DISCORSI GIUDIZIARI

W111ab – Processo Santapaola (arringa)

Signor Presidente, signori della Corte, signor Procuratore Generale, io voglio premettere che ho molto rispetto e molta pietà per , che ha combattuto coraggiosamente contro la mafia e che la mafia ha barbaramente trucidato. E devo dire che io non difenderei Vincenzo Santapaola se io non fossi profondamente convinto che egli è del tutto innocente di un crimine così scellerato. E quindi ho pietà anche per lui, che è stato – a mio avviso – ingiustamente condannato all’ergastolo. Ma io signor Presidente, non piango soltanto la morte fisica della vittima e la morte civile dell’imputato innocente, io piango anche, se mi consentite, al di là di ogni retorica, quello che chiamerei il funerale della giustizia, come sempre quando in un processo grave drammatico come questo, vengono condannati non i colpevoli, come sarebbe giusto, ma dei colpevoli. Che io temo che la cultura dell’emergenza abbia da tempo cancellato dal codice e dalla coscienza i principi che del nostro processo hanno sempre fatto un processo giusto, civile, e a misura d’uomo. Sono convinto che se ancora oggi valesse veramente valesse il principio che non spetta all’accusato dimostrare di essere innocente ma spetta all’accusa dimostrare che egli è colpevole, noi non saremmo qui, signor Presidente, a chiedervi con rispetto e con fiducia, giustizia. Noi non saremmo qui a chiedervi giustizia ancora valesse il principio che le convinzioni personali per quanto in buona fede, per quanto autorevoli, di chi giudica, non bastano a condannare nessuno,neppure se si chiama Santapaola, quando esse nascono non dalle prove del processo, quando esse nascono, piuttosto, da quelli che sono ormai diventati i postulati della giustizia dell’emergenza. I pentiti dicono sempre e comunque la verità, la loro parola è il verbo, il Vangelo del processo un dogma, un articolo di fede di cui è blasfemo anche solo dubitarne. E’ in qualche modo la verità rivelata, la quale stabilisce già prima del processo che l’accusato è colpevole e deve essere condannato, e della quale il processo come un rito deve solo celebrare in adorazione il trionfo della verità assoluta, che non ha bisogno di verifiche e non ha bisogno di conferme, ma che nessuno e niente può smentire, neppure la realtà oggettiva, signor Presidente. Quella che i nostri occhi vedono e le nostre orecchie ascoltano, quella che tocchiamo con le nostre mani. Neanche la realtà oggettiva può superare la verità di questa rivelazione che illumina il processo, perché la parola dei pentiti non si limita a rispecchiare questa realtà, ma quando serve, se serve, la modifica, la crea al punto che, signor Presidente, signori della Corte, io vi invito sommessamente a riflettere su queste mie parole, sono le parole di questo processo, sono le fantasie di un difensore che non ha capito la realtà di questa vicenda al punto che se un dice due cose diverse e contrarie, entrambe le volte egli dice la verità. E se due pentiti dicono due cose diverse e contrarie, entrambi dicono la verità perché la misura della verità sulla quale si gioca il processo non è la ragione, ma è la fede, e dunque il problema non è di capire come il bianco possa essere nero, come la notte possa essere giorno, come l’assenza possa essere presenza, il prima dopo, come un fatto possa essere insieme accaduto e non accaduto ... no. Il problema è di credere che i contrasti, che le contraddizioni sono soltanto apparenti e che non c’è nulla che possa turbare quella che è la rivelazione che c’è stata offerta. Come dire, Presidente, la fede accetta ciò che la ragione rifiuta. E’ la vecchia massima degli Scolastici, credo quia absùrdum. Ed anzi, tanto più è assurdo, tanto più credo. Come Avola e Grancagnolo, signor Presidente, le due colonne su cui si fonda tutta l’accusa, tutta la sentenza di primo grado, la base per la quale sono stati distribuiti in primo grado e chiesti in secondo grado così tanti ergastoli.

“Quella sera io c’ero al motel Agip”, dice Grancagnolo.

Ma Avola dice: “No, tu no c’eri”.

“C’era anche Tuccio, con il suo Fiorino bianco”, dice Grancagnolo.

E Avola dice: “No, Tuccio non c’era”.

“La Renault di Giammuso era verde”, dice Grancagnolo.

Ma Avola ribatte: “No, la Renault non era verde (8’52’’ qui nella registrazione dice ERA VERDE, ma non può essere esatto, visto che Avola prima ha negato fosse verde)

“Tu hai preso due pistole, avvolte in una pezza bianca, una calibro 7.65 e una calibro 9 e le hai poggiate sul banco del frigorifero e le hai mostrate agli altri”...

E Avola dice. “No, questo non è vero. Ma è vero” – dice Avola – “che prima di uscire Ercolano provò una pistola sparando due colpi di rivoltella contro la parete dello scantinato”

“No”, dice Grancagnolo, “questo non è vero. Nessuna pistola è stata provata. Ma” – dice Grancagnolo – “non ti ricordi che all’omicidio di San Berillo nuovo io ero presente?”

“No” - dice Avola – “tu non c’eri”.

“Io ero presente al tentato omicidio di Ignazio Tranquillo”, dice Grancagnolo.

E Avola ribatte: “No, tu non c’eri”.

“Ma io ti ho presentato” – dice Grancagnolo – “Isidoro, vittima della tua estorsione”.

E Avola risponde: “no, non è vero, me l’ha presentato Franco 10’08’’

Secondo la nostra logica, Presidente, che è una logica normale, di uomini normali, di uomini che ancora credono, ostinatamente, che la giustizia che voi rappresentate, per quanto sa è la manifestazione di un profondo laicismo dello stato, è il risultato di una ricerca sofferta, tormentata, umile, di una verità possibile. Per noi, uomini normali con una logica normale, queste contraddizioni sono contraddizioni insuperabili, dirompenti. Noi diremmo sono due racconti non conciliabili tra di loro. E quindi cosa avremmo sperato e cosa avremmo immaginato? Che i giudici di primo grado buttassero nella pattumiera, come spazzatura investigativa, sia Avola sia Grancagnolo nella convinzione che uno dei due mente, o che mentono entrambi. Così come avevano buttato, non dimenticatelo, Italia Amato e Francesco Pattarino, per sposare poi successivamente Grancagnolo ed Avola. Ma naturalmente ci illudevamo, Presidente, ci illudevamo che tra la verità e la condanna i giudici volessero scegliere la verità, sia che essa portasse alla condanna sia che essa portasse all’assoluzione. Ma essi hanno scelto la condanna e avendo scelto la condanna sono stati costretti, il Pubblico Ministero, il Procuratore Generale, sono stati costretti a difendere a tutti i costi sia Avola sia Grancagnolo. Perché non possono rinunciare a nessuno dei due come sarebbe stato più facile? Perché rinunciare ad uno dei due significa rinunciare alla condanna degli imputati.

Non possono rinunciare ad Avola, che è l’unico testimone d’accusa, l’unico. Unico testimone d’accusa, Presidente, l’unico che abbia potuto dire: io c’ero, ho visto, ho sentito. L’unico. Ma non possono rinunciare neanche a Carmelo Grancagnolo, perché Grancagnolo è il riscontro di Avola. Ecco, come dire, la stretta dialettica nella quale il Pubblico Ministero e i giudici di primo grado si sono trovati avvolti e compressi. Perché un solo pentito basta per mandare in galera. Ma non basta per condannare. Forse ancora per poco, Presidente, temo, basterà che la giustizia dell’emergenza faccia un altro piccolo passo sulla strada della giustizia sommaria e troveremo forse, temo, tra qualche tempo, il principio che un pentito basta anche a condannare. Ma per ora non basta. E allora noi non abbiamo razionalmente la possibilità di trovare riscontri esterni ed oggettivi che sono lussi di altri tempi, lussi di pace non lussi di guerra. Per salvare un minimo di rispettabilità del processo ci vuole un pentito che accusa e un altro pentito che risponde, così la nostra coscienza è tranquilla, e noi possiamo chiudere definitivamente la porta del carcere dietro gli accusati che abbiamo portato in queste aule. Presidente, come posso dire, due Vangeli e due evangelisti, che sarebbero Avola e Grancagnolo, le cui dichiarazioni, questo è il senso della requisitoria del Procuratore Generale nella sentenza di Primo Grado, le cui dichiarazioni, nonostante le contraddizioni che ingannano noi comuni mortali, si coniugano perfettamente – dicono ... Perché anche questa giustizia dell’emergenza ha prodotto una serie di neologismi giudiziari di estremo interesse. Si coniugano perfettamente ed anzi, si coniugano tanto di più e tanto meglio quanto più divergono. Credo quia absurdum, come il paradosso come regola di una logica nuova, perché più divergono, più sono in contrasto, più ciò significa che essi, queste dichiarazioni, sono autonome, non sono frutto di un accordo. Ma per carità, chi potrebbe mai pensare una cosa del genere? Meravigliarsi, Presidente? Scandalizzarsi? E perché? Perché quando la giustizia dell’emergenza, da anni a questa parte, ci ha ormai abituati al miracolo di queste verginità ricostruite, di questi assassini rifatti puri di cuore, ai quali essa si affretta ad aprire le porte della galera perché vengono in queste aule a riscrivere in queste aule la storia del paese e ci dicano a noi, che non sappiamo, ci dicano con l’autorità di una fede indiscutibile chi sono i buoni e chi sono i cattivi, chi sta da una parte e chi sta dall’altra, quelle scene su cui devono chiudersi, su quali cattivi. Devono definitivamente chiudersi. Perché tutti possono mentire. Tutti. Ma non essi, non i pentiti. Non Avola, non Grancagnolo. Qualcuno ha detto, durante il primo grado, ma questo Grancagnolo non era neppure uomo d’onore, questo Grancagnolo era addirittura uno massacrato dalla tossicodipendenza. Uno che stava perennemente in cura di disintossicazione, una volta l’hanno legato addirittura da una parte perché si disintossicasse. Come poteva sapere fatti così riservati come un omicidio eccellente, così eccellente come quello di Giuseppe Fava? Come poteva esserne a conoscenza? Di un omicidio del quale non sapevano nulla un certo Claudio Severino Samperi e un certo Piero Puglisi che pure erano uomini d’onore da molto tempo, e di cui non sapeva nulla neppure Giuseppe Pulvirenti, il cosiddetto “malpasottu”, che era addirittura il capo del gruppo criminale a cui Grancagnolo apparteneva. Qualcuno lo ha detto, ma Grancagnolo ha risposto: “io so”, Grancagnolo ha detto: “io sapevo”, e il Pm ci ha rimproverato.

Ma se Grancagnolo ha detto che sa, chi può permettersi di dubitare? Chi?

E ci hanno azzittito su questa cosa. Qualcuno ha detto: ma questo Avola alla fine, uscito dal carcere nell’estate del 1983, l’omicidio è del gennaio ’84, quindi è uscito quattro mesi prima dell’omicidio, quando ancora non aveva preso nessunissimo contatto con questa potente organizzazione che, dicono ... io non so, non sono uno specialista, si chiami Cosa Nostra, la mafia. Era un ragazzo di 22 anni, Presidente, che era stato sodomizzato in carcere, perché anche questo risulta. Che come criminale, poi ha fatto una brillantissima carriera ma allora era nessuno, e qualcuno ha detto: ma scusate, perché mai una così potente organizzazione criminale, che ha tanti killer esperti, dovrebbe aver bisogno per organizzare il più grave, il più eccellente dei suoi delitti di un ragazzo di 22 anni appena uscito dal carcere oltretutto sodomizzato dentro il carcere. Perché? Ma Avola ha detto: “no, no, io c’ero, io so”. E allora chi può permettersi di dubitarne? Chi?

C’è stato un confronto, Presidente, tra Avola e Grancagnolo nel corso del quale – lo citerò pochissimo – nel corso del quale Avola ha detto a Grancagnolo – questo tentativo che il Procuratore della Repubblica ha fatto per – come dire – conciliare l’inconciliabile. Allora Avola dice a Grancagnolo:

“Ma Carmelo, quello che tu racconti tu non potevi saperlo. O lo hai letto sul giornale o te l’ha raccontato Piero Puglisi, perché queste cose così riservate ...” - le espressioni di Avola ... “erano contate nel palmo di una mano”.

Ed è stato, Presidente, l’unico punto sul quale il Pubblico Ministero non ha creduto ad Avola. L’unico. Se voi considerate ... è davvero impressionante ... considerate quello che il Pm ha detto, quello che i Giudici hanno scritto, vedrete che loro hanno preso le parole di Avola, le hanno messe tra virgolette, poi hanno detto: “P.Q.M. si condanna all’ergastolo”. Questo è lo schema logico della requisitoria della sentenza.

L’unico punto sul quale non lo hanno creduto è il punto in cui Avola dice a Grancagnolo:

“Tu non potevi sapere perché le cose le ho contate nel palmo della mano”.

E non è strano, Presidente, che il Pm non abbia potuto credere ad Avola su questo punto. Se gli avesse creduto avrebbe dovuto stracciare sia le dichiarazioni di Grancagnolo sia le dichiarazioni di Avola. Quelle di Grancagnolo perché Grancagnolo nel palmo della mano non è entrato mai e perché Avola è entrato, se è entrato, nel palmo della mano troppo tardi, per potere sapere dell’omicidio e per potere partecipare all’omicidio. E difatti, Presidente, quando è che Avola sarebbe diventato un uomo d’onore? Questo è un punto importante, perché una delle regole fondamentali di questa organizzazione chiamata mafia, Cosa Nostra, è che se uno non è un uomo d’onore non può sapere cose particolarmente riservate, non può partecipare a delitti particolarmente gravi. Viene un tal Di Raimondo, collaboratore di giustizia, il quale dice.

“Avola è diventato uomo d’onore nel 1987”. Ma il Procuratore Generale la liquidato la testimonianza di Di Raimondo dicendo che:

“essendo Avola in contrasto con Di Raimondo, poiché la tesi di Avola serve all’accusa e quella di Di Raimondo non serve allora Di Raimondo non è attendibile”.

E quindi Di Raimondo è stato cancellato.

Allora vediamo cosa dice Avola. E Avola afferma di essere diventato uomo d’onore nel 1984. E’ uscito dal carcere nell’83, è stato inoltrato nell’83, diventa uomo d’onore nell’84. Se questo è vero, quindi se è vero quello che dice Avola, egli non era uomo d’onore il 5 gennaio dell’84 quando l’omicidio è stato compiuto. E dunque non poteva sapere, e dunque non poteva partecipare. Ma c’è un controesame, Presidente, in uno dei verbali dell’udienza di Primo grado, un controesame di Avola, nel corso del quale il signor Avola Maurizio si rende conto che deve rettificare l’errore che non basta dire uomo d’onore nel 1984, e allora rettifica l’errore affermando che è diventato uomo d’onore all’inizio del 1984.

Ora io lascio a voi giudicare naturalmente cosa può cambiare, visto che il delitto è stato consumato il 5 di gennaio. Cosa può cambiare? Ma il Procuratore Generale ha affermato - in un verbale che io ho letto, signor Presidente, ho visto anche altri suoi interventi, molto pertinenti – che il problema si superava facilmente perché sembra che, da informazioni riservatissime che sono consegnate agli atti del processo, in realtà il signor Avola Maurizio sia stato invece battezzato, cioè fatto uomo d’onore, la notte di capodanno, fra il 31 dicembre dell’83 e il 1° gennaio dell’84. E quindi ci sarebbero quattro giorni di intervallo di tempo, fino al 5 gennaio, durante i quali Avola avrebbe avuto la possibilità di essere messo a conoscenza di questo delitto e di partecipare a questo delitto. Risulta, Presidente, che durante la collaborazione di questo Avola, nel marzo del ’96 e nel marzo del ’97 – questo risulta specificamente – questo Avola, che si trovava libero, naturalmente, a Roma, nel cosiddetto ufficio centrale di protezione dei pentiti, d’accordo e in concorso con altri due collaboratori di giustizia, i fratelli Samperi, ha commesso due rapine a mano armata in una banca di Roma. E, fra una rapina e l’altra, lui veniva in udienza a formulare e a ribadire le sue accuse contro Santapaola e contro gli altri e a domanda degli ingenui difensori se lui avesse avuto modo di parlare, di vedere qualcuno, di essere in qualche modo influenzato, Avola rispondeva:

“No, io sono un pentito protetto, io non vedo nessuno, incontro solo i magistrati e solo i poliziotti”.

E che importa – dice il Procuratore Generale – che importa.

Sembra, Presidente, nell’udienza 27 ottobre 1999, davanti al tribunale di Catania, dopo una rapina commessa nel 1991 ai danni del Monte dei Paschi di Siena, il signor Avola Maurizio abbia, ad un certo punto, ritrattato ogni cosa.

E il Procuratore Generale dice: ma che importa.

Presidente, la mia domanda è questa, non so se voi nella vostra saggezza riuscirete a trovare una risposta, perché io non sono riuscita a trovarla. Ci sarà mai qualcosa che potrà intaccare la credibilità di un pentito? Ci sarà mai qualcosa, Presidente, qualcosa che egli ha fatto, qualcosa che egli ha detto, che possa perlomeno far venire nella coscienza di un giudice, non la certezza, ma un dubbio, piccolo, ma davvero signor Presidente, voi volete affidare la giustizia che gestite, che amministrate, la sacralità della vostra funzione, signor Presidente, signori della Corte, il rispetto della vostra stessa dignità di giudici, volete affidare tutto questo alla parola di un assassino che tra un’accusa e l’altra prende la pistola e continua a rapinare. Voi pensate che questa giustizia meriti questo? Davvero lo pensate, signor Presidente? Io sono sconvolto, davvero sconvolto Presidente, di avere avuto l’onore di indossare la toga che oggi voi indossate per diversi decenni, e per avere vissuto anche personalmente il dramma di giudicare che voi oggi vivete. Io sono sconvolto quando leggo e sento che il Procuratore Generale giustifica la ritrattazione di Avola, la giustifica.

Poverino, Avola, - dice – ha ritrattato perché era esasperato, perché era particolarmente adirato.

Signor Presidente, “particolarmente adirato”. Adirato con noi? Adirato con voi? Adirato con tutti era adirato Avola. Con chi era adirato Avola, a cui dobbiamo chiedere scusa, scusi signor Avola se l’abbiamo fatto arrabbiare, ci scusi per favore, ci scusi ... Questa ritrattazione – dice il Procuratore Generale – e cito letteralmente:

“E’ il segno di uno stato di insofferenza di Avola per obiettive difficoltà che egli ha patito, al di là” – ascoltate – “al di là degli errori commessi”.

Gli errori sono le due rapine, Presidente. Gli errori sono le due rapine. Il signor Procuratore Generale, che rappresenta la legge di questo paese, non può definire errori due rapine a mano armata. Allora l’omicidio è una ... (((33’22’’ salto registrazione)))

(riprende 33’36’’) Non c’è dubbio, qualche disservizio nella gestione c’è stata, disservizio nella gestione c’è stata – e Avola sicuramente ha risentito di questo trattamento e c’è stato un momento nel quale sicuramente ha gettato la spugna”... Presidente, vi sentite offesi ora? Vi posso chiedere, o sono impertinente, o sono indelicato, o abuso, vi sentite offesi o no Presidente? La giustizia che voi rappresentate si sente offesa o no? Noi ricordiamo bene, Presidente, o il Procuratore Generale parla di un uomo che ha ucciso più di 50 persone. Più di 50 persone, signor Presidente. E io vorrei sapere che cosa pensano delle parole del Procuratore Generale i parenti di queste vittime, e cosa pensano gli innocenti che stanno in galera grazie all’accuse di questo assassino. Cosa pensano di queste parole del Procuratore Generale? Forse sono fantasie le mie Presidente, di un momento di debolezza? Vi chiedo scusa. Alla fine che importa se nel carcere di Rebibbia, noto complesso, in un corridoio dove i pentiti circolavano liberamente, mangiavano insieme, giocavano insieme, parlavano insieme dei processi che celebravano, delle dichiarazioni che avevano reso, di quelle che dovevano rendere, dei delitti da commettere insieme, mentre alcuni istigavano gli altri ad alzare il prezzo del pentimento, minacciando i magistrati che altrimenti avrebbero ritrattato. Perché questo poi alla fine, Presidente, è il meccanismo infame e perverso, non di questa legge, perché le leggi non sono mai giuste o ingiuste, le leggi sono la realtà che le realizza. Le leggi vivono nella interpretazione, nella applicazione che se ne fa. Questo è il meccanismo perverso, infame, inaccettabile, vergognoso che un assassino fissa un prezzo e fissa il prezzo che vuole e lo impone, e sul pagamento di questo prezzo, signor Presidente, si gioca, si decide, la giustizia di questo paese in molti casi. E a Rebibbia il signor Avola Maurizio fa, ad un altro pentito, Lucio Alfio Giuffrida, la sua ... sapete come l’hanno chiamata? La sua proposta indecente, come le avance che si fanno ad una bella ragazza. La sua proposta indecente: scambiamoci le informazioni che abbiamo, io so di Famà, il povero avvocato Famà, tu sai di Fava, io ti dico quello che so di Famà, tu mi dici quello che tu sai di Fava, invertiamo le parti, confondiamo le acque, facciamo saltare i processi, facciamo saltare la procura della Repubblica di Catania. E tutto questo incide sulla credibilità di Avola, Presidente? Incide? Qualcosa scalfisce la placida sicurezza del Procuratore Generale, dei giudici di primo grado? Un piccolo dubbio si insinua? No, che importa. Come è brutto, signor Presidente, mi perdoni il richiamo letterario, ma non è retorica, è semplicemente il tentativo di trovare a volte un riferimento che ci allontani dal fango di questa realtà. Come è brutto, davanti al cadavere di Cesare, Avola e Grancagnolo, davanti al cadavere della giustizia dicono il vero, sempre e soltanto il vero.

Io purtroppo non sono convincente quanto Antonio, potrei dire Bruto era un uomo d’onore? Non lo posso più dire, visto che Avola ha rinnegato quell’onore, credo che abbia rinnegato qualunque onore. Ma se io fossi convincente quanto Antonio, io credo che voi sareste, ognuno di voi sarebbe come me, sommerso dalla indignazione e dal disgusto e dalla rabbia.

Ma come è possibile, Presidente: “Quella sera io c’ero”. “No, tu non c’eri”. “C’era anche Tuccio”. “No, Tuccio non c’era”. “C’era Giammuso, con la macchina verde”. “No, la macchina di Giammuso era bianca”. “Ho visto le pistole”. “No, tu pistole non puoi averle viste”. “Nessuno ha provato le pistole”. “No, Ercolano ha provato la pistola”. “Io ero nell’omicidio di San Berillo nuovo, nell’omicidio di Ignazio Tranquillo, nella estorsione a Isidoro”. “No, tu non c’eri”.

Il nero e il bianco, la notte e il giorno, tutto e il contrario di tutto. E che importa? Che importa! C’è soltanto una certezza: che Avola e Grancagnolo non possono mentire e pertanto non c’è il problema di chiedersi se le loro dichiarazioni sono in contrasto tra di loro e quindi sono inconciliabili. Non c’è nessun problema, non c’è niente da chiedersi, signor Presidente. Il contrasto è apparente, Avola e Grancagnolo in questo matrimonio che definire incestuoso sarebbe troppo poco si coniugano perfettamente. E come? Qui davvero il Pubblico Ministero, il Procuratore Generale e la sentenza di primo grado hanno – io li invidio, Presidente - un colpo di genio processuale straordinario. Essi dimostrano a noi poveri mortali come nelle loro mani bagnate dalla grazia, come quelle del sacerdote che somministra l’eucarestia, l’impossibile possa inverarsi, possa diventare vero.

Come si concilia il nero con il bianco, la notte con il giorno? Come si concilia? Allora, sentite. Dicono:

“Grancagnolo dice la verità quando afferma che la sera del 5 gennaio lui e Tuccio si trovavano al mote Agip. Ma Avola, che nega questa presenza, anche lui dice la verità”. E perché? E come?

Domanda da centomila dollari, duecentomila dollari? Non so, se potessimo per un momento dimenticare la sacralità di questo luogo e convertire la tragedia sulla quale dobbiamo esprimerci su una cosa molto più banale, diremmo domanda da ... non so quanti dollari. Il problema è questo, signor Presidente, signori della Corte, il colpo di genio processuale. Dicono entrambi la verità perché in realtà, sì, Grancagnolo stava lì e Tuccio ci stava ma Avola, concentrato nella preparazione dell’omicidio - quindi impegnato nel suo zelo di neofita, di criminale neofita e quindi il suo senso di responsabilità, perché Avola è uno che come criminale aveva un grande senso di responsabilità, le cose le prendeva sul serio, non è che ci scherzava sopra – era talmente concentrato in questo delitto che andava a compiere che ha – Presidente – che ha rimosso dalla sua memoria il ricordo della presenza in quella circostanza sia di Grancagnolo sia di Tuccio. Anche perché – dicono – lui disprezzava Grancagnolo, quindi a maggior ragione lo cancellava dai suoi ricordi. Alla stessa maniera – dicono – Avola rimuove l’immagine di Grancagnolo dall’omicidio di San Berillo nuovo, dal tentato omicidio di Ignazio Tranquillo e dall’estorsione a Isidoro. Ecco come l’impossibile si invera, come il nero e il bianco sono sostanzialmente la stessa cosa. E Avola dice la verità, naturalmente, quando afferma che Ercolano ha provato la rivoltella nello scantinato. Ma anche Grancagnolo, che nega che questo sia avvenuto dice la verità perché questa volta, Presidente, questa volta è Grancagnolo che rimuove.

E sulle due pistole dicono la verità sia Grancagnolo sia Avola. Ricordate. Grancagnolo dice ad Avola:

“Tu hai preso due pistole e ce le hai fatte vedere sul banco del frigorifero”.

Avola dice:

“no, questo non è vero, io le pistole non le ho mai prese, non le ho mai messe sul banco del frigorifero”.

Nero e bianco, notte e giorno, prima e dopo, assenza e presenza, un fatto che succede e un fatto che non succede .. Come si concilia, Presidente, come? Come si concilia? Sentite il genio processuale del Pubblico Ministero. Ve lo devo leggere. Primo grado, perché poi sta anche nella sentenza:

“Quando Grancagnolo dice vai a prendere le armi ad Avola”- cosa che Avola nega, naturalmente, dice - questo è il risultato – dice il Pm – della percezione di qualche cosa di sospetto che si è verificato all’interno del bar e in perfetta buona fede Grancagnolo finisce per sovrapporre ciò che percepito direttamente a ciò che può essere il pensiero che egli si è fatto di quanto è accaduto quella sera”.

Ci arrendiamo, Presidente? Ci arrendiamo? Come davanti ad una tela di Leonardo o del Greco. Ci arrendiamo? Ci inchiniamo al genio o troviamo la forza di contrapporre ai colpi di genio le verità elementari che sono poi alla nostra portata. E se il colore della macchina di Giammusso è bianco per Avola e verde per Grancagnolo, dice il Pm,dice la sentenza, se questa macchina è diesel e non è a benzina come sostiene Avola .. cioè attenti ... noi abbiamo esaminato tutto ciò che dice Avola e tutto ciò che dice Grancagnolo, non abbiamo trovato una cosa che coincide. Allora, dice, questo non significa che i due evangelisti mentono – perché questo non sarebbe immaginabile – significa soltanto che in perfetta buona fede essi ricordano male”. Perché il genio scende sulla terra, e si rende accessibile ai normali, alle intelligenze comuni – perché, dicono, in fondo in fondo, Presidente, i collaboratori di giustizia – questo lo dice il Procuratore Generale non sono uomini bionici, computer, ma sono persone normali”. Siamo felici di sentirglielo dire, non capita spesso, saremmo per la verità molto più felici se dopo averlo detto loro si ricordassero di averlo detto. Ma, insomma, ci accontentiamo anche di questo ... E allora quando il tempo passa, sono passati 13 anni, anche la memoria dei pentiti può un pochino indebolirsi, i ricordi sfumano, si confondono , si accavallano, si cancellano, si toglie qualcosa o qualcuno che c’era, si aggiunge qualcosa o qualcuno che non c’era. Così Avola toglie Grancagnolo e Tuccio, Grancagnolo aggiunge due pistole, Avola rimuove, Grancagnolo sovrappone e che male c’è Presidente? Che male c’è? Nessuno. Se non che le regole del processo, purtroppo, non sono uguali per chi difende e per chi accusa. E anche il colore delle nostre toghe, purtroppo, non è più lo stesso, perché la memoria dei pentiti può indebolirsi sì, ma solo a senso unico. Cioè soltanto se essi dimenticano qualcosa che giova all’accusa e che dunque deve essere ripescata anche 10 anni dopo. Perché se invece si parla di circostanze favorevoli alla difesa, allora i pentiti da persona normali ridiventano uomini bionici, la loro memoria diventa perfetta, diventa assolutamente infallibile, e i loro ricordi sono scolpiti nel marmo. Come immaginare che qualcuno possa avere dimenticato qualcosa a favore dell’imputato, qualcosa che scagioni l’imputato? Come immaginarlo? Anche perché mancherebbe l’oggetto, perché non c’è nulla che possa scagionare l’imputato. Quindi, giustamente, non c’è nulla che si possa dimenticare.

Ma io mi chiedo, Presidente, con qualche angoscia, visto che Vincenzo Santapaola sta qui davanti a voi, con un ergastolo sulle spalle proprio per una acrobazia dialettica di questo tipo, per questo gioco della memoria a senso unico che ripesca dal dimenticatoio e dall’inconscio, tutto quanto possa essere messo a suo carico, mi chiedo cosa succederebbe se un difensore, io od un altro, osasse in questo processo o in un altro, sostenere che un testimone, sbagliando involontariamente, abbia rimosso dal suo ricordo l’alibi dell’imputato, o abbia involontariamente sovrapposto, sbagliando involontariamente, il ricordo e l’immagine dell’imputato a quello del luogo del delitto o a quello della vittima, cosa succederebbe? Io credo che il Procuratore Generale quantomeno ci riderebbe in faccia. E la sentenza sarebbe l’eco di questa 52’52’’ Ma anche noi, Presidente, se mi permette, a volte sappiamo ridere, specialmente se ridere serve a non piangere. E non vogliamo tacere, Presidente, nonostante tutto, noi non vogliamo tacere, fino a quando la vostra cortesia ci darà questa possibilità noi non vogliamo tacere. Allora noi diciamo questo, Presidente, sul piano di un ragionamento che vi preghiamo di considerare. La rimozione e la sovrapposizione dei ricordi, che sono il perno della tesi dell’accusa e della sentenza, non sono fenomeni esterni, fenomeni oggettivi, non sono fenomeni che possono essere osservati e dimostrati, no, sono fenomeni interni, fenomeni psichici, che sono oggetto delle congetture e delle ipotesi che noi possiamo formulare quando cerchiamo di leggere dentro l’anima di una persona. E’ questo il terreno logico di discussione su cui noi dobbiamo porci per rispondere alla Procura Generale e per rispondere alla sentenza di Primo grado. Pensieri, dunque, pensieri non prove. E se la prova è certezza, il pensiero signor Presidente, anche quello dei Pubblici Ministeri, appartiene non alla dimensione della certezza ma alla dimensione del possibile, di ciò che può realizzarsi e può non realizzarsi, di ciò che può essere vero e di ciò che non può essere vero. E’ su questo gioco del possibile che si articola tutta la ricostruzione del Pubblico Ministero, del Procuratore Generale e della sentenza di primo grado. Congetture ed ipotesi, che rifiutano qualunque verifica e che cercano in se stesse la loro verità, in se stesse la loro verità. Come dire, Presidente, conclusioni indimostrate che derivano da premesse indimostrabili. Come se, Presidente, si fossero disegnate in quest’aula, cancellando quella scritta che sta dietro l e vostre spalle: “la legge è uguale per tutti”, un motto per l’accusa, che dice: è possibile che sia così e dunque è così. E’ un motto diverso: è possibile che non sia così, dunque non è così per la difesa, il cui piatto, Presidente, viene strappato via completamente dalla bilancia ideale della giustizia. Non ci siamo qui noi difensori, c’è il ricordo di quello che fummo, Presidente, c’è la speranza di quello che vorremmo essere, di quello che torneremo ad essere se la vostra giustizia ci consentirà di esserlo. Noi siamo un ricordo, siamo un’immagine pallidamente riflessa, siamo forse un rimpianto, Presidente, ma il nostro piatto in questa bilancia non c’è più. Non c’è più. Perché questo, signor Presidente, è una giustizia che è diventata un giustizialismo trionfale, che non conosce l’innocenza, che no conosce altra verità che la condanna, dove la condanna è verità, è verità, perché crea la colpa, non la riconosce, perché se l’accusato viene condannato per il fatto stesso di essere condannato diventa colpevole, anche se prima non lo era. Questa è una giustizia infallibile, una giustizia sicura, una giustizia che non conosce più quella che è la sua essenza ed anche la sua nobiltà. Il tormento del dubbio e la paura di sbagliare. Noi non siamo così fortunati, Presidente, noi non abbiamo questa certezza appagante, per questo siamo il ricordo di quello che fummo. Per questo siamo i nostalgici di un processo che ricordiamo, di un processo che vorremmo ritornasse in queste aule. Noi abbiamo paura di sbagliare, Presidente, abbiamo poche risposte da offrirvi ma abbiamo molte domande da porre alla vostra coscienza dopo averle poste alla nostra coscienza. Allora, Presidente, noi ci tappiamo il naso e cerchiamo di scendere, insieme con il Procuratore Generale, nell’anima di Avola e di Grancagnolo. Sempre che il sangue che hanno versato non l’abbia completamente sommersa, non troviamo più nulla. Ma faremo questo tentativo. Allora è possibile, è possibile, dico, che Tuccio e Grancagnolo fossero lì la sera del 5 gennaio al motel Agip, e Avola ne abbia rimosso la presenza. E’ possibile – dicono – che Grancagnolo abbia partecipato all’omicidio di san Berillo nuovo al tentato omicidio di Ignazio Tranquillo, all’estorsione ad Isidoro,e Avola ne abbia rimosso il ricordo. Ma io mi chiedo: è possibile Presidente, parlare di rimozione da parte di Avola, se Avola non dice: “io non ricordo”, ma Avola dice: “io escludo”. Avola non dice: “può essere così, può essere così, sono passati 10 anni ..:” , Avola dice a Grancagnolo: “tu menti”. Tu menti. Questo si concilia con l’idea, con l’ipotesi della rimozione? Si concilia? E’ possibile, Presidente, che Avola abbia rimosso la presenza di Tuccio, che non disprezzava, che sarebbe stato presente al motel Agip per più di due ore, bene in vista, con il suo Fiorino bianco, che era il , Presidente, era un uomo importante Tuccio, era un uomo che comandava su Avola. Può averne rimosso il ricordo? Ma può lo stesso Avola avere rimosso il ricordo di Grancagnolo per quanto lo disprezzasse così sistematicamente, da escluderlo non soltanto dalla presenza al motel Agip, ,dove pure Grancagnolo è stato due ore, e non è stato in silenzio, ha preso il caffè, si è messo a disposizione ... si sarebbe messo a disposizione di Tuccio ... Eccomi sono qua, a chi dobbiamo sparare? A chi dobbiamo sparare? Perché noi pensavamo che questa mafia fosse una cosa molto più seria, molto più importante, molto più organizzata. Non pensavamo che il delitto di Giuseppe Fava si organizzasse mettendo insieme un ragazzo di 22 anni appena uscito sodomizzato dal carcere, con uno che non era uomo d’onore, che si trova a passare dal motel Agip a dire a Tuccio: bene, sono qui, andiamo a sparare a qualcuno? Questa è la tesi, no,, il delitto che hanno costruito. Perché poi alla fine, Presidente, purtroppo, anche nelle tragedie c’è un aspetto comico, un aspetto ridicolo. Noi rideremo volentieri se non avessimo da piangere su quello che abbiamo visto e su quello che vediamo. Allora lo cancella dal motel Agip, lo cancella da san Berillo nuovo, lo cancella da Ignazio Tranquillo, lo cancella da Isidoro, lo cancella dappertutto ... E’ possibile questo? È possibile? E’ possibile che, come dice Avola, Ercolano abbia provato la pistola e Grancagnolo abbia 64’22’’ i colpi. E’ possibile, dicono, che Avola non abbia messo le pistole sul banco del frigorifero, ma Grancagnolo abbia sovrapposto a ciò che ha visto ciò che ha creduto di vedere. È possibile, dicono, che il colore della macchina di Giammuso fosse bianca o fosse verde, fosse diesel, fosse a benzina, perché poverini alla fine essi si ricordano male. E allora non è possibile, quando sarete nella camera delle vostre deliberazioni ciascuno solo con la sua coscienza, quando le uniche domande saranno quelle che voi stessi porrete alla vostra mente, alla vostra coscienza, chiedetevi ... dal ‘93, in otto anni di indagini, di interrogatori, di requisitorie, di sentenze di primo grado, noi abbiamo sentito dire alla fine soltanto una cosa: è possibile? Questo abbiamo sentito dire. E’ possibile. E’ un altro processo, perché quel processo in cui noi ancora crediamo non si diceva: è possibile, si diceva: è certo. Perché quando un Procuratore Generale non può dire: è certo, deve sedersi o deve chiedere l’assoluzione, non può dire: è possibile che l’imputato sia possibile dunque ne chiedo la condanna. E quando un giudice scrive nella sentenza: “è possibile”, non può condannare, ma deve assolvere, se il processo fosse quello che noi vorremmo che fosse. E’ possibile. Allora, ponetemi una domanda. E non è possibile allora che Avola o Grancagnolo, o entrambi, non rimuovano nulla,non sovrappongono nulla, non ricordano male ma mentono. Ma inventano, Presidente. Sto bestemmiando? O in queste aule qualcuno, con una toga addosso, o senza una toga, può chiedere alla coscienza di chi deve giudicare: chiedetevi se è possibile che un pentito abbia ...

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