Una produzione Tucker Film, DMovie, Cinemazero

Milioni di persone hanno fatto il militare in . “Un paese di primule e caserme” racconta le storie di chi vive e ha vissuto lo sconvolgente abbandono di oltre 100 km2 di aree militari, mostrando per la prima volta cosa ne è rimasto.

“L'enorme disponibilità di strutture militari inutilizzate per effetto del trasferimento o soppressione dei reparti è certamente argomento pregnante per la nostra comunità. Si tratta di un patrimonio che è in continuo degrado con risvolti di incolumità pubblica e ordine pubblico.“ Comunicato stampa del 12 dicembre 2006 del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia

1 Distribuzione: Cinemazero

Regia e fotografia: Diego Clericuzio

Sceneggiatura: Diego Clericuzio, Riccardo Costantini

Soggetto: Diego Clericuzio, Riccardo Costantini, Paolo Fedrigo

Da un’idea di: Paolo Fedrigo, Fabrizio Giraldi

Prodotto da: Tucker Film, DMovie e Cinemazero con il sostegno di ARPA LaREA FVG e il contributo dell'Associazione di Promozione Sociale Città Domani e il sostegno “solidale” (crowdfoundig) di oltre 150 persone.

Sviluppato con il contributo del Fondo Regionale per l'Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia

Montaggio: Diego Clericuzio, Fulvio Burolo

Postproduzione: Fulvio Burolo

Sound Design: Francesco Morosini

Audio: Giulio Squarci, Paolo Babici, Diego Clericuzio, Enrico Basaldella, Davide Morandi, Marco Cecotto

Seconda unità di fotografia: Giulio Squarci, Bruno Beltramini

Filmmaker: Paolo Babici, Paolo Forti, Joel Mrvcic

Consulenza scientifica: Corde Architetti Associati

Durata: 67’

Uscita: 6 maggio 2014

Ufficio Stampa: Cinemazero: Marianita Santarossa Tel: 0434 520404, 333 4224032 [email protected] Per scaricare materiali stampa: www.primulecaserme.it

2 3 SINOSSI:

Un'indagine del Ministero della Difesa ha calcolato che negli anni '60 in Friuli Venezia Giulia una superficie di 102km2 (1.3% del territorio regionale) era occupata da siti militari, dove era stato schierato più del 50% dell’Esercito Italiano, mentre quasi il 50% della regione era influenzato dalle conseguenti servitù. Una densa rete di caserme, polveriere, campi di addestramento e di aviazione fu stesa sull’alto Veneto e su gran parte del Friuli Venezia Giulia con la sola logica della strategia militare. Città, paesi, campagne, valli, montagne, fiumi e mare furono utilizzati come elementi di una mappa: il paesaggio friulano trasformato in un paesaggio strategico. Nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, la situazione geopolitica dell’area cambia rapidamente, l’Italia sceglie di abrogare la leva obbligatoria e nel 2004 cadono anche i confini a est con la Repubblica di Slovenia, diventata indipendente nel 1991.

La dismissione del sistema militare italiano che è seguito a questi cambiamenti ha assunto in Friuli delle proporzioni uniche in tutto il panorama europeo. Un sistema intero collassa, inghiottendo con sé infinite storie, professioni, passioni e lasciando come veri “relitti” caserme disabitate ed enormi opere militari. È come scoprire una nuova stanza a casa propria dopo decenni che vi si vive, una stanza che a volte può rivelare una dimensione pari o quasi a quella della stessa casa. Ma il problema si fa ancora più complesso quando a essere dismessa non è solo una parte di città, ma un intero territorio, non una parte continua, recintata e finita, quanto piuttosto una costellazione di punti sparsi sull'intera superficie regionale. Territori che vivevano – socialmente ed economicamente – in funzione della presenza militare hanno subito una rivoluzione copernicana, in cui è venuto a mancare il loro centro gravitazionale. Aree e insediamenti di grandezza spesso paragonabile e a volte addirittura superiore a quelle dei centri in cui sono inserite, e parti di territorio utilizzate come campi di addestramento dotate di altissimo valore paesaggistico e ambientale sono lasciate al loro destino di degrado, nell’incapacità di affrontare problemi che vanno dalla bonifica e al restauro, dalla demolizione alla ricostruzione.

“Un paese di primule e caserme” ricostruisce la memoria collettiva di tutto questo in un viaggio fra i luoghi e le persone che hanno vissuto, vivono e rappresentano un intero territorio e il suo sfruttamento.

4 NOTE DEGLI AUTORI In un paese dove sono passate tre guerre in meno di un secolo, che ne è delle storie dei singoli, di chi ha vissuto e lavorato con, per, dentro le caserme e nei siti militari? Pasolini scriveva di questa terra come di “un paese di temporali e primule”: oggi si potrebbe dire che resti solo “un paese di primule e caserme”. Siamo partiti da qui per raccontare i risvolti umani di questa militarizzazione, componendo un articolato mosaico di storie.

Il problema dell'abbandono militare prende forma attraverso singole storie e personaggi, uomini e donne che hanno vissuto sulla propria pelle la dismissione delle caserme in modo differente, personale, a seconda della loro professione e condizione, militare o civile che sia. Il pensiero di fondo è stato che ogni mondo contiene infiniti mondi, e il crollo di uno di questi, porta con sé la sparizione degli altri. Abbiamo voluto impedire che, oltre alle caserme, fossero dimenticate e abbandonate anche le storie ricche di umanità delle persone che hanno vissuto l'area più militarizzata d'Europa. Tramite il microcosmo dei personaggi si riesce a percepire la nostra storia e la storia di una regione intera, nota ingiustamente ai più solo per la durezza degli anni della leva obbligatoria, che ha portato qui milioni di ragazzi da ogni parte d’Italia.

Gli spazi militari, le caserme, per loro natura sono luoghi inaccessibili, ma non pensavamo che raccontarli sarebbe stato così complesso. La segretezza che per anni ha coperto i dati cruciali che li riguardano (dimensioni, tipologia, collocazione, sostanze pericolose contenute, funzioni...) ha fatto sì che sia praticamente impossibile avere informazioni definitive al riguardo. Nessuno conosce davvero i dati, e - paradossalmente - noi che siamo persone che si occupano di cinema, ci siamo trovati a saperne molto di più di enti e istituzioni che dovrebbero conoscerne ogni dettaglio. In più, abbiamo riscontrato molto timore a trattare il tema da parte delle amministrazioni, anche locali, che evidentemente preferiscono lasciare che le caserme rimangano in sfacelo, piuttosto che affrontare il gravoso onere di parlarne e forse trovare una buona soluzione.

5 ESTRATTI DALLE INTERVISTE Dai censimenti dei serbatoi interrati e dell’eternit noi non siamo a conoscenza di cosa c’è dentro le caserme. Glauco Spanghero - tecnico di ARPA FVG (sede ) che segue le valutazioni di impatto ambientale e progetti di bonifica, impossibili da pianificare nelle ex caserme perché l’esercito italiano non ha mai reso pubblico un lavoro di mappatura delle aree inquinate da attività militare, perché protetto da segreto militare.

Nel 96’ hanno chiuso la caserma, se ne sono andati tutti, avevo 14 anni. Nel bosco ci sono ancora delle lapidi sopra le quali ognuno di loro ha lasciato dei disegni in ricordo del periodo vissuto assieme. Ho conosciuto degli uomini prima che dei militari. Da lì in poi ho capito che le caserme potevano essere anche altro, non solo freddi avamposti strategici di confine ma soprattutto luoghi da riutilizzare in qualche modo utile alla società. Andrea Subani – Privato che è riuscito a prendere in affitto dal Demanio la Casa del Maresciallo della polveriera di Peteano (GO). 16 km dal confine Est

I paletti di erano di legno, bianchi e rossi, e il confine passava a circa quindici metri da questa recinzione. I soldati jugoslavi di notte spostavano questi paletti modificando la cortina di ferro, ossia il confine della Guerra Fredda. I nostri soldati erano nervosi, volevano reagire a queste provocazioni, allora noi, per tenerli tranquilli, cercavamo lavori pesanti da fargli fare, per tenerli impegnati in modo che non avessero grilli per la testa e gli abbiamo fatto fare la scritta qua sotto, con le pietre, 'Viva l'Italia'. Gen. Mario Aufiero – Una vita passata a difendere la "Soglia di Gorizia” (Monte Sabotino). 15 m dal confine Est

Io facevo il pane ma anche chi aveva il bar, chi aveva il tabacchino per le sigarette o al tempo che si spedivano le cartoline, no? O i fidanzati che scrivevano alle fidanzate, i francobolli o le lettere... i postini che correvano, arrivavano alle caserme con tonnellate di lettere... Quella era una manodopera vera, lì sì che si lavorava! I sacchi di farina erano da quintali, e non da 25 chili come adesso. Claudio Zoppè – fornaio vicino alla caserma di . 27 km dal confine Est

6 GLI AUTORI

Diego Clericuzio Nato nel 1977, Regista e filmmaker. Si distingue per uno sguardo autoriale nel panorama italiano dei video industriali firmando commercials, interpretazioni, suggestioni e video istituzionali per le più grandi industrie italiane ed estere. I suoi video sono stati proiettati a Washington, Miami, New York, Singapore, Sidney, Abu Dhabi, Dubai, Johannesburg, Parigi e Londra. Nel 2010 fonda Dmovie Communication, nel 2014 Dmovie. Come autore di documentari la sua attenzione è rivolta ai comportamenti umani e alla loro evoluzione nella storia e nel presente. I suoi ultimi due titoli sono “Rex, la nave dei record” e “Un paese di primule e caserme” ora in distribuzione.

Riccardo Costantini Nato nel 1978, coordinatore di Cinemazero, operatore culturale per Le Voci dell'Inchiesta e Le giornate del Cinema Muto, è docente di “Didattica degli audiovisivi” presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di , autore di diverse pubblicazioni monografiche sul cinema (Fellini, Bergman, Resnais, Losey, Moretti, Kezich) e di saggi in volumi collettanei.

IL PROGETTO

Tutto il progetto di ricerca, nato nel 2009 da una fotoinchiesta prodotta nell’ambito del festival “Le Voci dell’Inchiesta” di Pordenone, cresciuto nel tempo con collaborazioni di ogni specificità (la storia dei luoghi, la mappatura delle caserme, gli scenari di riconversione, le problematiche ambientali) e la partecipazione di molti cittadini è consultabile al sito www.primelecaserme.it, dove si possono leggere i documenti raccolti, vedere alcune immagini e i possibili scenari di riconversione, entrando nel cuore di una situazione che oggi assume i tratti dell’incredibile.

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