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Padula nel Rapporto di Robert Mallet e l’intervento attuale di restauro della Certosa di S.Lorenzo

Gennaro Miccio Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico delle Province di e Avellino

“Dal paese [Padula] e dai suoi dintorni proseguii per circa un miglio e un quarto in direzione del magnifico monastero della Certosa di S.Lorenzo dove, sia ora, che al mio ritorno dalle zone di sud e di ovest, fui ospitato in modo squisito e degno di nota. Rimasi due giorni fra quelle quiete mura con l’intento di trascrivere sul mio diario di viaggio le mie annotazioni a matita, difficilmente decifrabili, avendo scritto negli ultimi quattro o cinque giorni sotto una pioggia quasi continua; mi fermai anche per esaminare attentamente i molti interessanti danni riporta- ti dal vasto edificio. Durante questo periodo di riposo, soffrii di gonfiori e di forti dolori reu- matici al dorso delle mani, causati dal continuo contatto con l’umidità e il bagnato. Questo nobile vecchio monastero (la cui ampiezza e ricchezza architettonica avrebbero potuto facilmente ospitare della nobiltà, prima che fosse stato saccheggiato e deturpato dal- l’occupazione Francese sotto Murat) è totalmente costruito in bianco calcare della migliore e più dura qualità, proveniente dalle alte monagne vicine, ed è situato su profondi strati argillo- si e ciottoli della piana. […] Tutta la bellezza e la magnificenza delle loro forme architettoni- che e delle loro decorazioni colorate erano ancora evidenti, ma le lacerazioni e gli squarci ricordavano tristemente che la loro gloria era comunque finita. Se fosse stato possibile il restauro delle parti danneggiate, i costi sarebbero risultati così elevati da impedire sicuramen- te l’inizio dei lavori. E così, in pochi anni, gli unici abitanti di questo palazzo cistercense sarebbero diventati i gufi e i pipistrelli.”1

La profezia di Mallet, fortunatamente non si avverò. Tuttavia, la storia dei cento anni successivi dell’antico cenobio certosino di S.Lorenzo in Padula (figura 1) è caratterizzato da abbandoni, spoliazioni e dequalificazione che lo portarono a rischio di totale distruzione. Se oggi questo imponente e prestigioso complesso monumentale è celebrato come uno dei meglio conservati e tra quelli che più di altri sono in grado di offrire molteplici possibilità di utilizzo, ponendosi già da alcuni anni tra i centri di “produ- zione” culturale a livello nazionale ed internazionale, la situazione non era certa- mente così solo circa venti anni addietro. A quel tempo la Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno e Avellino, da poco istituita quale Ufficio periferico dell’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, decise di porre quale obiettivo prioritario delle proprie attività istituzio- nali, per quanto riguarda il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettoni- co affidatole, il restauro e recupero dell’antico cenobio certosino. Con la prima soppressione dei beni appartenuti agli ordini monastici ed eccle- siastici in generale, anche la Certosa subì il primo di una lunga serie di colpi inferti

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fig. 1 Complesso monumentale della Certosa di S.Lorenzo in Padula come si presenta oggi dopo un lungo restauro.

sia da avverse situazioni politiche, sia da eventi naturali. Durante il periodo della Repubblica Francese instauratasi nel regno di Napoli, precisamente nel 1799, i cer- tosini furono cacciati dalla loro Certosa e nel 1807 il convento fu ufficialmente chiu- so e sistematicamente spoliato dei propri beni. Dopo il declino del periodo napoleonico anche i certosini rientrarono a Padula (1816), ma non riuscirono a recuperare il passato splendore. Nel 1839 e anche nel- l’anno seguente il vicino torrente Fabbricato fu protagonista di ripetuti eventi allu- vionali, che causarono notevoli danni alla Certosa, tanto che già Antonio Racioppi nel 1846 la descriveva come un “monastero dove regna l’incuria più totale.”2 Dopo la costituzione dello Stato italiano ed in conseguenza delle rinnovate leggi di soppressione degli ordini ecclesiastici e di acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni a questi appartenenti, i certosini di Padula furono nuovamente cacciati dalla Certosa ed il complesso conventuale venne in massima parte incamerato nel dema- nio dello Stato mentre le fabbriche esterne furono destinate al demanio del comune di Padula. Nel 1867, a fronte di una proposta di un ex procuratore della Certosa di dichiara- re il convento monumento nazionale, proposta volta ad assicurare almeno un minimo di attenzione da parte dei nuovi padroni al complesso conventuale, il Soprintendente Generale e Direttore del Museo Nazionale e degli Scavi di Antichità Giuseppe Fiorelli, così motivava il suo diniego: l’importanza artistica della

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fig. 2 La Certosa di S.Lorenzo in Padula campo di concentramento di prigionieri durante la prima guerra mondiale (Archivio Eredi Generale Francesco Finiguerra).

“è così scemata che non ho creduto di poter annoverare questo edificio tra quelli con- siderati come monumentali”. In realtà, Fiorelli aveva maggiormente a cuore le sorti della Certosa napoletana di S.Martino che, avendo subito le stesse vicissitudini di quella di Padula, correva analoghi rischi di abbandono da parte dello Stato. Nel frattempo, nel novembre del 1881, il torrente Fabbricato fu causa di una ennesima e più devastante manifestazione alluvionale, in conseguenza della quale si determinò la distruzione di due celle della certosa, l’interramento di quasi tutte le aree esterne, nonché gravi danni a tutte le fabbriche e alle aree a nord-est, che furo- no completamente ricoperte di fango per oltre due metri. Nel 1882 la Certosa di Padula venne finalmente dichiarata monumento naziona- le con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia e affidata al Ministero dell’Istruzione Pubblica. Ma questo provvedimento non mise fine al processo di degrado, di abbandono e di uso improprio a cui furono sottoposti gli ambienti del convento, anche ad opera delle stesse amministrazioni dello Stato che avrebbero dovuto averla in cura. Nel 1884 il Prefetto di Salerno, infatti, utilizzò alcuni ambienti come lazzaretto e quasi tutti i locali della corte esterna furono dati in affit- to a privati. Le condizioni del complesso monumentale erano così precarie e la volontà di conservazione così scarsa, che nel 1898 il custode della Certosa, nell’esprimere al Ministero della Pubblica Istruzione sue personali riserve sull’utilità di averlo dichia-

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rato monumento nazionale, così aggiungeva in un suo rapporto: “solo l’immensità imponente ha potuto farla dichiarare monumentale. Tra pochi anni, se non si spen- dono forti somme, questo fabbricato andrà in rovina: e perché distrarre forti somme per una massa ingombrante di nessuna utilità? Si è cercato di ridurla a carcere, a caserma, a scuola. Bisognava abbatterla dalle fondamenta”3. In effetti gli usi impropri descritti dal custode continuarono anche per quasi tutto il Novecento: tra il 1915 ed il 1917 la Certosa divenne campo di reclusione per oltre 30.000 prigionieri austro-ungarici (figura 2): era, forse, in quel periodo il più gran- de campo di concentramento italiano. Nel 1922 fu adibita a convitto e a orfano- trofio. Durante la seconda guerra mondiale fu nuovamente campo di concentra- mento (figura 3), prima per gli ufficiali anglo-americani, poi per circa 3.000 inter- nati civili collusi con il deposto regime fascista. Dal 1946 riprese l’uso di adibire diversi corpi di fabbrica a orfanotrofio, a scuola e a vari uffici. Questo era lo “stato dell’arte” nel momento in cui la Certosa, nel 1982, fu presa in consegna dall’allora Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno e Avellino; dal 1985 questo istituto dello Stato avviò un serio programma di interventi finalizzati al recupero integrale dell’intero comples- so, sia delle parti più consistenti di proprietà statale, sia dei corpi di fabbrica dive- nuti di proprietà comunale, nonché di tutti gli spazi e le aree esterne4. Varato il programma, contrastate le spinte verso parziali demolizioni e occupazio- ni, avviato il non facile lavoro di reperimento dei fondi, tra le prime preoccupazioni di chi scrive5 ci fu anche quella di individuare le fonti storiche, il materiale di archi- vio e ogni altro tipo di documentazione affidabile utile per eseguire il restauro filolo- gicamente corretto di un complesso architettonico così vasto e articolato (è l’edificio conventuale più grande d’Europa), abbandonato da oltre un secolo ed assoggettato ad

fig. 3 La Certosa campo di prigionia nella seconda guerra mondiale (da A.Fasola, Padula, 56 disegni, Firenze, s.d.)

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usi impropri, che ne avevano in più parti stravolto l’immagine originaria6. Questo lavoro, complesso e solitario, aveva bisogno di essere supportato da una buona base documentaria. Il materiale disponibile allora non era moltissimo. Il testo base che aveva guidato i primi passi nella ricerca non poteva che essere costi- tuito dalla corposa e insostituibile opera sulla Certosa di Padula di Antonio Sacco (1914), testo che una fortunata ristampa anastatica del 1982 aveva reso di nuovo disponibile. Successivamente altri testi e diverso materiale reperito hanno consen- tito di raggiungere l’obbiettivo di eseguire l’intervento di restauro con il supporto di documentazione storica affidabile. Un testo dimostratosi di grande valore docu- mentario, e quindi di grande importanza per il restauro, è il Rapporto di Robert Mallet sulla spedizione condotta nel regno di Napoli per accertare gli effetti del disa- stroso terremoto che il 16 dicembre del 1857 interessò le zone della , di parte della centro-meridionale, del nord della Calabria e della Puglia7. Fu subito chiaro l’importante contributo che lo studio di Mallet poteva portare al lavoro che si andava eseguendo alla Certosa: la relativa tempestività con cui Mallet riuscì a raggiungere i luoghi devastati dal terremoto (circa due mesi), documentan- done gli effetti con l’occhio dell’ingegnere, ci spinse ad assumere questo rapporto tra le fonti documentali di riferimento per l’attuazione del programma di recupero della Certosa di Padula. Il testo raccoglie una notevolissima quantità di dati ed esperienze indagate nei luoghi percorsi e descrive moltissime osservazioni di fatti e circostanze rilevate in loco, analizzate con spirito e rigore scientifico: le notazioni sismologiche si arric- chiscono spesso di elementi di tipo ambientale, culturale, architettonico, storico ed anche antropologico, che lo studioso andava di volta in volta considerando nel ten- tativo di seguire l’analisi e le cause degli effetti riscontrati, deducendone le conclu- sioni scientifiche anche dai racconti, dalle testimonianze e dalle condizioni dei luoghi. Le diverse valenze dell’opera di Mallet sono analizzate in altri contributi di que- sto volume; qui si intende testimoniare l’apporto che la qualità, la precisione e la quantità dei dati e delle osservazioni raccolte sulla Certosa di S.Lorenzo in Padula hanno fornito alla riuscita del programma del suo restauro e recupero. Già le descrizioni degli edifici distrutti o danneggiati dal terremoto, dei materia- li e delle tipologie costruttive variamente riportate nel rapporto costituisce una fonte di insostituibili informazioni sui caratteri peculiari delle costruzioni, anche di tipo ordinario, di quelle zone ed in quel periodo. Molti dei difetti costruttivi e degli effetti delle onde sismiche sul costruito sono stati purtroppo riscontrati pressoché nelle stesse zone, poco più di un secolo dopo, cioè dopo il terremoto del 23 novem- bre del 1980. Sarebbe, forse, bastata una maggiore attenzione ai risultati di queste e di altre osservazioni scientifiche da parte dei legislatori e dei redattori delle prime normati- ve tecniche nazionali e probabilmente molte delle nefaste conseguenze dei terremo- ti del secolo scorso sarebbero state, se non evitate, certamente ridotte notevolmente. La tardiva applicazione, in via preventiva, delle conoscenze sulla storia sismica del territorio italiano e sulla risposta sismica delle tipologie costruttive del patrimonio edilizio italiano hanno ahimè ripetuto un drammatico copione di distruzione e morti.

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Interessanti sono le conclusioni alle quali, al riguardo, lo studio di Mallet per- viene ribadendo la

“convinzione che i danni causati dal terremoto […] avrebbero potuto essere molto inferiori, se non addirittura annullati, se egli [l’uomo] avesse adoperato le sue facoltà di informazione e le sue energie, applicando preveggenza e conoscenza per combattere con l’abilità ed il lavoro, sia queste che tutte le altre apparenti calamità. […] Se si applicheranno la conoscenza e l’abilità alla costruzione futura di case e città nell’Italia meridionale, ben poche, se non nulle, saranno le perdite di vite umane in seguito ai terremoti che ricorreranno nei loro tempi e stagioni.”8

Sono raccomandazioni, queste, che purtroppo devono riferirsi non solamente all’evento terremoto (considerato come un evento naturale da trattare scientifica- mente e non come una calamità imponderabile da affrontare con i soli strumenti della superstizione), ma anche ad altri fenomeni naturali che, pur ripetendosi nel tempo in maniera immutabile, producono effetti sempre più devastanti a causa del- l’incuria o del maldestro operato dell’uomo. Molti passi del diario di viaggio colpiscono l’odierno lettore per le descrizioni dei paesaggi e delle circostanze, fino a rimanere stupiti degli incontri avuti, ad esem- pio, con alcuni abitanti dall’apparenza e dai comportamenti quasi “selvaggi” di un paese (che Mallet dice chiamarsi Iscalonga, nel feudo dei Doria Pamphili) che abi- tavano in grotte e cunicoli scavati nella roccia di tufo, vestiti con sole pelli di ani- mali e situati in un’area addirittura ancora “incognita” per la cartografia ufficiale del tempo. Eppure, dalla descrizione, si trattava di una zona nei pressi del Castello di Lagopesole, una delle più note e ricche residenze di Federico II. Altre osservazioni che colpiscono (ora noi, come Mallet allora) riguardano la costatazione di una cultura ricchissima un tempo e quasi ferma, se non addirittura regredita, all’epoca della spedizione: i monaci del convento di S.Benedetto in Atella non sanno spiegare, ad esempio, la presenza tra i loro beni di artistici reliquiari e busti in argento di squisita fattura bizantina; i poveri monaci non sapevano darne spiegazione, né fornire notizie sulla loro storia e sulle origini dell’insediamento. Anche sulla Certosa di S.Lorenzo in Padula l’impressione di Mallet non fu certa- mente più lusinghiera. All’inizio la Certosa viene descritta come il “magnifico monastero”. Mallet rimane, quindi, impressionato dalla vastità e dal pregio archi- tettonico dell’edificio, ma non può fare a meno, anche qui, di rilevare l’inadegua- tezza dei monaci del tempo alla ricchezza del contorno. Egli, infatti, nelle intervi- ste che rivolge a tutti coloro che incontra domanda sempre notizie sull’orario preci- so in cui è stata avvertita la prima scossa e le repliche: sono questi i dati di parten- za per i suoi calcoli su intensità, direzione di propagazione, frequenza e caratteristi- che dinamiche delle onde sismiche nei vari siti indagati. I monaci riescono ad esse- re oltremodo vaghi e contraddittori nelle loro descrizioni sia per quanto riguarda la direzione dell’onda, sia per l’orario in cui essa si è manifestata. A questo punto Mallet nota che il solo orologio presente in Certosa era quello della torre campana- ria, elemento che viene accuratamente disegnato (figura 4) e fotografato (figura 5a): tale attenzione era dovuta anche allo studio della traiettoria seguita da uno dei pin-

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fig. 4 Porzione del diagramma 240 del rapporto di Mallet (1862; trad. it. 2004, pp.244-45), che illustra le direzioni di caduta di un pinnacolo del campaniletto a vela della torre campanaria e delle sommità dei comignoli. È inoltre rappresentato il percorso del torrente Fabbricato.

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nacoli del campanile a vela superiormente alla torre che, crollando, aveva anche sfondato il tetto del corridoio del chiostro della foresteria. Mallet osserva che si trattava di uno strano e vecchio orologio inglese costruito e posto in opera 140 anni prima (e quindi databile agli inizi del Settecento); egli stesso riuscì a decifrare la notazione delle ore riportata sul quadrante, decodifica che poi spiegò al priore. Attese poi il verificarsi del mezzogiorno solare per regolare il mec- canismo e decifrare correttamente l’interpretazione dei segni sul quadrante. Da tutto ciò, Mallet dovette poi giungere alla ovvia constatazione che da oltre cento anni quell’orologio non aveva mai segnato l’ora giusta ed essendo l’unico presente in Certosa, nel monastero molto probabilmente per lungo tempo si erano seguiti orari completamente sbagliati. Tra il 1988 e il 1989 è stato restaurato il chiostro della foresteria nobile e con esso anche la torre campanaria (figure 5b-c). Del campaniletto a vela (figura 5a), stu- diato da Mallet, non fu trovata alcuna traccia, probabilmente crollato definitiva- mente negli anni successivi al terremoto del 1857; esso fu sostituito da una discuti- bile struttura in ferro a pianta centrale a sostegno delle campane collegate ad un nuovo orologio commissionato negli anni Trenta dello scorso secolo ad un artigia- no di Lagonegro (così recita l’iscrizione sul nuovo quadrante: “Cav. M. Canonico – Lagonegro”). Tale nuovo orologio, come si vede dalla documentazione fotografica (figure 5b-c), ha sostituito quello inglese ed, essendo molto più grande, si è parzial- mente sovrapposto alla più antica meridiana che il primo strumento inglese del Settecento aveva lasciato completamente libera. Nel restauro della torre campana- ria, con l’ausilio di tale documentazione, non potendo comunque più ripristinare l’antico orologio inglese del Settecento, si è cercato di far leggere con una appro- priata successione di evidenziazione stratigrafica le varie fasi di tale evoluzione. Come si accennava innanzi, le fonti documentarie sulla Certosa denunciano un vuoto storico individuabile grossolanamente proprio tra le due soppressioni (1807- 1866) ed in questa lacuna ben si inserisce la parte del lavoro di Mallet che, per i capitoli che riguardano la visita alla Certosa, offre numerosi spunti di approfondi- mento, richiamando proprio quel periodo, allorquando iniziò e si consolidò la fase di decadenza del convento. Le descrizioni che Mallet fa degli interni della Certosa sono tornate oltremodo utili anche per stabilire alcuni elementi che durante i lavori di restauro erano emersi ed apparivano allora contraddittori. Un’altra fonte documentale di indubbio interesse è costituita dai numerosi dise- gni e dalla documentazione fotografica da Mallet commissionata, da lui utilizzata nel testo e pubblicata per la prima volta nella ristampa anastatica del 1987 curata da Emanuela Guidoboni e Graziano Ferrari9. Impressiona la padronanza acquisita del mezzo fotografico e la resa delle immagini tenuto conto della tecnica dell’epoca e delle apparecchiature certamente molto più vicine al periodo pionieristico della foto- grafia; va pure tenuto in debito conto che gli autori delle riproduzioni si trovavano in luoghi dove probabilmente tale mezzo era quasi del tutto sconosciuto e quindi tutto il materiale è stato trasportato sin dall’inizio della spedizione10. Una fotografia stereoscopica della corte esterna11 (figura 6a) attribuita ad A.Bernoud testimonia l’intero piazzale ricolmo di materiale di deposito oltre che di

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a b c

figg. 5a-c Torre campanaria con orologio inglese settecentesco e meridiana: a) in una foto commissionata da Mallet e probabilmente opera di A.Bernoud, che documenta anche un campaniletto a vela scomparso già forse dopo il terremoto del 1857 (da Guidoboni e Ferrari 1987; si veda anche in fondo a questo volume l’immagine n.227); b) come si presentava prima dei recenti restauri; c) oggi dopo un lungo e accurato restauro che, non potendo restituire l’antica meridiana e l’orologio inglese ormai perduti, ha messo in evidenza gli interventi successivi.

detriti dei crolli causati dal sisma: in nessuna parte dell’area è visibile la pavimen- tazione in acciottolato originaria recuperata solo dopo i lavori di scavo eseguiti tra il 1990 ed il 1995. Segno, questo, che l’interramento della corte era stato già cau- sato dai primi eventi alluvionali del 1839-40; l’ultimo, ancora più rovinoso, del 1891 determinò un’enorme sovrapposizione di depositi alluvionali tale da modificare addirittura il letto del torrente Fabbricato che, nel 1858, scorreva ancora nella sua sede originaria a lambire l’ingresso alla corte esterna, come si evince dalla tavola 240 del testo (figura 4). È sicuramente impressionante la descrizione che viene fatta delle condizioni della chiesa:

“vi erano anche delle immense fessure nel soffitto a ogiva della chiesa costruito in mattoni spessi 9 pollici, sia longitudinali che trasversali attraverso l’asse. Anche la bellissima cupola a volta presentava fenditure complesse, ma era talmente pericolante da impedire qualsiasi esame più ravvicinato.”12

Il tutto come illustrato nella tavola 240 (figura 4), dove sono riportate in plani- metria gli stati lesionativi di maggiore entità. Molte delle lesioni alla volte gotiche della chiesa furono riparate in occasione di un intervento degli anni Sessanta e Settanta del Novecento finanziato e curato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Durante il successivo intervento della Soprintendenza

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a b

figg. 6a-b Corte Esterna: a) nella foto 226 allegata al manoscritto del Rapporto di Robert Mallet conservato nella Collezione della Royal Society (da Guidoboni e Ferrari 1987; si veda anche in fondo a questo volume): si nota l’esistenza di un significativo strato di terra sul pavimento ciottolato, riscoperto dal recente restauro. È visibile anche la forma piramidale delle sommità dei comignoli: una caratteristica non più ripristinata; b) in una foto attuale.

venne verificata l’efficienza di tali riparazioni: le lesioni alle parti affrescate erano ancora visibili in quanto le lacune alle parti pittoriche erano state lasciate a neutro; l’intervento di restauro è stato poi completato anche con l’integrazione pittorica. La parte che fu ritrovata ancora nelle condizioni descritte da Mallet era sicuramente la sacrestia, attigua alla chiesa, che all’avvio del recente restauro presentava lo stesso stato di degrado descritto da Mallet per la chiesa: volte sfondate e lesionate, tetto crollato, mura lesionate e piene di infiltrazioni, armadi semidistrutti dall’umidità. Di grande utilità si sono dimostrate le descrizioni dello stato del chiostro dei pro- curatori (che Mallet definisce “Chiostro del Priore”): le foto delle figure 7a-c13 mostrano sia le facciate interne che le arcate del porticato puntellate ed il rapporto descrive questi edifici sul punto di crollare, le volte delle arcate aperte ai quattro lati, i pilastri fortemente inclinati e con “gravi fenditure”. Particolarmente interessante è stato confrontare soprattutto la foto di figura 7a con quanto si presentava all’atto dell’intervento di restauro eseguito negli anni 1990-91 (figura 8): le foto utilizzate da Mallet presentano le facciate della corte prive delle piastre di ancoraggio delle catene, poste per bloccare il processo di fuori- piombo delle facciate stesse rilevato dal Mallet. Le catene furono probabilmente poste dal Genio Militare negli anni Quaranta del Novecento, quando la Certosa fu campo di concentramento: esse erano costituite da un doppio ordine di elementi, il primo posto in corrispondenza delle volte al di sopra del porticato ad una quota sot- tostante il calpestio del primo piano ed erano caratterizzate da un piatto di ancorag-

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b a b

figg. 7a-c Chiostro dei Procuratori: c a) effetti del terremoto del 16 dicembre 1857: puntelli nella facciata esterna del portico (foto 231 allegata al manoscritto del Rapporto di Robert Mallet conservato nella Collezione della Royal Society; da Guidoboni e Ferrari 1987; si veda anche in fondo a questo volume); b) effetti del terremoto del 16 dicembre 1857: puntelli nell’arco del portico (foto 232 allegata al manoscritto del Rapporto di Robert Mallet conservato nella Collezione della Royal Society; da Guidoboni e Ferrari 1987; si veda anche in fondo a questo volume); c) interno del portico di figura 7b come si presenta oggi, dopo il restauro.

gio circolare posto al di sopra dei capitelli del colonnato; il secondo ordine di cate- ne era al di sotto della copertura ed era distinguibile dai piatti di ancoraggio di forma quadrata. Tale sistema di incatenamento, evidentemente, sostituì le puntellature rilevate da Mallet e servì a contenere gli effetti spingenti del sistema. L’intervento di consolidamento effettuato nel 1990 andò ad individuare innanzitutto le cause del dissesto. Furono eseguite, a tale scopo, approfondite indagini sulle fondazioni che rilevarono l’esistenza di un sistema fondale costituito da mura continue e profonde (sul lato ovest tale profondità superava i sei metri) ed in perfetto stato di efficienza. Tale circostanza fugò ogni altra possibile ipotesi su cause derivanti da cedimento fondale o insufficienza del sistema di fondazioni. I problemi strutturali erano attri- buibili a processi di dissesti statici causati proprio dai vari terremoti, alle cui solle-

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fig. 8 Chiostro dei Procuratori, esterno del portico come si presentava prima dei restauri degli anni 1990-91. Si notano le piastre di ancoraggio delle catene, messe probabilmente negli anni Quaranta del Novecento per bloccare il processo di fuori-piombo delle facciate rilevato da Mallet e evidente dai puntellamenti visibili nella foto di figura 7a.

citazioni la compagine strutturale non aveva offerto sufficienti capacità di resisten- za, cosa che in definitiva Mallet aveva già rilevato. L’intervento di restauro ha lasciato ancora in sito le catene dell’ordine inferiore mentre quelle superiori sono state sostituite dalle catene delle nuove capriate. Si è provveduto a misurare tutti gli strapiombi delle facciate in corrispondenza delle verticali dei pilastri, rilevando le difformità tipiche del fenomeno di spinte a più livelli, con deformate non rettili- nee, ma variabili lungo la verticale secondo una spezzata con il vertice corrispon- dente al piano intermedio: e difatti Mallet così descrive, già nel suo studio e con i pochi mezzi e l’esiguità di tempo disponibile, lo stato delle facciate interne della corte: “i pilastri frontali e il piano che devono sostenere pendono tutti in fuori e pre- sentano gravi fenditure”14. Un aspetto sicuramente ignoto che si rileva dalle descri- zioni di Mallet sulla iconografia della Certosa e che vale la pena sottolineare è quel- lo della forma dei comignoli; sembra un particolare secondario ma se si pensa alla gran quantità di essi, si può facilmente dedurre che gli effetti di quel rovinoso terre- moto hanno finito per mutare una immagine che oggi appare consolidata nelle raffi- gurazioni dei prospetti e delle facciate della Certosa. Entrando nella corte esterna Mallet nota che sulle aperture del braccio est

“[...] tutte le sommità piramidali dei comignoli al lato est dell’edificio rovinarono [...] al suolo e sulle tegole del tetto […]. Le sommità dei comignoli B e B [tavola di figura 4], 13 in tota-

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a b

fig. 9a-b Corte Esterna della Certosa di S.Lorenzo prima del restauro (a) e dopo il restauro (b).

le, furono scagliate a varie distanze orizzontali, variando da 3 a 5 piedi, sulle tegole del tetto come mostra la Fig.2 (diagramma N.240) [figura 4], ma tutte con una traiettoria abbastanza uniforme di 136° E da N. Nessuno dei fusti dei comignoli che si trovavano a circa 5 piedi sopra il tetto è crollato, anche se alcuni si sono frantumati alla cima in conseguenza alla cadu- ta dei comignoli che, come il fusto, erano costruiti in mattoni e malta.”15

Da questa descrizione così particolareggiata, supportata anche dai disegni del diagramma 240 del suo studio (figura 4), si evince con chiarezza che il manufatto di copertura delle bocche di uscita dei numerosissimi camini doveva essere a forma piramidale, realizzato in mattoni, ma costituente un monolito piuttosto consistente, visto che le oscillazioni sismiche li avevano separati dai fusti, che sono ancora oggi in sito, scagliandoli dal tetto tutti nella medesima posizione ed alla stessa distanza dalle basi. Dopo questo evento nessuna delle originarie coperture fu più ricostrui- ta con quella forma, ma sono ora costituite da un semplice piano leggermente incli- nato (figure 9a-b). Come si vede, anche un particolare, apparentemente modesto, può mutare in maniera abbastanza sostanziale l’aspetto di un monumento ritenuto oggi consolidato ed immutabile. Una attenta e circostanziata analisi Mallet la rivolge ad alcuni particolari notati nel giardino del priore:

“fra le macerie si osserva un vaso di calcare scagliato al suolo dalla sommità del pilastro sud del cancello, situato al lato ovest del giardino, come indica la foto n.230 [figura 10b] e le fig.1, 5 e 6 (diagramma N.240) [figura 10a]: la direzione del crollo è di 122° E da N. I blocchi di pietra costituenti il pilastro stesso sono stati smossi l’uno sull’altro di circa mezzo pollice verso est ed entrambi i pilastri presentano maggiori o minori dislocazioni”16.

Allo stato attuale il portale e il cancello di ingresso dal Desertum verso il giardino del priore (come del resto l’intero giardino e l’appartamento stesso) sono completa-

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mente restaurati (figure 11a-b). Rimane interessante la minuziosa indagine svolta da Mallet anche su particolari apparentemente insignificanti, tali però da portare a con- clusioni di indubbio interesse sulla natura, direzione, intensità dell’evento sismico. Altre descrizioni sulle condizioni della Certosa che suscitano impressione per chi non ha conosciuto il complesso monumentale negli anni precedenti il restauro sono quelle di carattere generale che lo studioso trae dalle prime osservazioni:

“Tutti i suoi muri, la sua chiesa a volta e il refettorio, tutti i numerosi soffitti, i suoi nobili chio- stri a ogive e i soffitti affrescati e riccamente stuccati della sua libreria, così come una tra le molte stanze reali, presentano ampie spaccature e fessure e stanno per crollare. Sia la luce che la piog- gia riescono ora a penetrare attraverso le tegole frantumate. Moltissimi camini, obelischi, para- petti, vasi, bassorilievi e statue sono stati scagliati al suolo, sfigurati o distrutti. Persino la cor- nice interna dei tetti, in legno, pesante, si è frantumata in diversi punti in seguito al crollo di grandi masse dall’alto. Quasi tutte le superbe arcate a colonne, intorno ai piazzali a porticato, sono incurvate in fuori all’altezza dell’ogiva e pendono in direzione del cortile. L’ogiva è spac- cata lungo i soffitti in quasi tutte le gallerie ad eccezione di una, dove rimangono solo tiranti di ferro attraverso l’arco a corda (in origine si trovava in tutte le gallerie), l’unica rimasta dopo la partenza della divisione francese, che aveva qui il suo quartier generale; una prova del valore di tali sbarre sia nelle costruzioni sismiche, che agli occhi dei briganti che la saccheggiarono. […] Il vasto gruppo di edifici presenta, comunque, uno spettacolo uniforme di distruzione; in realtà solo alcuni dei muri e dei tetti crollarono completamente mentre tutti presentavano fessure o dislocazioni ed erano pericolanti.”17

Non queste, ma molto peggiori erano le condizioni della Certosa allorquando la Soprintendenza diede avvio al programma di restauro. Ai saccheggi dei soldati francesi si aggiunse oltre un secolo e mezzo di incuria, di abbandono, di utilizzi impropri; alcuni degli ambienti non utilizzati (anche impropriamente) furono priva- ti anche di quel minimo di manutenzione che consentiva almeno alle strutture di sostenersi senza rovinare ulteriormente. Tanto che anche il grande scalone monu- mentale (che Mallet così descriveva: “l’unica parte dell’edificio a non aver subito gravi danni era la grande scalinata ellittica che portava al parco, situata all’estremità nord del palazzo”18) nel corso degli anni successivi si dissestò talmente che una lesione longitudinale sulla enorme volta lo aveva praticamente diviso in due e la parte verso il parco era sul punto di distaccarsi e crollare. A nulla valsero contro l’incuria le motivazioni che Mallet evidenziava per il suo buon stato:

“Sembra che il fatto di essere rimasta praticamente intatta sia in parte dovuto alla sua forma, e cioè il supporto a nord venne fornito dalle ampie rampe di scale all’interno e all’esterno e dall’attenta natura dell’esecuzione.”19

L’elogio di tale opera si concludeva con una attribuzione del progetto addirittura al Buonarroti le cui tracce comunque sono abbastanza presenti e documentate in Certosa. In ogni caso, la descrizione dello scalone fatta da Mallet (“scalinata ellittica che portava nel parco”; “rampe di scale all’interno e all’esterno”) e lo schizzo della pla-

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a

figg. 10a-b Giardino del priore: a) disegno del cancello del giardino in un b particolare del diagramma 240 del vol.I dell’edizione originale dello studio di Mallet (1862; trad. it. 2004, pp.244-45). b) porzione della foto stereoscopica 230 allegata al manoscritto del Rapporto di Robert Mallet conservato nella Collezione della Royal Society (da Guidoboni e Ferrari 1987; si veda anche in fondo a questo volume)

nimetria della Certosa riportato nel diagramma 240 del testo di Mallet20 evidenziava- no chiaramente la presenza di una rampa di scale che dall’interno dello scalone porta nel Parco: di tale rampa non solo non se ne ha mai avuto notizia documentale, ma neppure sono presenti tracce in tal senso nei luoghi. Rimane questo, pertanto, un problema ancora irrisolto e che vale la pena approfondire in future indagini.

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a b

figg. 11a-b Ingresso del giardino del priore visto dall’interno: a) cancello e relative colonne prima del restauro. Si nota l’assenza delle due piccole panche di pietra alla base delle colonne. Le panche furono ritrovate in magazzini della Certosa ed è stato possibile ricollocarle grazie al riscontro con la foto 230 di Mallet riprodotta in figura 10b. b) le due panche ricollocate nel corso del restauro, come in origine, alla base delle colonne di entrata del giardino.

Bisogna dire, in verità, che non è questa la sola previsione risultata errata nella quale è incorso Mallet; egli, infatti, allorquando descrive le strutture della Certosa, ebbe a dire che semmai fosse stato possible restaurarle, ciò sarebbe stato troppo costoso e che “in pochi anni, gli unici abitanti di questo palazzo cistercense sareb- bero diventati i gufi e i pipistrelli”21. In effetti, di gufi e pipistrelli chi scrive ne ha incontrati parecchi quando si con- ducevano le prime indagini per avviare gli interventi. Fortunatamente, però, la Certosa di S.Lorenzo in Padula è sopravvissuta fino a quando si è dato avvio al pro- gramma di restauro che l’ha restituita all’antico splendore. È stato possibile ese- guire tale restauro con costi relativamente contenuti, se si tiene presente il tipo di intervento eseguito e le condizioni di partenza: è stato valutato un costo medio per unità di superficie non molto difforme dai costi di interventi usuali per le ristruttu- razioni di immobili per civile abitazione, in possesso di un minimo di caratteristiche di pregio architettonico e decorativo da salvaguardare. Le attività avviate all’interno del complesso vedono oggi impegnati numerosi e vari operatori. In particolare nel 2003 è stato avviato un programma di incontri sul paesaggio contemporaneo che ha richiamato tra le mura della Certosa studenti e pro- fessori provenienti da varie Università europee che, oltre a confrontarsi sui temi assegnati, hanno trovato nella Certosa nuovi stimoli per orientare le moderne rifles- sioni ed approfondimenti sulle modificazioni possibili del paesaggio contempora-

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neo. In questo, l’opera e la ricerca di Mallet offrono ancora ulteriori contributi con la stupenda riproduzione di vedute di rara efficacia dei luoghi attraversati. Spiccano tra queste soprattutto per i futuri studi ed approfondimenti che si intenderà intra- prendere, assumendo la Certosa quale sorta di Osservatorio del paesaggio, le vedu- te del Vallo di Diano riportate nelle immagini 108 e 109 allegata al manoscritto del Rapporto di Mallet conservato nella Collezione della Royal Society, che riproduco- no luoghi incontaminati e di rara bellezza.

Note 1 R.Mallet, Great Neapolitan Earthquake of 1857. The First Principles of Observational Seismology, London 1862, 2 voll. (ristampa anastatica e traduzione italiana in Mallet’s macroseismic survey on the Neapolitan Earthquake of 16th December, 1857, a cura di E.Guidoboni e G.Ferrari, SGA, Bologna 1987); trad. it. 2004 nel secondo volume di quest’opera, pp.238-40. 2 Cfr. Antonio Racioppi, La Certosa di San Lorenzo a Padula, Poliorama Pittoresco, Napoli 1846. 3 Cfr. i fondi dell’Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, versamenti I, II, III e Ministero delle Finanze, Direzione Generale del Demanio, Asse Ecclesiastico. 4 Non può sottacersi lo scetticismo di tutti gli ambienti, locali e non, riguardo a questo ambizioso e vasto programma di interventi: sarebbe lungo e fuori luogo enumerare gli articoli di stampa e le dichia- razioni, anche di illustri personaggi, che ritenevano più giusto concentrare energie e risorse economi- che esclusivamente sulle parti meglio conservate e per le quali esistevano le testimonianze più consi- stenti dell’immenso patrimonio storico e artistico posseduto dalla Certosa. Ancora di quegli anni era la pubblicazione di un Piano Regolatore del comune di Padula, redatto da un illustre e famoso archi- tetto di fama internazionale, orientato anch’esso a salvaguardare solo una parte delle aree e degli spazi del complesso, prevedendo intorno delle mura di cinta della Certosa, la zona di espansione edilizia urbana della città. Anche su questo fronte ci si dovette battere ed esercitare i poteri inibitori che in quel periodo ancora erano nelle possibilità dello Stato, imponendo un vincolo di inedificabilità su un’ampia zona circostante la Certosa. 5 L’autore ha avuto la non comune fortuna di aver seguito il programma di intervento dall’inizio alla fine, in qualità di progettista e direttore dei lavori dell’intervento di restauro, recupero e riutilizzo della certosa di S.Lorenzo in Padula. 6 A tal proposito, va sottolineato anche che c’era la volontà di affrontare tale impegnativo intervento seguendo una metodologia di recupero architettonico rispondente alle vecchie, ma condivise, norme del restauro ossequiose innanzitutto del più assoluto rispetto del monumento e contrarie alle tendenze, tanto in voga in quel periodo, di interventi fortemente caratterizzati dal progettista od esecutore ed influenzati dalle mode culturali e dai dibattiti in corso sul tema del restauro. Inoltre, non si cedette alla facile tentazione, più volte suggerita, di affidare l’opera a noti capiscuola del restauro (che pure già si erano proposti) con l’idea di trasformare il programma per il recupero della Certosa in una sorta di laboratorio di sperimentazione dell’architettura contemporanea. 7 Devo ad Enrico Spinelli, allora direttore della Biblioteca Comunale di , la segnalazione della ristampa anastatica dell’opera di Mallet, da lui già tempestivamente acquisita. Successivamente fu acquistata un’ulterore copia anche a beneficio della biblioteca della Soprintendenza. 8 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.502.

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9 Guidoboni e Ferrari, Mallet macroseismic survey..., cit. 10 Cfr. P.Becchetti e G.Ferrari, in questo volume. 11 Fotografia stereoscopica 226 della Collezione della Royal Society, pubblicata con il n.62 in E.Guidoboni e G.Ferrari, Mallet macroseismic survey..., cit.; si veda anche in fondo a questo volume. 12 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.249. 13 Foto 231 e 232 della Collezione della Royal Society, identificate con i nn. 68 e 69 delle fotografie stereoscopiche allegate all’opera curata da Guidoboni e Ferrari, Mallet macroseismic survey..., cit.; si veda anche in fondo a questo volume. 14 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.240. 15 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.239. 16 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.240. 17 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, pp.238, 240. 18 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.240. 19 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.240. 20 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, pp.244-45. 21 Mallet, Great Neapolitan..., cit; trad. it. 2004, p.240.

Bibliografia Mallet R. 1862, Great Neapolitan Earthquake of 1857. The First Principles of Observational Seismology, London 1862, 2 voll. (ristampa anastatica e traduzione italiana in Mallet’s macroseismic survey on the Neapolitan Earthquake of 16th December, 1857, a cura di E.Guidoboni e G.Ferrari, SGA, Bologna 1987); trad. it. 2004 nel secondo volume di quest’opera. Sacco A. 1914-1930, La Certosa di Padula, disegnata, descritta e narrata su documenti inediti con special riguardo alla topografia, alla storia e all’arte della contrada, Roma (ristampe anastatiche, Salerno 1982 e 2003) Spinelli L. 1916, La sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani. Memoria in difesa dell’Amministrazione dei Lavori Pubblici, contro privati proprietari, per danni attribuiti alle opere eseguite dallo Stato nel Torrente “Fabbricato” presso Padula, Stabilimento Tipografico Spadafora, Salerno. Hogg J. 1978, The Charterhouse of Padula, Analecta carthusiana, vol.I (testo), vol.II (album fotografico), Salzburg. De Cunzo M. e de’ Martini V. 1985, La Certosa di Padula, Firenze.

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