunny, Annie Laurie Aitken. Oltre ad Alex e ad Ala, alla riunione parteciparono Annie Laurie, Russel Aitken - il patrigno di Sunny - e Morris Gurley, il banchiere di fiducia e confidente della famiglia. Il problema di fronte al quale si trovavano era se limitarsi al male minore o fare alcune indagini. Nessuno voleva uno scandalo, soprattutto se i sospetti non avessero trovato alcun fondamento oggettivo. Che conseguenze avrebbe avuto su Cosima una pubblica accusa contro Claus? Ma Alex insistette che qualcosa andava fatto, proprio per il bene di Cosima: "Dobbiamo permettere che trascorra il resto della sua vita con un uomo che ha tentato di uccidere sua madre?". Si discusse anche di altro ma su queste cose fu mantenuto il segreto fin dopo il primo processo. Gurley suggerì di procedere con molta cautela. Per prima cosa si sarebbe dovuto ingaggiare un investigatore privato con molta esperienza per sondare discretamente il terreno. decisero per Richard Kuh, il cinquantanovenne ex procuratore distrettuale di Manhattan. Le opinioni su Kuh come procuratore erano controverse. Come giovane assistente del procuratore distrettuale aveva proceduto contro il commediografo Lenny Bruce in seguito a una denuncia per "oscenità" commesse sul palcoscenico. Molti lo consideravano troppo aggressivo. Ma era anche molto intelligente, deciso e piuttosto colto. Era stato nominato procuratore distrettuale di Manhattan nel 1974 dopo le dimissioni del suo capo, Frank Hogan. Ma Kuh fu oggetto di molte critiche da parte del suo stesso ufficio e quando concorse alle elezioni venne battuto da Robert Morgenthau. ( In un articolo sul "Village Voice" io ho appoggiato la candidatura di Kuh contro Morgenthau.) Entrò quindi in uno studio legale di Manhattan dove seguì numerosi casi. Gurley ritenne che avesse l'esperienza, la discrezione e la determinazione necessarie per affrontare la delicata questione von Bulow. Kuh accettò con entusiasmo. Kuh cominciò incontrando e ascoltando i principali testimoni. Il primo incontro lo ebbe con Alex e Ala, il 5 gennaio 1981, poco più di due settimane dopo che la loro madre era entrata in coma. Le informazioni che ricevette dai ragazzi, così come quelle che ricevette da Maria tre giorni dopo, non vennero mai portate a conoscenza della corte durante il primo processo. Anche se prese appunti dettagliati su quello che gli venne detto, Kuh considerò sempre queste informazioni come personali e riservate. Poiché la difesa aveva richiesto che queste annotazioni venissero esibite, Kuh le consegnò alla corte. Ma egli e i suoi clienti chiesero formalmente che venissero considerate private e il giudice diede loro ragione. I giurati del primo processo vennero comunque a sapere che in conseguenza di questi primi incontri era stato deciso di approfondire le indagini. Il prossimo obiettivo sarebbe stata la borsa nera che Maria aveva mostrato ad Ala in febbraio e ad Alex durante il week-end del Ringraziamento. Dopo l'ultimo coma, Maria aveva cercato nell'appartamento di New York la borsa là dove l'aveva vista in precedenza. ;a la borsa era scomparsa. Pensando quindi che si trovasse a Clarendon Court. Alex la cercò qui. Forse era nell'armadio di Claus. Quando però andò a cercare, si accorse che l'armadio era chiuso a chiave, il che era piuttosto insolito. La famiglia decise di mandare Alex a Newport con un investigatore privato, assoldato dall'avvocato Kuh, per aprire l'armadio. Quindi convinsero un fabbro ad accompagnarli a Clarendon Court. Il terzetto si diresse subito nello studio di von Bulow. Proprio sulla scrivania di Claus vi era un biglietto con scritto sopra "scatola di metallo". Fu proprio come se in un'intricata caccia al tesoro qualcuno avesse lasciato un indizio. Alex guardò nel cassetto della scrivania e trovò un mazzo di chiavi. Aprirono l'armadio e cominciarono le ricerche. Dopo circa un'ora, l'investigatore indicò qualcosa ad Alex. Era - manco a dirlo - una scatola di metallo. al suo interno vi era una borsa nera, che Alex ricordò essere "simile a quella che avevano visto prima a New York". I tre aprirono immediatamente la borsa nera. Al suo interno trovarono boccette; alcune contenenti pillole, altre dei liquidi. Vi erano anche altri oggetti, ma ciò che maggiormente attirò la loro attenzione furono "tre aghi ipodermici". due di questi erano sigillati nelle loro confezioni originali, uno, invece, sembrava essere usato. Avevano trovato quello che cercavano: "la possibile arma del delitto": Trovarono anche una boccetta di Dalmane con una ricetta a nome di Claus von Bulow. Alexander aveva trovato un equivalente delle impronte digitali di Claus sulla borsa che conteneva l'arma dell'attentato. Prima di ripartire, raccolsero vari oggetti che avevano trovato in diverse altre stanze della casa, tra i quali alcune boccette trovate nel comodino di Sunny e nell'armadietto delle medicine del suo bagno, nonché nelle tasche del soprabito di Claus e nel bagno di quest'ultimo. Per comodità, misero tutto nella borsa nera e tornarono a New York. Qualche giorno dopo, il contenuto della borsa fu affidato al medico di fiducia, Richard Stock, che lo inviò a un laboratorio. I risultati delle analisi furono l'ultimo tassello necessario a completare il puzzle. L'ago era stato effettivamente usato. Il residuo trovato al suo interno conteneva un'alta concentrazione di insulina, di Valium e di Amobarbital. Nel frattempo, il dottor Stock era venuto a sapere che le analisi del sangue, effettuate subito dopo il ricovero di Sunny al Newport Hospital, rivelavano un livello anormalmente alto di insulina. tutto sembrava coincidere. Il dottor Stock era ormai sicuro che Claus von Bulow avesse iniettato a sua moglie dell'insulina. "O andate voi alla polizia, oc i andrò io", minacciò Stock rivolto a Kuh. Kuh ottenne da Alex e Ala l'autorizzazione a procedere per vie legali. Per prima cosa si rivolse alle autorità di New York, che dissero di non avere giurisdizione su eventuali crimini commessi nel Rhode Island, e quindi si rivolse alle autorità del Rhode Island, fornendo loro quelle che gli sembravano le prove della colpevolezza di Claus, ma tenendo riservate le note prese negli incontri precedenti. i sospetti della famiglia erano ormai divenuti certezza. l'ago con l'insulina era la "pistola ancora fumante", "la ferita d'arma da fuoco" era l'alto livello di insulina riscontrato in Sunny e avevano anche le "impronte digitali" dato che l'ago era stato ritrovato nella borsa di Claus. Se potevano esserci ancora dei dubbi su chi fosse il proprietario della borsa nera, essi vennero dissolti dalla scoperta che Leslie Baxter - il cui nome appariva in delle ricette trovate in febbraio da Maria - era una prostituta frequentata per qualche tempo da Claus. Avevano anche il precedente del comportamento "non degno di un marito" tenuto da Claus in occasione del primo coma della moglie. Tutti i conti parevano tornare. Ciò di cui ancora avevano bisogno era una conferma medica del fatto che il coma di Sunny fosse stato provocato dalle iniezioni di insulina e un movente preciso per il tentativo di omicidio. La famiglia e l'avvocato si diedero da fare per riannodare questi ultimi fili. 3. LA VERITÀ DEL MEDICO: GLICEMIA E INSULINA Le perizie scientifiche sulle quali si fondò l'accusa furono di tre tipi diversi. Il primo tipo consistette nella testimonianza oculare dei medici che ebbero un contatto diretto con Sunny von Bulow. Il secondo in quella dei tecnici che analizzarono le sostanze per rilevare la presenza di insulina e di altri componenti significativi. Il terzo nella deposizione di specialisti che non avevano ,mai esaminato direttamente Sunny von Bulow, ma che - rispondendo a domande in forma ipotetica - poterono dare il loro parere di esperti sulle cause dei coma di Sunny. Il testimone medico diretto più importante fu Janis Gailitis, il medico di Newport che aveva salvato Sunny dopo che Claus l'ebbe finalmente chiamato. Emigrato sovietico dalla Lituania, Gailitis aveva esercitato a Newport per trent'anni. Nel 1978 e 1979 aveva avuto in cura Mrs. von Bulow per questioni di secondaria importanza. Il 27 dicembre assistette direttamente alla crisi di Sunny, che descrisse alla corte col suo inglese dal forte accento: Entrai anella stanza, volevo visitarla rapidamente, auscultarne i polmoni ma non appena ebbi preso il mio stetoscopio dalla borsa, vomitò e smise di respirare.

Famiglietti, il procuratore, proseguì l'interrogatorio: D. Quando si rese conto che aveva smesso di respirare e aveva avuto un arresto cardiaco cosa fece? R. Le misi un dito in bocca, fino in gola, cercando di rimuovere il vomito il più possibile, le tirai fuori la lingua, le chiusi il naso e tentai una respirazione bocca a bocca, sempre tenendole chiuso il naso. D. E cosa accadde in seguito? R. Dopo questi due tentativi, le diedi il pugno pericardiaco, secondo la prassi, dandole un colpo sul petto. Poi comincia il massaggio per riattivare il cuore.

Il dottor Gailitis visitò Sunny anche dopo il secondo coma. Si trovò quindi a essere l'unico a poterne paragonare i sintomi per dare un giudizio sulle - o sulla - loro cause. ma non espresse un giudizio definitivo, se non che una combinazione di barbiturici, ipoglicemia, alcool e basa temperatura corporea difficilmente avrebbero potuto provocare "un coma irreversibile". Il dottor Gailitis riconobbe subito di no essere uno specialista di glicemia, endocrinologia e tossicologia; rifiutò quindi di esprimere un parere personale o di fare ipotesi se non in risposta a domande precise degli avvocati. Alla fine della vicenda, avrebbe raccontato una storia molto diversa che avrebbe fatto rumore sulla stampa. Ma la primo processo il dottor Gailitis si rivelò solo un cauto anche se utile teste a favore dell'accusa, malgrado la sua mancanza di competenza specifica sugli aspetti specialistici, essenziali nel caso von Bulow. L'accusa non mancava però certo di perizie a carico. Come testimone principale chiamò il dottor George Cahill, docente di medicina all'Harvard Medical School - "un esperto tra gli esperti", come venne definito -, "quello al quale si rivolgono gli endocrinologi quando si imbattono in un caso particolarmente enigmatico". Considerato universalmente come il più grande esperto mondiale in fatto di diabete e affini, dal 1962 al 1978 era stato direttore di Joslin Research Laboratories, un istituto di fama mondiale specializzato appunto nella ricerca sulle disfunzioni della regolazione degli zuccheri nel sangue . quando era ancora un giovane medico aveva contribuito alla messa a punto del testo per determinare la presenza di insulina nell'organismo. Il compito del dottor Cahill fu di cercare di spiegare alla giuria, in termini che potessero essere compresi anche dall'uomo della strada, perché vi era 'assoluta certezza medica che la sola causa di entrambi i coma della signora von Bulow era stata un'iniezione di insulina. Gli esami di laboratorio mostrarono, secondo l'accusa, che quando Sunny venne ricoverata peri l suo primo coma il livello di zuccheri era di 41 milligrammi. anche dopo aver ricevuto delle dosi di glucosio direttamente per via endovenosa, il suo livello di zuccheri continuò a calare. Tre ore e quarantacinque minuti dopo il suo ricovero, era sceso da 41 a 20 milligrammi. Al dottor Cahill vene poi chiesto, in via ipotetica e basandosi sulle circostanze delle crisi della signora von Bulow, "se aveva una opinione ragionevolmente sicura da un punto di vista medico sulle cause del coma della donna". Rispose affermativamente: secondo la sua opinione, il primo coma era stato indotto "da insulina esogena", cioè di provenienza esterna al corpo. Un'iniezione di insulina, dunque! Il dottor Cahill spiegò che il continuo abbassamento del tenore degli zuccheri anche dopo la somministrazione di massicce dosi di glucosio "poteva essere dovuto solo all'insulina o a un elemento simile all'insulina che provocasse un consumo molto rapido degli zuccheri da parte dell'organismo". Cahill escluse tutte le "altre nove possibili cause". La stessa certezza anche per il secondo coma di Sunny. I risultati di laboratorio riguardo al secondo episodio erano ancora più convincenti di quelli relativi al primo. Anche in questa occasione il tasso di zuccheri della signora von Bulow risultò estremamente basso: 29 milligrammi,. Ma inoltre vi era un risultato sul livello di insulina che, secondo l'accusa, proveniva dallo stesso campione di sangue. Un livello molto alto, 216 milligrammi, mentre la norma è sotto i 15. Secondo l'accusa la compresenza di un basso livello di zuccheri e di un alto livello di insulinaerano correlati; l'eccessiva quantità di insulina - una quantità molto più alta di quella che l'organismo poteva naturalmente produrre - aveva provocato l'abbassamento degli zuccheri. Il dottor Cahill confermò la tesi dell'accusa, concludendo che solo l'insulina esogena avrebbe potuto spiegare la concomitanza di questi dati. La difesa tentò di smontare la ricostruzione dell'accusa mettendo in dubbio alcuni dei risultati di laboratorio, controinterrogando gli esperti dell'accusa e chiamando un proprio perito. Ma non riuscì a eliminare l'impressione che aveva sortito l'elegante e semplice deposizione del dottor Cahill. Tutto ciò che la difesa riuscì a ottenere dal proprio esperto, il dottor Milton Hamolsky della Brown Medical School, fu il suo giudizio secondo il quale, anche se credeva che altri elementi avessero probabilmente provocato il coma, non poteva "escludere con ragionevole certezza medica" l'insulina come causa di entrambi gli episodi. Quando l'esperto dell'accusa - tanto più se si tratta di "esperto degli esperti" - è praticamente certo delle cause e quello della difesa non è in grado di escludere questa causa, non c'è da stupirsi se la giuria presta fede al primo. Questo soprattutto se, come avvenne nel caso von Bulow, il teste dell'accusa era qualcosa più di un testimone su un punto importante ed era inoltre sostenuto da parecchi altri esperti e medici curanti e aveva dalla sua i risultati degli esami di laboratori. Era ovvio che, alla fine della discussione sugli aspetti medici del caso, la giuria avrebbe concluso che Sunny von Bulow fosse entrata in coma a causa di iniezione di insulina. Ma questa lasciava ancora aperto l'interrogativo fondamentale - una domanda alla quale non spettava agli esperti scientifici rispondere - : chi aveva iniettato a Sunny dell'insulina? Lei stesa o suo marito? Per trovare una risposta a questa domanda occorreva scandagliare le anime e i cuori degli unici due possibili responsabili piuttosto che affidarsi a provette e analisi. L'attenzione di spostò quindi sul movente, questa strana cosa che esiste in ciascuno di noi ma che pochi traducono in azioni. 4. IL RACCONTO DEL BANCHIERE E DELL'AMANTE: AVIDITÀ, AMORE E LUSSURIA L'accusa ama ripetere alle giurie che l'imputato è certamente colpevole se aveva "un movente, i mezzi e l'occasione" per commettere il crimine. La famiglia e l'accusa erano sicuri di avere provato che Claus aveva avuto i mezzi: l'insulina trovata nel corpo di Sunny e iniettata da Claus utilizzando l'ago su cui erano state rilevate tracce della sostanza e ritrovato nella borsa nera. Sull'occasione vi era qualche incertezza, dato che prima che Sunny avesse cominciato a sentirsi debole la famiglia aveva trascorso insieme diverse ore senza che Claus avesse avuto l'opportunità di trovarsi da solo con la moglie. Ma speravano di poter convincere la corte che egli avesse avuto la possibilità di far scivolare qualcosa nel suo bicchiere o nella zuppa di pollo e quindi iniettarle qualcosa quando si era addormentata. Ma avevano ancora bisogno di un movente. Per individuare un movente di carattere finanziario, l'accusa si rivolse a Morris Gurley, che aveva consigliato Sunny nelle sue decisioni finanziarie e nelle sue disposizioni testamentarie. Un movente sentimentale fu invece trovato nella persona di Alexandra Isles, piacente attrice di commedie televisive, che era stata per lungo tempo l'amante di Claus. Il racconto del banchiere fu breve, ma convincente. Gurley affermò che dopo essersi laureato alla Harvard Law School era entrato alla Chemical Bank a New York dove era giunto a essere vicepresidente incaricato della gestione di patrimoni privati. In questo ruolo aveva amministrato circa un centinaio "di patrimoni molto rilevanti", inclusi quello di Sunny von Bulow e di sua madre. Per Sunny era, sotto l'aspetto finanziario, quello che Maria era sotto quello personale: pagava il personale della casa e gli altri conti, raccoglieva le entrate, faceva donazioni in beneficenza, si prendeva cura delle varie case e delle proprietà. Gurley conosceva la situazione patrimoniale di Sunny come Maria conosceva la sua vita privata. Era la persona più indicata per far conoscere alla giuria cosa Claus von Bulow potesse aspettarsi in ciascuna delle possibili eventualità, dal divorzio al coma e alla morte. Ciò che riferì non lasciò dubbi sul fatto che Claus von Bulow avesse ottimi motivi per attentare alla vita di sua moglie. Secondo il testamento, Claus avrebbe avuto circa 14 milioni di dollari, comprese Clarendon Court e la residenza di New York con il loro fastoso arredamento. Vi erano anche benefici minori, come il controllo di vaste attività di beneficenza e altre rendite. Tutto sommato, da vedovo Claus von Bulow avrebbe potuto permettersi uno stile di vita sontuoso e la gestione di un patrimonio enorme. Gurley affermò anche che Claus von Bulow sapeva perfettamente cosa doveva aspettarsi dalla morte della moglie. Mentre Sunny era piuttosto negligente riguardo alle questioni finanziarie, Claus, soprattutto negli ultimi anni aveva mostrato uno spiccato interesse per il testamento e per le proprietà di Sunny. Gurley disse con col matrimonio Claus aveva portato molto poco di suo e non aveva certo guadagnato molto in quegli anni trascorsi con Sunny. Aveva persino detto ad Alex di sentirsi talvolta come un mantenuto, un "gigolo", in presenza degli amici di Sunny a Newport. La deposizione di Gurley chiarì anche che Claus non se la sarebbe passata così bene se avesse divorziato da Sunny. In questo caso avrebbe ricevuto solo le entrate di un legato che Sunny aveva stabilito per lui, circa 120.000 dollari l'anno. Forse avrebbe potuto ottenere anche una "liquidazione", come aveva fatto il principe Alfie, m avrebbe dovuto rinunciare a Clarendon Court, all'appartamento di New York e alle somme praticamente illimitate che gli sarebbero spettate alla morte di Sunny. Una somma superiore ai 100.000 dollari all'anno può sembrare un'enormità a molti di noi - e certamente sembrò tale ai giurati - , ma non era neanche lontanamente sufficiente a permettere a Claus di mantenere il lussuoso tenore di vita a cui si era ormai abituato dopo il matrimonio con Sunny. Certamente non avrebbe soddisfatto i suoi gusti costosi e quelli della donna che intendeva sposare. L'altra donna della vita di Claus von Bulow fece un'entrata in scena spettacolare. Nella sua vita professionale aveva avuto la parte della bella Victoria Winters nel serial televisivo Dark Shadows. Ma Alexandra Isles era qualcosa di più di una semplice attricetta. Proveniva da una buona famiglia e aveva classe, proprio il tipo di donna che poteva affascinare Claus von Bulow. La relazione tra Claus e Alexandra aveva origini familiari. Alexandra era svedese per nascita, ma suo padre era un conte danese che aveva conosciuto i genitori di claus. I nonni di Claus e Alexandra erano stati entrambi ministri del governo danese, quello di Claus ministro della Giustizia, quello di Alexandra degli Esteri. Quando i nazisti invasero la Danimarca, il padre di Alexandra, il conte Moltke, fu tra coloro che aiutarono il giovane Claus a fuggire dal paese nascosto nella stiva di un bombardiere Mosquito. Claus mantenne legami di amicizia con Moltke durante gli anni trascorsi in Inghilterra e negli Stati Uniti. Alexandra lasciò la Svezia da bambina e crebbe a New York. La Sua giovinezza non fu molto diversa da quella di Sunny: La Chapin School - che Sunny frequentò anni prima -, il debutto nella season del 1964-65, l'appartenenza al Colony Club, un matrimonio, un figlio e poi il divorzio. Ma le due donne di Claus erano tra loro tanto diverse quanto possono esserlo anche due persone che provengono da un ambiente familiare simile. La passività di Sunny era l'opposto dell'attivismo di Alexandra; il suo atteggiamento matronale era in netto contrasto con l'ardente sensualità di Alexandra, così come la sua ingenuità contrastava con la spregiudicatezza della rivale. Era inevitabile che alexandra e Claus si incontrassero. Quello che è sorprendente è che non si fossero conosciuti prima di un casuale incontro, nell'aprile 1978, all'esclusivo Knickerbocker Club di New York, che certamente è quanto più lontano da un club di tifosi di baseball possa esserci. Parlarono delle loro comini origini danesi e così Claus venne a sapere che il padre di Alexandra era il conte Moltke. L'amicizia fu immediata, subito seguita da un'appassionata storia d'amore. Già nel marzo 1979 si cominciò a parlare di matrimonio e quindi, inevitabilmente, di divorzio. Claus pensava che "per salvare le apparenze" avrebbe dovuto essere Sunny ad avviare le pratiche. Ogni volta che si incontravano, la questione del divorzio si ripresentava. Alla fine, ad aprile, Alexandra presentò un ultimatum: "sarebbero bastati sei mesi?". Lei da parte sua pensava "a ottobre". Nell'estate del 1979, Alexandra si recò in Irlanda a trovare sua madre. Quando tornò, raccontò "c'era tensione fra noi due... pensai che forse non aveva ancora annunciato che voleva sposarmi... cominciai a dubitare della sua capacita di dire le cose chiaramente e di ottenere il divorzio". Per Natale, Alexandra tornò in Irlanda. Il 27 dicembre a casa di sua madre squillò il telefono. Era Claus . sua mogie era in coma. Quando Alexandra tornò a New York, Claus le raccontò tutti i dettagli del coma della moglie, coma del quale si era però perfettamente ripresa. Alexandra si convinse che potesse essere un tentativo di suicidio inscenato dalla moglie alla notizia a che suo marito aveva un'amante. "Pensai che non si fosse trattato proprio di un suicidio attivo... orse una forma di suicidio passo." Impaurita, Alexandra si tenne alla larga da claus per i seguenti sei mesi. Si sentì sollevata quando venne a sapere, in maggio, che gli esami clinici aveva stabilito che il coma di Sunny "aveva origini naturali... proveniva da disturbi fisici e quindi non si doveva pensare al suicidio". La love story proseguì quindi durante l'estate del 1980, anche se Alexandra era sempre in attesa di una prova che il suo status sarebbe passato da quello di amante a moglie ufficiale. Nella tarda estate, Claus le comunicò che si era procurato un appartamento. alexandra ne fu elettrizzata, ma quando chiese "come l'aveva presa sua moglie", il silenzio di Claus le fece capire che stava ancora cercando di barcamenarsi. Certo, aveva un appartamento per conto suo, ma continuava a vivere con la moglie. Alexandra commentò più tardi che l'unico arredo dell'appartamento di claus consisteva "in un rotolo di carta igienica". Alexandra era furiosa. Andò a Washington per impegni di lavoro facendo in modo "che fosse impossibile raggiungerla". Ma Claus ci riuscì e si incontrarono per un caffè al Watergate Hotel. Durante questo "incontro al Watergate" - come venne detto al processo -, Claus le propose nuovamente di sposarle, ma Alexandra era ancora furibonda e rifiutò. Claus tornò quindi a New York. All'inizio di dicembre chiamò per informarla del malore della moglie e dell'overdose di aspirina. A questo punto la loro relazione aveva cessato di essere intima, ma Alexandra si sentiva ancora legata a claus e lo invitò al saggio di Natale del figlio. Il 19 dicembre 1980, il giorno in cui claus e Sunny partirono per il loro ultimo viaggio a Newport, Alexandra lasciò alcuni regali di Natale nella casa dei von Bulow nella Fifth Avenue. Uno dei doni di Alexandra per claus era avvolto in un foglio di carta con disegnato un cuore infranto con un cerotto. La giuria non venne mai a conoscenza di cosa contenessero i pacchi che, apparentemente, vennero consegnati dopo che Claus e Sunny erano partiti per Newport. Quando Claus parlò ancora con Alexandra fu per avvertirla che sua moglie era in coma irreversibile. Nel gennaio del 1981 la coppia si vide più spesso e in febbraio andarono insieme a Nassa con il figlio undicenne di lei, Ada. (Era previsto che venisse anche Cosima, ma prese la varicella.) Lo scopo del viaggio era un periodo di prova di vita in comune, "come una famiglia", un tentativo "di stabilire un legame". Due mesi più tardi fecero un altro viaggio, questa colta con Cosima, in Florida. I progressi della storia d'amore andavano di pari passo con quelli delle indagini sulle cause dei coma di Sunny. Alexandra sapeva che Claus era sospettato di aver tentato di uccidere sua moglie, "ma pensavo che si trattasse di un mucchio di sciocchezze". Dopo che Claus venne ufficialmente accusato nel luglio 1981, l'avvocato di Alexandra le consigliò di stargli alla larga. Salvo per una visita alla vigilia di Natale del 1981, alexandra seguì il suo consiglio. Durante l'interrogatorio da parte di Famiglietti venne chiesto ad Alexandra come reagisse al fatto "che la gente la considerava la sua amante". "Non mi faceva certo piacere" riconobbe Alexandra. "Ama ancora l'accusato?" le venne chiesto. Dopo una pausa rispose tristemente: "Non lo so". Il procuratore le chiese anche se pensasse ancora che le accuse di tentato omicidio fossero "un mucchio di sciocchezze". Tutto il pubblico si volse allora in direzione dell'avvocato difensore, aspettando un'obiezione. Ma non ne venne sollevata alcuna. Alexandra rispose ancora: "Non lo so". Certamente il fatto che, l'amante dell'accusato, una donna che doveva nutrire ancora forti sentimenti per l'uomo che aveva sperato di sposare, nutrisse dubbi sulla sua innocenza deve aver prodotto un forte impatto sulla giuria e un effetto disastroso per la difesa. Quando l'interrogatorio di alexandra fu terminato, venne il momento del controinterrogatorio della difesa. Ma il principale avvocato difensore, Herald Price Fahringer, fece un drammatico annuncio: Vostro onore, dopo averne discusso l'altra sera col signor von Bulow, egli ha espresso la volontà di non sottoporre la signora Isles a un ulteriore interrogatorio pubblico. Quindi, vostro onore, rinunciamo al controinterrogatorio.

Fu riferito che Claus von Bulow disse che "un gentiluomo non può permettere che la sua amante venga controinterrogata". Alcuni osservatori sospettarono però che dietro questa cavalleresca facciata si nascondessero motivi più sinistri. In un'intervista rilasciato dopo il processo, alexandra Isles disse a un giornalista che la "storia cavalleresca" di Claus era lontana dalla verità. "E'chiaro perché non mi hanno controinterrogato", continuò, "avrei potuto dire cose esplosive." Uno dei suoi amici si spinse più lontano: "Avrebbe potuto dire molto di più di quello che ha effettivamente detto. Se avesse rivelato queste cose, le conseguenze per Claus avrebbero potuto essere molto negative. Non ha mentito, ma ha omesso di dire parecchie cose. Anche se lui l'ha tratta in modo disgustoso, non ha voluto essere lei a rovinarlo". Né la giuria né il pubblico vennero mai a sapere in cosa consistettero queste "cose esplosive", almeno non durante il primo processo. Anche se non fu la deposizione di Alexandra a determinare la rovina di Claus al primo processo - questo merito spetta alla governante -, certamente contribuì ai suoi problemi. La giuria aveva visto e sentito una bella donna che aveva messo Claus di fronte alla scelta: lascia Sunny o rinuncia a me! Non era abbastanza per spingere un uomo a uccidere, soprattutto se uccidendo poteva guadagnarci 14 milioni di dollari? Questa era la domanda alla quale la giuria doveva rispondere, una giuri composta da uomini e donne per i quali il lusso e lo sfarzo che apparivano di fronte a loro avevano qualcosa di fantastico. Questa, in sostanza, la ricostruzione dell'accusa. Una governante sospettosa testimone oculare del comportamento poco sollecito di Claus e della borsa nera. Un figlio ostile alla ricerca della borsa e che vi trova un ago sporco di insulina. Gli esperti che affermano che i coma di Sunny sono dovuti proprio a insulina esogena, vale a dire iniettata da qualcuno. Un banchiere che spiega quello che Claus aveva da guadagnare alla morte della moglie. Un'amante splendida che rendeva plausibile che un uomo potesse uccidere pur di non rinunciare a lei. Ottimi ingredienti per un romanzo di Agatha Cristie. Forse un po'troppo scontati e prevedibili, ma i conti tornavano, a meno che la difesa non fosse riuscita a smantellare questa ricostruzione. Ma la difesa, durante il primo processo, non riuscì a proporre un'alternativa. 5. IL RACCONTO DI JOY O'NEILL: LA PAROLA ALLA DIFESA In una causa penale, la difesa non è obbligata a chiamare testimoni o a esibire prove. Può limitarsi a controinterrogare i testimoni dell'accusa per smantellare le sue conclusioni o ad affidarsi alla presunzione di innocenza dell'imputato. Molti, forse la maggioranza dei difensori, non tentano neppure una ricostruzione alternativa. Per una ragione molto semplice: non ne hanno nessuna. L'imputato è colpevole come il peccato, frase del resto insulsa perché molti crimini sono ben peggiori di molti peccati. Le uniche ricostruzioni che la maggior parte dei difensori può tentare si basano sullo spergiuro. E gli avvocati non amano chiamare a testimoniare bugiardi che giurano che l'imputato era con loro in chiesa mentre la banca veniva svaligiata. La maggior parte dei difensori evita anche che i loro clienti colpevoli depongano sul proprio comportamento. I mentitori, in genere, sono pessimi testimoni e crollano nei controinterrogatori. E'molto più ricordare i dettagli di una verità che "ricordare" quelli di una menzogna. Inoltre la maggior parte degli accusati ha qualche cosa da nascondere alla giuria. Gli imputati colpevoli vogliono naturalmente nascondere il loro coinvolgimento nel crimine, ma anche quelli innocenti preferiscono che non si parli dei loro precedenti penali, dei loro affari, delle loro perversioni e della loro disonestà. In breve, quasi sempre la strada migliore per il difensore - e non è una strada facile - è quella di evidenziare le debolezze della versione dell'accusa. Queste debolezze possono talvolta significare che l'imputato è innocente , più di frequente significano semplicemente che l'accusa non è stata in grado di raccogliere le prove necessarie, anche se l'imputato è colpevole. Nel casi di Claus von Bulow, non vi erano precedenti e la vicenda era gli inizi. Ma vi erano altre ragioni per non chiamarlo a testimoniare. Forse i suoi avvocati hanno ritenuto che non avrebbe fatto una buona impressione per via della sua personalità altera e spocchiosa. (Claus era solito scusare questa sua caratteristica affermando che non era colpa sua se era un danese malinconico che aveva ricevuto un'educazione austera e aveva un'espressione severa.) C'erano però altri elementi che essi avrebbero voluto evitare che venissero a galla in una sua eventuale deposizione. Ad esempio, si era detto che mentre era ancora un giovane avvocato inglese nella corte di Lord Hailsham, un altro giudice della stessa corte presiedette un procedimento per omicidio contro Kenneth Barlow. Il caso riguardava uno sventurato infermiere che pensava di aver escogitato il delitto perfetto. Aveva iniettato dell'insulina alla moglie, e a quell'epoca la sostanza era considerata non rintracciabile nel corpo umano. Ma Barlow non era al corrente degli ultimi progressi della scienza medica. L'insulina venne scoperta e Barlow condannato. Il giudice del caso von Bulow aveva impedito all'accusa di rendere noto alla giuria il fatto che claus von Bulow poteva essere a conoscenza della vicenda dell'omicidio per insulina. Ma se Claus avesse testimoniato, il giudice forse non avrebbe impedito all'accusa di chiedere a claus se ne era a conoscenza. Naturalmente essere a conoscenza del caso significava anche essere consapevoli del fatto che l'insulina era individuabile e che il colpevole era stato condannato in un processo che aveva fatto molto rumore, ma evidentemente la difesa ritenne che il fatto che la giuria venisse a sapere delle conoscenze di Claus circa la possibilità di commettere un omicidio mediante insulina superasse i vantaggi possibili. Circolavano anche altre dicerie infondate sul periodo in cui von Bulow era stato un giovane scapolo inglese. Gli vennero attribuite tendenze necrofile, omosessuali, incestuose e praticamente ogni vizio umano immaginabile, e certi anche inimmaginabili. Alcune di queste voci erano divenute così insistenti che Richard Kuh, l'avvocato della famiglia on Auersperg, si era rivolto a un'agenzia investigativa inglese per scandagliare il passato di giovane avvocato scapolo di von Bulow. La difesa seppe che l'agenzia aveva presentato un rapporto dettagliato, ma non le fu concesso di accedere al suo contenuto. Gli avvocati difensori temettero quindi chele informazioni del rapporto e altre che Kuh si era rifiutato di rivelare potessero dare origine a domande insidiose se von Bulow fosse stato controinterrogato. Pareva che Kuh si fosse appostato, in attesa, per impallinare von Bulow non appena questi si fosse seduto sul banco dei testimoni. Fahringer affermò più tardi che "Claus von Bulow non aveva deposto perché riteneva che la ricostruzione dell'accusa fosse fragile, ma non è un segreto per nessuno che la sua personalità costituiva un problema". Quale che ne sia stata la ragione, la difesa decise di non far deporre Claus von Bulow. Era comunque sempre possibile mettere in piedi una versione solida anche senza ricorre all'imputato. Alcuni avvocati ritengono che non sia opportuno che, se l'imputato stesso non depone, altri lo facciano per la difesa. Questo perché una ricostruzione della difesa senza l'intervento dell'imputato è come un Amleto senza il principe e può dare alla giuria l'impressione che l'imputato abbia qualcosa da nascondere. Altri avvocati difensori sono però riusciti a mettere insieme una valida strategia difensiva anche senza la deposizione dell'imputato, come il caso di John DeLorean sta a dimostrare. L'équipe di difensori di von Bulow scelse questa strada, ma con effetti controproducenti. La loro testimone principale fu una donna di nome Joy O'Neill, istruttrice di ginnastica che aveva diretto il programma di esercizi per Sunny all'esclusivo Manya Kahn Studio. Non era stata chiamata da nessuna delle due parti, ma a metà del procedimento aveva di sua iniziativa chiamato lo studio dell'accusa e rivelato ciò che sapeva. L'accusa aveva comunicato alla difesa l'esistenza di queste informazioni e la difesa l'aveva chiamato a deporre. Joy O'Neill disse di aver dato lezioni private a Sunny per quattro anni "in media cinque giorni alla settimana". Durante queste lezioni le due donne erano diventate molto amiche e discutevano di questione familiari, di religione, della vita e della morte. Avevano anche parlato della "situazione coniugale" di Sunny. Da amiche divennero "quasi sorelle". Nel 1978, durante una lezione, Joy si lamentò con Sunny di stare ingrassando perché beveva vino. "Ciò che ti ci vuole è un'iniezione di insulina o di vitamina B." Iniettandosi insulina, spiegò Sunny, "puoi mangiare tutto quello che vuoi, dolci e qualsiasi altra cosa". L'insulina "mangiava lo zucchero" e lo metabolizzava. Suggerì anche iniezioni di Valium come calmante. La deposizione era proprio quello di cui la difesa aveva bisogno. Se erano vere, queste rivelazioni fornivano una risposta esauriente alle prove esibite dall'accusa. Certo, era stato riscontrato un tasso elevato di insulina nel sangue di Sunny. Certo, i coma erano stati causati da insulina. Certo, vi erano tracce di insulina nell'ago contenuto nella borsa nera. Tutto vero; salvo che era stata Sunny e non claus a praticare le iniezioni. Era una risposta esauriente a tutte le prove dell'accusa e lasciava un margine di dubbio sulla colpevolezza dell'accusato. Rimaneva il movente di Claus, ma molti uomini avrebbero qualcosa da guadagnare a uccidere la propria moglie eppure non lo fanno. Forse lo pensano, forse si augurano un suicidio, ma questo non basta a fare di loro degli assassini. Inoltre, gli stessi moventi che potrebbero indurre un uomo a uccidere la moglie - disinnamoramento, infedeltà - possono spingere questa a commettere atti autolesionisti. E, in effetti, uno dei periti medici della stessa accusa aveva ventilato l'ipotesi che l'insulina potesse essere stata iniettata da Sunny stessa. La testimonianza di Joy O'Neill era un'ottima carta per la difesa, a patto che non fosse truccata. Nessuno oltre a Joy O'Neill poteva essere certo che queste conversazioni avessero veramente avuto luogo. Ma quello che la giuria venne a sapere in seguito fu un brutto colpo per la difesa. L'accusa fu infatti in grado di dimostrare che, in base ai registri del Manya Kahn Studio, Joy O'Neill non aveva affatto dato lezioni private a Sunny cinque volte alla settimana per quattro anni. Anzi, le aveva dato solo poche lezioni e nessuna nel 1978, l'anno in cui avrebbe avuto luogo la conversazione riguardo l'insulina. La credibilità di Joy venne distrutta agli occhi della giuria. Nessuna giuria avrebbe ora potuto prendere sul serio questa testimonianza su quello che Sunny avrebbe detto a proposito dell'insulina a una sua "amica intima". Il resto della costruzione della difesa non si rivelò controproducente, m non fu neppure di grande aiuto. Una sfilata di personaggi secondari: il fabbro che aveva accompagnato Alex e l'investigatore a Clarendon Court; l'autista di famiglia; il precedente capo di Claus; un mercante d'arte; il dottor Hamolsky, perito medico; un tecnico di laboratorio che aveva sentito Sunny parlare di suicidio; uno psichiatra che aveva ascoltato per una mezz'ora Sunny che gli parlava della sua vita infelice. Tutti costoro rettificarono alcune delle conclusioni dell'accusa e diedero qualche credibilità alla difesa. Ma nessuna di queste testimonianze minacciò seriamente il solido edificio eretto dall'accusa, fondato su schiaccianti prove scientifiche, testimonianze oculari e moventi indiscutibili. 6. LE ARRINGHE DEGLI AVVOCATI: COMBINAZIONI IRRESISTIBILI Le prove erano state presentate ed era ormai temo che gli avvocati raccontassero le loro versioni dei fatti. Secondo l legge, l'accusa e la difesa non dovrebbero dare una loro interpretazione ma limitarsi a richiamare e riassumere ciò che è emerso dalle testimonianze. In pratica, però, agli avvocati è consentito di trarre conclusioni personali dai fatti che sono emersi. Ciò che ne risulta sono delle storie, delle ricostruzioni che possono avere sui giurati un'influenza altrettanto importante della deposizione di qualsiasi testimone. Secondo l'uso del Rhode Island, la parola spetta per primo al difensore. Herald Price Fahringer dovette avere molta fantasia per mettere insieme la sua ricostruzione. Molti osservatori presenti in aula pensarono che, vista la scarsità di elementi concreti, si sarebbe trattato di una sorta di racconto fiabesco. Secondo un vecchio detto, se un avvocato ha dalla sua i fatti, batte sui fatti, se ha dalla sua la legge batte sulla legge, se non ha nessuno dei due, batte i pugni sul tavolo. Ma Fahringer non era tipo da battere i pungi sul tavolo. Era un gentiluomo che parlava a bassa voce, con le tempie brizzolate, dinoccolato: la sua somiglianza con Claus von Bulow era stupefacente. Herald Price Fahringer era proprio l'avvocato per gente ricca. Il suo soprannome era infatti "Hy Price" Fahringer, Fahringer "il costoso". Poteva vantare una lunga serie di difese vittoriose, soprattutto nel campo della pornografia, ma non aveva avuto spesso a che fare con casi simili. Quando Fahringer si alzò per rivolgersi alla giuria, fu quasi, anche se non esattamente, come se Claus stesso si fosse alla fine degnato di raccontare ai giurati la sua storia. Fahringer parlò con calma ed eleganza, ringraziando i giurati per l'attenzione che avevano prestato durante tutto il lungo processo e ammonendoli sulla "tremenda solennità della circostanza". Ricordò loro l'impegno che si erano assunti prima del processo di presumere l'innocenza dell'imputato, se non fosse stato dimostrato il contrario, e di non farsi influenzare dalla sua infedeltà coniugale. "Vi ho creduto quando avete detto che avreste giudicato secondo la legge. Ho fiducia in voi." Quindi cominciò a esaminare le prove. Sorprendentemente cominciò "proprio dall'uomo". "Il signor Bulow vi sembra il tipo d'uomo capace di attentare in due occasioni alla vita della moglie iniettandole dell'insulina?". Fu un esordio curioso, visto che i giurati non sapevano quasi niente di Claus von Bulow, salvo quello che aveva riferito Maria Schrallhammer. E Claus non aveva tentato di controbattere a nessuna delle caratterizzazioni negative che questa aveva dato di lui. Non andando a deporre per ribattere alle disastrose testimonianze che erano state portate contro il suo comportamento insensibile, aveva implicitamente ammesso di non essere il più affettuoso dei mariti, di essere colpevole di un comportamento "indegno di un marito". A dire il vero tra "indegno di un marito" e "omicida" c'è un abisso non facile da colmare. Una giuria, però, non fa sempre uso di una logica matematica per arrivare alle sue conclusioni e iniziare l'arringa difensiva richiamando l'attenzione su due degli aspetti più pericolosi per von Bulow - la deposizione della governante e il suo rifiuto di replicare - fu una scelta tattica discutibile. Fahringer passò poi a discutere il primo coma. Dando per scontato che Sunny aveva bevuto abbastanza eggnog la notte precedente per rimanerne intossicata, egli tentò di spiegare alla giuria perché Claus si era dimostrato riluttante a chiamare un medico. "Era ben noto che lei - Sunny - non voleva che si chiamasse un medico a meno che non fosse veramente necessario. " Ricordò comunque che alla fine Claus aveva chiamato un medico che era arrivato e le aveva salvato la vita. Arrivando al secondo coma, il difensore sottolineò che Sunny aveva mangiato un gelato al caramello e che aveva dovuto essere portata nella sua stanza prima che Claus potesse rimanere solo con lei. concluse richiamando l'attenzione della giuria sui numerosi ragionevoli dubbi che sussistevano nell'accusa avanzata contro il suo cliente: Come si posso spiegare i suoi numerosi altri malori? Come interpretare l'episodio del 1° dicembre, quando fu proprio lui a salvarle la vita, proprio due o tre settimane prima dell'ultima crisi? Penso che tutti questi episodi debbano far sorgere dei ragionevoli dubbi. Penso che, se contate tutti i ragionevoli dubbi di questo caso, potreste trovarne una dozzina o più, ciascuno dei quali basterebbe a giustificare un verdetto di noncolpevolezza. L'insistenza di Fahringer sulla "dozzina o più di ragionevoli dubbi" fornì l'esordio al procuratore Famiglietti che oppose alla difesa basata sulla molteplicità delle ipotesi un'accusa fondata sul dilemma "vero o falso": E'stata per me un'esperienza interessante trovarmi qui seduto e assistere alla sviluppo delle tesi della difesa... Dal momento che i testimoni dell'accusa hanno provato al di là di ogni ragionevole dubbio che non è stato l'eggnog a provocare il coma del 1979 e che l'Amobarbital non era responsabile di quello del 1980, allora la difesa ha dovuto cambiare tesi.. adottando quella che chiamerò della scelta multipla. cosa significa? A. La causa del come è stata l'ipoglicemia reattiva provocata da 1.eggnog; 2.Amobarbital; 3.aspirina; 4.bassa temperatura corporea; 5.un gelato con caramello; 6.un gelato con zucchero filato alla malva; 7.un misterioso, improvviso ,malore spontaneo che nessuno è ancora riuscito a scoprire. Scelta multipla B. Se pensate che la causa sia stata l'insulina, allora la colpa è di Martha von Bulow stessa. Questa è la soluzione Joy O'Neill. Martha von Bulow si è uccisa involontariamente cercando di dimagrire. Scelta C. Se non credete che Martha von Bulow sia rimasta uccisa dal suo tentativo di dimagrire, allora deve essersi trattato di un deliberato tentativo di suicidio. Non è chiaro se questo tentativo di suicidio sia stato portato a termine tramite insulina o eggnog o gelato. Questo la difesa non ce lo ha detto. Scelta C... tutto ciò che precede.

A questo punto Famiglietti si concesse una battuta: Scelta E. Nessuna delle ipotesi precedenti. Martha von Bulow è stata colpita al capo da un invisibile meteorite proveniente dallo spazio. Ecco cos'è, signori, una difesa ad alternative multiple. L'unica cosa che la difesa non ci ha detto, è che i due coma possono essere messi in rapporto col lifting che aveva fatto nel 1978.

Ma Famiglietti abbandonò presto meteoriti e lifting per tornare sulla terra: La posizione della pubblica accusa è invece più semplice e diretta. Vero o falso. Claus von Bulow ha somministrato a sua moglie dell'insulina esogena nel tentativo di ucciderla in due diverse occasioni; questo è il punto, vero o falso?

Nel tentativo di convincere la giuri a barrare la casella "vero", Famiglietti riprese la vicenda dall'inizio: Chi ha dato il via alle indagini?... Il signor von Auersperg? Mr Kuh? No, signore e signori, è stata Maria Schrallhammer. Proseguì cercando quindi di dimostrare la credibilità della testimonianza dell'affettuosa e premurosa governante a proposito della condotta riprovevole del marito in occasione del primo coma, della scoperta della borsa nera e della decisione di Claus di lasciare Maria a New York poco prima che verificasse il secondo coma. Passando poi ai moventi, Famiglietti portò all'attenzione della giuria "l'irresistibile combinazione" costituita dalla bellezza di Alexandra Isles e dalla ricchezza di Sunny von Bulow. Claus voleva entrambe le cose, e l'unica maniera di ottenerle era la morte di Sunny, che lo avrebbe lasciato in possesso di buona parte delle sue ricchezze e libero di sposare Alexandra. Un'altra irresistibile combinazione arricchì l'argomentazione dell'accusa; il fatto che dell'insulina fosse stata trovata nel sangue di Sunny, dell'insulina fosse stata vista da Maria nella borsa e tracce di insulina fossero state trovate sull'ago. "Non trovate che sia una delle più straordinarie coincidenze della storia umana?" chiese retoricamente Famiglietti ai giurati. L'accusa ricordò anche che "la difesa aveva concordato sul fatto che nell'ago ci fosse insulina". Perché la difesa l'avesse fatto, rendendo così superfluo all'accusa il dimostarlo, è cosa che non è mai stata spiegata. L'importanza di questa concessione da parte della difesa è stata enorme, dato che l'accusa stessa definì l'ago "l'arma del delitto". Se l'ago era l'arma, il riconoscimento che era incrostato d'insulina lo trasformava in "una pistola ancora fumante". E l'alto livello di insulina nel sangue di Sunny equivaleva all'aver trovato nel suo corpo un proiettile le cui caratteristiche balistiche erano compatibili con quelle della "pistola fumante". Non c'erano poi dubbi sul proprietario della borsa nera contenente l'insulina. Famiglietti sottolineò il fatto che una boccetta di Dalmane trovata nella stesa borsa e nello stesso momento recava una prescrizione a nome di Claus von Bulow. Ed ecco anche le impronte digitali. Famiglietti insistette anche sul fatto che Claus era l'unica persona in casa che sapesse fare iniezioni o che avesse mai avuto a che fare con aghi e siringhe: "Qual'è l'unica circostanza emersa nella quale risulta che una delle due persone aveva familiarità con aghi e siringhe...? " chiese , ricordando ai giurati che claus era stato visto con siringhe a Majorca e nessuno aveva invece mai visto la signora von Bulow maneggiare simili cose. E non era neppure vero che Sunny avesse problemi di alcool o di droga. Al contrario, il riferimento di claus ai medici riguardo ai problemi di alcool di sua moglie venne presentato da Famiglietti come una prova della sua colpevolezza. La stringente argomentazione dell'accusa pareva lasciare poco spazio alla giuria per i ragionevoli dubbi. La ricostruzione dell'accusa appariva inattaccabile. Una sentenza di assoluzione avrebbe significato non prestar fede a numerosi testimoni e rifiutare molte prove indipendenti. Anche se non ci si fosse lasciati convincere dalla testimonianza di Maria - la più diretta testimonianza oculare -, la giuria doveva tener conto del parere dei medici; e anche se il parere dei medici fosse stato messo in dubbio, vi erano sempre le analisi di laboratorio che provavano che l'insulina era stata trovata sia sull'arma del delitto" sia nell'organismo di Sunny. E se ancora tutto questo non fosse stato sufficiente, vi era "l'irresistibile combinazione" dei moventi : l'avidità e la lussuria. Alla luce di tute queste schiaccianti prove a favore della tesi della colpevolezza di Claus, per molti la sola sorpresa fu il tempo che impiegò la giuria per mettere il verdetto. In parte la ragione risiedeva nella lunghezza del processo stesso, il più lungo della storia del Rhode Island: nove settimane. E anche la lunghezza delle deliberazioni sorpassò ogni record del Rhode Island: Ci vollero sei giorni perché i giurati decidessero se Claus von Bulow avesse o no ucciso la moglie. Poco prima di emettere il verdetto , i giurati chiesero che venisse loro riletta la testimonianza di Maria relativa la comportamento di Claus durante il primo coma. Poco dopo aver riascoltato questo agghiacciante racconto, la giuria informò il giudice di essere giunta a una decisione. Claus von Bulow era colpevole di entrambe le accuse. I mormorii e le espressioni di stupore tra alcuni degli osservatori furono forse il riflesso di una simpatia per Claus von Bulow, fosse il risultato della convinzione razionale della sua innocenza. Un giornalista che aveva seguito il processo disse che all'inizio "i colleghi più esperti prevedevano che von Bulow sarebbe stato assolto". Ma man mano che il processo andava avanti, "l'opinione dei più informati cominciò a orientarsi contro di lui". Alla fine, "quasi tutti coloro che avevano seguito le sedute del processo si erano convinti che fosse colpevole". Un giornalista di una rete televisiva mi disse perfino che anche uno degli avvocati di Claus von Bulow aveva ammesso che tutti gli elementi indicavano la colpevolezza del suo cliente. John Sheehan, un avvocato del Rhode Island che assistette Fahringer nella difesa, ammise pubblicamente che "le loro prove contro di noi erano schiaccianti". E Fahringer , dopo aver osservato che "ci hanno completamente travolti coi loro esperti", notò che "in un caso come quello di Claus von Bulow è impossibile trovare al mondo dodici giurati che possano simpatizzare con lui". Claus von Bulow accolse il verdetto col suo consueto atteggiamento stoico, interrotto solo da una smorfia che venne trasmessa in tutto il paese dai telegiornali della sera. La sentenza venne registrata il 7 maggio 1982. Von Bulow aveva davanti a sé la prospettiva di quarant'anni di prigione: Per il cinquantaseienne danese, qualsiasi condanna significativa era in pratica una condanna a vita. La rivista "New York" diffuse la notizia che il raket aveva fatto sapere che la protezione nelle dure prigioni del Rhode Island sarebbe costata a von Bulow 1000 dollari alla settimana. Si disse che von Bulow avrebbe tentato di espatriare o di uccidersi pur di evitare di trascorrere in prigione il resto della sua vita. L'ultima questione aperta era se sarebbe stata concessa a von Bulow la libertà dietro cauzione - o se invece avrebbe dovuto cominciare a scontare la condanna - mentre si discuteva del suo ricorso. Con questo problema sarebbe cominciata, tempestosamente, la mia parte in questa vicenda. PARTE II TRA I DUE PROCESSI: UN'OCCHIATA DA VICINO 7. IL RHODE ISLAND SHUFFLE Se, in sostanza, il primo processo u la storia della governante, il resoconto delle vicende occorse nel periodo tra i due processi è la mia storia, ovvero la storia di come venni coinvolto nel caso; di come misi insieme un nuovo team il cui obiettivo era di ribaltare il giudizio dell'opinione pubblica, ottenere un rovesciamento del verdetto, elaborare la strategia e trovare gli elementi per un nuovo processo; e di come riuscimmo a raggiungere questi risultati. Il periodo che segue un processo - la fase del ricorso - vede in genere gli avvocati protagonisti. I clienti, una volta conclusosi il processo, non hanno un ruolo rilevante. La faccenda della cauzione fu il primo traguardo che dovetti superare in questo caso, ma anche prima di mettermi a lavorare su questa importante questione, dovetti superare qualche prova. La mia entrata in scena non è stata né piacevole né facile. Dopo la telefonata di Claus del 1° aprile, mi recai da Cambridge, Massachusetts, a New York per parlare con lui. Anche se sono professore a tempo pieno alla Harvard Law School, talvolta mi occupo di ricorsi penali o che riguardano le libertà civili. Prima di assumere l'impegno della sua difesa, insistetti perché Claus leggesse le prime bozze di The Best Defense, un libro che trattava di vari miei casi e che stava per uscire. Il libro descriveva il mio stile giudiziario, fondato sul confronto e conteneva l'affermazione che, a mio parere, la maggior parte degli imputati condannati fosse effettivamente colpevole. Volevo che von Bulow sapesse esattamente a cosa andava incontro affidandomi l'incarico di formulare la sua istanza di ricorso. Le bozze gli vennero inviate per espresso e concordammo un appuntamento. Di Claus von Bulow sapevo molto poco prima del nostro primo incontro, avendo a malapena seguito il processo. Ma, come la maggior parte degli avvocati penalisti, mi era fatto una mia opinione. A una cena di colleghi, il sabato prima che venisse emesso il verdetto, si discusse del dramma che andava in scena a Newport. Azzardai che due cose mi sembravano evidenti: innanzi tutto che von Bulow era colpevole; secondariamente che se la sarebbe cavata. Questa mia seconda conclusione non aveva niente a che vedere con le prove emerse o con l'efficacia della su difesa. Si fondava esclusivamente sulla mia valutazione di quello che gli abitanti di Newport pensavano di von Bulow. La TV aveva mostrato le "Clausettes" che indossavano T-shirt con la scritta "Claus libero" e la gente accalcata in aula per urlare il suo sostegno al celebre imputato. Un cinematografo situato presso il tribunale aveva persino sostituito il titolo del film in programma con lo slogan ripetuto dai sostenitori di von Bulow "Claus libero". Al momento del mio incontro con von Bulow la mia seconda conclusione si era già dimostrata certa, la giuria lo aveva condannato. Ma, per quanto riguardava la prima, continuavo a crederlo probabilmente colpevole. Claus mi chiese di incontrarlo nell'appartamento della Fifth Avenue. Mentre mi avvicinavo all'imponente facciata che dava sul Central Park, pensai alla differenza delle nostre origini. Per i miei genitori, che abitavano a Brooklyn, la Fifth Avenue era un'attrazione turistica, una componente della cultura di New York City che meritava di essere vista e apprezzata, ma che rimaneva remota ed estranea. Anche se ero passato diverse volte davanti alle eleganti case allineate lungo la Fifth Avenue andando o tornando dai musei, non vi ero mai entrato. La ricchezza non mi ha mai impressionato. anzi, sono sempre stato un po'sprezzante, soprattutto nei confronti di coloro che l'avevano raggiunta per eredità o per matrimonio. Quand'ero giovane, non conoscevo nessuno che fosse ricco. I miei vicini di Brooklyn erano operai, bottegai e piccoli artigiani. Pochi professionisti e nessuna ricchezza di lunga durata. Mio padre e un socio gestivano un piccolo negozio sulla Lower East Side di Manhattan che vendeva all'ingrosso durante la settimana e al dettaglio la domenica. Mio padre era fiero di non dipendere da nessuno, anche se magari non guadagnava quanto quelli che lavoravano per altri. Ho frequentato il Brooklyn College, una scuola gratuita che richiedeva che i propri allievi vivessero in famiglia. I miei compagni di classe provenivano da ambienti simili al mio. Il mio primo impatto con i noveaux riches avvenne al campeggio estivo ebraico di Livingston Manor, New York, dove lavorai come assistente. Molti dei partecipanti a pagamento provenivano dall'Upper West Side di Manhattan de dai sobborghi più ricchi della città. Gli assistenti - la maggiore parte provenienti da famiglie povere di Brooklyn - trattavano quei ricchi mocciosi con disprezzo. Noi eravamo atleti miglio, eravamo migliori nella lotta, più svelti di lingua e anche, almeno così pensavamo, più intelligenti. Tutto quello che loro avevano era invece il denaro, e il denaro non è molto utile in un campeggio estivo, dove gli abiti consistevano in scarpe da ginnastica e pantaloncini e dove non vi erano molte occasioni di sfoggiare la propria ricchezza. Al campo potevamo far valere le nostre doti naturali e le astuzie imparate sulla strada, e in questo avevamo u grande vantaggio sui figli dei ricchi della città o dei sobborghi. Il mio primo contatto con la ricchezza di antiche origini - la vera ricchezza - ebbe luogo alla Yale Law School. Tra i miei compagni di corso, in questa istituzione elitaria che ammetteva solo 150 studenti all'anno provenienti da tutto il mondo, vi erano i rampolli di alcune delle più ricche famiglie americane come i du Pont, i Danforth e gli Heinze. Durante i tre anni trascorsi a Yale incontrai i figli - di figlie ce n'erano molto poche - di giudici della Corte Suprema, di governatori, di senatori e di magnati dell'industria. Anche in questo caso, però, il denaro non dava grandi vantaggi, essendo il sistema fondato su esami anonimi. Dopo due anni come assistente, ho cominciato a insegnare diritto e ho trascorso gli ultimi due decenni ad Harvard. Il giudice Felix Frankfurter ha definito una volta la Harvard Law School come "l'istituzione più democratica che io abbia mai conosciuto. Per democratico voglio dire che si bada al merito e a nient'altro". E fu in un ambiente come questo che decisi di passare la mia vita professionale. Se la Law School era l'ambiente più democratico che potesse esserci, il mondo di Claus era l'opposto. Ciò che si ereditava era tutto, il valore intrinseco di una persona non significava quasi niente. Nella società di Newport non vi erano esami anonimi. si viene valutati perle proprie origini e la propria famiglia. La persona che mi ha raccomandato a Claus aveva un piede in entrambi questi universi. Ho incontrato Gilbert Verbit quando eravamo entrambi al "Yale Law Journal". Anche lui era diventato professore di diritto alla Boston University Law School, in faccia alla Harvard sull'altra sponda del fiume Charles. Con Newport aveva legami di famiglia e trascorreva l'estate tra le splendide case di questo ghetto dorato. Dopo essere stato condannato, Claus gli chiese di indicargli un avvocato specializzato in ricorsi penali, e Gil gli fece il mio nome. Ricordo il mio stupore per il fatto che Claus fosse giunto fino a me: non credevo che avessimo conoscenze in comune. Quando mi disse che era stato Gil a fargli il mio nome, ne fui molto lusingato perché ha per lui la massima stima, come studioso e come persona." Questi pensieri che mi giravano in mente mentre mi avvicinavo all'ingresso del 960 Fifth Avenue. Il portiere in livrea anticipò la mia presentazione dicendomi: "Professor Dershowitz, il signor von Bulow la sta aspettando" e indicandomi l'ascensore con pannelli di legno che mi portò fino al piano di von Bulow. Non appena uscii dall'ascensore, capii di essere entrato in un mondo diverso. I due vestiboli attraverso i quali passai per raggiungere il salotto, che precedeva l'enorme salone, erano decorati con pezzi da museo. Marmo, oro e argento erano i materiali più diffusi, la sensazione dello spazio, in altezza e in profondità, la sensazione dominante; la ricchezza l'impressione più netta. Notai subito una differenza che mi colpì tra la casa di von Bulow e la mia: l'appartamento della Fifth Avenue non aveva alcun profumo di cucina, nessun sentore, nessun odore. Nessuna sensazione di una casa vissuta, dove ci si amava, si mangiava, si dormiva. Era un museo. Claus mi accolse sulla porta della biblioteca. Indossava un abito che sarebbe dovuto apparire informale, ma che su di lui appariva un cascante, come se fosse stato fatto di una taglia di troppo per sembrare sportivo. Fui stupito dalla sua altezza . Era almeno quindici centimetri più alto di me, che sono alto poco meno di un metro e ottanta. (A causa della sua taglia e della sua nazionalità la stampa lo soprannominò "Il grande danese".) "Professore", mi disse con fare formale, "lei è stato molto gentile a venire." Come se fossi lì per un invito mondano a un tè e non per discutere di un affare che riguardava la sua vita. "Piacere di conoscerla, signor von Bulow", replicai con una formalità che era tanto impacciata quanto la sua naturale. Mi introdusse nel salotto che era ornato di libri antichi rilegati in pelle e di ritratti di famiglia. Attirando la mia attenzione sul ritratto di un gruppo di gentiluomini togati, von Bulow mi disse che i suoi antenati erano stati giudici e ministri della Giustizia della Danimarca. Dopo avermi mostrato la parte "pubblica" della casa mi chiese: "Non pensa sia meglio fare colazione insieme come prima cosa? Poi, dopo esserci conosciuti un po'meglio davanti a un bicchiere di vino, potremo tornare qui e parlare d'affari". Mi rialzai dalla poltrona dove mi ero momentaneamente seduto e che riacquistò subito il suo aspetto immacolato. Camminammo per qualche isolato fino al ristorante del Carlyle Hotel, dove il maître e i camerieri sembravano tutti conoscere von Bulow. durante il tragitto la conversazione fu piuttosto impacciata: Claus mi mostrò dei punti interessanti e fece alcuni commenti sui ristoranti dei dintorni. Io, da parte mia, ero già stufo di chiacchierare e ansioso di venire al dunque e di sapere quale poteva essere il mio ruolo in questa vicenda. Non appena ci sedemmo, il camerieri cominciò a versare un Bordeaux rosso secco, il mio vino preferito, Non so se fosse una coincidenza o se Claus era riuscito in qualche modo a venire a conoscenza dei miei gusti, piuttosto recenti, in fatto di vini. (Un paio di anni prima sarebbe andato benissimo un bicchiere di Manischewitz. - Per natale, Claus mi ha mandato una bottiglia di Sautarnes ( e un paio di guantoni da boxe). Non conosco molto i vini da dessert,. ma questa bottiglia mi sembrò molto graziosa. La divisi con un caro amico e l'apprezzammo molto. Alcuni giorni dopo la mia gioia si trasformò in senso di colpa, quando riferii a un altro amico il nome e l'anno (Chateau d'Yquem 1940) e venni a sapere che ci eravamo scolati una bottiglia che valeva parecchie centinaia di dollari.) - La prima cosa che Claus mi disse fu che anche lui era stato avvocato. "Sono stato procuratore, nello studio di Lord Hailsham, in Inghilterra. Certo non posso paragonarmi a lei, ma ai miei tempi non ero male." Mi chiesi perché mai avesse iniziato la conversazione con questo paragone, forse lo fece per sottolineare che in fondo qualcosa in comune tra noi due esisteva. mangiammo salmone affumicato continuando a parlare del più e del meno. Improvvisamente, quando stavamo per terminare, si voltò e mi guardò.. Notai in lui un cambiamento fisico. Il suo portamento rigido - che pareva richiedere un considerevole sforzo ai muscoli del volto, delle spalle e del torace - si rilassò un po'. Stava abbassando la guardia, solo un poco. "Ho bisogno del migliore avvocato che possa avere. sono assolutamente innocenti e i miei diritti civili sono stati gravemente violati." Quando parlò di diritti civili, mi venne in mente la battuta secondo la quale un conservatore è un progressista che è stato derubato. Quello che mi venne in mente fu, però, che un progressista è spesso un conservatore che è stato accusato e, in questo caso, condannato. Mentre questi pensieri mi attraversavano la mente, von Bulow aggiunse subito: "Ma ho anche bisogno di un amico e di un sostenitore. Herald Fahringer e John Sheehan mi hanno deluso. Forse non è stata colpa loro, ma mi hanno sempre fatto credere che tutto stesse andato per il verso giusto. Ho bisogno di qualcuno che sia sincero con me." Sarebbe stato facile per me passare oltre con una innocua assicurazione che avrei fatto tutto quello che mi si chiedeva. Ma quello che Claus von Bulow voleva da me erano due cose diverse e fra loro inconciliabili. "Mi spiace, signor von Bulow, ma non posso essere allo steso tempo un amico e assolutamente sincero con lei. Posso essere il suo avvocato, o uno dei suoi avvocati, e in tal caso sarò sempre sincero. Ma non posso essere anche un amico e un sostegno. Un amico deve talvolta mentire per essere incoraggiante. Un avvocato deve essere esplicito fino alla brutalità, se necessario." Sono giunto a questa conclusione dopo aver visto troppi avvocati confondere i loro ruoli di consulenti professionali e amici personali. Qualche volta lo fanno per sincera sollecitudine per il benessere psicologico dei loro clienti-amici; altre volte per questioni di denaro. Molti clienti non desiderano sapere la verità. Essi vogliono sentirsi dire che tutto va a gonfie vele e che certamente vinceranno la causa. Se un avvocato non si dimostra abbastanza incoraggiante, rischia di farsi soppiantare da un collega più ottimista. Ma io ritengo che i clienti debbano essere messi al corrente della loro reale situazione perché possano operare scelte consapevoli; e l'avvocato, date le sue competenze tecniche e la conoscenza generale del caso, è nella posizione migliore per fornire un quadro accurato e realistico degli esiti possibili. Oliver Wendell Holmes ha definito in un'occasione la professione forense come una semplice "profezia su quello che deciderà la corte". E i profeti della legge sono gi avvocati che formulano queste previsioni. Un avvocato che però non sappia prendere le distanze dal suo ruolo di amico e sostegno può incontrare difficoltà a fare previsioni corrette. Jimmy il Greco non si fa certo guidare dai confortatori per dare giudizi sensati sulle possibilità di vittoria di una squadra. Dopo aver detto quello che non avrei potuto essere, parlammo del ruolo che avrei potuto svolgere. "Ho alcuni problemi ad affidarle il caso", disse Claus, "ma sono problemi miei e non suoi." Ero sicuro che si riferisse ad alcuni dei commenti critici verso giudici e accusati contenuti nel mio libro. Ma Claus mi assicurò che nulla del mio libro l'aveva contrariato. "Al contrario", disse, "il libro è un grosso punto a suo favore. La sua schiettezza e onestà mi piacciono." Il primo problema, mi spiegò imbarazzato, era che alcuni dei suoi conoscenti erano turbati all'idea di affidare il caso "a un ebreo aggressivo". "Non mi fraintendo, ciò che non ha per me alcuna importanza", mi assicurò, "l'uomo che ammiro di più al mondo dopo Lord Hailsham è Mark Millard, un brillante ebreo russo, vero genio della finanza e gentiluomo. Io non sono in alcun modo antisemita. Ma alcune di queste persone non hanno mai incontrato ebrei intellettuali come lui. Peggio per loro, ma le cose stanno così." Mi assicurò che la decisione sarebbe spettata a lui e, se io fossi stato la sua scelta, gli altri avrebbero dovuto adattarsi. Vi erano alcuni amici di Newport che temevano che un estraneo come me non avrebbe esitato " a lavare i nostri panni sporchi in pubblico." "Questo è assolutamente vero", replicai, "non avrò la minima esitazione a mandare tutto all'aria se vi è della verità da scoprire e se può giovare al suo caso. Io, se avrò l'incarico, non rappresenterò i suoi cari amici o il suo ambiente sociale. Difenderò solo lei e i suoi interessi. Meglio che lo sappiano." L'altro problema era molto più delicato e immediato: "Vorrei che lei fosse il mio avvocato per l'appello, ma non posso sbarazzarmi subito di Fahringer e Sheehan": Risposi che questo non sarebbe stato un problema, che mi stava bene il gioco di squadra e che potevo lavorare coi suoi precedenti avvocati. "Ho recitato parti secondarie con alcuni dei migliori, e più egocentrici, avvocati del paese. Posso lavorare anche con loro." "Ma loro non possono lavorare con lei", replicò. "Herald insite nel lavorare da solo. Non vuole collaboratori a meno che non siano totalmente sotto il suo controllo." Claus era chiaramente insoddisfatto del duo Fahringer-Sheehan. Non aveva alcuna fiducia che riuscissero a far seguire alle promesse i fatti. Perché era allora così preoccupato all'idea di come avrebbero reagito al mio ingresso nel collegio di difesa? Gli chiesi perché non potesse semplicemente dire a Fahringer e Sheehan che insisteva perché io lavorassi con loro. "Se questo non gli va a genio, possono andarsene. Posso condurre io la faccenda della cauzione, anche se avrei preferito lavorare con loro, soprattutto durante il periodo di transizione." Claus mi guardò come se fossi uno scolaretto ingenuo. "Professore, lei di legge ne sa certamente più di Fahringer, Sheehan e me messi insieme, a non consce il sottobosco politico della giustizia del Rhode Island." Continuò quindi con una lezione su quella che definì "una fogna di corruzione". Mi spiegò che aveva assunto John Sheehan su consiglio del senatore Claiborne Pell, un suo vicino di Newport. Sheehan era stato un penalista di successo a Providence, noto per essere duro ed efficace nei controinterrogatori. Conosceva l'ambiente politico e giudiziario del Rhode Island. Von Bulow aveva creduto che se avesse assunto Sheehan non si sarebbe giunti al processo. Invece ci si arrivò. Sheehan raccomandò allora a von Bulow di ingaggiare Herald Price Fahringer come avvocato da esibire in prima linea. Insieme avrebbero formato una grande squadra. Sheehan avrebbe potuto far ricorso alla sua rete di amicizie a Newport e alla sua esperienza del mondo giudiziario del Rhode Island, Fahringer, il compassato ed elegante avvocato newyorchese, sarebbe stato la star per la stampa e avrebbe interrogato i testimoni principali. Sheehan aveva già difeso con Fahringer diversi imputati di atti osceni. Cosa curiosa, in un'occasione si erano rivolti a me in un processo conducendo insieme chiedendomi di intervenire a favore del loro cliente come esperto di diritto costituzionale. Quella volta avevo declinato l'invito. Claus mi spiegò le "regole del gioco nel Rhode Island". "Nessuno la starà ad ascoltare", mi assicurò, "a meno che non abbia dietro di lei la persona giusta, e Jack Sheehan è la persona giusta." Gli feci notare che Sheehan non era stato in grado di impedire la sua incriminazione e la sua condanna. "Jack è in parte uno specchietto per allodole", replicò Claus, "ma non posso permettermi di trascurare nessuna possibilità, tantomeno ora." La decisione circa la cauzione, a quanto gli aveva detto Sheehan, spettava interamente al giudice del processo, Thomas Needham. Se Needham si fosse rifiutato di concedere la libertà su cauzione durante la procedura di ricorso, allora la decisione sarebbe spettata al giudice Florence Murray della Corte Suprema. Sheehan "si stava lavorando" entrambi i giudici, facendo ricorso "alla vecchia amicizia", come la definì Claus. Non è questa la mia concezione della giustizia, a devo riconoscere che è piuttosto diffusa in certe parti del paese. In genere, sono piuttosto scettico circa gli avvocati che pretendono di poter ottenere qualcosa con questi sotterfugi. In un articolo apparso su "Parade" ho criticato gli avvocati che promettono "la libertà": "Occorre diffidare degli avvocati che promettono troppo... la maggior parte di quelli che affermano di usare la loro influenza in realtà bluffano". Il guaio per il nostro sistema giudiziario è che non tutti questi avvocati stanno bluffando. Esposi a von Bulow i miei dubbi, ed egli mi rispose subito: "E'proprio questo, professore, il motivo per cui ho bisogno di lei in questo caso. Non posso trascurare niente. Non posso affidarmi solo alla sua intelligenza o solo alle conoscenze di Jack. Ho assoluto bisogno di entrambe le cose. Quello che le sto chiedendo è di entrare a far parte di una difesa condotta su due binari. Sul primo, lei, con il suo team, avrà il compito di elaborare i migliori argomenti giuridici, sul secondo continuerà a operare Sheehan". dissi a Claus che non avrei mai partecipato - neppure su un binario separato - a una difesa che fosse in qualche modo scorretta o venisse meno a una certa deontologia. Mi assicurò che questo era il modo in cui, da entrambe le parti, veniva giocata, nel Rhode Island, la partita. "Tutti cercano di contattare i giudici. Tutti cercano scorciatoie. La legge nel Rhode Island viene amministrata così. Ogni estraneo che volesse tentare di vincere senza rendere omaggio ai potenti del luogo riceverebbe 'il Rhode Island Shuffle', il bidone del Rhode Island." Era la prima volta che sentivo questa espressione, ma non sarebbe stata certamente l'ultima. Dissi a Claus che avrei accettato di presentare una domanda per la libertà provvisoria durante l'esame del ricorso. Decidemmo che Fahringer e Sheehan avrebbero rappresentato von Bulow al dibattimento. Claus si riservò di decidere su chi di noi avrebbe dovuto discutere la richiesta di libertà dietro cauzione davanti alla corte. Radunai in fretta un team di supporto per lavorare alla domanda di libertà di cauzione. La mia arma segreta è di non lavorare mai da solo. Il mio è sempre un lavoro di squadra che si avvale della collaborazione di qualche collega più giovane e di studenti. Quando formo una squadra penso sempre al mio vecchio programma televisivo preferito: Missione impossibile. Il capo di questa squadra aveva davanti a sé un compito difficile, e doveva raccogliere un gruppo di esperti in grado di lavorare con discrezione cooperando con gli altri componenti della squadra. In genere ricorreva ad amici fidati sui quali poteva contare completamente. Questa volta chiamai Jeanne Baker e il suo compagno David Fine. Jeanne e io avevamo lavorato insieme parecchie volte. Chiesi poi a Susan Estrich e Christopher Edley, entrambi laureatisi di recente alla Harvard Law School e poi divenuti assistant professors, di unirsi a noi. Reclutai anche Joann Crispi, altra laureata della Harvard Law School e mia ex ricercatrice, che aveva appena terminato un anno presso uno studio legale di New York. In ultimo gli studenti: una dozzina fa i migliori che riuscii a trovare. L'altra mia arma segreta è mio fratello minore, un avvocato di New York il cui approccio alla professione legale è un po'diverso dal mio. Non ho mai preso un'importante decisione legale senza aver prima sentito il suo parere. Il suo giudizio è sempre molto penetrante e quasi sempre lo seguo. Le poche volte che non l'ho fatto me ne sono pentito amaramente. Assegnai a ognuno degli avvocati un compito preciso. Ognuno sarebbe stato responsabile per le ricerche in biblioteca compiute dagli studenti, destinate a produrre un abbozzo per ognuna delle parti di cui si compone la richiesta di libertà dietro cauzione. Facemmo numerose riunioni collettive nel mio studio, sul tipo dei seminari, dove riconsiderammo ogni aspetto e ogni punto di vista. In queste riunioni vigeva la più assoluta eguaglianza; le idee venivano accolte o rifiutate secondo il loro merito intrinseco, non secondo la loro provenienza. Quando si arrivò alla stesura finale della lettera dovetti prendere difficili decisioni a proposito di cosa includervi o osa tralasciare. Completammo la domanda di trenta pagine in tempo per la formalizzazione della sentenza, prevista per il 7 maggio 1982. Ma già vedevo problemi in vista. Fahringer era estremamente risentito per il mio coinvolgimento in questo caso. "L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un altro cuoco", ringhiò quando gli telefonai per cercare di definire le nostre rispettive competenze. "SE vuole preparare un abbozzo, gli darò un'occhiata", disse, "ma sia chiaro che io ho il comando e io prenderò le decisioni. Non possono esserci due comandanti." Gli assicurai che ero pronto a collaborare con lui nel superiore interesse del nostro comune cliente, ma appariva decisamente irritato. In diverse occasioni mi inviò in ritardo le trascrizioni e i documenti necessari alla preparazione della domanda, e continuò a mettermi in cattiva luce presso Claus. Fahringer si era impegnato in una dura lotta per rimanere il solo capitano a bordo della nave di von Bulow in procinto di affondare. Scrissi a Fahringer dicendogli che ero stato incaricato di preparare un memorandum che desse le linee generali dell'istanza di ricorso e avvertendolo che "speravo di poter lavorare con lui in uno spirito di collaborazione e nella speranza che potessimo riparare alla terribile ingiustizia che era stata fatta al signor von Bulow". Rispose dicendosi "scosso" per la mia affermazione di essere stato incaricato di redigere la domanda di ricorso, e dichiarando che "spetterà a me farlo". Ma nulla di quanto accadde in questa fase avrebbe potuto farmi prevedere quello che sarebbe successo il giorno della lettura della sentenza e della decisione circa la libertà dietro cauzione. Su richiesta di Claus, mi recai in macchina a Newport con Susan Estrich per l'udienza. Claus non aveva ancora deciso chi avrebbe presentato la domanda al giudice Thomas Needham, e, soprattutto, chi l'avrebbe presentata all'alta corte, se il giudice non avesse accordato la libertà dietro cauzione. Ci incontrammo tutti nella stanza di von Bulow allo Sheraton Islander a Newport. Claus era accompagnato dalla figlia Cosima, e dalla sua amica Andrea Reynolds. Fahringer era presente insieme a Sheehan. Sheehan aprì la discussione annunciando che io sarei dovuto rimanere nella stanza d'albergo durante l'udienza. "Ho raggiunto un accordo col giudice Murray", disse, "non la vuole in aula, e mi ha detto che se ne starà lontano farà in modo che Claus ottenga la libertà dietro cauzione. Il giudice Needham mi ha detto che intende negare la libertà provvisoria", continuò Sheehan, "ma che ci darà il tempo di appellarci all'unico giudice della Corte Suprema del Rhode Island che tratta le mozioni urgenti." Sheehan disse che il giudice incaricato di trattare le mozioni d'urgenza quella settimana era la Murray. "L'ho incontrata venerdì ed è disposta a concedere la cauzione fin quando l'intera Corte Suprema non avrà ascoltato la richiesta. Florence mi ha detto che il resto della corte su questa faccenda si atterrà alla sua opinione." Secondo gli usi del Massachusetts, ai quali ero abituato, si trattava di una procedura piuttosto . Ma Sheehan si spinse più oltre. Mi disse che un decano dell'altra Law School della zona di Boston gli aveva spiegato perché il giudice Murray non mi aveva in simpatia. "Non ricordo precisamente la ragione ma era qualcosa che aveva a che vedere con un giudizio che aveva espresso una volta sui giudici". La storia aveva una parvenza di verità, dato che, effettivamente, avevo espresso critiche su alcuni giudici ed era certamente vero che alcuni giudici non mi amavano, sentimento del resto ricambiato. Ma ero sicuro di non aver mai dato giudizi specifici su magistrati del Rhode Island, dal momento che mi ero presentato solo due volte davanti a un giudice di questo Stato - il giudice federale Raymond Petine - che era un eccellente giurista. Mi chiesi anche chi potesse essere il decano: per caso il nome che fece si rivelò essere quello di un mio collega e amico che non aveva mai detto nulla a proposito del giudice Murray. Al contrario mi ricordai che in un'occasione mi aveva invitato a presenziare a una funzione per gli ex allievi alla sua facoltà in presenza di alcuni giudici del Rhode Island. Decisi che era giunto il momento di vedere le carte di Sheehan. Se stava dicendo la verità sulle sue entrature presso i giudici del Rhode Island, dovevo saperlo e agire di conseguenza, a se stava bluffando allora Claus doveva esserne informato. Davanti a tutti presi il telefono e chiamai il decano e gli chiesi se avesse mai detto al suo amico Jack Sheehan che il giudice Murray non nutriva simpatia nei miei confronti. Il decano cadde dalle nuvole. "Non conosco nessuno di nome Jack Sheehan" rispose esitante. Gli descrissi Sheehan e il decano disse che ricordava vagamente un ex allievo del Rhode Island che poteva corrispondere alla descrizione e aveva qualche volta partecipato alle riunioni degli ex alunni. Ma ricordava benissimo di non aver mai discusso con nessun Jack Sheehan di me o del giudice Murray. "Sono certo che il giudice Murau ti tiene nella più alta stima", mi assicurò. Ascoltando la conversazione, Sheehan divenne paonazzo. Claus si inquietò visibilmente. Mi chiesi se avessi fatto la cosa migliore. Claus aveva già abbastanza problemi senza che si aggiungessero guerre intestine far i suoi avvocati. Ma era della sua libertà che si trattava e doveva scegliere a chi affidarsi. Se Sheehan stava bluffando, correvamo il rischio di vederci negata la libertà su cauzione perché non avevamo presentato gli argomenti giuridicamente migliori. Ma, se diceva la verità, Claus non avrebbe certo voluto perdere subito la libertà perché un suo avvocato non era simpatico a un giudice. Claus era paralizzato dall'indecisione, non sapeva assolutamente cosa fare. Aveva di fronte a sé le due versioni dei fatti, ma non riusciva a scegliere tra loro. La mia telefonata al decano confermava i suoi peggiori sospetti sulla inattendibilità della maggior parte delle affermazioni di Sheehan. Ma se tra le menzogne ci fossero stati anche elementi di verità? Esisteva veramente un accordo tra lui e i giudici Needham e Murray? L difficoltà della decisione era aggravata dalla tremenda paura che claus aveva che gli venisse revocata subito la libertà provvisoria e che fosse quindi tradotto in prigione direttamente dall'aula di tribunale senza avere la possibilità "di mettere in ordine i miei affari". Mi parve di capire che con questa frase Claus non pensasse solo a qualche conto da pagare e ai saluti ad amici e familiari. "Ho bisogno di tempo per prendere la decisione giusta", continua a ripetere. Mi sentii correre un brivido lungo la schiena: Claus non stava forse cercando di dirmi - certo non esplicitamente - che se avesse saputo di dover andare in prigione, avrebbe pensato al suicidio? "In Europa, a un gentiluomo è concesso di concludere degnamente le cose, di lasciare memoriali per i propri cari... Ci sono cose peggiori della morte", mi disse tristemente. "Vi è il disonore, e una vista in prigione è il disonore anche per un uomo completamente innocente." Il mio abbozzo della domanda di libertà vigilata conteneva una proposta destinata ad assicurare la corte che Claus non sarebbe fuggito, anche se fosse stato respinto il ricorso. In genere, quando l'accusato è in libertà dietro cauzione, viene a sapere se la sua domanda è stata accolta o meno da un annuncio pubblico. Non è presente in aula come quando viene emessa la sentenza. Così, in caso di notizie negative, può cercare di scomparire o di lasciare il paese. Dato che von Bulow era danese e non americano, se fosse riuscito a raggiungere la sua nazione d'origine non avrebbe potuto essere estradato negli Stati Uniti senza il suo consenso. Per incoraggiare la corte a concedergli la libertà provvisoria in attesa del giudizio sul ricorso, in una sezione della mia domanda proponevo alla Corte Suprema, prima di rendere pubblico il risultato della domanda d'appello, annunciasse semplicemente di aver preso una decisione e richiedesse la presenza fisica dell'imputato in aula al momento "dell'apertura della busta". Questo assicurava che, se il ricorso fosse stato respinto, si sarebbe potuto portare von Bulow direttamente in carcere senza rischi di fuga. Quando comunicai questa ipotesi a claus, si agitò. "Significa che non avrò neppure la possibilità di andare a casa a riordinare le mie cose? Questo è inaccettabile, devo avere almeno qualche giorno per sistemare i miei affari." Sapevo che Claus non pensava di fuggire. Con un volto ormai ben conosciuto e alto un metro e novanta non avrebbe potuto fare molta strada. "Riesce a immaginarmi con naso e baffi finti?" mi chiese una volta. L'immagine di Claus von Bulow travestito da Groucho Marx rendeva poco plausibile che volesse fare la parte del Il fuggitivo. L'idea che forse Claus aveva bisogno di tempo per riflettere se togliersi la vita, mi scosse profondamente. Alzava la posta in gioco, ma mi rendeva furioso. Mi chiesi se non nutriva fiducia in me. Ma perché mai dovrebbe aver fiducia in un qualsiasi avvocato, vista la situazione nella quale si trovava? Per me non era quindi più in gioco una lunga detenzione: era un caso di pena capitale. Pensai che Claus von Bulow avrebbe potuto uccidersi se avesse perso il ricorso. Un uomo che si trova faccia a faccia con la morte ha certamente il diritto di scegliere a quale avvocato affidare la difesa della sua libertà. Claus mi chiese di dargli il mio parere spassionato. Gli dissi che, alla luce di quel che sapevo, non poteva contare sulle relazioni di Sheehan. "Vuole discutere le la richiesta di libertà provvisoria?" mi chiese. "Vorrei", riposi, "ma non insisto." "Sheehan invece insiste sul fatto che devono essere loro a discuterla", replicò, "e che lei non deve assolutamente essere presente in aula. Cosa devo fare?" "Non posso prendere una decisione al suo posto, lei è un adulto ed è lei a rischiare, non noi avvocati. Qualunque cosa decida, deve essere nel suo esclusivo interesse, senza nessuna considerazione per la suscettibilità o i sentimenti degli avvocati." "Ma se mi inimico Sheehan, sono rovinato" disse scoraggiato, rivelando i suoi timori per i danni che Sheehan sarebbe stato in grado di fare. "Penso di presentare la richiesta tramite Fahringer e Sheehan", decise, "ma solo se Sheehan ha raccontato la verità a proposito della possibilità di guadagnare tempo per appellarsi al giudice Murray in caso di rifiuto del giudice Needham." Mi fissò e i diede le istruzioni: "Lei rimarrà all'hotel, potrà seguire tutto alla televisione. Ma se il giudice Needham ordinerà la mia carcerazione, voglio che lei intervenga immediatamente e si precipiti alla Corte Suprema per chiedere una sospensione o qualsiasi cosa per tirarmi fuori". "Parlerà di questo suo piano con Sheehan e Fahringer?", gli chiesi. "No, non posso farlo. Mi abbandonerebbero lasciandomi nei guai. E'sufficiente che lo abbia detto a lei. Speriamo solo che io non debba ricorrere a lei come paracadute." Non era l'ultima volta in cui sarei stato paragonato a questo estremo strumento di salvezza. Non mi sentivo soddisfatto. Lo spettacolo di due gruppi di difensori che si precipitavano alla Corte Suprema, ognuno dei quali reclamando di rappresentare l'imprigionato Claus von Bulow, non mi piaceva, soprattutto se solo uno dei due gruppi comprendeva un avvocato del Rhode Island. Dissi a Claus che avrebbe dovuto darmi un'autorizzazione scritta a rappresentarlo dinanzi alla Corte Suprema del Rhode Island nel caso fosse detenuto. Battè rapidamente a macchina una lettera che mi autorizzava a presentare qualsiasi tipo di ricorso contro la negazione della libertà provvisoria. Me la misi in tasca sperando di non doverla mai usare. Tutti si recarono al tribunale, abbandonandomi. Mi sentii a disagio non potendo entrare in aula. Centinaia di accusati mi avevano pregato di andare in aula per difenderli e in questa circostanza l'imputato mi aveva gentilmente chiesto di starmene nella mia camera d'albergo. Fu il segno più tangibile che mi trovavo nel Rhode Island. Cominciai a pensare di vendicarmi del "Rhode Island Shuffle". Accesi la televisione in tempo per vedere il giudice Needham comminare a Claus dieci anni di prigione per il primo capo d'accusa e venti per il secondo. Era il momento della concessione della libertà provvisoria. Mentre giocherellavo con la lettera che claus mi aveva dato, il giudice Needham sorprese tutti concedendo la libertà dietro cauzione di un milione di dollari. Claus von Bulow sarebbe rimasto in libertà fino alla decisione sul suo ricorso. Mi chiesi se tutta la storia del giudice Murray fosse stata solo una semplice messinscena per tenermi lontano dall'aula in modo che non potessi distogliere l'attenzione della stampa da Sheehan e Fahringer. Oppure era l'ultimo disperato tentativo per tenermi lontano da questa storia e persuadere Claus a servirsi solo di loro? Non avrei mai saputo se Sheehan avesse veramente incontrato qualche giudice, da solo o con l'accusa, M diffidai di Sheehan e mi preoccupai per il "Rhode Island Shuffle" per tutto il resto del caso. Quando Claus ritornò in albergo sembrava depresso. Era sollevato per aver evitato la prigione nell'immediato futuro; ma comprensibilmente preoccupato per quello che lo attendeva dopo. Mi ringraziò diffusamente per essere stato "così ragionevole di fronte alle richieste irragionevoli degli altri". Cercando di mostrarmi solidale, gli dissi quanto fosse iniqua questa lunga condanna. Abbassò lo sguardo e rispose con un certo biasimo: "Una condanna a trent'anni è perfettamente giusta per chi ha attentato due volte alla vita di sua moglie. Se fosse stata più mite, sarebbe stato mostruoso". Quando gli chiesi cosa volesse dire, aggiunse subito con decisione: "Ma per me qualsiasi condanna è ingiusta dal momento che non ho mai cercato di fare alcun male a mia moglie": Il comportamento di Sheehan e Fahringer all'udienza della lettura della sentenza e della concessione della libertà dietro cauzione convinse finalmente von Bulow a togliere l'incarico di difensore principale a Fahringer e a chiedermi di assumermi la responsabilità del caso. I ero pronto a lavorare con Fahringer, ma Fahringer non aveva alcuna intenzione di lavorare con me. E Claus voleva che io fossi il suo avvocato per il ricorso. Claus si decise infine a scrivere a Fahringer rifiutando il suo ultimatum e insistendo a dire che era a lui che spettava la decisione:"... questo è il giusto rapporto che deve esistere tra avvocato e cliente, almeno così mi è stato insegnato in Inghilterra molti anni fa. Forse vi sorprenderà che molti avvocati americani di fama si attengano al medesimo principio". Claus contestò la pretesa di Fahringer di essere lui, e solo lui, "il comandante della nave", un principio che aveva applicato come un "despota, senza tollerare discussioni... secondo la legge del mare, il marinaio che si ribella al capitano della nave viene messo ai ferri, ma questo principio non si applica ai rapporti fra cliente e avvocato, e non intendo quindi permettere che ciò avvenga nel ricorso, come è avvenuto durante il mio processo": Nel settembre 1982 Fahringer uscì quindi dal caso e io assunsi l'incarico di dirigere la difesa. (Fahringer portò a termine il processo di appello di Jean Harris, la donna che aveva ucciso "il medico di Scarsadale"; la sua condanna venne confermata.) Claus era però ancora restio a rompere ogni rapporto con Sheehan. "Abbiamo bisogno di una avvocato del Rhode Island", mi ricordò, "per i dettagli di routine. Perché non servirci ancora di Jack per questo? E anche per avere dei consigli sugli argomenti verso i quali la Corte Suprema è più sensibile." Dissi a Claus che avrei preferito ingaggiare un assistente del Rhode Island di mia fiducia, qualcuno di cui potevo fidarmi e che aveva della giustizia un concetto simile al mio e col quale potessi avere un maggior affiatamento, qualcuno che non mi avrebbe rifilato il "bidone del Rhode Island". Non avevo in mente nessuno in particolare, ma era sicuro che nel Rhode Island ci fosse qualcuno che rispondeva a quei requisiti. Claus i autorizzò ad aggiungere un altro avvocato del Rhode Island al mio team, ma non tagliò i ponti con Sheehan. Sheehan rimase il consigliere personale di Claus per quanto riguardava le questioni del Rhode Island durante il ricorso, e alla fine si riscattò con una trovata brillante che ci cavò d'impiccio in un momento cruciale. Cominciai col chiedere in giro il nome di un giovane avvocato esperto in ricorsi. Quasi tutti mi fecero il nome di John "Terry" MacFayden. costui aveva appena lasciato il posto di difensore d'ufficio nei ricorsi del Rhode Island. In quel ruolo aveva discusso davanti alla Corte Suprema del Rhode Island dozzine di ricorsi penali a favore di imputati indigenti. Prima di lavorare come difensore d'ufficio, era stato assistente di un giudice di quella corte. Tutti coloro coi quali parlai mi assicurarono dell'onestà di MacFayden, della sua integrità e della sua abilità, sia come giurista sia come avvocato in aula. "Non è il tipico penalista del Rhode Island", mi sentii ripetere. "Non è come gi altri. E molto scrupoloso e furbo come il demonio", mi disse un avvocato. Il fatto che MacFayden avesse fatto le sue esperienze come difensore di non abbienti creava un curioso contrasto col suo nuovo ruolo di consulente legale per uno dei più ricchi imputati mai giudicati nel Rhode Island in un procedimento penale. Ingaggiai quindi MacFayden come mio consigliere per il Rhode Island. 8. SI TORNA SULLA VECCHIA STORIA In linea di principio, in un ricorso non si dovrebbero introdurre elementi nuovi: un ricorso deve basarsi interamente sui documenti del primo processo, le trascrizioni e l'altra documentazione che registra le testimonianze che sono state presentate. Un ricorso è una richiesta di revisione dell'operato del giudice del primo processo. Sempre, in teoria, è una procedura destinata a convincere la Corte Suprema che l'accusato è innocente e che i giurati hanno commesso un errore. In un ricorso, è il giudice che ha presieduto il processo a essere messo in discussione. Come commentò lo stesso giudice Needham: "Il processo di Claus von Bulow è terminato, comincia ora il processo al processo". Se gli indizi erano insufficienti all'incriminazione, il giudice avrebbe dovuto impedire alla giuria di esaminare il caso, pronunciando un verdetto di non colpevolezza giuridicamente motivato. Se alcuni degli elementi addotti erano irrilevanti, inopportuni o inammissibili, allora egli non avrebbe dovuto permettere che venissero portati a conoscenza della giuria. Se l giudice ha commesso qualche errore procedurale che abbia pregiudicato le possibilità della difesa, allora all'accusato deve essere concesso un nuovo processo più corretto. Gli argomenti portati a sostegno di una richiesta di revisione devono essere di natura giuridica. Per quanto strano possa sembrare, l'innocenza dell'accusato - in base a nuove o a vecchie prove - non riguarda la corte che esamina il ricorso, la quale deve solo giudicare se le prove fornite hanno effettivamente permesso alla giuria di emettere un verdetto di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma questo non significa affatto decidere se l'accusato è o no colpevole. "Prove sufficienti" possono comprendere testimonianze deboli o inattendibili. anche se convinti dell'innocenza dell'accusato, i giudici dovrebbero respingere il ricorso se ritengono che il verdetto della giuria sia stato emesso partendo da elementi convincenti. Ma i giudici d'appello sono uomini normali in toga che siedono in scanni di quercia in stanze dalle pareti in marmo. Molti di loro sono sinceramente preoccupati dall'eventualità di un errore giudiziario, e quindi di sapere se gli accusati, il cui processo devono esaminare, sono colpevoli o innocenti. In genere il loro presupposto, condiviso da molti di coloro che lavorano nella giustizia penale, è chela maggioranza degli accusati sia effettivamente colpevole. In effetti, gli imputati i cui casi sono portati davanti a loro non godono, come quelli in giudizio di primo grado , della presunzione di innocenza. Dopo la loro condanna, gli imputati sono presunti colpevoli, e questa presunzione è tanto più difficile da rovesciare di quella di innocenza, perché in genere molto più saldamente fondata. la giustizia penale è come un triangolo isoscele: alla base vi è il grande numero di arresti; vicino alla metà dei lati il numero, già minore, dei processi; in cima vi sono le condanne. Passando dalla base al ristretto vertice, il sistema elimina la grande maggioranza degli innocenti. Quando si giunge al ricorso, si è vicini alla cima e di innocenti ne restano presumibilmente pochi. Nella maggior parte dei casi di ricorso, l'unica possibilità dell'avvocato è attenersi strettamente ai vizi di forma. L'ultima cosa che un avvocato desidera è che la corte si ponga il problema della colpevolezza del cliente, perché non solo questi è in genere colpevole, ma, cosa più grave dal punto di vista di un avvocato, la sua colpevolezza è dimostrabile. La loro colpevolezza risalta da ogni pagina. Facciamo un esempio, La polizia irrompe senza autorizzazione in una camera d'albergo e trova l'imputato in possesso di cocaina, bilancino e una grande quantità di denaro. In questo caso l'unico elemento al quale aggrapparsi è l'illegalità della perquisizione e la cosiddetta "norma di esclusione" che vieta all'accusa di addurre come prova elementi ottenuti in violazione delle norme costituzionali. La ragione fondamentale dell'impopolarità di questa norma è proprio il fatto che a essa fanno ricorso imputati colpevoli colti con le mani nel sacco. Non è facile per la gente accettare che un accusato trovato in possesso di materiale di contrabbando - o trovato in flagranza di reati anche peggiori - venga scarcerato perché il poliziotto ha commesso degli errori di procedura. (Questo spiega anche perché è stata la Corte Suprema, che viene nominata, e non il Congresso, che viene eletto, a estendere la validità di questa norma a tutto il territorio nazionale.) Nei rari casi in cui il ricorso riguarda un imputato innocente, l'avvocato si trova di fronte a una alternativa. Se si limita a mere constatazione procedurali, i giudici riterranno probabilmente che l'imputato sia colpevole e, peggio ancora, riterranno che anche l'avvocato lo giudichi colpevole. Ma se il ricorso è incentrato sulla sostanza, cioè sull'innocenza dell'accusato, l'avvocato è sicuro di inimicarsi certi giudici che preferiscono attenersi rigorosamente alle questioni di forma. Questo dilemma si sarebbe ripresentato lungo tutto il ricorso von Bulow. Io sono fermamente convinto che occorra introdurre in maniera opportuna nel ricorso l'affermazione dell'innocenza dell'imputato. Il punto sta nel trovare nel caso appigli giuridici che facciano implicitamente emergere questa innocenza. Avevo già qualche idea per la nostra istanza, ma non ancora un progetto complessivo. A questo punto pensavo forse che Claus era innocente. Ovviamente aveva sempre protestato quest'innocenza, ma soprattutto non aveva fatto nulla che potesse contraddirla. Tuttavia i fascicoli processuali erano disperatamente poveri di elementi che inducessero a smentire i dodici giurati che avevano esperesso il verdetto o il giudice Needham il quale, da parte sua, aveva ribadito, in pubblico e in privato, la sua convinzione circa la colpevolezza dell'imputato. Needham aveva pubblicamente dichiarato che von Bulow "meritava la galera" e che nutriva poca simpatia per lui. Disse anche che la sua convinzione si basava su informazioni confidenziali. Vi era un appiglio giuridico che balzava immediatamente agli occhi di tutti. Anche il giudice aveva affermato che sarebbe stato oggetto di giudizio da parte della Corte Suprema. si trattava della liceità della perquisizione compiuta da Alexander von Auersperg e dall'investigatore privato. Essi aveva aperto un armadio appartenente a Claus von Bulow e frugato tra i suoi vestiti, i suoi cassetti e i suoi oggetti personali. Il risultato di questa ricerca, la borsa nera con l'ago sporco di insulina, costituì la prova principale del processo. L'accusa si era riferita all'ago come "all'arma del delitto". La perquisizione e il sequestro si erano svolti senza autorizzazione. Si trattava però di privati cittadini non direttamente sottoposti alla Corte costituzionale, che poneva limiti solo all'azione dei funzionari governativi. Il giudice Needham aveva stabilito chela perquisizione aveva violato la riservatezza di Claus von Bulow; che era stata condotta "al fine di ottenere informazioni che potessero condurre a un'incriminazione"; e che, se stata effettuata dalla polizia, "senza dubbio" sarebbe stata incostituzionale. Ma ritenne anche che, dal momento che gli autori erano semplici cittadini e non agenti del governo, la Costituzione non trovava applicazione. Lo stesso procuratore Famiglietti riconobbe in un'intervista a un giornale che "se i ragazzi si fossero rivolti alla polizia anziché a Kuh, la cosa probabilmente non sarebbe andata oltre. La polizia avrebbe avuto bisogno di un mandato per cercare la borsa di plastica nera e, a questo punto, non credo ne avrebbero trovata una. E'stata una fortuna chele cose siano andate come sono andate." La questione della costituzionalità di questa indagine privata, i cui risultati vennero poi trasmessi alla polizia e alla pubblica accusa, era della massima importanza. La possibilità che una famiglia ricca assoldi una sua polizia privata, non soggetta ai limiti della Carta costituzionale, mi aveva interessato a lungo. Il proliferare di guardie private e di vigilantes aveva già obbligato diverse corti ad affrontare, con esiti diversi , questo tipo di problema. La Corte Suprema del Rhode Island poteva pronunciarsi in entrambe le direzioni. claus mi disse che John Sheehan lo spingeva a centrare la richiesta di revisione su questo punto, assicurandogli che la Corte Suprema del Rhode Island non avrebbe tollerato simili violazioni private alla costituzione. Io ero certamente favorevole a includere questo punto, ma non mi persuadeva l'idea di insistere troppo. "E'un argomentazione da colpevole", dissi a claus, "il genere di pretesto che conferirebbe un'aria di colpevolezza a tutta la richiesta. Un accusato innocente vuole prove a suo favore, non eliminare prove contro. Come potremo mai convincere qualcuno, se noi fondiamo la nostra affermazione di innocenza sull'estensione della regola di esclusione ai cittadini privati?" Ero anche restio a chiedere a una corte di estendere l'applicazione di questa norma, già impopolare, proprio in un momento in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti e molte corti dei singoli stati stavano facendo tutto quanto era in loro potere per limitarla. "Ci sono almeno sei giudici della Corte suprema a Washington che sarebbero felici di smentire una corte di Stato che applicasse il quarto emendamento ai privati cittadini", dissi a claus, elencadoli con nome e cognome. "Quello di cui abbiamo bisogno è un argomento che dimostri che la persona è innocente", insistetti nelle riunioni in cui il mio team riesaminava il caso. La stampa aveva già stabilito che Claus, colpevole, si sarebbe visto respinto il ricorso. Il settimanale "New York", in un articolo riguardo il mio coinvolgimento nel caso, aveva citato "uno dei principali penalisti del paese" e prevedeva che avrei perso il ricorso: "Potrà aggiungere qualcosa di utile e farà senza altro un brillante esame del dossier, ma non può farcela. Questo è un paziente senza speranza, può solo evitare che soffra troppo". "Esquire" scrisse invece chela richiesta di appello nel caso von Bulow "appariva solo come un esercizio rituale in difesa del dogma delle libertà civili" che "sarebbe stato portato davanti alla corte semplicemente perché c'era denaro da spendere e qualche pretesto a cui richiamarsi, ma non perché [Dershowitz] creda veramente chela giustizia si sia sbagliata": E un altro commentatore osservò perfidamente chela scelta di von bulow "di assumere il professor Alan Dershowitz di Harvard poco dopo la sua condanna rafforzava l'impressione che non intendesse più protestare la sua innocenza, ma opporsi solo ai modi coi quali era stato incastrato Dershowitz gode di un'ampia reputazione come ultima risorsa per i criminali condannati, essendo la sua specialità trovare cavilli legali per far dichiarare incostituzionale la condanna dei suoi clienti ": Avevamo bisogno di qualcosa che non sembrasse solo una scappatoia per un colpevole. Dovevamo far balenare il sospetto che fosse stata commessa un'ingiustizia e che fosse stato condannato un'innocente. Qualcosa di convincente che ci aiutasse a risalire la china e a ottenere una revisione malgrado le convinzioni sfavorevoli. Improvvisamente l'idea arrivò. Mi ricordai che i primi interrogatori dei testimoni decisivi non erano stati condotti dalla polizia, ma da Richard Kuh, l'avvocato assunto dalla famiglia per svolgere indagini private, lo stesso avvocato i cui clienti avevano consegnato la borsa nera alla polizia. "Dove sono gli appunti originali di Kuh su questi incontri?", chiesi a claus. "Non ne ho idea", mi rispose, "penso che li abbia ancora lui e forse li ha distrutti. Il giudice li ha giudicati riservati." "Qualcuno li ha mai visti, l'accusa, la polizia?" "Non credo, almeno non ufficialmente", rispose con un certo scetticismo. La nuova compagna di Claus, Andrea Reynolds, che sarebbe presto diventata parte inseparabile della sua vita quotidiana, fu ancora più cinica: "Di una cosa si può star certi: se vi era qualche annotazione che poteva esserci utile, l'avranno già cancellata o modificata": Dissi che ne dubitavo: "Kuh è un avvocato deciso, ma non avrebbe modificato nulla, né gettato via qualcosa che gli era stato detto di conservare". Controllai negli atti e con mia grande gioia scoprii che Kuh aveva promesso, otto giuramento, di conservare ogni foglio delle sue note e di non gettare nulla fino alla fine del ricorso. Volevo quelle note. Per esperienza so come funziona la memoria di un testimone al processo, vale a dire in modo esattamente opposto a quello che si potrebbe aspettare. In un caso giudiziario la memoria dei testimoni, soprattutto di quelli coinvolti in qualche modo nel suo esito, tende a migliorare col passare del tempo. Spesso la loro ricostruzione iniziale degli avvenimenti è confusa, perché non è stata ancora inserita in una teoria generale. Man mano che la teoria prende forma, la memoria comincia a colmare i vuoti e il quadro si fa più preciso. Coll'avvicinarsi del processo e quando ci si trova davanti alla giuria e si viene interrogati, si "ricorda" l'avvenimento con maggiore chiarezza e minori contraddizioni. E il risultato finale è che quello che all'inizio era un racconto confuso acquista una chiarezza cristallina. Quello di cui ci si ricorda non è più l'avvenimento, è il ricordo di un processo di ripetizione e di chiarificazione che sfocia in una sempre maggiore sicurezza. Qualche volta il processo non è così innocente. La memoria di alcuni testimoni migliora perché il loro interesse in un certo esito aumenta. Scientemente o no, questi testimoni danno alla loro storia una forma confacente al risultato che si prefiggono. Lewis Carrol si prese gioco di queste memorie interessate con una delle sue battute: "Ricordarsi delle cose ancora prima che accadano". Ho assistito molte volte a questo processo di miglioramento della memoria. I maestri del controinterrogatorio lo capiscono bene e sfruttano questa loro conoscenza per creare dubbi sulla validità della testimonianza. Questa è la ragione per cui l'accesso ai risultati delle prime domande ai testimoni può essere così importante per gli avvocati. Avevo il forte sospetto, forse più che un sospetto, che gli appunti di Kuh evidenziassero questo tipo di fenomeno anche nella vicenda di von Bulow. Il problema era come avere questi appunti. Fahringer non aveva mai esplicitamente chiesto gli appunti al processo per utilizzarli come aiuto nel controinterrogatorio dei testimoni. La corte aveva rifiutato di ordinare la loro esibizione in risposta alla richiesta preprocessuale di Fahringer. Questo rifiuto poteva essere un elemento per la richiesta di revisione. Ma la questione non era stata né chiaramente sollevata al processo né interamente rimandata al momento della richiesta di revisione. Inoltre, vi era un problema analogo a quello della perquisizione e del prelevamento della borsa nera. Gli appunti di Kuh erano stati presi da un privato, non da un pubblico ufficiale. La corte avrebbe potuto ritenere che un privato non fosse obbligato a sottostare alla richiesta di renderli pubblici. Se le cose fossero andate così, la difesa avrebbe avuto la peggio, e l'accusa la meglio, in entrambi i casi; la borsa nera, prova a carico, veniva ammessa; gli appunti, potenzialmente utili alla difesa, dichiarati inammissibili. Forse non sarebbe stato giusto, ma era un esito possibile. Inoltre, anche se avessimo ottenuto un processo di appello su questo punto, la Corte Suprema avrebbe potuto ordinare che Kuh mostrasse i suoi appunti alla corte perché fossero esaminati. Se non fosse stata trovata nessuna "pistola fumante", ovvero qualche grave incongruenza che potesse richiedere una revisione del processo, la corte avrebbe potuto decidere perla conferma della condanna. Quello che volevo era avere gli appunti prima dell'appello, in modo da potermi giovare del loro contenuto per vincere il nuovo processo; era un'arma che non volevo lasciare a una corte "neutrale" o agli avvocati della parte avversa. A questo fine, tentai per prima cosa di avere gli appunti in via amichevole, inviando a Richard Kuh la seguente lettera: Caro Dick, mi auguro che la mia lettera ti trovi bene. [...] E'nostra opinione chela difesa di Claus von Bulow e la pubblica accusa debbano poter esaminare i tuoi appunti... per vedere se vi sono elementi di rilievo per la richiesta di appello o per la revisione del processo... Spero che questa collaborazione... servirà gli interessi della verità e del chiarimento completo che tu e i tuoi clienti avete sempre detto di desiderare. [...] Dick, sono consapevole del fatto che in questo caso rappresentiamo due punti di vista opposti, ma ti conosco abbastanza per sapere che il tuo scopo è che la verità emerga. Io credo sinceramente che in questo caso vi sia stato un tragico errore giudiziario. Tu e i tuoi clienti potete ritenere, in buona fede, che il signor von bulow sia colpevole. Solo due persone al mondo sanno la verità e disgraziatamente una è in coma. L'altra afferma recisamente la sua innocenza. Ti prego di considerare l'ipotesi che tu e i tuoi clienti vi siate sbagliati, e di cooperare al raggiungimento della verità. Se gli appunti non dovessero contenere niente di utile alle proteste di innocenza del signor von Bulow, i tuoi clienti non ne avranno alcun danno. Ma se ci fosse qualcosa che, al mio esame in qualità di suo legale, dovesse rivelarsi utile al raggiungimento della verità sarai certamente d'accordo che avrei il diritto di avervi accesso. Sono a tua disposizione per discutere di questo e di ogni altro punto. Rispettosamente Alan M. Dershowitz Legale di Claus von Bulow La cortese risposta di Kuh - dalla quale non si poteva prevedere il nostro futuro conflitto su questo caso - giunse per posta: Caro Alan che piacere avere tue notizie! Ma che peccato che sia la tragedia von Bulow a farci ritrovare. Dopo che, passato tanto tempo, ho rincontrato Herald Fahringer... adesso , circa un anno dopo, il ciclo si ripete e trovo un altro amico a fianco dello stesso imputato, ormai ritenuto colpevole. Le cose vanno così... Come certamente saprai, date le tue eccellenti credenziali accademiche, privilegi e altre forme di riservatezza possono talvolta impedire che informazioni rilevanti giungano a conoscenza di coloro che non ne vengono autorizzati. Quindi, a volte, la ricerca della verità può venir frustrata dal fatto che qualcuno faccia valere un simile diritto alla riservatezza. Fortunatamente non è questo il caso. Posso assicurarti che non vi è un rigo tra i miei appunti che possa anche lontanamente contribuire a discolpare l'imputato.

Questa sicurezza avvocatesca si sarebbe rilevata infondata. La lettera proseguiva in tono poco conciliante: Il fatto che il signor von Bulow abbai deciso di non testimoniare al processo e di non rilasciare dichiarazioni sul suo comportamento alla lettura della sentenza, ma di dare la sua versione a una certa Barbara Walters - che non cercò di metterla in discussione - e e a una crescente schiera di avvocati che presumibilmente sono stati ben pagati per rappresentarlo, non rende la sua versione, per quanto ben presentata, più credibile. Per passare a cose più piacevoli - e sulle quali possiamo più facilmente trovarci d'accordo - ti faccio le mie congratulazioni. Alan, per il tuo recente e godibilissimo libro. Mi ha trovato così entusiasta che ne ho inviate due copie ad amici. Un giorno se ci incontreremo per la vicenda von Bulow o, preferibilmente, per una chiacchierata, ti chiederò una dedica sulla mia copia. Sinceramente Richard H. Kuh Ci saremmo invece scontrati in un'aspra battaglia giudiziaria, e quella dedica non me l'ha mai chiesta. Non mi aspettavo veramente che Kuh mi facesse vedere i suoi appunti solo perché glieli chiedevo. Ma pensai che questo era in ogni caso un passo che andava fatto. Avevo però anche pensato che se veramente non ci fosse stato niente che avrebbe potuto essermi utile, se cioè gli appunti fossero stati assolutamente in linea con le deposizioni dei testimoni, allora forse me li avrebbe potuti dare per evitare il rischio di un nuovo processo fondato su appunti privi di valore. Ciò avrebbe fatto risparmiare tempo a entrambi. Dopo aver ricevuto la lettera di Kuh, inoltrammo una richiesta alla Corte Suprema per chiedere che a Kuh venisse ordinato di rendere accessibili i suoi appunti. Chiedemmo alla corte di esaminare questa richiesta prima dell'appello, dato che gli appunti avrebbero potuto contenere informazioni rilevanti su altri punti della richiesta d'appello. Anche in questo caso, avevo poche speranze che la Corte Suprema del Rhode Island fosse disposta a considerare il caso in maniera frammentata, ma volevo che fosse chiaro - e lo fosse il più presto possibile - che le nostre proteste di innocenza erano serie. Volevamo perfino che la corte prendesse visione di prove che non avevamo ancora visto. Il nostro atteggiamento non mirava dunque all'esclusione di prove, ma a rendere accessibili elementi che non lo erano stati finora. La corte rifiutò di prendere in considerazione la questione degli appunti di Kuh separatamente dagli altri elementi del ricorso, ma eravamo comunque riusciti a impostare la nostra posizione interamente sulla teoria dell'innocenza. Avremmo usato l'argomento degli appunti di Kuh come filo conduttore e cornice per il nostro ricorso contro la condanna di Claus von Bulow. Una delle ragioni della nostra insistenza su questi appunti è che, mentre stavamo preparando la domanda di ricorso, stavamo ricevendo informazioni, da fonti piuttosto insolite, tali da rafforzare il nostro sospetto che gli appunti di Kuh potessero contenere informazioni utili. 9. ALTA SOCIETÀ Le prime novità arrivarono quando lo scrittore Truman Capote lesse il verdetto. Capote aveva l'aspetto di un cherubino quasi sessantenne. Uno dei più dotati scrittori americani del secolo, aveva trascorso gran parte della sua via tra quella che si è solito chiamare "la bella gente" dell'alta società di cui parlano i giornali. Incontrai per la prima volta Capote una calda domenica del maggio 1982. L'avevo chiamato dopo aver letto una sua breve intervista a "People" a proposito della sua lunga amicizia con Sunny Crawford, che aveva conosciuto prima che diventasse la signora von Bulow. durante la nostra conversazione dal telefono Capote mi disse di essere rimasto colpito dal fatto che la vera vita di Sunny fosse rimasta nel buio durante il processo. Gli chiesi come faceva lui a conoscere questa vera vita e mi rispose che conosceva Sunny da trent'anni, anche se non aveva mai incontrato il suo attuale marito, Claus. Ci accordammo per incontrarci a New York per discutere della faccenda. La storia che Truman Capote mi raccontò a proposito di Sunny era in stridente contrasto con quanto era emerso dalle testimonianze. Me la raccontò con la sua voce acuta e cantilenante, ma quello che mi disse mi fece totalmente dimenticare l'effetto sgradevole della sua voce. Registrammo la storia così come ci fu raccontata e questa storia, la verità dello scrittore che non venne mai resa pubblica in nessuno dei due processi, presenta un lato inedito di Sunny. Capote venne presentato perla prima volta a Sunny Crawford da una famosa donna di mondo, C.Z. Guest, il cui marito Winston, oltre a essere cugino di Churchill, era un noto cavallerizzo e giocatore di polo. Sunny, quando incontrò Truman Capote alla villa dei Guest a Old Westbury, Long Island, era una giovane donna timida. La villa, chiamata Templeton, era un edificio in marmo bianco, luogo di ritrovo del bel mondo. Truman e Sunny fecero una passeggiata e si accordarono per una colazione al Colony Restaurant alcune settimane dopo. Capote si ricordava che si erano seduti nell'angolo lontano del bar "sotto un televisore che non funzionava mai". A quell'epoca Capote stava lavorando al suo colazione da Tiffany. Anemico ed esaurito, aveva cercato aiuto da un "santone" di nome Max Jacobson, che in seguito venne accusato di aver prescritto psicofarmaci in eccesso. Jacob gli praticava ogni giorno delle iniezioni di vitamina B12. Durante questa colazione con Sunny, la discussione scivolò sui rispettivi problemi di peso e quindi su droghe e medicine varie. Poiché Capote si lamentava che le sue quotidiane visite dal medico interrompevano il suo lavoro. Sunny gli chiese perché le iniezioni non se le facesse da solo. "E'la osa più semplice del mondo", disse, "una volta imparata non è un problema ." Truman esitava, ma Sunny insistette: "Ti insegnerò io come fare". Uscirono dal Colony e si incamminarono lungo la Cinquantasettesima finché non arrivarono a un drugstore poco dopo il Sutton Theater. Lì comprarono dell'acqua distillata, perché Sunny preferiva usare quel liquido per le iniezioni. Nell'appartamento di Truman, Sunny prese dalla sua borsa un borsellino nero. "Era un borsellino di coccodrillo nero, di una ventina di centimetri e largo cinque, chiuso con una cerniera lampo." Sunny lo aprì e al suo interno vi erano "delle siringhe ipodermiche usa e getta".(A questo punto chiesi a Capote se quelle siringhe, allora, fossero già in uso. Mi spiegò che non intendeva usare un termine tecnico, ma che alludeva semplicemente a siringhe che potevano essere facilmente contenute in un borsellino.) Sunny prese una delle siringhe e si arrotolò la manica della giacca che portava su una camicetta e disse: "In genere l'iniezione la faccio all'anca, ma credo sia meglio", aggiunse ridendo, "che ti insegno come farla nel braccio": Sunny si praticò quindi un'iniezione al braccio sinistro. Dando poi una siringa a Truman cercò di insegnargli come fare. "Ma proprio non potei farlo", proseguì Capote, "e tentammo varie volte finché il mio braccio sanguinò e io mi innervosii..." Alla fine rinunciarono al tentativo. "Non ho problemi a farmi fare un'iniezione da qualcuno, ma da solo non riesco proprio, mi rende troppo nervoso." Truman disse quindi a Sunny che avrebbe continuato a farsi fare le iniezioni dal dottor Jacobson. Non appena ebbe menzionato questo nome, Sunny disse: "Ma io so tutto di Max Jacobson... Sono andata da lui con Peggy Bedford Bancroft". Peggy, che si era prima sposata con Thomas Bancroft e quindi era diventata principessa di Atenberg e poi duchessa d'Uzes era un'amica di Sunny e una delle eredi dalla Standard Oil." Truman e Sunny continuarono a incontrarsi per colazione nel corso degli anni; i loro ristoranti preferiti erano La Petite Marmite, Quo Vadis e Antolotti. La conversazione in genere ruotava introno a farmaci, medici e problemi di peso. A Truman Sunny piaceva perché gli ricordava sua madre. Truman fece effettivamente conoscere sua madre a Sunny e fecero amicizia. (La madre di Capote divenne un'alcolizzata, trascorreva gran parte del suo tempo a letto e alla fine si suicidò.) Sunny e Capote si iniettarono stupefacenti insieme in diverse occasioni. "Aveva con sé una borsa, non sempre la stessa, e nella borsa un astuccio con il necessario per le iniezioni e delle pillole." Capote ebbe occasione di vederla mentre si iniettava delle droghe: "Certo che ho visto della droga, le la usava su se stessa e su di me. Prendeva la fiala del dottor Jacobson dal cassetto e se la iniettava". Diceva che si trattava di un miscuglio di anfetamine e di vitamine. "E'da un pezzo che mi inietto anfetamine", affermava in tono spavaldo. Truman e Sunny si incontrarono per l'ultima volta all'inizio dell'inverno del 1979, poche settimane prima del primo coma, Capote era appena uscito dal dentista quando incontrò Sunny sulla Medison Avenue. Aveva una pelliccia e portava dei regali di Natale. Camminarono lungo la Madison Avenue chiacchierando e ricordando i bei tempi. Quando si fermarono per un drink al Bemelmaos Bar del Carlyle Hotel erano circa le 3,30 del pomeriggio. Ordinarono il suo drink preferito, un Manhattan fatto col Southern Comfort. Parlarono di libri e del matrimonio con Claus von Bulow. Truman chiese cosa facesse Claus e lei rispose che lavorava per Paul Getty, ma che anche lui era un buono scrittore. Gli parlò di un pamphlet che aveva scritto su Newport. Truman raccontò a Sunny qualcosa del suo libro, Musica per camaleonti, e come avesse iniziato a sniffare cocaina mentre lo stava scrivendo. Lei disse di aver provato la cocaina qualche volta ma che non le piaceva. Quindi disse a Capote che da un po'di tempo prendeva qualcosa che era "l'esperienza più rilassante e piacevole che si potesse fare, un misto di Demerol e anfetamine da iniettare". Spiegò anche a Truman come avesse l'abitudine di mescolare del Quaaludes in polvere con acqua distillata e anfetamine. Gli rivelò anche un altro segreto circa una droga "assolutamente terribile" chiamata Lotusate - una grossa pillola - e molto difficile da trovare. Sunny raccontò inoltre a Truman di aver scoperto un libro meraviglioso intitolato Recreational Drugs, che descriveva ogni possibile miscuglio di droghe. Capote cercò di procurarsi una copia del libro, ma non vi riuscì perché era una pubblicazione di un oscuro editore della California. Chiamò Sunny dicendole delle sue difficoltà a reperirlo e lei gliene inviò una copia tramite un persona di fiducia. Questa fu l'ultima volta che Capote ebbe contatti con Sunny on Bulow. Poche settimane dopo lei ebbe il suo primo coma, un anno dopo venne ridotta per sempre al silenzio dal secondo. Truman Capote non venne mai a sapere del primo coma di Sunny, come del resto molti altri amici. L'incidente venne considerato dalla famiglia come un problema medico privato, da trattare con discrezione. Capote ebbe invece notizia del secondo coma: "Fui certo che se lo fosse procurata da sola". Capote credeva che i problemi di droga di Sunny fossero un fatto noto alla gente che frequentava. Era certo che sarebbero venuti fuori in un processo che riguardava il suo coma. In quel periodo era occupato in un libro e si trovava in Europa e non credeva di avere informazioni utili che non fossero note anche a molti altri. Fu solo dopo esser venuto a conoscenza con un amico, di farsi avanti. Anche se non aveva mai incontrato il signor von Bulow, "non mi venne neppure in mente che potesse essere il responsabile". Mi incontrai molte altre volte con Truman Capote per discutere di questa storia. Ogni volta lo pregavo di fornirmi altri particolari e di precisare le date. Sembrava avere una memoria eccellente, soprattutto per quel che riguardava gli avvenimenti mondani. Ricordava chi era presente a un certo ricevimento, chi era stato snobbato e chi vi aveva fatto una figura ridicola. I nostri incontri avevano luogo all'ora di colazione in ristoranti come La Cote Basque, posti in cui non ero mai stato prima ma dove Capote pareva essere a casa sua. Tutti lo conoscevano e i camerieri sapevano quali erano i suoi piatti preferiti. Quando parlava dei diversi personaggi era torrentizio. Mai in vita mia avevo sentito tanto parlare di conti, contesse e duchesse, soprattutto di donne. "Amo le belle donne", mi disse, " e loro mi amano." Cosa ancora più importante, sottolineò come "loro si fidano di me, o almeno si fidavano prima di alcune mie recenti pubblicazioni. Ma anche per quelle che sostengo ora che non i confideranno mai più nulla, io sono come una sorella". Credetti di capire cosa voleva dire. Dopo una di queste colazioni mi invitò nel suo appartamento per mostrarmi il libro sulle droghe che Sunny gli aveva inviato. Dopo un'affascinante ricerca nella sua biblioteca, trovammo. Lo fermai mentre stava per prenderlo: "Non lo tocchi. Dovrà essere esaminato per le impronte". Misi il libro in una borsa di plastica e me lo portai via. (Più tardi venimmo a sapere che sulle pagine non venne trovata alcuna impronta.) Chiesi a Capote se era disposto a inoltrare un affidavit e a deporre se necessario. Era molto restio, soprattutto di fronte all'eventualità di deporre. "Pensa che sarei un buon testimone?" mi chiese. "No, non lo credo, ma forse è l'unico testimone che ha visto veramente Sunny praticarsi un'iniezione." Gli spiegai quando potesse essere importante una sua testimonianza, dicendogli che la pubblica accusa aveva affermato nella sua arringa finale che Claus era l'unica persona in quella casa ad aver mai usato una siringa e che "nessun altro aveva mai visto la signora von Bulow col necessario per un'iniezione". "Come hanno potuto crederlo?" sbottò. "Sanno tutti che Sunny era un'esperta di iniezioni. Come ha potuto l'accusa fare un'affermazione del genere?". Capote mi autorizzò a trascrivere la nostra conversazione. "La leggerò e se corrisponde firmerò un affidavit giurando che è la verità." Sulla deposizione era ancora perplesso ma disse: "Se è necessario lo farò". Il racconto di Truman Capote venne immediatamente confermato da C.Z. Guest, la donna che l'aveva presentato per prima volta a Sunny. Confermò l'incontro alla villa e la loro lunga amicizia. Escluse assolutamente che Capote potesse essersi inventato la storia della droga solo dopo aver letto del caso sui giornali: Giurò che in più occasioni Truman le aveva detto che "Sunny, con sua grande sorpresa, era una esperta di iniezioni di droga e di altri intrugli che probabilmente i due si erano drogati insieme". Si ricordava ancora in particolare che una volta, dopo essersi incontrato con Sunny a New York, "Truman Capote disse che A Sunny aveva ancora problemi di droga". Questo conversazioni, disse la signora Guest, coprono un periodo di più anni, e molte di esse "ebbero luogo molto rima che venisse sollevata qualsiasi accusa contro Claus von Bulow". Più tardi - dopo la morte di Capote a cinquantanove anni - la donna nella cui casa morì diede un'ulteriore conferma. Questa donna era Joanne Carson, moglie, tra il 1963 e il 1970, di Johnny Carson. Joanne Carson - da non confondersi con Joanna Carson, terza moglie di Johnny - è una nota nutrizionista che conduce un programma televisivo nazionale. Lei e Capote erano diventati amici nel 1967, dopo essersi incontrati nella casa dello scrittore Bennet Cerf. "Divenne il mio migliore amico e confidente", disse. Si parlavano ogni giorno e vivevano nello stesso edificio alla United Nations Plaza a New York. Le chiesi di raccontarmi di una conversazione che aveva avuto con Capote prima del giorno del Ringraziamento nel 1969. quello che mi disse, e che io ho trascritto, non è mai stato reso noto prima.

Dunque, ho pranzato con Truman quel giorno, e da un po'di tempo mi sentivo giù e una mia amica, Jacqueline Susann, mi aveva raccomandato un dottore che avrebbe potuto darmi delle iniezioni di vitamine che mi avrebbero fatto molto bene, e io parlai di questo appuntamento col medico a Park Avenue, e Truman fu molto spaventato e mi disse che si trattava di un ciarlatano e che quello che mi avrebbe dato non erano vitamine ma qualcosa di più e che una sua amica, Sunny Crawford, era andata da questo dottore per aver delle iniezioni anche lei per la stanchezza ed era rimasta incastrata...

La signora Carson mi disse che Capote le aveva descritto "il borsellino di lucertola o di un altro tipo di pelle con un lampo dove mette le sue siringhe e le boccette". Mi disse che Sunny "si faceva le iniezioni su un fianco". La signor Carson aggiunse che "questo pensiero mi spaventò perché io odio gli aghi e persi l'appetito". Gli disse: "Bel colpo, non solo mi hai rovinato pasto, ma ora non ho più neppure un medico dove andare": Chiesi a Joanne Carson come potesse essere così sicura chela Sunny Crawford di cui sentì parlare nel 1969 fosse la stesa persona che ora si trova in coma. Joanne mi disse che ne era assolutamente certa perché , dopo la morte di Natalie Wood, Truman Capote la mise ancora in guardia sui pericoli di una overdose: "Sta'attenta . Ti ricordi che anni fa ti avvertii di non farti incastrare da un dottore, stai in guardia con le droghe. Può capitarti un'overdose come a Sunny, che probabilmente morirà, proprio come Natalie". Pensava che Sunny si fosse iniettata qualcosa nel tentativo di uccidersi. Mi disse: "Tutt'e due queste mie piccole care amiche hanno tentato di uccidersi", perché in quel momento - era il giorno della notizia di Natalie Wood - pareva che anche lei si fosse suicidata.

Joanne mi disse anche che, mentre stava preparando il suo Ph. D. in biochimica e fisiologia, Truman le aveva chiesto se poteva "scoprire cosa erano queste pretese iniezioni di vitamine che la sua amica Sunny si faceva". Chiesi a Joanne se avesse discusso con Truman dell'opportunità di divulgare queste informazioni su Sunny. Mi disse: Io gli dissi: "Truman, se sai qualcosa su questa faccenda, devi contattare qualcuno e dirlo", e lui mi rispose: "Oh, non voglio certo farmi coinvolgere in una storia come questa", e io: "Ma è in gioco la libertà di un uomo. Se sai qualcosa, non so la procedura, ma devi andare da qualcuno e dirlo".

Anche se né lei né Truman avevano mai conosciuto Claus von Bulow, cominciarono a interessarsi molto alla possibilità di riparare all'ingiustizia che gli era stata fatta. La notte prima della sua morte nella casa di Hollywood di Joanne Carson, Truman e Joanne avevano parlato del caso e della decisione di Truman di sottoporsi a quello che sapeva sarebbe stato un imbarazzante controinterrogatorio sulla sua vita privata e le sue abitudini. Non è possibile che il racconto di Capote sia stato costruito dopo i fatti, a meno che sia la signora Guest sia la signora Carson abbiano mentito. Inoltre vi erano molti particolari - alcuni dei quali, compresa l'amicizia tra Sunny, Capote e la Guest, potevano essere controllati indipendentemente - che lo rendevano plausibile. Fui anche colpito da ciò chela storia non diceva. Non si faceva alcuna menzione dell'insulina. Se Capote avesse voluto inventare una storia per aiutare Claus von Bulow, certamente vi avrebbe messo dentro anche Sunny coll'insulina o almeno avrebbe detto di averne sentito parlare da lei. Truman Capote non era Joy O'Neill. E il racconto di Capote non era neppure molto indulgente nei suoi stessi confronti. Nella sua storia Capote non si riserva la parte dell'eroe, sembra piuttosto uno spettatore impotente delle abitudini autodistruttive di Sunny. Mia madre che assistette a uno dei miei incontri con Capote mi diede il parere di una donna qualsiasi: "Non posso sopportare il suo modo di parlare. Sembra una delle mie compagne di canasta. Ma perché dovrebbe aver mentito? Non mi piace, ma gli credo". Tutto sommato, la cosa sembrava credibile e non solo a me o a mia madre, ma anche ad altri avvocati che lessero e controllarono il racconto. E se questa storia era vera, allora Clarendon Court sarebbe stato un perfetto scenario per un ramake reale di Alta società. vi era però un aspetto ancora da chiarire, come osservò lo stesso Capote. Tutta questa droga Sunny dove se la procurava? Non era certamente tipo da comprarla per strada. e nessun medico - neppure un ciarlatano - le avrebbe prescritto la quantità e la varietà di droghe di cui sembrava fare uso. nel periodo in cui Capote mi stava fornendo le sue informazioni, un altro testimone stava però dandoci qualche risposta a questo interrogativo. Il suo nome era David Marriott. Lui e Capote non si erano mai incontrati, e neppure erano a conoscenza l'uno del racconto dell'altro quando decisero di parlare. Ma le loro storie coincidevano in modo così perfetto da sembrare la sceneggiatura di un film. 10. IL PRINCIPE, LO SPACCIATORE E IL PARROCO David Marriott è un ragazzo alto, biondo e di bell'aspetto, ora poco meno che trentenne. Nato in un sobborgo a nord di Boston chiamato Malden, si è diplomato alla Malden High School nel 1976 e ha lavorato poi in diverse tipografie dei dintorni. Viveva con sua madre in una casa del valore di circa 100.000 dollari presso Wakefield. anche se non aveva avuto un'educazione completa, Marriott sembra, e in certi casi si veste come, un giovane perbene, con jeans e camicie firmate. In altre circostanze però, il suo abbigliamento è costituito da pellicce e gioielli vistosi. Comunque si vesta, porta sempre occhiali scuri che fanno pensare che abbia qualcosa da nascondere. I suoi vicini lo descrivono come un ragazzo simpatico, di quelli che curano il prato e sono sempre gentili. Solamente li stupisce la sua abitudine di girare in limousine prese a nolo. Ma lui sostiene che, dato che suo padre usa limousine per la sua attività di pompe funebri, la famiglia ha degli amici nel settore. L'episodio di Marriott - che fece molto scalpore - mostra quanto sia difficile per un avvocato decidere se fidarsi di promesse di rivelazioni da parte di una fonte discutibile. A quanto i disse Claus, alcuni giorni dopo che la corte ebbe emesso il suo verdetto di colpevolezza, Marriott lo chiamò nel suo appartamento della Fifth avenue e, senza rivelare il proprio nome, gli chiese se era interessato ad avere informazioni sul fatto che Alexander von Auersperg aveva ricevuto droga e materiale per iniezioni. claus disse che la cosa gli interessava. La voce disse che avrebbe richiamato. Quando lo fece, combinarono un incontro - alla presenza di Herald Fahringer, allora ancora avvocato do Claus - a Newport, allo Sheraton Islander, il 2 aprile 1982. Marriott venne con sua madre, che rimase fuori mentre lui raccontava a von Bulow e a Fahringer la storia della consegna di droga ad Alexander von Auersperg. Pochi giorni dopo quest'incontro, Marriott ritelefonò a von Bulow e gli disse di aver ricevuto una telefonata minatoria, "Non voglio avere più niente a che vedere con lei o con la usa storia" disse a Claus e riagganciò. Dopodiché scomparve semplicemente e per mesi non ci furono altri contatti. Claus mi raccontò questa storia poche settimane dopo che mi ero assunto l'incarico dell'appello. Io gli dissi che la storia poteva essere importante a patto che fosse vera, ma avremmo dovuto essere estremamente cauti sulla sua plausibilità prima di farne uso. "Una Joy O'Neill è già abbastanza." Inoltre non avevo intenzione di mettere a repentaglio la reputazione di qualcuno senza solidi riscontri perle accuse implicite nelle rivelazioni. Assoldammo quindi un investigatore perché ci fornisse informazioni complete su Marriott. Alla fine, dopo aver sfruttato ogni pista senza dovergli parlare direttamente, decisi di telefonargli. Presi la precauzione, come faccio di solito, di avere un testimone al mio fianco. Marriott sembrava restio a parlare per telefono, ma mi confermò che aveva qualche informazione su della droga consegnata ad Alex. Gli chiesi se potevamo incontrarci; rispose di si, ma "a patto che lei sia solo e senza registratori". Accettai le sue condizioni con qualche esitazione. Non è piacevole incontrarsi da solo con uno spacciatore, ma non avevo molta scelta. Chiesi al nostro investigatore privato, che porta sempre con sé una pistola, di portarmi alla casa di Marriott a Wakefield. Lui avrebbe aspettato in macchina, e se non fossi rientrato entro un'ora o avesse notato qualcosa di strano, sarebbe venuto a cercarmi. Bussai alla porta della casa di Marriott alle 7 del pomeriggio del 17 gennaio 1983. La signora Marriott, la madre di David, si presentò. Era una donna di mezza età con gli occhiali e i capelli chiari e sembrava un po'spaventata. Ci guardammo imbarazzati finché non entrò David. Mi portò in una stanza nel seminterrato. La stanza aveva una spesa moquette ed era piena di cianfrusaglie di ogni genere. Ci sedemmo l'uno di fronte all'altro. "Ha qualcosa che possa identificarla?" mi chiese. Tirai fuori il mio portafogli e anche un paio di articoli che descrivevano il mio ruolo nel caso von Bulow. All'inizio sembrò restio a parrlare: "Non voglio avere guai con la legge, perché le informazioni che posso darle possono incriminarmi.". Gli dissi che era certamente un elemento importante e gi chiesi se avesse parlato con un avvocato. "Si, ho parlato con qualcuno nel North Shore. E'un uomo politico e un avvocato. Mi ha detto di parlare pure con lei, ma solo per delle informazioni. Di deporre o di qualcosa del genere non se ne parla neppure." Questa eventualità lo rendeva chiaramente nervoso: "Possono tagliarmi la gola o farmi saltare la testa", disse con una mimica appropriata. "Quello che ho da dire coinvolge alcune persone piuttosto importanti nel giro della droga." Non aspettò nessuna risposta, improvvisamente si mise a raccontare la sua storia, mentre parlava, prendevo appunti.. Marriott cominciò con calma, con frasi rapide e brevi, fermandosi dopo ognuna per vedere che effetto facevano su di me. Cominciò a parlarmi della sua amicizia con un decoratore di interni di nome Gilbert Jackson. Jackson era un travestito che indossava spesso vistosi abiti femminili - gioielli, pellicce, eccetera - ed era ben noto in certi ambienti gay. Jackson e Marriott andavano talvolta a Newport per divertirsi. Una sera dell'estate 1977, Marriott incontrò un ragazzo di nome Alex in un locale sul lungomare. Gilbert conosceva Alex e questo incontro era stato ovviamente combinato. Gilbert presentò David ad Alex e quindi gli diede un pacchetto, dicendo che si trattava di "un regalo". In questa occasione non vennero pronunciati cognomi. Poche settimane dopo i tre si incontrarono ancora. Mangiarono insieme in un ristorante di Newport a Thames Street, dopodiché Jackson consegnò ad Alex un altro "regalo". Questa volta Jackson disse qualcosa di più su Alex. Era un riccone che frequentava una qualche scuola, ma passava l'estate a Newport. Viveva in una bella casa che era stata decorata da uno degli amici di Jackson. Jackson disse il suo cognome: qualcosa come "Owrsberg". David qualche volta andava a Newport da solo per passare la serata in città. Diverse volte Gilbert gli chiese di portare regali ad Alex, cosa che lui fece. Chiesi a David se sapesse di che regali si trattava, David sorrise e disse che, dato che Alex era un giovanotto attraente, aveva pensato che fossero solo regali di tipo affettivo. David disse di aver portato questo genere di regali ad Alex una mezza dozzina di volte durante due estati. David cominciò a insospettirsi quando notò come in varie occasioni Alex fosse molto circospetto. Una volta si nascose dietro alcune macchine in un parcheggio quando vide passare per Bellevie Avenue una macchina che forse apparteneva a qualcuno che lo conosceva. Durante l'estate del 1978, Gilbert chiese a David di portare un pacco ad Alex. David chiamò Alex per combinare un appuntamento. A questo punto interruppi la conversazione e chiesi a Marriott dove avesse trovato il numero di Alex. Rispose che glielo aveva detto Gilbert. "Hai ancora questo numero?" "Forse", rispose e salì le scale. Tornò pochi minuti dopo con due rubriche telefoniche: una era una scatola di plastica con un indice alfabetico, l'altra un quadernetto giallastro. Cercò sotto Alex e mi lesse tre numeri, che copiai. Marriott riprese il suo racconto. Alex gli chiese di portargli il pacco a casa, a Clarendon Court, ma di usare l'entrata sul retro che dava su una piccola strada. Quando arrivò, il maggiordomo gli disse che Alex era fuori. David ritornò in macchina, parcheggiò nella strada laterale e aspettò. I suoi sospetti erano aumentati e decise di esaminare che cosa conteneva il pacchetto. Era legato con dello spago. David lo slegò e lo aprì. Si spaventò quando vide il suo contenuto: siringhe ipodermiche aghi, una borsa di plastica con un polverina bianca, una boccetta di Demerol e diverse pillole e capsule. Richiuse in fretta il pacchetto cercando di dargli l'aspetto originario. Ritornò in fretta a Clarendon Court e suonò nervosamente. questa vola venne ad aprire una donna, bella, anche se un po'matronale, coi capelli biondi. David cominciò a farsi prendere dal panico e cercò di nascondere il pacco che aveva con sé, ma la donna lo notò e disse che Alex stava aspettando un pacco e le aveva detto di ritirarlo. Sollevato perché riusciva a liberarsi del pacchetto, ma confuso per l strana piega che gli avvenimenti avevano preso, David consegnò l'involucro e tornò alla sua macchina. Sei o sette settimane dopo quest'episodio, Gilbert Jackson chiese a David di consegnare ad Alex un altro pacchetto. David non sapeva cosa fare, così prese il pacchetto e telefonò ad Alex per combinare un incontro. Andò a Newport tremando per il nervosismo. Questa volta non vi erano dubbi sul contenuto del pacchetto e su quello che David stava facendo. Alex lo stava aspettando vicino a un supermarket. David gli chiese di entrare in macchina e gli disse: "Apri il pacco". "Non qui", gli rispose Alex. "So benissimo cosa c'è dietro. Ho visto quello che c'era nell'altro pacco." Alex si arrabbiò. "Cosa vuoi farmi credere? che non sapevi quello che stavi facendo? Che vuoi, ricattarmi?" David lo rassicurò che non ne aveva l'intenzione, voleva solo vederci chiaro in questa storia e sapere cosa esattamente vi era nel pacco. I due si piegarono nella macchina quando Alex lo aprì. David vide talmente tanti tipi di droga e aggeggi che disse: "E'un mucchio di roba per una sola persona". Chiese ad Alex se ne rivendeva una parte. Alex rispose "No, ne do un po'a mia madre per levarmela di torno". Chiesi a David se gli fosse mai stato dato del denaro da Alex dopo aver consegnato i pacchetti, e mi disse di no. Delle questioni finanziarie si occupava direttamente Jackson. David non sapeva come comportarsi con Jackson. Cercava di evitarlo. aveva paura di rispondere al telefono perché temeva di venir incaricato di un'altra consegna. Non voleva diventare un corriere di droga a tempo pieno. A questo punto David cominciò a soffrire di dolori acuti all'addome. Andò da un medico che gli diagnosticò un'appendice acuta. Venne quindi ricoverato d'urgenza all'ospedale e operato. Ma anche durante la convalescenza non poteva fare a meno di pensare ad Alex e Gilbert. Cosa gli avrebbero chiesto di fare la prossima volta? E quanto tempo sarebbe trascorso prima che lo catturassero? Come uscirne, ora che si era lasciato coinvolgere nel traffico di droga? Ma il problema svanì improvvisamente come si era presentato; Gilbert Jackson venne ucciso con dei colpi alla testa da due uomini provenienti da Lynn, Massachusetts, mentre David era ancora in ospedale. Il suo corpo venne trovato imbavagliato, legato e con segni di percosse. Il suo appartamento era stato messo a soqquadro. La morte di Jackson non aveva però risolto tutti i problemi di David o di Alex. Qualche giorno dopo l'omicidio, Alex cominciò a chiamare David a casa. Rispose sua madre ed Alex le chiese se sapeva qualcosa della morte di Jackson. Alex chiamò poi Marriott in ospedale e parlarono dell'omicidio. Alex era terrorizzato: "Indagheranno su tutti quelli che conosceva?" chiese. "Pensi che ci saranno guai?" David non sapeva cosa rispondere, ma anche lui era preoccupato. Alla fine la polizia arrestò i due del Massachusetts in qualche parte del Kentucky. Entrambi confessarono e vennero condannati a lunghe pene detentive. David disse che non vide mai più Alex. E non vi pensò più fino all'inizio del 1992, quando la foto di Alexander von Auersperg cominciò a comparire regolarmente sui giornali in connessione col caso von Bulow. David si spaventò nuovamente. Capì che poteva essere testimone di fatti importanti per il processo, ma capì anche che lui stesso poteva essere accusato di qualche crimine. C'era poi la questione della sua vita, della sua amicizia con Gilbert Jackson, delle sue abitudini particolari, del suo passato non proprio irreprensibile. Non voleva che tutto questo saltasse fuori. E soprattutto non voleva finire in prigione per aver consegnato anni prima della droga. Così, semplicemente, se ne stette zitto, cercando di non far troppo caso agli avvenimenti dei quali parlava tutta Newport, Ma alla fine, per ragioni che si rifiutò dispiegare, decise di chiamare von Bulow.

Questo il succo della storia che mi raccontò David Marriott. L'ascoltai con un misto di interesse e scetticismo. La ragione dell'interesse è evidente: se la storia fosse stata vera, avrebbe demolito una parte importante della tesi dell'accusa. L'informazione avuta da Capote era naturalmente molto più importante, dato che, anche in questo caso, se vera, avrebbe dimostrato che Sunny era esperta di iniezioni. Prese insieme, le due storie fornivano una spiegazione esauriente dei coma. Al processo l'accusa aveva insistito sul fatto che solo Claus von Bulow in quella casa era esperto di aghi, siringhe e iniezioni. L'accusa aveva anche affermato che non vi era "alcun indizio che Alexander sapesse usare aghi e siringhe". Ma ecco che compare un testimone che afferma di avere personalmente consegnato siringhe, aghi e droghe iniettabili a casa von Bulow, proprio un anno prima del primo coma di Sunny. Inoltre le nuove affermazioni provenienti da Marriott - indipendenti, ma che collimavano con quanto aveva detto Capote - risolvevano anche il problema di dove un'elegante signora di Newport si fosse procurata le deroghe e l'attrezzatura che usava abitualmente. Le ragioni del mio scetticismo hanno a che vedere più con il mio carattere che con quello che all'epoca sapevo di Marriott. Per natura, e per esperienza come avvocato che difende accusati in genere colpevoli, sono uno scettico. La storia di Marriott conteneva certi indizi che la rendevano plausibile. Alcuni dettagli erano difficili da inventare, e inoltre era coerente con quanto detto da un uomo a lui sconosciuto. Ma sembrava quasi troppo bella per essere vera. Era proprio quello che avremmo voluto sentirci dire! O meglio, quasi quello che avremmo voluto sentirci dire. Come nel caso di Capote, sarebbe stata più teatrale, ma anche più sospetta, se Marriott avesse visto insulina tra le droghe che consegnava. Ma l'insulina è una droga che si vende normalmente, solo le siringhe richiedono una ricetta. Dato che la storia era così perfetta, dovevo sottoporla a una verifica molto severa, a un controinterrogatorio serrato, prima di prendere inconsiderazione l'idea di usarla. Mettendomi nella parte dell'accusa, feci ricorso ad ogni trucco del mestiere , non esclusi alcuni ai quali non mi sarei mai sognato di ricorrere in aula, per scoprire le falle del suo racconto. Giocai d'astuzia: "David, chi credi di rendere in giro? Alex e sua madre erano in Europa durante l'estate del 1977. I fatti di Newport che hai raccontato non possono essere accaduti". Marriott insistette con la sua versione, aggiungendo anche altri particolari sui vari momenti di quell'estate in cui si verificarono i fatti. Gli dissi che sarebbe stato accusato di essere uno spacciatore, un uomo da marciapiede, un ladro e un bugiardo. Gli feci ripetere la storia una dozzina di volte, ogni volta in ordine diverso. Rimase irremovibile, diventando sempre più preciso ogni volta. Provai i numeri telefonici che Marriott aveva trovato nella sua rubrica. Erano quelli di Alex. Uno era quello di Clarendon Court, l'altro quello dell'appartamento nella Fifth Avenue. Mi stavo convincendo sempre più della veridicità della storia, ma ancora non bastava. Dovevo essere assolutamente sicuro che stesse dicendo la verità prima di ricorrere a lui. Ma non era sufficiente che fossi convinto io, Io non ero né il giudice né la giuria: ero parte in causa. Era essenziale che osservatori esterni - giudici e giurati - fossero convinti che David non si era inventato tutto. E Marriott non era certo il testimone ideale. David Marriott non sarebbe affatto piaciuto alla giuria. La sua stretta amicizia con un notorio travestito e spacciatore di droga avrebbe certamente sollevato parecchi interrogativi sui suoi gusti sessuali e sui suoi rapporti con gli stupefacenti. La sua affermazione di non sapere cosa ci fosse nei pacchetti poteva essere accolta con scetticismo, a essere ottimisti. E il fatto che non avesse un impiego stabile avrebbe sollevato dubbi sul suo comportamento complessivo. Infine, questa sua decisione di intervenire, con grandi rischi personali, in difesa di un uomo ricco, avrebbe sollevato il sospetto che fosse stato pagato. L'accusa ricorre spesso - pagandoli - a testimoni anche più loschi di Marriott; truffatori, spergiuri e assassini. Ci si giustifica col vecchio detto "Se cerchi di incastrare il diavolo, i testimoni devi cercarli all'inferno". Avrei potuto dire, a mia volta, che se volete prove su traffici di droga, allora dovete cercare testimoni che abbiano a che fare con questo mondo. Ma questo tipo di argomenti funziona molto meno bene per la difesa che per l'accusa, e in questo caso ebbi l'impressione che non avrebbe funzionato per niente. Decisi provvisoriamente che,. malgrado l'importanza delle informazioni di Marriott, non avrei potuto usarlo come testimone, senza elementi che confermassero la sua storia. Inoltre, Marriott non era affatto disposto a testimoniare. Fino a questo momento tutto quello che faceva era dare soffiate e un qualche appoggio investigativo. Non ebbi contatti con Marriott per i mesi seguenti poiché ero molto impegnato a lavorare sulla richiesta di revisione, ma egli parlò e si incontrò con Claus von Bulow e con Andrea Reynolds diverse volte per discutere delle sue informazioni. Claus mi disse che, durante una di queste conversazioni, Marriott aveva detto di aver rivelato a un prete la storia della consegna della droga all'epoca stessa in cui avveniva. Claus aveva insistito per avere il nome del sacerdote, ma Marriott non l'aveva rivelato. Una conferma da parte di un religioso sarebbe stata fondamentale per due ragioni: se David aveva veramente raccontato la storia die anni prima che Sunny von Bulow entrasse per la prima volta in coma, era evidente che non poteva essersela inventata dopo aver letto del processo. E un giudice e una giuria, anche se potevano non avere simpatia per Marriott e non erano disposti a credergli, avrebbero sicuramente prestato fede a un sacerdote. Secondo la letteratura giuridica, il parroco è il testimone perfetto. Quando Claus mi disse del prete, chiami Marriott e gli chiesi il nome ottenendo però un deciso rifiuto. "Non voglio coinvolgere il prete", continuò a dire. "Ma così ti metti nei guai", insistetti, "sai quello che faranno di te quando ti troverai sul banco degli imputati, senza la conferma del sacerdote? Ti faranno a pezzi. Ti faranno passare per un bugiardo prezzolato." "Ma io dirò loro la verità e dirò anche di averlo detto a un prete" insistette David. "Questo peggiorerà solo le cose", gli replicai. "Se dirai alla giuria che c'è di mezzo un sacerdote e poi ti rifiuterai di dire chi è, saranno assolutamente persuasi che ti sei incentrato tutto. Te la faranno pagare ancora di più per aver coinvolto un religioso nelle tue bugie." Perché David insisteva nel suo rifiuto di rivelare chi fosse il sacerdote, cominciai a farmi domande su tutta la faccenda. Perché non voleva coinvolgere il prete? C'era qualcosa che non mi aveva detto? Gli feci queste domande, ma lui tenne duro nel suo rifiuto, diventando sempre più vago sui motivi del medesimo. Alla fine gli dissi: "Senti ne sei fuori. Useremo le informazioni che ci hai dato per arrivare ad altri testimoni, ma non posso mandarti sotto giuramento o farti deporre". David era furioso: "Se non mi crede, perché non mi sottopone al test della macchina della verità?" mi chiese con tono di sfida. Io nutrivo scarsa fiducia nel polygraph e solo in certe situazioni, e raramente, vi facevo ricorso nei miei casi. Ma Marriott ci aveva sfidati e, dopo averne parlato con Claus, accettammo. Joann Crispi si procurò un lie-detector affidabile per il testo all'inizio dell'estate del 1983. Ma, prima di sottoporsi al test, Marriott insistette perché Claus firmasse un documento con promessa di non rivelare il suo nome senza il suo permesso. Accettammo e l'accordo fu raggiunto. Come ci aspettavamo, i risultati del lie-detector furono ambigui. Marriott stava nascondendo, come sapevamo, diverse cose del suo racconto, e, alla luce di questo fatto, il tecnico ci disse che "l'esame non conferma le risposte", ma che occorreva considerare a che alcuni elementi e fatti rilevanti erano stati taciuti e quindi il risultato non significava necessariamente che Marriott avesse mentito. Dissi ancora a marriott che non avremmo usato come testimone, anche se avremmo apprezzato ogni informazione che ci avesse dato, soprattutto il nome del sacerdote do di chiunque altro potesse confermare le sue affermazioni riguardo ad Alexander. Anche senza le testimonianze del religioso, vi erano vari motivi di utilizzare le informazioni di Marriott. Potevamo sperare di trovare qualcuno assolutamente affidabile - o almeno più affidabile di David - che potesse confermare la sua storia. Ma noi non sapevamo neppure se un tale testimone esistesse; nel racconto di David si parlava solo di Alexander von Auersperg e di Gilbert Jackson, che era morto. Marriott aveva lasciato intravedere qualcosa circa altri personaggi che avrebbero potuto confermare la sua storia, ma si trattava di allusioni vaghe che avevano un significato solo per lui. Rivolgemmo la nostra attenzione su Jackson, indagando su tutti coloro che lo avevano frequentato. Mio figlio, Jamin, che aveva lavorato in un'agenzia investigativa, controllò tutte le notizie che riferivano del suo omicidio. Riuscimmo a ottenere copie dei rapporti di polizia e parlare con funzionari e avvocati che si erano occupati delle indagini e del processo. tutto quello che riuscimmo a trovare coincideva con la storia di Marriott, ma niente e nessuno comprovava direttamente la specifica consegna di droga che ci interessava. Questo naturalmente era normale: in genere gli spacciatori non hanno l'abitudine di rilasciare ricevute. David ci aveva detto che, in seguito all'assassinio di Jackson, Alexander aveva espresso il timore che la polizia potesse trovare qualcosa che lo collegasse a lui. Ci chiedemmo se la polizia avesse trovato effettivamente qualcosa, po, in caso contrario, se potevamo trovarla noi. L'assassinio aveva però avuto luogo cinque anni prima, e ormai le tracce erano quasi scomparse. In realtà le tracce non erano state seguite molto a fondo neanche allora, dato che i sospetti si erano dichiarati colpevoli poco dopo la loro cattura. Il risultato di questa confessione fu di impedire indagini approfondite. Mentre eravamo impegnati a trovare conferme alla storia di Marriott, ricevetti una strana telefonata. La voce al telefono, che rifiutò di declinare il suo nome, disse di avere informazioni che potevano essermi utili per il caso von bulow. Non era la prima telefonata che ricevevo con offerte di aiuto. Mi avevano telefonato alcuni medium che potevano parlare con Sunny e rivelare com'erano andate veramente le cose, un esperto di agopuntura che poteva farla uscire dal coma, donne che si offrivano di scontare la pena al posto di Claus, e vari testimoni che avevano "visto" Sunny, talvolta di persona, talvolta in sogno, iniettarsi insulina. Una testimone dichiarò di essere Sunny von Bulow e che la donna in coma era un'impostora che le aveva rubato Claus. Era stata lei, non Claus a tentare di uccidere l'impostora, e con ottime ragioni. Ma ora era pentita e voleva riconsegnarsi e riavere Claus. In genere, poche domande bastavano a smascherare la menzogna, ma a volte facevamo controlli più approfonditi. Alcune delle telefonate, inclusa una di un anonimo di Newport, fornirono anche informazioni utili. Quest'ultimo informatore mi sorprese dicendomi: "Ho saputo che è interessato a Gilbert Jackson". Non avevo la minima idea di come facesse a saperlo, dato che avevamo indagato piuttosto discretamente. "Sa quale bomba ha tra le mani?" chiese in tono sinistro. Gli chiesi come fosse venuto a conoscenza del mio interesse per Gilbert Jackson. Il mio primo sospetto fu che la telefonata fosse stata organizzata da David Marriott per darsi credibilità. L'uomo al telefono non fece nulla per allontanare i miei sospetti. "Ho le mie fonti di informazioni come voi avete le vostre", disse, " e ora lasciamo stare quest'argomento. Voglio metterla in guardia, perché ho il massimo rispetto per lei come avvocato; Jackson era solo un pesce piccolo, dietro di lui c'era un'organizzazione molto più grande e spietata. Quello non è stato l'unico omicidio. "Gli chiesi di spiegarsi meglio e mi disse che l'avrebbe fatto, ma solo di persona. Mi diede un indirizzo e mi disse di incontrarlo nell'ufficio al terzo piano quel pomeriggio stesso. gli chiesi se potevo portare con me un mio assistente per prendere appunti. (La mia richiesta era motivata dalla paura tanto quanto dal bisogno effettivo.) Mi disse che andava bene, purché non fossimo armati e non avessimo con noi registratori. Gli studenti che assistevano in quel momento per il caso von Bulow erano entrambi intellettuali perbene, provenienti da famiglie perbene. Si piò quindi immaginare la loro sorpresa, e la mia, quando arrivammo all'indirizzo che ci era stato dato e ci trovammo in una sauna per omosessuali piena di agenti di borsa, dirigenti, manager e altri professionisti. Eravamo tutti piuttosto nervosi mentre attraversavamo la zona dei bagni col caratteristico odore di spogliatoio e gli interni scuri. Uno dei miei assistenti mormorò: "Se i miei genitori sapessero per quale educazione spendono il loro denaro, mi manderebbero a studiare economia". L'altro però gli fece notare che "se sapessero quanti laureati in economia frequentano questo locale, ti manderebbero a studiare teologia": Alla fine trovammo l'ufficio al terzo piano e bussammo. Un uomo sui trentacinque anni ci invitò a entrare. "Sono quello che vi ha chiamato", disse, "l'informazione che posso darvi vi farà saltare sulle sedie." "Ma come faceva a sapere che ci interessiamo di Jackson?" gli chiesi ancora. Questa volta me lo disse. "Io lavoro con la polizia, e lei stava frugando nel dossier di Jackson. Tra me e i miei amici poliziotti non ci sono segreti." Gli chiesi se la sauna fosse una specie di copertura per la sua attività di informatore della polizia. "No", mi assicurò, "ricavo circa un milione di dollari all'anno con questo posto. Ci vengono un sacco di ricchi. Il locale è abbastanza vicino alla borsa per farci una rapida puntatina ogni tanto, ma non troppo vicino perché tutti li vedano. Non è esattamente l'Harvard Club, ma qualche volta vi sono abbastanza Rossi e Azzurri per mettere insieme una partita di calcio Harvard-Yale." Mi disse di non essere alle dipendenze della polizia , ma di collaborare con vari dipartimenti: "Loro hanno bisogno di informazioni sul tipo di gente con la quale ho a che fare, e io gliele procuro in cambio di qualche favore. Sa come vanno le cose, tu gratti la schiena a me e io la gratto a te..." mi disse con un sogghigno che suggeriva che ricorreva spesso a quest'immagine particolarmente appropriata al luogo. "Perché vuole aiutarmi?" gli chiesi, non desiderando approfondire la metafora. "Per molte ragioni. Forse se io l'aiuto oggi, lei si sentirà in debito verso di me." Tagliai corto. "Forse non ci siamo capito. Questo non è il mio modo di condurre il gioco. Non ho nessuna intenzione di sentirmi in debito nei suoi confronti. Se lei ha informazioni da darmi, d'accordo, ma non si aspetti nulla in cambio." "Immaginavo che avrebbe risposto così. Lei è un professore. Ma io l'aiuterò ugualmente. E'anche nel mio interesse." "Perché aiutarmi è nel suo interesse." "Lo capirà da solo", mi disse sorridendo, "non mi chieda di essere troppo esplicito, almeno non subito." Con questa frase sibillina, il gestore della sauna cominciò a raccontarmi quello che sapeva di -Gilbert Jackson. La storia comprendeva una divagazione circa un ricco petroliere accusato di molestare i ragazzini. vi erano omicidi, estorsioni, droga e coperture. Una storia bizzarra e quasi incredibile. Gilbert Jackson vi aveva solo un ruolo secondario, ma il suo coinvolgimento coincideva perfettamente con quanto aveva detto Marriott. Quando effettuai alcuni controlli sul racconto che mi aveva fatto il padrone dei bagni, trovai che era confermato da quanto aveva scritto la stampa e dai rapporti di polizia. Scoprii anche che egli stesso era un sospetto, o per lo meno un testimone, di uno degli omicidi, dato che si riteneva chela vittima avesse trascorso la sua ultima notte alla sauna. Non vi erano dubbi che almeno una parte della storia fosse vera. Non vi erano neppure dubbi sul fatto che avesse il suo tornaconto a fornirmi una certa versione dell'intricata vicenda per stornare da sé i sospetti. L'informatore mi mise anche su una pista che potei seguire. Riguardava un tizio del Massachusetts, allora detenuto in un braccio della morte in Florida. Quando riuscii a contattarlo, stava salendo sulla seda elettrica. La storia della sauna rafforzò la mia fiducia nell'attendibilità del racconto di David Marriott. Confermava il fatto che Gilbert Jackson era coinvolto in traffici di droga. Ma non era ancora abbastanza. Innanzi tutto, il gestore di una sauna per gay non era certo un teste credibile come un sacerdote. Poi, anche se il giudice o la giuria gli avessero creduto, quanto aveva detto non serviva a dare conferma all'essenziale della storia di Marriott, cioè alla consegna di droga e di attrezzatura per iniezioni ad Alexander von Auersperg. Avevamo ancora bisogno del sacerdote, e non sembrava probabile che saremmo riusciti a trovarlo. Improvvisamente riuscimmo ad avere l'informazione che stavamo cercando e questa, almeno in un primo momento, superò le nostre migliori speranze. Un giorno Claus mi telefonò: "Abbiamo scoperto chi è il sacerdote, Marriott alla fine c'è l'ha detto. Si chiama Philip Magaldi. E'il parroco di St.Antony a North Providence". Prima di chiamare il religioso, decidemmo di fare alcuni controlli attraverso i suoi superiori della Chiesa Cattolica. Anche von Bulow e i suoi avvocati del Rhode Island fecero delle verifiche. Non rivelammo i motivi delle nostre domande, a la risposta fu che padre Magaldi era "un sant'uomo , uno dei parroci più amati e rispettati del New England". Aveva la responsabilità di una grande parrocchia e un grande seguito personale, si diceva che per lui era in vista una promozione nella gerarchia cattolica e che sarebbe diventato vescovo. "Non solo è un ottimo pastore e sacerdote", mi venne detto, "ma conosce il mondo. E'amico di alcuni tra i principali uomini politici del Rhode Island e usa le sue conoscenze per aiutare la parrocchia." Venimmo a sapere in particolare che padre Magaldi era amico da anni del procuratore generale del Rhode Island: Dennis Roberts. Roberts era qualcosa di più del magistrato di grado più elevato nel Rhode Island, era il diretto responsabile della pubblica accusa contro von Bulow. Mi chiesi quali conseguenze avrebbe potuto avere la conoscenza tra il procuratore generale e il sacerdote nel caso che questi avesse deciso di confermare il racconto di Marriott. Per di più, correvano voci che il prossimo concorrente di Roberts alla procura generale sarebbe stata una ex monaca cattolica. Ne sapevo ormai abbastanza su padre Magaldi da scalpitare per l'impazienza di parlargli. Lo chiamai. All'altro capo del file mi rispose una voce gentile ma di persona pratica. Il sacerdote si presentò come Philip Magaldi e disse che aveva sentito parlare di me e che aspettava una mia telefonata. Lo ringraziai per la sua disponibilità, ma mi assicurò che stava facendo solo il suo dovere. Gli chiesi se conosceva David Marriott. Mi disse che gli era stato presentato anni prima da un conoscente del Massachusetts, che gli aveva detto che un amico di nome David Marriott aveva un gran bisogno del suo sostegno morale e spirituale. Il rapporto fra i due cominciò in modo piuttosto informale. All'inizio il padre parlò con David per telefono. Si incontrarono per pranzo qualche volta. David sembrava diffidare di tutti, anche del sacerdote. Ma alla fine questi riuscì a conquistarsi la sua fiducia e David parlò più liberamente. Non ci fu nessuna confessione nel significato religioso del termine. I colloqui avvennero o per telefono o faccia a faccia, in genere a cena. Non vi furono appuntamenti precisi, David chiamava quando aveva bisogno di un consiglio, in genere ogni sei od otto settimane. Chiesi a padre Magaldi se avesse mai incontrato Alexander von Auersperg. "credo di sì"", mi rispose. "Può dirmi in che circostanze?" "Fu durante l'estate del 1977. Lo ricordo bene perché arrivarono a notte fonda e per la cosa orribile che giovanotto aveva gridato." "Cosa?" "Qualcosa relativamente a una coppia di colore che voleva sposarsi. Ma non disse 'di colore'." "Padre mi dispiace di doverle chiedere la parola esatta, ma è importante che lei mi dica esattamente cosa disse." "Capisco", disse il sacerdote a basa voce e, dopo aver fatto una pausa come se cercasse il permesso divino, parlò come tentando di imitare la voce di un altro: "Sono due negri che vogliono sposarsi, digli che due negri vogliono sposarsi'". "Perché il ragazzo ha parlato di due negri?" "Oh, l'ha fatto perché avevo chiesto, in tono un po'irritato, perché qualcuno veniva a disturbare a tarda notte. Il ragazzo l'ha detto in tono da furbo. Naturalmente non era affatto vero. Non c'era nessun altro tranne loro due." Chiesi al sacerdote di raccontarmi la scena. "Sembrava un film. Vi era una grande limousine, bianca mi pare. Mi arrbiai e gli bisbigliai quasi ad alta voce 'Sss entrate e non svegliate i vicini'. "David e il ragazzo entrarono. Li feci passare in cucina e aspettai che mi presentasse il suo amico. David me lo presentò come 'Alexander von Auersperg di Newport'." "Aveva mai visto prima quel ragazzo? Aveva mai conosciuto Alexander von Auersperg?" chiesi. "No, mai, o almeno non lo ricordo." "Allora on può essere veramente sicuro che il ragazzo fosse Alexander von Auersperg." "Si, lo sono. Quando cominciò il processo diversi anni dopo, ricordo di aver letto un resoconto del processo e di aver visto il ragazzo alla televisione. Era lo stesso che avevo visto in cucina con David. E che aveva detto quella frase odiosa sui negri. "All'inizio non ne ero assolutamente sicuro", continuò lentamente il sacerdote, "la persona che apparve in televisione era più adulta più triste e vestita in modo più convenzionale. Tutto il contesto era diverso. Ma più guardavo, più mi convincevo. Poi, quando ho letto delle siringhe e degli aghi trovati nella borsa di plastica, mi resi conto che dovevo chiamare David a causa di quello che lui i aveva detto dopo l'incontro in cucina." Chiesi a padre Magaldi di parlarmi della telefonata a Marriott. "Dopo aver visto il giovane von Auersperg in televisione e aver letto di lui sui giornali, chiamai David e insistetti perché dicesse a qualcuno quello che sapeva. Ne parlammo con un mio ex chierichetto che è diventato avvocato." "Come si chiama?" "John Tarantino, è ancora nella parrocchia. gli parlai io per primo, poi David insistette per parlargli anche lui. Fu a questo punto che David Chiamò von Bulow e organizzarono l'incontro nell'albergo di Newport." "D'accordo , veniamo all'estate del 1978." "Non ricordo se David avesse chiamato prima o fosse venuto direttamente. Ma comunque arrivò. Tremava di paura: 'Sono sconvolto, lei deve dirmi cosa devo fare', mi disse. David era sempre stato un po'nervoso quando mi incontrava, ma questa volta era veramente in preda al panico. "Cominciò a raccontarmi che era andato in macchina da Boston a New York in serata per vedere alcuni amici. Mi disse che il suo amico Gilbert Jackson gli aveva chiesto di portare un pacchetto al loro comune amico Alexander. A questo punto David fece una digressione parlandomi dell'attività di decoratore di Gilbert e di come lui pensasse che il pacco contenesse tappezzeria o roba del genere. Poi cominciò a parlarmi di Alexander, di quanto fosse ricco e in quale casa vivesse. Quindi si fermò e disse: 'Alexander, il ragazzo dell'anno scorso, si ricorda? 'I negri che vogliono sposarsi'. Feci cenno di si. 'Si, proprio quel ragazzo, maledetto il giorno che l'ho incontrato'." Padre Magaldi continuò a raccontare la storia che David gli aveva riferito. La stessa che David aveva raccontato a me qualche settimana prima: il suo arrivo a Clarendon Court, il maggiordomo che gli dice di attendere, la decisione di aprire il pacco, l scoperta delle siringhe, degli aghi, delle polverine, delle pillole e del liquido, e infine la consegna del pacchetto a una donna. Padre Magaldi mi disse che non appena David ebbe finito il suo racconto, lui, un sacerdote, si infuriò: "Persi le staffe. Non gli risposi in maniera molto paterna. Anzi lo insultai: 'stupido', 'idiota'e forse anche di peggio. Mi ricordo di essermene poi vergognato. Non si ricava nulla a prendere le persone a male parole, soprattutto quando sono già sconvolte come David. "Ma dovevo fare la mia parte. Dovevo convincere David a sganciarsi da questa gente, a stargli alla larga. Di problemi ne aveva già abbastanza senza immischiarsi in questioni di droga e di crimini. Lo ammonii a stare lontano da Newport, e di non vedere mai più Alexander o Gilbert Jackson. "Dopo la sfuriata cercai dimettere ordine nei miei pensieri e chiesi a David se avesse mai consegnato altri pacchi. Rispose che l'aveva fatto, ma giurò che fino a quella notte non sapeva che contenessero droga. Pensava fosse roba di tappezzeria. Ricordo che gli dissi con sarcasmo: 'Cosa credevi che fosse, chiodi da tappezzeria placcati in oro?'David non rise, ma mi giurò ancora che non ne sapeva niente." Chiesi allora padre Magaldi che cosa secondo lui, c'era di vero in questa storia così complicata. Il prete cominciò a parlare come un avvocato. "Dunque, la storia va divisa in varie componenti. Innanzi tutto c'è quello che io ho visto direttamente. David Marriott in compagnia di un giovanotto che ho riconosciuto come Alexander von Auersperg. David stesso mi ha detto, in un momento in cui non aveva ragioni per mentire, che si trattava di Alexander von Auersperg. a tutto questo ovviamente credo." "Poi viene la storia delle consegne di droga. Quali motivi aveva per mentirmi David nel 1978 riguardo la droga portata a casa von Bulow? Certamente non l'ha detto per farmi piacere o per guadagnarsi il mio rispetto. Se la storia non fosse stata vera, perché raccontarmela provocando la mia collera? Quindi anche questa parte della storia mi sembra credibile, anche se non posso esserne altrettanto certo come nel caso dell'incontro con Alexander von Auersperg. "Infine, veniamo al fatto che David ha affermato di non sapere quello che stava consegnando. In questo caso", e il sacerdote assunse il tono di uno Sherlock Holmes che ammonisce insegnamenti al dottor Watson, "una ragione per mentire c'è. E anche se non vorrei accusare qualcuno senza prove, non sarei sorpreso nel venir a sapere che David sospettava di star trasportando droghe. Secondo me, probabilmente credeva di portare marijuana o cocaina o qualche pillola, ma fu molto sorpreso nel trovare aghi e siringhe. Questo gli fece temere di rimanere coinvolto in qualcosa di più serio, eroina forse!" Continuai a insistere: "Ma il fatto di dubitare di una parte della storia non le fa pensare che anche il resto sia falso?" "Professore", rispose con impazienza, "non capisce quello che dicendo? Non sto parlando dell'onestà di David in quanto tale, ma di due cose distinte: innanzi tutto quello che ho visto coi miei occhi; secondariamente del fatto che se anche David fosse un mentitore incallito, non aveva assolutamente alcuna ragione di inventarsi la consegna di droghe ad Alexander e a sua madre. Anzi, aveva tutte le ragioni per mentire e per teneri nascosto un fatto che mi ha irritato verso di lui." Ascoltai attentamente la logica del sacerdote, che era simile a quella dei giudici e dei giuristi che consentivano che si facesse ricorso in aula a certe testimonianze "per sentito dire". Secondo la legge, se uno come David dice a qualcuno come padre Magaldi qualcosa di negativo su se stesso - per esempio, di aver consegnato della droga - la persona che ha raccolto la confidenza, nella fattispecie Magaldi, può testimoniare anche se solo per sentito dire. La ragion di fondo di questa eccezione alla norma generale, che non ammette testimonianze per sentito dire, è che se uno parla male di se stesso dice probabilmente il vero, dato che in genere non ci si calunnia da soli. Invece, quando qualcuno parla bene di sé, spesso dice il falso allo scopo, ovviamente, di mettersi in buona luce. Dopo aver ascoltato quanto padre Magaldi mi aveva detto a conferma della storia di Marriott, gli feci la domanda cruciale: "Padre, presumo che lei sia disposto a mettere tutto ciò in un affidavit e, se necessario, a testimoniare davanti a un giudice o a una giuria". Aspettai con ansia la risposta che arrivò dopo una lunga pausa. "Preferirei decisamente non farlo e non essere coinvolto in questo caso. Mi sento molto a disagio a dover rivelare quello che mi ha detto qualcun altro, anche se questo qualcuno mi autorizza a farlo. La cosa potrebbe essere fraintesa e si sarebbe meno disposti ad avere fiducia in un sacerdote." "Ma senza la sua deposizione"; insistetti, "quella di David è inutile. Lei è la carta decisiva perché il signor von Bulow vinca il ricorso. Abbiamo assolutamente bisogno di lei, padre. Se potessimo farne a meno, non insisterei per avere la sua deposizione." Il sacerdote rifletté ancora. "L'avvocato è lei e io mi metto nelle sue ani", disse rassegnato, " se lei crede sinceramente che io sia indispensabile, allora sono a sua disposizione. Ma la prego di rifletterci bene." Padre Magaldi continuò poi a farmi domande su come si sarebbero svolte le cose. "Il ricorso non è solo il primo passo? E se lei la spinta, non può darsi che non abbia più bisogno di me o di David?" mi chiese speranzoso. "Certo è possibile", risposi, "ma non molto probabile. Penso che abbiamo validi argomenti per il ricorso, ma non possiamo contare solo su questi. Ma anche se vincessimo, ci sarà comunque un nuovo processo." Il prete sembrava ignorare che ci sarebbe stato un nuovo processo, se avessimo vinto il ricorso: "Non sarebbe questo quello che chiamano 'un doppio rischio'?" mi chiese, fiero della sua conoscenza dei principi giuridici. "Io spero che lo sia. Ma dipende dalle motivazioni grazie alle quali vinceremo eventualmente il ricorso. Se vinciamo perché la corte ritiene che non ci siano prove sufficienti per condannare il signor von Bulow, allora la cosa finirà lì. Ma se vinciamo sulla base di considerazioni giuridico-formali, come ad esempio l'aver prodotto prove ottenute illegalmente, allora ci sarà un altro processo, questa volta senza le prove in questione. E naturalmente è possibile che noi perdiamo il secondo processo." dissi al padre che solo il 5 per cento di tutti i ricorsi penali sono coronati da successo, con qualsiasi tipo di motivazione. Questo sorprese molto il sacerdote, che disse di aver sempre letto di condanne annullate in sede di ricorso. "Certo", dissi, "questi sono appunto i casi che fanno notizia sui giornali, ma ogni giorno, in ogni tribunale, le corti d'appello confermano dozzine di condanne di cui non si sente parlare, Questa è la realtà. Essere un avvocato d'appello è un mestiere frustrante, soprattutto se si ama vincere." Padre Magaldi accettò di dare un affidavit a un avvocato del Rhode Island che conosceva, specificando quello che aveva chiesto e sentito, ma io gli promisi che non lo avrei prodotto o usato senza prima consultarmi con lui. "Spero proprio che lei vinca il suo ricorso", disse ridendo, "la mia tranquillità futura a quanto pare dipende da questo." Non vi è alcun modo certo per un avvocato di sapere se un testimone sta dicendo la verità. Ci sono un sacco di vecchi trucchi - boobe- mysehs, avrebbe detto mia nonna, in yiddish - come le palme delle mani sudate, gli sguardi sfuggenti e i tic nervosi. Ma un mentitore di classe raramente manifesta questi sintomi banali, e, al contrario, testimoni che dicono il vero ma nervosi possono manifestarli. Un avvocato deve ricorrere a tutta la sia esperienza e perspicacia, ma anche così non vi può essere certezza. Le regole del mestiere richiedono che un avvocato penalista risolva i ragionevoli dubbi o le incertezze " a favore del suo cliente". Per quel che mi sembrava, la credibilità di padre Magaldi non era in dubbio. In base alla mia valutazione, i racconti di padre Magaldi e, di conseguenza, di Marriott erano veri, ed ero pronto ad accludere i loro affidavit al mio ricorso, se loro fossero stati disposti a firmarli. Dato che gli affidavit sono documenti legali che devono avere una forma particolare, sono in genere redatti da avvocati a partire dagli elementi forniti dal testimone che si impegna con un giuramento. claus fece in modo che a preparare gli affidavit fossero gli avvocati del Rhode Island che conoscevano meglio le consuetudini e le norme locali. Seppi più tardi che il 6 agosto 1983 padre Magaldi e David Marriott si erano incontrati col procuratore generale del Rhode Island, Dennis Roberts, e gli avevano raccontato la loro storia e la loro intenzione di firmare degli affidavit. Marriott chiese al procuratore generale se poteva essere perseguito per traffico di droga sulla base dell'ammissione fatta sotto giuramento di aver trasportato stupefacenti nel Rhode Island. Anche se tentò di dissuadere Marriott e Magaldi dal firmare affidavit perla difesa, Roberts apparentemente assicurò Marriott che non sarebbe stato perseguito per il suo ruolo di corriere della droga relativamente al caso von Bulow. Padre Magaldi e Marriott quindi si recarono nella casa del Rhode Island di Earl e Mary Levenstein, amici di famiglia dei von Bulow, che ospitarono Claus e Andrea per parte dell'estate, e firmarono gli affidavit che erano stati preparati dagli avvocati del Rhode Island. Tutto questo lo venni a sapere solo dopo il mio ritorno dalle vacanze estive, quando ricevetti copie degli affidavit. Le lessi per controllare che contenessero l'essenziale di quello che mi era stato raccontato da Magaldi e da Marriott. Era così. Eravamo pronti a usare gli affidavit. Ma non poche cose sarebbero accadute prima del momento in cui avremmo deciso se, e in quale modo, usarli. Dieci giorni dopo che Marriott ebbe firmato il suo affidavit, ricevetti una telefonata terrorizzata dal pronto soccorso Melrose-Wakefield a Melrose, nel Massachusetts. Era David Marriott. Mi disse che stava percorrendo una strada oscura non lontano da casa sua a bardo di una Cadillac noleggiata, quando una Lincoln Continental con due uomini a bordo aveva cominciato a seguirlo. Aveva cercato di seminarli, ma loro gli si erano affiancati per bloccarlo. "Ho urtato più volte il guardarail per evitare di essere buttato fuori strada e finire nel fosso." Improvvisamente però si rese conto che il guardarail terminava e temette di finire nel fossato A questo punto "un uomo con una calza sul volto si è sporto dal tettuccio della Lincoln Continental e ha gettato un sasso grandi quasi come la mia testa attraverso il finestrino e ho perso il controllo della macchina." La pietra aveva colpito Marriott alla spalla. "Mollai il volante e la macchina, alla fine del guardarail, è finita tra gli alberi." La Continental si fermò e gli uomini al suo interno gettarono un'altra pietra contro la Cadillac orai immobile, mancando però Marriott e colpendo il baule. Poco dopo arrivò la polizia e Marriott venne trasportato in ambulanza all'ospedale. Marriott mi disse che questo non era il primo avvertimento Aveva infatti già ricevuto diverse telefonate minatorie. Gli chiesi di dirmi cosa gli avevano detto: "Ascolta, figlio di puttana, se apri la bocca ti facciamo saltare la testa... Non salirai mai gli scalini del tribunale, perché non t'accorgerai neanche di quello che ti sarà successo. Non parlare col vecchio, ti metterà in un are di guai". La voce di David tremava mentre raccontava questi fatti. "Non ho mai avuto problemi prima di incontrare Claus", urlò, "adesso ho paura a rientrare a casa, a uscire, a rispondere al telefono. "Marriott mi chiese di assicurargli "una qualche protezione. Non ho intenzione di uscire da solo da quest'ospedale". Alla fine riuscii a rintracciare l'investigatore privato che mi aveva accompagnato a casa di Marriott, e lo incaricai di riportare il ragazzo a casa e di stare di guardia lì durante la notte. Ma le minacce non finirono qui. Padre Magaldi ricevette un messaggio intimidatorio che venne trascritto da un telefonista del Boston Park Plaza Hotel, dove alloggiava in quel momento. Quando lo seppi mandai subito uno degli studenti che mi assistevano per farne una copia. Era un avvertimento per dire "al tuo amico David Marriott di tenere la bocca chiusa o prima o poi lo facciamo secco". Marriott cominciò a chiamarmi ogni giorno. "Non ho voglia di rischiare la vita per Claus von Bulow. Lui se sta nel suo bell'appartamento della Fifth Avenue mentre qualcuno cerca di farmi la pelle." Marriott mi disse che se non gli fosse stata assicurata una protezione ufficiale, sarebbe sparito e non avrebbe avuto più nulla a che fare col caso. Gli dissi che solo il governo può dare protezione ufficiale e l'accusa lo fa spesso per i suoi testimoni, ma un avvocato difensore può solo chiedere, come cittadino privato, un qualche aiuto. Mi pregò di farlo. Chiamai l'ufficio del procuratore degli Stati Uniti a Boston e gli dissi delle minacce e dell'incidente della pietra chiedendogli che l'FBI aprisse un'inchiesta. L'assistente del procuratore i disse che la cosa non riguardava i federali, dato che tutto si era apparentemente svolto all'interno dello stato del Massachusetts. Mentre si verificavano tutti questi fatti, ero all'inizio di un lungo week-end a Cape Cod e non era facile raggiungere le persone. Riuscii a trovare il viceprocuratore della contea del Middlesex, nel Massachusetts, proprio alla fine della giornata di venerdì. Gli raccontai la storia e gli chiesi se il suo ufficio poteva indagare e proteggere il testimone. Mi disse che non poteva offrire protezione, m che avrebbe chiamato la polizia di Wakefield chiedendo di tenere d'occhio la casa di Marriott. questo sembrò soddisfare Marriott. Ma ci furono altre minacce e altre violenze. Mentre stava uscendo da un ristorante a Wakefield, due uomini si avvicinarono a David e cominciarono a picchiarlo, gridando che questo era solo un anticipo di quello che avrebbe ricevuto se avesse continuato a creare problemi. "Se ci tieni alla pelle, sarà meglio che ti dimentichi di questo caso." Marriott mi chiamò ancora una volta in preda al panico da un ospedale: "Non conti su di me. Non deporrò in nessun caso. Claus se ne esce libero e io cadavere : non ci sto". Marriott accettò comunque di dare una mano a trovare altri testimoni in grado di provare i traffici di droga che coinvolgevano membri della famiglia von Bulow. Mi disse che aveva alcuni informatori a Newport, a Montreal e anche in altri posti e che avrebbe fatto in odo di sapere qualcosa, ma solo se fosse stato protetto. E non voleva più "uscire allo scoperto". "Cosa devo fare? farmi tagliare la gola per essere reso sul serio da lei?" mi chiese furioso. Presi le minacce molto sul serio. Il mio informatore della sauna mi disse che bisognava aspettarsi "brutti colpi" dai vecchi soci di Marriott. "Vanno per gradi, prima le minacce, poi un avvertimento, alla fine uccidono." La polizia però era scettica. Dopo aver svolto una breve indagine conclusero che non vi era nessuna prova evidente di minacce o di aggressioni. Come si espresse l'esasperato procuratore distrettuale, "in fin dei conti tutto quello che lei può dire è che David Marriott ha fatto certe affermazioni, e che queste affermazioni sono oggetto di indagine. Ma non siamo stati in grado di provare nulla di quanto affermato da David Marriott, abbiamo solo la sua parola". Poco dopo Marriott venne ferito al braccio con una coltellata profonda. Dopo essere stato soccorso, si fece fotografare in odo da poter provare la gravità della ferita. Disse che "loro" stavano facendo sul serio perché lui stava per venire a sapere chi aveva fornito droga a diversi membri della famiglia von Auersperg-Kneissl. A complicare le cose ulteriormente, Marriott chiese che Claus von Bulow pagasse le spese che aveva sostenuto come risultato del suo coinvolgimento nell'affare. Non voglio rimetterci per avere aiutato Claus", spiegò, io ho una madre invalida da mantenere. Non posso pagare tutto di tasca mia. "Marriott disse che, per essere stato coinvolto in quel caso, aveva perso un lavoro come tipografo. Era in effetti vero che Claus richiedeva molto del suo tempo, e ritenemmo che il suo licenziamento ne fosse il risultato. Egli ci disse che stava seguendo alcune piste, nel tentativo di trovare conferme alla sua versione attraverso altri testimoni e circostanze. Né noi né lo stesso Marriott volevamo che lui fosse costretto a deporre in aula: Entrambi speravamo di riuscire a convalidare la sua storia attraverso altri. Preferimmo usarlo come investigatore e infiltrato. David era il solo sostegno di sua madre che era piuttosto malata e stava divorziando. Marriott arrivò al punto di minacciare Claus di citarlo in giudizio perla perdita dello stipendio. Mi venne richiesto se fosse o no giuridicamente ammissibile che Marriott ricevesse qualcosa per compensare il suo mancato guadagno, o per permettergli di vivere, mentre si trovava disoccupato a causa del suo impegno nel caso. Consultai vari esperti procuratori, avvocati, professori e il loro punto di vista unanime fu che era lecito per il difensore pagare un testimone-investigatore come la pubblica accusa pagava i suoi testimoni in circostanze simili. L'accusa rimborsava i suoi testimoni, informatori e infiltrati per le spese di protezione, per i mancati guadagni e altre spese. La norma è che un testimone non debba essere pagato per dure menzogne; se un testimone riceve denaro, queste somme devono essere interamente rivelate e giustificate se e quando il testimone depone. Discussi di questa materia in un seminario di deontologia giuridica alla presenza di diversi procuratori federali di alto rango. Essi concordano sul fatto che la difesa potesse comportarsi coi suoi testimoni così come faceva l'accusa. Alla fine scrissi a Marriott una lettera nella quale esprimevo il mio parere legale sull'opportunità di pagare un investigatore che fosse anche un testimone: Caro signor Marriott, come ho avuto già modo di riferirle in più occasioni, è mia opinione, e opinione di altri coi quali mi sono consultato, che è lecito che lei riceva lo stesso trattamento dei testimoni dell'accusa. Di conseguenza è giusto che lei riceva protezione contro eventuali aggressioni, un compenso per le entrate perse a causa del suo coinvolgimento nel caso e un rimborso per tutte le spese nelle quali lei incorrerà a causa del suo impegno in questa vicenda. Lo scopo è che lei non debba avere alcun danno dalla sua decisione di dare il contributo. Naturalmente, lei non sarà pagato per la sua testimonianza, ed è tenuto a dire la verità e nient'altro che la verità. Inoltre, come le ho detto, ogni somma da lei ricevuta od ogni pagamento fatto in suo nome, verrà reso pubblico al processo. Il legale del signor von Bulow le chiederà di rendere noto tutto e lei lo farà interamente e senza omissioni.

Marriott di conseguenza ricevette una piccola somma ogni settimana - sei dollari l'ora - per il lavoro che aveva perso e per le sue necessità nel periodo durante il quale svolgeva lavoro investigativo. Il denaro venne versato a mezzo assegno a un avvocato con istruzioni scritte perché Marriott rivelasse ogni penny ricevuto se fosse stato chiamato a deporre e dicesse tutta la verità anche se questa dovesse essere a sfavore di Claus von Bulow. Le autorità di polizia sono abituate ad aver a che fare con testimoni come Marriott. Io non lo ero, ma decisi di comportarmi come loro. Non vi erano altre norme che potessero essere di guida in una situazione come questa. (Un caso portato recentemente dinanzi alla corte Suprema ha rivelato che il governo degli Stati Uniti d'America dispone di un formulario intitolato "Contratto perla ricerca di informazioni e il pagamento di somme forfettarie a questo scopo". Il contratto promette pagamenti in denaro per i testimoni "per produrre prove" e "testimoniare contro l'imputato in una corte federale". In considerazione di questi servizi "gli Stati Uniti pagheranno al detto collaboratore una somma commisurata ai servizi e alle informazioni procurati". In questo caso la Corte Suprema sentenziò che la prospettiva di una ricompensa portava "al raggiungimento dell'obiettivo che si desiderava ottenere... la soddisfazione del governo"; un eufemismo per dire la condanna dell'imputato. La corte ritenne che promettere un compenso avrebbe significato rendere il testimone interessato all'esito del processo, vale a dire alla condanna dell'imputato. Stabilì inoltre che la natura ipotetica del compenso "serviva solo come ulteriore incentivo a fornire una falsa testimonianza per assicurare una condanna". Malgrado questo incentivo, nessuno dei giudici criticò il governo per questo tipo di accordo. La loro critica si limitò al fatto che il governo dovesse rendere noto, se richiesto, questo genere di transazione.) Io speravo che non avremmo mai dovuto ricorrere a David Marriott come testimone. La sua non era certo una testimonianza tale da convincere ogni giuria; speravo però che il suo lavoro investigativo potesse portarci a qualche importante informazione o testimone. Non ero neanche molto ottimista riguardo a Truman Capote il quale, malgrado la sua fama di scrittore, non era proprio il testimone ideale. Fondare la propria linea difensiva su un uomo che aveva ammesso di aver consegnato droga, su uno scrittore che con la droga aveva i suoi problemi e su un gestore di una sauna gay, non era il massimo per un avvocato. E non potevamo usare neanche padre Magaldi senza David, perchè la sua era in larga misura una testimonianza per sentito dire. Certamente avrebbe confermato alcuni spetti della storia di Marriott, ma non poteva sostituirla. Una storia credibile l'avevamo, quello che ci serviva erano testimoni credibili per raccontarla. Dopo un sacerdote, probabilmente il testimone migliore è uno scienziato. Così ci mettemmo in cerca di uno scienziato che potesse smentire la ricostruzione dell'accusa e dare qualche sostegno alla versione di David Marriott. In fondo, nella sostanza, il caso von Bulow era un problema scientifico. Occorreva quindi attaccare la versione dell'accusa da un punto di vista scientifico. La storia Capote-Marriott-Magaldi sarebbe sempre rimasta una vicenda secondaria, anche se significativa, avvincente e frustrante. 11. PROVE E CONTROPROVE Le informazioni di Capote-Marriott-Magaldi mi fecero sorgere parecchie perplessità sulla struttura della ricostruzione presentata al processo dall'accusa. La prova più imbarazzante era, evidentemente, la borsa nera contenente la siringa sporca di insulina ; "l'arma del delitto", come era stata definita, e la boccetta di Dalmane con prescrizione a nome di Claus von Bulow. La presenza della prescrizione e della boccetta nella stesa borsa dell'ago con le tracce di insulina equivaleva alla scoperta di un'impronta digitale. Come l'accusa fece notare alla giuria, "la sola cosa nella borsa nera che ha un nome o un'indicazione di appartenenza è la prescrizione di Dalmane per Claus von Bulow". Non c'era dubbio che se entrambe le cose fossero state vere, allora l'arma del delitto doveva appartenere a Claus von Bulow. Una prova schiacciante. La borsa conteneva anche altre droghe e pillole che, sempre secondo la tesi dell'accusa, potevano essere state usate dall'assassino per addormentare la moglie prima di farle l'iniezione fatale. Questa combinazione di "armi", unitamente alla prescrizione a nome di Claus von Bulow, segnò il suo destino. Alla luce delle rivelazioni Capote-Marriott-Magaldi, decisi di dare un'occhiata più da vicino alla borsa nera e al suo contenuto. Il primo passo fu di riesaminare le testimonianze relative alla borsa. Feci raccogliere dai miei assistenti ogni parola che fosse stata pronunciata a proposito di quello che era stato trovato nella borsa nera il giorno in cui Alexander von Auersperg disse di averla trovata nell'armadio di Claus von Bulow a Clarendon Court. Riesaminai non solo la testimonianza di Alexander von Auersperg, ma anche quella dell'investigatore privato e del fabbro, i rapporti di polizia, le minute del grand jury e le testimonianze preprocessuali. Una della armi più importanti per un avvocato è la contraddizione. Quando un certo avvenimento viene descritto da varie persone in diverse circostanze, quasi mai le descrizioni coincidono esattamente. Piccole discrepanze sono in genere il risultato di normali vuoti di memoria. Ma contraddizioni più gravi rivelano bugie meglio di quanto non possa fare il più sensibile lie-detector. Quando riesaminai le testimonianze relative alla scoperta della borsa nera, rimasi profondamente sorpreso da quanto scoprii. Il fatto che il Dalmane con la prescrizione a nome di claus von Bulow fosse stato effettivamente trovato nella borsa nera era tutt'altro che evidente. Le circostanze della scoperta della borsa nera il 23 gennaio 1981 a Clarendon Court hanno due testimoni principali: Alexander von Auersperg e il detective Edwin Lambert che lo accompagnò. Il fabbro, infatti, che pure era stato testimone di alcune fasi della ricerca, non venne presentato come testimone dell'accusa col pretesto che nessuno aveva preso nota del suo nome. Alla fine venne trovato dalla difesa e testimoniò che dopo che l'investigatore ebbe perquisito l'armadio disse ad Alexander: "Non è qui". L'accusa era fondata sul racconto di Alexander. Alex aveva deposto che tra gli oggetti trovati nella borsa vi erano "due boccette, una contenente diversi tipi di pillole con una prescrizione allegata..." Alex identificò la boccetta del Dalmane prescritto a Claus von Bulow come quella con la prescrizione. L'altro testimone della ricerca della borsa nera fu l'investigatore privato che venne ingaggiato proprio a questo scopo. Il suo compito era quello di scovare e conservare tutte le prove che collegassero Claus al coma di Sunny. E in questo lavoro era un professionista con molta esperienza alle spalle: erano trentatré anni che faceva questo mestiere; per gran parte di questo tempo aveva lavorato come detective al dipartimento di polizia di New York. Era particolarmente qualificato "nel maneggio delle prove" e nel prelievo e nella conservazione delle impronte digitali e nel fotografare, nel catalogare e inventariare gli elementi raccolti. Inoltre, aveva già testimoniato diverse volte in aula a proposito di perquisizioni. Io mi aspettavo chela deposizione dell'investigatore confermasse in tutto l'elenco che Alexander aveva fatto di quello che aveva visto nella borsa nera. Ma non fu così. Secondo quanto dichiarò il detective, solo lui aveva maneggiato il materiale trovato nella borsa: Alex non l'aveva toccato. Il detective ricordava di avervi trovato "due contenitori dei quali uno conteneva un liquido e l'altro una sostanza secca, una polverina". Ma non ricordava di aver visto "alcun contenitore con pillole nella borsa nera". E neppure ricordava dia aver visto una boccetta "nella borsa con una prescrizione". Quando gli venne mostrata la boccetta di pillole con la ricetta a nome di Claus, il detective non fu in grado di identificarla come uno degli oggetti che aveva rinvenuto nella borsa nera, anche se era stato perfettamente capace di riconoscere gli altri oggetti, quelli senza indicazione del nome, come ritrovati nella borsa. Dato che il compito fondamentale dell'investigatore era quello di trovare prove che collegassero Claus al come di Sunny, sarebbe stato piuttosto sorprendente se, dopo aver trovato la prova più eloquente - la boccetta con la prescrizione -, si fosse dimenticato proprio di questo dettaglio. Mi sembrò che la spiegazione più plausibile fosse che il detective non avesse affatto trovato la boccetta nella borsa nera. Questo era possibile, dato che la ricerca era stata condotta in modo molto casuale. Non venne steso alcun inventario, non vennero scattate fotografie, non vennero rilevate impronte digitali e, cosa ancora più importante, tutti gli oggetti rinvenuti durante la perquisizione, quindi anche quelli rinvenuti in altre stanze e non nella borsa, vennero "mescolati tutti insieme" e messi nella borsa "per comodità". Non venne registrato quali oggetti furono trovati nella borsa e quali al di fuori prima di esservi mischiati. L'affermazione fatta dal procuratore Famiglietti davanti alla giuria secondo la quale il Dalmane con la ricetta a nome di Claus von Bulow era stato trovato nella borsa nera, non ricevette durante il processo, alcuna smentita. Questo perché l'accusa aveva avuto l'ultima parola. Spettava a noi ora replicare. Dopo che mi parve di aver sollevato seri dubbi, almeno nella mia testa e speravo anche in quella di osservatori obiettivi, sulla deposizione di Alexander riguardo alla presenza della boccetta con la prescrizione nella borsa nera, cominciai a pormi il problema del resto del contenuto della borsa. Tutti gli oggetti rimanenti avrebbero potuto essere stati utilizzati anche dalla signora von Bulow, se questa effettivamente si drogava, come aveva affermato Truman Capote, con il materiale che David Marriott le forniva. In una deposizione preprocessuale, l'investigatore aveva dichiarato che all'interno della borsa nera aveva trovato dell'Inderal. La polizia aveva confermato questa circostanza. Il significa di questa testimonianza sta nel fatto che la boccetta di Inderal recava anch'essa una ricetta, ma questa volta a nome di Martha von Bulow. Se si doveva credere quindi deposizione dell'investigatore invece che a quella di Alexander, allora le "impronte digitali" trovate sull'arma del delitto" sarebbero state quelle della vittima, Martha von Bulow, e non quelle del presunto assassino. L'arma del delitto sarebbe quindi diventata lo strumento di un suicidio o di un incidente, no quella di un omicidio o di un tentato omicidio. Ma che dire dell'ago con tracce di insulina? Questo elemento cruciale non era preso in considerazione dalle nuove informazioni emerse grazie a Capote e a Marriott. Nessuno dei due aveva mai visto insulina o ne aveva sentito parlare. Se Sunny von Bulow non si iniettava insulina, chi lo faceva? A questa domanda non vi era ancora una risposta. Ma era proprio così certo che l'ago contenesse insulina? Ed eravamo poi sicuri che fosse stata iniettata alla signora von Bulow come asseriva l'accusa? Se alcuni elementi della ricostruzione dell'accusa - la boccetta con la prescrizione, la pretesa che solo Claus avesse una qualche familiarità con l'iniezione di droghe - si era rivelata così fragile, perché non rimettere in discussione anche il resto? A partire da quest'idea, decisi di esaminare la questione dell'ago. Con l'aiuto dei miei assistenti cominciai a chiamare esperti di medicina legale, cioè di quella specializzazione medica che si occupa delle cause di morte, ferite o altri aspetti medici che hanno rilievo giudiziario. Il protagonista della serie televisiva Quincy, basata sull'esperienza reale del medico legale della contea di Los Angeles, è forse l'esempio più noto di questo tipo di esperto.(Fatto abbastanza interessante, il medico legale capo di Los Angeles, Thomas Noguchi, ha recentemente scritto un libro intitolato La parola al coroner, nel quale arriva alla conclusione che i coma di Sunny possano essere stati provocati da una sindrome denominata "iperplasia cellulare". Egli cita un caso recente verificatosi a Los Angeles in cui una donna con sintomi analoghi a quelli di Sunny morì per un eccesso di insulina senza che vi fossero state iniezioni. Noguchi negò anche l'eventualità che l'insulina trovata nella borsa dopo il giorno del Ringraziamento potesse essere stata usata per fare iniezioni a Sunny un mese dopo, dato che il tipo di insulina in uso nel 1980 "doveva essere conservata al freddo... altrimenti si sarebbe danneggiata seriamente".) Raccogliemmo tutte le testimonianze che riguardavano l'ago, che si affermava trovato nella borsa, e le mostrammo ad alcuni dei più illustri medici legali del mondo. Tutti giunsero alla stessa sorprendente conclusione. Come disse il dottor Robert Shaler, direttore della sezione sierologica dell'ufficio medico -legale di New York, "l'ago che secondo la pubblica accusa è stato usato per un'iniezione su Martha von Bulow... non è, e non poteva , in realtà, essere stato usato a questo fine". Se questa conclusione di un esperto scientifico era vera, e non avevamo ragioni per dubitarne, allora tutta la costruzione dell'accusa crollava. Senza "arma del delitto" non vi era crimine, e l'ago non poteva essere l'arma del delitto se "non era, e non poteva essere, stato usato per iniezioni". La "pistola fumante" si era rivelata una scacciacani. Ma se l'ago non era stato usato per un'iniezione, perché mai aveva tracce di una sostanza letale e si trovava nella borsa nera trovata da Alexander von Auersperg e dall'investigatore? La risposta a questo enigma mi fece correre un brivido lungo la schiena. Le implicazioni sinistre erano evidenti e sconcertanti. La conclusione degli esperti era che "l'ago era stato immerso in una soluzione". Poiché la siringa e l'ago in questione non erano del tipo che normalmente viene immerso prima di un'iniezione, dato che il liquido contenuto nel corpo stesso della siringa e fatto uscire attraverso il condotto dell'ago dallo stantuffo la conclusione degli esperti evocava lo spettro di un diabolico complotto per far sembrare che la soluzione fosse stata iniettata, mentre in realtà non era così. Perché qualcuno dovrebbe immergere un ago in un soluzione per far sembrare che sia stato usato per un'iniezione? Non esisteva una risposta ovvia, e cominciai a prendere in considerazione diverse ipotesi. Ma prima di lanciare la mia fantasia a briglia sciolta, dovevo essere assolutamente sicuro che l'ago fosse stato immerso invece che usato per un'iniezione. Insistetti perché gli esperti mi dimostrassero, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le cose erano andate effettivamente così. (Tra gli esperti che consultammo vi era il medico legale capo per la città di New York e il tossicologo della contea di Suffolk, New York.) Gli esperti mi dissero che vi erano quattro ragioni indipendenti perchè l'ago non poteva essere stato usato per un'iniezione alla signora von Bulow. Primo, se l'ago fosse stato veramente usato, qualsiasi analisi avrebbe rivelato la presenza di tracce di sangue e tessuti umani, il che non era. Secondo, sull'ago era stato trovato dell'Amobarbital, ma questa sostanza altamente corrosiva non avrebbe potuto essere iniettata senza lasciare dei segni notevoli e facilmente visibili, chiamati bruciature da barbiturici, sulla pelle della vittima nel luogo dell'iniezione. Queste cicatrici procurano pus e desquamazioni della pelle e non possono assolutamente sfuggire a un esame anche superficiale. Il corpo della signora von Bulow era stato esaminato alla ricerca di segni di iniezioni al momento del ricovero ma non era stato trovato niente. terzo, l'ago presentava tracce di Valium, ma la presenza di questa sostanza non venne riscontrata nelle analisi compiute sulla signora von Bulow. In ultimo, "le incrostazioni cristalline" trovate sulla parete esterna dell'ago presso la punta "sono incompatibili con un'iniezione". Potevano solo essere il risultato di "un'immersione in una soluzione". La ragione di questa conclusione era evidente, dissero gli esperti, e può essere dimostrata anche a casa con un semplice esperimento. Quando un ago viene iniettato, "la fuoriuscita della pelle fa sì che venga pulito dalle incrostazioni di farmaci". In parole per, la pelle che circonda l'ago agisce come uno strofinaccio che ripulisce l'ago fino alla punta. "Quindi, se l'ago entra ed esce realmente nella pelle, non dovrebbe restare alcun residuo." Il solo residuo rinvenibile dovrebbe trovarsi "alla base dell'ago, dove questo si innesta sulla siringa". Chiesi a uno dei miei assistenti che aveva consultato i vari esperti di convincermi fino in fondo e di darmi una dimostrazione incontrovertibile. Mi portò in una cucina e cercò gli attrezzi opportuni. Trovato uno spiedo da barbecue, che pareva un enorme ago, aprì il frigorifero e tirò fuori della maionese e mi chiese cosa mi ricordava! Alla sommità dello spiedo vi erano residui di maionese. Quindi introdusse lo spiedo tra l'indice e il pollice e poi lo estrasse. Mi chiese ancora cosa vedevo. Tutta la maionese sulla punta era stata eliminata e ne rimaneva solo un residuo alla base, giusto sotto quella parte dello spiedo che aveva toccato le dita. "Voilà" esclamò. "Sono stato chiaro?" Indubbiamente la dimostrazione era stata efficace. A questo punto per me era chiaro, e pensavo o sarebbe stato per ogni osservatore imparziale, che le cosiddette "armi del delitto" non erano mai state utilizzate per iniettare alcunché a Sunny von Bulow. Dato che questa parte dell'edificio dell'accusa era stata demolita, il mio scetticismo sulle altre prove prodotte aumentò. Il solo mistero ancora da risolvere era la presenza di insulina sull'ago. Né Capote né Marriott avevano mai visto o sentito parlare di insulina. perché allora l'ago era sporco di insulina? Per cerare una risposta tornammo esaminare la fonte che aveva parlato di presenza di insulina sull'ago. La sola prova scientifica della presenza di questa sostanza proveniva da un'analisi fatta in un laboratorio chiamato BioScience, un laboratorio di analisi di fama mondiale. Mostrammo a diversi esperti i dati e le risultanze di laboratorio presentati da BioScience. Ancora una volta l'opinione degli esperti fu unanime. Le analisi di BioScience non arrivavano a un risultato definitivo. Come disse il dottor Steven Fletcher, responsabile della sezione biologica del Central Research Establishment of the British Home Office Forensic Science Service, l'equivalente inglese della famosa sezione scientifica dell'FBI, "è mia opinione professionale che i risultati delle analisi sull'ago prodotte al processo siano compatibili con l'assenza completa di insulina sull'ago". Le ricerche del dotto Fletcher avevano dimostrato che quando gli aghi sporchi di Amobarbital e Valium, ma non di insulina, sono immersi in soluzioni saline, risultano spesso positivi ai test era l'insulina, vale a dire che denunciano la presenza di insulina là dove non ve n'è affatto. Le ricerche del dottor Fletcher non erano ancora disponibili al momento in cui BioScience fece le analisi sull'ago trovato nella borsa nera. Per confermare le ipotesi del dottor Fletcher, un altro esperto fece un esperimento col laboratorio BioScience. Preparò cinque differenti aghi e li inviò a BioScience come vi era stata mandata "l'arma del delitto". Due dei preparati contenevano insulina, Amobarbital, Valium e soluzione salina, uno conteneva solo una soluzione salina, i restanti due solo Amobarbital, Valium e soluzione salina, senza insulina. I risultati inviati da BioScience confermarono completamente le ipotesi del dottor Fletcher: i due preparati con Amobarbital, Valium, soluzione salina ma senza insulina risultarono positivi al test dell'insulina. Uno con 93 microunità per millilitro, l'altro con 282 unità per millilitro. La conclusione di tutti gli esperti ai quali mostrammo questi dati fu che non vi era alcuna prova che l'ago contenuto nella borsa di plastica contenesse effettivamente insulina. Un altro bastione dell'edificio dell'accusa era caduto. Potevamo ormai provare che la presunta arma del delitto non era mai stata utilizzata per fare iniezioni a Sunny e che le risultanze scientifiche addotte dall'accusa non erano valide. Dalla ricostruzione messa in piedi dall'accusa rimaneva orami ben poco, salvo il fatto che il livello di insulina nel sangue di Sunny era effettivamente alto al momento del ricovero per il secondo coma e che il livello degli zuccheri nel sangue era basso e rimase basso anche dopo aver ricevuto dosi di glucosio. (Durante il rimo coma non venne misurato il livello di insulina.) Queste circostanze avevano fatto sì che gli esperti dell'accusa traessero la conclusione che a Sunny era stata iniettata insulina. Nessuno degli esperti aveva naturalmente affermato che fosse stato Claus, anzi, uno di loro aveva suggerito che se la fosse iniettata da sola. Ma i due livelli, quello dell'insulina e quello degli zuccheri nel sangue, rimanevano un punto importante per la tesi dell'accusa. Era quindi importante era noi valutarne la consistenza. Sottoponemmo quindi anche i dati BioScience relativi agli esami del sangue di Sunny agli esperti e anche in questo caso il loro giudizio fu unanime e devastante per le tesi dell'accusa. Il dottor Arthur Rubestein, preside del dipartimento di medicina alla prestigiosa University of Chicago Medical School, disse che secondo la sua opinione l'alto livello di insulina riscontrato nel sangue di Sunny "poteva non essere un risultato attendibile". E il dottor Harold Liebovitz, docente e primario del reparto di endocrinologia e diabete al Downstate Medical Center di New York, affermò che i dati sull'insulina rilevati da BioScience "non erano attendibili". Questi medici devono fare ogni giorno i conti con rilevazioni dei livelli di insulina, e devono prendere certe precauzioni. Una di queste precauzioni, largamente adottata nell'ambiente medico, è che prima di giudicare attendibile un dato, il campione di sangue deve essere testato più volte e i livelli di insulina devono coincidere con uno scarto accettabile del 10 per cento. Negli esami compiuti da BioScience vennero effettuati quattro diverse letture, ma tute presentarono tra loro uno scarto maggiore. Una lettura diede come risultato 216 microunità per millilitro, un'altra 0,8, una terza 350 e una quarta venne registrata come "NSC", ovvero "conteggio non significativo". Gli esperti, considerando questi risultati così in contrasto tra loro, conclusero che "non vi era una base sufficiente era esprimere una risposta valida" e che "è scientificamente impossibile stabilire quale tra questi risultati contraddittori sia quello corretto". Gli esperti dissero anche che non si sarebbero affidati nella loro pratica medica ai risultati forniti dal laboratorio. La pubblica accusa invece li aveva trovati sufficientemente sicuri per condannare Claus von Bulow a trent'anni di prigione. Vi era ancora un ultimo "fatto" scientifico che aveva avuto un ruolo significativo nella versione dell'accusa. Al perito dell'accusa, il dottor George Cahill dell'Harvard Medical School, era stato chiesto in via ipotetica quale potesse essere la causa dei due coma. Domande in forma ipotetica vengono frequentemente rivolte al esperti che non hanno avuto odo di esaminare direttamente il paziente. Dato che non aveva mai esaminato Sunny von Bulow, né l'aveva ai vista, al dottor Cahill non poteva venir chiesta un'opinione su una paziente che si fosse trovata nelle condizioni di Sunny. Una domanda che poteva ad esempio essere formulata in questi termini: "Se lei avesse esaminato una paziente di sesso femminile e di quarantotto anni di età, sofferente di ipoglicemia reattiva e avesse trovato un livello di zuccheri nel sangue di 29 e un livello di insulina di 216, quale sarebbe stata la sua diagnosi sulle cause del coma?" Se poi i giurati ritengono che i fatti esposti nella domanda ipotetica - paziente di sesso femminile, di anni quarantotto, in coma con livello di zuccheri 29 e di insulina 216 - corrispondano adeguatamente alla reale situazione di Sunny von Bulow, possono applicare la risposta al caso in esame e concludere che il coma di Sunny è stato probabilmente causato dai fattori elencati nella risposta ipotetica. E'inutile dire che una risposta di questo genere è condizionata da tutte le eventuali imprecisioni delle premesse. Con questa idea in mente, tornammo a esaminare gli atti processuali e la domanda ipotetica posta dall'accusa al dottor Cahill, il quale aveva risposto che entrambi i coma di Sunny erano stati provocati da insulina esogena, ale a dire da insulina non prodotta naturalmente dall'organismo. Anche questa volta ne valse la pena, Scoprimmo chela domanda ipotetica circa il primo coma non corrispondeva alle circostanze effettive del rimo coma di Sunny e del ricovero. Poiché per questo primo episodio non vi erano dati, attendibili o meno, sull'insulina, il dottor Cahill dovette formulare la sua risposta solo a partire dal livello di zuccheri nel sangue di Sunny. Gli venne chiesto se poteva individuare la causa del coma in una paziente ipotetica che veniva ricoverata con un basso livello di zuccheri nel sangue che non si risollevava dopo aver ricevuto una prima dose di glucosio alle 8 pomeridiane e una seconda alle 9. Il dottor Cahill rispose che probabilmente alla paziente era stata iniettata insulina, poiché in assenza di insulina esogena il livello degli zuccheri si sarebbe risollevato dopo due somministrazioni nel giro di un'ora. Sunny però aveva ricevuto una sola somministrazione di glucosio, alle 9. Quella delle 8 era un'aggiunta della fantasia dell'accusa. Così, se il coma ipotetico di una paziente ipotetica nelle condizioni ipotetiche descritte poteva essere stato provocato da un'iniezione di insulina , il coma, molto reale, di Sunny von Bulow poteva avere altre origini. L'altrettanto reale condanna di Claus von Bulow era quindi fondata, almeno in parte, su una diagnosi di una paziente ipotetica mai esistita. La risposta del dottor Cahill alla domanda ipotetica circa il secondo coma era inficiata da un duplica errore: i dati inattendibili forniti dal laboratorio BioScience sul livello di insulina e la conclusioni alle quali era giunto circa il primo coma, conclusioni che, come abbiamo visto, poggiavano su premesse di fatto errate. Inoltre, quando gli esperti diedero il loro parere lo fecero nella convinzione, anch'essa errata, che fosse stata scoperta l'arma del delitto, un ago con tracce di insulina. Sarebbe stato assurdo per loro ignorare informazioni così importanti per formulare la diagnosi. Ma queste informazioni si dimostrarono a loro volta false. L'intera teoria dell'insulina sostenuta dall'accusa stava quindi sprofondando. Nel processo il fatto che i du coma fossero stati provocati da iniezioni d'insulina era stato presentato come una verità scientifica incontrovertibile. Adesso, ognuno dei dati scientifici che suffragavano questa tesi - l'insulina nell'ago, il livello di insulina nel sangue, il fatto che l'ago fosse stato usato per l'iniezione e la perizia degli esperti - veniva messo in discussione da esperti di chiara fama. Ma mano che l'edificio dell'accusa si sgretolava, Claus von Bulow cominciò a pormi la domanda cruciale: Perché tutte queste debolezze della tesi dell'accusa non sono emerse durante il processo? Perché Fahringer ha accettato i dati di laboratorio prodotti dall'accusa come verità rivelata?" Claus von Bulow aveva pagato bene i suoi avvocati e aveva quindi senz'altro il diritto di chiedersi perché essi non fossero ricorsi a questi argomenti. Tentai di spiegargli come fosse facile fare profezie il giorno dopo e criticare adesso quelli che apparivano ora errori o trascuratezze degli avvocati incaricati del primo processo. Un processo, come una partita di calcio, è spesso un'avventura frenetica, imprevedibile, elettrizzante. Non c'è molto temo per pensare, per esaminare attentamente tutte le possibili alternative, o per rimettere in ordine i prezzi del puzzle. Questo è particolarmente vero perla difesa, che si trova costretta a combattere su un terreno scelto dall'avversario. Il periodo dopo il processo e quello del ricorso permettono una valutazione più pacata di quello che è andato storto. E'possibile così rileggere attentamente tutto l'incartamento: i rapporti di polizia, gli appunti del grand jury, le audizioni preprocessuali, le trascrizioni degli atti del processo stesso. Le varie versioni date dai protagonisti - ad esempio quello che Alexander disse inizialmente alla polizia, quello che raccontò al grand jury, quello che rivelò al giudice e infine il racconto che fece ai giurati - possono essere confrontate attentamente alla ricerca di contraddizioni. E'solo dopo il processo che l'intera argomentazione dell'accusa può essere capita e valutata adeguatamente, e solo a questo punto le sue falle, le contraddizioni, i vuoti, le incongruenze vengono alla luce. E'quindi più facile smantellare la tesi dell'accusa dopo il processo che durante il suo svolgimento. Ma vi era anche un altro elemento, oltre alla disponibilità di tempo, che differenziava in questo caso particolare l'avvocato del processo da quello dell'appello. Herald Price Fahringer era un cavaliere solitario. Lavorava a un caso da solo, con il minimo di assistenti consentito dalla legge. nel caso von Bulow aveva lavorato da solo con John Sheehan, l'avvocato locale che l'aveva messo al corrente del caso. Il mio stile è invece completamente diverso. Quando è possibile, preferisco il lavoro d'équipe. Cerco di non lasciare inesplorata nessuna possibilità, incaricando studenti che fungono da assistenti di battere ogni pista possibile. Questa strategia "a rullo compressore" naturalmente conduceva anche a numerosi vicoli ciechi, come questo caso avrebbe dimostrato, ma assicurava che non era stato lasciato nulla di intentato. La mia arma segreta sono quindi i miei meravigliosi studenti, decine dei quali scalpitano per essere utilizzati in casi reali e interessanti. Per loro non è solo l'occasione di guadagnare qualcosa, ma anche di vivere l'emozione di risolvere un caso grazie al loro lavoro investigativo e alle loro ricerche giuridiche. Non appena venni coinvolto nel caso von Bulow, mi resi immediatamente contro che era il tipico caso che richiedeva un grande sforzo collettivo Come ho già detto, riunii quindi un gruppo di giovani avvocati e circa una dozzina di studenti formando diverse squadre. Innanzi tutto la squadra dell'insulina endogena o di quella esogena. Il loro compito era quello di esaminare ogni testimonianza di carattere medico, di parlare con medici ed esperti, nel tentativo di determinare se i livelli di insulina rilevati nel sangue della signora von Bulow erano attendibili e, se lo erano, se erano attribuibili all'ipoglicemia reattiva di cui soffriva o a iniezioni di insulina. Poi viene la squadra "dell'iniezione fatta da sé o da altri". Il suo compito era di controllare tutti i dati, vecchi e nuovi, sul problema se, posto che alla signora von Bulow fosse stata iniettata insulina, quest'iniezione fosse stata fatta d lei stesa o da latri. Vi era anche la squadra della borsa nera. Doveva cercare di stabilire il contenuto della borsa durante la sua misteriosa storia, dalla prima volta che fu vista, nel febbraio 1980, fino alla sua scoperta, nel gennaio 1981. Il compito assegnato a un'altra squadra era di compiere indagini sull'ago trovato nella borsa di plastica per stabilire se fosse o meno "l'arma del delitto" e che cosa effettivamente contenesse. La squadra della perquisizione privata doveva invece valutare tutti gli elementi relativi alla perquisizione effettuata da alexander von Auersperg e dall'investigatore privato per trovare argomenti al fine di stabilire che i risultati di questa perquisizione non autorizzata non avrebbero dovuto essere prodotti come prova al processo. La squadre delle indagini di polizia aveva come compito quello di stabilire e le perquisizioni condotte inseguito dalla polizia del Rhode Island fossero costituzionalmente valide e, nel caso non lo fossero, se i risultati dovessero essere ammessi al processo. Infine la squadra degli appunti di Kuh. Questa squadra era incaricata discoprire quali informazioni fossero contenute nel dossier dell'avvocato Kuh, che era stato ingaggiato dalla famiglia della signora von Bulow per condurre le prime indagini su Claus, prima che la polizia venisse chiamata in causa. Doveva anche trovare argomenti giuridici che dimostrassero come gli appunti di Kuh avrebbero dovuto essere messi a disposizione della difesa durante il processo.

Quando venne il momento di redigere il ricorso, la mia casa si trasformò in una combinazione di studio legale, dormitorio e ristorante. Le squadre al lavoro erano molte, e molti gli argomenti da trattare e così volevo che tutti fossero sotto lo stesso tetto durante la fase finale della preparazione del documento. Io vivo in una grande casa, vecchia di cento cinquant'anni, di proprietà dell'Università di Harvard, in Brattle Street presso Cambridge. Avevo affittato la casa quando i miei figli - che avevano circa dieci anni - erano venuti a stare con me dopo la mia separazione. Avevamo installato una sauna, un tavolo da ping pong e un biliardino. Il giardino era stato in gran parte trasformato in un campo di basket, teatro di impegnative partite domestiche. I miei amici avevano soprannominato la casa "Camp Dersh", facendo stampare delle T-shirt con questo nome. Al tempo del caso von Bulow, i miei figli erano entrambi al college, così la grande casa di dodici stanze, durante l'ano scolastico , era quasi vuota. A ogni squadra venne assegnata una stanza e un limite di tempo tassativo per completare il suo lavoro. La competizione divenne così accanita che sconfinò anche sul campo di basket. La squadra dell'insulina si suddivise a sua volta in sezioni: il partito dell'insulina esogena e quello dell'insulina endogena combatterono ferocemente fra loro in biblioteca come in aula. La squadra della borsa nera si segnalò comunque come l'indiscussa vincitrice sul campo di basket. (Invece di chiedere un fallo, uno dei giocatori chiese intelligentemente l'eliminazione dei punti ottenuti illegalmente.) Ma non tutto era gioco e divertimento. Lavorammo per molte ore, dandoci dei turni in cucina e per il cibo. Vi era almeno un segretario disponibile ventiquattr'ore su ventiquattro e la fotocopiatrice era perennemente in funzione. durante questo mese battemmo a macchina probabilmente più di duemila cartelle. Il prodotto finale, il ricorso, si sarebbe invece dovuto limitare a cento cartelle. Produrre e correggere un ricorso è qualcosa di simile alla produzione di un programma televisivo. Una volta ebbi una lunga conversazione con un regista del programma televisivo 60 Minutes su queste analogie. I registi televisivi cominciano da una massa informe di materiale che riducono a qualche migliaio di minuti di pellicola. Da questa base, distillano quei pochi minuti che contengono l'essenziale dell'azione drammatica. L'avvocato d'appello comincia anche lui da un'enorme quantità di materiale; in questo caso seicento pagine di trascrizioni delle udienze; centinaia di pagine di testimonianze al grand jury, di rapporti di polizia, di affermazioni di testimoni, di registri di ospedali, di riassunti investigativi; cinquecento pagine di lettere e memorandum legali che erano stati sottoposti al giudice e infine una miscellanea di materiale che andava dalla borsa alle foto di Clarendon Court. Il problema della selezione del materiale, era, nel nostro caso, complicato dal fatto insolito che avevamo anche tutto il materiale scoperto di recente, sviluppato e annotto in relazione alla nostra richiesta di un nuovo processo. Dovevamo quindi prendere decisioni difficili su come integrare in un insieme coerente - la nostra istanza di ricorso - tutte queste informazioni esplosive e controverse in alcuni casi non ancora confermate. La cosa più difficile fu scegliere quali argomenti tralasciare. Una decisione che ci costò notti insonni. Almeno due volte nella mia esperienza sono stato sul punto di omettere da una richiesta di ricorso un argomento perché convinto che fosse perdente; in entrambe queste occasioni i miei più giovani collaboratori mi fecero cambiare idea; diedi loro ascolto, relegando questi punti alla fine dei ricorsi e in entrambi i casi le corti d'appello annullarono la condanna sulla base delle argomentazioni che avrei voluto escludere. La soluzione più semplice sarebbe includere tutti gli argomenti, anche se possono sembrare fragili. Ma anche questa non è una buona tattica. Le argomentazioni che possono sembrare deboli ai giudici, indeboliscono anche le altre più solide. "Se lei ritiene che i suoi argomenti principali siano così solidi", ho sentito chiedere da alcuni giudici, "allora perché aggiungervi anche argomenti così deboli?" Inoltre, semplicemente non c'è abbastanza spazio in una richiesta di ricorso, che dee sempre essere contenuta in un certo numero di pagine, per tutti gli argomenti possibili. La soluzione ideale naturalmente sarebbe includere tutti gli argomenti che potrebbero convincere qualsiasi giudice e tralasciare gli altri. Ma gli avvocati non possono leggere nella mente dei giudici. La Corte Suprema del Rhode Island è composta da cinque giudici molto diversi fra loro, ciascuno dei quali può avere un'opinione differente su che cosa sia un argomento convincente. Partendo da quest'idea, mi misi a studiare le opinioni giuridiche espresse da ciascuno dei giudici nel tentativo di farmi un'idea di quali argomenti avrebbero potuto risultare convincenti per ciascuno, o ciascuna, dato che vi era anche il giudice Florence Murray. In genere sembrava che non amassero i verdetti molto innovativi, quanto piuttosto i cambiamenti graduali e minori che potevano derivare quasi naturalmente dalle decisioni precedenti. Raramente avevano luogo discussioni su principi giuridici generali. E quasi mai i giudici discussero della possibile innocenza dell'accusato. Ma tra le righe mi parve di cogliere, soprattutto nel caso del presidente e di due altri giudici, una preoccupazione reale per l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato. Questa mi sembrava essere la premessa nascosta di alcune delle loro decisioni. Notai come talvolta due imputati che avessero sollevato argomenti simili venissero giudicati diversamente. Questi diversi esiti non erano giustificabili solo sulla base di argomenti strettamente legali. Si capiva che l'imputato il cui ricorso era stato accolto era stato giudicato come potenzialmente innocente. Non potevo dimostrare la mia ipotesi, ma ne sapevo abbastanza per convincermi che dovevo persuadere i giudici che non solo il processo a Claus von Bulow era pieno di vizi formali, ma anche che l'imputato era innocente. Le mie frequenti conversazioni con altri giudici, amici o ex compagni di studi entrati in magistratura, e la mia esperienza personale come assistente per due giudici di ricorso mi avevano convinto dell'importanza di persuadere la corte dell'innocenza dell'accusato, sempre che, naturalmente, questa fosse anche la mia convinzione. Ma il linguaggio degli avvocati e dei giudici è talvolta strano, in aula o nei documenti. Una delle regole fondamentali di questo linguaggio è "non affermate mai apertamente l'innocenza del vostro cliente, anche se ci credete". Ci sono diverse ottime ragioni per questa regola. Innanzi tutto e soprattutto, la maggior parte degli avvocati si troverebbe in una situazione molto imbarazzante, dato che la grande maggioranza dei loro clienti non è in realtà innocente. Un avvocato onesto si sentirebbe come minio a disagio a protestare davanti alla corte l'innocenza del suo cliente sapendo che non è vero. Secondariamente, la funzione delle corti che giudicano i ricorsi non è da valutare le conclusioni della giuria che ha già giudicato l'imputato colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. Almeno in teoria, la sua sola funzione è di valutare i vizi formali. "I fatti non ci interessano in questa sede, avvocato" è il genere di risposta che ci si sente spesso dare dai giudici quando si proclama l'innocenza dell'imputato. "Tenga da parte questo tipo di messinscena per l'arringa del suo prossimo processo" è un'altra formula consueta. Ma molti giudici sono profondamente, anche se discretamente preoccupati dell'eventuale innocenza dell'imputato. Un noto giudice d'appello, conosciuto per le sue opinioni giuridiche fredde e formalistiche, mi ha confidato di recente che "se credo che un imputato sia innocente, o anche se ho solo qualche dubbio, faccio qualunque cosa per invalidare la condanna e dargli un altro processo. Una base giuridica la trovo senz'altro. Ma se sono sicuro che sia colpevole, solo il demonio può convincermi a rovesciare la sentenza". questo approccio molto umano al problema del giudizio d'appello non è sorprendente, ma non è quasi mai confessato apertamente. Gli argomenti iniziali in un ricorso sono quindi quasi sempre di natura strettamente formale, ma quelli sostanziali riguardano spesso la colpevolezza o meno dell'accusato. Questo duplice modo di procedere pone grossi problemi all'avvocato che crede nell'innocenza del suo cliente. Io e la mie équipe passammo molte ore a discutere su come scegliere e presentare i nostri argomenti giuridici in modo da convincere i giudici dell'innocenza di Claus von Bulow. Avevamo già deciso di insistere sul fatto che gli appunti di Kuh non erano stati mostrati per far capire ai giudici che anche elementi già noti avrebbero potuto provare l'innocenza dell'imputato. Ma avevamo bisogno anche di un pretesto per portare la loro attenzione sui fatti nuovi che erano venuti alla luce. Alla fine optammo per una strategia azzardata e che poteva rivelarsi pericolosa. Decidemmo di giocare a carte scoperte, mettendo tutto quello di cui disponevamo sotto gli occhi della Corte Suprema del Rhode Island. Riunimmo tutte le prove, vecchie e nuove, a favore dell'innocenza di Claus von Bulow. Il nostro punto di forza sarebbe stata l'innocenza dell'imputato. Non avremo insistito sui motivi tecnici, sulla norma di esclusione o sulle violazioni costituzionali, a meno che gli argomenti giuridici non servissero a evidenziare il nostro punto fondamentale: l'innocenza di Claus von Bulow. Poiché un appello è solo una revisione legale dell'operato del giudice al processo, dovevamo trovare il modo di far giungere alla Corte Suprema le nuove informazioni, quelle non prodotte al processo, giunte in nostro possesso. Un avvocato non può semplicemente convocare una conferenza stampa e annunciare che ha scoperto fatti nuovi. Deve escogitare una via legale per produrre questi fatti innanzi alla corte. Dato che non esisteva nel Rhode Island una procedura consolidata per portare questi fatti nuovi a conoscenza della Corte Suprema in un ricorso, decidemmo di crearne una adeguata alla nostra situazione. Scegliemmo una via a due tappe. Innanzi tutto avremmo cercato di includere alcuni dei fatti nuovi alla richiesta di ricorso. Sapevamo che probabilmente queste aggiunte sarebbero state respinte, ma valeva la pena tentare. La nostra linea era la seguente: poiché l'accusa si fondava esclusivamente su fatti circostanziali, doveva provare che da questi fatti non potevano essere tratte inferenze a favore dell'innocenza; ora, i nostri nuovi elementi, almeno così pensavamo, mostravano che i fatti prodotti dall'accusa erano compatibili ragionevolmente con l'innocenza dell'imputato, anzi costringevano a concludere in questo senso. Le nuove perizie mediche che esibivamo portavano a conclusioni talmente diverse da quelle alle quali si era giunti al processo chela corte non poteva non dubitare del verdetto emesso dalla giuria. Di conseguenza, allegammo alla nostra istanza una serie di affidavit fattuali che comprendevano alcune, ma non tute le nostre nuove informazioni. La ragione per la quale alcune di queste vennero escluse è che , al momento della redazione dell'istanza , non avevamo ancora completato il nostro lavoro di elaborazione e di conferma delle nostre scoperte. Non menzionammo, ad esempio, le informazioni che ci aveva dato Marriott in quanto stavamo ancora verificandole. Come ci aspettavamo, l'accusa si oppose all'inserimento dei nuovi elementi in quanto non facevano parte della documentazione processuale che era oggetto del ricorso. Alla fine la Corte Suprema del Rhode Island accolse l'obiezione dell'accusa e ordinò che la maggior parte delle nostre nuove informazioni venisse stralciata dall'istanza di ricorso. speravamo comunque di aver seminato qualche dubbio. Il passo seguente era radicare e far germogliare questi dubbi. A questo fine cercammo una via legale che ci consentisse di dispiegare davanti alla corte l'intera penaplia dei nuovi elementi emersi. La strada consueta in questo caso è "una mozione per un nuovo processo fondata su elementi recentemente acquisiti ". Vi erano però alcuni problemi. Innanzi tutto questa mozione doveva esser presentata al giudice del processo prima di essere portata davanti alla Corte Suprema. Non avevamo alcun interesse a portare le informazioni a conoscenza del giudice Needham, dato che il caso, per il momento, non era più di sua competenza. Secondariamente, una mozione per un nuovo processo non può essere presentata finché un ricorso per il primo è ancora pendente davanti alla Corte Suprema. Il principio generale è che un caso non può essere presentato a due orti diverse contemporaneamente. Poiché avevamo già presentato domanda di ricorso davanti alla Corte Suprema, l'intero caso era per ora nelle sue mani. Ma questa corte non aveva il potere di esaminare la nostra mozione per un nuovo processo, dato che questa non era stata ancora esaminata dalla corte del primo processo. E l prima corte non poteva esaminarla perché tutto il caso era nelle mani della Corte Suprema. La procedura normale avrebbe dovuto essere di attendere finché l a Corte Suprema non si fosse pronunciata sul ricorso e quindi, se avessimo perso, presentare la nostra richiesta di un nuovo processo alla prima corte. Ma anche questa via presentava pericoli. Temevamo che le corti decidessero che avevamo aspettato troppo e che le nostre "nuove "informazioni non fossero più giudicate tali. Volevamo anche che le informazioni, soprattutto le perizie mediche, della nostra mozione per il nuovo processo fossero portate a conoscenza della Corte Suprema in modo che questa avesse un quadro completo della vicenda. Decidemmo quindi di costruirci una via insolita che fosse funzionale ai nostri progetti. Ci trovammo di fronte a una situazione veramente da comma 22: l'unica sede nella quale potevamo presentare la nostra mozione per un nuovo processo era la corte giudicante, ma questa mozione poteva essere presentata solo dopo che la Corte Suprema avesse deciso in merito al ricorso. La nostra unica speranza di poter presentare la nostra mozione al posto giusto e al momento giusti, cioè alla Corte Suprema prima che questa decidesse sul ricorso, era di introdurre qualche novità legislativa creativa. Elaborammo quindi la nostra mozione in modo che questa potesse scivolare tra le fitte maglie della procedura consueta. Cominciammo a lavorare su una mozione d'appello tradizionale da presentare alla corte giudicante mentre ancora il ricorso era pendente; in essa sarebbero stati compresi tutti i nostri affidavit con tutte le nostre informazioni che saremmo riusciti a confermare. Ma non lo presentammo alla corte del processo. Lo avremmo invece inviato alla Corte Suprema con la richiesta che i giudici della corte decidessero loro stessi se e quando inoltrarlo alla corte giudicante. Questo è quello che scrivemmo nel memorandum: Questa mozione per un appello iene inoltrata ora in anticipo su una richiesta orale d'appello in modo da rendere noto a questa corte l'esistenza di nuovi elementi e consentire quindi a questa corte il massimo di flessibilità nella procedura.

Mentre stavamo preparando il ricorso e la richiesta d'appello, venimmo a sapere che stava per essere pubblicato un libro che riguardava il caso von Bulow. Consapevoli del fatto che ogni versione del caso avrebbe potuto influenzare la pubblica opinione, e quindi l'opinione dei giudici, aspettammo con ansia la sua pubblicazione. Quando scoprimmo quale sarebbe stato il contenuto, ci preoccupammo. Ma quando venimmo a sapere perché l'autore adottava un certo punto di vista, divenimmo veramente furiosi e decidemmo di contrattaccare. Il caso von Bulow era opera di un rispettabile scrittore, William Wright, che aveva scritto anche una biografia di Luciano Pavarotti e diversi altri libri sui protagonisti del bel mondo. Secondo Wright, non c'erano dubbi sulla colpevolezza di Claus von Bulow. Solo un folle influenzato dalla stampa, un fanatico o u furfante poteva credere alla sua innocenza. Per ogni dubbio aveva una risposta certa. Le domande che Wright si poneva non erano però: "Chi è stato?"; oppure: "C'è stato veramente un delitto?". Secondo lui l'unico mistero era come mai persone apparentemente ragionevoli avevano avanzato dei dubbi sul verdetto della giuria. Oltre a ripercorrere, in maniera assolutamente parziale, il processo, Wright diede spazio nel suo libro a pettegolezzi infondati, e tutti negativi, sul passato di Claus. Tirò in ballo omosessualità, orge, necrofilia, travestitismo sadismo. Si arrivò anche all'incesto. Citò un noto personaggio tedesco il quale, secondo lui, avrebbe detto "che non avrebbe voluto toccare von Bulow neanche per stringergli la mano", dato che la "malvagità che emanava dalla sua persona era così forte". Posso facilmente capire perché la sensibilità al male di quest'uomo fosse così forte; si trattava, secondo Wright, del barone Arndt Krupp von Bohlen, erede di quel Krupp fabbricante di armi per i nazisti e sfruttatore del lavoro di schiavi. (Più probabile che fosse Claus a non voler toccare la mano di Krupp, una mano che era stata calorosamente stretta dal più grande criminale della storia.) Wright non si espose mai chiaramente avallando queste dicerie, a non poteva essere consapevole del fatto che pubblicandole, anche con smentite, dava un'immagine negativa di Claus von Bulow, che caratterizzava come "un criminale internazionale di lusso", e avvalorava la sua conclusione in base alla quale era un uomo capace di uccidere la propria moglie. Arrivò a dire che claus era stato uno degli autori del soggetto del dramma di Broadway Deathtrap, un "giallo che racconta la storia di un uomo che escogita un piano diabolico per uccidere la ricca moglie". Lasciando evidentemente capire che nel caso di von Bulow la vita imitava l'arte. Non solo il libro di Wright venne citato sui giornali e riviste, ma l'autore fece un giro in tutto il paese per reclamizzarlo alla radio e alla televisione. Il messaggio era sempre lo stesso: Claus von Bulow era un essere diabolico che aveva tentato di uccidere sua moglie per ben due volte. Wright affermò che all'inizio aveva dubitato della colpevolezza di Claus ma che, dopo un obiettivo esame dei fatti, era giunto all'incontrovertibile conclusione che fosse colpevole. Mi preoccupava questa conclamata imparzialità da parte di Wright. Finora gli accusatori di von Bulow avevano un chiaro interesse a sostenerlo: la famiglia, Richard Kuh, l'accusa. Ma Wright affermava di avere svolto un'analisi assolutamente indipendente dei fatti e di non essere stato minimamente influenzato da nessuno. Le sue affermazioni, se fossero rimaste senza risposta, avrebbero potuto avere conseguenze gravissime sulla pubblica opinione. Claus e io ci leggemmo il libro con grande attenzione evi trovammo decine e decine di imperfezioni, alcune minori, altri più rilevanti. Ad esempio Wright sottolineò il fatto che entrambi i coma capitarono in un momento in cui gli ospedali si trovavano a corto di personale: Il procuratore Famiglietti ha inoltre tralasciato di sottolineare un elemento evidenziato da latri. Perché entrambi i tentativi furono fatti di domenica? Potrebbe essersi trattato di una sorta di "strategia di Pearl Harbor"(L'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor ebbe luogo il 7 dicembre 1941, all'alba di domenica, per cogliere di sorpresa gli americani.):si poteva pensare che il personale e le apparecchiature degli ospedali funzionassero a livello ridotto.

Una teoria interessante, ma falsa. Il primo coma ebbe luogo il 27 dicembre 1979. Un semplice sguardo al calendario avrebbe immediatamente rivelato che il 27 dicembre di quell'anno cadeva di martedì. Quando Sunny von Bulow venne ricorverata, l'ospedale era a pieno organico. Il secondo coma si verificò effettivamente di domenica, e Sunny venne ricoverata d'urgenza poco prima di mezzogiorno, ma non vi fu nulla che facesse pensare che in quel momento l'ospedale fosse sprovvisto di personale. Anzi, il dottor Gerhard Meier, "uno dei migliori medici di Newport", secondo il "Journal" di Providence, prese immediatamente in cura Sunny e la rianimò quando ebbe un arresto cardiaco. Non c'è quindi da stupirsi se il procuratore Famiglietti non ha fatto allusione alla "strategia di Pearl Harbor" di Wright. Un altro esempio significativo è la descrizione che Wright fa della ricerca della borsa nera. Disse ad esempio, che della lidocaina venne trovata all'interno della borsa, quando entrambi i testimoni sono concordi nel ritenere che venne trovata all'esterno. Wright afferma inoltre che i due rimisero gli oggetti che avevano trovato all'interno della borsa " e la chiusero", mentre i due testimoni ammettono di avervi messo altri oggetti prima di chiudere la borsa con la lampo. Wright dunque "migliorò" in molti punti la versione della famiglia. Quello che i sorprese mentre leggevo questo libro fu che nessun altro aveva rilevato questi errori e altri egualmente plateali. Ma ciò che mi insospettì fu il fatto che quasi tutti questi errori fossero a sfavore di Claus von Bulow. Pochi o nessuno erano a sfavore dei clienti di Richard Kuh. Era come se il manoscritto fosse stato letto in anticipo solo da una delle due parti. Se questo fosse veramente accaduto, la conclamata imparzialità di Wright sarebbe stata una menzogna. Dubitavo però che un autore noto come Wright avesse sottoposto il manoscritto all'esame di una parte e non dell'altra. Scoprii presto, però, che le cose erano andate molto peggio di quanto sospettassi. Claus mi disse che aveva ricevuto un'informazione confidenziale che lo avvertiva che William Wright aveva firmato un vero contratto con Richard Kuh. Il contratto prevedeva che, in cambio di interviste coi suoi clienti e dell'accesso alle sue informazioni, Wright avrebbe permesso a Kuh di vedere il manoscritto prima della sua pubblicazione. Kuh e i suoi clienti avrebbero quindi potuto rivederlo e suggerire correzioni e altri cambiamenti. Wright sarebbe rimasto libero di non accettarli, ma prometteva di prenderli in considerazione in buona fede. Non vi fu nessun accordo simile con Claus von Bulow o coi suoi difensori per poter esaminare il manoscritto prima della pubblicazione e suggerire correzioni. Se quanto mi disse Claus era aver, era chiaro perché tutti gli errori puntavano in una direzione. Venni invitato a partecipare con Wright a numerosi programmi radiofonici e televisivi. Accettai volentieri, ansioso di confrontarmi con lui e di saperne di più su questo contratto. Nel maggio 1983 partecipammo a People are talking, un talk-show di un'ora a una televisione di Boston. Wright ammise che per poter intervistare i clienti di Kuh aveva dovuto sottoscrivere un accordo scritto. Me lo mostrò. (Wright sostiene che questo accordo fu uguale ad altri "chiesti da Alex e Ala in cambio di interviste e informazioni rilevanti", e firmato da altri autori.) In base a questo accordo, Kuh aveva il diritto di rivedere il manoscritto e segnalare gli errori. Wright non era obbligato a fare le correzioni, ma naturalmente ogni autore preoccupato della correttezza del suo testo, e di eventuali conseguenze penali, lo avrebbe fatto. Non ci fu nessun accordo con l'altra parte per la segnalazioni di errori, e Wright non ci mostrò il manoscritto, il che spiega perché gli errori andassero tutti nella stesa direzione. Il resoconto di un giornale affermò che "Wright era stato sulla difensiva per tuta la durata della trasmissione". Mi sembrò che il nostro obiettivo di mettere in discussione la credibilità del libro di Wright fosse stato raggiunto. Sottolineai il carattere unilaterale del contratto di Wright in diverse trasmissioni televisive e radiofoniche, descrivendo questo contratto come "un patto col diavolo". Wright era furioso e minacciò di querelarmi per diffamazione. In un accesso infantile d'ira, scrisse anche al decano della Harvard Law School per chiedergli di cacciarmi. Non era certo la prima lettera che il decano riceveva, e ignorava, a questo riguardo. E'perfettamente comprensibile che Wright fosse furioso . La sua presunta imparzialità era stata smascherata. La rivelazione pubblica della sua unilateralità distrusse completamente la sua credibilità come cronista obiettivo del caso von Bulow. La prova definitiva della sua malafede fu che, anche dopo che i suoi errori erano stati pubblicamente rivelati in televisione, non apportò alcuna correzione nelle seguenti edizioni tascabili del suo libro. Così, se si guarda a pagina 134, si può ritrovare il racconto scorretto della perquisizione nella borsa nera, malgrado il pubblico riconoscimento da parte di Wright che si era trattato di un errore; e a pagina 312 si fa riferimento ala "strategia di Pearl Harbor" e al "fatto" che entrambi i tentativi erano stati compiuti di domenica. Considerammo quindi il libro di Wright come una divulgazione della tesi dell'accusa. L'autore era anche riuscito a rendere il punto di vista della famiglia in modo più persuasivo di quanto non fosse riuscito a far e lo stesso Famiglietti, perché Famiglietti poteva venir corretto se commetteva errori, mentre il libro pieno di sviste di Wright rimase immodificato. Cogliemmo ogni occasione per segnalare gli errori e gli strani accordi che legavano l'autore a Kuh e ai suoi clienti. Non avevamo altra scelta che contrttaccare. Wright, e la cosa non ci stupisce, non querelò mai nessuno. 12. ASSOLUZIONE PER NON AVER COMMESSO IL FATTO Inoltrammo il nostro ricorso il 15 marzo 1983, quasi un anno dopo il mio ingresso nel caso. Era la più lunga e complessa istanza che io avessi mai preparato, più di cinquantamila parole. Ma si trattava del più lungo processo penale della storia del Rhode Island. Per non spaventare, e annoiare, la corte e scoraggiarla dall'intraprendere il compito ingrato di esaminare cento cartelle dattiloscritte a spazio uno, esordimmo con uno sguardo generale che presentava in termini semplificati l'essenziale della versione che intendevamo presentare in appello. (Il resto della storia era riservata alle mozioni di appello.) Ecco la premessa: Claus von Bulow si trova a dover affrontare una condanna a trent'anni di prigione per un crimine che non ha commesso. Incapace di accettare il fatto che Martha von Bulow potesse aver distrutto da sola la propria vita, la sua ricca famiglia ha ingaggiato un avvocato per esercitare una vendetta privata contro suo marito. L'avvocato ha organizzato un'operazione di perquisizione e distruzione, durante la quale prove sono state trascurate, perdute o gettate via; queste prove avrebbero potuto scagionare in modo definito Claus von Bulow. Sulla base di una ago ipodermico, che si dichiarò di aver trovato in una borsa di vinile nero, l'avvocato privato... persuase le autorità del Rhode Island a intraprendere un procedimento penale, in parte finanziato dai suoi clienti, contro Claus von Bulow per aver tentato di uccidere sua moglie. Ma i fatti, alcuni dei quali sono stati cancellati, dimostrano che quell'ago non venne mai usato per iniettare alcunché a Martha von Bulow. I fatti dimostrano anche che la prova fondamentale che avrebbe dovuto collegare Claus von Bulow all'ago, una boccetta contenente pillole col nome di Claus von Bulow, che si disse era stata trovata nella borsa di plastica nera, fu invece trovata all'esterno della borsa e messa in seguito al suo interno. In effetti, a quanto afferma lo stesso investigatore privato ingaggiato dall'avvocato della parte lesa, se qualche boccetta contenente pillole fu trovata all'interno della borsa nera, questa recava il come di Martha von Bulow. Malgrado i continui e concertati sforzi compiuti dalla famiglia di Martha von Bulow per impedire che la verità emergesse, appare ora chiaro che Martha von Bulow era una donna con tendenze autodistruttive, profondamente depressa e farmacodipendente, che assumeva sostanze che non le erano state prescritte e che persisteva nel tenere un comportamento a rischio anche dopo aver corso pericolo di vita ed essere stata messa in guardia dai medici. Non essendo stata portata a conoscenza dell'intera verità, la giuria ha condannato un uomo innocente. L'obiettivo di questo ricorso è di riparare a questa ingiustizia.(La famiglia di Sunny contesta molte delle affermazioni contenute nella nostra istanza.)

Ricordammo alla corte che i coma di Sunny von Bulow avevano dato origine a uno dei misteri medici e legali più discussi nella storia della giurisprudenza americana. Il caso von Bulow è qualcosa di più di un semplice: "Chi è il colpevole?" La questione ben più inquietante è se qualche crimine è stato veramente commesso. Nessun testimone ha visto perpetrare alcun crimine. L'accusa stessa ha ammesso che le prove circostanziali "lasciano aperti alcuni interrogativi per i quali non avremmo mai una risposta..." Oltre agli interrogativi rimasti senza risposta, il procedimento contro Claus von Bulow... solleva gravi dubbi di ordine giuridico, alcuni immediati, altri riguardo a principi da lungo tempo accolti. Ognuno di questi elementi ci conduce al punto centrale del ricorso: la completa innocenza di Claus von Bulow.

Proseguimmo presentando alla corte un ritratto di Martha von Bulow che, sebbene fondato sui documenti processuali, era piuttosto diverso da quello che era stato offerto alla giuria: Sia prima sia dopo che le venne diagnosticata la sua condizione [l'ipoglicemia reattiva], la signora con Bulow mangiava grandi quantità di dolci, sebbene fosse stata informata che per lei erano come . Era ossessionata dal suo peso e dall'età di sedici anni prendeva 24 lassativi al giorno. Ingeriva anche enormi quantità di aspirina. proprio 19 giorni prima dell'ultimo coma, la signora von Bulow venne ricoverata d'urgenza per una grave intossicazione da aspirina, avendone volontariamente ingerite 60 compresse. Dopo questa "disastrosa intossicazione da aspirina", il medico che l'aveva in cura da 26 anni le ordinò di non prendere ai più aspirina ma un succedaneo. La signora von Bulow continuò invece a prendere aspirina in dosi massicce, come provano io 156 mg% trovati nelle sue urine in occasione dell'ultimo coma. Consumava anche grandi quantità di alcool, malgrado sapesse di tollerarlo male, e grandi quantità di Valium e di barbiturici. Analisi condotte durante il suo ultimo coma hanno rivelato un livello di Amobarbital sufficiente di per se stesso, secondo i principali testimoni dell'accusa, a procurare l'incoscienza e forse la morte. La signora von Bulow era una donna autodistruttiva la quale, sempre secondo gli stessi testimoni dell'accusa, aveva un disperato bisogno di aiuto psichiatrico e che aveva dichiarato al primario del reparto psichiatrico del Newport Hospital di "essere quasi sempre infelice", "spesso annoiata", di non desiderare talvolta "di alzarsi dal letto al mattino" e di "aver spesso desiderato di morire". (Sunny era particolarmente preoccupata al pensiero della morte e chiedeva agli amici: "Non pensate anche voi alla morte tutto il tempo? Siete fortunati, io si.") Dopo aver descritto le circostanze dei coma, ci occupammo della ricerca e del ritrovamento dell'ormai famigerata borsa nera, e raccontammo la nostra versione di questa storia, una versione chela giuria non aveva mai sentito. Spiegammo alla corte come Alex e l'investigatore avessero "mischiato" insieme tutte le boccette di farmaci - quelle trovate all'interno e quelle trovate all'esterno della borsa - e le avessero gettate nella borsa di plastica. I due trascurarono tutte le impronte digitali che potevano trovarsi sulle boccette e sulla borsa, e persero, gettarono via o in altro modo distrussero elementi cruciali che potevano provare l'innocenza di von Bulow.

La discussione su questa perquisizione privata portò inevitabilmente ad affrontare il problema degli appunti dell'avvocato Kuh, presi durante gli incontri coi testimoni più importanti. Spiegammo come gli appunti di Kuh avrebbero potuto costituire un prezioso aiuto per il controinterrogatorio dei testimoni: Come è ben noto, spesso è il rimo contatto con un testimone che fa emergere le osservazioni più obiettive e immediate. Quando ormai si è arrivati al processo, le loro storie sono ormai state depurate da continue ripetizioni e private di ogni elemento in contrasto con la visione generale del caso che è stata elaborata nel frattempo. Quindi l'accesso a questi appunti era essenziale, sia come fonte di indizi per la difesa sia come materiale per controinterrogatori e invalidamento.

Per dimostrare quanto avrebbe potuto essere utile alla difesa questo materiale, riferimento di un episodio del processo che si dimostrò estremamente utile all'accusa. La difesa aveva chiamato come testimone l'autista di famiglia, Charles Roberts, che aveva affermato di aver condotto Sunny presso vari medici e farmacie per avere prescrizioni di farmaci. L'accusa chiamò allora Richard Kuh, che aveva interrogato Roberts, per confutare questa testimonianza. Dal banco dei testimoni Kuh si dimostro perfettamente disposto a riferire il contenuto dei suoi appunti e a dichiarare che Roberts durante il primo incontro gli aveva rivelato fatti che contraddicevano la sua deposizione. Sottolineammo quindi come venne permesso a Kuh di servirsi degli appunti riservati "come scudo per impedire che venissero resi pubblici, se questo avrebbe potuto essere utile alla difesa, ma nello stesso tempo come spada contro la difesa nel momento in cui il fatto di renderne pubblica una parte poteva giovare ai suoi clienti e alla strategia dell'accusa". Dichiarammo che questo episodio "dimostrava drammaticamente l'uso scorretto, anzi l'abuso, che il signor Kuh aveva fatto del suo privilegio, e il danno che ne era conseguito per l'imputato e per la ricerca della verità". Alla fine affrontammo la questione della norma di esclusione di prove ottenute illegalmente per quanto riguardava la borsa nera. Come avevo già detto a Claus, questa è in genere l'ultima risorsa degli imputati colpevoli, perché presuppone quasi sempre che la prova che si è ottenuta illegalmente sia a carico. Tentammo di eliminare questo aspetto distinguendo questa situazione dal "solito caso del quarto emendamento, in cui i benefici in termini di deterrenza devono essere controbilanciati dal danno che consegue alla società in virtù dell'esclusione di attendibili prove di colpevolezza". Nel caso von Bulow, però, "entrambi gli argomenti militino a favore dell'esclusione perché, come si dice inseguito, la norma di esclusione avrebbe come conseguenza un verdetto fondato su prove più attendibili e non l'esclusione di prove". Spiegammo che la discutibile perquisizione "aveva ignorato quasi tutti i requisiti ai quali doveva attenersi la polizia per la raccolta e la conservazione delle prove". Ricordando alla corte come non fosse stato steso alcun inventario, sostenemmo che "il risultato fu che non è ancora chiaro cosa fu trovato effettivamente nella borsa nera. E'proprio perché la memoria individuale è fallibile che, in questi casi, la normale prassi della polizia richiede un inventario e fotografie". Cercammo anche di mettere in relazione questa mancanza di garanzie con le contraddizioni presenti in quanto avanzato dall'accusa: Dato il ruolo che la borsa nera ha avuto nella ricostruzione dell'accusa, l'incertezza che ancora adesso circonda il suo contenuto è inaccettabile. Non è accettabile che un imputato venga condannato sulla base della collocazione di una boccetta di pillole, quando né un inventario né delle fotografie ci assicurano che questa boccetta fosse veramente lì, e quando anche coloro che hanno effettuato questa perquisizione sono in completo disaccordo sul contenuto della borsa.

Passando poi alla distruzione delle impronte digitali sulla borsa e sul suo contenuto, l'istanza sottolineava l'ipocrisia dell'affermazione fatta da Famiglietti davanti alla giuria, secondo la quale "non vi è il ben che minimo indizio che ricolleghi la signora von Bulow alla borsa nera o a uno degli oggetti che erano contenuti". Facemmo notare alla corte che "anche una singola impronta digitale della signora von Bulow sulla borsa nera o su uno qualsiasi degli oggetti che i erano contenuti, avrebbe completamente smentito la teoria dell'accusa in base alla quale la borsa e il suo contenuto appartenevano esclusivamente al signor von Bulow. La perdita, o per meglio dire la distruzione, di questa prova essenziale e potenzialmente discolpante, la si deve al ricorso deliberato a metodi privati di indagini che non soddisfano i requisiti delle indagini di polizia". Invitammo quindi la corte ad applicare la norma di esclusione a indagini private di questo tipo, perché altrimenti, i privati sarebbero incentivati a evitare indagini di polizia e a cercarsi da soli le prove, al di fuori di ogni autorizzazione e requisito di leicità. E grazie a questo incentivo le ricerche di prove fatte da privati continueranno e la distruzione di prove, sia che le parti manchino della competenza tecnica, sia che manchino di buona fede, sarà inevitabile. Il "rischio per la società" che prove importanti vengano esclulse non deriva quindi dall'applicazione della norma di esclusione, quanto, piuttosto, dalla sua mancata applicazione.

Concludemmo quindi come avevamo cominciato: con una ferma dichiarazione di innocenza: Poiché la conduzione del processo da parte del giudice e il comportamento dell'accusa hanno impedito a Claus von Bulow di provare la sua innocenza, e poiché i fatti prodotti dall'accusa sono ben lontani dal provare che l'imputato abbia iniettato insulina alla moglie, la difesa chiede rispettosamente a questa corte di invalidare la sua condanna...

Anche il semplice fatto di inoltrare la nostra istanza si rivelò un piccolo dramma. Dato che era così lunga, decidemmo di stamparla noi stessi, sperando di poter infilare qualche migliaio di parole in più nelle nostre pagine sovradimensionate e coi margini ridotti al minimo, Naturalmente le operazioni di stampa e fotocopia furono un disastro e rischiammo di finire fuori tempo massimo. Dovetti quindi reclutare mio figlio Jamin, che era in vacanza, per questo compito tecnico e grazie al suo intervento d'urgenza riuscimmo a terminare l'istanza alle 4 pomeridiane del giorno di scadenza. Una telefonata all'impiegato da parte di Terry MacFayden riuscì a guadagnarci un quarto d'ora extra rispetto al normale orario di chiusura, le 5. Ci precipitammo a Providence a tempo di record, con i nostri documenti nel baule della macchina, come che cercavo la strada e Jamin che guidava. Arrivammo proprio mentre stavano chiudendo le porte e, con un sospiro di sollievo, inoltrammo l'istanza. Il 16 giugno 1983, il procuratore generale del Rhode Island inoltrò la sua risposta, in 101 pagine. Attaccò quasi ogni punto della nostra tesi, affermando che "le prove circostanziali della colpevolezza dell'imputato erano schiaccianti, che il giudice aveva garantito all'imputato un processo del tutto equo, che gli appunti di Kuh erano stati giustamente stralciati e che la ricerca della borsa nera non violava alcun diritto costituzionale. Accusava la nostra ricostruzione di presentare i fatti "in maniera distorta e imprecisa" e di fondarsi su informazioni "assolutamente non contenute nel dossier del processo", alludendo alle nostre nuove testimonianze mediche. Noi allora presentammo un'ulteriore replica, che, almeno così io credevo, ci avrebbe dato l'ultima parola. In ogni Stato in cui io ho lavorato, colui che presenta ricorso - vale a dire l'imputato condannato - deve inoltrare per primo la sua istanza; quindi l'accusa replica e la difesa ha l'ultima parola con una contro replica. Rimanemmo quindi molto sorpresi quando la Corte Suprema del Rhode Island, con una decisione senza precedenti, permise all'accusa di presentare una contro-controreplica, dandole così l'ultima parola. Mi chiesi se eravamo ancora vittime del "Rhode Island Shuffle" o fosse solo un innocuo favoritismo verso i padroni di casa.

Poiché per l'appello occorreva inoltrare svariate istanze, una squadra composta da Jeanne Baker, Susan Estrich, Terry MacFayden, Joann Crispi, Andrew Citron e diversi studenti veterani del ricorso stavano lavorando duramente per preparare gli affidavit delle testimonianze e delle perizie mediche. Il mio compito nella richiesta di appello era di scrivere il memorandum giuridico che avrebbe riassunto gli affidavit e tratto da essi gli argomenti di carattere giuridico e fattuale. Pensavamo di inoltrare la nostra richiesta di un nuovo processo all'inizio di ottobre 1983. Volevamo inoltrare la domanda prima della discussione in modo che se i giudici avevano domande da porre - che riguardassero la sostanza o la sua forma piuttosto inconsueta - avrebbero potuto informarsi su di esse durante la seduta che era prevista per il 17 ottobre 1983. Stavo lavorando al memorandum per il nuovo processo il week-end prima dell'inoltro della domanda. A questo punto tutti gli affidavit erano stati autenticati, copiati e preparati per l'inclusione nel documento finale. Improvvisamente David Marriott comparve nel mio ufficio chiedendo di vedermi, insistendo che doveva modificare il suo affidavit e che aveva omesso qualcosa. Mi trovavo nel mio studio, uscii mentre Marriott stava protestando ad alta voce con alcuni membri della squadra perché doveva essere introdotto un cambiamento nella sua deposizione. Gli chiesi se si trattasse di una modifica rilevante. "Molto rilevante", mi rispose. "C'è qualcosa di falso nell'affidavit così com'è ora?" "No, assolutamente no. E'tutto vero, ma ho tralasciato una cosa." Gli chiesi cosa. "Si ricorda dove ho affermato che una donna si presentò sulla porta di Clarendon Court e io le diedi il pacchetto di Alex?" Mentre stava parlando, girò le pagine del suo affidavit e cominciò a leggere: "La donna non sembrava una domestica..." "Lo ricordo", lo interruppi. "Bene, sono certo che quella donna fosse Sunny von Bulow", affermò David con aria di sfida. "Come puoi esserne così sicuro?" chiesi sospettoso. "Era proprio come nelle fotografie e mi fece capire chi era." Marriott mi disse che era così sicuro fosse Sunny von Bulow che lo aveva già dichiarato alla polizia quando era stato interrogato. Dissi a Marriott che, se anche avesse avuto il benché minimo dubbio, non avremmo dovuto modificare l'affidavit. Gli dissi che non ci era di aiuto questo cambiamento perché avremmo dovuto renderlo noto all'accusa che avrebbe potuto dedurne che i due affidavit erano in contrasto. "Non è necessario che glielo dica", osservò David, "perché non potremmo semplicemente dire che questo è quello che ho sempre sostenuto nell'affidavit?" "Perché questo non è il mio modo di lavorare. Se tu presenti due affidavit, entrambi sotto giuramento, non possiamo mantenere il fatto segreto." Dissi a Marriott che se fosse stato assolutamente sicuro che quella donna era Sunny, avremmo modificato l'affidavit, qualsiasi conseguenza ne potesse derivare. "Ne sono sicuro come se si fosse trattato di mia madre", dichiarò, "Ho sempre saputo che era lei, ma ne sono stato sicuro quando ho cominciato a guardare meglio le fotografie. Chi altro poteva essere? Certamente non Maria." Autorizzai quindi una delle mie assistenti a rivedere l'affidavit e insistetti che Marriott controllasse ogni singola parola per essere sicuro che fosse esatto. Non fu semplice fare la modifica richiesta da Marriott perché era già notte fonda quando la battitura venne completata, e non era facile trovare un notaio a quell'ora. Marriott risolse il problema dicendoci che gli addetti alle pompe funebri dovevano essere dei notai "per sbrigare tutte le pratiche relative alle salme. E sono aperti tuta la notte". Così Marriott e una mia assistente andarono in cerca di un notaio delle pompe funebri e alla fine ne trovarono uno. All'ultimo momento Marriott mi diede anche un affidavit di sua madre. Non ce lo aspettavamo, né lo avevamo mai chiesto perché i aveva sempre detto di "lasciare mia madre fuori da questa faccenda". Ma apparentemente aveva cambiato idea e, di sua iniziativa ne aveva preparato uno e lo aveva fatto autenticare da un notaio. L'affidavit di sua madre affermava che mentre David era in ospedale, un uomo che si era qualificato come Alexander von Auersperg aveva chiamato più volte chiedendo informazioni su Gilbert Jackson. Avevamo un'ulteriore conferma. Se Marriott fosse stato un mentitore, questo avrebbe voluto dire che sua madre e un sacerdote cattolico erano coinvolti in una congiura per commettere spergiuro. La cosa appariva molto improbabile. In aggiunta alle perizie mediche e alla storia Capote-Marriott-Magaldi, includemmo nella nostra domanda vari affidavit di diversi testimoni che avevano avuto a che fare da vicino con Sunny e che ne davano un'immagine molto diversa da quella che era risultata dal processo. Un amico che la conosceva da vent'anni giurò che "Sunny aveva molte meravigliose qualità, ma quando cominciava a bere non sapeva più come smettere". L'amico raccontò a malincuore cosa accadeva in queste circostanze: "I suoi discorsi e i suoi movimenti diventavano completamente sconnessi"; "rovesciava mobili, batteva la testa contro gli stipiti delle porte"; "e alla fine crollava nella toilette delle signore". Alcuni amici intimi fecero racconti simili: "Quando le presi la mano mi accorsi che era flaccida; scuoteva semplicemente la testa e aveva uno sguardo allucinato. Ho avuto l'impressione che non sapesse nemmeno che fosse lì". "Perdeva facilmente il controllo e la riportavo a casa." "L'alcool aveva delle conseguenze disastrose su Sunny... perdeva completamente la padronanza di sé. Constatai sempre che diventava incapace di controllare i suoi gesti e i suoi discorsi... " Sunny era seduta sul letto, tentando di avvicinare il rossetto alle labbra, facendo smorfie, ma era così ubriaca che non riusciva a metterselo. Spazientita scagliò via gli oggetti contenuti nella sua borsetta e si lanciò verso la porta, la mancò e andò a sbattere contro il muro." "Parlava confusamente, si muoveva a scatti e ogni tanto cadeva." "Bevve molto e di conseguenza alla fine della cena non si riusciva più assolutamente a capire cosa stesse dicendo." Queste descrizioni di avvenimenti occorsi durante un ventennio della vita di Sunny ricordavano strettamente il suo comportamento poco prima dei due coma e confermavano quello che Claus aveva detto ai medici. I suoi amici, molti dei quali erano a conoscenza dei suoi problemi di alcool e droga, le avevano "consigliato di rivolgersi agli Alcolisti Anonimi", ma Sunny aveva detto che non voleva avere a che fare "con gente di livello sociale ed economico così diverso dal suo". I nuovi affidavit rivelarono che "nel nostro ambiente, i problemi di Sunny erano noti". Ma i suoi "amici non si erano fatti avanti al processo a causa delle pressioni emotivi e di altro genere che avevano subito, e così la verità non era emersa". "La famiglia e gli amici di Sunny volevano solo proteggerla." Una delle amiche più intime di Sunny, dai tempi della scuola fino agli ultimi momenti, ci diede un affidavit a proposito dei problemi di alcool di Sunny e poi mi fece una telefonata isterica riguardo alle pressioni che lei e sua figlia subivano da parte della famiglia di Sunny. Mi pregò di ritirare l'affidavit, affermando che sua figlia veniva isolata ed esclusa. Alla fine però accettò di dire la verità, comprese le minacce e le pressioni. "Malgrado le conseguenze che questo potrebbe avere su mia figlia e sui miei rapporti con la famiglia di Sunny e altri amici, ho deciso che non posso tacere." Inoltre presentammo un affidavit di un'ex cameriera che aveva lavorato a stretto contatto con Maria Schrallhammer per cinque anni. Maria le aveva raccontato dei problemi di alcool e droga di Sunny e di come prendesse "un'enorme quantità di sonniferi... in pochi giorni ne prendeva la dose di settimane"; di come Sunny "bevesse così tanto che Maria pensava che la signora von Bulow non si sarebbe più svegliata. Maria aveva sempre cercato di nascondere questi fatti a tutti per il bene della reputazione della signora von Bulow". La cameriera aveva anche osservato personalmente l'alternanza di anoressia e bulimia di Sunny: "La signora von Bulow rifiutava di mangiare per dieci giorni per mantenere la linea, poi improvvisamente cominciava a mangiare enormi quantità di cibo chiusa nella sua stanza per diversi giorni, rifiutando anche di vedere i ragazzi". La cameriera rivelò anche che "Maria odiava il signor von Bulow, e aveva manifestato chiaramente questo sentimento", soprattutto dopo che il signor von Bulow aveva tentato di licenziarla quando era nata Cosima. Il giorno seguente inoltrammo la nostra richiesta di appello. Era una vera bomba. Dopo aver elencato i nuovi sette elementi di prova emersi - le cinque perizie mediche più la deposizione di Capote e quella di Marriott e padre Magaldi - che "scuotevano dalle fondamenta l'edificio dell'accusa", giocammo la carta delle sinistre implicazioni delle nuove perizie mediche: Queste perizie stabiliscono che la presunta "arma del delitto" ritrovata da Alex nella borsa nera non può essere stata utilizzata per fare iniezioni a Martha von Bulow. L'ago fu invece "immerso in una soluzione" che forse non conteneva neppure insulina. Questi nuovi elementi evocano in maniera precisa lo spettro di una messinscena che secondo l'accusa stessa richiederebbe un'assoluzione: la prova usata per condannare Claus von Bulow venne "costruita" per condannare un innocente. Ma si possa o no provare che Alex ha tentato di "incastrare" il suo patrigno, ognuno di questi nuovi elementi... sarebbe sufficiente a ottenere un nuovo processo. (Alex e Ala contestarono molti di questi punti, ma non venne presentato nessun affidavit in risposta.)

Comparvero titoli come: "VON BULOW: SUCCESSO LEGALE O GIGANTESCO INGANNO?" "DUBBI SOLLEVATI DA NUOVI FATTI EMERSI NEL CASO VON BULOW". Chiedemmo alla corte un'audizione per stabilire se i fatti da noi riferiti fossero veri o no. Ma la corte non si dedicò alla nostra mozione, preferendo apparentemente centrare la sua attenzione sul ricorso. Pochi giorni dopo che la nostra mozione era stata inoltrata, Marriott decise di convocare una conferenza stampa davanti alla sua casa a Wakefield. Lo pregai di non farlo, spiegandogli che il suo affidavit era solo uno tra i ventisei che avevamo presentato e non il più importante. "Gli affidavit dei medici provano l'innocenza di Claus. I tuoi forniscono solo prove del fatto che altri in quella casa avevano accesso a farmaci e iniezioni." Gli dissi che non volevamo che tuta l'attenzione fosse concentrata sulla sua storia, soprattutto perché non avevano ancora deciso se lui o pare Magaldi avrebbero deposto in aula. Sia noi sia loro preferivamo presentare i nostri argomenti senza usare Marriott come testimone. Marriott continuava a dirci che stava lavorando su alcune piste nel mondo della droga. parlava costantemente di un corriere di Montreal, di un trafficante a Newport e dell'organizzazione criminale che introduceva la droga dalla Florida. Noi speravamo sempre che riuscisse a trovare testimoni o documenti che provassero l'uso di droga da parte di Alex senza che dovesse comparire sul banco dei testimoni. Ma non c'era modo di fermare Marriott, che prese accordi per quella che sarebbe stata la prima di decine di conferenze stampa. In piedi davanti al prato della sua casa, e con gli immancabili occhiali scuri, lesse semplicemente il suo affidavit davanti alle telecamere. Era poco più che l'occasione per una fotografia, ma Marriott volle così. Agendo in questo modo Marriott fece credere di essere il "nostro" testimone. Era completamente alla deriva, una mina vagante che andava da una parte all'altra senza preavviso. Un giorno incontrava noi, il giorno dopo, senza farcene parola, il procuratore generale, un altro giorno le autorità del Massachusetts, e quasi ogni giorno la stampa. Oltre a questi incontri pubblici, faceva arrivare continuamente ai medi storie su di sé. Era ormai chiaro che David Marriott stava diventando un grosso problema del quale era difficile venire a capo. Ma era pur sempre il testimone di avvenimenti importanti, e se la sua storia era vera - e noi pensavamo che lo fosse - era di grande importanza per il caso. Per quanto fosse difficile trattare con lui, bisognava farlo, in modo diretto e onesto. La controparte naturalmente non faceva mistero della sua incredulità a proposito del racconto di Marriott. anche prima della discussione del ricorso, Richard Kuh dichiarò al "New York Times" che Marriott era "un dannato bugiardo". Il procuratore generale dichiarò pubblicamente che "gran parte di quello che aveva detto era stato smentito..." e un funzionario di polizia disse al "Journal" di Providence, in termini più brutali, "secondo noi è pieno di..." I giudici della Corte suprema avrebbero certamente ascoltato entrambe le versioni del racconto di Marriott prima della discussione. E le ascoltarono ancora prima di prendere la decisione. Marriott non stava affatto dando una buona immagine di sé alla stampa e stava esagerando il suo ruolo nella vicenda. Ero preoccupato per le conseguenze che tutto ciò avrebbe potuto sortire sulla richiesta di ricorso. Poteva danneggiarci, soprattutto se i giudici si fossero preoccupati per l'attenzione dei mezzi di informazione che Marriott stava attirando su di sé. Avrebbero potuto pensare, erroneamente ma comprensibilmente, che stavamo orchestrando la campagna di Marriott sulla stampa. Mi chiedevo se avrebbero chiesto qualcosa su Marriott durante il dibattimento. Mi preparai alla discussione raccogliendo una finta corte. La parte dei giudici sarebbe stata interpretata da un gruppo di illustri avvocati, tra i quali John Kerry, ora senatore del Massachusetts ed ex assistente capo del procuratore distrettuale. La mia intera classe venne invitata a criticare il dibattimento, cosa che fece. Sezionarono minutamente tutta la mia discussione, criticando lo stile, la sostanza e la grammatica. Fu un'occasione rara per gli studenti, dato il mio metodo di insegnamento socratico in base al quale lo studente non ha mai ragione. Ma trassi da questo esercizio grandi vantaggi e modificai numerosi punti della mia tattica.

Il dibattimento ebbe luogo alle 10 di mattina del 17 ottobre 1983 presso la sede della Corte Suprema del Rhode Island. Venne trasmesso in diretta nel Rhode Island e in vari stati confinanti. Era la prima volta che un dibattimento davanti alla Corte Suprema del Rhode Island veniva trasmesso in diretta, ma non era la prima volta che discutevo un ricorso davanti alle telecamere; qualche anno prima avevo discusso in Arizona un caso che contemplava la pena di morte. in base alla mia esperienza, non appena il dibattimento ha inizio, tutti sembrano dimenticare le telecamere. Ma questa volta alla fine del dibattimento sarebbe successo qualcosa che ci avrebbe ricordato che eravamo in onda. Come salii verso il leggio, vidi cinque volti severi che mi fissavamo come per dirmi: "Va bene straniero. Facci vedere perché la gente di qui non è stata capace di fare un buon processo": Entrai subito nel vivo del tema del nostro ricorso, cioè che quello che volevamo era "il riconoscimento dell'innocenza di Claus von Bulow". Mentre ripercorrevo i fatti in modo da sollevare nei giudici dubbi sul verdetto di colpevolezza della giuria, uno dei giudici, Thomas Kelleher, continuava a punzecchiarmi con la stessa domanda: "Non pensa che questo avrebbe dovuto essere detto davanti alla giuria? Spiegai che l'assenza di informazioni, tra le quali gli appunti di Kuh, aveva impedito alla difesa di presentare certi argomenti, e continuai ad attaccare la ricostruzione dell'accusa. Il giudice Kelleher mi interruppe ancora: "Lei non era presente al processo, e mi sembra che, come accade spesso in questi casi, le arringhe tenute durante i ricorsi siano migliori di quelle tenute nel corso del processo". Continuò ad ammonirmi: "Mi pare che lei stia mettendo in discussione le prove". Naturalmente aveva ragione. Stavo proprio cercando di indurre i giudici a guardare un po'più a fondo quella che sembrava l'intaccabile fortezza eretta dall'accusa, ma che era in realtà un fragile castello di arte. Continuai quindi a sottolineare la debolezza delle prove addotte dall'accusa riguardo al contenuto della borsa nera, quando si verificò improvvisamente un vivace scambio di battute. Stavo rispondendo a una domanda e cominciavo a dire che "mandare un uomo in prigione considerando più attendibili le osservazioni di Alexander rispetto a quelle di un investigatore professionista solleva seri interrogativi giuridici". Improvvisamente, a metà della frase, il giudice Kelleher mi gridò, come farebbe un maestro elementare di fronte a un ragazzino di dieci anni: "Non si permetta di parlarmi così!" L'intervento era del tutto ingiustificato e fuori posto. Ho mostrato la registrazione del nastro decine di volte a colleghi e nessuno di loro è stato in grado di capire cosa mai l'avesse offeso in quello che stavo dicendo. Stavo parlando a bassa voce con un accenno di sorriso. Fu come se fosse stato in attesa della minima provocazione per far vedere chi comandava; dato che la provocazione non era arrivata e il mio intervento stava per finire, decise di attaccare comunque. Ma non appena ebbe finito di pronunciare queste parole, parve subito imbarazzato. Spiegai che non intendevo affatto mancare di rispetto a nessuno: "Questo è semplicemente il modo di discutere, stavo soltanto cercando di rispondere agli argomenti avanzati dalla corte". Mentre avveniva questo scambio di battute, mi chiedevo come potesse sentirsi Claus in quel momento, chiuso nella sua stanza d'albergo a guardare l'udienza alla televisione. Mi disse più tardi che quasi si sentì mancare quando il giudice cominciò il suo attacco. Spostai rapidamente il mio discorso sulla questione degli appunti di Kuh, nella speranza che questo sarebbe servito a gettare un ponte tra gli argomenti di fatto e quelli di diritto. Non volevo limitarmi a un'arida esposizione giuridica, ma piuttosto ricollegare questi punti con la nostra affermazione di innocenza. Parlando dell'importanza degli appunti di Kuh, suggerii uno scenario ipotetico che sarebbe potuto risultare da questi appunti. Questo scenario si sarebbe rivelato in seguito molto realistico. Questo è quello che dissi, prima ancora di aver mai visto quegli appunti: Cosa pensare se in quei fogli non si parlasse di insulina? In questa eventualità sarebbe ragionevole supporre che il problema dell'insulina sia stato sollevato dopo la sua scoperta e dopo che i testimoni ebbero adeguato la loro testimonianza alle prove emerse nel frattempo.

I giudici parvero molto interessati a questo argomento, ma evidenziarono anche un serio problema. Herald Fahringer, chiedendo gli appunti, non aveva mai detto di volerli utilizzare per controinterrogare i testimoni durante il processo. Non aveva quindi forse rinunciato a questo diritto? I giudici mi chiesero chiarimenti a questo proposito. Risposi che il giudice Needham aveva inequivocabilmente stabilito che non avrebbe permesso che gli appunti presi da un avvocato fossero usati per controinterrogare un testimone. Ma perché Fahringer non aveva insistito e presentato un'obiezione a questa disposizione del giudice? Avevo un disperato bisogno di una risposta. Sapevo che l'intero caso poteva dipendere dal fatto che riuscissi o meno a persuadere i giudici che Fahringer non aveva rinunciato ai diritti di von Bulow solo perché non era stato abbastanza insistente. Improvvisamente mi venne un'idea. Ricordai alla corte lo spiacevole scambio che avevo avuto solo pochi istanti prima col giudice Kelleher: "Penso, come dimostra il mio scontro - spero perdonato - col giudice Kelleher, di poter essere considerato un avvocato coraggioso, ma neanch'io avrei insistito dopo che il giudice Needham aveva inequivocabilmente decretato, come fece, che 'nella mia corte questi appunti non saranno usati per controinterrogare i testimoni...'Non mi sarei certo alzato per dire: "Vostro Onore, vediamo un po'di riconsiderare la questione', dopo che era stata data una norma evidente. 'Nessuna discussione od obiezione, queste sono le mie regole e nessun dubbio è possibile'". Spiegai alla corte come Fahringer aveva probabilmente pensato che ogni ulteriore insistenza dopo la ferma presa di posizione del giudice Needham poteva procurargli un'ammonizione per oltraggio alla corte (come del resto accadde a William Kunstler nel caso Seven a Chicago, altro ricorso sul quale avevo lavorato). Chiesi alla corte di cercare di "comprendere le difficoltà nelle quali si trova un avvocato. Dopotutto, proprio mentre cerco di esprimermi nel modo più rispettoso, un giudice ha trovato il mio atteggiamento troppo aggressivo. Provate a mettervi nella situazione di un'udienza, preoccupati di non superare la soglia che forse io ho superato un momento fa; considerate colpevole un avvocato per aver superato il limite e allo stesso tempo per non essersi avvicinato abbastanza significa veramente porlo in una situazione critica". Implorai la corte di non voler considerare la difesa responsabile per ogni manchevolezza dei difensori al processo o in appello. Mentre sviluppavo quest'argomentazione, vari giudici annuivano, e sperai che fosse in segno di assenso e non di sonno. Ero riuscito a rovesciare lo sgradevole scontro con un giudice in un elemento a mio favore ali occhi degli altri. Mi concentrai poi sulle prove di carattere medico a carico del mio cliente. Ero stato informato che molti dei giudici erano rimasti colpiti dalla reputazione de dalle credenziali dl dottor Cahill. Al processo la sua diagnosi non era mai stata veramente mesa in discussione. Decidete quindi di farlo ora, durante il dibattimento. Uno dei pilastri della testimonianza di Cahill era che i barbiturici non potevano aver provocato il coma di Sunny perché aveva una forte ipoglicemia: D.Ma i barbiturici possono provocare un coma, non è vero? R. Certamente, ma non con una glicemia a livello di 29 microunità.

Non è necessario essere un esperto per capire quanto illogica fosse questa risposta, malgrado le credenziali dell'esperto che l'aveva dat. Nel tentativo di convincere i giudici che non occorreva inchinarsi riverenti davanti alla diagnosi dei medici, presentai un caso ipotetico:" Immaginiamo una donna che soffre di ipoglicemia e che decide di suicidarsi. Ingoia un centinaio di barbiturici e poi, come 'ultimo desiderio', si concede un gelato. In questo caso, il gelato sarebbe responsabile della crisi ipoglicemia e i barbiturici del coma. Quindi avremmo un coma da barbiturici pur in presenza di una ipoglicemia. Il coma e l'ipoglicemia avrebbero quindi potuto avere cause diverse, ma il medico ha trascurato questa possibilità dettata da semplice buon senso..." Il mio scopo era convincere i giudici a usare il loro buon senso, invece di accettare come vangelo tutto quello diceva il dottor Cahill. Dopo aver passato in rassegna gli altri punti di natura giuridica, chiesi alla corte di dare a Claus von Bulow "gli strumenti per stabilire l'intera verità, un nuovo processo con la possibilità di accedere a tute le informazioni possibili e nel quale si potesse sentire la verità e non solo una versione costruita dalle parti interessate." Mi sedetti, molto soddisfatto. Avevo affrontato il fuoco di sbarramento delle domande dei giudici riuscendo a tenere la loro attenzione fissa sui motivi di innocenza. Capii che ero riuscito a portare la discussione sul ricorso nella direzione voluta quando il procuratore Famiglietti cominciò la sua replica ammettendo di "non essere preparato a discutere e a dimostrare la colpevolezza del signor von Bulow". Ma la strada era ormai segnata e la corte continuò a interrogare Famiglietti sulle questioni di fatto. Era chiaro che almeno alcuni di loro erano preoccupati dell'eventualità che un'innocente fosse stato condannato. Famiglietti parlò per circa un'ora, ma era chiaramente sulla difensiva, sia sulle questione di fatto sia su quelle di diritto. Mi godetti ogni minuto del suo intervento. Mentre Famiglietti stava terminando, mi voltai verso Susan Estrich e Terry MacFayden e mormorai: "Non ho mai rinunciato in vita mia ad avere l'ultima parola in un dibattito, ma penso che ormai abbiamo vinto, e non credo ci sia altro da aggiungere a questo punto. Se nessuno di voi due ha niente in contrario, penso di rimanere zitto". Era una decisione difficile per me. Gli avvocati di solito amano le repliche. E'la parte del dibattimento che mi riesce meglio. Un avvocato ha in questa circostanza l'opportunità di fare, in pochi minuti, il punto sul caso, di spiegare ai giudici i punti di accordo e disaccordo tra le due parti e perché dovrebbero decidere a favore del suo cliente. Ho sempre insistito coi miei allievi sull'importanza della replica. Apparentemente, quindi, stavo venendo meno ai miei stessi insegnamenti, ma non era proprio così; avevo sempre cercato di insegnare ai miei studenti l'arte di interrompere la discussione quando ci si trova in vantaggio. Per illustrare questo principio mi servivo dell'esempio dell'avvocato che difende un lottatore accusato di avere staccato con un moroso l'orecchio del suo avversario. "Lei ha visto veramente il mio cliente staccare il suo orecchio con un morso?" l'avvocato chiede a un testimone. "No, non l'ho proprio visto", risponde il testimone. Allora, invece di interrompere la discussione in un momento a lui favorevole, l'avocato decide di insistere: "E allora come fa a sapere che gli ha veramente staccato l'orecchio?" chiede con aria di trionfo. E il testimone: "Perchè gliel'ho visto sputare". I miei colleghi concordarono sul fatto che fosso opportuno non insistere. "So quanto ti costa stare zitto", mi disse Susan scherzando ma tenendomi per la giacca come se volesse impedirmi di alzarmi, "ma se c'è un momento giusto per farlo è questo." Ma mi alzai semplicemente per dire: "A meno che la corte non abbia qualche domanda, noi non abbiamo niente da aggiungere". I giudici sembrarono sorpresi. "Non vuole valersi dei dieci minuti che le spettano?" mi chiese il presidente. Evidentemente si aspettavano una replica. Ma la loro sorpresa fu nulla in confronto a quella degli operatori televisivi presenti in aula, che avevano un programma da seguire e contavano sulla replica per riempire il tempo loro assegnato. Il regista guardò il presidente della corte, il quale si strinse nelle spalle come per dire: "Non posso farci niente". Allora il regista passò la linea allo studio, dove un paio di mezzibusti tentarono di occupare il tempo restante facendo speculazioni sul perché avessi rinunciato alla replica e avessi dedicato tanto tempo alle questioni di fatto. Questo è quello che può accadere quando lo show business si impadronisce della giustizia. Pochi giorni dopo l'udienza del ricorso, cominciarono a circolare delle voci secondo le quali avevamo vinto. Sheehan riferì che, come ci si poteva aspettare, si mormorava che la corte non avesse apprezzato la mia tesi sugli appunti di Kuh, ma fosse rimasta convinta delle mie argomentazioni a proposito della perquisizione e della raccolta delle prove. Venimmo anche a sapere quale giudice avrebbe scritto la decisione: Florence Murray. Io non ero del tutto convinto dell'attendibilità di queste voci, dato che nel passato non si erano dimostrate molto corrette circa il caso di Claus. Ma mi stupii della precisione dell'informazione. Quando dissi ad alcuni miei studenti che si mormorava che avremmo vinto sulla base della perquisizione della borsa nera, uno commentò argutamente: "Allora li abbiamo messi nel sacco". Può essere difficile per chi non è avvocato capire quanto sia inusuale sapere in anticipo il risultato di un ricorso. I lavori di una corte di appello sono tra i segreti meglio custoditi della legge. Quando ero assistente di un giudice della corte d'appello degli Stati Uniti e in seguito della Corte suprema, la prima regola era "innanzi tutto, nessuna indiscrezione". Anche se questa dovrebbe essere la norma in ogni settore dell'amministrazione pubblica, si sa bene, in genere, che le indiscrezioni fanno parte del gioco per l'esecutivo e il legislativo. Ma un'indiscrezione giudiziaria è alto tradimento, punibile, quando ero assistente, con l'immediato allontanamento. Ci sono ottime ragioni per questa regola di segretezza. Se la disponibilità di informazioni è sempre un fattore di potere, sapere in anticipo quale sarà l'esito di un ricorso è veramente un grande vantaggio. Quando si tratta di casi riguardanti imprese commerciali, questo può tradursi in rapidi profitti. Nel campo del diritto penale, invece, un imputato che venga messo preventivamente al corrente di un verdetto negativo può tentare di fuggire; se invece è l'accusa a sapere in anticipo della propria sconfitta, può tentare di giocare un brutto tiro alla difesa, se questa ne è all'oscuro. Io ero ancora scettico anche se le voci si facevano via via più precise a proposito del risultato e delle motivazioni legali. A un certo punto, Claus venne informato che il primo capo di imputazione - il primo coma - sarebbe stato cancellato per insufficienza di prove e che nel caso del secondo capo di imputazione - il secondo coma - l verdetto sarebbe stato annullato e sarebbe stato celebrato un altro processo a causa della perquisizione illegale della borsa. "I giudici non vogliono creare un caso politico annullando tutto", ci venne detto, "preferiscono che sia il procuratore generale a decidere se procedere ancora contro Claus." Sembrava tutto molto logico. La sola cosa sorprendente era che tutti sapessero che cosa stavano pensando e discutendo i giudici nelle loro delibere segrete. Venimmo inoltre a sapere che anche il procuratore generale sapeva che stava perdendo il ricorso e che stava facendo pressione sui giudici per modificare l'esito o almeno la forma, in modo di avere migliori possibilità nel processo d'appello. Continuavo comunque a essere sospettoso e infastidito da queste voci. Ovviamente, eravamo comunque tutti in ansia per le affermazioni. Io ero il solo ad avanzare dubbi sulla loro affidabilità. Anch'io ritenevo che avremmo vinto il ricorso , ma il mio giudizio era fondato soprattutto sulle reazioni dei giudici durante il dibattimento. Il mio disagio di fronte a queste voci era in parte alleviato dal sapere che anche la controparte aveva accesso alle stesse informazioni. Ogni settimana ci veniva fatto sapere che la decisione sarebbe stata presa la settimana successiva, e in genere veniva anche indicato un giorno preciso. Alla vigilia ci veniva detto ogni volta che ci sarebbe stato qualche piccolo ritardo, nulla di sostanziale, ma alcuni giudici erano in disaccordo su certe espressioni o certe questioni formali. Io stavo progettando un lungo week ed nei Caraibi per l'inizio dell'inverno, ma non volevo lasciare Claus ad affrontare da solo una possibile sconfitta nel ricorso. Claus mi assicurò che potevo partire. La decisione non sarebbe comunque arrivata prima del mio ritorno. Ancora scettico, ma in cerca di ogni scusa per una vacanza al sole, partii portando con me la radio a onde corte per essere informato, qualora la decisione fosse stata presa nel frattempo. Non fu così. Tornai quindi al clima più fresco del New England per aspettare la decisione della corte, ma anche questa attesa non fu priva di avvenimenti. David Marriott stava aspettando anche lui e aveva in serbo per noi alcune brutte sorprese. 13. LA FORTUNA GIRA All'inizio del febbraio 194, dopo che il ricorso e la richiesta d'appello erano stati inoltrati, ricevetti una telefonata da parte di un avvocato di nome Roanne Sragow. "David sta insinuando che alcune parti della sua storia non sono del tutto vere", disse con rabbia. Sragow è una mia amica che lavora a Boston. Ex pubblico ministero ed ex socia del senatore John Kerry, ha una fama meritata di integrità morale e di abilità professionale. Allora, il suo più recente successo era l'aver ottenuto il rilascio di George Reisfelder, che era stato condannato per un omicidio che la polizia sapeva che non aveva commesso. Ma l'incastro era stato così ben congegnato che Reisflder aveva dovuto attendere sedici anni prima che Sragow e Kerry riuscissero a ottenere il suo rilascio. Il loro era stato un vero miracolo giudiziario. quando David Marriott mi chiese di essere pagato per le spese e i mancati guadagni, io mi rivolsi a Sragow. Volevo che i pagamenti venissero approvati ed effettuati da un legale della più assoluta onestà, in modo che Marriott sapesse che tutto veniva fatto secondo le regole e che non c'erano assolutamente altre strade. Marriott aveva il suo legale dal quale andava per avere pareri personali e professionali. Sragow non poteva svolgere questo compito, era solo responsabile della certificazione dei versamenti a Marriott. David comprese il suo ruolo e lo accettò. Avrebbe sottoposto tutti i conti, le ricevute e le fatture a Sragow. Claus avrebbe quindi inviato un assegno a Sragow, che ne avrebbe inviato un altro dello stesso importo a Marriott. Il tutto era organizzato in modo che Marriott avesse il minimo dei contatti diretti con Claus e che fosse possibile controllare indipendentemente le pretese spese di Marriott. Questo sistema creava un canale di comunicazione attraverso il quale Marriott poteva far arrivare messaggi o lamentele (in effetti Marriott aggirava spesso questa via e compariva o telefonava a me o a Claus a ogni ora del giorno o della notte). Marriott affrontava regolarmente il problema delle sue spese e dei pagamenti con Sragow. Si lamentava in continuazione delle spese che erano contestate o rifiutate. Ogni tanto minacciava di scomparire. "Vorrei non essere mai stato coinvolto in questo caso", si lamentava spesso. "Non riesco a trovare un lavoro. Tutti sanno che ho consegnato della droga. E'stavo perché ho deciso di farmi avanti che ho perso il mio vecchio lavoro. E'tutta colpa di Claus e adesso mi fa le pulci sulla nota spese. Ma io non ho bisogno di tutto questo, io andavo in frigno in limousine e avevo bei vestiti prima di decidermi a parlare. Non ho bisogno dei soldi di Claus. Ho altri mezzi per procurarmi del denaro, ma è una questione di principio. Non è giusto che io ci rimetta perché sono stato un buon cittadino." Ogni tanto Marriott minacciava Claus di citarlo per avergli fatto perdere il lavoro o per non avergli rimborsato alcune spese. Una volta spedì la sua gigantesca guardia del corpo nel mio ufficio domandandomi di pagargli alcune spese extra di sicurezza. La mia segretaria rispose coraggiosamente che avrebbe dovuto aspettare che l'assegno arrivasse secondo le modalità previste. Marriott se la prese anche con padre Magaldi: "Lui ha la sua congrua. Si occupano di tutti i suoi problemi, nessuno gli dà dello spacciatore. E'stato lui a mettermi in questo pasticcio, ma sono io a rimetterci." In qualche rara occasione tentò subdolamente di minacciarci di cambiare la sua storia, se Claus non gli avesse dato più soldi: "Posso sempre dire che avevo dimenticato qualcosa. Tutto è successo parecchio tempo fa!" Quando arrivava a queste minacce, gli facevo una ramanzina di questo genere: "Attento, David, tu non sei il testimone di qualcuno. Tu devi testimoniare la verità o non testimoniare affatto. Hai raccontato la tua storia al procuratore generale, alla polizia, alla stampa, e a noi. Se vuoi cambiarla, fallo pure, purché sia la verità, questo è quello che mi interessa. Tu non sei pagato per testimoniare, tu sei rimborsato per le spese che hai avuto e per il mancato guadagno in diretta conseguenza dell'esserti presentato come testimone e per aver perso molto del tuo tempo in questa vicenda. Tu continuerai a ricevere quello che stai ricevendo - e non più di questo - sia che tu testimoni a favore sia contro claus o che non testimoni affatto. E se qualcuno te lo chiede, tu devi dire esattamente quanto hai ricevuto. Non ci sono segreti e dovrai anche pagare le tasse statali e quelle federai su ogni penny che ricevi come compenso per il mancato stipendio. Chiedi pure al tuo avvocato". Quando menzionavo le tasse Marriott scattava:" Non ho mai pagato le tasse. Non può fare in modo che questo denaro sia esentasse?" Ma la mia risposta era naturalmente prevedibile come la sua domanda: "Ti invieremo il modulo fiscale 1099. Dovrai portarlo al tuo avvocato e pagare quello che devi." Ho sempre tentato di dissuaderlo dal convocare quelle sue stravaganti conferenze stampa, poiché qualcuno avrebbe potuto pensare che la cosa fosse orchestrata da noi. Ma non l'ho mai trattenuto dall'incontrarsi con la polizia, col procuratore o col suo avvocato. Dato che Marriott aveva la lingua lunga speravamo che ci avrebbe rivelato quello che pensavamo. E la nostra aspettativa non è andata delusa. Fu sempre un rapporto difficile, e gran parte delle difficoltà nascevano dalla mia insistenza a seguire scrupolosamente le norme e pagare attraverso assegni. Quando Sragow telefonò, io mi aspettavo i soliti problemi. Ma questa volta il suo tono era diverso. "David insiste per parlarti. Dice di avere alcuni nastri che proverebbero che alcune parti della sua storia sono false." Chiesi a Sragow di organizzare immediatamente un incontro nel suo appartamento di Boston. Alle quattro del pomeriggio di quella domenica ci riunimmo, io, David e Sragow. David portava con sé un miniregistratore e alcune piccole cassette. "Alan, stai per ricevere lo shock della tua vita", disse, "sei stato veramente fregato." "Dimmi esattamente di cosa stai parlando", insistetti, "non voglio che tu trascuri nulla. Devo conoscere la verità, e devo conoscerla adesso. Non pensare se quello che dici danneggerà o favorirà il mio cliente. Dimmi tutto." Tirai fuori un piccolo notes per prendere appunti, ma Marriott cominciò a diventare piuttosto vago. "Ci sono certe cose che non posso dirti. Almeno non subito. Dovrai chiedere a padre Magaldi. Quello che posso dirti è che non tutto nei nostri affidavit è vero." "Cosa c'è di non vero? Hai o non hai consegnato droga a Clarendon Court?" Avevo assunto un tono da controinterrogatorio. "Oh, questa parte è vera, assolutamente. Il succo della storia è andata proprio così. Ma il modo in cui padre Magaldi e io ci siamo incontrati... non è andata proprio come abbiamo raccontato." "Cosa intendi dire con il modo in cui vi siete incontrati?" gli chiesi incredulo. "Non è il tuo padre spirituale?" "Puoi chiamarlo così, se ti va, ma tu non sai tuta la storia. E'qui, in questi nastri", mi disse porgendomi con noncuranza le tre cassette. "Voglio ascoltarle ora." "Te ne farò ascoltare abbastanza perché tu ti convinca che si tratta proprio di padre Magaldi, ma non di più. Non adesso. Questi sono i miei assi nella mancia", disse Marriott con fare allusivo, " e non sono i soli nastri che ho. Ho registrazioni di Claus di Andrea, di Joann Crispi, dell'assistente del procuratore generale della contea del Middlesex e dell'aiutante del procuratore che mi ha interrogato. Ho collegato il mio telefono a un registratore e ho un registratore tascabile che tengo legato alla gamba. Questi nastri sono la mia assicurazione." Mi ricordai del mio rimo caso importante, che è descritto nel capitolo di apertura di The best defense. Il mio cliente Sheldon Seigel, aveva registrato di nascosto poliziotti e pubblica accusa che gli avevano fatto alcune promesse, e quei nastri ci avevano aiutato a vincere il caso. Ora la situazione si era capovolta. Il testimone aveva registrato le conversazioni del mio cliente. E io non avevo la minima idea di quello che avesse detto Claus, anche se ero fiducioso che non avesse detto niente che avrebbe potuto incriminarlo, dato che si era empe protestato del tutto innocente. Chiesi a Marriott se stesse registrando anche quest'incontro. "Come potrei?" rispose in modo poco convincente. "Il mio registratore è qui", disse tenendo orgogliosamente in mano il piccolo marchingegno. Naturalmente vi era sempre la possibilità che avesse un altro registratore nascosto su di sé. Non so quali dei nostri incontri avesse registrato fino a quel giorno, spero però che li abbia registrati tutti; sarebbe così disponibile una documentazione completa dei miei incontri con lui. So che ha registrato alcune delle nostre conversazioni telefoniche. Anche in questo caso spero che le abbia registrate tute , in modo che non possa mentire circa quello che è stato detto. In ogni caso, presi la precauzione di avere sempre con me testimoni e di prendere appunti delle nostre telefonate e dei nostri incontri. durante una conversazione in un bar, piazzai un mio studente e una studentessa a un tavolo vicino, col compito di prendere nota della conversazione simulando un convegno romantico. In un altro incontro per lo stesso scopo mi servii di uno dei miei figli e di un'amica. Marriott inserì una casetta nel registratore e cominciò a cercare un passo particolare. Incontrava qualche difficoltà nel trovarlo e, mentre si fermava per verificare a che punto era, potei sentire alcuni spezzoni di conversazione con la sua voce e una voce che sembrava quella di padre Magaldi con un sottofondo di un brusio di folla. Ala fine trovò il passaggio che voleva ascoltassi. Non riuscii a capire quello che veniva detto a causa dei rumori di fondo. Sembrava che la discussione avesse luogo durante una cena. David alludeva a un incontro precedente in un bar. Padre Magaldi rispondeva brevemente. "Lo sente anche lei, lo ammette. Ci siamo incontrati in un bar, non al rettorato come ha dichiarato nell'affidavit. Ha mentito e nel nastro lo ammette." Mi girai verso Roanne Sragow e le chiesi cosa avesse sentito. "Dal rumore si direbbe che una volta si sono incontrati in un bar. Ma non ho sentito niente in contrasto col contenuto dell'affidavit. Perché non telefoni a Padre Magaldi?" Mi alzai per andare al telefono, ma Marriott si precipitò verso di noi come per bloccarmi. "No, non lo faccia. Devo chiamarlo prima io. Non parlerà con lei a meno che io non gli dica a che proposito." La cosa sembrava sospetta, e decisi di aspettare finché Marriott non fosse uscito per telefonare al sacerdote, prima che lo facesse lui. Improvvisamente il tono di voce di Marriott cambiò: "Alan", disse nervosamente, "non preoccuparti. E'solo un piccolo dettaglio. Non devi preoccuparti o mettere in agitazione Claus. Il fondo della storia è vero. E'andata proprio come abbiamo detto, devo solo chiarire alcune cose col prete. E'una questione fra lui e me, non ti riguarda". "Mi riguarda eccome", risposi, "qualsiasi osa abbia a che vedere con la veridicità di quegli affidavit mi riguarda. Non ti farò testimoniare il falso, ammesso che tu testimoni." Dissi a Marriott che volevo ascoltare tutto quello che contenevano i nastri e che aveva a che fare con gli affidavit o col caso. Marriott disse che me li avrebbe fatti sentire presto, ma non ora e nel frattempo insistette nel rassicurarmi. Ma sapevo che invece c'erano problemi. Non avevo intenzione di mettere la mia credibilità a repentaglio a causa di un testimone che non stava dicendo tuta la verità. Non appena Marriott se ne fu andato, chiamai padre Magaldi e gli riferii quello che Marriott mi aveva detto e mi aveva fatto sentire. Il sacerdote non sembrò preoccupato. "Naturalmente, l'ho incontrato in bar e ristoranti. Insiste sempre perché ci si incontri in posti dove si mangia. Io vengo a Boston abbastanza spesso e, quando ci incontriamo lì, è spesso a cena." Feci allora una domanda diretta a padre Magaldi: "E'assolutamente vera ogni parola del suo affidavit?" Mi sentii come questa mia domanda mettesse in discussione l'autorità stessa della Chiesa. L'idea di chiedere a un rispettabile sacerdote se avesse mentito sotto giuramento mi turbava, sapevo come mi sarei sentito io se mi fosse stata fatta una simile domanda. Spiegai a padre Magaldi che ero obbligato a fargliela. Mi disse che non era offeso. "Lei sta facendo solo il suo lavoro, così come io ho fatto il mio insistendo perché David si presentasse. E'una persona impossibile, cerca sempre di trovare ovunque della cattiveria. Ogni cosa che ho dichiarato nel mio affidavit è vera, spero solo che anche tutto quello che lui mi ha detto sia vero, ma questo non posso giurarlo. Posso giurare solo per quello che ho visto e sentito coi miei occhi e con le mie orecchie." Dissi a padre Magaldi che apprezzavo molto la sua sincerità e che probabilmente avrebbe ricevuto una telefonata da parte di Marriott. Era libero di dirgli che avevo telefonato, se lo riteneva opportuno. "Glielo dirò", disse padre Magaldi, "non mi piace prendere in giro la gente." Poco dopo quest'incontro, Marriott chiamò per comunicarmi un'altra novità esplosiva. "Ti ricordi quelle minacce e quelle aggressioni di cui ti ho parlato? Be', alcune andarono proprio così altre no." "Cosa intendi dire? Che te le sei inventate?" "Diciamo che ho esagerato un po'", disse, sulla difensiva. "Senti, o ti hanno accoltellato o no. Non cercare di prendermi in giro." "In quel caso è stata la verità, ma alcune altre volte le cose non sono andate proprio come ho detto", ammise in modo poco convincente. "Dunque hai mentito a noi e alla polizia", gli gridai furibondo. "Dovevo farlo. Ero terrorizzato, gli uomini del racket mi cercavano per quello che stavo facendo, ma non volevo dirlo perché hanno protezioni in alto loco anche nella polizia, soprattutto nel Rhode Island. Avevo veramente bisogno di protezione così ho esagerato un poco." "Devo sapere esattamente quali minacce e quali aggressioni erano reali e quali fasulle", gli dissi. "Va bene, ti darò un elenco entro martedì." Mi disse anche che per quel giorno mi avrebbe anche dimostrato che padre Magaldi era "il più grande bugiardo del mondo". Marriott insistette ancora nel dirmi che la sostanza della storia era vera: "La faccenda della droga a Clarendon Court è assolutamente vera. E'quello che riguarda padre Magaldi e le minacce che non è del tutto vero". Quanto mi disse era sufficiente per farmi decidere di non chiamarlo a deporre o di chiedergli un altro affidavit: sembrò sollevato. Gli dissi anche che, se dopo un'attenta indagine avessimo scoperto che il suo affidavit p quello di padre Magaldi affermavano il falso, l'avremmo comunicato alla corte e chiesto il loro ritiro. Non appena Marriott cominciò a parlarmi delle possibili menzogne contenute negli affidavit, mi consultai con Terry MacFayden e con diversi altri componenti del mio team per discutere sull'atteggiamento da adottare. Non c'erano molte scelte e la questione era complessa. Avevamo un testimone che insisteva sulla sostanziale veridicità della sua storia, ma che ammetteva che alcuni importanti particolari sui quali aveva giurato erano falsi e che dicevamo inoltre, che il principale testimone che avrebbe dovuto confermare la sua deposizione era "il più grande bugiardo del mondo". Il sacerdote confermava in pieno quanto già detto. Noi credevamo alla verità del nucleo centrale della storia di David, ma sapevamo anche che la pubblica accusa avrebbe avuto perfettamente ragione nel presentare Marriott come un uomo che non sempre dice la verità. E io ero sempre più convinto che Richard Kuh avesse ragione nel definire Marriott "un dannato bugiardo". Quando chiamava Marriott sembrava sempre più incapace di controllarsi. A volte diceva che era tutto vero. Altre volte insinuava che Claus e Andrea Reynolds gli avevano fatto dire cosa che non aveva detto. Scrissi una lunga lettera a un amico che era membro del Comitato di deontologia giuridica dell'Associazione dei penalisti del Massachusetts, illustrandogli in dettaglio tutti i contorcimenti ai quali Marriott aveva sottoposto la sua storia. Gli chiesi il suo parere su varie questioni etiche relative al comportamento di Marriott e mi rivolsi anche ad altri colleghi ed esperti i d etica giuridica, come fecero anche Terry MacFayden e il suo socio nel Rhode Island. Mentre ci stavano giungendo le risposte, l'intera storia venne ancora modificata in vari modi. Innanzi tutto Marriott mi chiamò il 24 febbraio 1984. Durante la telefonata, che supponevo stesse registrando, sembrava calmo e padrone di sé. Mi disse di essere "terribilmente spiacente di aver accusato Claus e padre Magaldi ", e che "tutte le minacce contro di lui e contro Magaldi erano vere". Mi disse di essere stato sotto pressione e che aveva confezionato tutte quelle bugie nel disperato tentativo di assicurarsi di non essere chiamato come testimone perché aveva paura. Stava veramente ricevendo minacce, la più recente delle quali, affermava, era un avvertimento che diceva:"Ti faremo saltare la testa". Marriott mi disse che non voleva essere chiamato come testimone, ma che era disposto a continuare a raccogliere materiale per Claus e a cercare altri testimoni e citò il nome di qualcuno che stava a Montreal e a Newport. Mi chiese di preparargli una lettera da spedire alla corte per chiedere il ritiro dei suoi affidavit. Preparai la lettera e gliela feci leggere. disse che avrebbe deciso se e quando servirsene. A questo unto era ormai impossibile sapere quando Marriott stava mentendo e quando diceva la verità. I nostri esperti di etica professionale ci dissero che anche il procuratore si trovava spesso di fronte a situazioni simili. Molti dei loro principali testimoni erano mentitori consumati e delinquenti che decidevano a volte di dire la verità, se questo tornava a loro vantaggio, barattando a caro rezzo la loro occasionale conoscenza di fatti importanti. Io conoscevo il fenomeno soprattutto dall'altro punto di vista, essendomi trovato a difendere persone che venivano accusate da questi mentitori selettivi. Gli esperti coi quali ci consigliammo ci avvertirono di seguire le direttive alle quali si attengono in questi casi i procuratori nel trattare con i testimoni- mentitori. Non eravamo obbligati a rivelare tutti i ripensamenti di Marriott, anche se l'intera storia sarebbe venuta fuori se David fosse andato a deporre. Questo era vero soprattutto in questo caso anche perché Marriott si rivolgeva direttamente anche alla stampa e alla pubblica accusa. L'accusa quindi poteva, se lo riteneva opportuno, comunicare alla corte le nuove rivelazioni di Marriott. Ci dissero anche che potevamo continuare a versare a Marriott i rimborsi per le spese e per i mancati guadagni. Un esperto ci disse anzi che sarebbe stato scorretto sospendere i pagamenti, se Marriott modificava la sua storia. Una brusca interruzione nei versamenti avrebbe dato l'idea che questi gli fossero stati versati per il contenuto stesso delle sue rivelazioni e che, non essendo la sua eventuale nuova versione di nostro gradimento, i pagamenti fossero stati interrotti. Mentre si verificavano tutti questi avvenimenti, Marriott si comportò in modo da mettere in discussione questa linea di condotta etica. Mentre la decisione del ricorso era ancora pendente, tenne un'altra delle sue conferenze stampa. L'Associated Press divulgò la notizia che Marriott "stava ritirando il suo affidavit a causa del comportamento di von Bulow e perché non era più convinto che quest'ultimo stesse dicendo la verità". Marriott definì Claus von Bulow "un mentitore e un imbroglione". E aggiunse:"Questa gente non si tirerebbe indietro di fronte a nessuna azione illegale o legale e ci sarebbe molto altro da aggiungere." Prima che venisse presa una decisione sul ricorso, Marriott rivolse a claus accuse anche più esplicite, pretendendo che Claus e Andrea Reynolds l'avevano drogato e che lui e claus erano in relazione, anche sessuale, da ormai nove anni. Chiesi a Claus conto di queste accuse ma lui negò categoricamente. Marriott continuava a restare in contatto anche con le autorità del Rhode Island e con la polizia dello Stato, la quale avvertiva Kuh delle novità. Il procuratore stava compiendo un'inchiesta su Marriott. Avrebbe potuto anche presentare dei contro affidavit, ma preferì non farlo, probabilmente per sorprenderci a un'udienza o a un nuovo processo. Praticamente tutto quello che Merriott faceva diveniva oggetto di una delle sue conferenze stampa ampiamente divulgate dai giornali e dalla televisione.(Spesso venimmo a conoscenza delle rivelazioni di Marriott grazie ai giornalisti, che avevano già avvertito la controparte per avere commenti. Qualche volta eravamo gli ultimi a conoscere quello che il "nostro" testimone aveva detto.) La Corte Suprema del Rhode Island era quindi di fronte, mentre redigeva la sua sentenza sul caso von Bulow, a tutta questa confusione. Ogni possibilità che i giudici avessero potuto essere ingannati dagli affidavit di Marriott e di Magaldi era esclusa perché, molto prima che esprimessero il loro giudizio, Marriott si era ormai pubblicamente schierato contro von Bulow e Magaldi. Era impossibile sapere cosa avrebbe potuto ancora dire David Marriott e a chi. Intanto continuavano a circolare le voci sugli sviluppi della decisione della Corte Suprema, ogni volta che la decisione veniva data come imminente, immancabilmente ne seguiva una ritardo:"C'è ancora qualche problema formale". Cominciai a pensare che qualche contrasto interno stesse rallentando la decisione e magari che avrebbe potuto portare a un rovesciamento del risultato. Se le voci erano attendibili riguardo al risultato, potevano esserlo anche riguardo ai tentativi del procuratore di esercitare pressioni sulla corte per cambiarlo. quell'anno nel Rhode Island ci sarebbero state le elezioni e se il popolare procuratore generale democratico Dennis Roberts, il cui padre era stato presidente della Corte Suprema del Rhode Island fino al 1976 e lo zio governatore, avesse perso il caso più clamoroso della storia giudiziaria di questo Stato, ne avrebbe certo sofferto alle urne. Stava forse facendo pressioni sui suoi colleghi democratici della corte perché non ostacolassero la sua carriera politica? E loro gli davano retta? La giustizia di Alice nel paese delle meraviglie, ma era il Rhode Island, uno Stato con una piccola città nel quale il livello di trasparenza politica e giudiziaria sembrava essere in ritardo almeno di un decennio sul Massachusetts. Uno dei miei colleghi disse di aver finalmente capito perché il Rhode Island veniva soprannominato "l'isola dei mascalzoni". Un venerdì, il 25 aprile, stavo recandomi a New York per vedere mio padre, ricoverato nel reparto geriatrico di un ospedale perché sofferente del morbo di Alzheimer. Mentre l'aereo della Eastern si accingeva ad atterrare lo speaker annunciò:"Il professor Dershowitz è pregato di presentarsi all'assistente di volo". Quando mi presentai, lo steward mi disse che il mio ufficio aveva un messaggio urgente per me. Il primo pensiero andò alla mia famiglia. Sapevo che la mia segretaria nona avrebbe fatto tutto questo sforzo per rintracciarmi solo per motivi professionali, per quanto importanti potessero essere. Speravo che fosse un messaggio professionale, ma non mi facevo illusioni. Mi precipitai fuori dall'aereo e chiamai il mio ufficio. "Chiami sua madre", mi disse la segretaria, non aggiungendo altre informazioni. Chiamai quindi mia madre in lacrime, e seppi che mio padre era morto serenamente la mattina stessa. Andai direttamente al loro appartamento a Brooklyn e feci per confortare mia madre, che lo aveva assistito per tutti i cinque anni della sua grave malattia. negli ultimi tempi mio padre riconosceva solo lei, e tutto ciò che ricordava erano frammenti del libro di preghiere che aveva recitato per tutta la vita. La morte serena di mio padre, dopo tanti anni difficili, fu una benedizione e occasione per ricordare che uomo meraviglioso egli fosse stato. Mentre stavo facendo i preparativi per il suo funerale, previsto per il giorno dopo, suonò il telefono. Era Claus:"Ci siamo, la decisione è per domandi". Claus mi chiese di recarmi nel suo appartamento cosicché, una volta letta la sentenza, avrei potuto spiegarne le implicazioni a lui e alla stampa. Misi Claus al corrente della morte di mio padre e gli spiegai che on avrei potuto essere con lui in occasione della lettura della sentenza. Claus capì. Ma a questo punto non avevamo alcun dubbio che avremmo vinto. Le sole questioni ancora aperte erano su quale base giuridica sarebbe stato possibile un nuovo processo e se l'accusa avrebbe presentato ricorso alla Corte Suprema. Mi chiesi come potevo essere, alla fin fine, così sicuro dell'esito malgrado il mio scetticismo sulle indiscrezioni che ricevevamo. Evidentemente il fatto di ricevere continuamente informazioni concordi aveva avuto la meglio sul mio scetticismo. Nel tardo pomeriggio arrivò un altro rinvio. La decisione venne rimandata ancora di un giorno: problemi di battitura e di correzione di bozze. Ci assicurarono però che questo sarebbe stato l'ultimo rinvio. anche il "Journal" di Providence, il quinto potere locale, ricevette in anticipo una copia della sentenza. Quando lo venimmo a sapere, chiedemmo di vederne una copia. Era importante per noi avere la sentenza delle corte nello stesso momento dei giornali per poterci preparare a rispondere alle domande della stampa. Ci venne risposto che dovevamo aspettare la diffusione ufficiale. solo nel Rhode Island poteva verificarsi che un giornale, che godeva di un trattamento preferenziale, riuscisse ad avere la sentenza prima dei suoi concorrenti, prima degli avvocati e prima dell'imputato. Un altro esempio del Rhode Island Shuffle.(Seppi più tardi che uno dei giudici aveva consultato un noto giornalista diverse settimane prima che la sentenza venisse resa nota; gli aveva detta che la condanna sarebbe stata annullata e gli aveva chiesto come avrebbe reagito la stampa.) Il venerdì 27 aprile, alle 9, il mattino dopo il funerale di mio padre, venne resa pubblica la sentenza. Il telefono squillò. "Abbiamo vinto", disse la mia segretaria, "è tutto quello che so." Stavo celebrando il shivah, il periodo di lutto ebraico di sette giorni, nell'appartamento di mia madre a Brooklyn. Presi un breve congedo dal nostro lutto familiare e andai da Brooklyn alla Fifth Avenue, un percorso di mezz'ora che separa due mondi. quando arrivai, davanti al 960 Fifth Avenue, la strada era piena di telecamere e giornalisti. "No comment, finché non ho visto o sentito la sentenza", risposi ai microfoni che mi venivano agitati davanti. "Possiamo salire con lei?" "Quando scende Claus?" "Cosa farà ora Claus?" "Andrea è con lui?" "Cosima è già stata avvertita?" Chiesi scusa per non essere in grado di rispondere, e mi precipitai attraverso la hall nello stesso ascensore nel quale Maria aprì la borsa nera per l'ultima volta, vide l'insulina e le siringhe emerse l'ultima occasione di mettere in guardia la sua padrona. Istintivamente contai gli otto secondi necessari per arrivare al piano dei von Bulow, come per trovare conferma al fatto che Maria non poteva aver fatto quello che diceva di aver fatto in un periodo così breve. Quando aprii la porta del vasto appartamento, il cane stava abbaiando, ma in giro non c'era nessuno. Claus era in biblioteca e ascoltava tranquillamente Terry MacFayden che gli leggeva al telefono le cinquantotto pagine della sentenza. Andrea Reynolds era in salotto che registrava la voce suadente, anche se un po'flebile di Terry. Joann Crispi stava riempiendo un taccuino di risposte da dare ai giornalisti. Claus mi fece segno di prendere un altro ricevitore. Terry stava leggendo. Lo fermai e gli dissi: "Vai alla fine, cosa hanno deciso?" Terry mi disse che la corte aveva annullato i verdetti per entrambi i capi d'accusa e che aveva sentenziato che dovesse essere celebrato un nuovo processo. "Le motivazioni giuridiche sono di carattere statale o federale?" Se l'annullamento fosse avvenuto per violazione di norme costituzionali federali, allora il procuratore avrebbe dovuto presentare ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti; se fosse stato per violazione della Costituzione o degli statuti del Rhode Island, allora competente sarebbe stata la Corte Suprema di questo Stato, senza possibilità di ricorrere a Washington. "Tutte e due le cose", disse Terry con stupore. "Le violazioni riguardano entrambi gli ambiti." Era un'eccellente notizia. Dato che la Corte Suprema del Rhode Island aveva fornito motivazioni indipendenti per l'annullamento, la Corte Suprema degli Stati Uniti non aveva giurisdizione per intervenire. Il verdetto contro Claus von Bulow era stato annullato. Almeno per il momento era tornato a essere innocente. Il procuratore non poteva presentare un ulteriore ricorso, anche se poteva nuovamente procedere contro Claus. Chiesi a Terry di dirmi in breve in basi a quali punti la corte aveva annullato la prima sentenza. "Innanzi tutto la questione degli appunti di Kuh." "Gli appunti di Kuh? Ma non ci avevano detto che non avevano apprezzato quell'argomento?" dissi con un certo compiacimento. "Forse hanno cambiato idea." Il secondo punto era più sorprendente. Era uno di quelli che quasi avevamo lasciato fuori dal nostro ricorso:"La polizia avrebbe dovuto procurarsi un mandato quando mandò a far analizzare le pillole in laboratorio". "Ma a proposito della borsa?" "Per quella invece tutto regolare", rispose Terry, "si è trattato di una perquisizione privata non soggetto al quarto emendamento. ma i funzionari di polizia lo erano e non avrebbero dovuto far analizzare le pillole senza un mandato." "Un argomento piuttosto limitato e tecnico", osservai, "sarà difficile far ingoiare queste pillole alla stampa, soprattutto perché non erano un punto importante della tesi dell'accusa. Mi chiedo perché la corte sia ricorsa a una motivazione così secondaria." Terry mi ricordò che la Corte Suprema del Rhode Island aveva emesso diversi giudizi sull'argomento delle prove che i privati passavano alla polizia per ulteriori indagini. Mi chiedevo comunque se la corte avrebbe fatto ricorso a questa motivazione, se non avesse avuto dei dubbi sostanziali sulla colpevolezza di von Bulow."(In un recente casi di fronte alla corte di appello di New York, un simile argomento è stato sollevato per impugnare u verdetto di colpevolezza. Anche se le circostanze di fatto erano ancora più forti a favore del difensore nel caso di New York, i giudici confermarono all'unanimità la condanna, senza neanche un'interruzione per scrivere la sentenza.) Ma anche se ebbi quest'impressione, non la espressi apertamente. Il presidente della corte accluse una sua opinione separata a favore dell'annullamento della condanna per il secondo capo d'accusa, ma chiedendo l'assoluzione per il primo. A parere del presidente, non vi erano prove sufficienti per una condanna relativamente al primo capo d'accusa. Egli concludeva affermando che "i fatti relativi al primo coma al massimo consentono di concludere che l'imputato ha agito in modo non conforme alle sua qualità di marito, ma non che il suo comportamento sia stato criminale". L'opinione discorde del presidente provocò la seguente risposta della maggioranza: Con tutto il rispetto dovuto al presidente, noi crediamo che l'esame delle prove nella prospettiva più favorevole all'accusa possa condurre ala ragionevole inferenza che, alla fine di dicembre 1979, l'imputato, consapevole dell'ultimatum di quella che sperava sarebbe divenuta sua moglie, abbia pensato di prendere in pugno la situazione, iniettando un'abbondante dose di insulina a sua moglie coll'intento di ucciderla al fine di poter sposare liberamente Alexandra.

Tuttavia, nonostante la sua conclusione sulla sufficienza delle prove presentate contro von Bulow, la corte espresse gravi dubbi sulle prove che non vennero mai presentate, in particolare gli appunti di Kuh. La corte stabilì che il rifiuto di mettere a disposizione questo materiale aveva causato "grave danno e pregiudizio all'imputato" e che la conseguenza era stata "l'impossibilità di produrre degli elementi potenzialmente essenziali per la sua difesa". Poiché i giudici non avevano visto direttamente questi appunti, potevano solo ipotizzare in via teorica che fossero di importanza vitale.

Sulla base dei documenti processuali non siamo in grado di valutare fino a che punto le informazioni contenute negli appunti di Kuh vennero portate a conoscenza delle autorità del Rhode Island. Sappiamo, tuttavia, che fin dal'inizio e Kuh e i suoi clienti rivelarono consapevolmente parte delle informazioni in modo selettivo, così da aiutare la pubblica accusa a costruire la sua tesi contro l'imputato, mentre allo stesso tempo si richiamavano al privilegio per impedire alla difesa l'accesso a informazioni potenzialmente utili. Quest'uso selettivo di materiale sottoposto a privilegio non è andato nella direzione degli interessi della società e dell'imputato non contribuendo a dare una risposta equa alla domanda sull'innocenza o la colpevolezza dell'imputato. (Malgrado questo parere favorevole sugli appunti di Kuh, la corte disse che non vi era niente di irregolare nella posizione di Kuh come avvocato della parte lesa.)

La corte continuava illustrando "l'uso scorretto" del materiale di Kuh, facendo riferimento proprio all'episodio che noi avevamo sottolineato nel nostro ricorso: l'uso degli appunti per smentire Charles Roberts. La corte specifica anche che "è provato che Kuh, nella sua testimonianza, si fondò proprio su quegli appunti che rifiutava di rivelare". In conclusione "il ricorso selettivo" del materiale di Kuh recava un'evidente "ingiustizia e pregiudizio" all'imputato "impedendo l'accesso" a informazioni potenzialmente significative. (Non c'è alcuna contraddizione nel fatto che la corte abbia ritenuto che esistessero elementi sufficienti perché la giuria emettesse un verdetto di colpevolezza e che allo stesso tempo ritenesse che le prove rilevanti potessero essere rimaste escluse. Valutando il primo elemento la corte considera solo le prove effettivamente prodotte davanti ai giurati e trae le ragionevoli deduzioni dal punto di vista dell'accusa.) Ma poi la corte si limitò anch'essa l'accesso a informazioni rilevanti. Il suo secondo punto consisteva infatti nell'affermazione che la polizia aveva violato sia la Costituzione federale sia quella del Rhode Island quando aveva fatto analizzare le pillole trovate nella borsa nera senza previo mandato. Nel nostro ricorso avevamo sostenuto che i medicinali personali potevano rivelare aspetti intimi di una persona allo stesso modo di un diario. Attraverso di essi si potevano avere ragguagli sulla vita sessuale, emotiva e altre cose che ciascuno preferiva mantenere riservate. Quindi ritenevamo che fosse necessario un mandato per "girare le pagine" di un "diario farmacologico" personale. La corte concordò col nostro punto di vista un po'insolito e stabilì che "la mancata presentazione di un mandato di perquisizione da parte della pubblica accusa è incompatibile con le garanzie costituzionali", le analisi chimiche condotte illegalmente "costituivano una parte significativa della sua argomentazione", suggerendo che "l'imputato avesse addormentato" sua moglie prima di praticarle l'iniezione. Dopo aver ascoltato le linee generali della sentenza, eravamo pronti a parlare con la stampa. In un caso ancora in corso e nella probabilità di un nuovo processo, un avvocato deve sempre tener presente che quando parla alla stampa lo fa nell'interesse del suo cliente e non nel proprio. E'certamente una forte tentazione quella di attribuirsi tutto il merito in caso di vittoria o, in caso di sconfitta, dare la colpa all'evidenza delle prove,, come aveva fatto Sheehan dopo il primo processo. Ogni parola deve essere pesato in modo che risulti il più possibile vantaggiosa al cliente. E gli interessi del cliente e quelli dell'avvocato non necessariamente coincidono. Qualche volta, più un imputato appare colpevole, più l'avvocato che è riuscito a ottenere l'assoluzione passa per abile, e viceversa. Ogni parola quindi fa parte di un disegno strategico per avvantaggiare un cliente o, almeno, per non danneggiarlo. Nel momento in cui la Corte Suprema del Rhode Island aveva emesso la sua sentenza, si entrava in un'altra fase della vicenda. Lo scopo al quale tendevamo era ora convincere il procuratore generale - o convincere la gente perché convincesse il procuratore generale - a non procedere di nuovo contro von Bulow. Non solo è perfettamente legittimo per un avvocato cercare di influenzare attraverso l'opinione pubblica il procuratore ma, a mio parere, sarebbe grave se non sfruttasse questa risorsa, soprattutto quando la controparte vi ricorre per indurre il procuratore a prendere una decisione opposta. Del resto, non esiste nessuna regola o norma che vieti al difensore di agire in questo modo. Le sole norme sono quelle che impediscono di esercitare pressioni indebite sulla giuria durante i processo. E'per il nuovo processo, se mai ce ne sarebbe stato uno, avremmo dovuto attendere almeno ancora un anno. A questo scopo, sia io sia Claus accettammo di partecipare a varie trasmissioni televisive. Quella sera a Nightline spiegai la nostra interpretazione della sentenza e Claus parlò dei suoi contrastanti sentimenti a proposito dell'eventualità di un nuovo processo: da una parte, infatti, desiderava un'assoluzione completa, dall'altra voleva lasciarsi dietro tutta questa faccenda per dedicarsi a Cosima, sua figlia. Il giorno dopo tornammo su questi argomenti in vari telegiornali del mattino. La notizia dell'annullamento del verdetto era sulle prime pagine di tutti i giornali. Anche l'austero "New York Times", che in genere non dedica molto spazio alle cronache giudiziarie, questa volta mise la notizia in prima pagina:"La corte annulla la condanna di von Bulow". I giornali popolari spararono titoli cubitali:"Un altro punto a favore del ricco aristocratico", "L'elegante danese è intesta: le dichiarazioni degli avvocati". Diversi resoconti dei giornali insistettero sugli aspetti giuridici della sentenza, lasciando intravedere che la corte aveva annullato consapevolmente la condanna di un colpevole, il che significava ignorare l'esplicito giudizio della corte, secondo la quale la non disponibilità degli appunti di Kuh aveva impedito "un giusto e equo verdetto". Con nostra grande sorpresa, il procuratore generale del Rhode Island decise di appellarsi contro la decisione della Corte Suprema del suo Stato presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, pur, sapendo bene di non avere nessuna possibilità. Qualsiasi studente di legge al primo anno avrebbe potuto dirgli che la Cote Suprema degli Stati Uniti ha il potere di interpretare solo la Costituzione federale. Anche se la Corte Suprema del Rhode Island avesse avuto torto nella sua interpretazione della Costituzione degli Stati Uniti, il verdetto contro von Bulow sarebbe comunque annullato perché era fondato indipendentemente, su un'interpretazione della Costituzione del Rhode Island data dalla Corte Suprema del Rhode Island. Per quel che riguarda la Costituzione del suo Stato, la Corte Suprema del Rhode Island - come un pontefice quando parla ex cathedra - è considerata infallibile. (Diversamente dal papa però non è Corte suprema perché è infallibile, piuttosto è infallibile perché è la Corte Suprema.) Pensammo che il procuratore generale avesse presentato appello per ragioni politiche. Dennis Roberts doveva concorrere alle elezioni dopo aver perso il suo caso più importante e vi era qualche possibilità che la Corte Suprema degli Stati Uniti rinviasse la decisione fin dopo le elezioni . se questo si fosse verificato avrebbe potuto far balenare la prospettiva di un nuovo rovesciamento della sentenza. Comunque sia, chiese l'intervento della Corte Suprema. A lui si unì anche Richard Kuh non solo in rappresentanza dei figli di Sunny, ma anche di Sunny stessa! Quale diritto avesse Kuh di parlare a nome di una donna in coma, non è chiaro. Egli scrisse un documento nel quale la sentenza della Corte Suprema del Rhode Island era attaccata nei termini più violenti. Sostenendo che la corte Suprema degli Stati Uniti avrebbe fatto valere le ragioni delle vittime, Kuh definì la sentenza a favore di von Bulow come "ridicola", "assurda", "stravagante", "aberrante", "irragionevolmente irresponsabile", "superficiale". Affermò che i giudici "dovevano essere impazziti" e che gettavano il "disonore e il ridicolo sulla giustizia americana", rendendosi complici di Claus von Bulow che aveva privato Sunny della "vita, della libertà e dei suoi beni". Un attacco che certamente non gli avrebbe procurato amici o appoggi in seno alla corte del Rhode Island. Altri documenti in appoggio al ricorso presso la Corte Suprema federale vennero inoltrati dai procuratori generali del Connecticut e dell'Arizona(Seppi più tardi che i procuratori generali di diversi altri stati avevano respinto la richiesta da parte di Roberts di inviare documenti in appoggio alla sua iniziativa, avvertendolo che la Corte Suprema non aveva alcuna giurisdizione su questo caso.) e anche da gruppi come l'Organizzazione per l'assistenza legale alle vittime del crimine, gli Americani per una giustizia efficiente, e l'associazione internazionale dei capi di polizia. Noi inoltrammo a nostra volta un esposto che sottolineava come la Corte Suprema non avesse alcuna autorità per discutete un'interpretazione che la Corte Suprema del Rhode Island dava della propria Costituzione: La decisione della Corte Suprema del Rhode Island di accordare a claus von Bulow un nuovo processo nel quale "fosse possibile stabilire con precisione la sua colpevolezza o innocenza", è fondata sulle leggi particolare di questo Stato, è corretta invia di fatto e di diritto ed è in accordo coi principi della federazione, delle garanzie costituzionali e dell'equità. Di conseguenza chiediamo rispettosamente a questa corte di declinare la richiesta di intervento.

Il 1° ottobre 1984, il primo lunedì di ottobre tradizionale data di apertura dell'anno giudiziario, i giudici della Corte Federale dichiararono la propria incompetenza nel caso von Bulow. La vicenda finì quindi ancora sui giornali:"LaCorte Suprema degli Stati Uniti appoggia von Bulow", recitava un titolo a tutta pagina, cui faceva seguito una dichiarazione di Roberts che esprimeva "disappunto" e annunciava che "avrebbe immediatamente cominciato a prepararsi per il nuovo processo". Se la speranza di Dennis Roberts nel fare ricorso era stata di natura politica, si era trattato di un boomerang: cinque settimane prima delle elezioni, un verdetto unanime della Corte Suprema federale ricordava al suo elettorato il suo fiasco. Vari mesi dopo, uno dei giudici della Corte Suprema federale definì il tentativo del procuratore generale di ottenere una revisione del caso von Bulow "inconsistente". Non è molto professionale da parte di un giurista, e soprattutto di un funzionario pubblico, inoltrare ricorsi "infondati". Le pretese del procuratore generale del Rhode Island erano quindi state seccamente respinte dalla Corte Suprema. PARTE III IL SECONDO PROCESSO: LA RIPROVA

14. LA PREPARAZIONE DEL NUOVO PROCESSO: GLI APPUNTI DI KUH

Un mese dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti d'America si rifiutò di occuparsi del caso von Bulow, gli elettori del Rhode Island rifiutarono a Dennis Roberts il rinnovo della carica di procuratore generale. Al suo posto venne eletta una ex suora cattolica, Arlene Violet, che aveva impostato la sua campagna dei diritti delle vittime del crimine, un eufemismo per indicare la difesa "della legge e dell'ordine". Le sue posizioni erano così intransigenti da meritarle il soprannome di "Attila al Monaca"(Gioco di parole fra "Nun" monaca, e "Hun" unno.), un'etichetta che sembrava non dispiacerle. "Uno dei miei figli, dopo aver sentito alcune sue opinioni in merito alla pena di morte, la soprannominò "la monaca elettrica".) La sua elezione, prima donna a ricoprire la carica di procuratore generale, fu un avvenimento nazionale. Arlene Violet comparve alla trasmissione 60 Minutes e sul "Times"; nonché su altri giornali e riviste, e la vicenda von Bulow era al centro di queste presentazioni. Tra i casi specifico circa i quali aveva criticato il suo oppositore durante la campagna elettorale, vi era il caso von Bulow. Secondo Viole, Roberts non avrebbe dovuto sprecare il denaro dei contribuenti per quello stupido ricorso alla Corte Suprema. Questa critica ci incoraggiò a pensare che il nuovo procuratore generale potesse essere più malleabile riguardo alla decisione di procedere o meno contro Claus von Bulow. Fummo ulteriormente incoraggiati dal fatto che Violet annunciò che avrebbe condotto una revisione globale di tute le prove prima di decidere se richiedere un nuovo processo. Tra l'altro, aveva criticato il suo oppositore per essersi riferito a von Bulow chiamandolo "il colpevole" anche dopo che la sua condanna era stata annullata. "Supponiamo che il signor von Bulow sarà particolarmente lieto del cambiamento", dichiarò il nuovo procuratore generale, facendo quasi del possibile nuovo processo una questione politica. I giornali titolarono;"Il caso von Bulow potrebbe essere archiviato". Nel frattempo, naturalmente, noi dovevamo però agire come se un nuovo processo ci sarebbe stato. Dovevamo mettere insieme una nuova squadra per il processo e prepararci a presentare le nostre nuove prove mediche, ora sotto forma di affidavit, in deposizioni dirette. Dovevamo anche esaminare finalmente gli appunti di Kuh, come eravamo ormai autorizzati a fare. Dissi però a Claus che non potevo assumermi la responsabilità di condurre la sua difesa in un eventuale nuovo processo. Come gli avevo detto fin dall'inizio del mio coinvolgimento in questa vicenda, i miei impegni di docente avevano la priorità. L'inizio del nuovo processo era previsto per la metà del semestre di primavera, e io per quel periodo avevo un fitto programma di corsi. (In uno dei miei corsi - etica giuridica per penalisti - passammo molte ore a discutere di tutti gli aspetti della vicenda Marriott-Magaldi. Per i miei studenti questo coinvolgimento nel vivo di un problema di attualità costituì un'esperienza formativa unica.) Dissi però a Claus che potevo rimanere a Cambridge pur continuando a svolgere il ruolo di stratega della difesa e a redigere i documenti legali. Due dei miei studenti e assistenti, Joann Crispi e Andrew Citron, avrebbero potuto presenziare quotidianamente al processo e servire da canali di comunicazione con me. Claus fu comprensivo, ma mi pregò di essere presente quanto più possibile, nei limiti dei miei impegni accademici. Mi chiese anche di occuparmi di tutte le questioni preprocessuali e di aiutarlo a cercare un avocato per il processo. Claus aveva idee precise a proposito dell'avvocato che voleva e mi chiese di sottoporgli una lista di penalisti tra i migliori in circolazione. Voleva un vero combattente, preferibilmente un ex pubblico ministero che fosse capace di mettere l'accusa e i suoi testimoni con le spalle al muro. Volevo qualcuno abbastanza scaltro per battersi contro un campione di casa come Steve Famiglietti. Anche se sapevamo che Famiglietti - che nel frattempo aveva abbandonato l'incarico di procuratore per la libera professione - non avrebbe più rappresentato il pubblico ministero, non avevamo idea di chi l'avrebbe sostituito. Claus, comunque, voleva qualcuno che potesse tener testa a uno come Famiglietti. Leggendo fra le righe di quel che mi diceva, mi sembrò di capire che quello che voleva era un avvocato le cui origini etniche fossero compatibili con quelle, probabili, dei giurati, del pubblico ministero e dei giudici. La mia interpretazione venne confermata quando Claus scartò decisamente alcuni nomi della mia lista. La persona in testa a entrambe le nostre liste non rispondeva a nessuno di questi requisiti, ma era così bravo e celebre che Claus lo voleva assolutamente. Era Edward Bennett Williams, un avvocato di Washington che aveva difeso Jimmy Hoffa, Joseph McCarthy, il governatore del Texas John Connally e innumerevoli altri accusati. Il suo socio Vince Fuller aveva appena ottenuto un'assoluzione per infermità mentale per John W. Hinckley jr che aveva tentato di uccidere il presidente. Telefonai a Williams e parlai con lui e a uno dei suoi collaboratori di lunga data, Robert Weinberg, che conoscevo dai tempi dell'università. Ero entusiasta all'idea di lavorare col maestro riconosciuto dei penalisti. Claus si recò a Washington per incontrarlo, ma alla fine la cosa non funzionò. Williams non poteva impegnarsi quotidianamente nel caso e avrebbe così dovuto delegare ai suoi collaboratori vince Fuller e Bob Weinbger gran parte del lavoro. Claus non era favorevole a questa delega; malgrado l'abilità e l'esperienza dei soci di Williams, voleva Williams in persona e nessun altro. Prendemmo in considerazione vari nomi, ma Claus sollevava sempre obiezioni, alcune convincenti altre meno. Era la sua vita a essere in gioco e spettava a lui decidere. Claus mi chiese informazioni su un avvocato che era stato citato da Jaonn Crispi, Thomas Puccio, il procuratore ritiratosi di recente che si era fatto un nome nel caso Abscam, il senatore Harrison Williams del New Jersey e vari altri consgressman. Conoscevo piuttosto bene Puccio perché avevo parlato del caso Anbscam durante le mie lezioni, e lui era venuto a Cambridge per "rifare" il processo di fronte ai miei allievi (io impersonavo la difesa): Poco dopo il suo passaggio alla libera professione, lo avevo raccomandato a un mio cliente e avevamo lavorato insieme a un caso. Tom certamente corrispondeva a tutti i requisiti di Claus: venuto dalla gavetta, ex procuratore, intelligente e con le stesse origini etniche di molti giudici, degli accusatori e dei giurati del Rhode Island. (Mi venne qualche dubbio solo quando telefonai a casa sua e mi dissero che era alla sinagoga: saltò però fuori che era là con sua moglie, ebrea.) Tom era nato e cresciuto nello stesso quartiere di Boro Park, a Brooklyn, dove avevo trascorso la mia giovinezza, ma veniva dal lato "romano" di quella che era chiamata la frontiera tra Roma e Gerusalemme. I suoi nonni venivano dalla Sicilia e Tom era - secondo le parole del "Journal" di Providence - "un ex procuratore dalla lingua svelta e tagliente con un forte accento di Brooklyn". I giornali lo chiamavano anche un "glory hog" - un cinghiale - come vengono soprannominati di solito i buoni penalisti. Alcuni dei suoi detrattori ritengono che non sia adatto al gioco di squadra: "La sua opinione viene sempre per prima". Ma a me Tom piaceva e Claus fu molto lieto di sapere che avevamo già lavorato insieme. La sola cosa che ci preoccupava di Tom era che non era mai stato in aula come difensore. Tra il mestiere di difensore e quello di procuratore ci sono differenze enormi. La maggior parte dei pubblici ministeri ha soprattutto la capacità di impostare una ricostruzione dei fatti, ma sono meno abili nei controinterrogatori. Questo era uno di quei maledetti casi in cui bisognava "imparare lavorando". Ma Tom aveva comunque un'esperienza processuale notevole come procuratore. Diedi il benvenuto a Tom nella squadra e ci mettemmo subito al lavoro. I miei assistenti Joann Crispi e Andy divennero il suo braccio sinistro e il suo braccio destro. Claus li definì i "computer umani" di Tom. Conoscevano tutto, ogni fatto, ogni nuovo indizio, ogni esperto di medicina che intendevamo consultare. Erano giovani e con poca esperienza di dibattimento in aula, ma furono una componente essenziale della squadra, il raccordo tra il ricorso e il nuovo processo.

Il nostro primo compito fu quello di dare un'occhiata agli appunti di Kuh. Malgrado la personale assicurazione scritta di Kuh che "non vi è un rigo tra i miei appunti che possa anche lontanamente contribuire a discolpare l'imputato", ero assolutamente certo che questi appunti contenessero materiale importante . Durante il dibattimento davanti alla Corte Suprema , avevo ipotizzato che se negli appunti non si fosse menzionata l'insulina, allora si sarebbe potuto pensare che tutta la storia dell'insulina era stata montata. Avevo preannunciato alla mia associata Susan Estrich cosa pensavo che gli appunti avrebbero rivelato:"Scommetto la mia parcella che nessuno ha mai parlato di insulina nella borsa nera prima che l'insulina venisse effettivamente trovata nel corpo di Sunny o sull'ago". Quando, alla fine, riuscimmo a ottenere gli appunti di Kuh, mi immersi nella lettura per vedere per vedere in quale punto si fosse parlato per la prima volta di insulina. Gli appunti erano scritti a mano da Kuh e quasi illeggibili. Il giudice ci aveva provato , ma non era riuscito a venirne a capo. Anche molti degli altri avvocati avevano lo stesso problema. Ma io riuscivo a leggerli come se fossero stati battuti a macchina. La ragione era semplice: ogni anno devo correggere centinaia di esami scritti a mano. Ci sono grafie di tutte le parti del mondo. Alcune di queste sembrano veramente indecifrabili, ma devono essere decifrate comunque, così si impara. Dopo aver passato vent'anni a decodificare migliaia di pagine di sgorbi, gli appunti di Kuh mi parvero uno scherzo. Il p rimo incontro di Kuh fu con alexander von Auersperg e Ala. Ebbe luogo il 5 gennaio 1981, die settimane dopo il coma fatale. I figli di Sunny parlarono dei loro sospetti , soprattutto dopo che Maria Schrallhammer aveva scoperto la borsa nera. I ragazzi fecero cenno al fatto che "Valium e varie ricette" e "boccette" erano stati "trovati dalla governante nella sua borsa da viaggio". Nessun cenno all'insulina. Passai rapidamente agli appunti presi da Kuh durante il primo incontro con Maria Schrallhammer, tre giorni dopo. Quello che scoprii fu assolutamente esplosivo, andando al di là delle mie più ottimistiche previsioni. Maria descriveva dettagliatamente quello che aveva trovato nella borsa nera la prima volta che l'aveva aperta, in febbraio, dopo il primo coma:"Valium", "varie boccette". Ne tirò fuori "della polverina, dei liquidi e delle pillole". Maria descrisse le boccette e e loro etichette con precisione:"Le boccette originali provenivano tutte dalla farmacia Zitomer, allora al 75 della Medison, ora tra il 77 e il 78 della madison. Medico: dottor Rosenberg. Una prescrizione a nome di Leslie Baxter. Una a nome di Claus von Bulow ma con indirizzo falso". (L'indirizzo risultò in realtà essere di uno dei club di Claus.) Fino a questo punto gli appunti erano perfettamente coerenti con quanto aveva dichiarato Maria in aula. anche il fatto che non vi fosse alcuna menzione di insulina, relativamente al primo esame della borsa, in febbraio, corrispondeva, dato che aveva dichiarato al processo di non aver visto l'insulina fino alla domenica dopo il giorno del Ringraziamento Durante la sua deposizione, Maria affermò che quando aprì la borsa nera rimase sorpresa nel vedere l'insulina e le siringhe perché sapeva che Sunny non era diabetica. Disse che immediatamente dopo aver scoperto i nuovi oggetti nella borsa nera, avvertì Alex, prese l'insulina e indicando le siringhe e gli aghi esclamò:"Insulina, perché l'insulina?". Durante il controinterrogatorio Maria ripetè la sua reazione vedendo l'insulina:"Chiesi ad Alexander 'perché l'insulina?', perché la signora von Bulow era ipoglicemia. Non aveva bisogno di insulina". Maria era certa di aver letto chiaramente "insulina" sull'etichetta.

D.C'era un'etichetta? R. Si. D. E lei ha letto quest'etichetta? R. Si, è lì, che ho letto insulina, perché prima non avevamo mai visto insulina.

E'improbabile che Maria abbia dimenticato una scoperta così drammatica e la sua esclamazione solo sei settimane dopo che questi fatti ebbero luogo, se ebbero luogo. Ciò che gli appunti rivelano, getta infatti gravi dubbi per non dire di peggio, sul fatto che quello che Maria dichiarò nella sua testimonianza si sia veramente verificato. Questo è il contenuto degli appunti in data 8 gennaio 1981, a proposito di quello che Maria vide la domenica dopo il giorno del Ringraziamento: Novembre 1980, (Ringraziamento" - Domenica dopo New York City. Nel necesssaire di Claus, viste le stesse cose e richiamata l'attenzione di Alex su medesime cose. Ma nessuna etichetta - tutto cancellato!

Gli appunti quindi dimostrano che Maria aveva detto a Kuh che durante questa sua cruciale "perquisizione" dopo il ringraziamento aveva visto gli stessi oggetti già visti in febbraio. In febbraio non aveva visto insulina o siringhe, solo flaconi con prescrizioni e boccettine di Valium e Secobarbital. Inoltre, in questa seconda occasione, tutte le etichette risultavano cancellate e quindi lei non aveva potuto identificare il loro contenuto. L'importanza della testimonianza resa da Maria in tribunale stava proprio nel fatto che aveva dichiarato che la borsa non conteneva le stesse cose che aveva visto in febbraio. Il punto centrale della testimonianza di Maria fu che al Ringraziamento aveva per la prima volta visto l'insulina e le siringhe. Erano stati proprio questi nuovi oggetti che l'avevano spinta ad avvertire Alex e a mostrarglieli. E giurò anche in aula che aveva letto la parola insulina sull'etichetta. Tutti i punti più rilevanti della testimonianza di Maria concernenti quello che aveva visto il giorno dopo il Ringraziamento venivano così puntualmente contraddetti dagli appunti di Kuh, che riportavano quanto aveva detto in un momento in cui la sua memoria doveva essere più fresca - circa due settimane mezzo dopo il coma - e prima che la famiglia avesse elaborato una sua teoria riguardo l'insulina, teoria per la quale il supposto ritrovamento dei nuovi oggetti era così opportuno. Era molto meglio di quanto avessimo osato sperare. Certamente meglio di quanto Kuh avesse cercato di farci credere, affermando avvocatescamente che "non vi è un rigo... che possa... contribuire a discolpare l'imputato." Questa informazione non solo era utile, ma toglieva qualsiasi attendibilità alla fondamentale testimonianza di Maria riguardo l'insulina. Nessuna giuria avrebbe ora potuto prestare la minima fede all'affermazione di Maria secondo la qual la domenica del week-end del ringraziamento aveva visto dell'insulina e delle siringhe, dato che noi potevamo ora provare che aveva specificato a Richard Kuh che tutte le etichette erano state cancellate e che gli oggetti che aveva visto erano "gli stessi" di quelli visti nella borsa in febbraio. Era impossibile che nel corso delle sei settimane intercorse tra quel week-end e l'incontro con Kuh avesse dimenticato un fatto così importante come il rinvenimento inspiegabile di insulina. Inoltre il particolare delle etichette strappate, mai menzionato durante il processo, era del tutto in contrasto con l'affermazione di aver letto "insulina" su un'etichetta. Queste incongruenze non potevano essere addebitate a innocenti dimenticanze. Se quanto Maria ricordava si fosse modificato col tempo, era più probabile che ciò fosse avvenuto nella direzione di una dimenticanza e non di un'aggiunta di elementi. La mia teoria fu ulteriormente confermata nel momento in cui, proseguendo nella lettura degli appunti, scoprimmo quando Maria e Alex si "ricordarono" per la prima volta della scoperta dell'insulina e delle siringhe. Accadde il 20 gennaio 1981. In questa data gli appunti di Kuh fanno cenno al ritrovamento di un "ago ipodermico" da parte di Mari anella borsa di claus. Ogni cosa diventa più chiara se pensiamo al fatto che solo pochi giorni prima la famiglia era venuta per la prima volta a conoscenza dell'alto livello di insulina rilevato nel sangue di Sunny. Ma la famiglia a questo punto non aveva ancora messo bene a punto la sua versione. Alex disse a Kuh che l'insulina e la siringa erano state trovate "nel dicembre 1980 o all'inizio di gennaio 1981 nella borsa". Un figlio che trova l'insulina e una siringa prima che sua madre entri in coma se lo sarebbe ricordato e non avrebbe dichiarato che ciò avrebbe potuto anche essere accaduto successivamente. Anche in questo caso, ricordi al momento confusi stavano prendendo un forma più precisa, e ciò avveniva in concomitanza con il delineasi di un'interpretazione da parte della famiglia. Gli appunti di Kuh rivelarono anche come la teoria dell'insulina venne adottata dalla famiglia durante le prime settimane di indagine. Dopo il ritrovamento della borsa nera a Clarendon Court il 23 gennaio 1981, gli appunti di Kuh rivelano che l'ago venne fatto analizzare. Lo scopo era precisamente quello di "verificare la presenza di insulina". C'era insulina nel sangue di Sunny, e quindi doveva essercene anche nell'ago. A questo unto diventava della massima importanza "ricordare" di aver visto dell'insulina. Il 30 gennaio Maria "era certa che fosse insulina". Lo "ricordava perfettamente". Perché Maria non avesse comunicato a Kuh questa sua sicurezza prima che la tesi dell'insulina avesse preso corpo e come fosse riuscita a leggere etichette che erano state "strappate via", questo gli appunti di Kuh si guardavano dallo spiegarlo. Ma c'era ben altro in questi appunti! Da questi appunti venimmo a sapere che pochi giorni dopo il coma Alex aveva detto al banchiere di famiglia di essere pronto "a battersi con Claus", e che Alex "non voleva assolutamente perdere Clarendon Court - che sarebbe spettata a claus - a nessun costo", che Ala "non era mai andata d'accordo con claus" e, cosa ancora più importante, che prima di decidere di procedere per vie legali, la famiglia aveva pensato di trattare con claus, chiedendogli di rinunciare a quanto gli spettava dell'eredità della moglie. Gli appunti rivelavano infine che claus aveva discusso con Ala, due settimane dopo il coma, dell'opportunità di disinserire le apparecchiature che tenevano in vita la madre. Gli appunti suggerivano però che "egli [Claus] non avrebbe preso la decisione che spettava ai figli". Ala era "incerta sul da farsi", alla luce del fatto che "Sunny aveva dettochiaramente che non avrebbe voluto 'vivere'così". Questo era un punto importante perché i figliastri avevano sempre dichiarato alla stampa che era stato Claus a insistere per "staccare la spina" e che loro si erano sempre opposti a questo barbaro progetto:"Claus von Bulow voleva staccare la spina delle apparecchiature che mantenevano in vita sua moglie, ma venne bloccato dai suoi due figli", affermava un giornale sotto il titolo "von Bulow voleva staccare la spina". Gli appunti presi contemporaneamente ai fatti suggeriscono invece un più complesso scambio di opinioni tra Claus e i due figliastri su questo problema così carico di tensione emotiva. In definitiva, gli appunti di Kuh raccontavano una storia del tutto diversa, una storia non per sentito dire e fondata "solo sui fatti", senza teorie preconcette. Una storia molto più incerta, molto più ambigua di quella raccontata dai testimoni al processo dopo che questo ebbero parlato fra loro, coi loro avvocati, con la polizia e con la pubblica accusa, precisando così i loro ricordi. "L'appello von Bulow sarà incentrato sugli appunti dell'avvocato", titolò a piena pagina l"Inquirer" di Philadelphia. La nuova storia, che in realtà era quella originale, confermò in pieno la strategia che avevamo adottato nella mozione d'appello e che stavamo mettendo a punto per il nuovo processo. all'appello avremmo attaccato frontalmente tutta la teoria dell'insulina, cercando di smontare tutte le quattro prove indipendenti di questa teoria sulla quale l'accusa aveva fatto affidamento con notevole successo al primo processo. Avremmo provato che Maria e Alex non avevano affatto visto le siringhe e l'insulina nella borsa nera dopo il giorno del Ringraziamento. Avremmo provato che il sangue di Sunny non aveva un alto livello di insulina. Avremmo provato che non vi era insulina sull'ago trovato nella borsa in gennaio. E infine avremmo provato che i medici che avevano deposto per l'accusa si erano sbagliati nel concludere che il coma di Sunny era stato provocato da un alto livello di insulina. Non era compito facile, ma occorreva attaccare la costruzione dell'accusa direttamene. Niente più difesa "scelte multiple". La nostra difesa stava concentrandosi su un solo punto: l'insulina esogena in questo caso non c'entrava niente. Gli appunti di Kuh furono la nostra stele di Rosetta, con le informazioni ancora non contaminate necessari per svelare il mistero. La mia esperienza con gli appunti di Kuh confermava il mio punto di vista secondo il quale la difesa dovrebbe sempre avere a disposizione tutti gli elementi per poterli valutare indipendentemente. In questo caso l'avvocato che aveva l'esclusivo possesso degli appunti poteva utilizzarli per sostenere la sua tesi e nello stesso tempo affermare che i suoi appunti segreti non contenevano assolutamente niente che potesse "anche lontanamente contribuire a discolpare l'imputato". Forse Kuh era in buona fede. Anche a un giudice, ignaro delle altre informazioni che erano in nostro possesso, sarebbe potuto sfuggire il significato degli appunti a una rapida lettura. Ma ogni avvocato difensore, al corrente dell'intera strategia difensiva, avrebbe immediatamente colto la rilevanza ai fini della difesa delle versioni molto diverse che emergevano dagli appunti di Kuh e dalle deposizioni rese in aula. Il problema per noi sorgeva ora dal modo in cui si era sviluppato il primo processo. Fahringer non aveva mai contestato la presenza dell'insulina sull'ago trovato nella borsa in gennaio. Aveva accettato "il fatto". Ponevamo noi, adesso, rimettere la cosa in discussione? Dovevamo cercare di persuadere il giudice che noi - gli avvocati dell'appello - non eravamo tenuti a sottostare alle ammissioni fatte dal nostro predecessore. Naturalmente la presenza di Sheehan in entrambi i procedimenti rendeva un po'più imbarazzante sostenere questa tesi. Ma alla fine Tom riuscì comunque a convincere il giudice che doveva esserci permesso di esibire i nostri nuovi dati medici, che gettavano dubbi sugli esami di laboratorio che avevano rilevato la presenza dell'insulina sull'ago. Le novità emerse dagli appunti di Kuh ci davano il diritto di impostare il caso in maniera del tutto diversa. Nella nostra mozione d'appello - la cui parte più strettamente tecnica era stata trascurata dalla stampa a favore della più appassionante storia degli affidavit Marriott-Magaldi - avevamo gettato le basi della nostra nuova strategia processuale. In effetti, tutti i principali aspetti medico-legali che vennero poi presentati in occasione del nuovo processo nel 1985 erano già stati delineati nella nostra mozione d'appello del 1983. Avevamo corso il rischio di giocare tutte le nostre carte molto in anticipo rispetto a un possibile appello. Normalmente, nei casi penali, la difesa ha il vantaggio della sorpresa, non dovendo rivelare prima del processo la sua strategia. In pratica pochi difensori possono valersi di questo vantaggio perché non hanno alcun ricostruzione alternativa da presentare. Ma i pochi che sono in grado di farlo cercano di sfruttare questa possibilità, anche se alcuni elementi - come eventuale alibi - dovrebbero essere resi noti dalla difesa prima del dibattimento. Avevamo rinunciato a questo vantaggio mettendo tutte le carte in tavola. Non avevamo scelta; dovevamo assolutamente evitare di perdere il ricorso e che il nostro cliente venisse spedito in prigione prima che potessimo presentare la mozione d'appello. Discussi a lungo con Claus e coi miei collaboratori i pro e i contro di questa decisione e decidemmo tutti di correre il rischio di svelare le nostre armi segrete. Se fossimo stati sicuri di vincere l'appello, naturalmente avremmo tenuto qualche asso nella manica da giocare al processo. Ma nonostante le indiscrezioni di cui disponeva Sheehan, non potevamo esserne certi. Nel poker, se si mostrano tute le carte è poi impossibile bluffare. Nella giustizia è difficile, ma non impossibile. Avevamo reso note all'accusa le prove di cui disponevamo, ma non la nostra tesi. Una teoria implica che le prove vengano interpretate. Quello che non rivelammo all'accusa fu quali di questi nuovi elementi avremmo scartato e quali sfruttato. L'accusa sapeva naturalmente che non saremmo ricorsi a Marriott e a Magaldi. Pareva anzi che minacciassero di ricorrere loro a Marriott come testimone d'accusa contro Claus, pur avendo già dichiarato di considerarlo inattendibile. Non avevamo alcuna idea di quello che Marriott avrebbe potuto dichiarare come testimone d'accusa, ma aveva già detto alla stampa che le droghe che aveva consegnato a Clarendon Court erano per Claus e non per Sunny e Alex. Marriott aveva ritrattato tutto sui suoi contatti con Alex. L'accusa non sapeva, però, se noi avremmo presentato egualmente l'affidavit di Truman Capote o la testimonianza di vari amici e conoscenti di Sunny che erano a conoscenza dei suoi problemi di alcool e di droga. Non sapeva neppure se avremmo chiesto ad Alex se avesse mai ricevuto della droga. A questo proposito, quando la corte stava considerando la possibilità di escludere Kuh dall'aula come testimone potenziale, Kuh presentò una dichiarazione di questo tenore: "Inoltre, alla luce delle affermazioni completamente false contenute negli affidavit presentati dalla difesa alla fine del 1983, riguardo un presunto comportamento illegale del mio cliente, Alexander von Auersperg, ritengo che possa essergli necessaria l'assistenza del suo legale per quel che riguarda i suoi diritti costituzionali contro la possibilità di un'autoincriminazione durante la sua testimonianza". Questo fu un passo falso perché lasciava pensare che avesse qualcosa da nascondere. Poco dopo questo errore, Kuh uscì dal caso e venne sostituito da un altro legale come rappresentante della famiglia von Auersperg. (Il giudice fece uscire Kuh e respinse le sue obiezioni perché "alla luce della conduzione del giudice, la sua presenza avrebbe avuto un valore modesto"). La nostra tattica sembrava funzionare. La controparte sembrava disorientata dalle nostre prove "a scelta multipla", non sapendo, fino al momento del processo, quali di queste scelte avremmo effettivamente compiuto. La giustizia non è un gioco, ma il sistema del contraddittorio esige che gli avvocati della difesa non rinuncino a nessun vantaggio. Trattare in cambio di qualcosa, magari, ma rinunciare gratuitamente a qualcosa, mai! Mentre mettevamo a punto la nostra strategia, continuavamo però la nostra azione per convincere il nuovo procuratore generale a non procedere nuovamente contro Claus. Avevamo saputo che si era incontrata con Richard Kuh prima che questi lasciasse il suo incarico. Credemmo che per correttezza avrebbe incontrato anche noi, in modo da sentire entrambe le campane. questo tipo di incontri comportava per noi qualche rischio; avremmo infatti dovuto presentare la nostra storia nel modo più convincente, rivelando così la nostra strategia difensiva. Lei invece non correva nessun rischio, doveva solo sedersi e stare a sentire. Se fossimo riusciti a persuaderla dell'innocenza di von Bulow, sarebbe stata moralmente obbligata a non procedere nuovamente contro di lui. Alla stesa conclusione sarebbe giunta se avesse ritenuto colpevole von Bulow, ma difficilmente dimostrabile questa sua colpevolezza, nel qual caso considerazioni di opportunità e di risparmio di energie l'avrebbero fatta desistere. Se invece avesse ritenuto von Bulow colpevole e fosse stata convinta di poterlo dimostrare, allora avrebbe avuto il vantaggio di conoscere le nostre armi. La maggior parte dei procuratori coglie al volo, l'occasione di uno scambio di vedute coll'altra parte. In vent'anni di professione, non mi è mai capitato una volta che la richiesta di un incontro venisse respinta. Ma il procuratore generale Violet rifiutò di incontrarci. Il "Journal" dei Providence riferì che aveva "dichiarato di non voler incontrare Dershowitz e altri avocati della difesa... perché non voleva venir messa nella situazione di conoscere elementi che non sarebbero stati messi periscritto come scoperte preprocessuali del caso". Questa argomentazione era pretestuosa, soprattutto dal momento che eravamo pronti a mettere periscritto che scopo dell'incontro non era la presentazione formale degli elementi di prova della controparte, ma tentare di persuaderla ad abbandonare il caso. All'inizio pensai che la decisione di Violet fosse semplicemente un errore dovuto alla sua inesperienza, non avendo mai trattato casi penali. Venni però a sapere più tardi che, anche se non mi aveva mai incontrato, Arlene Violet aveva una spiccata antipatia per me, come disse qualcuno che la conosceva. Secondo la mia fonte, si trattava di una combinazione di paura, gelosia e avversione generica. Disse a diverse persone che non si sarebbe "fatta menare per il naso" da Dershowitz, e che costui avrebbe finalmente incontrato qualcuno che "non si sarebbe fatto travolgere" dalla sua "aggressività". Non solo non ci eravamo mai incontrati, ma io avevo anche sostenuto la sua candidatura perché mi avevano parlato bene di lei. La sua evidente ostilità mi colse di sorpresa. Probabilmente non saprò mai se questa antipatia fu all'origine del suo rifiuto di incontrarci prima che prendesse un decisione riguardo a un nuovo procedimento contro Claus von Bulow, ma giudicando le cose retrospettivamente la sua decisione costò cara ai cittadini del Rhode Island. Resto convinto che se ci fossimo incontrati e io avessi avuto modo di illustrarle le nuove prove emerse, soprattutto quelle di carattere medico-legale, avrebbe probabilmente capito di non poter vincere la causa, e anche se avesse deciso di procedere comunque, avrebbe avuto il non piccolo vantaggio di aver conosciuto in anticipo la nostra strategia. Al contrario, Violet annunciò che avrebbe deciso se incriminare nuovamente von Bulow il giorno dopo il mio previsto interrogatorio di Richard Kuh riguardo ai suoi appunti all'udienza preprocessuale del 4 gennaio 1985. Tutto calcolato per attirare su di lei la massima attenzione della stampa. (Seppi anche da fonti attendibili che Violet aveva già preso la decisione di processare nuovamente von Bulow - e aveva già abbozzato la su dichiarazione - prima che io interrogassi Kuh.) Il venerdì 4 gennaio 1985 mi trovai di fronte a Kuh per la prima volta. Lo scopo dell'udienza era di stabilire la natura e il significato degli appunti di Kuh e di ottenere un ordine scritto dalla corte perché rendesse accessibili gli appunti che non aveva ancora rivelato. Kuh si dimostrò un antagonista temibile e determinato. Non erano più i tempi in cui, come nella lettera del 1992, diceva di apprezzare il mio libro e la mia integrità. Ormai mi definiva apertamente e via etere un bugiardo e un disonesto. Quando mi avvicinai per interrogarlo, tutti erano col fiato sospeso. L'interrogatorio venne ripreso, come consentito dalla legge del Rhode Island, da una telecamera. A un certo punto cominciai a leggere quanto Kuh aveva annotato riguardo al suo incontro con Maria, la quale diceva che le etichette erano state "strappate via", e ricordai a Kuh che mi aveva detto nella sua risposta del 1982 che nei suoi appunti non vi era niente che potesse suonare a discolpa dell'imputato. durante l'interrogatorio gli scambi furono vivaci. Alla fine il giudice ci diede ragione e impose a Kuh di rendere noti tutti gli appunti che aveva ancora da parte. Quando lasciammo l'aula, venni circondato dai cronisti. alcuni giornalisti televisivi, mi chiesero di riassumere quello che avevo detto in aula. Altri erano intorno a Kuh, Una giornalista del "Journal" di Providence, Tracy Breton, particolarmente abile e con ottimi informatori, mi chiese dimostrarle gli appunti di Kuh. Le risposi che non ero sicuro di averne il diritto perché non facevano parte dei documenti accessibili al pubblico. Breton si precipitò in direzione del giudice e tornò immediatamente per dirmi che l'aveva chiesto al giudice e le era stato risposto che non vi erano obiezioni e che le venissero mostrate le annotazioni perché non erano coperte dal segreto istruttorio. Decidemmo comunque, per ragioni di strategia, di non mostrare a nessuno interamente gli appunti fino al secondo processo. Mentre mi avviavo verso l'uscita, riassunsi, forse con un linguaggio un po'colorito, quello che avevo dichiarato alla corte: "Gli appunti di Kuh sono esplosivi. Disintegrano completamente la teoria dell'accusa". Spiegai che Maria e Alexander avevano potuto deporre come avevano fatto solo perché "non erano stati messi a confronto con le contraddittorie affermazioni rese a Kuh". Kuh definì le mie affermazioni "spazzature" e continuò a sostenere , malgrado i suoi appunti parlassero chiaro, che "non vi era nessuna contraddizione con quanto affermato durante le deposizioni". poiché i giornalisti non avevano visto gli appunti di Kuh, non potevano chiedergli conto dell'affermazione di Maria circa le etichette "strappate via" e la borsa contente "gli stessi oggetti" trovati il giorno del ringraziamento e che non comprendevano l'insulina. Il giorno dopo il procuratore generale convocò una grande conferenza stampa. Tutte le testate e le reti nazionali e locali vennero invitate a intervenire, e i partecipanti furono decine. La conferenza venne appositamente programmata per il primo pomeriggio di sabato, cosicché potesse ricevere la maggior eco possibile sui giornali domenica mattina. Alla conferenza Violet annunciò che aveva intenzione di procedere nuovamente contro Claus von Bulow. Era sua convinzione, disse, che "ci fossero prove sufficienti le quali, se accolte da una giuria, potevano portare a una condanna. Queste prove dovrebbero essere sottoposte a una giuria di cittadini ed è proprio quello che intendo fare". Quindi proseguì con un attacco personale nei miei confronti. Io continuavo a non averla mai incontrata in vita mia e rimasi quindi sconcertato dalla ferocia dell'attacco. "Il signor Dershowitz è un grande attore, ma ha perso una buona occasione per stare zitto. Da questo momento in poi se insiste nel rilasciare dichiarazioni [sul caso], chiederò alla corte di togliergli l'incarico di difensore di von Bulow." Quindi espose ampiamente il suo punto di vista su von Bulow in un'intervista al "Post" di New York, che riferì che "il nuovo procuratore ha dichiarato ieri di essere 'assolutamente convinta'che [von Bulow] ha tentato due volte di uccidere sua moglie Sunny". Ciò che mi offese maggiormente fu che Violet si allineò a Kuh e mi accusò di aver distorto i suoi appunti: "Ho riesaminato gli appunti di Kuh e l'interpretazione che [Dershowitz] offre delle dichiarazioni di Maria Schrallhammer è falsa, totalmente falsa". Quando udii queste affermazioni , mi chiesi se Violet e io avessimo letto gli stessi appunti. Non riuscivo proprio a capire come qualcuno che avesse letto gli appunti non potesse trovarli manifestamente in contrasto con quanto affermato al processo, come sarebbe poi emerso chiaramente durante l'appello. Diversi giornalisti espressero sorpresa per l'atteggiamento di Violet:"E'la prima volta che vedo un procuratore convocare una conferenza stampa per accusare un avvocato di aver parlato troppo con la stampa". Il comportamento di Violet è un buon esempio di chutzpa, di faccia tosta(Un caso classico di chutzpa è un imputato che, dopo aver ucciso il padre e la madre, si appella ala clemenza della corte in quanto orfano.). Un avvocato che i conosceva entrambi definì le sue minacce "un attacco preventivo", il desiderio da parte sua di "sferrare il primo colpo in quella che sarebbe stata una lunga guerra. Quando ce l'ha con qualcuno", mi avvertì quest'avvocato,"non molla la presa": Quando Violet sferrò il suo attacco mi trovavo in Florida per un giro di incontri e fui colto impreparato. Ne venni a conoscenza quando feci la mia consueta telefonata per sapere se c'erano messaggi. "Ci sono state circa una quarantina di telefonate dalla stampa", mi venne detto, "a proposito dei problemi col procuratore generale del Rhode Island." Per un momento pensai di prendere un aereo e di tornare per replicare con tuta la mia panoplia di argomenti, ma il sole era troppo piacevole. Me ne tornai in albergo a farmi una nuotata. Quando rientrai, però, i accorsi che non altra scelta che combattere. Diverse telecamere mi aspettavano all'ingresso. Ne scaturì un'autentica battaglia campale in piena regola. Risposi a questo primo scontro con una lunga lettera indirizzata al procuratore generale nella quale esponevo il punto di vista circa i rapporti che dovrebbero intercorrere tra avvocato e la stampa. Ricordai a Violet che lei stessa aveva convocato una conferenza stampa e aveva affermato di essere convinta della colpevolezza di von Bulow, comportamento molto più pregiudizievole del mio per un giusto processo. Le ricordai anche che con le mie dichiarazioni al di fuori dell'aula, che non facevano che ripetere quanto era già stato detto in aula, non stavo facendo altro che esercitare la mia libertà di parola, dato che era mio diritto rispondere a quanto avevano affermato lei stessa e Kuh. Terminai però la lettera in un tono conciliante: A causa della notorietà del mio cliente e dell'interesse che il primo processo ha sollevato nell'opinione pubblica, l'appello del signor von Bulow provocherà certamente grande clamore. Il mio collega e io del collegio della difesa siamo disposti a discutere personalmente con lei per concordare ragionevoli norme di comportamento che regolino le dichiarazioni pubbliche della difesa, dell'accusa e del signor Kuh nei mesi che seguiranno. La mia prima preoccupazione, come credo la sua, è un processo equo ne quale tutte le provano possa essere prodotte. Questa volta accettò di incontrarmi. Quando arrivai all'incontro, capii meglio quello che la mia fonte intendeva dire circa il complesso atteggiamento di Violet nei miei confronti. Durante tutta la durata dell'incontro esibì un sorriso forzato pur cogliendo ogni occasione per far vedere chi comandava. Raggiungemmo un accordo verbale in base al quale ci saremmo entrambi attenuti a certe regole nei contatti con la stampa durante lo svolgersi della vicenda. Accettò anche di "tenere Kuh sotto controllo", come disse, perché non desse alla stampa la versione dell'accusa senza darci la possibilità di replicare. Alla fine riconobbe anche che alcune delle sue affermazioni su di me erano frutto di "incomprensioni" e di "citazioni errate" della stampa. Accettò di mettere tutto ciò per iscritto, così da evitare la necessità di continuare questo spiacevole dibattito in pubblico. Anche se alla fine effettivamente mi scrisse, la lettera di Violet non conteneva i riconoscimenti che aveva promesso. Quando ho a che fare con un procuratore, capisco subito se qualcuno col quale basta una stretta di mano o se è meglio mettere le cose per iscritto. Con Arlene Violet era meglio mettere le cose per iscritto. Il "Globe" di Boston, in uno dei rari editoriali dedicati alla vicenda, cercò di presentarla come una questione personale tra "il giurista istrione" e "Attila la monaca". Intitolato "Cosa si dice a Newport...", l'editoriale riconosceva chela decisione di Violet di procedere nuovamente contro von Bulow "poteva essere politica, come ritiene l'avvocato difensore Alan Dershowitz, ma", concludeva l'articolo, "Violet non aveva altra scelta". La corte si trovava a dover risolvere un "caso giudiziario reale, avvincente come un telefilm pomeridiano".

La selezione della giuria per il processo era prevista all'inizio dell'aprile del 1985. Venne nominato un nuovo giudice e, secondo gli usi del Rhode Island, vennero prese alcune decisioni in modo discutibile. Innanzi tutto la sede del processo venne trasferita da Newport a Providence, anche se nessuna delle due parti l'aveva chiesto. La decisione fu presa direttamente dal presidente della corte superiore - la corte del processo - anche se non era direttamente coinvolto nel caso. La decisione provocò quasi una rivolta tra i ristoratori, gli albergatori e i negozianti di Newport: come se non fosse bastato il fatto che gli australiani avevano vinto l'American's Cup! Adesso anche il secondo grande spettacolo di Newport veniva trasferito, un colpo mortale per il turismo. Un deputato locale presentò anche una petizione, ma senza successo. Gli addetti ai lavori dissero che lo scopo del presidente era di sostituire il giudice originariamente assegnato all'appello, Alberto DeRobbio, un sorridente signore vecchia maniera di Newport con una reputazione di severità, efficienza e correttezza. Alcuni osservatori ritenevano che il giudice DeRobbio fosse stato troppo favorevole alla difesa. Ci aveva concesso quasi tutto quello che gli avevamo richiesto a proposito degli appunti di Kuh e mi aveva dato ampie possibilità nel controinterrogatorio di Kuh. La conseguenza di questo trasferimento fu di lasciare il ragionevole e gentile giudice DeRobbio a vedersela con skipper ubriachi, mentre il fulcro dell'azione veniva spostato una settantina di chilometri a nord. Al posto del giudice DeRobbio, il presidente nominò Corrine Grande, il cui nome è già significativo. il suo stile di conduzione dei processi era infatti solenne, dignitoso e rispettoso delle parti, e anche se talvolta si scadeva nella pedanteria, era comunque molto stimata. Sembrava meritare la fama di cautela nel valutare cosa portare a conoscenza della giuria. La sera prima che cominciasse la scelta della giuria, il collegio di difesa si riunì a Providence. Chiesi a Claus di organizzare un incontro. La sua risposta rivelò l'esistenza di un problema. "Cosa c'è che non va?" chiesi. "Sheehan non vuole che tu ti presenti per l'inizio del processo", disse con un tono di scusa. "Ancora il Rhode Island Shuffle?" "Bè, sai che tipo è. Uscirà dalla corte se sarai presente." Mi sorprese il fatto che Claus cedesse a questo tipo di pressioni. Dopotutto era merito nostro e non di Sheehan se avevamo vinto il ricorso, se la richiesta di intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti era stata respinta e se erano state trovate le nuove prove. Durante tutta la preparazione del processo, Claus mi aveva pregato di essere presente a Providence tutte le volte che mi fosse stato possibile. Lunedì non avevo cori e quindi mi sembrava naturale essere presente all'apertura del processo per incontrare il giudice ed entrare a far parte del collegio difensivo. Claus mi disse che anche questa volta Sheehan aveva dato la colpa al giudice. "Non vuole che il primo giorno di udienza sia occasione di spettacolo e, se Alan è presente, pensa che attirerà la stampa." La scusa era evidentemente assurda. Centinaia di giornalisti e di troupes televisive erano calate su Providence per vedere Claus von Bulow, che dopo il primo processo si era tenuto lontano dagli sguardi del pubblico. Nessuno avrebbe notato la mia presenza, anzi, forse quella che sarebbe stata notata sarebbe stata proprio la mia assenza. la stampa mi aveva definito "la mente legale", "il condottiero", "la spina dorsale" della difesa, "l'arma segreta della nuova difesa di Claus", l'avvocato che "avrebbe diretto la difesa di von Bulow dal suo studio di Harvard" e perfino "la persona più importante nella vita di von Bulow". Tutto lasciava pensare che io sarei stato presente all'apertura del dibattimento. Claus era però terrorizzato all'idea di perdere qualsiasi appiglio Sheehan potesse fornirgli. Si diceva che il giudice Grande avesse simpatia per Sheehan, erano stati amici per decenni. "Non posso assolutamente correre il rischio di inimicarmi i locali, tanto meno ora." Decisi di non creare problemi. Dopotutto il mio interesse per la nomina della giuria era minimo. Il mio unico scopo era di esser presente per vedere l'inizio e per cogliere delle impressioni. Potevo aspettare un altro momento.(Non appena l'udienza finì, ricevetti quattro telefonate di giornalisti che mi chiedevano perché mai non ero stato presente in aula.) A questo punto di manifestò il mio primo dissenso con Tom Puccio sulla strategia da seguire. Puccio e Claus erano assolutamente contrari all'isolamento della giuria. Non so perché, erano convinti che una giuria isolata - relegati in un albergo poco confortevole lontano da amici e conoscenti - avrebbe nutrito risentimento contro l'imputato. Tom disse di aver parlato con molti difensori esperti e che tutti si erano espressi contro l'isolamento. L'argomento di Tom - che la maggior parte delle giurie tenute in isolamento condanna gli imputati - conteneva del vero, ma era vero anche che la maggio parte di quelle non isolate faceva lo stesso. La maggior parte delle giurie condanna la maggior parte degli imputati, e ha ottime ragioni per farlo: sono colpevoli. Se anche fosse stato vero che il tasso di condanne espresso da giurie in isolamento era più elevato, questo rifletteva probabilmente il fatto che l'isolamento è un provvedimento che viene in genere adottato in caso di imputati particolarmente famigerati: membri del crimine organizzato, autori di stragi e di delitti sessuali. Non c'è da stupirsi se questo tipo di imputati è condannato più di frequente, indipendentemente dal fatto che la giuria sia isolata o meno. Io ero invece convinto che una giuria isolata fosse la migliore soluzione nel caso von Bulow. Su di lui circolavano molte storie sgradevoli e non vere, che non sarebbero mai state ammesse in aula, ma che sarebbero state entusiasticamente propagate dalla stampa. Inoltre vi era la questione della sceneggiata di Marriott. Marriott - che a questo punto nessuno intendeva più chiamare come testimone perché totalmente screditato - stava cercando disperatamente di ritagliarsi di nuovo uno spazio nella vicenda. Convocava conferenze stampa, telefonava ai giornali, faceva ascoltare le sue registrazioni a chiunque (Un ulteriore mistero riguardo a Marriott fu il pestaggio che subì durante il processo, rimediandoci il naso rotto e un occhio nero.). Anche se per quanto ne sapevo Claus non aveva fatto nulla di errato, era assolutamente impossibile prevedere quello che Marriott avrebbe detto e come avrebbero reagito i giurati. Semplicemente non riuscivo a capire perché stessimo opponendoci all'isolamento. Fortunatamente perdemmo. Quando sentii che il giudice Grande aveva deciso di sua iniziativa per l'isolamento della giuria, fui entusiasta. "Qualche volta bisogna perdere per vincere", commentò mio figlio Elon. Dopo doversi giorni di discussioni venne infine estratta una giuria di dieci donne e quattro uomini. solo dodici avrebbero alla fine deciso il destino di von Bulow , ma tutti e quattordici avrebbero ascoltato l'intero dibattimento e i due soprannumero sarebbero stati esclusi solo prima della sentenza. L'appello ebbe così inizio il 25 aprile 1985, martedì. 15. UN'ACCUSA A SCELTA MULTIPLA I testimoni per l'accusa al secondo processo furono sostanzialmente gli stessi che avevano deposto al primo e le loro deposizioni furono simili; il che non deve sorprendere, dato che la difesa disponeva delle trascrizioni delle testimonianze rese durante il primo processo e avrebbe potuto ricorrervi per controinterrogare se ci fossero state delle discrepanze. Evitare queste discrepanze era quindi assolutamente necessario. Qualche dettaglio poteva essere aggiunto o eliminato, ma la sostanza rimase la stessa. I controinterrogatori furono invece piuttosto diversi, grazie al materiale che avevamo raccolto durante il ricorso. La prima teste a carico del secondo processo fu la star del primo, Maria Schrallhammer. "Bisogna attaccare col proprio testimone principale", disse una volta un procuratore. La sua deposizione fu una fotocopia di quella precedente. La voce rotta, le lacrime agli occhi, ripeté agli attenti giurati come avesse tentato di convincere il signor von Bulow a chiamare il medico mentre la sua padrona scivolava lentamente nel coma. Riferì la sua scoperta della borsa nera con le boccette e con le prescrizioni avvenuta in febbraio. Marc DeSisto, il trentanovenne procuratore che aveva sostituito Famiglietti quando questi si era dedicato alla libera professione, cominciò col chiederle della sua scoperta della borsa nera la domenica dopo il giorno del ringraziamento; l'occasione nella quale, secondo quanto aveva detto al primo processo, aveva trovato l'insulina con gli aghi, Aspettammo ansiosamente le sue risposte, curiosi di vedere se avrebbe modificato la sua versione per renderla compatibile con quanto rivelato dagli appunti di Kuh. DeSisto le domandò cosa avesse trovato quel giorno. Rispose: Dunque, vidi ancora le boccette nella borsa... Vi era anche un'altra boccetta che presi e osservai.

DeSisto le chiese se sulla boccetta vi era un'etichetta. Era la domanda decisiva, dato che nell'incontro con Richard Kuh sei settimane dopo gli avvenimenti aveva detto che "tutte" le etichette "erano state strappate". SCHRALLHAMMER: Si, c'era. DESISTO: Lei ha letto l'etichetta? SCHRALLHAMMER: Si, l'ho letta. DESISTO: E cosa diceva quest'etichetta? SCHRALLHAMMER: C'era scritto, "insulina".

La deposizione di Maria era quindi in netto contrasto con gli appunti di Kuh. Ci chiedemmo quale fosse la strategia dell'accusa. Come pensavano che Maria avrebbe potuto reggere al controinterrogatorio basato su questi appunti? per Saperlo avremmo dovuto aspettare il controinterrogatorio di Tom. Nel frattempo, quasi sfidando gli appunti, Maria aggiunse: "E c'era anche una siringa". Naturalmente durante la sua prima conversazione, Maria non aveva affatto parlato a Kuh della siringa. Maria arrivò quindi all'ormai famoso:"Insulina, per farne che?", affermando che aveva mostrato la fiala ad Alex dicendogli quella frase. I giornalisti notarono che, mentre durante il primo processo la frase venne pronunciata con un tono di sincero stupore, ora Maria la disse in tono "piatto". Questo piccolo cambiamento suggerì come Maria intendesse far fronte al controinterrogatorio di Tom. Maria concluse la sua deposizione raccontando gli avvenimenti che portarono al secondo e definitivo coma. Fu cuna replica eccellente, ma Maria non aveva ancora terminato di rispondere alle domande. Il suo controinterrogatorio cominciò lunedì dopo la pausa per il week-end. Dopo qualche domanda preliminare, Tom arrivò al sodo:"La prima volta che parlo col signor Kuh, lei non gli disse nulla riguardo all'insulina, non è vero?" Improvvisamente, per la prima volta, Maria parve in difficoltà: "Piò essere. Può essere, dato che allora di insulina non ne sapevo molto": Questa era la sua spiegazione per non aver detto nulla sull'insulina e sulle siringhe durante quella prima conversazione. Quello che voleva dire era che quella scoperta non aveva avuto allora per lei un particolare significato, poiché non sapeva che l'insulina poteva essere stata l'arma del delitto. "Non ero consapevole del pericolo", spiegò. Era chiaro il perché del suo piccolo cambiamento di tono tra il primo e il secondo processo. Nella prima deposizione aveva sottolineato la scoperta ostentando e sorpresa. Al secondo processo - comprendendo che avrebbe dovuto rendere conto del suo silenzio durante il primo incontro con Kuh - preferì non mettere in risalto la sua scoperta, parlandone in tono dimesso, come se si trattasse di una qualunque altro oggetto trovato nella borsa. Maria ammise anche di non aver menzionato aghi e siringhe, malgrado la loro ovvia importanza per eventuali attività criminali. Quando poi le venne chiesto della sua affermazione secondo la quale le etichette erano state "strappate via", Maria si confuse:"Si, è possibile che le etichette fossero state strappate, perché in realtà le avevo viste prima". Notammo tutti che Maria sfruttò durante entrambi i processi la sua presunta "difficoltà" con l'inglese per togliersi d'imbarazzo. quando invece voleva farsi capire, riusciva ad esprimersi con precisione teutonica anche in inglese, mentre quando era messa alle strette, ricorreva a frasi goffe e sgrammaticate per evitare di dare risposte chiare. Come osservò un avvocato, "quando le cose di mettevano male, l'inglese di Maria cominciava a zoppicare": Mentre ero seduto ad ascoltare Tom Puccio che controinterrogava Maria Schrallhammer, provavo una sensazione di orgoglio misto a frustrazione. Ero fiero del lavoro che la mia squadra aveva svolto nel procurarsi gli appunti di Kuh e nell'attirare l'attenzione sulla loro importanza fin dall'inizio del caso. Ero però deluso da come Tom li stava usando. Claus descrisse questa situazione come un commediografo che stava guardando un buon attore che interpretava una parte non proprio secondo le sue indicazioni. Ogni avvocato ha il suo sistema per controinterrogare un testimone che si suppone stia mentendo. Il mio sistema è battere e ribattere sulle discrepanze emerse e di attirare su di esse l'attenzione della giuria sull'impossibilità che esse siano casuali. Tom agiva diversamente; una volta evidenziata la discrepanza, passava a un altro argomento. Ebbi la sensazione che si stesse lasciando sfuggire Maria, che non la mettesse abbastanza alle strette sui motivi per i quali - se effettivamente aveva trovato l'insulina e le siringhe - non aveva avvertito la sua padrona, il medico di Sunny, il dottor Stock, o la madre, o non ne aveva parlato subito con Kuh. La sua scusa - non ne aveva subito compreso l'importanza - mi sembrava debole, ma non sapevo che impressione avesse fatto sulla giuria. Prima del controinterrogatorio Tom e io avevamo discusso della sua strategia. "Io non credo che qualche discrepanza con quanto detto in precedenza impressioni molto la giuria." I procuratori tendono in genere a sorvolare su queste contraddizioni perché i loro testimoni hanno già deposto davanti al gand jury o davanti alla polizia. Le contraddizioni sono in genere di poco conto, ma gli avvocati difensori, che non hanno molto altro su cui appoggiarsi, sfruttano ogni insignificante dettaglio grammaticale. Ovviamente questa tattica ha raramente successo. Ma in questo caso non si trattava di piccoli dettagli. Quando Maria ebbe lasciato il banco dei testimoni, provai l'impressione che non avessimo sfruttato fino in fondo quello che avevamo in mano. I commenti della stampa del giorno dopo confermarono i miei peggiori timori:"Maria, la governante di ferro, regge alla pressione", "La difesa incapace di demolire la testimonianza della governante". Negli articoli si affermava che "Puccio, grazie agli appunti di Kuh è stato costretto a rivelare, ha fatto registrare alcuni importanti punti a suo favore. Il fatto che la difesa non fosse stata messa a conoscenza del contenuto di questi appunti, è stata una delle ragioni per cui la Corte Suprema ha annullato la prima sentenza". (In un processo che si svolge sotto i riflettori, i cronisti hanno l'abitudine di discutere tra loro delle loro sensazioni. Le opinioni della stampa sono quindi il risultato di un'elaborazione collettiva, e raramente coincidono con quanto pensano i giurati. Sarebbe interessante che un giornale o una rete televisiva formino una finta giuria con tre o quattro cittadini comuni che ascolti solo quello che la vera giuria è autorizzata ad ascoltare e che riferisca ai giornalisti la sua impressione alla fine della giornata.) Avendo ascoltato il suo controinterrogatorio, peno che effettivamente Tom abbia ottenuto buoni risultati nell'attaccare la deposizione di Maria su quanto aveva trovato nella borsa nera, ma penso anche che non abbia ottenuto molto su altri punti. Quando lasciai l'aula, mio figlio Elon definì la deposizione di Maria una "maid-up story", una montatura. (Gioco di parole tra "maid", governante, e "maid-up", truccata, contraffatta.) A mio avviso, il controinterrogatorio di Maria non era stato un inizio di buon auspicio per la nostra causa. La tattica di Tom nei controinterrogatori i preoccupava e scrissi in proposito a claus. Ma non c'è molto che un allenatore possa fare quando i suoi ragazzi sono in campo. Sperai solo che Tom sarebbe stato più aggressivo col prossimo testimone, il principe Alexander von Auersperg. Alex, come Maria, ripeté quanto aveva detto al primo processo: come Maria l'avesse chiamato per mostrargli la fiala di insulina e le siringhe che aveva trovato nella borsa il giorno dopo il Ringraziamento; la sua perquisizione nell'armadio di Claus dopo il secondo coma di sua madre; e la scoperta dell'ago con le tracce di insulina. Come nel caso di Maria, il suo controinterrogatorio fu completamente diverso. tenendo gli appunti di Kuh in una mano, Puccio indicò Alex con l'altra e gli chiese dei suoi incontri con Richard Kuh che non erano mai stati portati a conoscenza della prima giuria. si concentrò su un incontro che aveva avuto luogo quattro giorni dopo che Alex e l'investigatore avevano fatto la loro perquisizione a Clarendon Court e avevano trovato la borsa con l'ago incrostato di insulina. Presenti incontro erano Alex, sua sorella Ala, la madre di Sunny, il banchiere di fiducia della famiglia, Morris Gurley, e Richard Kuh. Puccio chiese ad Alexander se "uno degli argomenti discussi durante quella riunione fu l'eventualità di dare a claus del denaro perché rinunciasse ai suoi diritti sull'eredità di vostra madre. Non è così?" Messo di fronte alle inequivocabili testimonianze rappresentate dagli appunti di Kuh, Alex non poteva che ammettere quello che la giuria aveva sentito:"Si, è così". Puccio preseguì:"L'idea di pagare il patrigno per sbarazzarsi di lui vi venne dopo la vostra perquisizione a Clarendon Court e dopo che trovaste tutti i vari oggetti [e li metteste nella borsa nera] non è vero?" Certo che era vero. Gli appunti di Kuh non lasciavano dubbi sulla cronologia degli avvenimenti. "Credo di si", ammise Alex. Gli appunti di Kuh dimostravano che solo poche settimane dopo aver saputo che il coma di Sunny era irreversibile e solo pochi giorni dopo aver trovato la borsa nera e l'insulina, la famiglia stava discutendo concretamente la possibilità di "comprare" l'uomo che essi stessi sospettavano di aver tentato di uccidere la loro amata Sunny. Gli appunti di Kuh rivelarono altri particolari delle questioni finanziarie. Citando ancora gli appunti, Puccio chiese ad Alex chiarimenti sul colloquio che aveva avuto con Kuh a proposito del testamento di sua madre pochi giorni dopo che questa era entrata in coma. Dopo una lunga pausa, Alexander rispose:"Non mi ricordo con precisione di questo colloquio". Puccio gli chiese quindi di Clarendon Court, la favolosa proprietà di famiglia:"Non è forse vero che durante il suo rimo incontro con Kuh, all'inizio del 1981, lei parlò di... Clarendon Court?" Ancora una volta Alex non ricordava:"Non so se fu durante quell'incontro". In una situazione come questa gli appunti rivelavano tutto il loro valore. E'comprensibile che un testimone non ricordi con precisione avvenimenti e discussioni che avevano avuto luogo più di quattro anni prima. E'soprattutto improbabile che ricordi esattamente la cronologia precisa e le parole. Ma appunti presi al momento non mentono e non dimenticano nulla. Tom si avvicinò quindi con gli appunti in mano, li mise davanti ad Alex, gli indico alcuni passi e chiese :"Dopo aver letto queste righe, le è tornato in mente che durante un incontro all'inizio di gennaio del 1981 con sua sorella e il signor Kuh ha discusso del testamento di sua madre?" Messo di fronte alle sue stese parole, trascritte dal suo stesso avvocato, Alex non poteva che rispondere:"Si, mi ricordo". Puccio rinfrescò la memoria di Alex a proposito di Clarendon Court ricorrendo ancora agli appunti di Kuh. "Non ricordo esattamente l'incontro, ma se gli appunti affermano questo, può darsi che le cose siano andate così", riconobbe Alex. Il resto fu facile. Tom portò Alex ad ammettere di aver detto a Kuh - come riportavano gli appunti - che non voleva perdere Clarendon Court " a nessun costo". In ultimo Tom costrinse Alex a fare qualche pericolosa ammissione sulle circostanze del ritrovamento dell'insulina e sulla perquisizione. Alex riconobbe che aveva solo un vago ricordo di quello che Maria gli aveva mostrato:"Mi disse qualcosa". Non ricordava le sue parole, e aveva solo "vaghi" ricordi. La testimonianza di Maria sull'insulina era quindi confermata solo da vagli ricordi vecchi di quattro anni e contraddetta invece da annotazioni prese al momento. Tom riuscì anche a dimostrare che Alex aveva gettato via alcuni dei farmaci che aveva trovato durante la sua ricerca a clarendon Court (Gli avvocati di Alex affermano che gettò via solo farmaci poco importanti, some dell'aspirina. Ovviamente, però, nel contesto di questo caso, nessun farmaco, per quanto "innocente", può essere considerato irrilevante.). L'investigatore privato che aveva effettuato la perquisizione ammise al secondo processo di non sapere con precisione cosa fosse stato trovato all'esterno e cosa fosse stato trovato all'interno della borsa nera, un elemento su cui noi avevamo già richiamato l'attenzione durante il ricorso. a un certo punto ammise quasi che l'Inderal con la prescrizione a nome di Sunny era stato trovato nella borsa nera, ma poi disse che non poteva esserne sicuro perché al momento non aveva steso alcun inventario. Gli appunti di Kuh, con la loro versione dei fatti mai udita prima, erano ormai diventati i protagonisti del nuovo processo. I titoli de giornali del giorno dopo dimostrarono l'importanza degli appunti:"La famiglia voleva eliminare Claus dal testamento", "I parenti volevano diseredare Claus", Von Auersperg ammette il suo interesse per Clarendon Court". L'attenzione si stava spostando dal comportamento di Claus a quello dei suoi accusatori. Richard Kuh, ormai al di fuori del caso ma che era pur sempre osservatore interessato, commentò, sulla difensiva, che il piano della famiglia non costituiva propriamente "un ricatto" perché "non ci fu mai nessuna discussione al proposito con Claus". Tutte queste nuove rivelazioni erano state sollevate dagli appunti di Kuh, e giustamente la stampa ne sottolineò l'importanza: La difesa è venuta a sapere di queste riunioni di famiglia grazie agli appunti manoscritti dell'avvocato newyorchese della famiglia, Richard Kuh, che svolse quella che la difesa ha definito un'inchiesta privata". L'avvocato Alan Dershowitz, che ha diretto il ricorso von Bulow, ha affermato che gli appunti "faranno saltare in aria la tesi dell'accusa". Ieri abbiamo sentito le prime esplosioni.

Anche l'austero "New York Times" definì il controinterrogatorio basato sugli appunti di Kuh "una bomba... che sembra aver spostato l'accusa di venalità dall'imputato alla famiglia". Dopo la fine della deposizione di Alexander, molti giornalisti mi chiesero perché non gli fosse stata posta alcuna domanda circa le accuse di Marriott. Anche se avessimo deciso di non chiamare David Marriott a deporre, avremmo sempre potuto utilizzare le sue informazioni per chiedere qualcosa ad Alex circa la droga. La legge richiede però che un avvocato sia "in buona fede" prima di porre domande a un testimone. Questa norma è importante e ha lo scopo di impedire a un procuratore o a un avvocato difensore irresponsabile di fare insinuazioni immotivate che possano influenzare la giuria. Senza questa norma molto opportuna, un avvocato potrebbe fare domande del tipo "Quando ha smesso di picchiare sua moglie?" Ad esempio, se un procuratore dall'aspetto rispettabile chiede a un imputato o a un testimone della difesa dall'aria losca se sia mai stato condannato per spergiuro, anche una sua risposta negativa lascerebbe pensare ad alcuni giurati che qualcosa di vero sotto deve esserci. La norma non richiede che l'avvocato che controinterroga dia prove delle affermazioni implicite nella sua domanda, ma solo che queste domande sino fatte in buona fede, concetto non facile da definire. Crediamo, comunque, di aver superato la prova, malgrado la ritrattazione da parte di Marriott del suo affidavit; in fondo padre Magaldi insisteva nella sua versione dei fatti. L'avvocato di Alex aveva inoltrato un affidavit che lasciava intendere che il suo cliente avrebbe potuto rifiutarsi di rispondere a domande che potevano portare a una sua autoincriminazione se fosse stato interrogato sulla base della accuse, "totalmente false", di Marriott. Il patrigno di Alex, Claus, il quale era ovviamente parte in causa, aveva detto fin dall'inizio ai suoi avvocati, ancora prima che saltasse fuori la storia di Marriott, che il suo figliastro faceva saltuariamente uso di marijuana e di cocaina, e aveva dato anche alcuni elementi di prova. Valutammo a lungo i pro e i contro dell'aprire questo vespaio. Alla fine fu il giudice a decidere per noi, stabilendo che il fatto che Claus fosse stato visto usare siringhe a Majorca nel 1969 non poteva essere portato di fronte alla giuria. Si trovò quindi in disaccordo con quanto aveva deciso il giudice Needham durante il primo processo. Secondo il giudice Grande, questo episodio, che risaliva a più di dieci anni prima, era "troppo remoto" per essere significativo da un punto di vista processuale e più fuorviante che probatorio. Se avessimo controinterrogato Alex sul suo supposto uso di droga, avremmo perso i frutti di questo nostro successo. Il giudice infatti avrebbe ritenuto che a questo punto anche il vecchio episodio di Claus poteva essere portato a conoscenza dei giurati. Inoltre, una domanda così accusatoria poteva rivelarsi controproducente e suscitare simpatia nei confronti di Alex, soprattutto per il fatto che non disponevano di alcun riscontro alle informazioni che ci aveva dato Marriott, e a questo punto Marriott era completamente screditato. Infine, vi era anche la possibilità, per quanto remota, che facendo ad Alex domande basate sulle affermazioni di Marriott, l'accusa decidesse di chiamare Marriott a deporre. Era un rischio piuttosto modesto, dato che nessuna delle due parti voleva compromettersi con un personaggio come Marriott e con la sua storia contraddittoria, ma non volevamo che l'attenzione della giuria fosse distratta da una vicenda secondaria come quella di Marriott e allontanata dalle questioni veramente importanti. Tutto sommato, non avevamo alcun vantaggio a porre ad Alexander domande sul suo supposto uso di droga. Il giudice aveva impedito che si parlasse in aula della familiarità di Claus con le siringhe, e quindi noi non avevamo alcunché da confutare. Alex poté quindi terminare la sua deposizione senza doversi appellare al quinto emendamento o rispondere ad alcuna domanda su questioni di droga. La farsa di Marriott era ormai diventata u fastidioso dettaglio senza alcuna rilevanza processuale. La parte "melodrammatica" del processo era per due terzi completata. L'unico testimone che doveva ancora dare il suo contributo al quadro - prima di passare all'aspetto più propriamente medico - era l'attrice Alexandra Isles, una star anche nella vita reale. M non si riusciva a trovarla. Il giudice disse al procuratore di cercarla mentre i giurati cominciavano a sentire la sfilata di medici e tecnici di laboratorio che cercavano di persuaderli che i coma di Sunny erano stati provocati da insulina esogena. L'accusa cominciò la parte medica della sua ricostruzione con un fulmina ciel sereno. I suoi primi tre testimoni - medici che avevano avuto in cura Sunny von Bulow al pronto soccorso del Newport Hospital durante il primo coma - cercarono di dimostrare che il corpo di Sunny presentava varie ferite, abrasioni e lacerazioni. L'accusa voleva sostenere che queste erano il risultato di una lotta. Per la prima volta in questa vicenda, che durava ormai da quatto anni, si avanzava l'ipotesi che Claus von Bulow avesse iniettato con la forza alcune sostanze a sua moglie, che tentava di resistere. Durante il primo processo e il ricorso, l'accusa aveva sempre sostenuto che Claus aveva iniettato l'insulina "nascostamente", mentre la moglie era addormentata o in stato di incoscienza. Ma ora si voleva evocate lo spettro di una lotta per la vita e per la morte tra l'accusato alto un metro e novanta e sua moglie, evidentemente molto più debole. Il giudice Grande riassunse così la teoria della lotta quando si trattò di decidere se ammetterla o no in aula: La donna è drogata, almeno in parte, a casa sua, dove dovrebbe essere al sicuro, con un marito del quale fidarsi, che avrebbe dovuto pensare a lei. Improvvisamente si sveglia, nel cuore della notte. Intorno non c'è nessuno. Si sveglia e scopre che suo marito le sta praticando un'iniezione. E lei lotta, lotta per la sua vita. E'durante questa lotta - questo è quanto dice l'accusa - rimane ferita.

Molto drammatico certo, ma si tratta di fantasia o di realtà? L'accusa non sosteneva che le cose fossero andate proprio così, ma che avrebbero potuto andare così. Era quindi l'accusa ad adottare ora una tattica "a scelta multipla": Claus poteva aver iniettato sostanze a sua moglie o "surrettiziamente" o "con la forza". Per quanto ci provasse, l'accusa non era però in grado di fornire alcuna prova della teoria della lotta. In una teatrale dimostrazione avvenuta senza la presenza della giuria, John Sheehan sottopose i medici a una difficile prova. Il medico aveva affermato di poter stabilire "con un ragionevole margine di certezza medica" che i graffi di Sunny "erano stati provocati d una colluttazione", e non in conseguenza di un innocente incidente. Durante l'udienza per stabilire se la giuria dovesse essere portata a conoscenza di questa testimonianza, Sheehan si avvicinò al medico che sedeva al banco dei testimoni, si arrotolò una manica e gli mostrò alcuni graffi che si era fatto durante il week-end. Mostrandogli il braccio, Sheehan gli chiese con tono di sfida se potesse stabilire cosa li aveva provocati:"E'stata una lotta?" Il medico esaminò i graffi e il giudice aspettò la sua risposta. Dopo una lunga pausa rispose:"Mi dispiace, non saprei dirlo". Sheehan insistette:"Dunque, come mi sono fatto questi graffi?" Il dottore rispose:"Non lo so". Sheehan allora sferrò il colpo:"Tuttavia, lei mi sta dicendo che sa come Sunny si è procurata i suoi graffi, non è vero?" Il medico fece rapidamente marcia indietro:"No, non so come se li sia procurati". Fu un ottimo esempio dello stile Perry Mason, e si capisce quindi perché Sheehan abbia tanto successo di fronte alle giurie. In seguito alla superba prestazione di Sheehan, il giudice concluse che il medico "non era in grado di stabilire con una ragionevole certezza le cause delle ferite di cui ha parlato". Il giudice Grande escluse quindi ogni accenno alla teoria della lotta, eliminando "la scelta multipla" dell'accusa sulle modalità del coma di Sunny. Dopo la fine della seduta, alcuni giornalisti chiesero a Sheehan come si fosse fatto quei grafi. Sheehan sorrise e rifiutò ogni commento. Più tardi ammise che quei graffi se li era procurati da solo con un chiodo. "Qualche volta un avvocato deve fare qualcosa di più del semplice dovere per vincere",disse modestamente. Una vittoria dolora che mostrava il meglio del mestiere dell'avvocato di prima linea. Il giudice si era ovviamente preoccupato dell'impatto pregiudiziale che questa e altre testimonianze che aveva scartato avrebbero potuto avere. Oltre alla teoria della lotta, aveva anche impedito all'accusa di descrivere la sanguinosa scena che era seguita all'abuso di aspirina da parte di Sunny. (Qualcosa sulla ferita alla testa di Sunny era comunque stato detto.) L'accusa aveva cercato di insinuare, senza tuttavia dirlo chiaramente, che Claus aveva assalito con un oggetto contundente sua moglie. Tutte le prove andavano però in direzione di un'overdose che Sunny si era procurata da sola e in seguito alla quale era caduta ferendosi. L'unico motivo di accennare al sangue era quindi di suggerire surrettiziamente ai giurati che Claus era in qualche modo responsabile di questo episodio. Dopo aver respinto un'obiezione della difesa relativa alla testimonianza sul sangue, il giudice Grande disse all'accusa durante un incontro riservato che stava cercando di "tenere questo processo insieme con lo spago" e che la sua decisione di respingere l'obiezione della difesa avrebbe potuto essere invalidata in sede di ricorso. quando Claus lo venne a sapere, mi chiamò e mi pregò ardentemente di tenere una lista di tutti i punti sui quali il giudice Grande avrebbe potuto essere contestato in un ricorso. ci augurammo tutti e due ridendo di poter presto stracciare questa lista. Durante l'esposizione delle testimonianze mediche dell'accusa, si verificò un bizzarro episodio che distrasse per un attimo l'attenzione generale. Un frequentatore abituale di entrambi i processi mise sul tavolo della difesa una busta con su scritto "Piano di fuga". All'interno vi era un biglietto da un dollaro, un passaporto stampato a mano e una serie di istruzioni per la fuga e per chiedere asilo ne Salvador nel caso che "qualcosa andasse storto". Lo sceriffo sequestrò il materiale e prese in custodia l'uomo che venne infine rilasciato, ma allontanato dall'aula. Durante tutto il secondo processo comparvero in aula i personaggi più strani: un'attrice che voleva recitare la parte di Sunny in un film sulla vicenda; vari "testimoni" che si offrirono di dire qualunque cosa potesse giovare a claus; e, naturalmente numerose donne che non chiedevano di meglio che diventare le amanti di Claus. Durante le pause per il pranzo, il loquace dottor Gailitis parlava con gli avvocati di entrambe le parti. in una di queste occasioni disse agli avvocati della difesa che prima del primo processo aveva detto "chiaramente" alla pubblica accusa che il primo coma - quello di cui era stato testimone diretto - aveva altre cause oltre all'insulina:"La mia conclusione, come medico che l'ha curata in quel momento, è che in quell'occasione il principale problema medico fosse il soffocamento in conseguenza del vomito e dell'inspirazione di sostanze gastriche". E lo disse in modo molto chiaro ed eloquente:"Non avrei potuto essere più esplicito". L'accusa gli aveva detto tuttavia di non esprimere "spontaneamente" questa sua opinione durante la sua deposizione in occasione del primo processo. La prima giuria non ebbe quindi mai l'occasione di sentire l'opinione di colui che, per essere stato presente direttamente, era il più qualificato a darne una: il medico che era intervenuto in occasione del primo coma e aveva salvato la vita di Sunny. Venne immediatamente convocata una seduta senza la presenza della giuria e il dottor Gailitis fece ulteriori rivelazioni su come era stato "preparato" dall'accusa per il suo ruolo di testimone. Descrisse il suo incontro con i procuratori e col professor William Curran, l'avvocato ingaggiato da Richard Kuh per aiutare la preparazione delle testimonianze mediche a carico, come una "tortura". Famiglietti faceva le domande, Gailitis rispondeva e il professor Curran approvava o meno queste risposte. Gailitis non era al corrente del fatto che Curran fosse stato ingaggiato da Kuh per conto della famiglia, a era sicuro che si trattasse di "una cosa odiosa", una "messinscena" come si fosse trattato di uno "sceneggiato televisivo... le domande che non ottenevano risposte che andavano a genio a Famiglietti non i furono in seguito poste..." Puccio chiese al dottor Gailitis cosa gli disse l'accusa quando lui espresse il suo parere secondo il quale il coma aveva origini diverse dall'insulina. Gli venne risposto che avevano altri "esperti che si occupavano delle questioni tecniche. Tutto ciò che lei deve fare è rispondere alle domande e non fare affermazioni spontanee". In ultimo gli venne chiesto se qualcuno gli disse mai che il suo punto di vista sulle cause del coma sarebbe stato comunicato alla difesa. "Assolutamente no" fu la risposta. Ovviamente le sue tesi, che corroboravano quanto sosteneva la difesa, non vennero mai comunicate al collegio di difesa o alla giuria durante il primo processo. Gli appunti di Kuh non furono quindi l'unico importante elemento a discolpa dell'imputato che non venne rivelato alla giuria che condannò von Bulow. In un procedimento penale, l'accusa ha l'obbligo costituzionale di rivelare ogni particolare che possa scagionare l'imputato. Quest'obbligo è codificato in una serie di norme, tra le quali la più importante è la cosiddetta norma "Brady" che prende il nome dal caso in relazione al quale la Corte Suprema la formulò. La mancata ottemperanza a questa norma può portare all'invalidamento della condanna e a un nuovo processo. Se fossimo stati a conoscenza delle informazioni rivelate ora dal dottor Gailitis, avremmo aggiunto quest'altro punto alla nostra istanza di ricorso. Ma ormai il ricorso era già stato vinto in base ad altri argomenti e noi eravamo nel pieno del nuovo processo. inoltre, adesso, l'informazione l'avevamo, ed era quindi difficile strutturare le esplosive rivelazioni del dottor Gailitis per ottenere vantaggi specifici. Tom Puccio presentò un'istanza ma il giudice Grande la respinse, affermando:"le implicazioni di quanto veniamo a sapere sono gravissime e sollevano interrogativi inquietanti..."; ma proseguì scagionando i procuratori del Rhode Island e la polizia da ogni accusa di condotta scorretta, anche se, secondo molti, la credibilità della procura generale subì un duro colpo. Le rivelazioni del dottor Gailitis mostravano che per assicurare la condanna di Claus von Bulow intendevano spingersi fino al punto di occultare elementi di prova a discarico. Fu una brutta giornata per la pubblica accusa. Herry Gemma, che con Marc DeSisto rappresentava l'accusa, dichiarò che "una nuvola oscura è calata sul caso". Più o meno in questo periodo, Gemma cominciò a discutere della possibilità di venire a patti. claus era sempre disposto a dichiararsi colpevole di negligenza o di omissione di soccorso. Un reato come "mancato ricorso al medico per negligenza", ammesso che un reato simile fosse previsto dalla legislazione del Rhode Island, sarebbe stato accettabile. Non avrebbe però in nessun caso accettato di dichiararsi colpevole di alcun reato che implicasse un suo tentativo volontario di nuocere alla mogie, dato che non aveva mai fatto nulla di simile. Per chiudere questa storia e per evitare il rischio che una nuova giura lo condannasse come già aveva fatto la precedente, era disposto a riconoscere che, effettivamente, guardando le cose a distanza di tempo, forse avrebbe potuto ricorrere con maggiore sollecitudine al medi col durante la crisi di Sunny nel 1979. Alla fine però, Arlene Violet - il procuratore generale neoeletto e senza grande esperienza - rifiutò qualsiasi accordo che non prevedess una pena detentiva per Claus e le trattative si interruppero. Il resto delle testimonianze mediche dell'accusa ricalcò quanto si era sentito al primo processo. Tom seppe usare efficacemente le informazioni mediche che avevamo ottenuto per la richiesta di un nuovo processo per controinterrogare i testimoni. Puccio mise sotto torchio il dottor George Cahill, il più importante testimone per l'accusa, per ben tre ore, sparando domanda su domanda sempre a partire dalle nuove informazioni che avevamo raccolto prima e dopo la nostra richiesta di un nuovo processo. Fahringer aveva interrogato Cahill solo per venti minuti e non era riuscito a scalfire la sua testimonianza. Puccio non riuscì a demolire la deposizione di Cahill, ma la indebolì notevolmente. Puccio riuscì a fargli ammettere che altre concause, oltre all'insulina, potevano essere all'origine del secondo coma. Cahill riconobbe che farmaci come la Solfonylurea - di cui non si era mai parlato al primo processo - potevano aver provocato il coma.

PUCCIO: Dunque, a questo punto, dottore, mi sembra che lei abbia modificato la sua deposizione, dato che non può affermare con ragionevolezza che non sia stata usata la Solfonylurea all'origine del coma. Non è così? CAHILL: Si, è così.

Cahill ammise che "non è possibile essere sicuri al cento per cento", ma che lui lo era al 90 per cento, al che Tom replicò, con il suo tipico fare di Brooklyn, "Questa non una roulette!" A un certo punto il dottor Cahill, esasperato dal fuoco di sbarramento di domande al quale lo sottoponeva Tom sbottò: "Mi spiace, non è facile per continuare a rispondere a domande inutili!". Ma né i giurati né il giudice pensavano che le domande di Tom fossero inutili; e il giudice Grande riprese anche severamente il dottor Cahill per i suoi commenti "assolutamente inappropriati" e "gratuiti", invitando i giurati a non tenerne conto. Alla fine di questo supplizio di tre ore, il dottor Cahill ammise a denti stretti che Puccio l'aveva messo molto più in difficoltà di Fahringer:"Le domande erano molto più insidiose", ma il medico non pensò di essersi smentito. La giuria avrebbe poi tratto le sue conclusioni. L'accusa presentò anche un testimone inedito, il dottor Robert Bradley, un distinto gentiluomo di sessantacinque anni che dirigeva il Joslin Diabetics Center a Boston, un centro all'avanguardia sulle ricerche perla glicemia. Al dottor Bradley venne chiesto di "quantificare" la sua certezza a proposito del fatto che il primo coma fosse stato provocato dall'insulina. Con un'arroganza che solo un medico di Boston può avere, Bradley - che non aveva mai avuto occasione di esaminare la signora von Bulow - dichiarò " al cento per cento". In sostanza stava dando dell'incompetente e dell'incapace a tutto il gruppo di medici che aveva avuto in cura Sunny alla Columbia University nel periodo fra i due coma. Se lui, che non aveva mai visto la paziente, poteva essere sicuro al cento per cento che un'iniezione di insulina aveva provocato il primo coma, allora i medici che l'avevano esaminata e non avevano neanche preso in considerazione l'unica possibile diagnosi dovevano essere degli incapaci. Quando gli venne posta la stesa domanda a proposito del secondo coma, il dottor Bradley modificò un po'la sua risposta:"Novantanove per cento". Quest'episodio mi ha fato venire in mente una storiella su uno studente che in un supermarket di Cambridge si presenta con una dozzina di acquisti a una cassa che espone il cartello"Meno di sei acquisti". Il cassiere, burbero, guarda il ragazzo e ringhia;"Ehi, vieni da Harvard e non sai contare, o vieni dal MIT e non sai leggere?" Il dottor Bradley non capiva niente di calcolo delle probabilità o piuttosto era la medicina che ignorava? Mentre l'accusa stava portando a termine la presentazione dei suoi testimoni, le ipotesi su cosa ne fosse stato di Alexandra Isles, l'ex amante di Claus la cui testimonianza aveva avuto una così grande importanza emotiva al primo processo, si moltiplicarono. si diffuse la voce che avesse lasciato il paese per non dover testimoniare. L'accusa chiese che fosse consentita la lettura in aula della deposizione, sfavorevole alla difesa, che la Isles aveva reso durante il primo processo. La difesa però si oppose, sostenendo che l'accusa non aveva fatto tutto quanto in suo potere per trovare la Isles e portarla a deporre. L'affare era complicato dalla "cavalleresca" rinuncia da parte di Fahringer a controinterrogare Alexandra. Al secondo processo la difesa si proponeva invece di controinterrogarla vivacemente. Il giudice si espresse a favore della difesa, dando all'accusa il lungo week-end del Memorial Day per ritrovare la Isles e portarla in aula. Sospettai un trucco. L'accusa avrebbe evidentemente preferito presentare la trascrizione della prima deposizione resa dalla Isles senza controinterrogatorio, e solo se fosse stata costretta si sarebbe veramente data da fare per ritrovarla. Pensai che anche Alexandra avesse le stese intenzioni. Avrebbe preferito non deporre, se la trascrizione fosse bastata a far condannare Claus, ma se fosse stato necessario sarebbe venuta. Un'altra cinica teoria circolava tra gli osservatori, secondo la quale Alexandra aveva sempre avuto l'intenzione di testimoniare, ma voleva creare della suspense sulla sua comparsa in scena. Una conferma a questa tesi sta forse nel fatto che la signora Isles aveva trascorso varie settimane a Forest Mere, un'esclusiva clinica di bellezza inglese, prima di comparire in aula. In ogni caso la sua entrata non avrebbe potuto essere più teatrale o meglio programmata: un incontro all'aeroporto con gli avvocati del procuratore in maniche di camicia - le telecamere ripresero ogni istante - e poi una corsa su una macchina della polizia verso il migliore albergo di Boston. Alcuni gorilla la sorvegliavano ventiquattro ore al giorno, non si sa bene da quale minaccia, dato che era difficile pensare che Claus facesse irruzione nella sua camera d'albergo armato di siringa d'insulina. Una vera e propria messinscena che però ai media piaceva. Fortunatamente alla giuria questa farsa fu risparmiata e poté ascoltare solo la sua deposizione in aula. Ma anche la deposizione in aula fu sorprendente e costituì una delle poche vere sorprese di questo processo. La Isles arricchì la sua testimonianza precedente con il racconto che segue. DeSisto le chiese di una certa conversazione telefonica che aveva avuto con Claus von Bulow poco dopo il primo coma di Sunny, una conversazione della quale non aveva parlato al primo processo. DESISTO: Cosa disse? ISLES: Dunque, mi raccontò con precisione cosa era successo durante i primo coma della signora von Bulow... Mi disse che avevano litigato a lungo, a proposito del divorzio, e che erano andati avanti a discutere fino a notte fonda. Lei aveva bevuto una grande quantità di eggnog e lui mi ha detto di averle visto ingerire una grande quantità di Seconal. E quindi mi ha detto che il giorno dopo lei si trovava in uno stato di incoscienza e che lui la osservava, sapeva che stava male e continuava a osservarla, per tutto il giorno. La guardava e continuava a osservarla. E alla fine quando era sul punto di morire disse che non poteva sopportarlo e chiamò il dottore che le salvò la vita.

L'accusa fornì così un'ulteriore opzione alla sua "scelta multipla": oltre alla possibilità che Claus avesse somministrato nascostamente o forse a forza dell'insulina a Sunny, vi era anche l'eventualità che avesse assistito passivamente quasi alla morte della moglie dopo che questa aveva ingerito una micidiale miscela di alcool e droghe. Tom non riuscì a incrinare la deposizione della Isles relativamente a questa telefonata, anche se fece in modo che il suo astio verso von Bulow per essere stata ingannata risultasse evidente. A un certo punto le chiese della lettera che gli aveva scritto dopo il primo processo chiedendogli di riprendere la loro relazione: ISLES: Lei è mai stato innamorato? Ne dubito! Ma quando si è innamorati si fanno delle follie. PUCCIO: Forse mia moglie avrebbe qualcosa da dire in proposito.

Su questo scambio di battute, veramente degno di Dark Shadows, il serial televisivo interpretato da Alexandra, si chiuse il controinterrogatorio di Tom. Da un punto di vista emotivo e forse morale, la nuova deposizione di Alexandra era stata un disastro per Claus. "Una bomba dalla bella di von Bulow" titolarono i giornali. L'intera prima pagina del "Post" di New York era occupata da una fotografia della Isles con la frase "quando si è innamorati si fanno delle follie". Ma in realtà la bomba di Alexandra, da un punto di vista strettamente giudiziario, aiutò von Bulow. Dopotutto, Alexandra Isles, una testimone a carico che chiaramente nutriva del risentimento nei confronti di von Bulow, aveva confermato la tesi del difesa secondo la quale il primo coma di Sunny non era stato provocato da un'iniezione di insulina quanto, piuttosto, dall'aver ingerito alcool e barbiturici. Se la giuri avesse creduto ad Alexandra circa il fatto che Claus era rimasto inerte ad assistere quasi alla morte della moglie, allora doveva crederle anche per il resto della sua deposizione. E'immorale, e forse anche criminale, assistere apaticamente alla lenta morte della propria moglie che ha ingerito farmaci, ma è cosa ben diversa dall'aggredirla con un'arma mortale, ed era di questo che Claus era accusato. Il comportamento indegno di un marito verso la moglie in coma o quello canagliesco verso un'amante ingenua non sarebbero bastati a far condannare von Bulow per omicidio. Come Tom dichiarò alla stampa dopo il suo scambio verbale con la Isles "ha provato che è un mascalzone ma non un uxoricida". (Andrea Reynolds smentì subito che Claus fosse un mascalzone:"E'stato assolutamente delizioso verso di me, verso mia figlia e verso i miei cani". D'altra parte Alexandra non era "quella che si dice una donna da marito", dato che "aveva due o tre amanti per volta e quando si tratta di uomini non è il numero a dare sicurezza...". Claus commentò diplomaticamente questo vivace diverbio tra la sua ex e la sua attuale amante facendo notare che se "il combattimento dei galli è fuori legge, non altrettanto si può dire di quello delle galline".) La mozione della difesa perché la trascrizione della deposizione venisse esclusa si era rivelata controproducente quando Alexandra era apparsa, ma la sua apparizione era stata a sua volta controproducente per l'accusa, dato che aveva finito per confermare un'importante tesi della difesa. si potrebbe dire, parafrasando quello che aveva detto mio figlio, che "qualche volta bisogna vincere per perdere e poi vincere ancora". Anche se i giornali avevano titolato "I siluri di Alexandra", dal punto di vista della pubblica accusa sarebbe stato più corretto scrivere "Alexandra silurata". La ricostruzione dell'accusa stava terminando così come era cominciata, con una testimonianza emotiva sull'uomo Claus von Bulow. Strette fra queste le due testimonianze "melodrammatiche" della governante e dell'amante, vi furono quelle di una schiera di medici, specialisti e scienziati. L'accusa tentò anche di aggiungervi la deposizione di Morris Gurley, il banchiere che aveva parlato del possibile movente economico durante il primo processo. Il giudice Grande, però, con una decisione controversa, impedì che la sua deposizione venisse presentata a questo punto, lasciando aperta la possibilità che potesse intervenire successivamente per smentire altre deposizioni. Quando Alexandra Isles seppe che Gurley non avrebbe deposto si dice abbia esclamato:"Non posso credere che non ti lascino parlare. Il motivo non ero io, Morris. Il denaro era il vero motivo. Lui poteva avermi comunque". Il giudice Grande stabilì anche che la famosa lettera scritta da Claus "per mettere le mani avanti" non potesse essere presentata alla giuria. In generale, il giudice Grande era piuttosto severo con le testimonianze ammesse ai suoi processi. Alcuni giudici preferiscono ammettere tutto e lasciare che sia il buon senso della giuria a fare una scelta, altri intervengono più decisamente e apportano tagli considerevoli al materiale processuale. Il giudice Grande apparteneva a questa seconda tendenza. Ne risultò un film con più tagli di quello che era stato visto al primo processo, composto da poche sequenze fondamentali. 16. LA DIFESA: VERO O FALSO? L'accusa aveva finito la presentazione delle sue prove e delle sue testimonianze; era giunto il nostro momento. L nostra linea difensiva era interamente incentrata sulle risultanze medico-legali. Non avremmo quindi tentato di confutare il tentativo dell'accusa di screditare moralmente l'imputato attraverso le testimonianze non mediche. Se, come pensavamo, le nostre testimonianze mediche fossero state sufficientemente solide, allora saremmo riusciti a dimostrare che in realtà non era stato commesso alcun crimine; in termini giuridici non c'era un corpus delicti. E niente crimine significa niente criminale, anche se la giuria avrebbe potuto ritenere che Claus si fosse comportato in modo cinico o disonesto. Ero ansioso di verificare come le nostre testimonianze avrebbero sopportato il passaggio da affidavit scritti a interrogatorio diretto da parte di Tom. Il mio compito - e quello del mio gruppo - era stato quello di raccogliere i dati e, almeno sulla carta, eravamo riusciti a trovare gli esperti più importanti a livello mondiale. Adesso però toccava a Tom riuscire a sfruttare al meglio questi elementi per convincere la giuria. Claus ricorreva sempre alla metafora teatrale: io ero il commediografo e Tom il regista. La capacità di un testimone di essere persuasivo non dipende dai suoi titoli accademici ma soprattutto dal suo atteggiamento, dalla plausibilità di quello che dice e dalla capacità di reggere a un controinterrogatorio. Tom riuscì a gestire le nostre testimonianze mediche in modo magistrale. I capisaldi dell'accusa sulla questione dell'insulina erano sostanzialmente tre: l'alto tasso di insulina nel sangue di Sunny, l'insulina trovata sull'ago, e la diagnosi di alcuni dei più grandi esperti in materia che avevano dichiarato di avere la quasi certezza - e, nel caso del dottor Bradley, la certezza assoluta - che entrambi i coma erano stati provocati dall'insulina. Tutti questi elementi erano stati corroborati dall'affermazione di Maria, confermata da Alex, di aver visto dall'insulina e delle siringhe nella borsa nera solo tre settimane prima del secondo coma di Sunny. Questa testimonianza di Maria era stata attaccata durante il controinterrogatorio grazie agli appunti di Kuh. Gli altri capisaldi sarebbero stati smantellati dalle testimonianze direttamente prodotte dalla difesa. Il nostro primo testimone fu il dottor Leo A. Dal Cortivo, capo dell'ufficio medico- legale della contea di Suffolk, New York. Ci eravamo rivolti al dottor Del Cortivo mentre stavamo mettendo in piedi la nostra richiesta di appello, e il suo affidavit ci era stato di grande aiuto anche per il ricorso. Durante la sua deposizione in aula, l'esperto tossicologo sostenne la tesi della difesa secondo la quale Sunny aveva ingerito "almeno sessantacinque compresse di aspirina" nel giro di mezz'ora solo tre settimane prima del coma definitivo. Grazie anche alla sua esperienza come medico legale, spiegò anche perché, a suo parere, era estremamente improbabile che l'ago trovato nella borsa nera fosse stato usato per iniettare qualcosa a Sunny. Se l'ago fosse stato veramente usato per praticare iniezioni, spiegò alla giuria come già aveva spiegato a noi, ogni residuo sarebbe stato "pulito via" mentre l'ago veniva estratto dalla pelle. Fu divertente assistere alla stessa dimostrazione, questa volta davanti alla giuria, che il mio assistente aveva fatto usando uno spiedo e un po'di salsa. Dopo venne il noto endocrinologo dottor Arthur Rubenstein, preside della facoltà di medicina alla University of Chicago. Il contributo fondamentale di questo eminente specialista fu di mettere in discussione la validità e l'affidabilità dei dati sulla presenza di insulina sui quali aveva fatto tanto affidamento l'accusa durante il primo processo: il livello estremamente alto - 216 - trovato nel sangue di Sunny quando venne ricoverata dopo il secondo coma e le tracce di insulina trovate sull'ago. Questi erano due tra gli elementi più decisivi per l'accusa. Il dottor Rubenstein aveva affermato negli affidavit per la mozione d'appello che questo dato non era scientificamente attendibile e affidabile. Al processo confermò questo suo giudizio, asserendo che era "impossibile stabilire la validità"di un dato senza un esperimento di controllo e in presenza di risultati così contraddittori. "Personalmente non mi fiderei di nessuno di questi valori", disse alla giuria. "Non 'è modo di sapere quale dei tre diversi risultati è quello giusto, e potrebbero anche essere tutti e tre sbagliati." Se un esperto si dichiarava incerto, come poteva una giuria di gente comune condannare alla prigione affidandosi a questo livello 216 di insulina? Durante le indagini per la nostra mozione, avevamo chiesto al dottor Rubestein un parere sull'affidabilità dei risultati di laboratorio che rivelavano la presenza di tracce di insulina sull'ago. Si trattava forse del più importante aspetto scientifico di questo caso. Fu infatti questo ritrovamento a spingere la famiglia ad accusare Claus von Bulow. Dopo essere venuto a conoscenza di questo elemento, il dottor Stock aveva infatti minacciato di avvertire la polizia se non l'avesse fatto Kuh. La presenza dell'insulina sembrava un fatto così assodato che durante il primo processo neanche la difesa si sognò di metterlo in dubbio. Durante le nostre ricerche eravamo però venuti a conoscenza di una tecnica per distinguere i veri dai falsi risultati positivi in un test per l'insulina. A partire da questa tecnica e forte della sua esperienza personale, il dottor Rubestein disse alla giuria che era "impossibile interpretare i risultati delle analisi compiute sull'ago". La cosiddetta "arma del delitto" dell'accusa sembrava quindi caricata a salve. I restanti testimoni a discarico ripeterono le dichiarazioni che avevano reso negli affidavit, e cioè che nessuno dei due coma era stato provocato dall'insulina quanto, piuttosto, da una combinazione di farmaci, alcool, ipotermia e soffocamento. I particolari tecnici erano piuttosto complicati, ma la conclusione fu che esperti egualmente illustri - quelli a favore dell'accusa e quelli a favore della difesa - con argomentazioni logiche egualmente valide erano in disaccordo tra loro sulle cause dei coma. Si era passati dal melodramma alla querelle scientifica, e in questo tipo di scontro, quando il valore degli esperti si equivale, la parte che ha l'onere della prova in genere perde. Per noi era un sollievo vedere la discussione spostarsi dalla descrizione che Maria aveva fatto del comportamento di von Bulow alla sofisticherie tecniche delle analisi di laboratorio.

Mentre la difesa stava concludendo la presentazione dei suoi testimoni, gli osservatori cominciarono a chiedersi se von Bulow avrebbe deposto o no. Claus, dopo la prima condanna, aveva sempre rimpianto di non aver testimoniato direttamente, aveva sempre ripetuto che avrebbe voluto deporre in occasione di un nuovo processo e l'aveva dichiarato anche alla giornalista Barbara Walters durante un'intervista televisiva che aveva suscitato grande clamore. Alla stampa aveva detto di essere convinto "che sia stato u errore non deporre durante il primo processo. I miei avvocati ritenevano che le tesi dell'accusa fossero deboli e che non valesse la pena di replicare. Io non sono stato probabilmente in grado di capire che la mia testimonianza avrebbe potuto essere utile". Una delle ragioni per le quali gli era stato consigliato di non testimoniare in occasione del primo processo non era ormai più valida: se durante il primo processo infatti la difesa era stata tenuta all'oscuro del materiale raccolto da Kuh durante le sue indagini e Richard Kuh era presente in aula e pronto a farne uso per smentire Claus o altri testimoni, ora che eravamo a conoscenza del contenuto degli appunti sapevamo di quali armi poteva disporre l'accusa per il controinterrogatorio. Inoltre, i clienti di Kuh, Alex e Ala, sfidavano pubblicamente Claus a deporre. Avevano già affidato la gestione dei loro rapporti con l'opinione pubblica a una società specializzata in pubbliche relazioni ed erano apparsi in show televisivi come 60 Minutes e su riviste come "People". Un titolo lo pungolava apertamente:"Claus è un bugiardo. I figliastri:'Vedremo se avrà il coraggio di venire a deporre'". Claus desiderava molto deporre in questo secondo processo e anche la sua amica Andrea Reynolds lo incoraggiava. Mi chiamavano continuamente per avere consiglia a proposito di questa decisione essenziale. Quella se chiamare o meno a deporre l'imputato è una delle decisioni più difficili da prendere per un difensore. In The Best Defense ho citato il caso di un avvocato che ha presentato una parcella di 50.000 dollari per un caso penale e si è giustificato dicendo che 5000 erano per il processo e 45.000 per i consigli dati al cliente sulla sua deposizione. Gli avvocati che non conoscono a fondo i lati oscuri della vita dei loro clienti sono in una posizione difficile per prendere una simile decisione, ma questo non impedisce loro di dar consigli. Non conosco nessun avvocato - il sottoscritto compreso - che non pensi, a posteriori, che avrebbe potuto fare meglio di un collega. La stampa chiese a molti avvocati difensori il loro parere sull'argomento. "Se l'imputato è colpevole", disse Melvin Beli, "non fatelo deporre, questa è la regola aurea, ma se è innocente meglio che testimoni." F. Lee Bailey affermò che avrebbe preferito non chiamare a deporre von Bulow, ma ritenne che la compromettente deposizione di Alexandra "avrebbe potuto costringerlo a testimoniare per smentirla". Grant Cooper concordò sul fatto che, a meno che non riuscisse a dare spiegazioni sulla sua conversazione con alexandra, von Bulow "era fritto". William Kunstler, da parte sua, disse che sebbene pensasse che von Bulow poteva apparire "troppo sofisticato per riuscire simpatico", probabilmente l'avrebbe chiamato ala sbarra. Barry Slotnick, l'eccellente avvocato che aveva difeso il giustiziere della metropolitana, Bernhard Goetz, suggerì che "sarebbe meglio andasse a deporre", soprattutto per confutare la sfavorevole testimonianza di Alexandra Isles. "Penso che la giuria debba sentire l'episodio dalla sua viva voce." Molti avvocati avevano poi una loro strategia preferenziale . Un famoso penalista preferiva chiamare sempre i suoi clienti a deporre a meno che non avessero una fedina penale compromessa, un altro preferiva invece non farlo a meno che non avesse l'impressione che la giuria stesse già "annodando il cappio" ancora prima che fosse terminato il processo. Io penso che ogni caso debba essere considerato separatamente, tenendo contro della forza rispettiva delle testi della difesa e dell'accusa. Un altro mito diffuso è che la decisione debba essere "in chiusura", subito dopo l'esposizione dell'accusa o quella della difesa. Io penso che molte di queste decisioni siano prese in realtà all'ultimo momento, anche se può essere un grave errore. La decisione dovrebbe essere presa all'inizio del dibattimento o anche prima del processo. Ogni azione intrapresa dagli avocati dall'inizio deve tener conto dell'eventuale deposizione dell'imputato. se l'imputato decide di testimoniare, rinuncia a molti dei suoi diritti. Le prove raccolte in violazione del quarto emendamento, ad esempio, non possono essere prodotte contro un accusato che non deponga, ma possono esserlo contro chi decida di testimoniare. Stesso discorso per gli elementi raccolti in violazione della cosiddetta norma Miranda. In genere non si possono chiamare in causa precedenti condanne dell'imputato se questi non depone ma, come latri elementi non ammissibili in questo caso, l'accusa può utilizzarli se l'imputato esercita il suo diritto a testimoniare. Così una deposizione può richiamare l'attenzione su cose che il giudice aveva preferito tener fuori dal processo. D'altra parte un imputato che decida di non deporre si espone egualmente a dei rischi. Malgrado la presunzione di innocenza secondo la Costituzione, e i privilegi contro un'autoincriminazione, la maggior parte dei giurati pensa che se un imputato non depone è perché ha qualcosa da nascondere. E in genere ha assolutamente ragione. Il problema, però è cos'ha da nascondere? Spesso è effettivamente colpevole, ma talvolta ciò che cerca di nascondere è qualcosa di egualmente grave ma non rilevante per il processo, come una precedente condanna, una frode in affari, trascorsi sessuali imbarazzanti o qualsiasi altro precedente compromettente. Gli imputati che non depongono, raramente vengono assolti, ma questo perché in assoluto gli imputati raramente vengono assolti. Se è vero che gli imputati che testimoniano vengono assolti in maggior numero, questo avviene perché si tratta di imputati "migliori" degli altri, cioè più presentabili e con minori precedenti penali. Non c'è alcun modo di effettuare un esperimento controllato in cui due imputati facciano scelte opposte al proposito e a parità di condizioni. quindi gli avvocati continuano ad affidarsi alla loro esperienza imperfetta. (Come ha detto qualcuno, vent'anni di esperienza possono anche giustificare lo stesso errore ripetuto per vent'anni.) quando si vince un causa, si ha l'impressione di aver preso la decisione giusta, e se si perde si pensa di aver commesso qualche errore. Non è sempre così. Un avvocato sconfitto che abbia chiamato a deporre il suo cliente può aver realmente rafforzato la sua posizione anche se non abbastanza per ottenere l'assoluzione. Al contrario, un avvocato vincitore può aver commesso un errore, ma non fatale. Anche dopo aver riflettuto a lungo e aver soppesato tutti i fattori, la decisione è sempre aleatoria e i pentimenti del giorno dopo frequenti. Cominciai a pensare a questo problema fin da quando entrai in questo caso. Ne discussi con Claus già nel ristorante Carlyle. La nostra intera strategia portava a utilizzare Claus come testimone a un nuovo processo. Era una strategia corretta nel momento in cui cercavamo di ottenere un nuovo processo, dato che volevamo presentare solo argomenti "da innocente" e si suppose che un innocente voglia parlare per dire la verità e scagionarsi. Un innocente non ha nulla da perdere nel dire di voler deporre. Anche dopo aver vinto il ricorso, Claus insistette nel dire che voleva testimoniare. Tra gli elementi che mi chiese di considerare al momento in cui dovevo aiutarlo a scegliere un nuovo avvocato, vi era che costui non avrebbe dovuto impedirgli di parlare. Edward Bennet Williams in genere faceva deporre i suoi clienti, e disse a Claus che avrebbe dovuto testimoniare al primo processo. Tom Puccio si era guadagnato un'ottima reputazione come procuratore per la sua abilità nel presentare la sua versione e nel preparare i testimoni. Questo andava incontro al desiderio di Claus di essere il principale testimone a discarico di se stesso. Al suo primo incontro con Puccio, Claus disse:"Ascolti, al primo processo non mi hanno fatto deporre e sono stato condannato. Sono sicuro che se non potrò deporre ora verrò ancora condannato". Ma col procedere del nostro processo, diventava sempre più evidente che la nostra linea difensiva verteva essenzialmente sull'aspetto medico. Se Claus non aveva iniettato insulina alla moglie,. allora non aveva particolari informazioni da dare sulle cause del coma. Naturalmente, poteva dire quello che non aveva fatto, poteva confutare la dannosa testimonianza di Alexandra e di Maria e negare di aver messo insulina nella borsa nera o nell'ago. La necessità di un suo intervento su questi punti sarebbe dipesa - questo era il nostro parere - dalla forza della parte emotiva della tesi dell'accusa. In preparazione della sua eventuale testimonianza, chiesi a Claus di raccontarmi l'intera storia della sua vita. la storia che Claus mi raccontò era convincente, rispondeva a molte delle mie insistenti domande ed era coerente. Mi convinsi che, per quanto riguardava la sostanza, Claus sarebbe stato un ottimo testimone, anche se avevo ancora qualche dubbio su come la giuria avrebbe reagito ai suoi modi piuttosto altezzosi. Arrivammo al processo pronti a far testimoniare Claus se fosse stato necessario, ma sempre sperando di non dover essere costretti a incorrere nei rischi di un controinterrogatorio. Quando venne il momento di decidere, claus e Andrea mi chiamavano quotidianamente per chiedere il mio parere. Infine, il week-end prima di prendere la decisione finale, claus mi chiese di venire a Providence per un incontro. "Non vorrebbe fare l'avvocato del diavolo", mi chiese, "e cercare di convincermi a deporre?" Dato che io ero un po'più favorevole di Tom a questa eventualità, accettai. Ma a questo punto avevo già deciso quale sarebbe stato il mio consiglio. Mi recai quindi in macchina a Providence con mio figlio maggiore, Elon, che mi fa da consigliere nei casi più difficili. E'prestigiatore di professione ed è abituato a valutare le reazioni del pubblico. "In fondo, facciamo l o stesso mestiere: con un gioco di prestigio facciamo sembrare le cose diverse da quelle che sono". All'inizio del caso, avevo portato Claus a vedere uno show di Elon al ristorante Legal Seafood. Mentre Elon faceva scomparire monete, fazzoletti di seta e carte da gioco, Claus scherzò a voce alta suscitando l'ilarità dei vicini:"Crede che possa far sparire anche una piccola borsa nera?" Chiesi a Elon un parere su quali avrebbero potuto essere le reazioni del pubblico a una deposizione di Claus e lui mi disse per quali ragioni pensava che Claus sarebbe stato un testimone migliore rimanendo zitto."C'è un certo alone di mistero che lo circonda. Sembra impenetrabile, irraggiungibile. Io credo che abbia fatto una buona impressione sulla giuria semplicemente stando seduto e reagendo. Se depone, il mistero svenisce e la gente ama il mistero. Se non testimonia, conferma tutti i dubbi che circondano il suo caso, sottolinea l'incertezza. se lui testimonia, tutto quello che preceduto la sua testimonianza sarà considerato come un preludio, e chi fa caso ai musicisti che suonano prima dei Rolling Stones? Se vuoi che tutta l'attenzione sia focalizzata su Claus, allora fallo testimoniare, ma se vuoi indirizzare altrove l'attenzione della giuria devi ricorrere ai trucchi e alle illusioni di cui mi servo nei miei giochi. Lascia che la giuria pensi di sapere cosa direbbe von Bulow, ma non farglielo sapere direttamente." Era un eccellente consiglio, ma quella sera io avrei dovuto sostenere la parte dell'avvocato del diavolo, vale a dire la tesi opposta. Quando arrivammo a Providence - Claus, Andrea, la figlia Claus Cosima e mio figlio - andammo tutti a cena. Come gesto di sfida, Claus insistette perché andassimo in uno dei ristoranti compresi nella lista nera di Arlene. Arlene Violet aveva infatti imposto ai suoi collaboratori di non frequentare una seri di ristoranti che si diceva fossero sotto controllo della mafia o frequentati da appartenenti al crimine organizzato. Si diceva che parecchi giudici e pubblici funzionati erano stati visti in questi locali, compreso il presidente del tribunale, allora sotto inchiesta. Non appena la lista venne resa pubblica, divenne una sorta di guida Michelin di Providence e tutti si precipitavano a prenotare. "Quella gente se ne intende di cibo", era il giudizio unanime. L'indice finì quindi per diventare un marchi di garanzia per i ristorante così come "proibito a Boston" lo è per i film pornografici. Fu una cena distesa in un clima familiare e non parlammo molto del caso. Dopo il dessert, comunicai a Claus le mie impressioni sui nastri sui quali Marriott aveva registrato di nascosto le conversazioni con Claus e Andrea Reynolds. Prima del processo Marriott aveva completamente cambiato il suo atteggiamento pubblico. Dopo che claus aveva rifiutato di dargli del denaro per riavere alcune foto che Marriott aveva rubato dall'appartamento di claus - "Claus e Cosima in veste da camera", almeno così diceva, in realtà si trattava di costumi da bagno - Marriott minacciò di vendere la sua storia la miglio offerente. Rifiutammo di partecipare al'asta e Marriott ci disse che aveva offerto le fotografie, i nastri e "un memoriale" a Richard Kuh, agli Aitken, al procuratore del Rhode Island, al settimanale "People", alla trasmissione 60 Minutes e ad altri. Apparentemente l'unico interessato fu il procuratore generale che "pagò" Marriott offrendogli l'immunità in cambio dei nastri, della sua deposizione e della promessa di non tenere conferenze stampa. Il procuratore distrettuale della contea del Middlesex rifiutò comunque di dargli l'immunità per il reato di registrazione abusiva di conversazioni di altre persone senza il loro permesso. Comunque, alla fine Marriott decise di testimoniare per l'accusa. Prima del processo chiedemmo e ottenemmo una copia di tutte le registrazioni della conversazioni che Marriott aveva avuto con Claus. Quando quei nastri arrivarono, mi venne chiesto di ascoltarli: era importantissimo per noi sapere cosa contenevano prima di consigliare o meno a claus di deporre, dato che queste registrazioni potevano essere sfruttate dall'accusa nel controinterrogatorio. Dovevamo essere sicuri che Claus non avesse detto nulla che potesse essere usato contro di lui. Non mi ero annoiato così dal giorno in cui avevo dovuto sorbirmi per un caso sei film pornografici di fila. Ora dopo ora, i nastri scorrevano implacabili e cominciai a odiare il suono della voce di Marriott e claus. Marriott appariva frenetico e tentava di impressionare Claus coi suoi contatti e conoscenze nel mondo della droga. Claus riusciva a essere assolutamente soporifero e si profondeva in storie sulle dinastie europee e le raffinatezze architettoniche e culinarie. Nessuno dei due sembrava capire o far molta attenzione a quanto l'altro diceva. Era un incontro reciprocamente interessato fra due mondi diversi. Ma i nastri erano importanti almeno per una ragione. L'ultima trovata di Marriott era stata di dichiarare, dopo che i suoi ricatti erano stati ripetutamente respinti, che aveva conosciuto Claus già nove anni prima delle sue consegne di droga e che in realtà la droga l'aveva consegnata a claus a Clarendon Court e che era stato Claus ha escogitare tutta la storia della droga consegnata ad Alex e a Sonny. I nastri provavano invece al di là di ogni possibile dubbio che queste affermazioni erano assolutamente false. Se ci fosse stato qualcosa di vero, sarebbe stato facile per Marriott, che sapeva di registrare quello che diceva la sua ignara vittima, fare cenni del tipo:"Claus, ti ricordi quella volta che..." Non solo non vi era cenno di questo tipo in diverse ore di registrazione, ma tutto il contenuto dei nastri, parola per parola, era coerente con quello che diceva Claus e con la storia originale raccontata da Marriott: che loro due si erano conosciuti nell'aprile del 1982 e che Marriott disse di avere le prove di aver consegnato droga ad Alex e Sunny. Inoltre, in altri nastri, Marriott si dimostrò in grado di far dire ad altre persone quello che volva. Marriott registrò anche le conversazioni con padre Magaldi e durante queste conversazioni riuscì apparentemente a fargli ammettere che la prima volta che si incontrarono il sacerdote usava un altro nome.

MARRIOTT: Ti ho conosciuto prima dell'incidente come Paul Marino. MAGALDI: Lo so. MARRIOTT: Non dirò mai che ti ho conosciuto come Paul Marino.

L'"incidente" in questione è un incidente automobilistico ne quale padre Magaldi fu coinvolto nel 1978. I nastri dimostrano apparentemente che Marriott e Magaldi si conobbero in circostanze diverse da quelle riportare negli affidavit, cosa che noi, naturalmente, ignoravamo quando li inoltrammo. Dai nastri non si capiva quale fosse la natura del loro rapporto, ma era evidente che Marriott sapeva far uso dei suoi nastri per strappare agli ignari interlocutori alcune ammissioni. Il fatto che ogni parola registrata, fosse di claus o di Marriott, confermasse la versione di Claus delle circostanze dei loro incontri era una prova decisiva del fatto che le ultime rivelazioni di Marriott alla stampa erano pure menzogne. Questo era un elemento importante da tener presente nel decidere circa la deposizione di claus. Ora sapevamo che non correvamo il rischio di venir smentiti dai nastri di Marriott. Marriott era ormai sempre più in questa vicenda un dettaglio noioso ma irrilevante. Dissi quindi a claus che avevo ascoltato i nastri e che in questi nastri "dava il peggio di sé". Claus mi diede una rapida occhiata preoccupata, come per chiedermi:"Cosa vuoi dire?", ma io aggiunsi subito:"Su questi nastri sei di una noia morale, con questi sproloqui a proposito di castelli , baroni e Bordeaux. In un paio di occasioni li ho usati come sonnifero". Gli chiesi di ricordarmi di "portare un cuscino la prossima volta che avessimo avuto una discussione non di carattere legale". La mia descrizione della conversazione registrata suscitò l'ilarità generale dei commensali, soprattutto di Cosima e Andrea che sapevano esattamente cosa intendevo dire. "Adesso finalmente può rendersi conto di cosa abbiamo dovuto sopportare durante le cene e le lunghe serate a casa", disse Andrea, "quei maledetti castelli sono il suo solo argomento di conversazione." Claus, con un'espressione un po'vergognosa, promise di sospendere le "chiacchiere sui castelli" almeno fino alla conclusione del caso. Dopo la cena si parlò di lavoro. Tom era fermamente contrario alla deposizione di Claus. "Sta''a sentire, questa è una faccenda medica. Non c'è insulina sull'ago, non c'è insulina nel sangue, non c'è insulina nella borsa. Insomma l'insulina non c'entra per niente, I due coma sono stati provocati da farmaci, alcool, dolciumi e vomito. questo è tutto, cosa potrebbe aggiungere claus? E'forse un medico o un esperto di insulina? Spero proprio di no", concluse Tom con un po'di cinismo. Mi ricordai di una volta che avevamo cenato insieme in un pretenzioso ristorante italiano dove il maître dava un titolo a tutti. A me rivolgeva chiamandomi "professore", ad Andrea chiamandola "contessa" e a claus rivolgeva u deferente "dottor von Bulow", al che claus esclamò:"Basta che mi si accusi di aver due iniezioni e sono già dottore!" Quando venne il mio turno sostenni che Tom avrebbe avuto ragione solo se la giuria non si fosse concentrata sulle testimonianze più melodrammatiche:"La mia paura, Tom è che tutto questo ciarpame medico risulti così noioso e complicato che la giuria dica:'Ma noi cosa ne sappiamo di glicemia e livelli di insulina, quello di cui sappiamo qualcosa è l a vita, l'amor e i motivi per i quali gli uomini agiscono'. Se mettono l'accento sull'aspetto 'umano'della vicenda - la governante, l'amante, i figli - ci sono molte domande rimaste senza risposta alle quali solo Claus può dare una giustificazione". Tom mi chiese quali domande. "Va bene, ecco cosa mi chiederei se fossi un giurato: "Primo: perché Claus non ha chiamato prima il medico? Rimase proprio seduto a guardare Sunny morire come ha detto Maria e come ha confermato Alexandra? Cosa pensava in quel momento? Aveva veramente detto ad Alexandra quello che lei aveva riferito a proposito del suo 'non riuscite ad arrivare fino in fondo'? e cosa voleva dire con queste parole? "Secondo: a chi apparteneva alla fin fine la borsa nera? Perché il Valium recava una prescrizione a nome di Leslie Baxter? E cosa diavolo erano tutti quei farmaci. Papavoritum, Lidocaina, Valium di vari colori? Si praticava iniezioni o le praticava a Sunny? O cosa? "Terzo: cosa accadde nella camera da letto appena prima del secondo coma, quando Alex fece sdraiare Sunny sul letto? E Sunny disse qualcosa? "Quarto: Sunny si suicidò? Ha mai saputo cosa ci fosse nei regali che Alexandra Isles aveva consegnato a casa poco prima del secondo coma? Ha mai provato von Bulow a impedire ad Alexandra di testimoniare? "Quinto: cosa c'è veramente dietro la storia di Marriott e padre Magaldi? Credi veramente ala storia di Marriott? Dopotutto Claus conosceva la moglie e il figliastro: ricevevano effettivamente droga da Marriott e da qualcun altro? Crede veramente che il figliastro abbia falsificato delle prove per incastrarlo? Ha mai fatto a Marriott promesse che non ha rivelato ai suoi avvocati?" a un certo punto della mia litania, Tom mi interruppe: "Credevo che tu dovessi fornire ragioni a favore della deposizione di Claus, queste sono ottime ragioni per non farlo deporre. Pensaci: se queste sono le domande che credi si pongano i giurati, non credi che l'accusa le rivolgerà a Claus? Naturalmente il giudice Grande ne escluderà qualcuna, ma chi può sapere quale?" Ribattei che, se avessimo deciso di far deporre claus, avremmo potuto chiedere al giudice Grande una decisione preliminare sulle linee del controinterrogatorio. Alcuni giudici stabiliscono in anticipo quali domande possano essere rivolte direttamente in anticipo quali domande possano essere rivolte direttamente a un imputato dal suo difensore senza che questo implichi il sollevare altre questioni. Ma ormai stava emergendo un certo accordo. Tutti gli avvocati erano dell'opinione che, vista la piega che aveva preso il caso, la giuria si sarebbe riunita a deliberare soprattutto avendo in mente i problemi medici. "Voglio indurli, nella mia arringa finale", disse Tom, "a seguire un certo ordine nelle loro decisioni. Prima domanda: i coma furono provocati da insulina? E solo se decidessero di rispondere affermativamente, allora avrebbero dovuto chiedersi chi ha somministrato quest'insulina. Spero però che non arrivino a farsi questa seconda domanda." Dissi che avrei preferito che la giuria decidesse prima la sola questione dell'insulina e che se avesse deciso che i coma erano stati effettivamente provocati dall'insulina, allora avremo chiamato claus a deporre. "Fantasie", disse Tom, "le cose non funzionano così. Dobbiamo prendere una decisione ora, senza sapere quello che farà o penserà la giuria. E io sono contrario a che Claus deponga". "Sono d'accordo", dissi. Non ci furono dissensi, eccetto un rimpianto da parte di claus, che disse di non avere altra scelta che seguire il consiglio dei suoi avvocati. Andrea Reynolds rispose con uno sguardo astioso che stava a significare che non poteva opporsi all'intero collegio degli avvocati, ma che la sua opinione era che Claus dovesse testimoniare. La decisione era però ormai definitiva, la giuria non avrebbe mai sentito la versione di Claus von Bulow.

Mentre tornavamo a Cambridge, mio figlio Elon mi chiese di Andrea Reynolds. Era assolutamente affascinato da questa donna così dinamica che sembrava avere una grande influenza sulla vita di Claus. Gli dissi quello che sapevo della sua storia e della sua vita attuale. Andrea Reynolds frequentava gli stessi ambienti di Sunny e Claus e aveva conosciuto entrambi durante una vacanza a St. Moritz. Ma divenne l'amica e l'amante di Claus solo dopo il primo processo. Da quel momento Claus e Andrea erano diventati inseparabili, anche se lei diceva che quest'amicizia non aveva a che fare con la loro relazione. "I buoni amici sono terribilmente poco romantici", e per lei l'aspetto romantico era tutto in una relazione. Prima di diventare amanti avevano intrapreso un gioco di seduzione" che manteneva ancora viva questa storia d'amore. "Claus è un romantico, non mi sarei innamorata di lui se non lo fosse stato." E gli stava attorno ventiquattro ore al giorno. Non lo lasciava un minuto. "Ha bisogno di un testimone che possa rendere conto di ogni sua mossa", diceva. Rispondeva al telefono, partecipava agli incontri, lo aiutava a prendere le decisioni, anzi, alcuni dicono che le prendeva lei. "Sono come il suo cagnolino, faccio tutto quello che mi dice", diceva Claus, e Andrea aveva aggiunto:"Claus odia le discussioni, e io no". Era stata lei a insistere perché per il secondo processo Claus rendesse più simpatica la sua immagine, affermando che durante il primo processo sembrava "un impresario delle pompe funebri che avesse ingoiato un ombrello". Era stata lei a curare i contatti con David Marriott e padre Magaldi, e a proposito di Marriott ora diceva:"Non parlatemi di lui dopo mangiato". E a proposito della pretesa di David di essere stato "in rapporti stretti, molto stretti con Claus" affermava che era "un'oscenità". E Andrea sapeva quel che diceva dato che aveva partecipato quasi a ogni incontro tra Marriott e Claus. claus non aveva per lei abbastanza elogi:"Questa specie di ussaro ha saputo spronare ciascuno di noi, spesso fino all'esaurimento, a un attivismo frenetico". Era stata Andrea a prendere la decisione definitiva di ingaggiare Tom Puccio, "lo scelsi perché era l'esatto contrario di Claus", spiegò. "Claus è un gentiluomo per nascita e per indole, mentre Tom è un elefante in una cristalleria." (Claus disse che lui era stato d'accordo perché "se un imputato è convinto della sua innocenza e crede di essere stato incastrato, è giusto che ingaggi un procuratore per stanare il colpevole".) Durante il secondo processo Andrea rimpianse spesso la decisione di ingaggiare Tom. "I giurati si allontanano quando si avvicina a loro... sta distruggendo la nostra tesi", aveva detto soprattutto dopo che era stata presa la decisione di non far testimoniare Claus. Andrea insisteva:"Claus deve poter raccontare la sua versione" e dopo che Claus, sebbene a malincuore ebbe accettato la posizione dei suoi avvocati, Andrea dichiarò:"Va bene, se non lo farà lui, lo farò io, qualcuno deve farlo". Andrea era furiosa con Puccio anche perché questi non aveva dimostrato abbastanza energia nel suo controinterrogatorio di Maria e Alexandra. Molti osservatori del processo si domandavano chi fosse questa misteriosa donna che trascorreva i suoi giorni nel furgoncino del Cable News Network, non perdendosi un minuto del processo, e le sue notti a consiglio e confortare Claus. Anche se non apparve mai in aula fino all'annuncio del verdetto, tutta la stampa la considerava "la vera star dell'appello". Andrea Milos era nata a Budapest, in Ungheria, nel 1937, alla vigilia della seconda guerra mondiale. quando i russi entrarono in Ungheria, suo padre, banchiere e scacchista di fama internazionale, venne messo agli arresti domiciliari. Dopo la guerra i suoi genitori divorziarono e la giovane Andrea si trasferì a Ginevra con la madre. Da adulta però Andrea avrebbe seguito il padre nella sua passione per la finanza e gli scacchi. Sapeva calcolare ogni mossa senza perdere di vista l'obiettivo finale. Dopo la scuola superiore, sposò un banchiere italiano ma divorziò subito dopo per incontrare e sposare quello che sarebbe stato il padre della sua unica figlia, Caroline. Il suo matrimonio durato tredici anni con Pierre Frottier fu circondato dal fasto e dal lusso, scandito da feste sontuose e da uno stile di vita stravagante. Quando anche questo matrimonio giunse alla fine, Andrea sposò subito dopo un produttore televisivo americano, Sheldon Reynolds, del quale portava ancora il nome. Al momento del processo stavano divorziando. Andrea, diversamente da Alexandra Isles, non aveva posto Claus di fronte ad alcun ultimatum a proposito del matrimonio. Come disse sua figlia Caroline, già madre:"Non penso che il matrimonio come istituzione abbia per lei molta importanza". Andrea non voleva che Claus divorziasse da Sunny:"Divorziare da qualcuno che si trova in coma è orribile". Anche se sua figlia affermava che era "molto religiosa" e andava a messa regolarmente - era cattolica -, Andrea viveva apertamente con Claus dividendo l'appartamento al 960 di Fifth Avenue, che aveva risistemato quando vi si era trasferita. Andrea e Claus frequentano insieme l'opera e condividono la stessa passione per i bei cani e per i vini costosi. Entrambi parlano diverse lingue e spesso durante la vicenda comunicavano fra loro in una lingua incomprensibile. (Quando cominciavano a parlare lingue esotiche, mi ricordavo di mia nonna che, quando non voleva che noi capissimo, cominciava a parlare in un miscuglio di yiddish e polacco.) Quando veniva chiesto ai suoi amici perché questa donna affascinante fosse attratta da un uomo che aveva davanti a sé la prospettiva del carcere a vita, questi rispondevano che Andrea aveva una profonda vocazione da infermiera e che amava "prendersi cura" di chi ne aveva bisogno. Tra il 1978 e il 1980, Andrea e suo marito Sheldon vissero a Varsavia, in Polonia, dove stavano producendo una serie di telefilm su Sherlock Holmes per la televisione polacca. Questi due anni sembra abbiano avuto un profondo effetto sul modo di vedere la giustizia e la legge di Andrea. Verso la fine del loro soggiorno, Andrea venne infatti arrestata dalla polizia sotto l'accusa di corruzione. Dice di aver trascorso due notti da incubo in una prigione comunista e di essere stata picchiata, messa sotto il getto di una doccia bollente e trattata indegnamente finché suo marito non spedì 30.000 dollari da Londra, via telex al funzionario incaricato dell'accusa. Anche dopo che ebbe abbandonato la Polonia, le autorità polacche tennero in "ostaggio" per tre mesi i suoi amati cani. Andrea ricavò da quest'esperienza un'idea estremamente cinica della giustizia e non solo di quella polacca. Le sue esperienze nel Rhode Island non fecero nulla per farle cambiare idea. "Il Rhode Island è lo stato più corrotto dell'intera nazione", dichiarò nel bel mezzo del secondo processo. anche se ci fu qualche discussione tra gli avvocati sull'esattezza nel riferire queste sue dichiarazioni, l'imbarazzo per il fatto di averle rese pubblicamente fu anche maggiore. Durante tutto il periodo in cui fu coinvolta nel caso, Andrea mantenne sempre un atteggiamento cinico, affermando che anche se Claus era chiaramente innocente, "l'innocenza non è un buon motivo per essere assolti, almeno nel Rhode Island". Era quindi favorevole a una strategia multipla. "Non possiamo affidarci solo alla buona fede del procuratore o dei giudici", insistendo perché si cercasse di ingraziarsi dei giornalisti potenti, degli intermediari col potere politico e degli avvocati. Il duo slogan era:"Tutti manipolano tutti". Da buona giocatrice di scacchi, stava sempre pensando alla mossa successiva:"Cosa succederebbe se raccontassimo tutto a Barbara Walters?(Nota giornalista televisiva americana.) Come reagirebbe Ted Koppel? E quale effetto avrebbe su Arlene Violet? Pensa veramente che la giuria non venga a sapere nulla di queste voci? Il giudice Grande è veramente così rigoroso come sembra?" Quando il tipo di domande che contiuava a pormi. La Reynolds portava anche avanti una sua personale politica con la stampa, blandendo, adulando e anche minacciando. Un giornalista sfavorevole era soprannominato "Commie pinko faggot"; e a un altro era stato detto, sorridendo, che avrebbe fatto in modo "che gli capitasse un piccolo incidente". I giornalisti che erano dalla nostra parte venivano invece invitati a cena. Andrea non ebbe il minimo dubbio a proposito dell'innocenza di Claus. "Non potrebbe mai fare iniezioni a qualcuno contro la sua volontà. Alla vista del sangue quasi sviene. Non ce la farebbe perché non che ha la mentalità, farebbe cadere tutto rompendo le fiale : è così maldestro." Andrea non era tenera neanche con Sunny, che riteneva responsabile del suo coma. "Penso che abbia una grande parte di responsabilità nei confronti di Claus e di Cosima, perché li ha delusi." A proposito dei figliastri di Claus era ancora più dura:"bambocci viziati", "intellettualmente minorati", "dediti a una vita dissoluta nelle sale riservate dello Xenon e dello Studio 54". Andrea era sempre ai ferri corti con gli avvocati, soprattutto con Tom. Nella sua concezione, il consiglio degli avvocati era solo una parte dell'impresa per ottenere l'assoluzione di Claus. Tom poteva anche essere il principale legale in aula, ma il comandante in capo doveva essere Andrea che tirava tutte le file. anche se non partecipava alla riunioni dove si decideva la tattica processuale ed era esclusa dall'aula, agiva parallelamente telefonando a chiunque, intervenendo sempre e contattando chiunque riteneva potesse giovare alla causa di Claus. E'difficile dire in conclusione quale sia stato il valore del suo apporto al caso, dato che fu di natura tale da non risultare facilmente apprezzabile. Andrea era comunque onnipresente e ci si imbatteva in lei a ogni momento.

Avendo preso la decisione di non interrogare Claus, la difesa aveva concluso la sua parte. L'accusa volle chiamare altri quattordici testimoni per smentire i nove esperti che erano stati chiamati dalla difesa. Durante la sua ricostruzione, l'accusa aveva fatto deporre trentatré persone, la maggior parte delle quali aveva parlato degli aspetti medico-legali. L'accusa voleva ora chiamare vari altri esperti medici che avrebbero sostenuto che il coma era stato provocato da insulina. Il giudice Grande stabilì però che "poteva bastare" quanto già detto, dato che l'accusa avrebbe dovuto chiamare tutti i testimoni quando era il momento, sapendo che la difesa avrebbe contestato la teoria dell'insulina, invece di aspettare la fine per avere l'ultima parola. Permise però che due testimoni dell'accusa intervenissero per contraddire quelli della difesa su alcune questioni mediche specifiche. In sostanza, la pubblica accusa, che aveva tenuto da parte alcuni dei suoi migliori testimoni per questa replica, era stata spiazzata dalla tattica della difesa di giocare la partita su un piano strettamente medico. In quella che sarebbe stata la sua decisione più contestata e aspramente criticata, il giudice Grande rifiutò al banchiere di famiglia Morris Gurley la facoltà di deporre. Aveva già impedito la sua testimonianza sui possibili moventi finanziari che potevano aver spinto Claus ad assassinare la moglie lasciando però aperta la possibilità che testimoniasse dopo la difesa. Dato però che Claus non aveva deposto, Gurley, che non aveva la minima competenza medica di replicare a quanto sostenuto su questo terreno dalla difesa, non aveva nulla da confutare. Il giudice concluse inoltre che "non c'era nulla che faccia pensare che la prospettiva di vantaggi economici abbia spinto l'imputato a commettere le azioni che il pubblico ministero gli addebita". Senza il supporto delle prove, vi era infatti il rischio che la giuria seguisse le regole teatrali Cechov piuttosto che quelle giuridiche di Wigmore. Come si è detto, Cechov sosteneva che in un dramma teatrale non ci sono coincidenze: una pistola appesa al muro al primo atto deve sparare al terzo, un dolore al petto è immancabilmente seguito da un attacco di cuore e un testamento che costituisce un buon motivo per uccidere conduce senza dubbio al delitto. Al contrario Wigmore, il grande codificatore della giurisprudenza americana in materia probatoria, afferma che la vita reale è piena di coincidenze e deve essere il giudice a decidere se, sulla base delle prove esistenti, la giuria deve essere messa a conoscenza dei possibili motivi di un atto criminale e di conseguenza valutare se l'imputato ha agito di conseguenza. La decisione del giudice Grande di escludere la deposizione di Gurley sui possibili moventi venne accolta con un coro di critiche. Il nuovo legale dei von Auersperg la criticò come "una decisione stupefacente, senza nessuna giustificazione logica o giuridica"(La giuria naturalmente sapeva che Claus avrebbe tratto benefici finanziari dalla morte della moglie. L'accusa aveva fatto menzione dei possibili moventi finanziari nella sua introduzione.). La pubblica accusa andò anche più in là asserendo che il giudice Grande era solito prendere decisioni "a favore dell'imputato". Quella di criticare a voce il giudice per aver deliberato a sfavore del loro cliente è una di quelle tattiche preferite dagli avvocati. Lo scopo non è tanto quello di ottenere un ripensamento - il che non avviene quasi mai -, quanto "ammorbidire" il giudice inducendolo, nella prossima occasione, a esprimersi a loro favore. (Questa tattica mi è stata insegnata da Red Auerbach. Quando era l'allenatore dei Celtics, dopo una decisione arbitrale contraria, protestava sempre vigorosamente e spesso riusciva così a strappare una decisione a sua favore nel successivo caso dubbio.) Sia o meno una coincidenza, l'accusa ottenne il beneficio del dubbio sulla seguente questione di rilievo, una questione che avrebbe potuto essere la più importante del processo: le istruzioni giuridiche che il giudice dee dare alla giuria. Ma prima che il giudice arrivi a dare queste istruzioni, la difesa e l'accusa devono riassumere le loro tesi. Queste considerazioni conclusive, o arringhe, costituiscono l'ultima parola degli avvocati, il loro ultimo tentativo di influenzare la giuria che dee decidere la sorte dei loro clienti. Gli avvocati le considerano come il momento più importante dell'intero processo, ma, a sentire quello che dicono i giurati, forse esagerano l'importanza delle loro arringhe finali e forse la loro importanza in genere. 17. L'ULTIMA PAROLA Secondo l'ordinamento del Rhode Island, è la difesa a dove r parlare per prima e l'accusa ha l'ultima parola. Questa norma non ha molto senso e non ha un'evidente giustificazione se non il fatto di fare un enorme vantaggio all'accusa. L'ordine naturale vorrebbe che sia il procuratore, che ha presentato la sua ricostruzione per primo e ha l'onere della prova, a presentare per primo la sua arringa. La pratica federale, che in precedenza era la stessa in uso nel Rhode Island, è stata cambiata parecchi anni fa: adesso prima viene il procuratore e poi la difesa, ma il procuratore ha la possibilità di un'ultima breve replica. Naturalmente, quando era la difesa a dover parlare per prima non le era concessa una replica, come del resto non le è concessa nel Rhode Island attualmente. Il principio generale sembra dunque essere che l'accusa abbia l'ultima parola. La logica di questo principio è talmente discutibile che sembra difficile poterlo sostenere in buona fede, ma giudici, procuratori e legislatori non sembrano aver avuto dubbi. A quanto pare, si ritiene implicitamente che, siccome l'accusa ha l'onere di provare la colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio, questo svantaggio debba essere in qualche modo controbilanciato dalla possibilità di avere l'ultima parola. Quello che tale ragionamento sembra trascurare è che ci sono ottime ragioni perché l'onere della prova spetti all'accusa. come l'ex presidente della Corte Suprema, John Harlan, ha affermato nella sua sentenza ormai classica nel caso del In re Winship, "il requisito della prova oltre ogni ragionevole dubbio si fonda su un giudizio di valore fondamentale per la nostra società, e cioè che è meglio che un colpevole sia assolto che un innocente condannato". E'una caratteristica del nostro sistema giuridico quella di richiedere un grado maggiore di certezza per una condanna che per un'assoluzione. Non ha quindi senso affermare che questa scelta deve essere controbilanciata dando un vantaggio che alleggerisca il fardello dell'accusa. Questo fardello non dee essere alleggerito e certamente non attraverso il sotterfugio di dare l'ultima parola all'accusa. La vera ragione che ha portato all'adozione di questo provvedimento è che molti di coloro che amministrano la giustizia non credono che sia giusto che l'accusa abbia un compito così difficile. Cercano quindi delle vie per facilitarglielo in pratica. pur attenendosi, in teoria, agli stessi principi. La concessione "dell'ultima parola", è proprio uno di questi stratagemmi per rendere più paritaria una situazione che non dovrebbe essere tale. Naturalmente la situazione non è comunque così sfavorevole all'accusa. Il procuratore dispone infatti di risorse, non solo finanziarie, di cui non può disporre la difesa come ad esempio la possibilità di ottenere la collaborazione degli imputati in cambio di riduzioni di pena. E la maggior parte dei giudici favorisce chiaramente l'accusa, se non altro perché pochi imputati sono effettivamente innocenti. Comunque sia, la difesa nel Rhode Island ha la parola per prima. Thomas Puccio cominciò la sua arringa parlando nel solito modo diretto, tipico di Brooklyn: Quello che vi chiedo è di badare al sodo, e il sodo in questa faccenda è l'iniezione di insulina. [...] Comincerò col sottoporvi il punto singolo più importante della mia tesi. L'imputato è accusato di quello che può essere descritto solo come un crimine mostruoso, incredibile: aver iniettato in due diverse occasioni insulina a sua moglie. La questione della realtà o meno di questo fatto è quindi quella decisiva. Voi, signore e signori, dovete essere quindi convinti che questa iniezione di insulina ci sia stata per condannare l'imputato.

Puccio continuò a insistere sul fatto che questo caso "era appeso al filo" dell'insulina. E chiese quindi alla giuria di tagliare questo filo e di lasciar cadere l'imputazione perché tutti i testimoni che aveva chiamato a deporre - "la crema della crema, i maggiori esperti del mondo" - avevano decretato che "non c'era stata alcuna iniezione di insulina". Per quanto poi riguardava i testimoni a carico, Puccio ricordò alla giuria che anche il dottor Gailitis era giunto alla conclusione che il primo coma non fosse stato provocato da insulina. Mentre parlava picchiava il leggio con la penna. Puccio attaccò anche il dottor Cahill, ma il suo sarcasmo lo riservò al dottor Bradley, che aveva dichiarato di essere certo al cento per cento che il primo coma era stato provocato dall'insulina. Chiamandolo "il signor cento per cento", Puccio disse alla giuria che Bradley era arrivato alla sua conclusione senza neanche considerare il dato di 216 dell'insulina nel sangue, dato che Bradley considerava "la ciliegina sulla torta".

Il signor cento per cento, signori e signori, non aveva però nessuna torta sulla quale mettere questa ciliegina così può star qui fino a note a ripetere che è sicuro al cento per cento senza che questo significhi un bel niente.

Puccio tentò anche di distruggere la deposizione di Maria Schrallhammer, affermando che non aveva mai avuto simpatia per Claus e che la sua deposizione "non rivelava una grande affetto per il signor von Bulow". Richiamò anche l'attenzione della giuria sulle discrepanze esistenti fra la testimonianza che Maria aveva reso in tribunale e quello che aveva detto a Richard Kuh, La "chiave di tutto" sono gli appunti di Kuh: Richard Kuh è stato ingaggiato dai ragazzi per compiere indagini dopo che la signora von Bulow versava ormai in coma irreversibile. La prima cosa che fecero fu chiamare la governante perché dicesse quello che aveva visto, e i questo primo incontro cruciale la governante non disse una parola a proposito della boccetta di insulina, nulla circa sugli aghi, ancora nulla sulla siringhe. Io vi chiedo, signore signori, se effettivamente vide quelle cose durante il week-end del Ringraziamento del 1980, non avrebbe dovuto come prima cosa dire, quando parlò col signor Kuh:"Ecco, questo è quello che ho visto?" (La descrizione che Puccio diede degli appunti di Kuh era sostanzialmente la stessa che avevo dato io in aula nel gennaio 1985, una descrizione che il procuratore generale Arlene Violet aveva in modo menzognero qualificato come "erronea e falsa". Per quanto io ne sappia, Violet non ha mai difeso in seguito questo suo giudizio fuorviante.)

"Occorre solo pensare al fatto", concluse Puccio, " che la verità alla fine è emersa... grazie agli appunti di Kuh che riferiscono die quei primi colloqui..." Il procuratore Marc DeSisto si avvicinò al recinto della giuria e mostrò nell'arringa molta più decisione di quante ne avesse dimostrata durante il processo. Disse ai giurati che il parere degli esperti era meno importante delle prove emerse sul comportamento di von Bulow:"Voi siete più qualificati degli esperti perché potete valutare cose che essi non possono valutare". Invitò la giuria ad "avere coraggio" e le fornì questa immagine pittoresca: Carica l'ago e la siringa con l'insulina. Si avvicina alla moglie. cosa pensa? Trova il punto ed eccolo mentre preme lo stantuffo; quali idee gli passano per la testa mentre inietta l'insulina nel corpo della moglie? Potete vederlo, sta premendo lo stantuffo e la tensione diminuisce. Presto sarà accanto ad Alexandra Isles e non avrà alcun bisogno di lavorare. Non riuscite a immaginare la scena? Si siede e aspetta pazientemente. Aspetta, ma la moglie si riprende. Allora aspetta un anno intero e ripete tutta l'operazione.

DeSisto concluse, come aveva già fatto Puccio, con le testimonianze di Alexandra e Maria: Alexandra Isles è la ragione, il movente lo stimolo dietro ogni iniezione, ognuno dei due coma... Ricorderete la scadenza che si erano prefissati:" A Natale saremo insieme". Che strana coincidenza! Il primo coma sopravviene giusto a Natale.

Rievocò anche drammaticamente la testimonianza di Alexandra su quello che Claus le avrebbe detto: Guardavo, guardavo mia moglie che stava male, aveva perso conoscenza. E alla fine, quando era sul punto di morire, chiamai il dottore.

DeSisto chiese quindi alla giuria di seguirlo nella stanza dove Sunny era distesa durante il giorno del primo coma: Andate col pensiero a quella stanza, il 27 dicembre 1979, e sedetevi coll'imputato ad aspettare che sua moglie muoia. Riuscite a farlo? Lei è in stato di incoscienza e lui la sta osservando. E Maria Schrallhammer entra ed esce e la scuote senza riuscire a svegliarla. Entrate in quella stanza. Lui chiama il medico ma gli mente:"Mia moglie ha bevuto u po'troppo, ma non occorre preoccuparsi, si è già alzata". Quando sarete chiusi a prendere la vostra decisione, pensate a quella camera, signore e signori, e restatevi fino a quando non avrete udito Martha von Bulow rantolare. E adesso guardate Maria Schrallhammer che entra e chiede all'imputato, mentre scuote Sunny:"Vuole aiutarmi?" E'lui le risponde di no.

Entrambi gli oratori profusero tesori di oratoria e di abilità drammatica. Ma chi ha in realtà l'ultima parola è il giudice. Per una giuria un giudice è sempre più convincente dell'eloquenza di un avvocato. I giurati sanno che gli avvocati rappresentano una delle parti e sono quindi unilaterali nei loro argomenti. Un giudice togato è invece - almeno in teoria - la quintessenza dell'imparzialità e dell'obiettività. In realtà però molti giudici hanno una loro idea su quale delle due parti dovrebbe vincere e non esitano a buttare tutto il loro peso sulla bilancia della giustizia. si dice che un vecchio giudice di Washington D.C. avesse due elenchi di istruzioni generali sulla giuria - circa il significato di ragionevole dubbio, dell'onere della prova e così via - in due diversi cassetti della sua scrivania. Uno di questi era favorevole alla difesa, l'altro all'accusa ed entrambi erano accettabili sotto il profilo giuridico, cosicché il giudice non temeva di essere smentito in un ricorso. Se avesse avuto l 'impressione che l'imputato fosse innocente, dava le istruzioni favorevoli alla difesa e viceversa. Dato che la maggior parte dei giurati sentono queste istruzioni una sola volta nella vita, non potevano sapere in che modo erano stati manipolati. Le istruzioni del giudice sono importanti non solo perché sono l'ultima cosa che i giurati ascoltano prima di deliberare, ma anche perché per loro il giudice è un oracolo. come ha osservato in un'occasione la Corte Suprema degli Stati Uniti, "la minima osservazione di un giudice è accolta con deferenza e può dimostrarsi decisiva" perché il giudice ha una posizione "di particolare influenza". I giurati colgono ogni sfumatura, ogni accentuazione in quello che il giudice dice e lo considerano un segno dei suoi sentimenti reali. I giurati vogliono sapere cosa ne pensa il giudice perché ha molta più esperienza in questo tipo di cose ed è certamente più obiettivo, altrimenti - è ovvio - non sarebbe diventato giudice! Il giudice Grande era effettivamente obiettivo, ma era stata naturalmente colpita dalle accuse che le erano state rivolte di aver favorito la difesa. Più o meno consciamente sembrò cercare di ristabilire l'equilibrio con le sue istruzioni finali. Il punto più controverso di queste istruzioni - date con voce bassa e melodiosa - fu quello circa il concetto di prova oltre ogni ragionevole dubbio. E'un concetto che i giurati non hanno in genere ben presente e che non usano nella vita di tutti i giorni. Una persona razionale agisce dopo aver raccolto molti fatti, anche nelle decisioni più importanti della propria vita. Se un medico vi dice che dovete fare un'operazione di by-pass coronarico, voi ci pensate bene e a lungo. Confrontate le possibilità di vivere una vita confortevole, sana e lunga con l'operazione e le stesse possibilità senza l'operazione. Potete inserire nella vostra equazione molti altri fattori, il dolore, la sfiducia nei medici, la possibilità della morte contro la certezza, l'antipatia per gli ospedali, eccetera - ma se alla fine una persona razionale decide di avere una percentuale a favore o contro del 60 contro 40 agisce di conseguenza. perché mai scegliere il 40 per cento se si ha un 60 per cento dall'altra parte? In un processo penale le cose vanno diversamente. Se i giurati decidono, dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi, che ci sono 60 possibilità su cento che l'imputato sia colpevole e 40 che sia innocente, allora devono assolvere. Questo anche nel caso che le probabilità siano 70 contro 30. Il diritto odia le precisazioni e preferisce concetti più vaghi come quello di "certezza morale". Questo concetto non corrisponde comunque a una distribuzione del tipo 60-40 e neppure a una 70-30. Piuttosto sembra potersi aggirare su un rapporto 90 contro 10, in accordo con l'affermazione di William Blackstone, secondo la quale è meglio che dieci criminali circolino liberamente piuttosto che un solo innocente sia punito. nei casi penali, il costo legale di un tipo di errore - la condanna di un innocente - è considerato molto più alto del costo legale opposto: l'assoluzione di un colpevole. Molti giudici però non comprendono bene questo principio o lo trascurano. Spesso danno istruzioni, come quelle che seguono, che sottovalutano completamente la differenza che esiste fra decidere della colpevolezza o meno di un imputato e prendere altre importanti decisioni nella propria vita: Signore e signori della giuria, nel decidere se l'accusa ha provato la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, non vi si chiede se l'ha provato al di là di ogni dubbio, ma piuttosto se è stata provata con quel tipo di certezza in base al quale agite nel prendere le vostre vite più importanti decisioni personali.

Non una parola riguardo al diverso costo dei due possibili tipi di errore! Non una sola parola sul fatto che sia meglio assolvere un innocente piuttosto che punire un colpevole! Il messaggio è chiaro: dovete condannare l'imputato in base allo stesso tipo di logica che adoperate per prendere decisioni come lo sposarvi, il sottoporvi a un'operazione chirurgica, aver figli o cambiare lavoro. Le istruzioni del giudice Grande non arrivavano a questo punto, andavano chiaramente in questa direzione. Ecco ciò che disse alla giuria riguardo al ragionevole dubbio: Una prova oltre ogni ragionevole dubbio non significa che l'accusa debba provare la sua tesi al di là di ogni dubbio... Né significa che l'accusa debba provare con assoluta certezza gli elementi essenziali della sua tesi; nulla di tutto questo. ...Significa semplicemente che l'imputato gode del beneficio del dubbio ragionevole, non di qualsiasi possibile dubbio. Il giuramento che voi avete prestato richiede che voi emettiate un verdetto di colpevolezza se siete convinti al di là di ogni dubbio ragionevole. Viceversa siete tenuti a emettere un verdetto di assoluzione se non avete la convinzione della sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

Il giudice Grande sottolineò la parola "convinti" e mise in guardia i giurati sul fatto che un ragionevole dubbio "non è una ipotesi speculativa, un sentimento interno. E'qualcosa di più di un dubbio basato su una congettura o su delle possibilità": L'insistenza del giudice Grande su ciò che un ragionevole dubbio non era, può aver dato l'impressione che un giurato avrebbe sbagliato se avesse avuto la sensazione - una sensazione inesplicabile ma che a lui sembrava giusta - che l'imputato fosse innocente. In effetti Grande aveva detto ai giurati che avevano il "dovere di emettere un verdetto di colpevolezza" se i loro dubbi fossero stati giustificati solo da una "sensazione" e non dai fatti. Pareva quasi si volesse dire che la giuria doveva avere delle ragioni egualmente solide per emettere un verdetto di innocenza o di colpevolezza. a questo punto era difficile dire a quale delle due parti spettasse l'onere della prova. Il giudice Grande proseguì quindi dicendo alla giuria che "la probabilità di colpevolezza, anche se forte, non era sufficiente per sostenere e giustificare un verdetto di colpevolezza". Questa istruzione era egualmente assurda e manifesta un fraintendimento del concetto di probabilità. Le probabilità sono tutto ciò su cui possiamo fondarci per prendere una decisione, nella giustizia come nella vita. Come il giudice della Corte Suprema Harlan stabilì correttamente nel caso "Winship", "Tutto ciò che l'inquirente può arrivare ad avere è la probabilità che un fatto sia avvenuto". In un caso come quello di von Bulow nessuno riuscirà mai a saper qualcosa di certo. Quella che dovrebbe essere richiesta è una probabilità molto alta di colpevolezza. Quanto alta, era esattamente la domanda alla quale la legge e il giudice dovevano dare una risposta. Il giudice Grande però non lo fece. L'altro punto controverso delle sue istruzioni riguardava la sua posizione confusa ed elusiva circa il problema delle prove indiziarie. Le corti ripetono costantemente alle giurie che "le prove indiziarie sono altrettanto valide di quelle dirette". Alcuni giudici aggiungono "anche migliori di quelle dirette". Questo significa confondere le prove indiziarie con quelle dirette. In realtà, l'ambiguità sta nelle parole stesse. Non esistono prove indiziarie ma solo processi indiziari. Ogni prova è per sua natura diretta: ad esempio Maria ha dichiarato di aver "visto l'insulina nella borsa nera di Claus", Questa è una testimonianza oculare la più diretta possibile: la testimone afferma di avere visto qualcosa direttamente coi suoi occhi e di aver letto un'etichetta. Il solo problema dunque è: sta dicendo la verità? La sua memoria è precisa? Un altro esempio può essere offerto dalla testimonianza di Alex di aver trovato del Dalmane con il nome di Claus e un ago incrostato di qualche sostanza nella borsa nera. Ciò che è aleatorio non è la prova in sé, sono le conclusioni che il procuratore chiede alla giuria di trarre dagli elementi di fatto emersi. L'accusa chiede dunque di concludere che, poiché dell'insulina è stata vista nella borsa nera in novembre, e poiché una prescrizione a nome di Claus e un ago con incrostazioni è stato trovato nella stessa borsa in gennaio, allora la borsa che contiene l'arma del tentato delitto deve essere appartenuta a Claus che deve aver praticato un'iniezione a sua moglie con quell'ago. E'questo tipo di ragionamento - trarre conclusioni ipotetiche da dati di fatto assodati - che fa di un processo indiziario. Si sarebbe basato su prove "dirette" se Maria avesse visto Claus riempire una siringa di insulina e praticare un'iniezione a Sunny mentre stava dormendo. In questa improbabile circostanza il solo elemento di dubbio avrebbe riguardato l'attendibilità della testimonianza oculare di Maria. Alla giuria sarebbe quindi stato risparmiato di trarre delle conclusioni di tipo indiziario. (Nello Stato del Rhode Island esiste una legge che distingue i casi fondati esclusivamente su testimonianze dirette da quelli che richiedono delle induzioni basate su indizi. Questa legge non permette alla giuria di condannare un imputato in base a quella che viene definita "un'accumulazione" o "sovrapposizione di indizi". Questo significa che una giuria può trarre una conclusione da una prova diretta e non può esserle chiesto di trarre da questa conclusione una seconda conclusione a meno che non si tratti di una conclusione di carattere logico. per usare le parole della Corte Suprema del Rhode Island, "un'induzione fondata su un'induzione a sua volta fondata su una prova diretta deve essere rifiutata... quando i fatti dai quali è tratta sono suscettibili di un'altra ragionevole interpretazione". Quindi, almeno nel Rhode Island, un processo indiziario non viene considerato valido come un processo basato su prove dirette, e questo per ragioni comprensibili. Nel secondo tipo di processo tutto quello chela giuria deve fare è valutare la credibilità del testimone, le induzioni si ricavano naturalmente da quello che il testimone dice. Nel processo indiziario, invece, una giuria deve fare due cosa: innanzi tutto valutare l'attendibilità del testimone, perché non ha senso trarre inferenze da una testimonianza falsa, in secondo luogo trarre da questa testimonianza le conclusioni opportune.) Nel caso von Bulow la giuria doveva quindi decidere se credere alla testimonianza oculare di Maria e Alex che dicevano di aver trovato l'insulina e il Dalmane nella borsa nera, quindi decidere se questi e altri elementi portavano alla necessaria conclusione che l'arma del delitto appartenesse a Claus che l'aveva usata per uccidere la moglie. Considerate così le cose, appare assurdo dire a una giuria che "le prove indiziarie sono altrettanto valido di quelle dirette". E'come dire che un'equazione matematica è altrettanto valida delle cifre in essa contenute, o che una teoria scientifica è valida quanto i fatti su cui si fonda. Il modo giusto di descrivere le cose sarebbe stato quello di dire che un processo indiziario non può mai essere migliore delle prove dirette sulle quali si fonda. A parità di ogni altro fattore non potrà neppure essere altrettanto valido dello stesso processo fondato esclusivamente su prove dirette. Se Maria e Alex avessero visto Claus mettere dell'insulina nella borsa, toglierla e fare un'iniezione a sua moglie, la tesi dell'accusa sarebbe stata molto più solida di quanto non lo fosse avendo Maria e Alex solamente visto l'insulina e quindi dedotto che claus l'aveva iniettata a sua moglie. Naturalmente nella vita reale le condizioni non sono mai eguali. Alcuni indizi possono essere effettivamente più convincenti di certe testimonianze dirette. Così se sette persone di irreprensibile reputazione - prima dell'episodio Marriott-Magaldi avrei detto "sette sacerdoti" - avessero indipendentemente giurato di aver assistito a un particolare avvenimento e i sette avvenimenti conducessero a una sola inevitabile conclusione, fondata sul giuramento da parte di un incallito mentitore - un tipo come Marriott - di aver assistito alla conclusione stessa. Tutto questo è ovvio, un processo fondato su testimonianze dirette ma discutibili è debole. tutta questa discussione ha lo scopo di introdurre alle conseguenze devastanti che ebbero le istruzioni date dal giudice Grande a proposito delle prove indiziarie. Malgrado i criteri severi che le leggi del Rhode Island stabiliscono per i processi basati su prove indiziarie, il giudice Grande diede alla giuria le direttive seguenti: Le provi indiziarie sono valide quanto quelle dirette... la forza probatoria delle prove indiziarie è pari a quella delle prove dirette e non può essere operata una giustificata distinzione fra le due.

Il giudice diede poi alla giuria questo esempio di prova indiziaria: Facciamo un esempio ipotetico: una giuria deve decidere se il manico di una padella era caldo. Questi i fatti: Il padre depone e testimonia di aver messo la padella sul fornello e pensa di averlo spento. Vede quindi suo figlio di tre anni toccare il manico della padella, sente il figlio gridare e la padella cadere. Il padre entra nella cucina, guarda la mano del figlio che è arrossata. Sempre il padre dice di aver portato il figlio da un dottore. Il medico a sua volta esamina il bambino e la sua diagnosi è che la mano è stata scottata. Dunque, signori della giuria, se la nostra ipotetica giuria fosse convinta dell'attendibilità del padre e di quella del medico, potrebbe trarre la ragionevole e del tutto logica conclusione che il manico della padella era caldo, anche se su questo punto nessuno ha portato una testimonianza diretta.

Questo esempio era scopertamente a favore dell'accusa per almeno due ragioni: primo, non vi era nessun ragionevole motivo per mettere in dubbio l'esattezza e la credibilità delle osservazioni del padre; secondo, l'induzione era in questo caso inevitabile. Nel caso von Bulow, però sia la verità delle osservazioni sia la plausibilità dell'inferenza erano molto discutibili. Puccio era furioso per queste istruzioni del giudice Grande. Per la prima volta in quel processo sembrò perdere la calma, accusando il giudice di parzialità. L'interpretazione che il giudice aveva dato dei concetti controversi - come ragionevole dubbio o prove indiziarie - "aveva delle conseguenze gravissime e cumulative". Tom chiese quindi a Grande di ripensarci e di dare "istruzioni più equilibrate". Grande gli rispose che da parte sua "era sempre stata ragionevole". "Si", ribatté Tom, "salvo che sul ragionevole dubbio." Nonostante le proteste di Puccio e gli elementi di natura giurisprudenziale che riuscimmo a raccogliere in tutta fretta a Cambridge, il giudice rifiutò di codificare le sue istruzioni alla giuria. Il caso era ormai nella mani dei dodici "pari" di von Bulow, nessuno dei quali , a dire il vero, aveva molto in comune con lui o con la sua supposta vittima: un impiegato dell'assistenza sociale, una rammendatrice, un amministratore, un direttore di fabbrica, uno scrittore in pensione, un consulente, un bancario, un amministratore, un tecnico di laboratorio, una casalinga, uno studente di ragioneria e un direttore finanziario. Questi i "pari" che avrebbero dovuto decidere della sorte di un uomo che certamente non considerava questi onesti lavoratori come suoi eguali. 18. LA DECISIONE ALLA GIURIA Il secondo processo von Bulow giunse davanti alla giuria alle 11.30 del mattino del 7 giugno 1985. Tutti si chiedevano cosa stessero pensando i giurati, considerando le indicazioni date dal giudice Grande. Erano state infatti raccontate loro due storie completamente incompatibili e parallele. La difesa non aveva neanche tentato di mettere in discussione il particolareggiato ritratto morale di Claus come un mascalzone cinico, che se ne stava seduto mentre sua moglie stava morendo lentamente. D'altra parte, l'accusa non era riuscita a smentire la poderosa impalcatura medico-legale messa in piedi dalla difesa. Era quasi come se i giurati per sei settimane avessero ascoltato due casi diversi. Prima delle istruzioni date dal giudice Grande, la maggior parte degli osservatori era propensa a credere chela difesa fosse riuscita a sollevare dei ragionevoli dubbi sulla ricostruzione medico-legale dell'accusa, ma che non fosse riuscita a indebolire significativamente la componente melodrammatica della ricostruzione dell'accusa. Il problema ora era sapere su quale componente della giuria, in seguito alle istruzioni sul ragionevole dubbio, avrebbe incentrato la sua attenzione. Tre spie potevano fornire qualche indizio sulle segrete deliberazioni dei giurati: innanzi tutto il tipo di domande che avrebbero rivolto ai giudici durante le loro discussioni; in secondo luogo il tempo che ci avrebbero messo e infine il tipo di sguardi che avrebbero rivolto all'imputato, soprattutto, nell'imminenza del verdetto. Gli avvocati hanno una quantità di storie fantastiche su come carpire le segrete intenzioni della giuria. Una delle ragioni di questa attività è che, quando la giuria è riunita per stabilire la sorte dei loro clienti, non hanno molto da fare oltre che sedersi e aspettare. gli avvocati, la maggior parte dei quali non ama aspettare, devono pur fare qualcosa per tenersi occupati, a questo tipo di attività divinatoria è la loro attività favorita. Questi i miti più diffusi: Una giuria che fa molte domande è un buon segno per la difesa, perché significa che qualcosa la inquieta. (Ancora più indicativo può essere naturalmente il tipo di domande poste.) Una giuria che delibera a lungo è anch'essa un buon segno, perché suggerisce e i disaccordi al suo interno, e il disaccordo può significare una giuria divisa. Dei giurati che non guardano in faccia l'imputato quando stanno per decidere il suo destino si apprestano probabilmente a condannarlo.

Il meno che si possa dire è che quest'arte divinatoria riflette più le speranze che un'esperienza empirica. La maggior parte dei difensori non può però illudersi molto perché la grande maggioranza degli imputati sarà condannata dai giurati. La percentuale delle condanne è tuttavia più bassa nei processi che fanno seguito a un ricorso accolto (Circa tre quarti degli imputati vengono condannati dalle giurie. Secondo il "New York Times", "gli esperti stimano che circa la metà dei processi di appello termina con una assoluzione".). Questa dipende da vari fattori. All'appello, il difensore ha il vantaggio di conoscere molto meglio quello che l'accusa ha contro di lui e può quindi prepararsi al meglio. I casi che finiscono in appello sono inoltre quelli che più frequente riguardano imputati innocenti. Inoltre i processi d'appello sono più lontani dagli avvenimenti e quindi la memoria dei fatti è più incerta e discutibile, i testimoni sono meno numerosi e in generale la ricostruzione dell'accusa è più facile. Anche se non dispongo di dati statistici, sono sicuro che anche nei casi in cui i giurati fanno molte domande e deliberano a lungo e guardano l'imputato dritto negli occhi, la maggior parte delle giurie - anche se forse in misura leggermente minore - emette verdetti di colpevolezza. Questi miti hanno origine dalla frustrazione di un mestiere dove anche i migliori, la maggior parte delle volte, perdono. Durante il loro secondo giorno in camera di consiglio, i giurati chiesero di riascoltare la testimonianza di Maria e Alex concernente il ritrovamento della borsa nera dopo il giorno del Ringraziamento. Vollero anche risentire quello che aveva detto il dottor Rubenstein, il nostro esperto che aveva deposto sull'inaffidabilità dei dati sull'insulina ritrovata sull'ago. Questo tipo di domande ci fece ben sperare, stava infatti a significare chela giuria stava concentrando la sua attenzione sul problema dell'effettiva presenza dell'insulina nella borsa nera e sull'ago. Sperammo che il riascoltare la testimonianza di Alex e Maria - e soprattutto il controinterrogatorio al quale erano stati sottoposti - avrebbe rafforzato i dubbi sulla loro testimonianza e sottolineato le discrepanze fra quello che avevano detto in aula e le più immediate dichiarazioni fatte a Kuh. Dopo la lettura di queste testimonianze, dunque, la giuria, attraverso la voce monotona del portavoce della corte, fece conoscere le sue decisioni. Il sabato mattina in cui la giuria doveva far conoscere il verdetto - il secondo giorno di riflessione - la seconda pagina del "Globe" di Boston riportava la notizia che un gran jury del Rhode Island aveva segretamente incriminato padre Magaldi per spergiuro. L'incriminazione era "segreta" per non influenzare le decisioni della giuria sul caso von Bulow, ma venne egualmente fatta filtrare alla stampa, secondo una fonte attendibile, proprio da qualcuno dell'ufficio del procuratore generale, e proprio per influenzare la giuria. Si pensò che l'incriminazione di uno dei testimoni a discarico d von bulow, anche se si trattava di un testimone che non aveva in realtà mai deposto, avrebbe gettato una cattiva luce sulle tesi della difesa. L'ufficio del procuratore generale, autoassolvendosi, rifiutò ogni commento, che in effetti era superfluo. La fuga di notizie aveva raggiunto il suo scopo. Anche se la giuria era isolata, è ben noto che nessun isolamento è a tenuta stagna; era molto probabile che una notizia così sorprendente come l'incriminazione di uno dei parroci più popolari e stimati di Providence trovasse il modo di raggiungere la giuria. Questo era ancora più probabile dato che "molti dei membri della giuria conoscevano padre magaldi", cosa ben nota nell'accusa. E'comprensibile che il giudice Thomas Calderone della Corte Suprema del Rhode Island, dopo esser venuto a conoscenza della fuga di notizie, abbia dichiarato furioso che "qualunque dipendente dell'amministrazione della giustizia ne sia responsabile, dovrebbe essere allontanato. Se lavorasse per me, lo butterei fuori. E'un fatto deplorevole". Ma, per quanto ne so, non venne fatto alcun tentativo di individuare la fonte dell'indiscrezione. Nel Rhode Island la giustizia non sembra applicarsi anche ai collaboratori della procura generale. Non sapremo mai se la giuria sia venuta a conoscenza dell'incriminazione di padre Magaldi. E non sapremo mai neppure chi sia stato il responsabile di questa fuga di notizie. La giuria continuò a discutere per tutta la giornata di sabato senza arrivare a un verdetto. Speravo che la giuria non avrebbe protratto la sua riunione anche durante la domenica 9 giugno perché per quel giorno si attendeva un altro importante responso: la sesta partita delle finali del campionato di basket. I miei beneamati ma sfortunati Celtics dovevano affrontare i Los Angeles Lakers. I lakers, guidati sul campo dal gioco ispirato di Kareem Abdul-Jabbar e Magic Johnson e spronati dalla panchina dagli improperi di Jack Nicholson, erano in vantaggio sui Celtics per tre partite a due. Se i Lakers avessero vinto questa partita, tutto sarebbe finito e il campionato mondiale si sarebbe trasferito da Boston a Los Angeles. Se invece i Celtics fossero riusciti a batterli - malgrado Larry Bird fosse ferito, Cedrick Maxwell zoppicasse e Kevin McHale fosse esausto -, avrebbero dovuto affrontare i Lakers in una settima e decisiva partita il martedì seguente. Durante il campionato vado a vedere almeno la metà delle partite che i Celtics giocano in casa ( e anche qualche partita fuori casa quando mi trovo "per lavoro" nella città giusta al momento giusto). I nostri posti sono proprio poche file davanti al presidente del Celtics Arnold "Red" Auerbach, che si prende cura dei suoi amici. (Dio non voglia che uno degli amici di Red Auerbach esca anche solo pochi secondi prima del termine, quale sia il risultato; in questo caso incorrerebbe nelle peggiori ire presidenziali, che gli farebbero ricordare le sgridate paterne dell'infanzia.) Durante l'intervallo Red - un avvocato mancato - veniva spesso a chiedermi dei miei casi e a darmi alcuni consigli per come vincerli. Soprattutto si interessava "di quel tipo, von Bulow". Io, in genere, mi sdebitavo con dei consigli egualmente preziosi su come migliorare il gioco dei Celtics nei contrasti e nei rimbalzi. Entrambi credevamo certamente di sapere di cosa stavamo parlando, e Red probabilmente non sbagliava. Non mi ero quasi mai perso un paly-off, e non avevo la minima intenzione di perdermi questa classica, ma sapevo anche che avrei dovuto essere a Providence non appena la giuria avesse emesso il verdetto. Il giudice Grande, naturalmente, non essendo proprio una tifosa scatenata dei Celtics, chiese alla giuria di riunirsi anche di domenica.(Io suggerii che ai giurati venisse concessa una televisione a circuito chiuso con la quale guardare la partita con cinque minuti di ritardo, in modo da essere sicuri di poter eliminare qualsiasi eventuale notizia sul processo.) La partita sarebbe cominciata alle 3.30 pomeridiane. La riunione della giuria era prevista per le 2 esatte, cosicché i giurati avevano la possibilità di partecipare alla funzione del mattino. (Claus e Andrea Reynolds per poco non si imbatterono nei vari giurati cattolici che assistevano all'ultima messa nella stessa chiesa.) Dopo essermi consultato con vari osservatori a Providence, che erano solidali col mio dramma, giunsi alla conclusione che era molto improbabile che venisse emesso il verdetto nel primo pomeriggio di domenica. Calcolai che la distanza dal Boston Garden al tribunale di Providence era di circa cinquanta minuti, presi la mia maglia verde dei Celtics, misi un vestito stirato in macchina, presi con me un piccolo televisore e decisi di correre il rischio. Ogni cinque minuti mi sarei sintonizzato su una stazione di Providence per sapere se il verdetto era imminente. Naturalmente avvertii Red che, se mi avesse visto scappare fuori improvvisamente, non sarebbe stato per mancanza di fede nei Celtis, ma perché si stava per pronunciare il verdetto. Ma per quel pomeriggio l'unico verdetto fu quello che eliminò i Celtics con un punteggio di 111 a 100. Amid salutò i tifosi del nostro settore - li chiamavamo "gli amici d'inverno", perché ci vedevamo solo durante il campionato in questa stagione - e io tornai a casa ad aspettare l'altra sentenza. Pochi minuti dopo il mio ritorno a casa, Claus mi chiamò. "Si dice che il verdetto verrà pronunciato domani mattina", mi comunicò con sicurezza, "e terrei molto che lei fosse presente, non tanto come 'paracadute', anche se certamente anche per questo, ma per essere partecipe di qualunque verdetto sia emesso. Lei mi è stato a fianco in tutta questa vicenda più a lungo e più attivamente di chiunque altro, eccetto la mia famiglia e i miei amici più stretti. Neanche Cosima e Andrea ci saranno in aula domani. La voglio qui." Gli dissi che sarei stato presente e mi preparai ad andarci la mattina presto con mio figlio Jamin, che mi aveva aiutato in molti modi durante questo caso; cercando le cronache di giornale sull'omicidio di Gilbert Jackson, facendo da testimone ai miei incontri con David Marriott, controllando e consegnando le copie del ricorso. Durante il viaggio in macchina, ci trovammo a parlare proprio di quel genere di illazioni e di pronostici che occupano gli avvocati nei momenti di nervosismo prima del verdetto: "E'troppo presto", mi dissi preoccupato, facendo notare chela giuria si era riunita in tutto per una decina di ore. "Ricordati del primo processo", mi fece notare però Jamin, "la giuria si è riunita per sei giorni e guarda come è andata." "Non mi piace questa faccenda delle domande", continuai a rimuginare, "perché mai avranno voluto sentire di nuovo Maria? Questa è la parte melodrammatica del caso, se si concentrano su questo aspetto non è un buon segno per claus." "Continuo a pensare che Claus avrebbe dovuto testimoniare", borbottò Jamin, che aveva sempre sostenuto questa tesi nelle nostre discussioni in famiglia. "E'proprio per questo che si studia diritto!" gli dissi. "Per imparare come funziona un processo. Non c'era modo di far deporre Claus una volta che era stato deciso di puntare tutto sull'aspetto medico. Forse è stata proprio questa la decisione sbagliata, ma una volta presa non si poteva tornare indietro." "Già, ma quando gli avvocati sbagliano sono i clienti a pagare, e questo è il motivo per il quale non farò il penalista." Jamin, che era stato appena ammesso alla Harvard Law School, pensava infatti a un lavoro governativo. Arrivammo in aula proprio mentre la giuria stava entrando per ricevere le istruzioni che dovevano precedere le loro deliberazioni. Guardai ogni giurato mentre passava di fianco all'imputato. Claus aveva un mezzo sorriso, ma nessuno dei giurati lo guardò. La maggior parte di loro aveva lo sguardo rivolto al pavimento di legno, alcuni invece guardavano in direzione del giudice. Non c'era di che essere ottimisti. Non appena i giurati furono seduti, il giudice Grande li rinviò nella ala della giuria per continuare il loro lavoro. Avvisò una delle giurate che suo marito aveva chiamato e un altro che un suo problema era stato risolto. La giuria quindi uscì per decidere se claus avrebbe dovuto trascorrere il resto della sua vita da uomo libero, scagionato da ogni colpa, o come carcerato a vita, a meno che non accadesse di peggio! Claus e i suoi avvocati si ritirarono nella piccola stanza che era stata assegnata loro. Era una stanzetta ingombra senza molte distrazioni e con pochi comfort, che di solito era l'ufficio di uno dei giudici. Nel Rhode Island i giudici non godevano di molto apparato al di fuori dell'aula. Mentre aspettavamo ci raccontammo storielle. Malgrado il suo aspetto austero, Claus von bulow è una sorta di clown - difficile immaginarselo! - che ama le barzellette, e soprattutto i giochi di parole. Aveva specialmente un grande senso dell'autoironia: durante tuta la vicenda era sempre il primo a riferirmi le battute feroci che circolavano su di lui:"Come viene definita la paura dell'insulina? Claustrofobia", "Cosa regalare per Natale a una moglie che ha già tutto? Un'iniezione di insulina". In un inutile tentativo di non farlo pensare a quello chela giuria stava facendo, presi il menu del tribunale e cominciai a fare dei giochi di parole sui nomi con Claus. Oggi piatto doveva ricevere un nome "giuridico". Gli involtini vennero quindi soprannominati "Warren Burger", il presidente della Corte Suprema, l'hot dog, "Felix Frankfurter", un ex giudice. Il roast beef fu chiamato invece "Brandeis beef" dalla celebre "Brandeis Brief". Le bibite vennero chiamate "Lord Coke", anche se il celebre avvocato inglese pronunciava il suo nome come "cook". Il giudice Learned Hand ebbe invece l'onore di dare il suo nome a un tramezzino al prosciutto:"Leaned Ham", anche Lord Bacon trovò naturalmente posto tra i nostri sandwich. (Molti giudici di mia conoscenza sarebbero stati qualificati per la parte del tacchino, ma avevamo deciso, per non trasformare lo humor in sarcasmo, che avremmo dato solo nomignoli non spregiativi.) Mentre stavamo concludendo il nostro gioco, l'ufficiale giudiziario annunciò che finalmente la giuria aveva espresso il suo verdetto. In seguito a un accordo precedente tra la stampa, il giudice egli avvocati delle parti, il verdetto sarebbe stato letto solo quindici minuti scopo in modo da permettere ai giornalisti e agli avvocati di accorrere per essere in aula nel momento in cui "si apriva la busta". Questi sarebbero stati i minuti più lunghi. Claus mi chiese di seguirlo in una stanza di fianco a quella degli avvocati "per scambiare due parole". "Voglio ringraziarla prima che venga letto il verdetto", mi disse in tono solenne, "lei sa bene che tutto questo non sarebbe stato possibile senza di lei e senza il suo gruppo. Nessuno pensava che avrei potuto vincere il ricorso e ottenere un nuovo processo, solo lei ha avuto fiducia".Fece una breve pausa e quindi riprese:"Volevo dirglielo ora, perché se perdo non sarò dell'umore di ringraziare nessuno. E sarei terribilmente spiacente di non averla ringraziata, perché se non fosse stato per lei e per la sua squadra io oggi non avrei avuto una seconda possibilità". Cercai di fargli notare che era statala sua innocenza l'elemento che aveva indotto i giudici ad accordargli questa seconda possibilità, ma mi interruppe. "No, Alan", mi disse in tono un po'pedante, "ho letto il suo libro, The Best Defense, e ho imparato che l'innocenza ha poco a che fare con l'esito di un processo nel sistema giuridico americano. A ottenere questo risultato è stata la sua tenacia, la sua insistenza, la sua energia e la sua squadra." Non era certo quello il momento per spiegare a Claus che aveva mal interpretato il mio libro. Anche se alcuni innocenti vengono condannati, e certamente molti colpevoli assolti, l'innocenza dell'imputato ha una grande importanza anche nei ricorsi dove in teoria non dovrebbe averne affatto. Ringraziai Claus perla fiducia e gli dissi che mi sembrava ci fossero degli indizi favorevoli. "La sola cosa, però, che posso assicurarle è che non ci sarà una giuria divisa. Non hanno tirato in lungo abbastanza". Mentre stavo lasciando la stanza, Claus mi richiamò a basa voce:"Alan, un'ultima cosa. Se perdiamo, è pronto a chiedere la libertà dietro cauzione?" Era una domanda seria. Tom Puccio la sentì e disse rapidamente:"Se la giuria dice colpevole, allora, Alan, è tutto nelle sue mani": Rassicurai Claus dicendogli che nessuno di noi pensava sarebbe stato necessario, ma che ero comunque pronto a fare la domanda di libertà dietro cauzione e sicuro che sarebbe stata accolta. Quello che non dissi a Claus - la sola cosa che gli tenni nascosta durante la nostra odissea giudiziaria durata più di tre anni - fu che avevo già scritto la domanda, per ogni evenienza. Ci sarebbe stato tempo per dirglielo se e quando la giuria avesse pronunciato la parola fatale:"colpevole". Adesso era l'unico momento in cui dovevo cercare di rassicurarlo un po'. Claus uscì dalla sala degli avvocati, si accese una sigaretta e gironzolò verso un'altra stanza dove il procuratore e i funzionari di polizia stavano aspettando il verdetto. Sembravano quasi altrettanto nervosi di Claus. Anche se non era il loro destino a essere in quel momento in gioco, molti di loro avevano dedicato molti mesi della loro esistenza a cercare di provare la colpevolezza di Claus. La carriera dell'ispettore Reise era stata intrecciata alla vita di Claus durante gli ultimi cinque anni. DeSisto e Gemma erano stati coinvolti in questo caso più di recente, ma in modo egualmente intenso. Carriere, reputazioni e sentimenti profondi sarebbero stati influenzati dalle parole che stavano per essere pronunciate. Sembrava del tutto normale che Claus von Bulow e i suoi accusatori trascorressero gli ultimi minuti di attesa nella stessa stanza, scambiandosi una sigaretta e delle inezie, perfino ridendo ai nervosi tentativi di fare dell'umorismo per allentare la tensione. Un altro annuncio. Il momento era giunto. Tutti entrarono in aula in ordinato corteo: Claus e i suoi avvocati per primi, quindi la pubblica accusa. Dopo che ci fummo seduti, fu fatta entrare la stampa con i pochi osservatori del pubblico che erano riusciti ad assicurarsi un posto in questo dramma che registrava sempre il tutto esaurito. Poi entrò il giudice. per ultimi i giurati. Era la resa dei conti. Claus, circondato dai suoi avvocati, era solo davanti al proprio destino. Tutti gli altri avrebbero lasciato quella stanza liberi come vi erano entrati. Era come aspettare i risultati di una biopsia. Anche se la famiglia può essere intorno a te, sei solo e sai che incamera operatoria sei tu a entrarci. Gli occhi di tutti erano fissi sui giurati. Entro pochi minuti anche loro sarebbero tornati alle loro vite di tutti i giorni, nell'anonimato. Il giorno dopo sarebbero stati normali cittadini, senza quasi nessuna possibilità di intervenire su ciò che accadeva loro. Ma oggi avevano sulla vita di claus von bulow più potere di quanto non ne avesse il presidente degli Stati Uniti. Tutti notarono che mentre entravano in aula, nessuno guardò Claus. Tutti stavano pensando la stessa cosa, ma nessuno parlò. Il silenzio sembrava però un sussurro. Poi, quando i giurati si furono sistemati, notai che una di loro lanciò uno sguardo in direzione del tavolo della difesa. Dopo qualche esitazione, guardò Claus. Lui aveva gli occhi abbassati. Era troppo tardi per influenzare qualcuno o qualcosa. Era il momento di raccogliersi e di pregare che poteva ascoltare le nostre preghiere. La donna allora volse altrove lo sguardi, come per paura di violare un momento di intimità. La solennità del momento fu spezzata dall'ufficiale giudiziario che urlò, col suo aspro accento di Providence:"Ehi, Charlie, falli stare zitti". Ci fu anche una giornalista che si sporse verso Claus chiedendogli:"Qual'è l'ultima cosa che vuol dire prima che la giuria parli?" Claus le rivolse uno sguardo gelido e alzò il medio della mano sinistra ma poi, con un mezzo sorriso, cominciò a grattarsi il naso, quasi per nascondere l'inequivocabile significato del gesto. Il funzionario chiese quindi al portavoce della giuria:"Ritenete l'imputato colpevole o non colpevole di tentato omicidio il 27 dicembre 1979?" Senza nessuna pausa drammatica il portavoce rispose:"Non colpevole". Sentendo queste parole, Claus si rilassò quasi impercettibilmente. Mormorii fra il pubblico. Claus si voltò in direzione del pubblico e mettendo un dito davanti alle labbra fece segno di tacere:"Shh". Mi venne immediatamente in mente un aristocratico amante dell'opera che cerca di zittire la claque della sua cantante preferita che comincia ad applaudirla prima che abbia finito il suo brano. Un'azione molto fuori posto ma molto in carattere col personaggio Claus von Bulow. Il brano in effetti non era finito. C'era un'altra strofa, il secondo capo d'accusa, il più grave, quello per cui le prove mediche erano più consistenti. Il funzionario ripeté la sua domanda. Questa volta ci fu una breve pausa e quindi un altro:"Non colpevole". Mi sporsi verso Claus e sussurrai:"Congratulazioni, adesso tutto il mondo sa che sei innocente". Ebbe un sospiro di sollievo che sembrò dissolvere la tensione accumulata in cinque anni. Chinò per un attimo la testa sul tavolo, come per nascondere un lacrima poi l'alzò, senza neppure tentare di cancellare quella lacrima. Per la prima volta in questi cinque anni era un uomo veramente libero. Andrea Reynolds, che entrava per la prima volta in aula, abbracciò Claus. Quasi nessuno pestò attenzione al giudice che recitava le formule di rito, dimetteva la giura, dava l'ordine di scarcerazione e di restituzione della cauzione e ringraziava tutti. Claus ora poteva lasciare l'aula e la corte, il Rhode Island, gli Stati Uniti e andare dovunque volesse. Io potevo buttare al macero le migliaia di pagine, di istanze, di appunti, di memorandum che ingombravano la mia casa e i miei pensieri. Per l'imputato un'assoluzione significa la libertà, per un avvocato difensore significa non dover conservare tutti i documenti. Poiché non c'è possibilità di ricorso contro un'assoluzione, il caso von Bulow era definitivamente chiuso. (In un tentativo del tutto pretestuoso di farsi pubblicità, l'ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan (quello che era stato per un certo tempo diretto da Richard Kuh) annunciò che se Sunny von Bulow fosse morta a New York "la faccenda sarebbe stata completamente nuova" e l'ufficio avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di processare von Bulow per omicidio qualsiasi studente di legge del rimo anno sa perfettamente che New York non aveva alcuna giurisdizione sul caso, dato che i supposti atti criminosi erano stati interamente commessi nel Rhode Island. Se A spara a B nel Rhode Island e quindi B viene ricoverato in un ospedale di New York dove infine muore, è evidente che nessun atto criminale è stato commesso a New York solo perché il corpo è stato successivamente trasportato in quello Stato.). Per prima cosa Claus von Bulow telefonò a sua figlia Cosima. Poi si incontrò con la stampa per esprimere la sua "gratitudine agli avvocati". "Soprattutto", disse, "sono grato ai miei avvocati, è tutto merito loro." Poi lui e Andrea parteciparono a un party d'addio che i giurati -esausti- stavano dando. Il procuratore commentò acidamente, ma non ufficialmente, la gestione del processo da parte del giudice Grande, insinuando che il suo comportamento era motivato da "ambizioni di carriera". Quando il giudice Grande diede l'addio agli avvocati non del posto disse:"Siete sempre i benvenuti purché", aggiunse con un sorriso, "Jack Sheehan sia dei vostri". Ancora il Rhode Island Shuffle. PARTE IV LE CONSEGUENZE: SPESE E RIVINCITE

19. GIURIA CONTRO GIURIA Il giorno dopo che il verdetto era stato reso di pubblico dominio, uno dei giurati, una dirigente di mezza età di nome Rose Carlos, diede modo al pubblico di farsi un'idea di quelle che erano state le discussioni segrete della giuria che aveva giudicato von Bulow. "Uno degli elementi decisivi", disse a un intervistatore, "è stato quanto detto dalla governante e da altri circa la scoperta della borsa nera ." Spiegò come l'accusa avesse cercato di convincere la giuria a credere che Maria e Alex avevano trovato l'insulina e non l'avevano detto a nessuno! "Suo figlio non ha fatto niente. Non mi convince... la governante corre da lui a dirgli che ha trovato dell'insulina... E'sua madre e lui non fa nulla? Non mi convince affatto. Assolutamente. Gli ha dato solo un'occhiata?" Un altro giurato concordò sul fatto che "c'erano molti punti poco chiari". La tesi dell'accusa "semplicemente non stava in piedi... era sconnessa". Anche uno dei giurati di riserva disse di avere avuto dei dubbi sul resoconto di Maria del suo ritrovamento dell'insulina nella borsa nera. Quando la mia équipe sentì e lesse le interviste ai membri della giuria, sentimmo di aver fatto le scelte giuste. Il materiale che eravamo riusciti a ottenere nel ricorso - gli appunti di Kuh - era stato determinante. La deposizione di Maria Schrallhammer era stata decisiva in entrambi i processi. Al primo processo, senza l'apporto del testo dei primi incontri con Kuh, la giuria le aveva creduto; al secondo, la giuria non si era lasciata convincere dal suo resoconto molto più contraddittorio e soprattutto dalla sua affermazione di aver trovato l'insulina e di averla mostrata ad Alex, anche se nessuno dei due ne aveva fatto poi cenno finché la teoria dell'insulina non aveva cominciato a delinearsi. Al secondo processo questo fu uno dei punti centrali e la risposta dei giurati era stata:"Non ci crediamo". Mi chiedevo cosa stese pensando ora Richard Kuh della sua pretesa che non un "rigo" conteneva elementi che potessero "anche lontanamente contribuire a discolpare l'imputato". Erano stati proprio i suoi appunti a fare la differenza fra la condanna e l'assoluzione. Claus era convinto che fossero stati gli appunti a dargli la libertà. In un'intervista il giorno del verdetto, venne chiesto a claus se pensasse che "Maria avesse inventato il fatto di aver trovato l'insulina nella borsa nera". Questa fu la risposta: Le risponderò rinviandola agli appunti di Kuh... Gli appunti di Kuh sono stati un elemento assolutamente essenziale per screditare testimonianze su quello che era stato visto a novembre e a dicembre, quando Maria Schrallhammer disse di aver visto l'insulina, le siringhe, gli aghi e gli altri farmaci nella borsa nera. E questo è il motivo per il quale Kuh si è opposto alla loro consegna... Io penso che la preparazione di un testimone per la deposizione è spesso una sorta di addestramento. Questo è il motivo per il quale gli appunti presi al momento sono così importanti.

Il verdetto della seconda giuria ci diede ragione, a mio parere, anche sulla questione del ricorso. Troppo spesso sentiamo dire dai più alti funzionari governativi che le nostre corti d'appello respingono delle prove solo sulla base di cavilli giuridici. Questa accusa venne formulata più volte nei confronti dell'annullamento del verdetto contro von Bulow da parte della Corte Suprema del Rhode Island. Il "Washington Post", il "Philadelphia Inquirer", il "New York Times", e il settimanale "People", tra gli altri, scrissero che l'annullamento della sentenza era avvenuto "su basi tecniche", su formalismi e "sofismi". La parola "tecnicismi" evoca l'immagine di una forma senza sostanza, di una norma irrilevante, di un risultato inutile. Insomma, si voleva dire chela corte aveva annullato la condanna di un colpevole solo in ossequio a principi astratti che non avevano nulla a che vedere con l'equità o con la possibilità che un innocente venisse condannato. qualche volta ciò può essere vero. Quando una condanna è annullata - e non accade spesso - perché delle prove indiscutibili sono state ottenute in violazione al quarto emendamento, lo scopo della corte non è di mettere in discussione la colpevolezza dell'accusato, ma di mandare un messaggio a coloro che devono far rispettare la legge e il cui comportamento scorretto può essere pregiudizievole per altri cittadini che forse sono innocenti. In un gran numero di ricorsi accolti però, oserei dire la maggioranza, i giudici hanno tenuto presente, implicitamente o no, la colpevolezza o l'innocenza di fatto e la correttezza sostanziale del verdetto. Il ricorso accolto nel caso von Bulow riflette chiaramente questo tipo di preoccupazione. come la maggioranza della corte ha riconosciuto, "l'uso selettivo degli appunti di Kuh" non si può dire che "sia andato incontro agli interessi generali della società o dell'imputato nel rispondere in modo equo e preciso alla domanda sulla sua innocenza o colpevolezza". Quando riuscimmo ad avere accesso a questi appunti il processo fu certamente più completo e giusto. Anche se uno dei motivi che indussero la Corte Suprema ad accettare il ricorso fu il fatto che la polizia non aveva ottenuto un mandato per l'esame delle pillole, sono sicuro che la corte si sia lasciata persuadere da preoccupazioni più sostanziali sul mistero che circondava la borsa nera, i dubbi su quello che era stato visto, il suo sequestro frettoloso e il fatto che questa prova era stata maneggiata in modo disinvolto. Sono questi i punti sui quali avevamo insistito durante il ricorso. Durante tutto il ricorso noi avevamo insistito sul fatto che, se ci fosse stata concessa una seconda possibilità, avremmo dimostrato che Claus von Bulow era innocente. Alla fine riuscimmo a provare che vi erano ragionevoli dubbi sulla sua colpevolezza. Questo è tutto quello che un difensore può ottenere nel nostro sistema giuridico. In realtà, i giurati che vennero intervistati sembravano avere qualcosa di più che un ragionevole dubbio sulle tesi dell'accusa: semplicemente non ci avevano affatto creduto. Il giudice Grande che aveva parlato coi giurati dopo il verdetto commentò dicendo che "la giuria non h a evidentemente avuto particolari problemi a nel giungere a una decisione". Il portavoce della giuria, pur rifiutando di fare commenti in merito al caso, disse che effettivamente era stato un verdetto rapido. Il caso von bulow non venne semplicemente chiuso; la difesa ottenne una vittoria decisiva. Del resto la stessa cosa era accaduta al p rimo processo, il che è paradossale. Sarebbe interessante capire perché mai due processi che riguardano la stessa persona e lo stesso crimine possano concludersi con esiti diametralmente opposti. Coloro che criticano il secondo verdetto richiamano l'attenzione su quegli elementi di prova che furono ammessi al primo processo ma esclusi dal secondo: la testimonianza del banchiere sui moventi finanziari di Claus ; la lettera di Claus "per mettere le mani avanti" indirizzata al dottor Gailitis; il fatto che Claus avesse praticato iniezioni di vitamine a sua moglie nel 1969 e infine la testimonianza medica puramente speculativa circa le ferite e una possibile lotta. Almeno altrettanto importanti furono le prove non ammesse al rimo processo menzionate al secondo: il fatto che Maria e Alex non avessero menzionato le siringhe e l'insulina a Kuh nei primi incontri,. il piano per "comprare" Claus, la determinazione di Alex a non rinunciare a nessun costo a Clarendon Court, l'aver impedito al dottor Gailitis di esprimere la sua opinione, secondo la quale il coma non era stato provocato dall'insulina. Di grande importanza anche gli elementi di carattere medico emersi dopo il primo processo , durante la preparazione del ricorso e quindi utilizzati durante il secondo processo: l'opinione dell'esperto sul fatto che l'ago non era mai stato iniettato a Sunny, la scarsa affidabilità dei dati sull'insulina nell'organismo di Sunny e il parere di molti tra i principali esperti mondiali che ritenevano che i due coma non fossero provocati dall'insulina. Mi sembra ragionevole concludere che la spettacolare differenza nell'esito dei due processi è dipesa più da quello che i giurati hanno avuto di nuovo a disposizione che da quello che è stato tenuto loto nascosto. Il giudice Grande, che è stato messo a conoscenza di tutti gli elementi , anche di quelli che ha poi deciso di non comunicare ai giurati, pare abbia detto ad alcuni suoi colleghi che non era neanche un caso incerto:"Semplicemente non era colpevole. Non vi sono incertezze". Per dirla con altre parole, la giuria ha dichiarato Claus von Bulow "assolto per non aver commesso il fatto". La giustizia è un processo dinamico oltre che un risultato. In questa vicenda la fase del ricorso è stata importante. Io credo che, tutto sommato, il secondo processo abbia dato della vicenda un'immagine molto più completa. Se il risultato finale sia stato più o meno giusto, è un problema che continuerà a sollevare discussioni, soprattutto alla luce della decisione di Claus von Bulow di non presentare la sua verità alla giuria. Secondo il nostro sistema, Claus non è obbligato a raccontare la sua versione. Fino a oggi , quindi, egli ha risposto solo ad alcune precise domande (von Bulow ha infatti risposto alle domande che gli sono state poste dalla polizia del Rhode Island prima della sua incriminazione. la pubblica accusa è riuscita a ottenere che queste risposte non venissero rese note alla giuria poiché si trattava di un'autodifesa.). forse un giorno Claus deciderà di raccontare per intero la sua storia, ma questo accadrà perché sarà stato lui a volerlo e non perché costretto sotto giuramento o soggetto a controinterrogatorio. Se e quando Claus deciderà di parlare, sentirò la sua versione con molto interesse perché, anche se credo che sia innocente, sospetto che non ci sia stata detta tutta la verità. Nel nostro sistema giuridico, la storia "legale" non mai l'intera storia. Alcuni dei risvolti più appassionanti rimangono ignoti, ed è giusto che sia così. Quando si processa un cittadino, bisogna conformarsi a dei criteri di rilevanza, rispetto della privacy e correttezza. Naturalmente il risultato è che la pellicola subisce dei tagli rispetto a tutto il materiale offerto dalla vita reale. solo Claus von Bulow conosce tutta l verità di quello che lo riguarda, e la legge non lo obbliga a raccontare quello che veramente accadde durante quei due giorni a Newport. anche in questo, come in molti altri casi giudiziari, la legge non risponderà mai alla domanda"chi e stato?" oppure "è stato veramente commesso un crimine?". Come abbiamo sostenuto durante il nostro ricorso, "l'attribuzione della colpa nel nostro sistema giudiziario" non è "né un test a più scelte", né "una disputa tra l'accusa e la difesa sulla verità o la falsità". E'un meccanismo imperfetto per stabilire se un imputato debba essere condannato o meno per i crimini di cui è accusato. La finalità di ogni sistema giudiziario è decidere su una base probabilistica e mai di certezza cosa fare di un individuo accusato di aver commesso un delitto. In qualche paese basta che ci sia un sospetto, in altri occorre chela colpa dell'accusato venga provata da prove schiaccianti. Negli Stati Uniti d'America l'imputato non può essere condannato se la sua colpa non è provata oltre ogni ragionevole dubbio. Questo implica che in America alcuni colpevoli vengano assolti anche se gli elementi a loro carico sono risultati più forti di quelli a loro favore. Anche se il nostro sistema giudiziario va orgoglioso di questa esigenza di super certezza, molti americani non riescono a capire perché il dubbio debba andare a favore di coloro che sono accusati di un crimine. E le vittime? Non sarebbe meglio che alcuni innocenti finissero in prigione piuttosto che alcune persone rimangano vittime di crimini? La storia insegna, però, che nei paesi dove vengono calpestati i diritti degli imputati, vengono anche calpestati i diritti delle vittime del crimine. Un paese democratico si distingue da uno oppressivo proprio per il modo in cui tratta tutti i suoi cittadini, siano vittime dell'ingiustizia o di atti criminali, E i principi del ragionevole dubbio e di un giusto processo sono tra i segni di una vera democrazia. Concedere il beneficio del dubbio a un accusato può sembrare un prezzo alto per la democrazia, ma preferiremmo forse vivere in un paese dove chiunque può essere imprigionato arbitrariamente per volontà di chi detiene il potere? (Questa sembra essere la soluzione del ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Edwin Meese, il quale ha di recente affermato che "chi è innocente non solleva molti sospetti. E'una contraddizione. Se una persona non ha commesso nulla, nessuno la sospetta.") 20. CHI HA INCASTRATO CLAUS VON BULOW? Fin dall'inizio, sul caso von Bulow aleggiò il sospetto di una macchinazione. Durante il primo processo, Sheehan aveva suggerito parlando con la stampa che "Kuh o il suo troppo zelante investigatore potessero aver sistemato loro l'ago con l'insulina". Kuh smentì l'accusa definendola "oltraggiosa" e l'investigatore "rifiutò di fare alcun commento". Nella sua arringa conclusiva il procuratore Famiglietti invitò retoricamente i giurati ad "assolvere senz'altro" Claus, se avessero pensato che fosse stato "incastrato" e il contenuto della borsa nera "inquinato". La prima giuria ovviamente respinse questa ipotesi. Poco dopo il mio ingresso nel caso, cominciai anch'io a sospettare che le prove fossero state "corrette" per rendere più probabile una condanna. Più andavo a fondo in questa faccenda, più mi convincevo di avere a che fare con una macchinazione di tipo piuttosto insolito. Sospettai che vari membri della famiglia von Bulow credessero in buona fede, anche se erroneamente , che Claus avesse tentato di uccidere Sunny. Credevano anche però che claus fosse troppo abile per lasciarsi prendere e che sarebbe riuscito a cavarsela nel secondo tentativo così come c'era riuscito nel primo. Il patrigno di Sunny, Russel Aitken - un appassionato di caccia grossa che Claus giudicava capace di un tentativo di incastrarlo - riassunse per Domink Dunne, un giornalista di "Vanity Fair", quel misto di paura e disprezzo che la famiglia di Sunny provava per Claus dopo il secondo come, descrivendo Claus come "un uomo estremamente pericoloso, un mascalzone che ha studiato legge a Cambridge. E'completamente amorale, famelico come lupo e freddo come un serprendente, e chiedo scusa ai serpenti". Arrivai alla conclusione che, per impedire quella che si credeva una grande ingiustizia, qualcuno potesse aver inquinato le prove fisiche e riaggiustato i propri ricordi. Era possibile che gli oggetti fossero stati riposizionati e la concatenazione degli avvenimenti ricostruita a posteriori, mentre anche i ricordi subivano dei riaggiustamenti. In un caso come questo qualsiasi minimo cambiamento nel modo di presentare i fatti poteva suggerire l'innocenza o la colpevolezza. Ad esempio, se la boccetta trovata nella borsa avesse contenuto dell'Inderal al posto del Dalmane, allora sarebbe stato più ragionevole dedurre che la borsa apparteneva a Sunny. Se Maria avesse visto una boccetta di Tagamet al posto di una di insulina - si somigliano molto - allora forse l'insulina nella borsa non c'era mai stata, anche se Maria non aveva mentito deliberatamente. La questione era stabilire se questi "aggiustamenti" - sempre che ci siano effettivamente stati - fossero spontanei, inconsci e individuali oppure premeditati, consapevoli e concertati. L'indizio più grave in questa direzione è l'ago incrostato di insulina: è stato appositamente immerso in una soluzione e messo nella borsa? Oppure è stato veramente trovato come Alex e l'investigatore hanno detto? Qualche elemento a favore dell'ipotesi della cospirazione c'è. Il fabbro aveva detto che quando l'investigatore uscì dall'armadio di Claus disse: "Non c'è niente" e le testimonianze medico-legali dicono che molto probabilmente l'ago è stato immerso in una soluzione e certamente non è mai stato usato per fare iniezioni a Sunny. Vi è poi la strana sequenza della memoria così come appare dagli appunti di Kuh. Se Claus von Bulow è stato effettivamente incastrato da qualcuno che era convinto della sua colpevolezza, ciò costituirebbe una delle congiure più notevoli negli annali della criminalità. Non ho mai sentito nulla di simile. Comunque sia, la teoria della macchinazione da parte di qualcuno che credeva nella colpevolezza di Claus divenne l'ipotesi di lavoro sulla quale basare la mia strategia per vincere il caso. Anche se non fossimo riusciti a provarlo, avevamo una teoria coerente sulla quale testare le nostre nuove prove. E'stata questa ipotesi a farmi predire cosa avremmo trovato nelle note di Kuh e a farmi credere nella nostra vittoria, se a Claus fosse stato concesso un nuovo processo. E'difficile provare in modo definitivo un tentativo abile di incastrare qualcuno. Poiché lo scopo di un simile tentativo è la creazione di prove fasulle di colpevolezza, la scoperta di simili prove in circostanze discutibili è spesso "una lama a due tagli", o, come ha detto mio figlio Elon parafrasando Dostoevskij, "un ago a doppia puta", che può confermare l'ipotesi della colpevolezza o quella della macchinazione. Una curiosa storiella che fece seguito all'assoluzione di von Bulow può illustrare questo paradosso. Poco dopo il verdetto, Domink Donne scrisse su "Vanity Fair" che, mentre la giuri era riunita per deliberare, Alex e Ala lo invitarono a stare a Clarendon Court e a visitare il teatro degli avvenimenti per il suo articolo. I due figliastri lo portarono sulla "scena del tentato delitto", la camera dove Sunny ebbe i due coma. ecco quello che vide il giornalista: Sul lato di von Bulow del letto vi è una vecchia fotografia in una cornice d'argento che lo ritrae in una posa curiosa, solenne. Apri la graziosa scatolette sul suo comodino. Era piena di bossoli. Sotti i bossoli vi era una siringa usata." Se questo fosse vero, ciò che il giornalista ha osservato potrebbe essere il più importante elemento di prova dopo il ritrovamento della borsa nera. Si ricordi che il giudice Grande non aveva ammesso che si parlasse delle iniezioni praticate da Claus a Majorca nel 1969, stabilendo che questo episodio era troppo remoto - dieci anni prima del primo coma - per essere rilevante. Se il procuratore fosse venuto a sapere che vi era "una siringa usata nella scatola delle pallottole di Claus" non solo avrebbe potuto produrre come prova quest'elemento e i fatti di Majorca, ma avrebbe anche potuto far analizzare la siringa per cercarvi delle tracce di qualche sostanza. E'però credibile che quest'indizio così importante sia sfuggito alle attente perquisizioni da parte della polizia, della pubblica accusa, di Maria, di Alex, dell'investigatore privato, insomma di tutti coloro che esaminarono con cura "il luogo del delitto" dopo il primo coma? Le risposte possibili sono due: o gli inquirenti dimostrarono un'assoluta incompetenza, o la siringa venne messa nella scatola di Claus dopo che le autorità di polizia ebbero compiuto le loro indagini. Ma a Claus non era stato più permesso risiedere a Clarendon Court, quindi la siringa non poteva averla messa lì lui. Abbiamo perciò due possibilità: o la siringa è stata messa nella scatola inavvertitamente da qualcun altro che ne aveva fatto uso, o è stata sistemata là proprio perché il giornalista, che venne portato nella camera da Alex e Ala, la "scoprisse". Non sapremo mai veramente come sono andate le cose, a questo esempio dimostra che certi elementi possono essere interpretati sia come prove di colpevolezza sia come tentativi di incastrare l'imputato da parte di chi magari lo ritiene veramente colpevole. E'impossibile provare un tentativo di questo genere oltre ogni ragionevole dubbio. Ma questo non significa che non possa essere avvenuto. Una "macchinazione" è una questione di gradi che possono andare dalla modifica della propria testimonianza per armonizzarla con le prove a una vera e propria cospirazione per far condannare un uomo innocente (Cosa curiosa, anche Alex pretende di essere vittima di un tentativo del genere da parte di David Marriott. Un giudice di New York affermò in un'occasione che la polizia era talvolta tentata di "giocare con la verità"). Anche se non c'è stato alcun tentativo di complotto, questo non significa che Claus von Bulow sia colpevole o che il verdetto della seconda giuria non sia corretto. Paradossalmente, anche se si fosse trattato di un "incastro", questo significa che Claus fosse innocente. Simili tentativi distorcono spesso il corso della giustizia anche se non sempre riescono a modificarne l'esito. Se nel caso von Bulow sia stata fatta veramente giustizia, sarà oggetto di discussione per molti anni a venire. Dato che l'unico a poter rispondere a questa domanda è Claus, le ipotesi su quello che è veramente accaduto si molitplicano. Passiamo quindi in rassegna le teorie disponibili sul mercato, oltre a quelle della totale innocenza o della completa colpevolezza: LE TEORIE DEL COMPLOTTO Claus è innocente, ma i suoi figliastri lo credevano veramente colpevole e pensavano che se la sarebbe cavata perché è molto abile, quindi modificarono le prove in un sincero anche se fuorviante tentativo di fare giustizia. Incastrarono un innocente che pensavano fosse colpevole. Una variante di questa teoria prevede invece la colpevolezza di Claus.

LE TEORIE DELLE DUE CAUSE PER I DUE COMA Claus è innocente per quanto riguardi il primo coma, che fu provocato da una combinazione di ipoglicemia reattiva di cui soffriva Sunny e di abuso di dolci, alcool e pillole. quando però venne a sapere della malattia della moglie, Claus decise di iniettarle dell'insulina. Secondo i sostenitori di questa teoria, l'accusa ha commesso un errore nel processarlo anche per il primo coma, mettendo a repentaglio la sua credibilità sulla deboli basi mediche elettive al primo episodio (Sembra che il procuratore avesse in un primo tempo pensato di accusare Claus solo per il secondo coma, ma la quasi certezza del dottor Cahill sul fatto che anche il primo episodio fosse stato provocato dall'insulina convinse Famiglietti ad accusarlo di entrambi i coma.). Claus si è effettivamente comportato in modo riprovevole stando seduto a guardare Sunny che si trovava in stato comatoso da lei stessa indotto - come ha detto Alexandra - ma non era assolutamente responsabile del secondo coma. LA TEORIA DELLA DROGA - "HIGH SOCIETY" Claus ha effettivamente iniettato a sua moglie una combinazione di droghe, ma l'ha fatto con il suo consenso, dato che era un'abitudine, o per stravaganti giochi erotici. Sunny era segretamente tossicodipendente (come ha giurato Capote), si procurava droga anche se non necessariamente attraverso David Marriott. Marriott è forse venuto a sapere di questi traffici dalle sue conoscenze nel mondo della droga e si inventò la parte riguardante il coinvolgimento personale.

LA TEORIA DEL SUICIDIO A CAUSA DI ALEXANDRA Claus e/o Alexandra Isles tentarono deliberatamente o meno di spingere Sunny al suicidio rivelandole la loro tresca. Le lettere d'amore di Alexandra e i suoi regali consegnati all'appartamento di von Bulow prima dell'intossicazione di aspirina di Sunny e del coma finale sono elementi citati a sostegno dell'ipotesi della complicità di Alexandra (Siamo venuti a sapere - anche se questo episodio non è mai stato raccontato al processo - che, qualche ora prima dell'intossicazione da aspirina, Alexandra Isles aveva consegnato al 960 Fifth Avenue, in una borsa della spesa aperta, una serie di lettere d'amore e di regali che Claus le aveva fatto negli ultimi due anni. Il custode confermò di aver recapitato questo pacco che non recava indicazioni riguardo al fatto se dovesse essere consegnato a Claus o a Sunny, in un momento in cui Sunny era in casa e Claus no. Poco prima del viaggio finale a Newport, Alexandra mandò dei regali di Natale a Claus nel suo appartamento. Al processo si accettò l'ipotesi che Sunny non venisse mai a conoscenza di questa seconda consegna. Queste azioni ciniche e deliberate da parte dell'amante amareggiata possono rientrare nella categoria delle "follie che si compiono quando si è innamorati".).

LA TEORIA DEL COMA PREVISTO Claus non ha tentato di uccidere sua moglie, ma piuttosto di provocare il coma, così da poter avere i controllo delle sue ricchezze senza dover sposare Alexandra. Per ottenere un risultato così preciso occorrevano però conoscenze mediche sofisticate e non plausibili in Claus.

Le possibilità e le varianti sono comunque infinite e alcune di queste coinvolgono Maria, i figliastri e altri elementi bizzarri. C'è in circolazione anche una teoria su un misterioso individuo di nome Paul Molitor che viveva in una roulotte a Clarendon Court e che apparentemente si suicidò poco dopo il primo processo. Dominik Donne riferì che ...un giovanotto chiamato Paul Molitor venne assunto da Claus von Bulow nel 1979 proveniente dal Chine Trade Museum del Massachusetts per lavorare alla Newport Preservation Society, della quale von Bulow era uno dei responsabili Riuscì a superare oltre 120 concorrenti. Poco dopo il suo arrivo a Newport, von Bulow lo invitò a trasferirsi nella roulette sul terreno di clarendon Court. Molto simpatico, divenne un outsider molto popolare nelle cene di Newport. Al momento del secondo coma si trovava nella casa e gli amici dicono che era estremamente inquieto all'idea di dover testimoniare al primo processo. Non venne convocato, ma una notte - sei mesi dopo - saltò giù dal Newport Bridge. Nell'ambiente di Newport si disse che era stato spinto e che aveva i piedi legati. Indossava una abito da sera.

La verità non sta forse in nessuno di questi scenari ma ha probabilmente il colore grigio dell'indifferenza, piuttosto che il bianco candore dell'innocenza o il nero del delitto. Le armi della giustizia non sono abbastanza sofisticate per poter cogliere le sfumature nelle intenzioni, nelle motivazioni e nei caratteri. Nel teatro di Cechov, nelle storie di Conan Doyle e alla televisione, le cose appaiono più definite: colpevole o innocente, varo o falso, assassinio o suicidio. Ma la giustizia racconta storie di vita vissuta e il dubbio - ragionevole o meno - spesso rimane. Forse il punto di vista più realistico, anche se apparentemente surreale e nichilista, è quello del classico film Rashomon; la legge nel dover decidere i problemi della vita o della morte si trova davanti a situazioni irriducibilmente ambigue. L'oggetto di questo libro è la parte giuridica di tutta questa storia: è una parte importante ma non è l'unica e ho cercato di tener presente la battuta del giudice della Corte Suprema Oliver Wendell Holmes jr a un giovane ipercritico:"Qui si applica la legge, non si fa giustizia". La corte aveva detto l'ultima parola su Claus von Bulow e io credo che il suo giudizio sia stato corretto. Ma i giudici umani sono fallibili e la giustizia umana non è il giudizio universale. 21. IL DENARO CONTA, MA NON E'TUTTO Strettamente legata alla domanda se Claus avesse ricevuto giustizia vi è quella sul ruolo che il denaro ha avuto in questo caso e nel sistema giudiziario americano in generale. Probabilmente i processo contro Claus von Bulow è stato il più costoso procedimento giudiziario contro un singolo individuo imputato di violenza. sono state avanzate varie stime sul suo costo, ma sono tutte ipotesi. Io so quali sono state le parcelle degli avvocati difensori e ho una certa idea di quello che ricevettero dalle famiglie Aitken e von Auersperg gli avvocati della parte lesa. Non è poi difficile calcolare quello che lo Stato del Rhode Island deve aver speso tra il 1981 e il 1985 per stipendi, testimoni, costi della giuria e altre spese direttamente attribuibili ai processi e al ricorso von Bulow. Secondo stime prudenti e in base agli elementi di cui sono a conoscenza, penso sia ragionevole stimare questi costi in una cifra tra 3,2 e 3,8 milioni di dollari in tutto. diciamo che 3,5 milioni rappresenta un'approssimazione accettabile. La difesa ha speso un po'di più, perché l'accusa ha la possibilità di ricorrere ad alcuni servizi gratuiti, o meglio ad alcuni servizi per i quali è difficile stabilire i costi. Inoltre gli stipendi dello Stato sono più bassi delle tariffe private e quindi l'imputato deve spendere molto più del procuratore. a parte questo, i costi dei servizi e delle collaborazioni utilizzate dall'accusa e dalla difesa sono pressappoco eguali. Le parcelle degli avvocati che parteciparono a questo caso furono del tutto normali. Io naturalmente so con certezza quello che hanno ricevuto gli avvocati della difesa e siamo nella fascia media o medio-bassa per questo genere di casi. Le parcelle degli avvocati per i casi che riguardano dirigenti o società vanno dai 200 ai 350 dollari all'ora per i più esperti e rinomati, ma le tariffe nei casi di droga possono essere molto più alte. Le parcelle di questo caso furono in genere più vicine alla cifra più bassa. I costi totali furono contenuti anche perché gran parte del lavoro è stato svolto da studenti che ricevono 7-10 dollari all'ora al posto dei 50-75 che vengono in genere pagati a giovani avvocati all'inizio della carriera. Durante tutta la vicenda vennero sollevati soprattutto due interrogativi. Per prima cosa ci si è chiesti come Claus von Bulow fosse riuscito a raccogliere il denaro necessario. La seconda domanda, che mi venne rivolta da Ted Koppel a Nightline e da numerosi altri commentatori, era se in America bisognasse dei miliardari per ottenere giustizia. In parole povere, un imputato povero sarebbe riuscito a ottenere la seconda possibilità che venne concessa a von Bulow? Per quanto riguarda la prima domanda, la gente dimentica che, anche se l'enorme ricchezza della coppia von Bulow proveniva innanzi tutto da Sunny, Claus era ricco anche di suo quando si sposò all'età di trentanove anni e durante tutto il periodo del matrimonio non spese denaro suo perché la famiglia viveva del p matrimonio di Sunny. Claus era inoltre piuttosto è parsimonioso per quanto riguardava il bilancio familiare e introdusse delle misure restrittive alla tendenza allo sperpero degli altri membri della famiglia. Ho avuto modo di osservare questa avarizia di Claus durante il caso: mentre staccava assegni per somme enormi destinate agli avvocati, esperti e trascrizioni di documenti, era molto attento a non concedersi la minima stravaganza, mostrando la più grande soddisfazione se riusciva a risparmiare qualche dollaro. Nel luglio 1981, dopo essere stato incriminato, Claus vendette molte delle sue proprietà personali - dipinti, sculture e roba del genere - per far fronte alle spese della sua difesa. Tratto anche con accanimento coi suoi avvocati per tenere bassi i costi legali. Ricorse anche a dei prestiti di amici sia per il milione di dollari della cauzione sia per finanziare il ricorso e il nuovo processo. Robert Lenzer, uno scrittore che aveva intervistato J.Paul Getty jr, ha affermato che il multimiliardario aveva prestato a Claus un milione di dollari era la cauzione e la difesa: Un amico aveva bisogno di aiuto e io ero in grado di darglielo Non gli chiederò nulla in cambio. Gli ho sempre detto che per le parcelle doveva rivolgersi a me, altrimenti sarebbe stato rovinato.

Getty considerava Claus "un amico intimo" e rifiutò sempre nel modo più assoluto di crederlo colpevole: E'ovvio che è innocente ... i figli del primo matrimonio di Sunny [Ala e Alex] e la madre... dei delinquenti, dei veri delinquenti. Non l'hanno ai avuto in simpatia e non volevano che avesse niente. Hanno organizzato tutto Ma come si può lasciare in giro la borsa nera? Come è possibile penare che qualcuno lasci in giro una borsa nera piena di prove compromettenti? Getty si sentiva solidale Claus forse anche perchè sua mogie Talitha era morta, per overdose e Getty era stato sospettato di negligenza omicida in seguito a questa tragedia. Alla fine, comunque ne era uscito completamente scagionato. Nessuno, salvo Claus, può dire con precisione da dove provenissero i fondi di cui ebbe bisogno per la sua costosissima difesa e che certamente andarono ben oltre il milione di dollari di Getty. Comunque, non ebbe altra scelta perché era in gioco la sua vita, e le risorse sulle quali poteva contare la controparte era virtualmente illimitate. Mentre Claus von Bulow riuscì forse a raccogliere un milione e mezzo di dollari per la sua difesa, gli Aitken e i von Auersperg avevano a loro disposizione centinaia di milioni di dollari. Ed erano assolutamente decisi a provare che Claus aveva cercato di uccidere la loro amata Sunny. Oltre a finanziare le prime indagini - perquisizioni, esami di laboratorio, memorandum legali, interrogatori e testimoni, rapporti investigativi - la famiglia ebbe un ruolo rimario nella preparazione delle testimonianze mediche. Assoldarono, senza nessuna spesa per la pubblica accusa, un eminente giurista, William Curran, autore di un testo classico Law Medicine and Forensic Science. Curran contribuì scegliendo, interrogando e incoraggiando la maggior parte dei testimoni medici dell'accusa. Gli avvocati della famiglia inoltre selezionarono e prepararono molti dei testimoni a carico non medici. Ma il denaro della famiglia non era servito solo a finanziare direttamente l'attività del procuratore. Venne anche utilizzato per impedire che Claus riuscisse a trovare aiuti per la sua difesa. Molti testimoni potenziali mi dissero che erano stati minacciati di ostracismo sociale se avessero sostenuto - o testimoniato - a favore di Claus. Per far vedere che non scherzavano, gli Aitken depennarono Cosima - la sola figlia di Claus e Sonny - dal testamento della signora Aitken, proprio perché la ragazza, allora sedicenne, si era schierata a fianco del padre durante il suo calvario legale, pur continuando ad amare profondamente la madre in coma. Quest'atto di insubordinazione costò alla giovane Cosima circa 30 milioni di dollari e fece guadagnare ai suoi fratellastri circa 15 milioni di dollari a testa. La signora Aitken morì infatti dopo il primo processo lasciando Cosima diseredata. Merita di essere ricordato a suo onore che Cosima non si lasciò comprare e sostenne sempre suo padre. Non c'è dubbio che mai nella storia recente una singola famiglia ha fatto tanto per aiutare il procuratore nell'ottenere una condanna di un singolo imputato. Claus von Bulow non solo ha dovuto combattere contro il procuratore generale di uno Stato, già di per sé un avversario formidabile, ma contro le forze riunite del procuratore e della famiglia che costituiva da sola un piccolo Stato. Come se non bastasse, questa famiglia, trattandosi di privati non soggetti alle restrizioni dei funzionari governativi, poteva fare cose che il procuratore non avrebbe mai potuto fare: compiere indagini senza mandati, eliminare prove a discarico, minacciare subdolamente i testimoni, ingaggiare un esperto di pubbliche relazioni e intraprendere altre azioni che non sono state ancora rese note e che forse, essendo iniziative private, non lo sapremo mai. Un caso unico, dunque, perla sua natura trilaterale - procuratore, imputato e accusa privata - dove due delle parti si coalizzarono contro la terza. In un caso simile, la risposta della seconda domanda - se un imputato debba essere milionario per ottenere giustizia - sembra chiara:solo una persona con grandi disponibilità avrebbe potuto far fronte agli attacchi della pubblica accusa e di una famiglia come gli Aitken-von Auersperg. Il proverbiale "maggiordomo", se fosse stato accusato di aver praticato lui le iniezioni, se la sarebbe vista brutta. Secondo la nostra Costituzione al maggiordomo sarebbe stata data una difesa d'ufficio. (Se non fosse stato abbastanza povero, avrebbe potuto spendere i suoi magri risparmi per procurarsi l'avvocato che poteva permettersi. Un famigerato giudice di Boston era solito dire agli imputati che disponevano solo di un centinaio di dollari: "Va bene, vai a cercarti un avvocato da cento dollari".) Il modo in cui vengono assegnati gli avvocati difensori varia comunque da Stato a Stato. Alcuni stati dispongono di eccellenti avvocati d'ufficio, giovani aggressivi con un'ottima preparazione alle spalle. Anche se in genere non vengono pagati molto, almeno in confronto agli avvocati privati, guadagnano però circa quanto i loro colleghi della pubblica accusa, anche se la loro funzione non è un trampolino di lancio perla carriera politica come avviene nel caso del procuratore. Nei pochi stati dove il diritto di accesso alla giustizia è preso sul serio, il difensore d'ufficio dispone anche di alcune facilitazioni investigative grazie ad agenti della polizia o dell'FBI in pensione. I bilanci sono qcomuque scarsi e le risorse devono essere ripartite fra le molte centinaia di indigenti che vengono assistiti. Se il nostro ipotetico maggiordomo fosse stato incriminato in uno di questi stati, forse i suoi avvocati avrebbero potuto misurarsi con le forze della pubblica accusa e di una famiglia ricca, ma anche in questo caso il maggiordomo non avrebbe potuto permettersi i periti medici che sono stati mobilitati dalla difesa nel caso von Bulow. I bilanci degli avvocati d'ufficio non consentono di far venire in aereo degli esperti di fama mondiale da contrapporre agli esperti altrettanto rinomati come quelli messi in campo dell'accusa e dalla famiglia nel caso von Bulow. Inoltre, anche i periti che non chiedono un rimborso per il loro tempo sarebbero molto restii a mettere il proprio talento al servizio di un oscuro imputato in un caso che non sarebbe stato i caso del decennio, costantemente sotto ai riflettori come era stato il caso von Bulow. Gli stati e le città che non dispongono di questo tipo di difensori d'ufficio, in genere assegnano semplicemente all'imputato uno degli avvocati sulla piazza. quello che un avvocato riceve per questo genere di prestazione è spesso una frazione irrisoria rispetto a quello che guadagna nei casi più redditizi. Le tariffe orarie sono molto basse e, cosa ancora più importante, spesso viene fissato un massimale per l'intero caso. In un caso lungo e complesso come il caso von Bulow, questo significherebbe pochi centesimi all'ora. E'normale quindi che molti avvocati per affibbiargli uno di questi casi. Se un caso fa scalpore - uno di quei casi che fanno la fama di un avvocato - gli avvocati possono sgomitare per prendervi parte, ma se il caso è invece fatto apposta per distruggere una reputazione o semplicemente è troppo anonimo, il desiderio di sprecare il proprio tempo quasi gratis è molto scarso. Anche qualora un abile avvocato volesse farsi coinvolgere in un caso del tipo von Bulow, in cui l'imputato fosse però il maggiordomo, non avrebbe nessuna possibilità di assicurarsi l'appoggio investigativo e gli esperti necessari. Di recente la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che se un imputato in un processo penale chiede l'infermità mentale, lo Stato deve fornirgli un minimo di supporto psichiatrico per aiutarlo a stabilire la validità di questa sua affermazione. Siamo però ancora molto lontani dal massiccio supporto medico che i genitori riuscirono ad assicurare a John Hinckley. Molti degli imputati avrebbero inoltre bisogno di indagini, esperti balistici, analisi di laboratorio, perizie e altre cose di questo genere che non vengono messe a disposizione degli imputati non abbienti. Durante il primo processo, ma non nel secondo, ad esempio, la difesa incaricò una società di ricerche sociologiche specializzate in ricerche sui potenziali giurati di contribuire alla selezione di una giuria che non fosse pregiudizialmente favorevole - come accade spesso - all'accusa. Alcuni avvocati difensori considerano questo tipo di aiuti come essenziali per controbilanciare i vantaggi di cui gode di solito l'accusa nella selezione della giuria. Un imputato povero - o semplicemente non particolarmente ricco - non potrebbe assolutamente permettersi simili lussi giudiziari. Quello di cui allora bisognerebbe stupirsi è come nella giustizia americana molti imputati indigenti riescano tuttavia ad avere una difesa decente. Quando ci riescono, questo avviene soprattutto malgrado e non certo per merito del sistema di difesa d'ufficio pubblico. il merito è soprattutto di quegli avvocati che non considerano la loro parcella come l'aspetto più interessante del caso. Quando un ricco esce vittorioso da un processo, immediatamente si apre la polemica sull'iniquità del nostro sistema giudiziario. La cosa è curiosa. In effetti il sistema è iniquo, ma non perché un ricco vince, ma perché troppo spesso i poveri o la gente comune non possono ottenere giustizia. L'assoluzione di un ricco non dovrebbe essere l'occasione per chiedere meno risorse per coloro che possono comunque permettersele, ma più risorse messe a disposizione di chi è in situazione di bisogno. Quando il ministro della Giustizia Edwin Meese chiese al governo federale di pagare il conto dei suoi avvocati per un totale di 700.000 dollari - era stato accusato di aver ricevuto del denaro per garantire dei posti governativi - il problema non stava tanto nel fatto che gli avvvocati di Meese avessero messo fuori delle parcelle da 250 dollari l'ora, dato che seppero guadagnarsi col loro eccellente lavoro ogni centesimo che presero. Lo scandalo sta nel fatto che lo stesso Meese che chiedeva 250 dollari all'ora per i suoi avvocati insisteva che la tariffa per gli avvocati d'ufficio fosse di 75 dollari all'ora con un massimale per processo, anche nel caso di reati più gravi. In un corsivo velenoso a commento della decisione del giudice Needham di concedere a von Bulow la libertà su cauzione, Jeremiah Murphy del "Boston Globe" attaccò i due pesi e le due misure che la giustizia adottava quando si trattava dei poveri e dei ricchi. La sua critica, però, non centrava il bersaglio giusto. Non era ingiusto che von Bulow rimanesse fuori dal carcere mentre il suo caso era ancora in esame, sarebbe stata certamente una grave ingiustizia se fosse avvenuto il contrario, se cioè fosse stato incarcerato durante i tre anni del nuovo processo che doveva concludersi con la sua assoluzione. Quello che è ingiusto è che alcuni innocenti che non possono permettersi di pagare la cauzione fissata vengano detenuti mentre il loro caso è esaminato dalla corte. Il sistema penale americano, che è certamente fra i più corretti del mondo, ha effettivamente due pesi e due misure per i ricchi e per i poveri, ma una riforma non dovrebbe ridurre i diritti dei rimi, quanto piuttosto aumentare quelli dei secondi. Vari avvocati di mia conoscenza hanno appeso nei loro uffici lo stesso cinico cartello in cui compare un avvocato dietro alla sua scrivania e che chiede al nuovo cliente:"Insomma, quanta giustizia può permettersi?" Un altro mio amico, egualmente cinico, si è espresso in termini un po'diversi:"E'disposto a pagare una tariffa irragionevole per ottenere un ragionevole dubbio?" Siamo ancora lontani da una società dove domande come queste non abbiamo più posto. Sono però ben pochi i paesi che possono vantare una giustizia più giusta, anche fra quelli che a parole sono più preoccupati della giustizia sociale. 22. LA STORIA CONTINUA Un processo, come il pronto soccorso di un ospedale o il ponte a San Luis Rey, riunisce artificialmente delle persone fra loro molto diverse che non si sarebbero altrimenti mai incontrate e i cui destini non si incroceranno più. Quando il processo von Bulow fu concluso, tutti i partecipanti si sparsero ai quattro venti. Il giorno dopo il verdetto, Maria diede le dimissioni dal servizio di ala e si ritirò in Germania. Ala cominciò a lavorare a un film sulle vittime di omicidi e Alex tornò al suo lavoro con E.F.Hutton. Il loro padre, il principe Alfred con Auersperg, si trova anche lui in coma irreversibile a causa di un incidente stradale avvenuto in Europa mentre si trovava con Alex. Comunque i casi così complessi raramente finiscono del tutto al verdetto. C'è tutto uno strascico di querele e processi secondari, recriminazioni e accordi. Questo è vero soprattutto se c'è di mezzo del denaro come nel caso von Bulow. Pochi giorni dopo l'assoluzione, Claus e Andrea partirono per un lungo viaggio in Europa. Domink Dunne riferì su "Vanity Fair" che Claus era pronto a prendersi una vacanza qualunque fosse il verdetto:"Al Mortimer Restaurant, un turista francese ha detto che se Claus fosse stato dichiarato colpevole, era già pronto un piano per farlo espatriare con il jet privato di un ricco texano.". (L'articolo di Dunne è pieno di citazioni vaghe di "amici intimi di von Bulow", "gli amici più stretti", "un'altra donna", "un turista francese", "alcune voci". La vaghezza di questi riferimenti rende incontrollabili molte di queste affermazioni.) L'ex marito di Andrea, Sheldon Reynolds, dichiarò che "se Claus sposerà Andrea, rimpiangerà di non essere stato condannato". Ma né Claus né Andrea pensavano al matrimonio mentre un aereo li portava verso un'ignota località in Italia. Il problema più importante che occupava la mente di Claus sembrava essere chi avrebbe potuto interpretare il suo ruolo in un eventuale film che raccontava la storia deluso caso. "Woody Allen" fu la sua risposta sarcastica a un giornalista che gli poneva questa domanda; poi ripiegò su Robert Duvall. (Oltre ai progetti per riduzioni cinematografiche e televisive della vicenda, E. Howard Hunt, l'imputato condannato per lo scandalo Watergate, sta scrivendo un musical intitolato Beautiful People. Durante il caso vennero anche scritte numerose canzoni diffuse dalle televisioni locali.) La tranquillità di Claus venne però immediatamente turbata da una richiesta di risarcimento di 56 milioni di dollari da parte dei suoi figliastri, Ala e Alex. Dato che il livello di certezza per emettere un verdetto in una causa civile più basso di quello necessario in una causa penale, i due ragazzi pensavano di riuscire a convincere una giuria ad accettare l'ipotesi che il patrigno avesse tentato di uccidere la madre per impadronirsi del suo patrimonio, insomma sarebbe bastata una "preponderanza di indizi" piuttosto che una certezza "oltre ogni ragionevole dubbio". Se mai ci sarà questa causa civile, è probabile che si tratterà di una replica del secondo processo e che il verdetto sarà lo stesso. In realtà, gli elementi in mano alla famiglia sembrano essere ancora più fragili di quelli di cui disponeva l'accusa al processo. Vari testimoni saranno irreperibili e i ricordi ancora più vaghi. Inoltre è chiaro chela giuria del secondo processo ritenne che Claus non avesse affatto praticato iniezioni alla moglie, e non si trattò solo di un "ragionevole dubbio". Ma nel frattempo questo nuovo procedimento costituirà un elemento di disturbo e continuerà a tenere l'attenzione del pubblico concentrata sul caso von Bulow-von Auersperg-Aitken-Kneissl, un conflitto che Claus ha definito una volta "la seconda guerra di successione austriaca". Tra le accuse che vengono rivolte ora a Claus vi è quella di essere implicato in un racket. Secondo la querela, la comatosa Sunny sarebbe stata "un impresa...impegnata nel commercio interstatale". Per una famiglia che ha sempre affermato di non volere pubblicità sembra un passo un po'fuori luogo. Un altro processo secondario che è seguito al caso è quello contro Phiph Magaldi. Due giorni dopo l'assoluzione di Claus, il procuratore generale Violet annunciò ufficialmente che padre Magaldi era stato incriminato per spergiuro e favoreggiamento al fine di ostacolare il corso della giustizia (Violet rifiutò di rilasciare interviste dopo l'assoluzione di von Bulow, affermando che per lei il caso von Bulow era sempre stato un caso come tutti gli altri. Violet aveva anche dichiarato sotto giuramento di essersi occupata di questo caso"come di un qualsiasi altro... e di non avergli dato un'importanza indebita..." Evidentemente si era già scordata del grande clamore con cui aveva annunciato la sua decisione di non archiviare il caso, certamente poco frequente negli altri casi.). L'incriminazione affermava che "l'intero contenuto" dell'affidavit di Magaldi "era stato falsamente costruito e congegnato da Philip Magaldi e David Marriott". David Marriott era indicato come complice ma non venne incriminato avendo ottenuto l'immunità se avesse testimoniato contro il sacerdote. si era ormai al colmo dell'ironia: il testimone che noi avevamo giudicato un bugiardo che però aveva detto la verità circa le consegne di droga a Clarendon Court, veniva ora utilizzato dal procuratore, il quale era anch'esso convinto che si trattasse di un bugiardo, che però poteva dire qualcosa di vero su padre Magaldi Il procuratore disponeva naturalmente dei nastri registrati - in violazione delle leggi del Massachusetts - per sostenere la sua accusa contro Magaldi. Ma come potesse affidassi ancora alla parola di Marriott era cosa che lasciava sbalorditi gli avvocati. E non è affatto chiaro perché il procuratore avesse concesso l'immunità a Marriott, uno spergiuro e un ricattatore confesso. (Il nuovo legale dei von Auerspeg-Kneissl annunciò immediatamente che l'incriminazione contro padre Magaldi costituiva una "prova" del fatto che Claus von Bulow era coinvolto in una campagna di diffamazione contro i suoi clienti. Un incriminazioni, ovviamente, non prova nulla, è solo un'accusa. Inoltre questa incriminazione non indica che Claus fosse a conoscenza della falsità delle affermazioni contenute negli affidavit, anzi, i nastri dimostrano che ne era all'oscuro.) Quello che era ancora poco chiaro era la natura del rapporto fra Marriott e Magaldi. S effettivamente padre Magaldi ha mentito nel suo affidavit, sembra probabile che sia stato costretto a farlo da Marriott. Ma di quale arma di pressione disponeva Marriott per indurre il sacerdote a correre il rischio di essere incriminato per spergiuro? Le ipotesi partivano dal nastro in cui Marriott era riuscito a far ammettere al sacerdote che si erano già conosciuti prima e padre Magaldi si faceva chiamare "Paul Marino". L'accusa affermava che si erano conosciuti in una "stazione di autobus a Boston" e che Marriott aveva saputo solo dopo un certo tempo che "Paul marino" era un sacerdote. Il prete aveva una vita segreta? Aveva una relazione sessuale con Marriott? Padre Magaldi respingeva ogni accusa e affermava che Marriott l'aveva ingannato. Cinquemila parrocchiani del Rhode Island inviarono una petizione all'ex monaca Arlene Violet invitandola alla clemenza. In questa petizione padre Magaldi veniva descritto come "onesto, sincero e credibile" e avvertiva minacciosamente che i firmatari "in coscienza non avrebbero più potuto votare ancora per lei" se il caso fosse stato portato avanti. L'ufficio di Violet comunicò che si sarebbe andati fino in fondo "senza considerare l'impopolarità o la perdita di voti cui si andava incontro". Dopo il secondo processo, il procuratore generale Violet silurò Henry Gemma, procuratore, perché aveva rifiutato di ammettere chela sua visita all'abitazione in Florida di un individuo sotto inchiesta appariva poco opportuna. Violet dichiarò:"Non posso avere come procuratore... qualcuno che non comprende come il pubblico abbia il diritto di sperare e di credere che i funzionari della pubblica accusa non abbiano rapporti personali o di affari con individui sotto inchiesta da parte del loro ufficio". Poco dopo il siluramento di Gemma, DeSisto, l'altro pubblico accusatore di von Bulow, rassegnò le dimissioni per passare alla libera professione. Pochi mesi più tardi, una rivista locale accusò Violet di essere venuta meno ai propri rigorosi criteri morali avendo tenuto una riunione per finanziare la propria campagna elettorale nel 1984 in una casa di un uomo che era stato condannato nel 1969 per aver tentato di avviare alla prostituzione una sedicenne. Violet affermò di non ricordare di avere effettivamente partecipato a questa riunione, ma il personaggio in questione disse che aveva trascorso almeno una mezz'ora in casa sua. Violet rifiutò anche ogni paragone tra questa sua disavventura e il caso di Gemma:"In quanto candidato, io non disponevo di alcuna informazione su quell'individuo". La vicenda riempì i giornali di Providence. Nel frattempo, durante il secondo processo von Bulow, stava svolgendosi anche l'inchiesta sui rapporti del presidente della Corte Suprema del Rhode Island col crimine organizzato. Un'inchiesta condotta dall'ex giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Arthur Goldberg per il quale avevo lavorato come assistente, e che a detta di molti "solleva interrogativi sulla qualità complessiva dell'amministrazione della giustizia nello Stato". alla fine il presidente Joseph A. Bevilacqua ricevete una censura e dovette accettare una sospensione di quattro mesi. Il giudice Goldberg definì la censura pubblica come "la più drastica sanzione disciplinare miei imposta contro un giudice" oggetto di un'inchiesta disciplinare. (IN considerazione delle critiche mosse all'operato del giudice Bevilacqua, mi sembra opportuno rivelare che non era lui la fonte delle indiscrezioni sul ricorso in esame.) La correttezza dell'amministrazione della giustizia nel Rhode Island è oggetto ancora oggi di molti dubbi, e, malgrado l'esito favorevole del processo von Bulow, l'autore di questo libro è tra coloro che condividono questi dubbi. Mentre questo libro si avvicina alla fine, in una splendida giornata di sole a Martha Vineyard, rimane ancora un filo pendente nell'arazzo del caso von Bulow. Mentre si avvicina il quinto anniversario del coma di Sunny, Claus ha ripreso le sue visite nella stanza d'ospedale. Ha inoltre annunciato che si trasferirà in Europa, anche se prevede di ritornare periodicamente in America per seguire i processi civili e perché sia resa giustizia a Cosima. Quale sia l'esito del processo civile, Claus per la legge sarà sempre innocente. Claus ha riavuto la sua innocenza. Sunny invece non si riprenderà più, il suo coma è definitivo. Il processo dello Stato del Rhode Island a Claus von Bulow continuerà ad affascinare, inquietare, a indignare e anche a divertire milioni di persone che hanno letto, visto e sentito questo coinvolgente viaggio dalla colpevolezza all'innocenza. EPILOGO Mentre le bozze di questo libro venivano inviate in tipografia per la revisione finale, la stampa e la rilegatura, l'editore ricevette una serie di comunicazioni legali a nome di Alexander, Ala, Richard Kuh, William Wright e del comitato per Sunny. Pareva proprio un tentativo ben coordinato di Alexander e Ala per impedirne la pubblicazione. Pochi mesi prima David Marriott ci disse che si era procurato un esemplare delle bozze e minacciò di "diffonderlo ovunque" se non avessi mutato alcuni particolari. I legali di Alex e Ala non rivelano come si fossero procurati il manoscritto di contrabbando, ma riconobbero che ne avevano tratto alcune copie e le avevano inviate a Kuh e ad altre persone citate nel testo. Michael Armstrong, l'avvocato di Alexander e Ala, ci disse, durante un incontro durato tutta una giornata, che il loro scopo era impedire la pubblicazione, se fosse stato possibile. Armstrong accettò di farci sentire i nastri che Marriott aveva registrato di nascosto durante le conversazioni con me, e alcuni brani di quelle con padre Magaldi. Mi dissi disposto ad ascoltarli senza pregiudizi e che ero lieto di poter ascoltare o veder qualunque cosa che potesse rendere più preciso il contenuto del libro. Ascoltando i nastri delle conversazioni di Marriott con me, arrivai ad apprezzare le avvincenti divagazioni di Claus a proposito di vini e castelli. Riuscivo infatti ad essere anche più noioso di lui con le mie assicurazioni che "il mio unico interesse era fare in modo che la verità saltasse fuori" e che non ci sarebbe stata "comunque nessuna falsa testimonianza". I nastri Marriott-Magaldi raccontavano invece un'altra storia. Sembrava infatti trovare una conferma che Marriott si fosse inventato la storia della consegna di droga ad Alexander. Marriott sembrava affermarlo, anche se il contesto non era sempre chiaro.(In base al loro stesso contenuto, risulta evidente che alcuni di questi nastri furono registrati nel Massachusetts, dove è reato "registrare segretamente" delle conversazioni. Nel Massachusetts è anche reato rivelare il contenuto di queste registrazioni abusive; per questa ragione non possiamo pubblicare la trascrizione. Sembra che le autorità del Rhode Island intendano rendere note queste registrazioni al processo contro padre magaldi. Questo porre interessanti problemi giuridici.) Una conclusione comunque si impone. Nulla di ciò che Marriott ha detto o dice - a proposito di consegne di droga, di Claus von Bulow o di qualsiasi altro argomento - dovrebbe essere creduto. Qualsiasi affermazione di Marriott che non possa essere controllata indipendentemente dovrebbe essere semplicemente ignorata. Noi e altri che gli abbiamo creduto, siamo stati semplicemente raggirati da questo virtuoso della menzogna. La carriera di truffatore di Marriott non è certo terminata quando ha cambiato bandiera. Verso la fine del nostro incontro, uno degli avvocati di Alexander e Ala ci mostrò una fotocopia di un "nuovo "documento che era sicuro non avessimo mai visto. Non si sbagliava. La pagina scritta a mano era un affidavit che Marriott aveva fatto autenticare da un notaio il 15 agosto del 1983, solo dieci giorni dopo aver firmato il primo affidavit sulla consegna della droga. Questo documento era diretto "a chi poteva esserne interessato" e attestava che "l'intera storia del mio coinvolgimento nella consegna di droghe a Clarendon Court è falsa". Il nuovo documento appariva chiaramente un falso confezionato di recente, ben dopo la pretesa data di stesura. La migliore prova della sua falsità sta nell'affermazione che "Io[Marriott] ho nastri registrati delle mie conversazioni con claus, Andrea Reynolds e padre magaldi che dimostrano che tutta la vicenda è una messinscena". Ma tutti i nastri di cui io sono a conoscenza hanno date successive al 15 agosto 1983. Dunque, O Marriott mentiva anche in questo affidavit, o l'ha scritto dopo aver effettuato le registrazioni, dalle quali peraltro non risulta alcun coinvolgimento di Claus o Andrea nella questione della droga. David Marriott continua dunque a tentare di imbrogliare chiunque sia disposto a starlo a sentire e a prendere per buone le sue bugie. Quando si è preso gioco di noi, le sue menzogne non erano ancora note e il suo racconto era stato confermato da un sacerdote molto stimato. Ma ora la situazione era completamente diversa. Qualunque avvocato resti fede a Marriott - anche se si tratta del procuratore del Rhode Island nel caso di padre Magaldi - lo fa a suo rischio, conoscendo ormai la sua attività di mentitore e di spergiuro. Alexander e Ala non sono riusciti a impedire la pubblicazione di questo libro. (Grazie alle informazioni contenute nelle comunicazioni legali che mi sono state inviate, questo libro ha guadagnato in precisione, e voglio esprimere la mia gratitudine per essere stato messo al corrente di queste informazioni.) I due hanno comunque montato una violenta compagna di stampa per diffamare il loro patrigno. Spero che loro e chiunque dissenta da quanto ho scritto siano disposti a scendere sul terreno della libera competizione delle idee. Il modo migliore per far emergere la verità è che coloro che pretendono di conoscere degli elementi importanti, li sottopongano al giudizio dell'opinione pubblica. I lettori americani sono perfettamente in grado di giudicare su avvenimenti e idee controversi. Non ci resta quindi che lasciare che il dibattito sul caso von Bulow continui, così come è avvenuto per altri casi celebri nella storia della giustizia.

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