Schiavi Dell’Inferno Di Clive Barker,Orrore a Largo Di Retirnia Di

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Schiavi Dell’Inferno Di Clive Barker,Orrore a Largo Di Retirnia Di Schiavi dell’Inferno di Clive Barker Rileggo con piacereSchiavi dell’Inferno (The Hellbound Heart), uscito circa vent’anni fa per Bompiani e ora riproposto dalla meritoria Indipendent Legions Publishing. Scrittore estremo e coraggioso, concittadino dell’altrettanto famoso Ramsey Campbell (sono entrambi di Liverpool), Clive Barker o si ama o si odia, senza mezzi termini. Spirito ribelle, provocante e provocatorio, sempre in prima linea a esporre il proprio pensiero e i propri gusti, del tutto liberato dai collari sociali delle forme e dell’eticamente corretto. Un talento monumentale, capace di esprimersi a trecentosessanta gradi; ora pittore, ora regista, ora scrittore e perché no drammaturgo e fumettista. Qualità poliedriche tali da farlo emergere giovanissimo, scalando con la disinvoltura dei predestinati gli impervi gradini che conducono dall’anonimato alla notorietà internazionale. Apprezzatissimo da Stephen King, se ne discosta per un taglio più votato all’intrattenimento che all’analisi del contesto socio-politico. Se King guarda il quadro di insieme, Barker entra nella testa dei singoli, meglio se sono coloro che abbandonano i sentieri imposti da chi stabilisce le regole del gioco sociale. Barker mostra laddove King ammicca, Barker va subito al sodo laddove invece lo scrittore del Maine tende a ricamare. Se King frena onde evitare di veder giudicate le proprie opere troppo truci e politicamente scorrette, Barker fa l’opposto, premendo sul pedale del grandguignolesco e delle perversioni sessuali. Possiamo dire che con Clive Barker la narrativa horror cambia per la quarta volta la propria pelle. Se con Walpole e la Radcliffe il genere era nato quale gotico (con fantasmi, catene che sbattono tra loro e finestre che si aprono d’improvviso in castelli diroccati, lasciando all’immaginazione il ruolo di completare ciò che il mistero suggeriva) e con Lovecraft e gli scrittori griffati weird tales si era trasportato l’horror ai confini della fantascienza con forze aliene trascendenti pronte a ritornare nel nostro mondo, per poi ricondurre il tutto agli orrori quotidiani con la triade Leiber-Matheson-King, con Barker irrompe in narrativa l’orrore estremo, visionario, caratterizzato dalla disgregazione dei corpi e dal sangue a fiume che sgorga dalle ferite. Un orrore in cui sofferenza e piacere si confondono tra loro come facce impazzite della stessa medaglia lasciata vorticare in un cielo controllato da demoni ambigui non ben definiti nella loro reale natura. Chi rappresenta il bene e chi invece il male…? Non è ben chiaro, perché tale non vuol essere. Schiavi dell’inferno, uscito due anni dopo i primi volumi dell’antologia Libri di Sangue (1984-85), è il manifesto dell’intera carriera dell’autore. Romanzo breve o, se preferite, racconto lungo, è l’ideale anello di congiunzione tra i visionari e cruentissimi racconti e la successiva e copiosa produzione. Si tratta di un romanzo che risente ancora della giovane età dell’autore, all’epoca trentaquattrenne, non ancora maturo e suscettibile di pochi sviluppi ulteriori al mero narrato per la presenza di contenuti intrinseci, a mio avviso, non sufficienti a elevarlo dal mero intrattenimento. Ciò nonostante si tratta di un romanzo cardinale, sia per essere il testo che ha dato il là a una fortunatissima quanto duratura saga cinematografica (Hellraiser) con tanto di pantheon diabolico di creazione barkeriana (assai più vicino a quello dantesco che a quello lovecraftiano), sia per proporsi da contenitore di quegli argomenti che caratterizzeranno buona parte della produzione dell’autore di Liverpool. Sono infatti già presenti i temi del piacere fisico e sessuale, delle perversioni viste come soluzioni, evidentemente mendaci e pericolose, in quanto non conosciute a fondo e dettate dall’ignoranza o dal male di vivere piuttosto che dalla conoscenza, per sfuggire alla noia quotidiana col fine di scoprire quel qualcosa in più che possa stonare e regalare brividi nuovi. “I piaceri della gioventù avevano portato il fascino della novità ma, con il procedere degli anni e l’esaurirsi delle sensazioni più tenui, erano diventate esperienze sempre più forti.” Il sesso dunque utilizzato quale parte integrante e speculare dell’orrore e della menzogna, sulla scia di una lunga serie di maestri soprattutto cinematografici (il più evidente è David Cronenberg). Barker sviluppa il tema con una proprietà di linguaggio aulica, ma non pesante, e con grande gusto descrittivo (attentissimo ai colori e alle scenografie). Mette al servizio della narrativa il proprio faro guida pittorico, tratteggiando contorni onirici che toccano il loro apice nelle scene in cui i supplizianti, ovvero i demoni invocati (qua non si chiamano ancora Cenobiti), entrano in azione. Contrariamente a quanto si possa pensare, Schiavi dell’inferno è la storia di un amore malato, non molto lontano da quello che sta alla base delle coppie assassine che hanno insanguinato le pagine della cronaca nera, soprattutto americana. Una personalità dall’apparenza forte (in realtà debole e alla deriva tanto da aver accarezzato l’idea del suicidio), quella di Frank Cotton, e una debole, quella della moglie del fratello di Frank Cotton, infatuata dalle caratteristiche che l’uomo le mostra e che divergono da quelle del fratello (“come hai fatto a sposare quel mollusco lì?”). Barker gioca a mettere a nudo l’ipocrisia del cosiddetto uomo (o donna) etico e lo fa giocando con la donna che dovrebbe esser felicemente sposata ma che invece pensa alle perversioni che le permettono di rompere la triste quotidianità per immaginare una realtà diversa. È quest’ultima a scatenare il vero inferno che sta alla base del romanzo, non sono i supplizianti. I demoni, peraltro tutt’altro che antipatici: rispettano persino la parola data e fanno quello per cui sono stati creati. Restano sullo sfondo per intervenire solo quando vengono espressamente invocati, mediante una serie di combinazioni rompicapo utili a risolvere l’enigma costituito dalla scatola di Lemarchand. Il vero male allora diventano le pulsioni represse, sembra suggerirci Barker, ma anche, allo stesso tempo, la non conoscenza dei propri limiti. L’autore di Liverpool sembra dirci che spingerci oltre all’umanamente concesso è tanto letale quanto castrare le proprie emozioni e le proprie voglie per allinearci ai dettami voluti dalla società in cui viviamo. Nel primo caso, come farà Frank Cotton, si finirà in balia dell’ignoto (“aveva rischiato vita e mente in nome della conoscenza”). Non a caso l’uomo invoca i supplizianti convinto che questi gli mostreranno il piacere estremo, cadendo così vittima di un letale fraintendimento, peraltro dovuto alla banalità delle sue richieste. Nel secondo invece si finirà nelle maglie della pazzia fino a giustificare le proprie azioni assassine in nome di un amore che tale non è. Ecco allora che la scatola a sei facce di Lemarchand (“E’ un mezzo per rompere la superficie del reale… per mettersi in contatto con l’Ordine dello squarcio”) diviene l’emblema dell’ignoto di impronta magico-esoterica, una via per aprire quel percorso che può condurre l’uomo sugli altari del piacere e della conoscenza ma anche farlo implodere in un dolore tale da disgregare corpo e anima. Sono appena accennati, eppur presenti, i riferimenti subliminali ai movimenti che hanno dato il là alle famose sette segrete di ordine iniziatico. Barker è cruentissimo nel descrivere le scene in cui vediamo il protagonista dilaniato da ami e catene ma, soprattutto, involuto dal rango di sfaccendato ricco in cerca di emozioni a quello di implacabile assassino in cerca della linfa necessaria a permettere alle sue cellule di ricrearsi. Un impulso, quest’ultimo, assimilabile al tossico in cerca di droga, indispensabile per permettergli di sfuggire dall’inferno dallo stesso invocato e riconquistare quella faccia che ha perso come un giocatore d’azzardo al cospetto di un croupier del casinò. “Non sei il primo a esserti stancato delle meschinità del mondo. Ce ne sono stati altri. Alcuni hanno osato ricorrere alla configurazione di Lemarchand. Uomini come te, ansiosi di investigare nuove possibilità, che avevano sentito delle nostre capacità sconosciute al vostro mondo.” Si fa notare inoltre che i supplizianti sono cinque (numero esoterico per eccellenza) con il quinto di essi, l’Ingegnere, caratterizzato in un modo così misterioso ed evanescente che mi ha fatto venire in mente il personaggio misterioso che condivide gli scantinati dell’Opera con il fantasma protagonista del capolavoro di Gaston Leroux. Bellissima la descrizione finale con l’ingegnere che appare per consegnare alla superstite la scatola e scomparire nelle ombre della città silente, tra nebbia e mistero. A far storcere la bocca, a mio avviso, c’è la facilità con cui ben due soggetti riescono a decriptare gli enigmi che stanno alla base della scatola di Lemarchand e, più in particolare, quel retrogusto cinematografico da boogeyman che si respira per tutto il corso del romanzo. Barker, probabilmente, lo ha scritto pensando già a un’eventuale trasposizione cinematografica da sviluppare nell’alveo dei slasher movie. Cosa che peraltro farà, con grande successo, appena un anno dopo dall’uscita del romanzo. L’autore di Liverpool ha tuttavia il grosso merito di rimodulare temi classici quale il fantasma intrappolato in un muro (che funge da trappola di confine tra la dimensione del reale e la parallela) o quello del vampiro (Frank Cotton è costretto a nutrirsi di sangue per ricreare i propri tessuti) o ancora quello dell’invocazione satanica (Barker riscrive in chiave fantastica i tratti fisici e “morali” dei demoni), così da dar vita a un romanzo horror al tempo stesso classico e innovativo. Gli anni a seguire dimostreranno a chiare lettere il talento dello scrittore e soprattutto faranno di questo “piccolo” romanzo un’opera centrale nel panorama horror cinematografico, fumettistico e letterario. Consigliato agli appassionati di grand guignol, ai fan dell’horror estremo e a chi intende farsi una cultura a trecentosessanta gradi del genere. L’AUTORE Clive Barker inizia scrivendo per il teatro, poi passa alla letteratura e alla pittura.
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