SOLIANA s.r.l. Via di Santa Croce in Gerusalemme, 107 – 00185 Roma di San Teodoro - Provincia - Tempio

INSEDIAMENTO TURISTICO ALBERGHIERO LOTTIZZAZIONE “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO

STUDIO DI VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE - II (D.G.R. 24/23 del 23/04/2008)

Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) INDICE

1. QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA ABIOTICO ...... 5 1.1 CARATTERISTICHE CLIMATOLOGICHE ...... 6 1.1.1 Le temperature ...... 7 1.1.2 La pluviometria ...... 8 1.1.3 Altri fattori caratterizzanti il clima ...... 11 1.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO ...... 14 1.3 CARATTERI GEOLOGICI DELL’AREA VASTA DI SAN TEODORO ...... 17 1.3.1 Caratteri generali ...... 17 1.3.2 Il Complesso metamorfico di alto grado ...... 18 1.3.3 Il Complesso intrusivo ercinico ...... 19 1.4 ASPETTI GEOLOGICI DELL’AREA RISTRETTA DE L’ISULEDDA ...... 23 1.5 CARATTERI IDROGEOLOGICI ...... 25 1.5.1 Idrografia superficiale ...... 25 1.5.2 Caratteri idraulici delle formazioni geologiche...... 26 1.5.3 Caratteristiche Idrogeologiche ...... 29 1.6 CARATTERI GEOTECNICI DELL’AREA ...... 30 1.7 IL PERICOLO IDROGEOLOGICO ED IL PIANO STRALCIO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO (P.A.I.) 32 1.7.1 IL PERICOLO DI INONDAZIONE ...... 32 1.7.2 IL PERICOLO DI FRANA ...... 34 1.8 CARATTERI PEDOLOGICI ...... 35 1.8.1 CARATTERISTICHE PEDOLOGICHE DELL’AREA ...... 35 1.8.2 UNITÀ DI PAESAGGIO E SUOLI ...... 35 1.8.3 I SUOLI DEL SETTORE DEL COMPARTO A1 ...... 37

2. QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA ANTROPICO ...... 39 2.1 IL PAESAGGIO DELLA COSTA DI SAN TEODORO - ...... 39 2.1.1 La genesi ...... 39 2.1.2 Gli stazzi...... 39 2.1.3 LA TRASFORMAZIONE ATTRAVERSO LA CARTOGRAFIA ...... 40 2.1.4 I BENI CULTURALI ...... 41

3. QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA BIOTICO ...... 42 3.1 INTRODUZIONE ...... 42 3.2 INDICATORI AMBIENTALI ...... 44 3.2.1 L’ambiente Vegetale ...... 44 3.2.2 L’ambiente Faunistico ...... 45 3.2.3 L’Ecosistema ...... 46 3.3 METODOLOGIA ...... 46 3.4 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DELL'AREA DI STUDIO ...... 48 3.5 COMPONENTI BIOTICHE: VEGETAZIONE E FAUNA ...... 49 3.6 ANALISI DELLA VEGETAZIONE ...... 49

• Boschi di leccio e di sughera ...... 50

• Boscaglie litoranee a ginepro fenicio ...... 50

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• Pinete a pino d’Aleppo ...... 50

• Vegetazione psammofila e rupicola costiera ...... 50

• Macchia- foresta e macchia alta a corbezzolo ...... 51

• Vegetazione ripariale a tamerice, oleandro, ontano nero e salici ...... 51

• Vegetazione acquatica ...... 51

• Macchia ad olivastro e lentisco ...... 51

• Cisteti ...... 51

• Garighe e mosaici di vegetazione basso-arbustiva ...... 51

• Pascoli xerici e pratelli effimeri ...... 51

• Rimboschimenti ...... 51 3.6.1 Unità Cartografiche ...... 52 3.6.2 Analisi dei dati faunistici ...... 55 3.6.3 CHECK-LIST DEGLI ANFIBI (AMPHIBIA) ...... 55 3.6.4 CHECK-LIST DEI RETTILI (REPTILIA) ...... 56 3.6.5 CHECK-LIST DEGLI UCCELLI (AVES) ...... 57 3.6.6 CHECK-LIST DEI MAMMIFERI (MAMMALIA) ...... 61 3.6.7 I Rettili ...... 62 3.6.8 Gli Uccelli ...... 63 3.6.9 Analisi Ecosistemica ...... 64

• Ecosistema delle aree rocciose e dei rilievi montuosi; ...... 65

• Ecosistema fluviale e/o dei laghi; ...... 65

• Ecosistemi della macchia mediterranea; ...... 66

• Ecosistema dei boschi e delle foreste; ...... 66 3.7 CONCLUSIONI ...... 69 3.7.1 Descrizione dell’ambiente naturale ...... 69 3.8 INTERFERENZE SULLE COMPONENTI BIOTICHE...... 71 3.8.1 Vegetazione ...... 71 3.9 FAUNA ...... 72 3.9.1 Gli Uccelli ...... 72 3.9.2 I Rettili ...... 76 3.9.3 Pesci ...... 76 3.10 CONSIDERAZIONI FINALI ...... 76 3.11 BIBLIOGRAFIA ...... 78

4. ANALISI E VALUTAZIONE DELLE INTERFERENZE ...... 79 4.1 FASE DI CANTIERE ...... 79

5. EFFETTI AMBIENTALI ...... 80 Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 3

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1.QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA ABIOTICO

Il settore del proposto intervento de l’isuledda è posto al margine meridionale della costa Gallurese.

Vista 3d - L’area di studio (in viola) sul DTM della RAS colorato per fasce altimetriche ed illuminato da NW

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1.1CARATTERISTICHE CLIMATOLOGICHE

Il settore San Teodoro è posto al margine sud-orientale della costa orientale della Gallura e condivide con essa la gran parte dei fattori determinanti il clima.

Mappa – I bacini idrografici e le stazioni di misura presenti (in viola quelle del SAR ed in celeste quelle del SI)

L’area mediterranea è in generale caratterizzata da un regime pluviometrico mediamente compreso fra i 500 e i 900 mm annui di pioggia, sostanzialmente analogo come quantità complessiva a quello dell’area del centro-sud dell’Europa, ma molto differente come distribuzione: nell’area subalpina le precipitazioni cadono nel corso di tutto l’anno, con un massimo in estate, mentre nell’area più meridionale del Mediterraneo le piogge sono concentrate nel semestre invernale, da ottobre ad aprile, con un periodo arido variabile da area a area che può durare anche molti mesi.

Tabella riassumente i dati caratteristici delle stazioni meteo dell’area vasta circostane l’Isuledda

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Temperature medie mensili 1985-92 e media 1922-92 gradi La temperatura caratterizza 30 1985 l’area mediterranea con inverni 1986 28 1987 1988 miti, con medie del mese più 26 1989 1990 1991 freddo generalmente comprese 24,3 24 1992 23,9 media 1922-1992 fra i 5 e i 15 °C, e con rare Medie massime 22 Medie minime 21,7 Poli. IV° ord. 22-92 20,8 discese del termometro sotto lo 20 zero. Anche in estate i valori 18 18,0 16,9 termometrici medi sono 16 sostanzialmente più elevati che 14 13,5 13,8 nelle aree del centro Europa; in 12 11,2 11,2 luglio e agosto la temperatura 10,4 10 10,1 diurna dell’aria supera facilmente 8 i 30 °C. Contemporaneamente le 6 temperature del suolo, nei punti 4 illuminati dal sole, salgono sino a 2 circa 70 °C. 0 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic mesi Grafico – L’andamento annuale della temperatura media diurna annua su base 1922-1992 e l’andamento della media diurna per anno, sotto

Come conseguenza dell’andamento termometrico, ma anche dell’attività delle piante, i valori dell’evapotraspirazione sono anch’essi caratterizzati da bassi valori invernali che aumentano nel periodo estivo, in netta controtendenza con l’andamento delle precipitazioni. Questo comporta uno sbilancio netto nel bilancio idrico, con un surplus di acqua nel periodo di maggiore piovosità e un deficit accentuato nel periodo caldo.

Mappa – La tempratura media minima registrata sulla base dei dati raccolti tra il 1922 ed il 1992 per l’area incentrata su San Todoro - Budoni

Ulteriori fattori climatici importanti sono legati: alla radiazione solare, nettamente superiore nelle aree mediterranee rispetto all’Europa centrale; all’eliofania, con il cielo specialmente durante la stagione estiva rimane spesso limpido e privo di nuvole; al vento, che soprattutto nelle aree insulari come la Sardegna e in particolare in aree come il sud-est della Gallura, condiziona in modo significativo il clima.

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Mappa - La distribuzione delle temperature medie diurne annue su base 1922-1992 per l’area di San Teodoro - Budoni

In relazione a quanto detto la Sardegna, in generale, ha un clima tipicamente mediterraneo, temperato- umido durante l’inverno e caldo-arido durante l’estate, che ovviamente risulta il fattore di maggiore importanza per la distribuzione degli areali di insediamento delle piante.

Secondo i dati della stazione meteo di Olbia la temperatura media diurna annua verificatasi nell’intervallo di tempo dal 1922 al 1992 è stabile intorno ai 15 °C, con un range di escursione termica pari a 1°C. Andando ad analizzare in dettaglio le temperature medie mensili, l’escursione termica si allunga e viene evidenziata l’instaurarsi di un clima bistagionale con temperature relativamente fredde (intorno ai 10°C) nei mesi di gennaio e febbraio, mentre le temperature più elevate si registrano nei mesi di luglio ed agosto con temperature medie che si aggirano intorno ai 25°C.

1.1.2La pluviometria

A questo sistema va aggiunta l’analisi delle precipitazioni che, come possiamo notare dal grafico, risultano abbastanza limitate se non per casi eccezionali. Ogni anno vengono mediamente registrate circa 500 mm di pioggia ma queste risultano concentrate quasi esclusivamente nei mesi di dicembre e gennaio con un regime di tipo Inverno Autunno Primavera Estate (IAPE), regime abbastanza comune in Sardegna.

Mappa - La distribuzione della pluviometria media annua su base 1922-1992 per l’area di San Teodoro - Budoni

Dall’istogramma che rappresenta la pluviometria è possibile notare durante i mesi di Gennaio e/o febbraio si verifica il fenomeno delle cosiddette secche di Gennaio, in cui le precipitazioni vengono annullate dalla presenza

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Grafico – La distribuzione delle piogge nell’arco dell’anno su base 1922-1946 per la Stazione di San Teodoro Cantoniera, sopra, e di Budoni, sotto

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Grafico – La distribuzione delle piogge nell’arco 1922-1992 per la Stazione di San Teodoro Cantoniera, sopra, e di Budoni, sotto

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1.1.3 Altri fattori caratterizzanti il clima

I dati rilevati finora dovranno quindi essere analizzati secondo parametri che dia indicazione del clima: 1. Indice di continentalità idrica di Gams: Presenta valori che compatibilmente alla vicinanza al mare intorno ai 4° 2. Pluviofattore di Lang (P/T): Esprime l’umidità relativa della stazione ed è pari a 35.98; 3. Indice di aridità di De Martonne (P/T+10): Rappresenta un perfezionamento all’Indice di Lang e il valore dato, 22.37, indica vegetazione forestale sempre più dominante.

Temperature medie mensili e piogge medie mensili 1922-2001 Grafico – Il diagramma umbrotermico per la stazione gradi *2 e mm 150 di Budoni (Cantoniera) 140 130 120 Riassumendo possiamo 110 identificare un clima 100

90 bistagionale con una 80 stagione calda ed arida 70 alternata ad una 60 50 relativamente fredda e 40 relativamente umida. 30

20 L’azione mitigatrice del mare 10 è quantomeno evidente nelle 0 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC medie segnalate e negli mesi indici bioclimatici analizzati.

La tabella rappresentante il bilancio idrico del suolo dell’area costiera di Isuledda ipotizzando una capacità di immagazzinamento di 200 mm

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La distribuzione dell’intensità del vento, misurata presso la stazione di

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Distribuzione del azimutale della ventosità Totale annua 41-50 La distribuzione dell’intensità del vento, misurata presso la stazione di Olbia 1941-1950 N 25

20 NW NE 15

10

5

W 0 E

SW SE

S

Distribuzione del azimutale della ventosità Totale annua 59-61 La distribuzione dell’intensità del vento, misurata presso la stazione di Olbia 1959-1961 N 25

20 NW NE

15

10

5

W 0 E

SW SE

S

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1.2INQUADRAMENTO GEOLOGICO

La situazione geologica generale del territorio imperniato sul margine meridionale della costa gallurese, area al margine dell quale ricade il sito de l’Isuledda, si presenta abbastanza schematica, come visibile nell’inquadramento geologico sottostante, in quanto le formazioni presenti sono da ascrivere quasi completamente al sistema delle formazioni cristalline del Paleozoico.

Mappa – La geologia dell’area Gallurese In rosa e rosa arancio le varie formazioni intrusive granitiche, in verde oliva le formazioni metamorfiche di vario grado, in celeste le formazioni del sistema carbonatico mesozoico ed in grigio le formazioni detritiche quaternarie.

Per meglio definire i caratteri geologici dell’area imperniata sul promontorio di Punta l’Isuledda e sulle aree adiacenti, è necessario delineare un breve inquadramento geologico-strutturale della regione con particolare riguardo alla genesi e stratigrafia del basamento cristallino paleozoico costituente l’ossatura di gran parte dell’Isola ed in particolare della Gallura. Gli eventi geologici responsabili dell’attuale assetto geostrutturale dell’area in esame si possono far iniziare nel Terziario, durante l’Oligocene medio quando, per la collisione della placca africana con quella europea, si ebbe la rototraslazione del blocco sardo-corso e l’apertura del rift sardo (fossa sarda), con la suddivisione del basamento cristallino paleozoico, strutturalmente già evoluto, in due horst (pilastri).

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Mappa - Un dettaglio della geologia dell’area compresa tra Capo Figar e l’Isuledda

La subsidenza all’interno della fossa fu attiva per un lungo periodo, cosicché il mare miocenico vi penetrò, come testimoniano i numerosi affioramenti di sedimenti marini miocenici nel Meilogu- Logudoro a nord e lungo i bordi della fossa campidanese nel centro-sud, nella Marmilla, nella Trexenta ad est e di Funtanazza e del Cixerri ad ovest. Le indagini di superficie e le numerose perforazioni profonde eseguite in Campidano hanno permesso di ricostruire la serie miocenica nel settore centrale della “fossa sarda”. Essa presenta spessore di circa 1500 m, di cui circa 300-400 m di ambiente continentale ed il restante di ambiente marino. In funzione della posizione rispetto all’evoluzione della fossa stessa, i terreni che in essa si rinvengono sono stati suddivisi in depositi pre-rift, syn-rift e post-rift, (Cherchi e Montardet, 1982, 1984). I depositi pre-rift, costituiti dai depositi detritici continentali eocenici della formazione del Cixerri, si rinvengono nella parte basale della fossa e costituiscono i termini più antichi carotati nel Campidano. I prodotti del ciclo vulcanico oligo-miocenico ad affinità calco-alcalina auct., i sedimenti continentali della formazione di Ussana, i sedimenti in facies marina delle Arenarie di Gesturi, in eteropia con i Calcari di Isili e con le Marne di Ales (Cattiano sup.) ed il successivo complesso vulcano-sedimentario della formazione della Marmilla (Aquitaniano) in eteropia con i Calcari di

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1.3 CARATTERI GEOLOGICI DELL’AREA VASTA DI SAN TEODORO

L’area costituente il settore vasto circostante l’Isuledda è costituito quasi integralmente da rocce cristalline paleozoiche e dai suoli e dalle formazioni eluvio-colluviali, in genere, derivanti dalla loro alterazione. Il dominio in oggetto è inserito nel sistema più vasto dell’Horst tettonico gallurese. In particolare, il tratto in esame costituisce una parte della movimentata costa del settore meridionale della Gallura. La carta geologica (Tav 4) mostra, come nel settore studiato affiori le seguenti litologie, dalla più giovane alla più antica: L'area del sistema nord-orientale della Sardegna è costituita da un lembo dello zoccolo ercinico che affiora nella gran parte dell’isola.

1.3.1Caratteri generali La Sardegna è classicamente divisa in tre complessi geologici che affiorano per estensioni equivalenti: il basamento metamorfico ercinico, il complesso intrusivo tardo-ercinico, le successioni sedimentarie e vulcanico tardo-erciniche, mesozoiche e cenozoiche. Il basamento paleozoico sardo è un segmento della Catena Ercinica sud-europea che dalla maggior pare degli autori è considerata una catena collisionale con subduzione di crosta oceanica e metamorfismo di alta pressione a partire dal siluriano, collisione continentale con importante ispessimento crostale, metamorfismo barroviano (datato a 339-350 Ma; Del Moro et alii, 1991) e magmatismo durante il Devoniano superiore e il Carbonifero (Matte, 1986; Carmignani et alii, 1994°). In Sardegna la geometria collisionale della Catena Ercinica è ancora ben riconoscibile. Secondo Carmignani et alii (1992°; 1994°) il margine armoricano sovrascorso è rappresentato dal Complesso Metamorfico di Alto Grado che affiora nella Sardegna Settentrionale (fig.1) mentre il margine del Gondwana subdotto è rappresentato da un Complesso Metamorfico di Basso e Medio grado strutturato in un edificio a falde e caratterizzato da una zoneografia barroviana prograda (Carmignani et alii, 1979; Franceschelli et alii, 1989), a sua volta suddiviso in Falde Interne e Falde Esterne, che affiora nella Sardegna centrale esudorientale. I due complessi sono separati dalla Linea Posada-Asinara, lungo la quale affiorano frammenti di crosta oceanica con paragenesi relitte di ambientazione eclogitica (Cappelli et alii, 1992). A questa strutturazione collisionale nel tardo-ercinico segue un’evoluzione caratterizzata dal collasso gravitativo della catena e da rilascio termico (metamorfismo di alto T/P). Nelle aree del Mediterraneo occidentale i processi estensionali legati al collasso dell’orogene ercinico sono attivi da 320 fino ad almeno 280 Ma (e.g. Massiccio Centrale e Montagna Nera: Echtler & Malaveille, 1990; Pirenei: Gibson, 1991); in Sardegna e Corsica l’evoluzione tardo-ercinica della catena, caratterizzata da una dinamica essenzialmente estensionale e/o trans-tensile, è dominata da processi esumativi attivi, come minimo, a partire da 308 Ma (età minima di chiusura della muscovite in migmatiti del complesso metamorfico di alto grado: Macera et alii, 1989) e coincide con la messa in posto di gran parte delle plutonici che formano il Batolite Sardo-Corso. Essa si esprime anche con diffuse manifestazioni vulcaniche e sub-vulcaniche in campi filoniani (Attori & Traversa, 1986; Vaccaio, 1990) e con la genesi di bacini intracratonici stefaniano-autuniani. Col Permiano più tardo e conil Triassico inferiore un nuovo ciclo magmatico ad affinità alcalina post-orogenica (Bonin, 1980), ancora associato a sedimentazione continentale, caratterizza il blocco sardo-corso. Questo magmatismo che in Sardegna si esplica con manifestazioni sub- vulcaniche ed effusive (Balzelli et alii, 1987; Cortesogno & Gaggero, 1999) non può essere riferito al collasso della Catena Ercinica ma piuttosto alla riorganizzazione delle placche legata alla fase di rifting che, manifestatasi con trasgressioni marine fin dal Triassico superiore, porterà all’apertura dell’Oceano Ligure-Piemontese (Cortesogno et alii, 1998). Dopo l’Orogenesi ercinica altri settori di crosta strutturata in questo evento sono incorporati nella catena pirenaica, nelle Alpi e nell’Appennino, mentre il settore di crosta che attualmente

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1.3.2Il Complesso metamorfico di alto grado Il Complesso Metamorfico di Alto Grado di Carmignani et alii (1994°) affiora a nord della Linea Posada-Asinara ed è costituito da affioramenti di modesta estensione isolati nel batolite calcalcalino tardo-orogenico. I protoliti di questo complesso sono con ogni probabilità precambrici: in Sardegna sono intrusi da ortogneiss ordoviciani (Di Simplicio et alii, 1974) ed in Corsica un basamento metamorfico panafricano è sormontato da una successione anchimetamorfica attribuita al Paleozoico inferiore (Baudelot et alii, 1977; 1981; Menot & Orsini, 1990). Nell’insieme il Complesso Metamorfico di Alto Grado, come già accennato, è interpretato come una falda cristallina sovrascorsa, durante la collisione ercinica, sulle attuali metamorfici di medio grado che affiorano lungo la Linea Posada- Asinara (Carmignani et alii, 1991; Cappelli et alii, 1992). Il litotipo dominante è costituito da migmatiti, le quali mostrano una certa variabilità di tipologie tessiturali e composizionali. Al di là delle specifiche caratteristiche tessiturali e strutturali, le migmatiti possono essere suddivise in metatessiti e diatessiti (nomenclatura secondo Ashworth, 1985). All’interno di esse si rinvengono corpi pluriettometrici diortogneiss e corpi di anfiboliti; queste ultime sono il litotipo che ha meglio conservato la complessa evoluzione termobarica di questo settore di crosta. Le associazioni mineralogiche Al2SiO5 + Ms e Al2SiO5 + Kfs caratterizzano il complesso metamorfico di alto grado (Franceschelli et alii, 1982) insieme alla frequente presenza di leucosomi. Questi ultimi , per lo più riconducibili a fenomeni di smistamento a partire da protoliti di natura politico-arenacea, possono rappresentare porzioni di fusi analettici frustali corrispondenti a termini di minimum melt (Palmeri, 1992). Altri sono stati interpretati come casi di smistamento in solidus (Ferrara et alii, 1978; Palmeri, 1992). Le reazioni anatettiche più invocate sembrano essere avvenute in condizioni di sottosaturazione di acqua per decomposizione incongruente di fasi idrate.Talvolta la discreta abbondanza di granato o cordierite e la scarsa presenza di Al2SiO5 nelle porzioni melanocrate delle diatessiti conduce a ritenere che si siano raggiunte condizioni di biotite melting stage secondo le reazioni: Bt + Al2SiO5 + Pl + Qtz = Grt/Crd + Lq ± Kfs; Bt + Ms + Qtz = Grt + Kfs + Lq), verosimilmente precedute da decomposizione di muscovite (Ms + Pl + Qtz = Al2SiO5 + Lq ± Kfs) (Macera et alii, 1989; Oggiano & Di Pisa, 1992). Di particolare interesse sono in questo complesso le associazioni granulitiche relitte di pressione intermedia-elevata (Grezzo et alii, 1982) riscontrabili soprattutto in corpi femici ed ultrafemici stratificati, siti all’interno di gneiss con relitti di cianite, affioranti in Gallura e nell’estremità settentrionale dell’Asinara (Castorina et alii, 1996). Grezzo et aliii (1979) descrivono nel complesso di Montiggju Nieddu, un paio di chilometri a sud del limite del Foglio di , l’associazione Ol + Gt + Opx + Cpx in disequilibrio tessiturale con fasi di facies anfibolitica quali Mg-orneblenda, spinelli della serie dell’hercynite e cloriti. Le stime termobariche di questi autori si attestano intorno ai 750 °C e 10 Kb (Ph2O < Ptot) per l’associazione granulitica e 650 °C e 5 Kb (in condizioni di saturazione H2O) per la ricristallizzazione anfibolitica. Non dissimili sono i dati riscontrati più di recente nel complesso basico di Punta Scorno all’Asinara (Di Pisa et alii, 1993), dove per un primo evento granulitico relitto sono state stimate temperature intorno ai 740 °C e pressioni (minime) di circa 8 Kb, mentre la riequilibratura in facies anfibolitica è

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1.3.3Il Complesso intrusivo ercinico I granitoidi tardo-ercinici costituiscono circa un quarto dell’Isola; insieme alle intrusioni granitoidi della Corsica formano il Batolite Sardo-Corso. Questo è il Batolite più importante della Catena Ercinica Europea, esteso per una lunghezza di 400 Km ed una larghezza di oltre 50. Il carattere del batolite è notoriamente composito; la variabilità delle caratteristiche, sia geotermiche che strutturali, è implicita se si considera il lasso di tempo piuttosto lungo in cui si realizza la sua messa in posto. Considerando che i granitoidi della Corsica settentrionale hanno età di messa in posto viseana-namuriana (Rossi et alii, 1988) e che i massicci leucomonzogranitici come quelli di Buddusò (Castorina & Petrini, 1989) e Tempo Pausania (Del Moro et alii, 1996) hanno età permiana inferiore, la messa in posto dell’intero batolite si realizza in un intervallo di tempo di circa 60 Ma. In un tale intervallo di tempo è lecito aspettarsi cambiamenti del quadro geodinamico che si riflettono sui caratteri strutturali e composizionali delle diverse intrusioni. Nel Batolite Sardo-Corso, infatti vengono distinte due associazioni principali: una magnesio- potassica di età viseana-namuriana, presente nella Corsica settentrionale, e una calcalcalina, riferibile al Carbonifero superiore-Permiano inferiore, che praticamente costituisce la quasi totalità dei granitoidi della Corsica meridionale e della Sardegna (Orsini, 1980; Cocherie, 1985; Rossi & Cocherie, 1991). A queste si aggiunge un’attività magmatica post-orogenica a carattere alcalino anorogenico del Permiano medio-Triassico inferiore ben documentata solo in Corsica e che a rigore dovrebbe essere considerata post-batolite. Secondo Rossi & Cocherie (1991) le tre associazioni presenti nel Batolite Sardo-Corso sono caratterizzate da età e profondità di messa in posto decrescenti, procedendo dall’associazione calcalcalina magnesio-potassica a quella alcalina post-orogenica. Per prima , di età namuriana (335-340 Ma), sono state stimate profondità corrispondenti 5-6 Kb; per la seconda, con età di messa in posto collocate tra 313 e 280 Ma (Cocherie, 1985), vengono stimate profondità di messa in posto a livelli anchi-epizonali, come nella Sardegna meridionale, oppure in crosta di origini più profonde ma già esumata e parzialmente erosa (cortesogno et alii, 1998); come nella Bassa Gallura (Sardegna settentrionale), dove i monzograniti del massiccio di intrudono anche sedimenti e vulcano-sedimenti di età permo-carbonifera (Del Moro et alii, 1996). Per quanto concerne i rapporti tra la messa in posto dei vari plutoni e la tettonica ercinica, Grezzo & Orsini (1982) hanno distinto tra plutonici sin-,tardo- e post-tettoniche in riferimento all’ultima fase deformativi ercinica, ritenuta da questi autori ancora compressiva e, quindi, collocata all’interno della dinamica collisionale della catena. Solo le età radiometriche e le strutture esibite dai granitoidi appartenenti all’associazione magnesio-potassica della Corsica settentrionale sono compatibili con una messa in posto durante un regime collisionale ercinico ancora attivo. In Sardegna, dove è presente solo l’associazione calcalcalina, le età radiometriche, i rapporti tra filiazioni interne alle intrusioni e la strutturazione generale della catena, suggeriscono che l’assetto deformativi rilevato all’interno delle intrusioni, talvolta acquisito in condizioni di solid state flow da parte delle intrusioni, sia da mettere in relazione a zone di taglio transtensive successive all’impilamento delle falde, come nel Monte Grighini (Carmignani et alii, 1985), o comunque a zone di taglio connesse con una tettonica decompressiva, come nella Bassa Gallura (Oggiano & Di Pisa, 1988; Macera et alii, 1989). In definitiva la messa in posto del batolite sardo è da ricondurre alla tettonica estensionale legata al collasso gravitativi della catena ercinica. Tale tettonica in Sardegna è sicuramente attiva a partire da almeno 307 Ma, cioè dalle più antiche età di chiusura isotopica Rb-Sr delle muscoviti dei graniti analettici della Bassa Gallura (la cui genesi è legata al regime esumativi della catena; Macera et alii,1989), e prosegue fino almeno all’Autuniano. Ad essa è ricondotto il metamorfismo regionale di alta T/P che si manifesta in alcuni settori della catena nel Nord-Sardegna (Di Pisa & Oggiano, 1987b; Del Moro et alii, 1991; Di Pisa et alii, 1993), lo sviluppo di bacini stefano- autuniani ed il vulcanismo calcalcalino del Permiano. Gran parte del platonismo calcalcalino del batolite sardo deve perciò ritenersi coevo alle vulcaniti ed ai sedimenti (almeno della loro parte

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Ortogneiss Gli ortogneiss hanno caratteri composizionali e tessiturali molto vari; si va da gneiss monzogranitici, con relitti di grossi individui di K-feldspato in cui ancora si osservano relitti di tessiture occhiadine (Porto Ottiolu: Gallura), a gneiss granodioritici. L'ortogneiss di Tanaunella, in virtù di un'età Rb/Sr di 458±31 Ma, è stato assimilato agli ortogneiss ordoviciani conosciuti sia nella zona esterna che nel complesso in facies anfibolitica (Di Simplicio et alii, 1974).

Anfiboliti Le mafiti ed ultramafiti costituiscono corpi ettometrici all'interno delle migmatiti e mostrano un’evoluzione plurifaciale con uno stadio precoce di alta temperatura e pressione intermedio-alta (granulitico-eclogitico). I corpi mafici con relitti di metamorfismo granulitico sono interpretati come corpi basici stratificati intrusi in crosta inferiore. Altre anfiboliti con relitti eclogitici potrebbero derivare da tholeiiti continentali e testimoniare una fase di rifting del Paleozoico inferiore (Ricci & Sabatini, 1978).

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Plutoniti basiche (masse gabbriche, tonaliti e granodioriti tonalitiche). Molto rare all’interno del Batolite Sardo, costituiscono masse di piccole dimensioni quasi sempre inglobate all’interno di plutonici acide. Gli affioramenti più importanti sono: Punta Falcone ( Santa Teresa di Gallura), , Osidda, Burcei nel Sarrabus. Un tratto comune di queste plutonici è la presenza di stratificazione da cumulo e l’associazione con litotipi a composizione da dioritica a tonalitica. La massa fabbrica più studiata è quella di Punta Falcone, costituita da gabbri anfibolitici con strutture di cumulo. Bralia et alii (1981) e Poli et aliii (1989) hanno interpretato questa massa fabbrica come il prodotto dello smembramento di un’intrusione basica, non ancora cristallizzata, risalita a livelli alto crostali, dove sarebbe stata inglobata da magmi analettici con i quali avrebbe prodotto fenomeni di interazione meccanica. Microscopicamente le tonalità e le granodioriti tonalitiche si caratterizzano per una grana media per lo più equigranulare, per la tessitura spesso orientata e per la presenza di inclusi microgranulari femici. L’aspetto della roccia è in genere grigiastro.

Monzograniti (granodioriti monzogranitiche e monzograniti). Questi graniti presentano ampia varietà di facies dovuta essenzialmente a diversi gradi di eterogranularità e di orientazione tessiturale. Detta variabilità, riscontrabile spesso all’interno di singole intrusioni a conferire loro notevole disomogeneità tessiturale, ha grande rilevanza nella caratterizzazione merceologica di tali rocce che sono ampiamente sfruttate per usi ornamentali. Le granodioriti monzogranitiche mostrano colori grigiastri con frequenti inclusi microgranulari. Notevole è la varietà dei caratteri macroscopici anche nell’ambito di una stessa massa intrusiva; detta variabilità è legata alla dimensione dei cristalli di K-feldspato spesso orientati. Tutti i monzograniti sono inquadrabili tra “le plutonici tardo-tettoniche” e “post-tettoniche” (sensu Grezzo & Orsini, 1982). Tra le diverse intrusioni, alcune sono allungate a forma ellissoidica (p.e. l’intrusione di Tempio Pausania-Calangianus) con asse maggiore orientato N110. All’interno delle intrusioni monzogranitiche è stata riconosciuta una sequenza di messa in posto sincrona “in continuo” dai tipi più ricchi in biotite, che rappresenterebbero le facies pertinenti i livelli apicali del corpo intrusivo (Cherchi et alii, 1987). In queste plutonici è spesso rilevabile una marcata fluidalità planare (Le Gall et alii, 1985) espressa dall’allineamento di megacristalli di feldspato alcalino e di inclusi femici di forma allungata, elemento caratteristico di queste plutonici, la cui orientazione è compresa intorno a N110.

Leucomonzograniti. Affiorano diffusamente in tutti i settori del basamento sardo. Infatti essi si rivengono intrusi all’interno delle rocce anchimetamorfiche della Zona Esterna, delle metamorfici in facies di scisti verdi della Sardegna centro-orientale e del Complesso Metamorfico di Alto Grado della Gallura. Si contraddistinguono per la generale omogeneità composizionale, le tessiture essenzialmente isotrope o, talvolta, debolmente orientate e la colorazione tipicamente rosata. Varie facies sono distinguibili anche in virtù del grado di porfiricità, del contenuto in biotite che non supera mai il 5% modale, e della eventuale compresenza di muscovite. La giacitura delle intrusioni leucomonzogranitiche è generalmente discordante rispetto al pattern strutturale delle rocce incassanti e delle intrusioni precedenti; la direzione dominante varia da N-E a NE-SW (Ghezzo & Orsini, 1982). Le principali intrusioni sono quelle dei massicci di Alà dei Sardi, del M.te Limbara e del Sulcis, ma intrusioni più modeste sono sparse in tutta l’Isola. Tra i leucomomzograniti va distinto quello del massiccio di Concas, che affiora da Punta Tepilora e Punta Pianedda, per il suo carattere peralluminosa che si manifesta con la presenza di granati e muscoviti. Le età radiometriche disponibili per i leucograniti variano intorno alla data di 285±5 Ma (Cocherie, 1985). L’introduzione del concetto di “unità intrusiva” (che racchiude termini strutturalmente connessi fra loro, sia pure composizionale diversi; v. oltre) nell’interpratazione dei dati di rivelamento del Foglio Arzachena consente di superare questa distinzione schematica.

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) La petrogenesi del batolite è stata ricostruita secondo modelli differenti proposti da vari autori. Secondo Zorpi et alii (1989) le caratteristiche geologico-strutturali di alcune intrusioni composite (Bono e Buddusò) e le zonature composizionali nei principali massicci monzogranitici sarebbero il risultato di processi complessi che prevedono: I) presenza di grandi volumi di magma acido in camere magmatiche profonde di dimensioni batolitiche, nelle quali si realizzerebbero zonature composizionali per processi diffusivi allo stato liquido (termodiffusione, convezione doppio-diffusiva) e/o successivamente per cristallizzazione di parete; II) in un secondo stadio, in tali camere si verificherebbero iniezioni di magma basaltico più denso, che determinerebbero la mobilizzazione del sistema e la sua ascesa e messa in posto a livelli più superficiali. I processi di mixing, soprattutto di tipo fisico, con trasferimento di fenocristalli in entrambi i sensi, sarebbero il meccanismo petrogenetico fondamentale responsabile delle variazioni chimiche osservate nei massicci zonati del batolite. Secondo Poli et alii (1989) le variazioni geochimiche del batolite sarebbero il risultato di un processo petrogenetico a due stadi. Nel primo stadio si avrebbe l’iterazione di un magma subcrustale con un fuso monzogranitico prodotto per anatessi di crosta con composizione corrispondente ad una anfibolite biotitica (grado di fusione 25-35%). L’interazione non sarebbe riconducibile, secondo gli autori, ad un semplice processo di mixing, bensì ad AFC (assimilazione e cristallizzazione frazionata; De Paolo, 1981a, b). A questa fase si attribuisce la formazione delle intrusioni granodioritiche e tonalitiche. Durante il secondo stadio si avrebbe la formazione di fusi leucomonzogranitici in seguito a bassi gradi di fusione parziale (15-25%) della crosta continentale. Sulla base di questo modello generale, il ruolo dell’anatessi crostale sarebbe prevalente nella petrogenesi dell’intero batolite. Secondo Rossi & Cocherie (1991) sia l’associazione magnesio-potassica che quella calcalcalina derivano essenzialmente da fusione di crosta con composizione delle grovacche, anche se nella prima associazione l’anatessi sarebbe avvenuta in condizioni granulutiche e nella seconda in condizioni anfibolitiche. Inoltre l’associazione magnesio-potassica avrebbe interagito con magmi subcrustali in composizione basaltica alta in K e di affinità incerta, mentre l’associazione calcalcalina avrebbe interagito con magmi basici ad affinità tholeitica, dando così luogo ad ibridazioni di cui le granodioriti e le tonalità con enclaves di tipo BMD (basic magma derived; Bralia et alii, 1981; Cocirta & Micron, 1989) sono l’espressione più diffusa). Il basamento cristallino della Sardegna è disseminato di numerose manifestazioni sub-vulcaniche, l’inquadramento delle quali, all’interno dell’evoluzione geodinamica della Sardegna ercinica e tardo-ercinica, è stato sempre marginale. In realtà le problematiche poste sia dalla giacitura, sia dai caratteri petrochimici in relazione all’età, risultano non banali e dotate di una certa complessità. I rapporti con le rocce incassanti offrono spunti per interpretare il campo di stress locale al momento della loro messa in posto, quelli composizionali possono riflettere cambiamenti dei contesti geodinamici nel tempo. Infatti gli aspetti giaciturali eventualmente correlati con dati di cronologia assoluta, possono consentire di collocare le attività magmatiche cui sono legati i filoni, in un quadro evolutivo post-collisionale che può spingersi oltre il collasso della Catena ercinica, fino all’apertura del rift tetideo. I filoni nella vecchia cartografia venivano distinti tra acidi e basici, questi ultimi definiti genericamente come lamprofirici. Lavori più recenti hanno messo in evidenza come molti filoni basici siano a composizione dioritica o basaltica transizionale e come filoni alcalini siano meno comuni. Alcuni di questi comunque sembrano fornire età triassiche (Balzelli et alii. 1987), coerentemente con un cambiamento del quadro geodinamico (Cortesogno et elii,1998; Cortesogno & Gaggero,1999).

Nel settore esaminato sono assenti quasi interamente Mesozoico e Cenozoico e ritroviamo il solo affiorare del Quarernario. Il Quaternario è rappresentato, nell’area, in gran parte da depositi in facies continentale, mentre i subordinati depositi marini danno luogo ad affioramenti discontinui e di debole spessore e vengono attribuiti al Tirreniano, essendo gli unici che forniscano una sicura datazione in base al contenuto paleontologico. Per quanto riguarda l'età dei depositi continentali, questa è in genere definita solo in base ai rapporti con quelli marini tirreniani.

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Mappa – Il modello del suolo dell’area con la posizione dell’intervento mostra il chiaro impianto litologico della morfologia

L’Olocene è rappresentato soprattutto dai depositi ghiaioso-sabbiosi di fondovalle e delle piane alluvionali, dalle sabbie e ghiaie delle spiagge, dalle sabbie eoliche di retrospiaggia, talora con formazioni dunari che si estendono per qualche chilometro nell'entroterra, e da depositi limoso- argillosi delle lagune e stagni costieri. Sempre all’Olocene sono riferibili gli accumuli detritici spigolosi e più o meno grossolani situati al piede dei versanti più acclivi nei rilievi costituiti dalle magmatiti paleozoiche (porfiroidi, porfidi, granitoidi). Nei settori costieri sono localmente presenti, sospesi in genere fino a 3-4 m sull'attuale livello del mare, i sedimenti marino-litorali del Tirreniano II ("Panchina tirreniana a Strombus" Auct., (VARDABASSO, 1956; ULZEGA & OZER, 1982), costituiti da conglomerati e arenarie a cemento calcareo e biocalcareniti, in genere contenenti una ricca associazione fossilifera di mare caldo (simile a quella attualmente vivente lungo le coste del Senegal), data da lamellibranchi (Arca, Glicimeris, Mytilus galloprovincialis), gasteropodi (Strombus bubonius, Conus testudinarius, Patella ferruginea, ecc.), celenterati (Cladocora coespitosa), cirripedi (Balanus), alghe (Lithothamnium). All’interno di questa successione tirreniana vengono ulteriormente distinte due facies sedimentarie, non contemporanee e separate da una superficie erosiva: una caratterizzata da un'arenaria omogenea ben stratificata a Strombus attribuita allo stadio “Eutirreniano”, ed una seconda costituita da conglomerati grossolani ed eterogenei attribuita ad uno stadio “Neotirreniano”, separate da un breve evento regressivo di minore importanza. Le analisi sulla racemizzazione degli amminoacidi e datazioni radiometriche U/Th su questi depositi danno un’età variabile tra 138.000 e 90.000 anni (ULZEGA, 1995). Questi affioramenti sono analoghi ad altri in Sardegna, come quelli di Cagliari (Calamosca), dove Issel (1914) istituì il "piano tirrenico", di Is Arenas, Nora, Sinis, , Santa Teresa di Gallura, ecc..

1.4ASPETTI GEOLOGICI DELL’AREA RISTRETTA DE L’ISULEDDA

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Su di esso si spandono formazioni detritiche quaternarie costituite da sedimenti quaternari olocenici costieri, di spiaggia, alluvionali, di versante e colluviali, alloctoni ed autoctoni.

1.4.1.1Depositi di Versante e Colluviali - Olocene I depositi di versante presenti, indIcati in carta in grigio, mostrano spessore fortemente variabile e costituiscono il raccordo tra la metà inferiore del versante e la superficie di abrasione marina retrocostiera. La litologia dei clasti è monogenica e quindi sostanzialmente costituita da uno scheletro di elementi clastici eterometrici, caotici, poco elaborati di ortogneiss in una matrice terrosa. Data la natura litologica di questi rilievi costituiti da ortogneiss ercinici, da cui questi sedimenti provengono, essi sono composti essenzialmente dai prodotti della disgregazione ed alterazione di queste litologie, come peraltro i suoli soprastanti.

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1.5 CARATTERI IDROGEOLOGICI

Per definire i caratteri idrogeologici del territorio esaminato sono stati analizzati gli aspetti riguardanti l’idrografia superficiale, i caratteri idraulici delle formazioni presenti e sono state descritte le principali unità idrogeologiche costituenti il substrato dell’area.

1.5.1 Idrografia superficiale

Il settore de l’Isuledda è morfologicamente ricadente nel sistema dei bacini idrografici superficiali minori ricompresi tra i Posada ed il Padrongiano.

Mappa - L’area vasta di San Teodoro – Olbia ed i bacini idrografici del Padrongiano (azzurro) e dei bacini costieri minori trail Padrongiano ed il Posada (in rosa)

L’idrografia superficiale dell’area ristretta è costituita da alcuni impluvi caratterizzati da bacini idrografici superficiali di dimensione generalmente inferiore al km² e talvolta di soli pochi ettari. In generale dopo percorsi abbastanza brevi, i corsi d’acqua raggiungono il mare oppure la depressione che separa il promontorio dalla terraferma. Essi sono tutti caratterizzati da bacini imbriferi arealmente poco estesi e presentano generalmente regime fortemente discontinuo, con lunghi periodi di magra e, sia pure per brevi periodi, portate notevoli, nel periodo delle piogge.

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Mappa - Il dettaglio del bacino idrografico (in blu sottile a tratteggio) gravante sul comparto A1 e caratterizzato da una superficie ridotta

Il piccolo corso di la Fosso La Calcinosa sfocia poco a Nord, nel compendio di Liscia Eldi. Il bacino stagnante de l’Isuledda è alimentato dal Rio lu Tricu o Chissagghiu. Quelli presenti nel settore SE confluiscono e vengono convogliati nella piana per confluire nello anch’essi nello stagno. Il sistema dei corsi d’acqua ha, a piccola scala, orientazioni prevalenti che seguono pedissequamente l’andamento delle strutture tettoniche principali. In particolare gli orientamenti principali sono N130 e N050. Lo stagno di de l’Isuledda ha una superficie massima di circa 1.8 ha

1.5.2 Caratteri idraulici delle formazioni geologiche.

La descrizione delle caratteristiche idrauliche dei materiali presenti nell’area de l’Isuledda è stata basata sulle osservazioni dirette e su quanto riportato in letteratura. Le rocce, in funzione della loro natura, origine e storia geologica, possono presentare caratteri tali da consentire l’assorbimento, l’immagazzinamento, il deflusso e la restituzione di acque sotterranee in quantità apprezzabili, o possono non presentare tali caratteri. Le rocce che hanno la capacità di permettere il deflusso e la restituzione delle acque sotterranee vengono dette rocce serbatoio o acquiferi. Le rocce serbatoio unitamente alle altre, che non presentano tali caratteri, hanno diverse proprietà idrauliche derivanti dai caratteri fisico-chimici e meccanici. Alcune di queste proprietà, come la porosità, la capacità di assorbimento, la capacità di percolazione e la permeabilità, condizionando

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) quantitativamente l’assorbimento, l’immagazzinamento ed il movimento delle acque che possono essere captate, sono molto importanti dal punto di vista idrogeologico. In idrogeologia si parla di rocce permeabili e rocce impermeabili, in relazione alla facilità con cui l’acqua sotterranea penetra, circola e si distribuisce nel sottosuolo e la permeabilità permeabilità viene distinta in due tipi fondamentali: primaria e secondaria, a seconda che sia una caratteristica congenita o acquisita. La permeabilità primaria, o in piccolo, è tipica delle rocce porose, caratterizzate da vuoti intercomunicanti fra i granuli, ed è una proprietà intrinseca del litotipo, poiché la formazione dei meati è singenetica alla formazione della roccia. Solo in alcuni casi, come nei prodotti di alterazione dei graniti e delle arenarie la permeabilità per porosità è secondaria. La permeabilità secondaria, detta anche per fratturazione, o in grande, è invece tipica delle rocce, sia coerenti che compatte, fessurate. Questa è generalmente una proprietà acquisita, dovuta principalmente a sforzi tettonici o da decompressione, che hanno determinato l’apertura di fessure, spesso successivamente allargate da processi chimico-fisici. Si può parlare di proprietà intrinseca solo nel caso in cui la permeabilità è dovuta a fessure singenetiche, ossia che si sono formate contemporaneamente alla formazione della roccia come i giunti di raffreddamento, nelle rocce laviche, i giunti di stratificazione ed i piani di scistosità. Un terzo tipo di permeabilità, quello per carsismo, non è osservabile nell’area de l’Isuledda. Le rocce oltre che per il tipo di permeabilità possono essere distinte anche per il grado di permeabilità, che può essere espresso in termini relativi, quindi in modo qualitativo, alta, media e bassa, o in termini assoluti, quindi in modo quantitativo con il coefficiente di permeabilità k in cm/s. Anche per quanto riguarda i caratteri idraulici delle formazioni geologiche che costituiscono il territorio interessato, si può fare una netta divisione tra le rocce intrusive ed ultametamorfiche che costituiscono illa gran parte del substrato dell’area e le rocce detritiche che compongono la piccole piane costiere e che colmano le depressioni, in quanto in ognuna di queste aree sono appunto del tutto differenti le modalità della circolazione delle acque sotterranee. La permeabilità di queste formazioni è pertanto influenzata esclusivamente dallo stato di fratturazione dell’ammasso roccioso. Sono pertanto le litofacies, caratterizzate da un sistema di giunti di fratturazione ben sviluppato, dovuto sia a fenomeni di contrazione, nella fase di raffreddamento della roccia, sia a fenomeni tettonici, che possono risultare acquiferi d’interesse. Nel resto del territorio interessato, costituito dal potente complesso detritico, plio-quaternario, la circolazione idrica sotterranea è invece per porosità. Nella sequenza stratigrafica, costituita da alternanze di livelli ghiaioso-sabbiosi, ciottoloso- sabbioso-argillosi, ciottolosi ghiaiosi, ciottoloso-sabbioso-argillosi, variamente disposti, e lenti argillose o argillo-limose intercalate, la porosità e conseguentemente la permeabilità variano al variare della composizione granulometrica della facies. I sedimenti a grana da fine a molto fine, presentano una porosità relativamente elevata ed una permeabilità molto bassa, in quanto gli interstizi fra i granuli che compongono la roccia hanno diametri assai piccoli che non permettono il deflusso delle acque. Esse pertanto agiscono come barriera al movimento dell’acqua, anche se hanno la capacità di immagazzinare grandi quantità d’acqua, che può defluire molto lentamente. I sedimenti a granulometria maggiore, composti cioè da sabbie, ghiaie e ciottoli di ambiente fluviale, con porosità comprese tra il 20%, nei depositi grossolani scarsamente selezionati, ed il 40%, nei materiali uniformemente selezionati, costituiscono dei buoni acquiferi La maggior parte degli acquiferi in tali depositi presentano permeabilità variabile tra 1x10^-4 e 1x10^-3 cm/s, anche se non è infrequente trovare valori superiori a 5x10^-3 cm/s. Pozzi scavati in tali depositi possono mostrare rendimenti moderati, anche se si possono riscontrate rendimenti maggiori se lo strato permeabile è potente, come nel caso di canali sepolti. I sedimenti che si rinvengono nelle piane costiere, costituiti sia da depositi alluvionali che da depositi marini, mostrano rendimenti specifici molto simili a quelli dei depositi alluvionali, con

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Mappa – L’andamento della permeabilità del substrato su base litologica e strutturale per il settore di l’Isuledda Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 28

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1.5.3 Caratteristiche Idrogeologiche

Dopo aver descritto le proprietà idrauliche delle diverse formazioni presenti, nell’area in esame sono state identificate le principali unità idrogeologiche ed è stata elaborata la carta idrogeologica allegata. Nell’identificazione delle unita idrogeologiche, una prima discriminazione è stata fatta suddividendo le formazioni permeabili per porosità da quelle permeabili per fratturazione. Successivamente, all’interno dei due singoli gruppi sono state definite, qualitativamente, le diverse classi di permeabilità, e ad esse sono state associate le litologie che, sulla base dei caratteri idraulici, ricadono generalmente in una determinata classe di permeabilità. Le litofacies, caratterizzate dallo stesso tipo di permeabilità e ricadenti nella stessa classe di permeabilità sono state aggregate per formare le unità idrogeologiche. Il risultato ottenuto è stato sintetizzato nella carta idrogeologica allegata. Nel settore de l’Isuledda le formazioni presenti sono un numero limitato ed in particolare: - formazione cristallina - detrito di falda e depositi eluvio-colluviali - alluvioni eterometriche parzialmente cementati - alluvioni ciottolose sciolte attuali e sub-attuali - terreni argillo-limosi delle aree stagnali

1.5.3.1Formazione cristallina L’indagine indica che la gran parte della superficie del rilievo ospitante l’Isuledda è costituita dall’Ortogneiss. Si tratta di rocce a media permeabilità, con circolazione per frattura nella parte maggiormente sana e con circolazione per porosità nelle facies maggiormente interessate da fenomeni di arenizzazione ed evidenziate nella carta geologica dalla presenza delle coltri detritiche eluvio-colluviali. L’esiguo numero di manifestazioni sorgentizie in esso presenti, sembra confermare la ridotta quantità di acque sotterranee circolanti anche a causa del ridotto bacino idrografico superficiale e delle esigue precipitazioni. La presenza di roccia affiorante su gran parte della superficie della collina retrostante riduce la potenziale infiltrazione delle acque a vantaggio del ruscellamento superficiale. Questa situazione è presumibilmente dovuta non solo alla elevata rocciosità, ma anche alla morfologia dell’area ed alla reiterata azione degli incendi che ha come effetto collaterale la decapitazione dei suoli pur poco evoluti, presenti. Un altro fattore che condiziona la potenzialità idrogeologica dell’area è rappresentato dal regime pluviometrico caratterizzato da un andamento discontinuo ed irregolare delle precipitazioni, spesso intense e concentrate, che si alternano a lunghi periodi secchi. Nell’area del promontorio non sono segnalate sorgenti di rilievo. Nei detriti, sempre alla base delle scarpate rocciosa presenti, si rinviene spesso piccolissime emergenze con portate esigue, che presumibilmente drenano piccole falde presenti nelle coltri detritiche.

1.5.3.2 Alluvioni eterometriche, parzialmente cementate Questa unità, costituisce la zona ospitante il corso di lu Tricu, alimentante lo specchio de l’Isuledda, e mostra nel complesso una permeabilità media, almeno nelle parti più superficiali, per la presenza di potenti orizzonti fortemente permeabili, conglomeratici ad abbondante matrice fine, solo localmente cementati ed addensati, e livelli limo-argillosi impermeabili, intercalati a livelli

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1.5.3.3 Le alluvioni ciottolose-sabbiose sciolte attuali e subattuali Questa unità, costituita da orizzonti ciottoloso-sabbiosi sciolti, presenta nel complesso una permeabilità alta, anche se localmente, in funzione della percentuale dei materiali fini presenti, la permeabilità può decrescere od aumentare consistentemente. I terreni ricadenti in questa unità si rinvengono lungo gli attuali alvei delle aste che adducono le loro portate allo stagno de l’Isuledda e lungo il vicino Fosso la Calcinosa.

1.5.3.4 Terreni argillo-limosi delle aree stagnali Questa unità costituita da limi ed argille, localmente sabbiosi lungo il fronte costiero, mostra nel complesso una permeabilità da bassa a molto bassa. Questi terreni impermeabilizzano l’area occupata dallo specchio acqueo ed alcune piccole zone paludose che si rinvengono nelle loro adiacenze.

1.5.3.5 Detrito di falda e depositi eluvio-colluviali Questa unità, sulla quale giace il sedime dell’intervento, diffusa nella fascia di pedimonte e nelle conche depresse delle morfologie massiccio cristallino, è composta da detriti di falda in matrice, più o meno abbondante di materiali argillo-limosi, e mostra nel complesso permeabilità media.

I pozzi censiti nella zona sono distribuiti generalmente nelle fasce che dispongono di almeno una coltre detritica cospicua ed è possibile vedere come son siano presenti pozzi di rilievo nell’area de l’Isuledda. La falda presente, temporanea, posta all’interno del deposito di versante, ha una potenzialità ridotta e la sua presenza sono influenza negativamente la proposta progettuale.

1.6 CARATTERI GEOTECNICI DELL’AREA

L’area dell’intervento di l’Isuledda, posta sul versante Nord-Orientale del colle di Briglia Caddu o Costa Caddu è ubicata per la maggior parte sui depositi detritici di versante. La formazione si presenta abbastanza compatta anche a modeste profondità, sana e mediamente fratturata e le caratteristiche meccaniche sono in generale sufficienti per la gran parte delle costruzioni. Le caratteristiche morfologiche del sito rendono necessarie alcune verifiche puntuali, non tanto ai fini della determinazione della portanza e dei cedimenti. Attualmente i processi morfogenetici attivi sono rappresentati dai processi di versante in clima temperato. Entrambi questi processi risultano fortemente influenzati dai processi antropici, ossia dalle modificazioni dell’uso del suolo e del rilievo prodotte dalle attività umane, sia quelle deliberatamente scelte dall’uomo, come costruzioni di strade, aperture di cave ecc., sia come conseguenze dirette e non previste delle attività antropiche, come certe forme di dissesto ed erosione. Le acque meteoriche producono effetti legati sia all’azione diretta di impatto della pioggia sul terreno sia quelli dovuti allo scorrimento superficiale della stessa. L’erosione pluviale in senso stretto produce spostamento delle particelle più fini del terreno, progressivo spostamento verso valle degli elementi e la messa in movimento dei detriti. Questo processo è particolarmente attivo in seguito alle piogge autunnali che trovano i terreni preparati dalla disgregazione fisica e dal disseccamento del periodo estivo e nelle aree dove la copertura vegetale è scarsa o assente. Esso provoca nel tempo un impoverimento dei suoli, l’occlusione dei pori del terreno e la diminuzione della permeabilità dello stesso, tutti fattori che favoriscono l’instaurarsi di processi di erosione areale. La dinamica del versante soprastante l’Isuledda è dominata dall’azione delle acque dilavanti, che si manifesta con forme di accumulo, quali detrito di falda e sottili depositi alluvionali, e con forme di erosione costituite sostanzialmente dal ruscellamento areale con l’asportazione del suolo.

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Mappa – La pendenza dei versanti, nel comparto A1, supera solo localmente il 30%

I processi morfogenetici attivi che interagiscono nel modellamento dei versanti sono i seguenti: - processi chimico-fisici di degradazione meteorica; - processi di dilavamento diffuso ed incanalato ad opera delle acque superficiali; I processi di dilavamento diffuso ed incanalato sono influenzati soprattutto dalla pendenza dei versanti, dalla densità della copertura vegetale e dall’uso del suolo. La degradazione meteorica, di tipo chimico e fisico, anche se meno attiva che nel passato per le differenti condizioni climatiche, si riscontra su tutta l’area. L’erosione laminare che ha agito nel passato con un’intensità notevole come mostrano le conche di svuotamento, è attiva sui versanti nelle vallecole ad elevata acclività, dove la copertura vegetale è scarsa. Il materiale asportato da questo processo viene abbandonato, dopo un percorso generalmente abbastanza breve, alla base dei versanti. Il materiale detritico prodotto dalla disgregazione dei versanti tende ad essere accumulato al piede del versante stesso dall’azione del ruscellamento diffuso e per effetto della gravità. Generalmente i diversi strati di detrito si stabilizzano con un angolo di inclinazione compreso tra i 20° ed i 30°. Nell’area de l’Isuledda il deposito di pendio ha in genere potenze decimetriche e non costituisce motivo di problema quale dannosità, mentre la sua assenza ha come conseguenza la mancanza di uno dei substrati più fertili e quindi più ricchi di vegetazione.

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1.7.1IL PERICOLO DI INONDAZIONE L’area dell’intervento de l’Isuledda è posta al di fuori delle aree di pericolosità idraulica mappate nel PAI, riportate nell’immagine allegata, assieme alla posizione dell’intervento.

Tabella – Il calclo delle portate di piena al colmo con il medoto delle TCEV, calcolato per il bacino insistente sul comparto A1

Mappa – Le mappature del PAI relatiive al pericolo idraulico, per l’area esaminata, riguardano settori a nord dell’abitato di San Teodoro, senza coinvolgerla direttamente

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Foto – Il rio che scorre tra Liscia Eldi e il comparto A2

Mappa – Proposta di sistemazione e fasce di rispetto idrauliche dell’asta proveniente dall’impluvio sotteso

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1.7.2IL PERICOLO DI FRANA

L’area nella quale è posto il villaggio proposto è caratterizzata da una pendenza sempre inferiore al 20%, e la pericolosità connessa a movimenti gravitativi che interessino dirattamente il sedime progettuale per instabilità, è da scarsa a nulla. Il versante soprastante ha pendenze oscillanti tra il 10 ed il 60% e mostra comunque una stabilità elevata in quanto la formazione rocciosa che ne costituisce il bedrock è compatta, se pur fratturata, non facilmente settile. Nell’impluvio non sono presenti ammassi di detrito movimentabili di entità significativa, o comunque tali da costituire un particolare rischio di intasamento dell’alveo o del proposto sedime di deflusso. La dimensione degli elementi del detrito non è tale da attivare problemi di intasamento del tombino che sottopassa la soprastante strada. La strada costituisce altresì un ostacolo al che eventuali elementi lapidei che dovessero muoversi lungo il pendio raggiungano gli edifici residenziali. Allo stasso tempo, gli edifici residenziali, non sono posti direttamente a ridosso della scarpa in rilevato della strada, ma protetti dalla stessa (vedi sezione).

Mappa – Acclività, possibile area di provenienza dei distacchi, direzione di caduta e presenza della strada

Sezione Monte-Valle attraverso l’insediamento proposto(a destra la strada)

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1.8CARATTERI PEDOLOGICI

1.8.1CARATTERISTICHE PEDOLOGICHE DELL’AREA L'ambiente pedologico del territorio deve essere visto in relazione soprattutto alle formazioni geolitologiche presenti, ai loro diversi aspetti morfologici, vegetazionali, ed al loro uso (presente e passato). Il settore del l’Isuledda e le zone contermini presentano delle peculiarità pedologiche variabili e comunque fortemente caratterizzate. Nel corso dell’analisi svolta, i suoli sono stati in una prima fase suddivisi in funzione della roccia madre dalla quale derivano e della relativa morfologia, integrando poi con verifiche incrociate altre informazioni (uso suolo, rilevazione diretta), per ottenere infine una descrizione sufficientemente approfondita delle caratteristiche dei suoli stessi. Il livello tassonomico raggiunto nella classificazione (Soil Taxonomy) è quello del sottogruppo. Per ciascun tipo di suolo sono state esaminate le caratteristiche più importanti per quanto attiene la sua genesi e la sua utilizzazione.

Mappa – L’area vasta attorno a l’Isuledda in uno stralcio della cartografia pedologica da Aru et alii

Le tipologie prevalenti ricadono negli ordini degli Entisuoli, degli Alfisuoli e degli Inceptisuoli.

Qui di seguito vengono brevemente illustrate le caratteristiche peculiari di alcuni suoli principali fra quelli individuati.

1.8.2UNITÀ DI PAESAGGIO E SUOLI Le unità di paesaggio descrivono porzioni di territorio ad ugual comportamento per tipo ed intensità di processo morfogenetico, entro le quali è possibile inserire un'associazione (o catena) di suoli differenti, accomunati da parametri fisici omogenei, quali substrato litologico, copertura vegetale, uso del suolo, quota, pendenza, tipo ed intensità di erosione. I suoli vengono quindi riuniti su superfici sufficientemente omogenee sia per attitudini naturali sia nelle risposte agli usi cui queste aree sono sottoposte in rapporto al tipo, o ai tipi, di suolo in esse presenti. II substrato pedogenetico è stato il primo elemento su cui ci si è basati per la definizione delle unità di paesaggio. Si è proceduto in seguito all'ulteriore distinzione delle unità cartografiche indicate con una lettera dell'alfabeto seguita da un numero progressivo. Ogni unità di paesaggio, inoltre, è stata associata con una classe di capacità d'uso prevalente accompagnata da eventuali classi di capacità d’uso accessorie.

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1.8.2.2I suoli sulle alluvioni del Pleistocene I suoli che più comunemente si rinvengono su questi substrati sono abbastanza sviluppati (Typic Palexeralfs); Si tratta di suoli mediamente antichi, che hanno subito per lungo periodo l’azione degli agenti del clima e che sono pertanto piuttosto alterati (presentano infatti talvolta un orizzonte cambico), con sviluppo notevole del profilo, generalmente oltre i 100 cm. I substrati che più comunemente si rinvengono hanno granulometria da sabbioso-franca a franco-sabbioso-argillosa. Gli orizzonti profondi possono in alcuni casi essere ricchi in parti fini e molto fini (da franco- sabbioso-argillosi a franco-argillosi) molto compatti, con drenaggio ridotto. Dal punto di vista della fertilità chimica si possono avere situazioni differenziate, con suoli comunque non particolarmente dotati in nutritivi e sostanza organica. Su tali suoli si possono insediare positivamente colture erbacee e soprattutto arboree, anche irrigue, a patto di considerare i limiti derivanti da eccesso di scheletro e presenza di orizzonti impermeabili sottostanti. Dal punto di vista tassonomico sono ascrivibili al sottogruppo dei Typic Palexeralfs. Le aree di riferimento per tali unità sono costituite dal sistema adiacente il Fosso la Calcinosa, a monte di Liscia Eldi.

1.8.2.3I suoli sulle alluvioni ciottolose oloceniche I suoli che ricoprono questi substrati sono solo debolmente sviluppati (Typic, Mollic, Aquic e Vertic Xerofluvents e Typic Fluvaquents), di medio spessore, altamente scheletrici e facilmente drenati. Sono suoli di buone caratteristiche generali, che si prestano bene all’agricoltura, pur avendo una estensione molto ridotta. Queste alluvioni sono costituite da accumuli con granulometrie miste, con orizzonti per lo più incoerenti o poco cementati, a matrice grigio-bruna, e con ciottoli di dimensioni variabili. Con il variare delle granulometrie può variare anche la potenza degli strati, nonché il comportamento idrologico dei profili. I suoli a tessitura più fine sono naturalmente i più fertili. Le buone caratteristiche pedo- agronomiche di tali substrati sono limitate principalmente dal problematiche legate a situazioni di ristagno idrico anche possibili per risalita delle falde o per inondazione. Questi suoli dal punto di vista agricolo risultano comunque estremamente validi, e sono quanto possibile da valorizzare.

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1.8.2.4I suoli sulle sabbie eoliche dell’Olocene Prevalgono i suoli dunali come i Typic Quartzipsamments, i Typic Xeropsamments e i Lithic Xerochrepts che sono il frutto di una pedogenesi difficile e spesso recente. Si tratta di aree di elevato valore paesaggistico e naturalistico, estremamente sensibili dal punto di vista dell’equilibrio ambientale, attualmente sottoposte ad un intensa pressione antropica (soprattutto nella stagione estiva), il cui uso va regolato per evitarne una degradazione accellerata. Si tratta di aree di dimensione non significativa poste nell’area a ridosso della spiaggia nei punti dove raramente le sabbie vengono colonizzate e stabilizzate dalla vegetazione psammofila.

1.8.2.5 I suoli su sedimenti litoranei olocenici Sono i suoli delle aree pianeggianti o debolmente depresse prossime allo stagno, incolti, con vegetazione naturale alofila palustre. Questi suoli fanno parte di un ecosistema (quello degli ambienti umidi) di elevato valore geomorfologico, idrologico, faunistico, vegetazionale e anche pedologico, da proteggere e valorizzare opportunamente. I suoli sono classificati come Typic Salorthids, profondi, argilloso-limosi. Si tratta di suoli con severe limitazioni d'uso derivanti dall'elevata idromorfia e dall'eccesso di salinità superficiale (suoli salsi); questi suoli, infatti, mancano di capacità di drenaggio, ciò che li porta all’accumulo di sale. Il loro profilo e di tipo A-C, con tessitura argillosa o argilloso-limosa e drenaggio da lento ad impedito. Viceversa sono da considerarsi non idonei alle coltivazioni (classe di capacità d'uso VIII) i suoli delle aree più prossime allo specchio salso de l’Isuledda; dato l’elevato interesse paesaggistico (per le alte valenze naturalistiche, sia faunistiche che vegetazionali) si auspica un'azione di salvaguardia che garantisca la totale conservazione di questo margine naturale.

1.8.3I SUOLI DEL SETTORE DEL COMPARTO A1

1.8.3.1ENTISUOLI

Sono suoli debolmente sviluppati o di origine recente, privi di orizzonti diagnostici ben definiti e con profilo di tipo A-C. Sono suoli tipici per l’area, dove la disgregazione delle rocce del bedrock cristallino, per effetto degli agenti meteorici consente la formazione di suoli poveri, superficiali, dove si comincia ad accumulare sostanza organica grazie anche all’effetto della colonizzazione delle piante della flora xerofitica. -Typic Xerorthents Si tratta di suoli a profilo A-C, da supeficiali a mediamente profondi, tessitura da franca a franco-sabbiosa. Il drenaggio è generalmente normale. -Lythic e Lithic-Ruptic Xerorthents Analoghi ai precedenti, caratterizzati da una più elevata frazione di scheletro o roccia. -Typic Xerofluvents Presentano profilo di tipo A-C, da profondo a molto profondi con tessiture e percentuali in scheletro variabilissime in dipendenza delle caratteristiche granulometriche e litologiche delle alluvioni sulle quali questi suoli si sono evoluti. Il drenaggio varia da buono a lento.

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Ortofoto – La distribuzione dei suoli sui depositi di versante attorno alla proposta progettuale

I suoli dell’area , nel settore inferiore, vedono il prevalere dei Typic Xerorthents, mentre verso il piede del versante, con il diminuire della coltre ed all’aumentare della pietrosità, si passa prima ai Ruptic e poi ai Lithic.

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2.QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA ANTROPICO

2.1IL PAESAGGIO DELLA COSTA DI SAN TEODORO - BUDONI

2.1.1La genesi La storia di S. Teodoro va inserita in un certo modo in quella della Sardegna, e delle terre che si affacciano al mediterraneo. La posizione di S. Teodoro ha rappresentato un luogo di transito per raggiungere le terre più interne. Quando ancora non si usava la fusione dei metalli si ricorreva alla lavorazione della pietra, e nacquero così degli oggetti di uso quotidiano e armi da caccia e per la difesa. Le abbondanti cave di ossidiana presenti nel settore del Monte Arci (Oristano), alimentavano una produzione di manufatti che venivano utilizzati per fare scambi e baratti con i gruppi umani dell'area mediterranea, in particolare furono rinvenute punte e scheggie di ossidiana nei pressi dello stagno. Tracce del periodo nuragico sono presenti a Narachéddu, toponimo storico, e a Ottiolu, ed in epoca romana il centro abitato veniva denominato "Coclearia" dal nome di una particolare conchiglia. In seguito prese anche il nome di Oviddè, dalla piana sulla quale sorge per poi divenire San Teodoro di Oviddè e infine San Teodoro. Solo dal 1959, San Teodoro riesce ad ottenere l'autonomia dal comune di Posada.

2.1.2Gli stazzi. Un tempo le famiglie Galluresi abitavano negli "stazzi" le tipiche abitazioni della Gallura. La parola stazzo significa la casa rurale di oggi, dove vivevano le famiglie del colono cioè le famiglie contadine con varie dipendenze quali (pascoli ,seminati ,vigne ,orto e il bosco). La forma tipica dello stazzo è originario dall' insediamento campagnolo gallurese dato che lo stazzo fuori della Gallura non esiste. Gli stazzi più vecchi erano generalmente più lunghi degli stazzi più recenti. Infatti le prime famiglie si stabilivano molto spesso in zone isolate, per cui il limite dell'occupazione e dello sfruttamento del territorio dipendeva da quante braccia erano disponibili. Ma dopo il 1750 il fenomeno della colonizzazione nel territorio Gallurese si intensificò. Di stazzi tra La Castagna e San Teodoro se ne contavano 119 nei quali le famiglie erano originarie di Tempio. Invece lo storico Giovanni Spano ne precisò 20 in località di Agrustu mentre oggi a San Teodoro sono rimasti circa 32 stazzi. Le famiglie che vivevano negli stazzi ebbero molti problemi soprattutto per le malattie e le incursioni specialmente barbariche, che non diedero tregua alla nostra isola fino agli inizi del 19° secolo, ma le incursioni non furono effettuate solo dai barbareschi ma anche da altri popoli come i Turchi e i Mori che ripristinarono paura e devastazione. Protagonista assoluto del episodio eroico è Caterina Spano dello stazzo "Caldosu" di Porto San Paolo che allora era quasi totalmente deserta, mentre oggi è in pieno boom turistico. La signora Spano una mattina stava preparandosi per fare colazione quando d'improvviso fu aggredita da quattro ombre minacciose: erano i Turchi. Però lei non si mise timore e scagliò delle mestolate di latte bollente per difendersi, cosi da quel giorno la signora Spano divenne una eroina. Nonostante le incursioni che la Gallura ebbe negli ultimi secoli gli stazzi sono tuttora in piedi grazie alla loro grande resistenza e oggi possiamo ancora vedere le caratteristiche di questi insediamenti. L’area è stata trasformata radicalmente nell’ultimo quarto del secolo scorso con l’l’inserimento degli insediamenti di “seconde case” che hanno modificato radicalmente il paesaggio rado fino ad allora esistente.

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2.1.3LA TRASFORMAZIONE ATTRAVERSO LA CARTOGRAFIA

2.1.3.1Carta La Marmora 1834 Nella seconda metà del secolo scorso con l’agricoltura, la strada SS 131 d.c.n. e poi con la SS 125 il territorio di San Teodoro è stato radicalmente mutato. L’area in oggetto, non aveva una strutturazione fondiaria significativa, e ancora oggi non sono presenti mutamenti importanti in modo puntuale, tanto quanto mutamenti sulla scala ampia, a causa del “miglioramento pascoli” e del progressivo mutare dell’uso del territorio.

2.1.3.2Carta IGM 1900 La struttura fondiaria è semplificata e testimonia la presenza di proprietà accorpate e di scarsa potenzialità agricola. Solo nel settore prossimo ai corsi d’acqua ultimi anni, i versanti ai piedi dell’Albo, sui depositi pedemontani, vengono impiantati a vite con buoni risultati. Le trame dei percorsi storici sono conservate ma sovente sostituite da viabilità recente non sempre plani metricamente coerente.

2.1.3.3Carta IGM 1960 Il sistema dei corridoi naturalistici ha una conservazione elevata in quanto gli interventi non hanno una estensione tale da interromperli per lunghezze importanti La vegetazione ripariale ha continuità temporale ed il sistema dei chiusi è parziale e solo parzialmente funzionale a tale scopo.

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2.1.4I BENI CULTURALI

Il PPR, utilizzato quale fonte di ultimo aggiornamento in materia di beni culturali, negli ambiti costieri, non riporta o cita niente di rilevante nell’area del sedime o nelle pertinenze visive o prossimità.

Mappa – La mappa del PPR per l’area centrata su Isuledda mostra l’assenza di interferenze visali a scala chilometrica con beni culturali noti

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3.QUADRO AMBIENTALE: SISTEMA BIOTICO

3.1INTRODUZIONE L’ambiente biologico può oggettivamente essere indicato come un insieme di sistemi distinti; alcuni sono da considerarsi naturali poiché conseguenza diretta di una dinamicità dell’ambiente naturale, mentre altri sono il frutto di modificazioni apportate dall’uomo che danno origine ad ambienti biologici di compromesso o semi naturali. Richiamando alcuni concetti base dell’ecologia, diciamo che la biosfera (l’insieme dei viventi) può essere suddivisa in unità funzionali, non sempre nettamente delimitate ma pur sempre distinguibili, dette “ecosistemi”. Gli ecosistemi si compongono dell’insieme di fattori abiotici (suolo, acqua), detto “Biotopo”, e dall’insieme dei fattori biotici (piante e animali) che lo popolano detto “Biocenosi”, che possiamo indicare anche come indicatori biologici. Nell’ambito del presente lavoro sarà anche effettuata un’analisi dell’ecosistema in essere ed una valutazione delle biocenosi vegetali e faunistiche presenti in località Costa Caddu (lottizzazione Isuledda), nel Comune di San Teodoro (OT), con il fine di poter valutare le eventuale interferenze delle opere urbanistiche da realizzare su queste componenti.

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1Per rilevare in modo soddisfacente il quantitativo faunistico di una data area sarebbero necessari diversi mesi di osservazione.

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3.2INDICATORI AMBIENTALI

3.2.1L’ambiente Vegetale Per quanto riguarda la componente vegetale, va sottolineata la differenza tra la flora e la vegetazione di un determinato ambiente. Per flora si intende il complesso delle piante considerate dal punto di vista sistematico, ossia organizzate per famiglie, generi e specie. Il concetto precedente si distingue da quello di vegetazione, che indica il complesso delle piante di un determinato territorio considerate in associazione tra di loro e nei loro rapporti con l’ambiente, queste assieme alla componente animale individua la biocenosi di un ecosistema. Possiamo affermare che la vegetazione, lasciata evolvere in modo naturale, tende a costituire comunità stabili che si conservano in modo indefinito, senza modifiche significative, qualora le condizioni climatiche si mantengano più o meno costanti nel tempo, essa cioè, in un tempo più o meno lungo e variabile a seconda delle regioni del globo e delle concrete condizioni ecologiche di un’area, raggiunge un livello massimo di sviluppo che è chiamato climax. Il climax è quindi una comunità vegetale stabile in cui esiste un equilibrio fra suolo, clima, vegetazione e fauna.

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3.2.2L’ambiente Faunistico Per fauna si intende il complesso degli organismi classificati fra gli animali o anche tutti i viventi non classificabili fra le piante. In senso più stretto individuiamo un ben preciso complesso di animali di una data regione geografica o di un determinato ambiente. Ambiente faunistico è tutta la fauna che caratterizza in un determinato modo un insieme ambientale.

2 Per l’approfondimento di questo concetto si rimanda al cap. 7 § 7.1.

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3.2.3L’Ecosistema Obbiettivo di fondo di questa componente ambientale è la determinazione della qualità e della vulnerabilità degli ecosistemi presenti nell’area in esame. Nella sua definizione più stretta l’ecosistema deve essere inteso come “l’insieme di tutti gli organismi viventi (comunità biotiche) e dei fattori abiotici che sono presenti in determinato spazio fisico, nonché l’insieme di relazioni che li legano e dei processi dinamici a cui sono soggetti”. In definitiva, esso è rappresentato, nella sua forma più esemplificativa, da un mosaico dei diversi habitat che lo costituiscono e dalla loro interazione. Teoricamente non possiamo delimitare esattamente i confini di un ecosistema, in quanto esso si relaziona con gli altri elementi dell’ambiente che lo circondano. Le “unità ecosistemiche” definite in un territorio sono pertanto delle esemplificazioni di una struttura complessa e articolata in diversi ordini di grandezza (dal singolo albero, al bosco, alla radura) alle quali si attribuisce un complesso di funzioni sufficientemente omogenee e specifiche tali da renderle rappresentative di un certo ambiente. Esse sono comprensive della fauna, della vegetazione, del suolo, e delle azioni antropiche a cui sono sottoposte. Si deve pertanto considerare l’ecosistema come l’insieme delle componenti ambientali biotiche ed abiotiche in cui si è scomposto il Sistema Ambiente complessivo.

3.3METODOLOGIA Viste le considerazioni formulate nella parte introduttiva ed in quella degli indicatori ambientali è stata approntata una metodologia che, tenendo conto dell'attuale situazione ambientale dell’area vasta, analizzi ed approfondisca gli aspetti peculiari degli indicatori biologici presenti nel territorio con la seguente cronologia: I. Raccolta del materiale bibliografico, normativo e fotografico esistente. • Analisi fotogrammetrica, effettuata mediante foto-interpretazione da immagine fotografica aerea a colori (2006). II. Analisi del territorio. • Riprese fotografiche; III. Vegetazione. • Inquadramento generale dell’area e verifica sul terreno; • Analisi fisionomica della copertura vegetale;

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3.4INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DELL'AREA DI STUDIO Il territorio interessato dal progetto di ampliamento urbanistico è situato nel foglio F 463 sezione IV (Budoni) della carta I.G.M. al 25.000 e si estende su una superficie di 4,00 ha. Più esattamente l’area in questione è situata in località “Costa Caddu”, distante circa 5 km a sud del centro abitato del comune di San Teodoro; al sito si accede percorrendo la strada orientale in direzione Olbia; poco prima dell’abitato di San Teodoro si trova la deviazione per P. l’Isoledda. Dal punto di vista orografico il territorio è situato in un'area sub-pianeggiante con un’altezza massima di 144 metri (M. Miriacheddu), che degrada dolcemente verso il mare e confina con una piccola zona umida. Non sono presenti corsi d’acqua importanti ma solo un piccolo rigagnolo, distante dalla zona di intervento, evidente solo durante il periodo invernale (Fig. 2). Intorno all’area di intervento sono presenti altre lottizzazioni di piccole dimensioni.

Figura 2 (in rosso l’area di intervento)

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3.5COMPONENTI BIOTICHE: VEGETAZIONE E FAUNA

3.6Analisi della vegetazione L’analisi dei dati inizia con l’inquadramento generale, sotto l’aspetto vegetazionale, del territorio e con il sopraluogo in località “Costa Caddu” nel Comune di San Teodoro (OT). L’assetto della vegetazione risente del tipo di substrato geologico ed è influenzata soprattutto dalla bassa altitudine e dalle condizioni climatiche che prevalgono per la maggior parte dell’anno. Dall’analisi dei dati termopluviometrici disponibili, rilevati in un trentennio di riferimento nella stazione termopluviometrica di Olbia (15 m s.l.m.), più vicine alla zona in esame, risulta che l’area in oggetto presenta un clima tipicamente mediterraneo, con temperature medie annuali di circa 16,3 °C; precipitazioni medie annue che si aggirano intorno ai 662 mm, concentrate prevalentemente nel periodo autunno- invernale (216 mm in media). Esso definisce un bioclima mediterraneo tiepido (Giacobbe) di tipo semiarido, un carattere fitoclimatico della zona a Lauretum a sottozona calda (Pavari) (ARRIGONI, Fitoclimatologia della Sardegna).

Foto – L’area in oggetto, tra comparto A1 nell’immediato primo piano e l’A2, dove la vegetazione è arbustiva, ed il Villaggo Isuledda esistente, oltre il Rio

La peculiarità del clima è comunque rappresentata dal vento, soprattutto per l’elevata velocità che questo mantiene per più giorni consecutivi. Predominano largamente i venti di provenienza W-NW, seguono quelli da S-SE, quindi i venti da SW, ultimi quelli da N e NE. Una volta che le componenti edafiche e climatiche hanno svolto la loro opera di selezione naturale, la vegetazione tende a assumere un aspetto ed una conformazione tipica che definiamo fisionomica. La “fisionomia” della vegetazione si evince in primo luogo dalla forma e dalle dimensioni degli individui delle specie maggiormente rappresentate, ma anche dal modo con cui essi occupano lo spazio per utilizzare al meglio le risorse disponibili. In tal senso, per una definizione fisionomica della vegetazione, devono essere considerati i seguenti elementi (Arrigoni, 1996):

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NATURALITÀ ELEVATA

Questa classe comprende le fitocenosi più affini alla vegetazione zonale, in particolare i tipi con notevole coerenza sia floristica sia strutturale sono: • Boschi di leccio e di sughera • Boscaglie litoranee a ginepro fenicio • Boscaglie litoranee a ginepro coccolone • Pinete a pino d’Aleppo • Vegetazione psammofila e rupicola costiera

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Risulta invece esserci un lieve disturbo antropico a livello strutturale nei seguenti aspetti: • Macchia- foresta e macchia alta a corbezzolo • Vegetazione ripariale a tamerice, oleandro, ontano nero e salici • Vegetazione acquatica • Vegetazione degli stagni costieri e dei bacini salati

NATURALITÀ MEDIA

Comprende gli aspetti con più evidenti modificazioni strutturali, costituita da specie per la quasi totalità spontanee. Una prima subunità si riferisce ad un aspetto strutturalmente ancora complesso e floristicamente affine alla boscaglia zonale: • Macchia ad olivastro e lentisco Una seconda categoria si riferisce alle tipologie secondarie strutturalmente più compromesse, tuttavia con una flora completamente spontanea: • Cisteti • Garighe e mosaici di vegetazione basso-arbustiva • Pascoli xerici e pratelli effimeri Una terza sottounità comprende: • Rimboschimenti

NATURALITÀ DEBOLE

In questo livello sono riferiti i pascoli, i seminativi e le colture specializzate che richiedono elevati apporti energetici sotto forma di irrigazioni e concimazioni.

NATURALITÀ NULLA

A questo livello appartengono quelle aree particolarmente degradate, come cave e discariche, dove non è presente vegetazione o dove la presenza di questa è legata ad uno stato pioniero.

Di seguito riportiamo una descrizione dei tipi fisionomici della vegetazione riscontrati nel territorio in esame, per la quale è stata importante la consultazione di dati esistenti e di lavori già realizzati a vario titolo nelle aree di interesse. Essa presenta due livelli di dettaglio: il primo indica la tipologia in termini generali, mentre il secondo definisce più in particolare il tipo di struttura o di copertura vegetale. La legenda è stata quindi redatta tenendo conto degli aspetti fisionomico-strutturali e della naturalità, come illustreremo in seguito.

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Mappa – Il sistema della vegetazione dell’area circostante valutato in base alla naturalità (vedi tav. 7 al 1:5.000)

3.6.1Unità Cartografiche Le Unità Cartografiche sono porzioni di territorio omogenee per ciò che riguarda determinate componenti ambientali (nel caso in oggetto riguardano la copertura vegetale) ed hanno lo scopo di descrivere la distribuzione spaziale delle stesse.

NATURALITÀ ELEVATA

A. Vegetazione rupicola costiera

♦ Fascia costiera costituita prevalentemente da una vegetazione a scarsa copertura (< al 15%) di vegetazione erbacea caratterizzata da associazioni di specie alo-rupicole della classe Crithmo-Staticetalia (Crithmo-Staticetum acutifoliae) con presenza di Finocchio marino (Crithmum maritimum), statice (Limonium ssp), becco di gru corso (Erodium corsicum), senecione delle spiagge (Senecio leucanthemifolius), ginestrino delle scogliere (Lotus cytisoides).

B. Vegetazione psammofila

♦ Formazioni pioniere delle sabbie a salsola (Salsola soda) e ravastrello (Cakile marittima); dal mare verso le aree interne associazioni Agropyretum (Agropyron Junceum, Othantus maritimum) Ammophiletum (Ammophila litoralis, Eryngium maritimum, Euphorbia paralias, Calystegia soldanella), Crucianelletum (Crucianella marittima, Pancratium maritimum, Scabiosa rutifolia ecc). Presenza di ginepro fenicio (Juniperus turbinata) in esemplari singoli o a formare brevi perticaie in prossimità delle piccole formazioni dunali.

C. Vegetazione alofila

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D. Vegetazione ripariale

♦ La specie arborea prevalente è il tamerice (Tamarix africana) che si dispone lungo il bordo dei fiumicciattoli. Tra le specie erbacee annoveriamo Phragmites australis, Carex pendula, C. riparia, Cyperus longus, Ranunculus aquatilis, fra le specie sinantropiche, in genere legate ai prati e incolti umidi nelle immediate vicinanze troviamo la Verbena officinalis, Eupatorium cannabinum e Urtica dioica.

NATURALITÀ MEDIA

E. Macchia a olivastro e lentisco accompagnata dal ginepro

♦ Rientrano in questa unità tutte le formazioni in cui il ginepro fenicio è scarsamente presente o addirittura assente, sostituito principalmente dal lentisco (Pistacia lentiscus), dall’olivastro (Olea europea var. sylvestris), dal mirto (Myrtus communis), dallo sparzio villoso (Calicotome villosa) e Anagyris fetida. Fisionomicamente è caratterizzata da grossi macchioni delle principali entità costruttrici, fra le quali possono svilupparsi poche altre specie quali Asparagus albus, A. acutifolius, Arisarum vulgare, Allium triquetrum ecc., in genere si localizza ai limiti delle colture specializzate o fra queste e le formazioni più evolute (lecceta o macchia foresta) (foto ).

F. Gariga ♦ Aree estese a copertura elevata con prevalenza di cisto marino (Cistus monspeliensis) subordinati e radi troviamo il lentisco (Pistacia lentiscus), mirto (Mirtus communis), corbezzolo (Arbutus unedo), erica (Erica arborea); fillirea (Phillirea latifoglia). Nelle aree più aperte e soleggiate prevalenza elicriso (Helichrysum italicum ssp mycrophillum), lavanda (Lavandula sthoecas) e sparto pungente (Calicotome spinosa). Tra le specie erbacee maggiormente rappresentate sono il cardo (Carlina corymbosa), scarlina (Galictites tormentosa), asfodelo (Asphodelus ramosus), ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum), ferula (Ferula communis); scilla marittima (Uriginea marittima), enula (Inula viscosa), localizzate maggiormente nelle zone aperte e soleggiate.

H. Pascoli arborati e/o arbustati

♦ Aree pianeggianti caratterizzate dalla prevalenza di esemplari sparsi di sughera (Quercus suber) e olivastro (Olea europea var. sylvestris) o in piccoli raggruppamenti; sporadica

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NATURALITÀ DEBOLE

I. Aree agricole e zootecniche

♦ Aree agricole a vigneti (vitis vinifera) a scopo produttivo.

NATURALITÀ NULLA

L. Giardini mediterranei

♦ Vegetazione dei giardini caratterizzate da specie autoctone quali oleandro (Nerium oleander), corbezzolo (Arbutus unedo) e ornamentali diverse. In questa unità includiamo anche le aree incolte adiacenti alle abitazioni.

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3.6.2Analisi dei dati faunistici Come affermato in precedenza anche le caratteristiche faunistiche di un territorio contribuiscono a caratterizzarlo. Nell’ambito di questo studio è stata effettuata un’analisi ed una valutazione delle risorse faunistiche presenti nell’area, con particolare attenzione alle specie riproducentisi ed a quelle di interesse conservazionistico. Per ogni specie di vertebrati omeotermi, la cui presenza è stata riscontrata mediante avvistamento o mediante tracce si forniscono informazioni sui seguenti parametri:

Status Faunistico distinguendo tra: • Riproduzione possibile R - poss.; • Riproduzione probabile R - prob.; • Riproduzione certa R - certa; • Riproduzione storica R - storica; • Riproduzione occasionale R - occasionale;

Status di conservazione riferito a: • Ambito locale LOC; • Sardegna SAR: • Unione Europea UE; distinguendo tra:

specie insufficientemente conosciuta K

specie minacciata di estinzione E specie vulnerabile V specie rara R specie a status indeterminato I specie non minacciata NE

3.6.3CHECK-LIST DEGLI ANFIBI (AMPHIBIA)

ORDINE: ANURA

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3.6.4CHECK-LIST DEI RETTILI (REPTILIA)

ORDINE: TESTUDINES Famiglia: Testudinidae 4. Testuggine comune (Testudo hermanni) Status faunistico Status conservazione Ripr. Prob; R (LOC, SAR) Scarsa 5. Testuggine marginata (Testudo marginata) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; Introdotta; R (LOC, SAR), Scarsa

ORDINE: SQUAMATA Sottordine: Sauria Famiglia: Gekkonidae 6. Emidattilo turco (Hemidactylus turcicus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Abbondante 7. Tarantola mauritanica (Tarentola mauritanica) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa NE (LOC, SAR) Abbondante Famiglia: Scincidae 8. Gongolo ocellato (Chalcides ocellatus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Abbondante Famiglia: Lacertidae 9. Algiroide nano (Algyroides fitzingeri) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; K (LOC), R (SAR, UE) 10. Lucertola campestre (Podarcis sicula)

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3.6.5CHECK-LIST DEGLI UCCELLI (AVES)

ORDINE: GALLIFORMES Famiglia: Phasianidae 13. Pernice sarda (Alectoris barbara) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa K (SAR, UE) Protetto 14. Quaglia (Coturnix coturnix) Status faunistico Status conservazione Ripr. Possibile; K (SAR) comune

ORDINE: ACCIPITRIFORMES Famiglia: Accipitridae 15. Poiana (Buteo buteo) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto

ORDINE: FALCONIFORMES Famiglia: Falconidae 16. Gheppio (Falco tinnunculus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto

ORDINE: STRIGIFORMES Famiglia: Tytonidae 17. Barbagianni (Tyto alba) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; Famiglia: Strigidae 18. Civetta (Athene noctua) Status faunistico Status conservazione

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto;

ORDINE: PICIFORMES Famiglia: Picidae 19. Picchio rosso maggiore (Picoides major) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto;

ORDINE: COLUMBIFORMES Famiglia: Columbidae 20. Piccione selvatico (Columba livia) Status faunistico Status conservazione Ripr. Poss; K (LOC) Protetto 21. Tortora dal collare (Streptotelia turtur) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa K (LOC) Comune 22. Tortora selvatica (Streptotelia turtur) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; K (LOC, SAR);

ORDINE: CORACIFORMES Famiglia: Meropidae 23. Gruccione (Merops apiaster) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; R (LOC), NE (SAR); Famiglia: Upupidae 24. Upupa (Upupa epos) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (SAR) Protetta;

ORDINE: CHARADRIIFORMES Famiglia: Scolopacidae 25. Beccaccia (Scolopax rusticola) Status faunistico Status conservazione Svernante Comune

ORDINE: GAVIFORMES Famiglia: Palacrocoracidae 26. Cormorano (Phalacrocorax carbo) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto;

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) ORDINE: PASSERIFORMES Famiglia: Hirundinidae 27. Rondine (Hirundo rustica) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (SAR) Protetta; comune 28. Balestruccio (Delichon urbica) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; Famiglia: Turdidae Sottofamiglia: Turdinae 29. Pettirosso (Erithacus rubecula) Status faunistico Status conservazione Svernante; NE (LOC, SAR) Protetto; 30. Saltimpalo (Saxicola torquata) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; 31. Merlo (Turdus merula) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Comune 32. Tordo bottaccio (Turdus philomelos) Status faunistico Status conservazione Svernante; NE (LOC, SAR) Comune 33. Tordo sassello (Turdus iliacus) Status faunistico Status conservazione Svernante; NE (LOC, SAR) Comune Famiglia: Sylviidae Sottofamiglia: Sylviinae 34. Magnanina sarda (Sylvia sarda) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR), Protetta 35. Sterpazzola di Sardegna (Sylvia conspicillata) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; R (LOC), K (SAR) Protetta; 36. Occhiocotto (Sylvia melanocephala) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; 37. Capinera (Sylvia atricapilla) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetta; Famiglia: Muscicapidae 38. Pigliamosche (Muscicapa striata tyrrhenica) Status faunistico Status conservazione

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetta; Famiglia: Laniidae 39. Averla capirossa (Lanius senator) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetta; Famiglia: Corvidae 40. Ghiandaia (Garrulus glandarius ichnusae) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Comune 41. Cornacchia grigia (Corvus corone) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Comune Famiglia: Sturnidae 42. Storno nero (Sturnus unicolor) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; Famiglia: Passeridae 43. Passera sarda (Passer hispaniolensis) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; 44. Passera mattugia (Passer montanus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa NE (LOC, SAR) Protetto, Famiglia: Fringillidae Subfamiglia: Carduelinae 45. Verzellino (Serinus serinus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; 46. Verdone (Carduelis chloris) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa, NE (LOC, SAR) Protetto; 47. Cardellino (Carduelis carduelis) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa, NE (LOC, SAR) Protetto; 48. Fanello (Carduelis cannabina) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto; Famiglia: Emberizidae Subfamiglia: Emberizinae 49. Strillozzo (Miliaria calandra) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetto;

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3.6.6CHECK-LIST DEI MAMMIFERI (MAMMALIA)

ORDINE: INSECTIVORA Famiglia: Erinaceidae 50. Riccio (Erinaceus europaeus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa NE (LOC, SAR) Protetto;

ORDINE: LAGOMORPHA Famiglia: Leporidae 51. Lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; R (LOC, SAR); 52. Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) comune

ORDINE: RODENTIA Famiglia: Muridae 53. Topo selvatico (Apodemus sylvaticus) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Abbondante 54. Topolino domestico (Mus musculus) Status faunistico Status conservazione Ripr.certa, NE (LOC, SAR) Abbondante

ORDINE: CARNIVORA Famiglia: Canidae 55. Volpe (Vulpes vulpes ichnusae) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) comune Famiglia: Mustelidae 56. Donnola (Mustela nivalis boccamela) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa; NE (LOC, SAR) Protetta;

ORDINE: UNGULATA Famiglia: Suidae 57. Cinghiale (Sus scrofa meridionalis) Status faunistico Status conservazione Ripr. Certa NE (LOC, SAR) Abbondante Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 61

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Località Costa Caddu Sardegna Comune di San Teodoro (OT)

Categorie Numero Numero Numero Categorie Numero Numero Numero sistematiche di ordini di famiglie di specie sistematiche di ordini di famiglie di specie

Anfibi 1 3 3 Anfibi 2 6 9

Rettili 2 4 8 Rettili 2 8 22

Mammiferi 5 6 8 Mammiferi 7 17 41

Uccelli (Non- Uccelli (Non- 9 11 14 19 34 89 Passeriformes) Passeriformes) Uccelli Uccelli 1 10 23 1 15 66 (Passeriformes) (Passeriformes)

Totale 18 34 56 Totale 31 80 227

Tabella 3. Composizione per gruppi sistematici della fauna presumibilmente presente nell’area di studio e comparazione con quella residente in Sardegna.

Oltre alla check list appena riportata, è stato effettuato lo studio faunistico dell’area ove dovrebbe insistere la struttura turistica. La prima fase ha riguardato l’analisi della qualità ambientale che ha come parametro di riferimento l’ecosistema di un’area vasta, successivamente si è passati alla reperibilità di informazioni specifiche (studi, censimenti ecc.) ed infine al monitoraggio sul campo con rilevamenti visivi e tramite tracce. Accertata la mancanza di studi specialistici sulla fauna abbiamo tenuto conto della qualità dell’ecosistema e dei rilevamenti sul campo, inoltre abbiamo consultato la scheda del SIC” denominato “Stagno di San Teodoro (ITB010011), situato a nord della località di studio, a una distanza di circa 10 Km in linea d’aria.

3.6.7I Rettili La lista dei Rettili inclusa nelle schede caratteristiche del sopra menzionati S.I.C comprende 3 specie, tutte inserite nella Direttiva Habitat, che corrispondono al 19% delle 21 specie attualmente presenti nell’isola. Si tratta della Testudo hermanni, del Phyllodactylus europaeus e della Testudo marginata. In base alla Check-list Nazionale, le due specie appartenenti al genere Testudo sono classificate come “minacciate”; mentre, in base all’IUCN. la Testudo hermanni è specie a minor rischio (LR/nt) e il Phyllodactylus europaeus è specie vulnerabile. A livello regionale, le specie per le quali la Regione Sardegna adotta provvedimenti prioritari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela dei loro habitat è: la Testudo hermanni. Sono opportune alcune considerazioni sugli areali di distribuzione di queste specie, in base agli studi della Rete Ecologica Nazionale, aggiornati al 2002, e alla pubblicazione “Anfibi e Rettili” di Puddu F. e Viarengo M.14. Per quanto riguarda la Testudo hermanni, entrambi gli studi sopra citati includono, nell’areale di distribuzione della specie, l’intera area vasta qui considerata; in tale ambito, in base al modello di idoneità, sono presenti anche ampi patches ad alta idoneità.

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3.6.8Gli Uccelli L’elenco degli Uccelli presenti nel SIC comprende otto specie delle quali sette nidificanti ad esclusione dell’Anas crecca e del Phalacrocorax carbo, sei sono inserite nell’Allegato I della Direttiva Habitat, ovvero sono specie per le quali sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat al fine di garantirne la sopravvivenza e la riproduzione nelle loro aree di distribuzione. Analogamente a quanto fatto per i Rettili, verranno di seguito presi in considerazione gli areali di distribuzione di ciascuna specie utilizzando gli studi della Rete Ecologica Nazionale, aggiornati al 2002, la pubblicazione “Aves” di Brichetti P., De Franceschi P. e Baccetti N. 24 e il “Modello di monitoraggio della fauna – Progetto Life Natura 1995”. La Calonectris diomedea (o Procellaria diomedea) appartiene all’ordine delle Procellarie, è una specie pelagica che occasionalmente si rinviene lungo le coste. Si riproduce in colonie nei crepacci tra gli scogli e le rocce delle isole, erratica nel Mediterraneo. Queste informazioni sulla biologia ed etologia, unite allo studio del territorio ci inducono a pensare che la presenza della Berta maggiore in questa zona sia da escludere per la mancanza di qualsiasi habitat confacente alle sue esigenze. Il Caprimulgus europaeus o succiacapre è un uccello dalle abitudini crepuscolari ampiamente distribuito sul territorio nazionale (ad eccezione dei rilievi alpini più elevati). E’ legato a terreni aridi e soleggiati, con discontinua copertura arborea ed arbustiva, si riproduce ai margini dei boschi o nelle radure, negli incolti cespugliati e nei vigneti abbandonati, dove depone le uova sul terreno nudo. Considerate le sue abitudini la sua presenza in questa zona non è da escludere anche se ricordiamo che nell’immediata prossimità dell’area di intervento le tipologie degli habitat non sono idonei alla sua riproduzione. La Sylvia sarda e la S. undata sono specie simili come abitudini e comportamento, entrambe residenti, hanno il loro areale tipico in ambiente mediterraneo ed in particolare in Sardegna dove risulta concentrata la maggior parte delle aree altamente idonee, pertanto anche nella zona non è esclusa la loro presenza. Attualmente la specie non risulta minacciata ne come popolazione ne dalla frammentazione delle loro aree idonee.

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Appartengono all’Ordine dei Caradriformi due specie il Gabbiano corso e il Gabbiano comune (Larus audouinii, Larus ridibundus), tutte indicate come ospitate, per quanto riguarda l’area considerata, in cui sono presenti habitat sufficientemente idonei ad accoglierli. L’ecosistema della costa di San Teodoro, include tali habitat, ma nella zona in questione”, che tra l’altro risulta abbastanza isolata e poco antropizzata, non sono presenti habitat idonei ad ospitarli nelle fasi di maggiore importanza del loro ciclo biologico. Pertanto si considerano tali specie non suscettibili di disturbo in quanto la loro presenza sarebbe dovuta solo a momentanea sosta o transito. Per il Phalacrocorax aristotelis, o Marangone dal ciuffo, trattandosi di una specie comune lungo tutte le coste della Sardegna, si può considerare certa la presenza anche lungo le coste di San Teodoro. Infine troviamo la Colombella (Colomba oenas), il cui areale in Italia è molto localizzato soprattutto nell’Appennino meridionale e centrale, decisamente più puntiforme nel nord Italia e in Sicilia, non si hanno riscontri in Sardegna. Gli habitat preferiti per la nidificazione sono terreni abbastanza aperti con presenza di vecchi alberi cavi o zone rocciose (arenaria) o costruzioni abbandonate. La specie è considerata seriamente minacciata in Italia e pertanto viene consigliata una corretta gestione dei boschi, avendo cura di lasciare gli alberi cavi o marcescenti. Vista la sensibilità di questa specie abbiamo effettuato un monitoraggio approfondito in un’area più vasta di quella studiata per verificare la presenza anche di una sola copia, ma le condizioni ecologiche ed ecosistemiche del territorio non sono idonee ad ospitare questa specie. In conclusione possiamo riassumere che le caratteristiche vegetazionali ed ecosistemiche dell’area sono tipiche della Sardegna nord occidentale e della bassa Gallura in particolare e, abbiamo appena visto, presentano valori e peculiarità ecologiche inadeguate per la quasi totalità dell’avifauna di interesse comunitario precedentemente citata. L’esclusione di interferenze significative per tutte queste specie di uccelli è dovuta essenzialmente alla carenza di condizioni e habitat favorevoli che possano attrarre in grande quantità questa fauna, per la riproduzione ma anche per la sosta. Ossia, non si esclude a priori che nessuna delle specie di uccelli sopra citati possano alimentarsi in quest’area, oppure nidificare su qualche rado albero e cespuglio o ancora sostare e svernare durante la migrazione ma riteniamo che nel complesso non si producano condizioni stabili e durature di disturbo a queste specie ne in fase di cantiere ne in fase di funzionamento della struttura turistica.

3.6.9Analisi Ecosistemica Alla base di una definizione razionale di ecosistema sta l'osservazione che nessun organismo vive nell'isolamento, bensì è in relazione sia con l'ambiente fisico-chimico che lo circonda sia con altri esseri viventi. Dall'altra ogni essere vivente, essendo oltre che soggetto attivo anche soggetto passivo di queste interazioni, trova proprio in esse un limite alla capacità di sopravvivere e riprodursi. Tale capacità non è indefinita ma funzione sia delle proprietà fisico-chimiche dell'ambiente circostante (fattori abiotici) sia della natura ed abbondanza degli altri organismi che si trovano nel medesimo ambiente (fattori biotici). La forma di queste interazioni è diversissima. Sono possibili alcune classificazioni approssimative, ad esempio Slobodkin (1961) ha distinto le interazioni tra organismi in: 1. Alterazioni dell'ambiente fisico di un altro organismo; 2. Alterazioni dell'ambiente fisico-chimico; 3. Scambio di elementi o composti chimici o energia tra gli organismi. Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 64

SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Le interazioni tra organismi possono essere quindi dirette, come al punto 3, o indirette, come ai punti 1 e 2. “Un insieme di organismi che sia biologicamente chiuso, cioè tale che nessun elemento dell'insieme interagisce direttamente o indirettamente con organismi al di fuori dell'insieme stesso, si dice una comunità ecologica. Se agli organismi della comunità si aggiungono i fattori abiotici da cui essi dipendono si ottiene quindi un ecosistema. Ad esempio, dentro l'ecosistema costituito da una foresta cedua si può distinguere la comunità degli animali che vivono in un tronco caduto. Perciò le dimensioni di un ecosistema sono variabilissime, proprio perché la definizione permette di individuare una struttura in cui il tutto è costituito da parti con le stesse caratteristiche del tutto e il tutto può essere a sua volta parte di un tutto più grande. Questa struttura si ritrova ovviamente in altre discipline diverse dalla biologia ed è tipica di quegli enti che vengono chiamati sistemi. Va chiarito che l’appellativo biologicamente chiuso dato agli ecosistemi va riferito solo all'assenza di interazioni biologiche tra organismi dentro e fuori l'ecosistema. Dal punto di vista termodinamico un ecosistema è aperto nel senso che con l'esterno possono essere scambiati flussi di energia solare o chimica o di altra natura e flussi di materia. Da quanto sopra esposto non è facile delimitare esattamente i confini di un ecosistema, e nemmeno rappresentarlo graficamente attraverso una cartografia in scala adeguata, dato che riconoscere i limiti esatti di un sistema dinamico in continua trasformazione è molto difficile. Per poterlo quindi rappresentare graficamente non ci resta che rifarci all’ecologia del paesaggio e pertanto al concetto di sistema ambientale, come relazione spaziale tra ecosistemi distinti ed interagenti, considerando il paesaggio come un mosaico di sottosistemi (ecosistemi minimi o ecotopi). Questa unità minima rappresenta la più piccola unità geografica, caratterizzata dall'omogeneità di almeno un attributo della geosfera (cioè atmosfera, vegetazione, suolo, rocce, acqua, luce, ecc.) e con variazioni non eccessive delle componenti biologiche. Tale unità lega e precisa l’interazione tra i componenti biotici ed abiotici di un sistema ecologico aperto a uno specifico rapporto con un’area riconoscibile e quindi cartografabile. Infine introduciamo il concetto di “ecotono” (ecosistema di transizione) che applicheremo al sistema che possiede una serie di caratteristiche peculiari, che dipendono dalla sua posizione fra ecosistemi adiacenti. Tali ecotoni possono essere anche di modesta entità come per esempio una siepe inserita in un sistema di campi coltivati. Le unità ecosistemiche minime (ecotopi o/e ecotoni) che costituiranno gli ecosistemi individuate nella carta in oggetto pertanto, sono state identificate principalmente in base al grado di naturalità del sistema come apporto di energia accessoria necessaria al loro mantenimento (grado di antropizzazione); alla vegetazione ed alla fauna presente; secondariamente alla componente abiotica prevalente. Lo schema seguito per la redazione della carta classificherà le unità come segue: ECOSISTEMI NATURALI Questa classe comprende quegli ecosistemi terrestri o acquatici (marini, fluviali, lacustri) e loro ecotopi, nei quali l’apporto di energia esterna (influenza antropica) necessaria per il loro mantenimento è pressoché nulla. Tra i più esemplificativi annoveriamo: • Ecosistema delle aree rocciose e dei rilievi montuosi; • Ecosistema fluviale e/o dei laghi; • Ecosistema marino;

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ECOSISTEMI SEMINATURALI Questa classe comprende quegli ecosistemi terrestri o acquatici (marini, fluviali, lacustri ) e loro ecotopi nei quali risulta invece esserci un disturbo antropico medio-lieve a livello strutturale quali ad esempio: • Ecosistemi della macchia mediterranea; • Ecosistema dei boschi e delle foreste; • Ecosistema delle praterie e garighe montane; • Ecosistema delle praterie montane alberate; • Ecosistema delle praterie e dei pascoli delle zone subpianeggianti e/o collinari; • Ecosistema delle praterie e pascoli alberati di pianura; • Ecosistema dei boschi artificiali (rimboschimenti).

ECOSISTEMI DI PRODUZIONE Questa classe comprende quegli ecosistemi terrestri nei quali l’apporto di energia esterna (influenza antropica) necessaria per il loro mantenimento è elevato. (Apporto di energia ausiliaria). Possiamo pertanto definirli come agroecosistemi in quanto condizionati dall’attività agricola. Tra questi annoveriamo: • Ecosistema delle aree coltivate (o più in generale Agroecosistema)

ECOSISTEMI URBANI E INDUSTRIALI Questa classe comprende quegli ecosistemi terrestri nei quali l’apporto di energia esterna (influenza antropica) necessaria per il loro mantenimento è elevata e condizionata dall’attività economica dell’uomo. • Ecosistema delle aree abitate; • Ecosistema degli insediamenti industriali e delle strutture tecnologiche; • Ecosistema delle zone estrattive (cave e miniere); • Ecosistema delle discariche urbane ed industriali.

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ECOSISTEMI NATURALI

A. ECOSISTEMA DELLE ZONE UMIDE A1. Ecotopo stagnale Ecosistema dell’area stagnale. Habitat vegetale: Canna comune (Arundo donax), cannuccia di palude (Phragmites australis), la Carex pendula, Carex riparia, Cyperus longus, Nasturzium officinale; Verbena officinalis, Urtica dioica e Oenanthe pimpinelloides. Presenza di tamerici (Tamarix spp.).

A2. Ecotopo fluviale Ecosistema di transizione delle aree limitrofa ai torrenti. Habitat vegetale: Canna comune (Arundo donax), cannuccia di palude (Phragmites australis), la Carex pendula, Carex riparia, Cyperus longus, Nasturzium officinale; Verbena officinalis, Urtica dioica e Oenanthe pimpinelloides. Habitat faunistico: Bufo viridis, Hyla sarda, Petromizon marinus, Emys orbicularis, Alcedo atthis, Anas platyrinchos, Calonectris diomedea, Egretta garzetta, Fulica atra, Gallinago gallinago, Gallinago media, Larus audouinii, Limosa limosa, Phalacrocorax aristotelis, Scolopax rusticola, Tringa totanus.

B. ECOSISTEMA DELLE COSTE E DELLE SPIAGGE E’ rappresentato da due unità ecosistemiche in stretto contatto tra loro e costituenti una fascia di transizione tra l’ecosistema marino e quello terrestre. Pertanto sarà costituito da: B. Ecotono delle spiagge e delle coste basse e rocciose Ecosistema di transizione tra l’ecosistema marino e quello terrestre (macchia costiera), limitate ad un’area di distribuzione locale e difficilmente cartografabili. Habitat vegetale: Habitat vegetale: Chrithmum marittimum, Plantago subulata; Silene sedoides; Sedum litoreum; Limonium ssp; Armenia ssp; Euphorbia dendroides; Daucus ssp; Asteriscus maritimus, Nelle aree sabbiose Eryngium maritimum, Glaucium flavum, Pancratium giglio di mare (Pancratium ilyricum) e santolina delle spiagge (Otanthus maritimum).

ECOSISTEMI SEMINATURALI

C. Ecotopo della macchia mediterranea Più interno al precedente è rappresentato da una vegetazione più arbustiva che erbacea. Habitat vegetale: Associazione floristica a cisto (Cistus spp.), euforbia arborescente (Euphorbia dendroides), lentisco (Pistacia lentiscus), corbezzolo (Arbutus unedo), mirto (Myrtus communis) e sparto pungente (Calicotome spinosa); l’ilatro (Phyllirea angustifolia) e olivastro (Olea europea var. sylvestris), rosmarino (Rosmarinum officinale), rovo comune (Rubus ulmifolius), clematide (Clematis vitalba), salsapariglia nostrana (Smilax aspera), asparago (Asparagus acutifolius). Tra le specie erbacee cardo (Carlina corymbosa), scarlina (Galictites tormentosa), asfodelo (Asphodelus ramosus), ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum), ferula (Ferula communis), acetosella gialla (Oxalis pes-caprae), Uriginea marittima, Atriplex halimus .

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ECOSISTEMI DI PRODUZIONE D. Agroecosistemi Habitat vegetale: seminativi diversi e aree a copertura erbacea diversa adibite a pascolo, vigneti e oliveti. Habitat faunistico: Vulpes vulpes ichnusae, Falco naumanni, Upupa epos, Streptotelia turtur, Hirundo rustica, Alectoris barbara, Corvus corone, Podarcis spp., Oryctolagus cuniculus, Lepus capensis, Turdus merula, Turdus phylomenos, Passer hispanoliensis, Sturnus unicolor, Apodemus sylvaticus.

ECOSISTEMI URBANI E INDUSTRIALI E. Ecosistema delle aree abitate Aree dei centri abitati e zone limitrofe a vegetazione alloctona e ornamentale. Habitat faunistico: Streptotelia decaoto, Hirundo rustica, Corvus corone, Podarcis spp., Falco naumanni, Turdus merula, Passer hispanoliensis, Sturnus unicolor, Apodemus sylvaticus.

In considerazione di quanto esposto, tutti gli ecotopi individuati nell’area in oggetto si possono inquadrare in un unico grande ecosistema che definiamo: ECOSISTEMA COSTIERO.

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3.7CONCLUSIONI Vista la tipologia degli interventi di carattere urbanistico proposti e verificate le peculiarità ambientali sopra citate, si consiglia e si auspica che dette opere siano realizzate tenendo conto delle indicazioni che sono scaturite sia dall’analisi ecologica generale sia da quella particolareggiata, che di seguito elenchiamo.

3.7.1Descrizione dell’ambiente naturale L’ambiente naturale del territorio studiato è nel complesso in buono stato di conservazione e presenta alcuni elementi di valore ecologico. Per rappresentare nel migliore dei modi questi elementi abbiamo studiato un’area abbastanza vasta rispetto al luogo di intervento (foto ). Questa scelta è quasi obbligata poiché a nord confiniamo con una zona edificata a non siamo molto distanti da un’altra lottizzazione mentre a est abbiamo il mare. Per cui partendo dalla linea di costa verso l’interno troviamo in successione: • Il cordone sabbioso litoraneo della spiaggia, che varia tra i 15 ed i 45 metri; • Una stretta fascia dunale 10/15 metri; • L’area umida (tra i 70 e 214 m.); • L’entroterra e la maggior parte dei 4,00 ha della lottizzazione, caratterizzato da una macchia mediterranea quasi totalmente priva di elementi arborei e con una netta mancanza delle specie più pregiate a favore del cisto (Cistus monspeliensis). All’interno di questa area sono presenti alcune carrarecce e una zona umida che nel periodo estivo è completamente asciutta. Sono inoltre presenti alcuni abitazioni e lottizzazioni di piccole dimensioni. Complessivamente l’ambiente naturale risulta a naturalità medio alta, soprattutto nella parte compresa tra la spiaggia e la fine dello stagnetto, mentre nella restante parte si mette in evidenza il decrescente valore con una naturalità medio bassa.

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Foto 8 (sullo sfondo il cordone dunare e la zona umida)

Foto 9 (Zona arborata a ridosso della zona umida)

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3.8Interferenze sulle componenti biotiche.

3.8.1Vegetazione Le tipologie vegetazionali rilevate e riportate nella legenda e nella cartografia, contraddistinte con le lettere A, B, C, D, E, F, G, H, I forniscono delle indicazioni chiare dal punto di vista fisionomico- strutturale, sul dinamismo reale della vegetazione e sul grado di naturalità, dunque sul suo comportamento in funzione dell’impatto edificatorio previsto. L’insediamento residenziale ha uno sviluppo limitato, pertanto considerando la superficie occupata, dovrebbe andare ad insediarsi interamente l’unità cartografica E denominata Gariga, e più precisamente la parte nella quale la gariga è rappresentata dal cistetto (Cistus monspeliensis) e dove sono scarsamente rappresentate le specie arbustive di maggior pregio. Per quanto riguarda tutte le altre unità vegetazionali non saranno interessate in nessun modo dai lavori.

Tabella delle superfici delle differenti unità cartografiche della vegetazione, presenti nelle aree dei comparti A1 e A2

La tabella soprastante riporta la suddivisione delle superfici delle associazioni vegetali riscontrate, suddivise per comparto. I due comparti, non interessano, con sistemi edificati, viabilità, verde od altre opere, aree diverse da quelle occupate dalla Gariga a cisto marino, giacente sui depositi di versante ed occupante la totalità dell’area proposta alla trasformazione.

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3.9Fauna Oltre all’analisi sulle specie animali prese in considerazione nell’area e nel vicino SIC è stato effettuato lo studio naturalistico-ecologico di un’area vasta. L’indagine, in una prima fase, ha riguardato l’analisi della qualità ambientale con specifico riferimento alla fauna presente nel territorio e con particolare attenzione a quella presente nel SIC “Stagno di San Teodoro”, che pur essendo un’area umida e a discreta distanza l’abbiamo utilizzata come esempio di potenziale fauna. La delimitazione dell’area di studio ha tenuto conto di criteri generali (tipologia dei vari fattori ambientali, individuazione di confini naturali, ecc.) e di criteri specifici (disponibilità di informazioni). In mancanza di studi specialistici riguardanti la fauna locale e su gli ecosistemi presenti nel territorio di San Teodoro, abbiamo ricorso all’utilizzo delle schede di “Natura 2000” contenenti informazioni sugli habitat e sulle specie animali e vegetali tutelate dalle Direttive Habitat. A partire dai dati disponibili e dall’esame delle esigenze di habitat delle specie faunistiche del S.I.C., si è successivamente operata un’analisi del territorio volta ad individuare le diverse tipologie di habitat presenti e, di conseguenza, le specie animali che potrebbero essere ospitate in tale territorio. L’analisi che, per quanto detto, è stata condotta sia utilizzando la documentazione disponibile sia effettuando indagini di tipo diretto e indiretto, rappresenta la base della procedura in funzione della quale vengono poi definite le varie fasi di valutazione degli impatti positivi e negativi che si potrebbero produrre sulle comunità faunistiche presenti nel territorio. Nei paragrafi precedenti abbiamo messo in evidenza le caratteristiche bio-ecologiche della fauna SIC, adesso cercheremo di integrare i dati già esposti valutando se esistono situazioni critiche tali da creare interferenze con le specie presenti nell’area. Complessivamente vengono segnalate 13 specie appartenenti alla classe degli Aves (Uccelli) inserite nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE, altre 21 specie di uccelli non inserite nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE, 2 Reptilia (Rettili) e 1 pesce elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE. A queste si aggiungono altre specie, definite genericamente “importanti”, di cui 2 anfibi e 2 invertebrati marini. Dopo questa ulteriore precisazione, passiamo all’analisi delle varie classi, valutando successivamente l’eventualità di presupposti critici tra il progetto proposto e la fauna presente nel territorio in esame.

3.9.1Gli Uccelli Prendiamo in considerazione gli areali di distribuzione di ciascuna specie utilizzando gli studi della Rete Ecologica Nazionale, aggiornati al 2002, la pubblicazione “Aves” di Brichetti P., De Franceschi P. e Baccetti e il “Modello di monitoraggio della fauna – Progetto Life Natura 1995”.

Ordine Coraciiformes Il Martin pescatore (Alcedo atthis) è una specie ampiamente distribuita lungo tutto il territorio italiano. Nel sud Italia la specie nidifica in modo discontinuo, in Sardegna si riproduce con localizzazioni puntiformi; la ridotta distribuzione nelle regioni meridionali è probabilmente dovuta alla minor frequenza di ambienti adatti e forse anche alla scarsità di rilevazioni. La specie è strettamente legata alla presenza di zone umide anche di piccole dimensioni; specie in declino in varie parti del suo areale europeo, dal modello che ne risulta sottolinea la vulnerabilità potenziale di questa specie, legata ad ambienti umidi spesso naturalmente frammentati, e indica la necessità di preservare le aree idonee da essa abitate.

Ordine Charadriiformes Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 72

SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Appartengono all’Ordine dei Caradriformi dieci specie: Occhione, Avocetta, Fraticello, Sterna comune, Beccapesci, Beccaccino, Gabbiano comune, Pittima reale, Pettegola, Pavoncella. L’Occhione (Burhinus oedicnemus) nel periodo riproduttivo, risulta ben distribuito nelle zone pianeggianti e collinari, frequenta principalmente ambienti aridi e steppici aperti con copertura erbacea bassa e rada, localmente utilizza anche campi coltivati; rispetto alla situazione continentale in Sardegna si registra una buona corrispondenza tra le aree considerate idonee e siti di riproduzione, in quanto nell’Isola il disturbo umano è sicuramente inferiore. La riduzione delle aree a vegetazione pioniera e steppica in favore dell’agricoltura sono forse il principale fattore di minaccia per questa specie. L’Avocetta (Recurvirostra avosetta), si riproduce in quattro aree distinte: sulla fascia costiera della Pianura Padana, sulla costa adriatica pugliese, nella parte nord occidentale della Sicilia ed in Sardegna (Cagliari, Iglesiente e Golfo di Oristano). Sebbene non minacciata al momento, la specie risulterebbe favorita da una adeguata conservazione delle aree umide idonee per la riproduzione. Il Fraticello (Sterna albifrons), l’areale di nidificazione del fraticello comprende le lagune costiere dell’alto Adriatico e molte zone della Pianura Padana, si riproduce inoltre anche nel meridione ed in ampi tratti delle coste sarde. La sua presenza è spesso localizzata e rispecchia la limitata disponibilità di siti sicuri per la riproduzione coloniale e circondati da idonei ambienti di alimentazione. La specie nidifica a terra, spesso in corrispondenza di greti, isolotti, sabbioni e lagune salmastre. Le aree che presentano un’alta idoneità sono localizzate sulla costa adriatica, per il resto del suo areale sono presenti aree mediamente idonee, anche per il fraticello viene genericamente segnalata la presenza con popolazione non significativa nel SIC. La Sterna comune (Sterna hirundo), nidifica in colonie nelle lagune costiere dell’Adriatico e sulle coste della Sardegna. La specie è legata a greti, isolotti, sabbioni, valli salmastre; nidifica a terra in colonia quindi ha bisogno di aree abbastanza grandi e sicure, dove è assente il suo principale predatore, la volpe, anche in questo caso la scheda SIC riporta solo la presenza con popolazione non significativa. Il Beccapesci (Sterna sandvicensis), l’areale di questa specie è limitato a tre aree costiere: la laguna veneta, le Valli di Comacchio e le Saline di S. Margherita di Savoia. Uccello quasi esclusivamente marino, è considerato in declino in Europa. Il Beccaccino (Gallinago gallinago) è una specie con areale di tipo siberiano. In Italia è presente in tre località del nord; profondamente legata ai prati allagati e comunque alla presenza di acqua. Esclusivamente migratore invernale. Il Gabbiano comune (Larus ridibundus) ha un areale molto localizzato tra cui il Golfo di Cagliari, il Golfo di Oristano e area costiera dell’Iglesiente. La specie è considerata vulnerabile in Italia; il modello e l’areale attuale sottolineano, nonostante la plasticità ecologica della specie, una sua certa vulnerabilità, in quanto le colonie riproduttive sono legate ad ambienti naturalmente frammentati e sempre più minacciati e indicano la necessità di preservare, tramite azioni, le aree idonee da essa abitate. La Pittima reale (Limosa limosa) è una specie essenzialmente nordica ed in Italia nidifica solo al nord. La specie è considerata seriamente minacciata in Italia, ovviamente una adeguata conservazione delle aree umide dove si riproducono unita alla riduzione del disturbo antropico favorirebbe il successo riproduttivo. La Pettegola (Tringa totanus) ha un areale localizzato essenzialmente lungo le coste adriatiche, in Sardegna abbiamo Cagliari, Isola di San Pietro e Golfo di Oristano. Gli habitat scelti dalla specie per nidificare sono paludi, pozze in riva al mare, saline e lagune, importante è anche la presenza di praterie di salicornia. La specie risulta minacciata in Italia. La Pavoncella (Vanellus vanellus) è una specie che nidifica essenzialmente nelle regioni nord- europee, i siti di riproduzione in Italia sono limitati ad alcune zone della Pianura Padana e delle Alpi. Gli habitat preferenziali della specie sono i terreni coltivati, le paludi le marcite. In Sardegna è presente localmente durante le migrazioni invernali.

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Foto – L’antistante area dello stagno de l’Isuledda

Ordine Ciconiiformes Appartengono a questo ordine la Cicogna nera, l’Airone bianco maggiore e la Spatola. La Cicogna nera (Ciconia nigra) ha due zone di localizzazione che corrispondono a sud in Calabria e a nord alla zona di Omega e Lago Maggiore. La specie è considerata rara a livello europeo. L’Airone bianco maggiore (Egretta alba) ha due sole aree di nidificazione in Italia, una nel complesso deltizio del Po e l’altra nelle province di Ferrara e Bologna. La Spatola (Platalea leucorodia) seleziona habitat acquatici, come le risaie, le paludi d’acqua dolce e salmastra, le saline, le lagune i delta, gli estuari e i laghi. La specie è minacciata a livello europeo.

Ordine Accipitriformes Il Falco di palude (Circus aeruginosus) ha una distribuzione come nidificante assai discontinua e dispersa per carenza di habitat. Frequenta zone umide interne e litoranee, anche di origine artificiale con grandi estensioni e fitti canneti. In Sardegna la nidificazione è essenzialmente puntiforme e legata a specifiche condizioni ambientali. Minacciato a livello italiano.

Ordine Phoenicoperiformes Il Fenicottero rosa (Phoenicopterus ruber) solo recentemente in Italia si è avuta la nidificazione. Le basse lagune costiere, le saline, le zone allagate, laghi e banchi di fango sono i tipi di ambienti che questa specie seleziona.

Ordine Anseriformes L’Alzavola (Anas crecca), come specie nidificante, ha un areale estremamente localizzato e frammentato. A parte il territorio italiano, in Sardegna le segnalazioni arrivano dagli Stagni di Cagliari. La specie è minacciata in Italia. Il Mestolone (Anas clypeata) ha una distribuzione estremamente frammentata, localizzata è circoscritta quasi esclusivamente all’Italia settentrionale, anche in Sardegna è presente un sito nella zona degli stagni di Cagliari. Nel periodo riproduttivo ha abitudini piuttosto elusive e frequenta ambienti lagunari d’acqua dolce, sia costieri che dell’entroterra e piccoli laghetti. La specie è considerata minacciata in Italia. Il Germano reale (Anas platyrhynchos) è ampiamente distribuito in tutta Italia, ma è decisamente più abbondante nella Pianura Padana, dove è possibile individuare una grande zona dove nidifica. Gli ambienti riproduttivi abbracciano un’ampia varietà di zone umide, da quelle salmastre costiere, alle anse fluviali, alla risaie; anche i canali con sponde ricche di vegetazione naturale costituiscono Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 74

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Ordine Pelecaniformes Il Cormorano (Phalacrocorax carbo), l’areale di nidificazione della specie è costituito da poche aree di modesta estensione, separate da grandi distanze, localizzate nella parte occidentale della Sardegna, nel Ferrarese, Laguna di Venezia e nella Pianura Padana. L’esiguità delle popolazioni italiane lo rendono estremamente localizzata a pochissime aree. Particolare importanza sembra rivestire la popolazione sarda, che purtroppo non gode del necessario grado di conoscenza e di tutela. La specie predilige per nidificare le risaie, le sponde dei laghi e delle paludi.

Ordine Gruiformes La Folaga (Fulica atra) è ampiamente distribuita in tutta la penisola e nelle isole. Nidifica in zone umide poco profonde d’acqua dolce e salmastra, predilige aree con specchi d’acqua libera ma circondati da vegetazione. Attualmente la specie sembra in declino a causa del notevole tasso di disturbo antropico sia diretto che indiretto. La Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) è, come la folaga, ampiamente distribuita in tutto il territorio nazionale. In generale la specie nidifica tra canne e cespugli vicino all’acqua. La specie non sembra attualmente minacciata, grazie anche alla sua incredibile plasticità ecologica.

Foto – Il settore di transizione

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3.9.3Pesci Il Nono (Aphanius fasciatus) è una specie limnofila parziale e termofila. Tende ad occupare gli ambienti salmastri come lagune e laghi costieri e le zone terminali dei fiumi. La specie non si spinge molto all’interno dei bacini. Attualmente è in progressiva diminuzione a causa della distruzione degli ambienti costieri, suoi habitat elettivi, e per la competizione con la gambusia.

Altre specie importanti di fauna (2 anfibi e 2 invertebrati) Il Rospo smeraldino (Bufo viridis) predilige pozze temporanee in aree aperte, anche in presenza di un certo grado di antropizzazione (presenza e protezione mediante convenzioni internazionali). La Raganella sarda (Hyla sarda) predilige pozze temporanee, o anche lungo i corsi d’acqua e nelle paludi (presenza e protezione mediante convenzioni internazionali). La Nacchera (Pinna nobilis), bivalve vivente in zona sommersa, tra le praterie di posidonia; molto comune, vive infissa nel fondo ancorata col lungo bisso. Di forma triangolare, allungata, sottile e fragile con la superficie cosparsa di lamelle squamose, più evidenti negli esemplari giovani, è il più grande bivalve del mediterraneo (presenza e protezione mediante convenzioni internazionali). La Conchiglia (Spondylus gaederopus) grossa conchiglia bivalve, vivente in zona sommersa, aderisce con la valva inferiore agli scogli su fondi rocciosi; forma tondeggiante; superficie superiore con grosse lamine spinose o squamose molto accentuate, interno bianco madreperlaceo (presenza e protezione mediante elenco del Libro rosso Nazionale).

Dall’elenco appena riportato mancano alcune specie di uccelli per le quali, lo studio al quale abbiamo fatto riferimento, non sono riportate. Questa mancanza è da attribuire soprattutto alla carenza di riferimenti bibliografici soddisfacenti e per l’impossibilità di realizzare modelli adeguati di interpretazione dei dati. Queste specie sono: l’Albanella reale, la Pivieressa, il Codone, il Fischione, l’Oca selvatica, il Piovanello maggiore, lo Smergo minore, il Chiurlo maggiore e la Pantana.

3.10Considerazioni finali Considerando che esiste sempre una stretta correlazione fra habitat e specie ospitate, utilizziamo come criterio discriminante le caratteristiche ecosistemiche per determinare l’idoneità ad ospitare ogni singola specie analizzata. Una prima considerazione riguarda le caratteristiche biologiche delle specie esaminate.

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3.11BIBLIOGRAFIA • LIPU & WWF (a cura di) E. Calvario, M. Gustin, S. Sarrocco, U. Gallo Orsi, F. Bulgarini & F. Fraticelli, 1999. Nuova Lista Rossa degli uccelli nidificanti in Italia. Riv. ital. Orn. 69:3-43. • Legge Regionale n.23 del 29 luglio 1998 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna. • “Fitoclimatologia della Sardegna” P. V. Arrigoni • Università di Cagliari Dipartimento di Biologia Generale ed Ecologia – G. Serra. • P. Peterson: Guida degli uccelli d’Europa – Ed. Labor. • Christopher Perrins: Uccelli d’Italia e d’Europa – De Agostani/Collins. • Clima e vegetazione della Provincia di – Mario Siddi. • “La flora della Provincia di Sassari” – Franca Valsecchi • 79/409/CEE Direttiva Uccelli • 92/43/CEE Direttiva Habitat • D.P.R. n. 357/97 – Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relative alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatica. • Associazione Parco Molentargius Saline Poetto, 2002 “Dieci anni di censimento degli uccelli acquatici in Sardegna” Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato della Difesa dell’Ambiente. • “Inventario delle zone umide costiere della Sardegna”,Associazione Parco Molentargius Saline Poetto, Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato Beni Culturali e Pubblica Istruzione (1998). • “Flora Sarda-Piante Endemiche” N. Marras, edizione Progetto Sardegna, Zonza Editori (2000). • “Animali di Sardegna-Gli anfibi e i Rettili” F. Puddu, edizione Carlo Delfino Editore. • "Guida dei Rettili e degli Anfibi d'Europa", by E. N. Arnold and J. A. Burton, ed. Franco Muzzio & c. • “Vita degli animali-I Rettili” Grzimek, Bramante editrice. • Boitani L., Corsi F., Falcucci A., Maiorano L., Marzetti I., Masi M., Montemaggiori A., Ottaviani D., Reggiani G., Rondinini C. 2002. Rete Ecologica Nazionale. Un approccio alla conservazione dei vertebrati italiani. Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo; Ministero dell’Ambiente, Direzione per la Conservazione della Natura; Istituto di Ecologia Applicata. • S. Colomo. “Guida alla natura della Sardegna” Editrice Archivio Fotografico Sardo.

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4.ANALISI E VALUTAZIONE DELLE INTERFERENZE L’insediamento in oggetto comporterà una serie di interferenze sul sistema ambientale. Queste possono distinguersi tra quelle generate dalla fase di costruzione del complesso,e quelle generate dalla fase di esercizio. Tra le due, è la fase di cantiere che comporta i maggiori disturbi sul contesto ambientale, che sono però temporanei e limitati alla durata del cantiere e possono essere minimizzati con uno studio che preveda l’adozione di opportune misure di contenimento. Viceversa, i disturbi ambientali legati alla fase di esercizio del complesso turistico sono sostanzialmente determinati dall’aumento del carico antropico e dall’operatività stessa della lottizzazione. Sono impatti di tipo prolungato nel tempo per tutta la durata della vita della struttura. Al fine di definire i processi connessi alla realizzazione dell’opera in oggetto, si rende necessario analizzare sinteticamente le attività di cantiere. L’edificazione delle singole unità residenziali dovrà avvenire con un processo costruttivo di tipo tradizionale: per ogni unità si realizza un cantiere, di dimensioni contenute. Le previsioni hanno tenuto conto di diversi fattori quali le esigenze operative, la morfologia del luogo, l’utilizzazione delle risorse del suolo e la presenza della vegetazione naturale. L’ubicazione dell’area di cantiere dovrà essere individuata in una zona a qualità ambientale media (cfr. allegata Carta della vegetazione), attualmente caratterizzata da una copertura a macchia, ad opportuna distanza dalla fascia peristagnale. Per la conformazione stessa del complesso l’area di cantiere non sarà di dimensioni considerevoli: per creare il minore disturbo possibile si dovrà cercare di concentrare le attività nella zona più prossima alla strada, per ragioni di facilità di accesso.

4.1FASE DI CANTIERE Preparazione dell’area L’azione comporta un cambiamento d’uso di quasi tutta l’area destinata al complesso, con conseguente asportazione della copertura vegetale, su una superficie quasi equivalente all’area di sedime degli edifici. La vegetazione presente ante operam, gariga a cistetto con un basso grado di copertura, dovrà essere estirpata nella fase di preparazione del sito al cantiere. L’asportazione della copertura vegetale, unitamente ad altre azioni di impatto della fase di cantiere quali il traffico di operai, il rumore prodotto e il sollevamento di polveri in atmosfera, contribuirà all’allontanamento temporaneo delle specie animali attualmente presenti. Verranno tracciate in fase preparatoria, a partire dall’attuale rete viaria, le piste camionabili per il trasporto dei materiali da cantiere e delle terre di scavo: queste saranno disposte in modo tale da coincidere con il tracciato dei viottoli di comunicazione tra i vari edifici. Gli scavi e gli sbancamenti per le opere di fondazione delle strutture comportano delle modifiche nell’uso del suolo, nella morfologia del terreno e nel sistema di deflusso delle acque, la rimozione della copertura vegetale, la diffusione di polveri e l’emissione di rumori e vibrazioni. In tale fase i suoli presenti verranno asportati ed accantonati al fine di essere riutilizzati in fase di rimodellazione e di sistemazione delle aree a verde. Inoltre la realizzazione delle canalette e condotte per degli impianti idraulico ed elettrico comporta la necessità di eseguire ulteriori scavi e la conseguente asportazione della copertura vegetale. La rimozione del cantiere, infine, comporta un aumento di traffico e l’emissione di polvere, rumori e vibrazioni.

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5.EFFETTI AMBIENTALI

5.1UTILIZZO DI RISORSE NATURALI Come accennato nella descrizione del cantiere, in fase di preparazione del sito ci sarà un utilizzo di risorse naturali. Queste infatti sono legate sia all’asportazione della copertura vegetale, nelle aree di sedime del cantiere, che agli scavi e sbancamenti necessari per la realizzazione del complesso. Considerando le operazioni di scavo e sbancamento, il materiale estratto è costituito da materiali di differente natura: per la maggior parte roccia, di tipo granitico, emergente affiorante in buona parte dell’area in esame, proveniente dagli scavi per le fondazioni degli edifici; suoli, provenienti dallo scavo per le fondazioni, per il passaggio e la posa dei cavidotti e delle condotte e dalla sistemazione della viabilità. Sia la roccia che i suoli verranno riutilizzati nelle operazioni di riempimento, per il rimodellamento dei versanti o conferiti in discarica autorizzata. I suoli, in particolare saranno riutilizzati come substrato nelle zone adibite ad aree verdi. Da osservare che, per quanto riguarda l’asportazione della roccia in fase di scavo, in buona parte viene riutilizzata come materiali di rimodellamento e talvolta di rivestimento delle strutture, col doppio scopo di ridurre il materiale da conferire in discarica e mitigare l’impatto visivo degli edifici. Anche nella fase di esercizio del complesso ci può essere utilizzo di risorse naturali; ad esempio l’acqua: si è già detto, nella descrizione del progetto, che è previsto di utilizzare acque provenienti esclusivamente dalla rete idrica comunale, eventualmente accumulandola nelle apposite vasche, ma non verranno in alcun modo captate acque naturali da suolo e sottosuolo. Le acque superficiali, in particolare il sistema stagnale attiguo, non verrà assolutamente disturbato e gli interventi sono posti a distanza adeguata, nonché sono già presenti apposite recinzioni.

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5.2INQUINAMENTO E DISTURBI AMBIENTALI Le cause di inquinamento e disturbi ambientali sono molteplici: durante la fase di cantiere la produzione di polveri, rumori, vibrazioni dovuti al passaggio dei mezzi pesanti e alle fasi di costruzione degli edifici, delle piscine e degli impianti sportivi; durante la fase di esercizio soprattutto l’aumentato carico antropico, il traffico ed il funzionamento degli impianti. E’ bene analizzarli in dettaglio.

5.2.1Sollevamento di polveri E’ dovuto, durante le attività di cantiere, al traffico dei mezzi pesanti, alle operazioni di scavo ed alla realizzazione delle strutture, delle piscine e degli impianti. In fase di esercizio, invece, può causare emissione di polveri in atmosfera l’aumento di traffico dei veicoli. L’effetto ambientale più problematico è legato alla componente vegetazionale. La polvere sollevata si può depositare sulle foglie: qui forma una patina che ostacola le funzioni vitali della pianta in due modi. Da un lato, una esposizione eccessiva e prolungata alle polveri può causare l’intasamento degli stomi, che contribuiscono alla vita della pianta provvedendo agli scambi gassosi con l’atmosfera, limitandone la funzione. Dall’altro, a causa della patina la luce viene rifratta, dunque la fotosintesi avviene in maniera molto ridotta. Allo stesso modo, nel periodo della fioritura, la polvere intasa gli stimmi riducendo le capacità riproduttive della pianta. Per questo motivo, le piante esposte in maniera prolungata all’esposizione di polveri hanno impedite le principali funzioni: respirazione, fotosintesi clorofilliana e riproduzione. E’ dunque un impatto significativo, i cui effetti, sebbene classificati tra quelli temporanei, possono avere sul sistema ambientale degli effetti prolungati nel tempo. Essendo suoli granitici, l’alta percentuale di quarzo rispetto alle frazioni più fini limita in maniera considerevole la polverosità di questi suoli. Il tempo di esposizione, infine, è effettivamente limitato alla durate delle opere di preparazione del sito. Per mitigare l’effetto durante la fase di cantiere, le polveri sollevate dal passaggio dei mezzi pesanti e dalla movimentazione di materiali saranno abbattute inumidendo periodicamente le piste ed i piazzali di lavorazione; non è previsto di usare esplosivi per le operazioni di scavo, pertanto durante questa fase il disturbo è limitato. Inoltre le operazioni di costruzione non avverranno nella stagione asciutta, contribuendo alla riduzione della polverosità del cantiere. Durante la fase di esercizio non si prevede di sollevare polveri: infatti, le strade destinate al passaggio dei veicoli saranno asfaltate, i parcheggi saranno asfaltati o in sabbia battuta trattata con GLORIT, una nuova tecnologia di pavimentazione stradale che consente di costipare terreni naturali evitando sollevamento di polveri. Non si prevede che gli effetti del sollevamento delle polveri, dopo l’applicazione delle misure di mitigazione, possano andare ad interferire né con il sistema sabbioso né con il sistema umido dello stagno. Non si prevede che la variante del progetto possa comportare ulteriori disturbi ambientali dovuti al sollevamento delle polveri.

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Destinazione d’uso territoriale Giorno [dB(A)] Notte [dB(A)] Aree particolarmente protette 50 40 Aree prevalentemente residenziali 55 45 Aree con diverse destinazioni d’uso 60 50 Aree di intensa attività umana 65 65 Aree prevalentemente industriali 70 60 Aree esclusivamente industriali 70 70

La tabella nasce dall’applicazione delle direttive del DPCM 14.11.97 in attuazione della Legge quadro sull’inquinamento acustico 26.10.95 n.447. Si può considerare che l’area in questione, per via della destinazione d’uso che le è stata data, possa rientrare nella seconda o, per cautelarci, al limite nella prima categoria. I dati tecnici forniti dai costruttori, relativi agli impianti e alle attrezzature, affermano che esse sono in grado di lavorare emettendo un rumore completamente al di sotto dei valori acustici accettabili. Tutti gli impianti saranno in ogni caso chiusi all’interno di locali isolati acusticamente, per cui il potenziale impatto dovuto all’inquinamento acustico può ritenersi minimo. Considerato questo, solo in fase di cantiere ci sono azioni che superano il livello sonoro accettabile: soprattutto sbancamenti e livellamenti, ma anche esercizio delle macchine da cantiere e flusso dei mezzi pesanti.

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5.2.3Aumento del carico antropico Gli effetti dell’aumento del carico antropico sul sito si rilevano soprattutto in fase di esercizio dell’attività: gli ospiti delle residenze modificheranno con la loro semplice presenza lo stato naturale del contesto ambientale in diversi modi. In particolare, nel periodo estivo, il sovraccarico di utenti dei servizi tecnologici potrebbe comportare sia dei problemi per lo smaltimento delle acque di scarico che per l’approvvigionamento idrico. Non essendo la lottizzazione di dimensioni considerevoli, ed essendo stato progettato il sistema degli impianti sulla base di valori sovradimensionati rispetto a quanto prevedibile, si può ritenere che questi due aspetti nel caso in esame non comportino particolari rischi per il contesto ambientale. Potrebbe rilevarsi invece l’incidenza dell’aumento del carico antropico sulla spiaggia: da anni, ormai, numerosi studi hanno dimostrato che l’erosione costiera può essere anche legata al sovraccarico della presenza umana. Occorre preliminarmente dire che il numero di nuove presenze indotto dall’attività residenziale e da quella ricettiva non è elevato. Dall’osservazione del comportamento del turista emerge che solo in parte gli ospiti della lottizzazione frequentano le spiagge: le percentuali si attestano poco sopra il 50%. Non è prevista la realizzazione di opere di attracco (moli, banchine etc. ) che possano modificare il naturale andamento delle correnti o influire sulla flora e fauna marina. I fenomeni erosivi dunque potrebbero essere addebitati alla sola frequentazione da parte dei bagnanti; il passaggio delle persone sul litorale può comportare problemi legati al calpestio, allo spostamento ed all’asportazione dello strato sabbioso, andando ad incidere sull’equilibrio ambientale del sistema costiero. La presenza umana andrà ad incidere anche con la pulizia delle spiagge e aree limitrofe. L’ancoraggio di barche e gommoni potrebbe disturbare la vita della posidonia, distruggendo il substrato delle praterie; il rumore dei motori potrebbe disturbare i pesci; per ovviare a quanto sopra, sarà vietato l’ancoraggio, la pesca ed ogni altra azione di disturbo. E’ da ricordare, peraltro, che l’area non rientra nella perimetrazione della riserva marina di Tavolara – Punta Coda Cavallo (zona C) e dunque non è regolamentata dalle norme dell’ente gestore per quanto riguarda balneazione, navigazione, pesca e diving. Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 83

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5.2.4Produzione di rifiuti in fase di cantiere e di esercizio Anche in questo caso si rileva una produzione di rifiuti sia dovuta alla fase di cantiere che di esercizio. In fase di cantiere i rifiuti sono legati sia alla manutenzione di parti meccaniche delle macchine (olii esausti, stracci, filtri, batterie), rifiuti che verranno conferiti a società addette allo smaltimento a norma di legge, che agli scarichi liquidi del cantiere: si possono distinguere quattro differenti tipi di scarichi fognari provenienti rispettivamente dalle attività di lavorazione degli inerti, dalla attività umana, dalla manutenzione dei mezzi e dal lavaggio delle macchine da cantiere. Perciò possiamo distinguere: • Acque provenienti dai servizi igienici, lavandini, docce, e simili ed eventualmente mense e cucine; sono acque con una forte componente biologica; • Acque provenienti da piccole lavorazioni di cantiere e dal lavaggio delle macchine operatrici: sono acque che contengono un’alta percentuale di particelle di terra in sospensione, composti chimici se si è scelto di utilizzare additivi nelle miscele di calcestruzzo o simili, una piccola componente biodegradabile ed una piccola percentuale di grassi ed olii minerali. • Acque provenienti dalle lavorazioni in officine meccaniche e dalla manutenzione dei mezzi pesanti da cantiere: queste acque sono altamente inquinanti per l’alto contenuto di idrocarburi e grassi disciolti. • Acque provenienti dal consumo di inerti (impianti di lavaggio, etc.).

Il cantiere, sarà strutturato in modo tale che tutte le acque reflue che saranno immesse in ricettori naturali dovranno rispondere ai requisiti riportati dalla tabella A della legge 319/1976 e s.m.i. Considerata la vicinanza al mare ed al piccolo stagno si renderà necessario prevedere la presenza di un impianto depurativo provvisorio a servizio del cantiere ed uno studio del trattamento di eventuali fanghi residui: a seconda del tipo di acque reflue, si potrà scegliere se portarli a discarica oppure di trattarli in modo da riutilizzarli per usi irrigatori o per accelerare il rinverdimento delle zone da ripristinare una volta esaurita l’attività del cantiere. Le acque, una volta depurate, possono essere inviate ad un recapito naturale, essere immesse nella rete irrigatoria o oppure è possibile riutilizzarle, dopo averne accertata la natura, nelle lavorazioni di cantiere. Particolare attenzione andrà data alle acque di ruscellamento, per impedire che i trasporti torbidi vengano immessi direttamente nello stagno.

5.2.5Rifiuti Solidi Urbani in fase di esercizio È prevista la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani secondo quanto prevede il Decreto Ronchi (Dlgs. 22/97) e il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti del Settembre 1998. I rifiuti vegetali prodotti dalle attività di giardinaggio nel verde privato saranno raccolti anch’essi separatamente e trattati insieme a quelli originati dagli interventi selvicolturali. Assoluta priorità sarà data all’attivazione delle raccolte domiciliari in quanto le attività specifiche dell’insediamento consentono di affidare al personale di servizio, addetto alla pulizia e al riassetto delle unità alberghiere e delle altre strutture di interesse collettivo, anche la “raccolta porta a porta” dei diversi rifiuti già differenziati dall’utente. I rifiuti raccolti quotidianamente saranno trasportati mediante idonei e specifici mezzi leggeri privati in un apposito punto di accumulo di competenza comunale. Coordinamento: Geol. Fausto A. Pani - Geol. Roberta M. Sanna Consulenti: Naturalisti Francesco Lecis e Maria A. Frau Progettisti: Architetti Danilo Pucci e Arianna Pucci 84

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5.2.6Rifiuti Vegetali in fase di esercizio I rifiuti legnosi provenienti dalle operazioni colturali ed i rifiuti erbacei generati dall’essiccazione delle specie annuali, proporzionali al numero, alla localizzazione e all’intensità degli interventi colturali di ordinaria manutenzione del soprassuolo, sono concentrati ed addotti, assieme ai derivati dallo sfalcio.. I rifiuti erbacei sono eliminati, raccolti e asportati da ogni area a verde del complesso turistico. I rifiuti raccolti vengono portati in apposite aree e consegnati al servizio di nettezza urbana comunale e solo nel periodo primaverile possono essere eliminati mediante l’abbruciamento. La produzione di rifiuti legnosi e vegetali produce esclusivamente effetti positivi, in quanto gli stessi rifiuti sono generati da normali azioni selvicolturali indispensabili per assicurare una razionale e corretta gestione e miglioramento del soprassuolo.

5.2.7Rischio di incidenti Gli unici incidenti ipotizzabili sono riconducibili all’operatività della fase di cantiere: oltre agli infortuni del personale lavoratore, il rischio per l’ambiente è quello di sversamenti di sostanze chimiche, incendi, abbandono di rifiuti, con danni alla componente suolo e sottosuolo, alla vegetazione ed alla fauna. E’ naturalmente disposto di attenersi alle misure riportate nel documento DSS e a quanto la legge (direttiva cantieri 494/96) prevede per la sicurezza del cantiere. In fase di esercizio dell’attività, invece, il rischio di incidenti è legato agli infortuni del personale lavoratore: in tal senso la normativa di settore prevede la disposizione del DSS alle indicazioni del quale ci si atterrà durante la fase di esercizio.

5.2.8Gli effetti sul sistema clima e sulla qualità dell’aria in fase di costruzione Gli scavi previsti nel progetto sono limitati al sistema fondale ed ai sedimi stradali. Nel corso della fase di realizzazione dell’opera, ed in particolare durante le azioni di scavo si potranno produrre polveri, con un peggioramento temporaneo della qualità dell’aria, nelle immediate adiacenze delle aree di scavo. Nelle aree circostanti, sotto vento del venti di NO e SE, non sono presenti situazioni che possano risentire della temporanea mobilitazione di polveri. Lo stesso può dirsi della diffusione del rmore e dei fumi derivanti dal funzionamento dei mezzi di cantiere statici con motore a combustione. La diffusione di luce in tale fase sarà limitata alle sole luci di sicurezza per la sorveglianza e per i custodi. L’effettuazione dei lavori nella stagione umida o comunque, localmente con l’aspersione delle aree di scavo, nei giorni ventosi, o la sospensione degli scavi e dei ripristini in tali giorni porteranno alla riduzione od anche alla eliminazione dell’inconveniente.

5.2.9Gli effetti sul sistema clima e sulla qualità dell’aria in fase di esercizio Per la componente ambientale in oggetto, nelle fasi analitiche, non sono stati identificati impatti potenziali significativi. La realizzazione dello villaggio non determina infatti significative variazioni sul microclima che caratterizza l’area. In particolare, il contenuto di umidità dell’area che varierà in funzione dell’aumentata disponibilità di acqua all’evapotraspirazione derivante dall’irrigazione dei prati, ha un influsso positivo sulla quasi totalità delle specie floristiche presenti nell’area circostante l’intervento. La qualità dell’aria non viene alterata in quanto non vengono introdotte nell’atmosfera significative quantità di calore, di fumi e/o di vapore.

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5.2.10Gli effetti sul sistema geologico in fase di costruzione Il sistema geologico non subisce in fase di costruzione particolari effetti dall’intrusione del progetto per alterazione dell’equilibrio dei versanti. Il progetto è impostato alla base del versante. Il sistema degli scavi di fondazione è non modifica gli equilibri del sistema e l’andamento delle acclività è tale da non subire modificazioni o alterazione degli equilibri.

5.2.11Gli effetti sul sistema geologico in fase di esercizio Il sistema geologico non risentirà della stabile presenza del nuovo insediamento in fase di esercizio in quanto non esistono azioni svolte dal sistema progettato agenti con energie tali da modificare pur minimamente assetti o processi geologici o strutturali. Altresì, la presenza dell’insediamento, non interferisce con lo sfruttamento di eventuali risorse minerarie o comunque estrattive, tenendo anche in conto che in tale area non sono attuabili, economicamente o normativamente, interventi di tale tipo.

5.2.12Gli effetti sul sistema idrografico in fase di costruzione Il sistema idrografico verrà interessato in fase di costruzione in modo minimale in quanto in tale fase potrebbero essere resi disponibili al ruscellamento materiali di granulometria varia derivanti dagli scavi delle strutture fondali degli edifici della lottizzazione o dallo scoticamento di alcune aree interessate dalle operazioni di trasformazione. Il sistema degli scavi delle opere fondali degli edifici non interessa l’alveo del principale immissario dello stagno e non intralcerà il deflusso delle acque superficiali delle aste, ma solo localmente le acque ruscellanti arealmente.

5.2.13Gli effetti sul sistema idrografico in fase di esercizio In fase di esercizio, le interferenze con il sistema idrografico saranno nulle. Le aree messe a nudo in fase di costruzione e non fisicamente occupate da manufatti o dalle opere viarie saranno a questo punto restituite paesaggisticamente e protette o dal manufatto o da una coltre erbacea che verrà ricostituita lungo le scarpe del nuovo tracciato viario Il settore di progetto non sottrae una superficie infiltrante significativa ed in ogni caso non produce nessuna riduzione significativa delle aree di infiltrazione delle acque meteoriche che verranno recapitate al suolo al piede stesso degli edifici.

5.2.14Gli effetti sul sistema idrogeologico in fase di costruzione Il sistema idrogeologico non subisce influssi negativi dal progetto nella forma proposta. Temporaneamente saranno disponibili al trasporto superficiale materiali prodotti dallo scavo e dal transito dei mezzi. L’intervento, in fase di costruzione, attiva una significativa mobilizzazione di materali fini che vengono trasportati dalle acque superficiali verso i sedimi stradali e i sedimi fondali degli edifici che andranno intercettati al fine di non interferire con le acque afferenti lo stagno.

5.2.15Gli effetti sul sistema idrogeologico in fase di esercizio Il sistema in fase di esercizio non interagisce sulle falde, sulla quantità e qualità delle acque sotterranee. Il sistema delle opere fondali, posto a breve profondità, non costituisce impedimento al deflusso subsuperficiale e altresì, non costituisce ostacolo al deflusso sotterraneo. Le sollecitazioni meccaniche operate dall’intervento non sono tali da modificare le caratteristiche di complessiva permeabilità dei sedimi e quindi della capacità infiltrante.

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Come detto per le interferenze con il sistema idrografico, l’intervento non produce una riduzione significativa delle aree di infiltrazione delle acque meteoriche. Le opere previste non hanno, in fase di esercizio, alcuna interferenza, positiva o negativa con le caratteristiche di inondabilità delle aree a valle o a monte dell’intervento, per motivi topografici e dimensionali.

5.2.16Gli effetti sul sistema morfologico in fase di costruzione Il sistema delle forme e dei processi agenti sui versanti e sui corsi d’acqua presenti nell’area è interessato solo marginalmente dall’intervento. In fase di costruzione non si avranno ripercussioni degne di nota. In particolare non sono rilevate possibili alterazioni dell’equilibrio del versante.

5.2.17Gli effetti sul sistema morfologico in fase di esercizio Il sistema in fase di esercizio avrà interferenze pressochè nulle con il sistema morfologico. I maggiori effetti saranno costituiti dalla riduzione dell’erosione areale nell’area dell’intervento.

5.2.18Gli effetti sul sistema pedologico in fase di costruzione Il sistema pedologico verrà interessato in fase di costruzione dalla occupazione temporanea (generalmente di alcuni giorni) delle superfici costituenti l’area operativa delle macchine per la costruzione dei singoli edifici e in particolare per la preparazione dei sedimi. I suoli asportati in fase di apertura degli scavi per l’apertura della fondazione verranno utilizzati per la ricopertura delle rimodellazioni ed il ripristino del nuovo piano campagna a ridosso degli edifici e nelle aree verdi.

5.2.19Gli effetti sul sistema pedologico in fase di esercizio Verranno sottratte stabilmente alla vegetazione spontanea le superfici costituite dai nuovi sedimi stradali e dagli edifici. Tali superfici sono organiche all’attuale sistema naturale, legato alla rinaturazione di aree un tempo interezzate dal pascolo, le cui caratteristiche pedo-agronomiche sono scarse e quindi la loro sottrazione al ciclo produttivo non costituisce una significativa sottrazione della risorsa.

5.2.20Impatto sul patrimonio naturale e storico La sensibilità ambientale del luogo è stata ampiamente descritta nella parte dedicata allo studio delle componenti naturali: non esistono nell’area emergenze di carattere storico, artistico, archeologico o culturale. Nel rispetto delle valenze naturalistiche e del paesaggio, il progetto in esame concepisce il complesso come sistema organizzato di fabbricati ed infrastrutture in equilibrio con l’ambiente.

5.2.21Il pericolo di innesco e propagazione degli incendi in fase di cantiere e di esercizio Il pericolo di innesco di incendi è da ritenersi elevato, anche perché la propagazione è facilitato dalle caratteristiche della copertura vegetale e dalle condizioni climatiche. Le misure protettive messe in atto in fase di cantiere riducono la possibilità di propagazione, ma in fase di cantiere incrementano la possibilità di innesco. Sarà quindi cura del proponente, sia in fase di cantiere che di esercizio, costituire dei presidi idonei al controllo dell’innesco e della propagazione.

5.2.22Note Non è previsto che ci siano utilizzi di acque naturali, di superficie o sotterranee. Non è prevista una alterazione del bilancio idrologico e idrogeologico dell’area.

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SOLIANA s.r.l. - Roma - Comune di San Teodoro - Provincia Olbia – Tempio INS. TUR. ALB. - LOTT. “ISULEDDA” IN REGIONE COSTA CADDU ZONA F SUB-COMPARTO “A1” RICETTIVO VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (D.G.R.24/23 23/04/2008) Non è prevista, in fase di esercizio, una alterazione del ruscellamento e del tempo di corrivazione. Non è prevista la modificazione della morfologia del sito. Non sono previste modificazioni che introducano possibili alterazioni degli equilibri del versante. Non sono previste interferenze con il reticolo idrografico superficiale.

5.3Misure compensative L’attività di studio e monitoraggio ci ha permesso di definire gli aspetti principali e le dinamiche ambientali delle aree protette con particolare attenzione al territorio in cui ricade il progetto. Tutte queste aree ricoprono nel complesso un alto livello di interesse ambientale sia per la presenza dello stagno sia per gli habitat e delle specie animali e vegetali che in esso ricadono. Abbiamo visto che la componente faunistica del territorio sia di notevole importanza e complessità ma che, in relazione al progetto, non ci siano elementi tali da far pensare a conseguenze negative o disturbi diretti o indiretti al loro ciclo biologico o al biotopo in cui gravitano e al quale sono legati. Anche l’analisi della copertura del suolo o vegetazione non ha messo in evidenza particolari difficoltà nell’assimilare le nuove strutture del villaggio. Considerando tutti gli aspetti appena esposti e le caratteristiche progettuali dell’intervento riteniamo che le misure di mitigazione e compensative riguardano i seguenti punti:

1. Realizzare aree di accumulo di inerti in luoghi idonei e per il tempo strettamente necessario all’esecuzione dei lavori.

2. Evitare di ammassare il materiale edile o di rifinitura come vernici, cemento, collanti, resine ecc.. in punti tali da essere soggetti a pericoli di dispersione nell’ambiente circostante.

3. Al termine dei lavori effettuare la pulizia accurata e lo sgombero del materiale di risulta e di scarto evitando la dispersione dei residui delle lavorazioni (calcestruzzo, contenitori per vernici, ferri per armature, cavi elettrici e non ecc.) o degli imballaggi (plastica, pallet ecc.).

4. Nella fase di pulizia dalla vegetazione e degli scavi per la realizzazione delle fondamenta assicurarsi che non vi sia la presenza di esemplari delle specie di tartarughe precedentemente citate, nel caso fossero rinvenute contattare il Corpo Forestale.

5. Realizzare una recinzione lungo il perimetro dell’insediamento; la rete dovrà essere a maglie larghe e posizionata ad un’altezza di 20 cm da terra.

6. Durante la fase di cantiere, al fine di evitare il più possibile il deflusso di acque cariche di sedimenti, realizzare un vascone o depuratore nel quale far confluire le acque di cantiere.

7. Realizzare nella fascia perimetrale una interconnessione verde a macchia che consenta alla piccola fauna l’aggiramento dell’area.

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Settore geologico-idrogeologico I tecnici incaricati: Geol. Fausto A. Pani

Geol. Roberta M. Sanna

Settore floristico - vegetazionale Il tecnico incaricato: Dott. Nat. Francesco Lecis

Collaboratore: Dott. Nat. Maria Assunta Frau

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