Scienza E Società: Un Chimico Dentro E Fuori Dal Laboratorio

Scienza E Società: Un Chimico Dentro E Fuori Dal Laboratorio

Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL Memorie di Scienze Fisiche e Naturali ISBN 987-88-548-5146-7 DOI 10.4399/97888548514674 pag. 33–57 Scienza e società: un chimico dentro e fuori dal laboratorio Science and society: a chemist inside and outside the laboratory Vincenzo Balzani 1. Summary The author tells the story of his scientific life with emphasis on his attempts to bring society’s problems into his educational and scientific activity. We are no longer in the old days when science could be done just for fun and scientists could live in an ivory tower. Responsible scientists, while creating with the greatest moral care new science and technology, must also play a role as authoritative teachers of young generations and as concerned citizens of the planet Earth. They are morally obliged to express openly their opinions and convictions in an attempt to change what is wrong in the social and political organization of their nations and of the entire world. 2. Riassunto Chi ha avuto il privilegio di studiare e conoscere non può rimanere chiuso nella torre delle sue ricerche, ma ha il dovere di impegnarsi per contribuire a risolvere i problemi che aZiggono la società. L’autore racconta la storia della sua vita scientifica con particolare riferimento ai suoi graduali tentativi di portare i problemi della società all’inter- no della didattica universitaria, dei congressi scientifici nazionali ed internazionali e della stessa ricerca scientifica. È una storia ricca di incontri con studenti, colleghi e scienziati di varie nazioni, di lavori scientifici, di rapporti con enti nazionali ed internazionali. È la storia 33 34 Vincenzo Balzani di una serie di eventi aVrontati spesso con timore, ma che, alla fine, si sono sempre rivelati molto gratificanti. 3. Introduzione Gli organizzatori del xiv Congresso di Storia e Fondamenti della Chimica mi chiesero di fare un intervento centrato sulla Storia e non sulla Chimica; più precisamente, di parlare della mia storia. La vita di ciascuno di noi è sempre l’intreccio di almeno due storie: quella della famiglia e quella del lavoro. Al Congresso non era certo il caso di parlare della storia familiare, che pure ha giocato un ruolo importantissimo nella mia vita scientifica. Ho pensato anche che ai colleghi del GNFSC non sarebbe interessato neppure un racconto della mia lunga attività scientifica, cioè di quello che ho fatto “dentro” il laboratorio. Su suggerimento dell’amico e collega Marco Taddia ho deciso allora di parlare di una terza storia: quella dei faticosi, ma alla fine sempre gratificanti, tentativi di “uscire” dal laboratorio per “entrare” nei problemi della società in cui viviamo. Ed eccomi qui a scrivere, con un certo imbarazzo e molto timore, il resoconto di quello che ho detto. La ricerca scientifica richiede un impegno molto forte. Se uno scienziato vuole operare a livello internazionale, deve avere basi ben salde e scegliere un’area nella quale specializzarsi in modo approfondito. La scienza, poi, è così bella che spesso strega chi di lei si innamora e lo avvolge fino a racchiuderlo in una torre che, anche se non è sempre d’avorio, è il luogo dove lo scienziato finisce per trovarsi più a suo agio. Spesso la torre della ricerca è molto ampia (studenti, collaboratori, contatti internazionali. ) e anche confortevole (inviti, successi, gratificazioni. ), per cui lo scienziato non ne esce volentieri, se non per entrare in un’altra torre, quella della famiglia, allargata ad una piccola cerchia di amici. Lo scienziato non ha tempo per fare altro. Questo è accaduto anche a me quando ho iniziato la mia carriera all’università. Man mano che passavano gli anni di full immersion nella ricerca scientifica mi sono accorto, però, che poiché il mondo cambiava, era necessario che cambiasse anche il mio ruolo di scienziato. Per dare ordine alla storia che mi ha portato ad interessarmi sempre più di Scienza e società: un chimico dentro e fuori dal laboratorio 35 quello che accade “fuori” dal laboratorio, senza però trascurare quello che accade “dentro”, seguirò a grandi linee un criterio cronologico. 4. Liceo, università e prime esperienze come ricercatore Sono venuto a contatto con la scienza negli anni 50–60 del secolo scor- so. Era il periodo del “miracolo economico”. Le strade si riempivano di automobili, c’era in giro un grande ottimismo e una forte fiducia nella scienza. L’Italia poteva vantare l’opera di due premi Nobel, Enri- co Fermi e Giulio Natta, che hanno dato un contributo fondamentale al progresso nei campi dell’energia e dei materiali. In quegli anni, il ricordo delle due bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki era stato ormai rimosso e si credeva fermamente che, una volta esauriti i combustibili fossili, la soluzione definitiva del problema energetico sarebbe venuta dall’energia nucleare. L’entusiasmo era tale che un noto scienziato, John von Neumann, nel 1956 azzardò una previsione che oggi viene ricordata con un sorriso di compatimento [21]: “Entro pochi anni l’energia sarà disponibile gratuitamente, come l’aria”. Il clima culturale di quegli anni è ben rispecchiato nella Enciclope- dia della Civiltà Atomica [16] che anch’io avevo. Eccone alcune frasi significative: «Le tecniche cominciano a rasentare il prodigio e ad attestare che la storia costruita dall’uomo sta per sostituirsi definitiva- mente alla fatalità»; «L’uomo oggi insedia, nei cieli, astri usciti dalle sue mani. Disertando il suo pianeta esplorato per intero, si lancerà in razzo negli spazi cosmici». È in questo clima che ho vissuto gli anni del liceo, dell’università e delle mie prime esperienze nel mondo della ricerca. Al Liceo scientifico di Forlì, che ho frequentato nel periodo 1950– 1955, ero in classe con Carla, la ragazza che sarebbe diventata mia moglie. Abbiamo avuto professori di buon livello e al quarto anno il professore di scienze, Francesco Fiorentini, ha fatto sorgere in me una forte la passione per la chimica, per cui non ebbi esitazioni quando si trattò di scegliere il corso di laurea all’università. Nell’autunno del 1955 incominciai a frequentare l’Istituto di Chimica Giacomo Ciami- cian dell’Università di Bologna, senza sapere chi fosse Ciamician e, 36 Vincenzo Balzani naturalmente, senza immaginare che in quell’istituto avrei trascorso gran parte della mia vita. Alla fine del primo anno, un amico che stava facendo la tesi di lau- rea nello stesso istituto mi fece conoscere il suo relatore, il professor Vittorio Carassiti, che mi chiese se volevo entrare nel suo laboratorio come “studente interno”. Accettai di buon grado e incominciai ad aVacciarmi sul mondo della ricerca soprattutto ascoltando le molte discussioni che Carassiti ed i suoi colleghi facevano in mia presenza. Arrivato al iv anno del corso, Carassiti, che da tempo studiava la reat- tività dei composti di coordinazione, mi propose di fare la tesi sulle reazioni fotochimiche di alcuni complessi di molibdeno e tungsteno, problema in cui si era trovato coinvolto per puro caso ([18]. La foto- chimica oggi, è una branca importante della scienza; non così allora anche se, come imparai in seguito, proprio Giacomo Ciamician era stato uno dei suoi padri. La fotochimica dei composti di coordinazione, poi, era un campo assolutamente vergine. Quella che noi iniziammo era, non poteva che essere, una ricerca senza grandi visioni e senza pretese di applicazioni, anche perché non avevamo a disposizione apparecchiature adatte ma, nonostante tutto, la ricerca incominciava ad appassionarmi. Dopo la laurea (1960) rimasi all’Istituto Ciamician con una misera borsa di studio, ma già l’anno seguente ebbi un incarico di insegna- mento ed incominciai così ad assaporare anche la bellezza dell’insegna- re. Carla intanto, laureata in Scienze naturali, era diventata assistente all’istituto di Mineralogia. Dopo qualche anno Carassiti si trasferì a Catania, dove aveva vinto una cattedra. Pur continuando a collaborare con lui, mi ritrovai a capo di un piccolo gruppo di ricerca formato da giovani molto validi (per dettagli sull’attività di ricerca, i nomi dei collaboratori e le collabo- razioni internazionali, si veda il capitolo “Il profeta del solare” nella ref. 18). In pochi anni incominciammo a pubblicare le nostre ricerche sulla fotochimica di diverse famiglie di composti di coordinazione su riviste internazionali, poi giunsero inviti per partecipare a congressi all’estero e la casa editrice Academic Press di Londra ci chiese di scrive- re una monografia sulla fotochimica dei composti di coordinazione, che ormai era un settore emergente. Così nel 1970 Carassiti ed io pubblicammo Photochemistry of Coordination Compounds [6], un libro di grande successo tanto che in una recensione su una rivista tedesca Scienza e società: un chimico dentro e fuori dal laboratorio 37 fu definito «la bibbia della fotochimica inorganica» [22]. Intanto nel 1961 Carla ed io ci eravamo sposati e nel 1969 nacque il quarto dei nostri figli. Fino al 1973 posso dire di aver passato tutto il mio tempo nelle due torri della ricerca e della famiglia e neppure i movimenti del Sessantotto riuscirono a creare brecce consistenti in quelle due mie torri. 5. Gli anni della svolta Dopo la guerra arabo–israeliana del 1973, l’OPEC pose un embargo sulle vendite di petrolio ai paesi che avevano appoggiato Israele. I prezzi del petrolio in pochi giorni quadruplicarono. In Italia iniziò il periodo delle “domeniche a piedi” e della “televisione spenta dopo le 23”. Un duro colpo per chi ormai si era abituato all’idea che fosse un diritto disporre di energia abbondante e a basso prezzo. In quell’anno fui invitato a presentare una comunicazione alla vii International Conference on Photochemistry che si teneva a Geru- salemme. Riuscimmo a sistemare i bambini dai nonni e Carla venne con me. Dopo la conferenza visitammo con grande emozione i luoghi santi della cristianità, perché Carla ed io siamo “credenti” (ogni volta che aVermo questo, subito dentro di me dico: «Signore, aiutami nella mia incredulità», Marco 9, 24).

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