www.scritturacreativa.org STEPHEN KING TUTTO È FATIDICO (Everything's Eventual, 2002) I racconti contenuti in questo libro sono già stati pubblicati, alcuni in forma diversa: «Autopsy Room Four» inPsychos a cura di Robert Bloch; «The Man in the Black Suit» suThe New Yorker e su Year's Best Fantasy & Horror 1995; «All That You Love Will Be Carried Away» e «The Death of Jack Hamilton» suThe New Yorker, «In the Deathroom» inBlood and Smoke (audio book); «The Little Sisters of Eluria» inLegends; «Everything's Eventual» suFantasy & Science Fiction e inFI3 (CD-ROM); «L.T.'s Theory of Pets» suThe Best of the Best 1998; «The Road Virus Heads North» in 999; «Lunch at the Gotham Café» inDark Love, inYears's Best Fantasy and Horror 1996 e in Blood and Smoke (audio book); «That Feeling, You Can Only Say What It Is in French» suThe New Yorker, «1408» inBlood and Smoke (audio book); «Riding the Bullet» usci-to come e-book per la Scribner e «Luckey Quarter» suUSA Weekend. Questo libro èdedicato a Shane Leonard Indice «Ho preso da un mazzo tutte le carte di picche e un Jolly. Le picche, dall'asso al Re, equivalevano ai numeri dall'uno al tredici. Il Jolly al quattordici. Le ho mischiate e le ho disposte sul tavolo. L'ordine in cui sono uscite è diventato quello dei racconti, numera-ti in base all'elenco che mi aveva mandato la casa editrìce. Ne è ri-sultato un equilibrio davvero efficace tra i racconti più ricercati e quelli a effetto. Ho anche aggiunto un breve commento prima o dopo ogni racconto, a seconda della posizione che mi sembrava più adatta. La prossima raccolta la comporrò in base ai tarocchi.» Introduzione - Praticare un'arte (quasi) perduta Autopsia 4 L'uomo vestito di nero Tutto ciò che ami ti sarà portato via La morte di Jack Hamilton La camera della morte Le Piccole Sorelle di Eluria Tutto è fatidico La teoria degli animali di L.T. Il Virus della Strada va a nord Pranzo al «Gotham Café» Quella sensazione che puoi dire soltanto in francese 1408 Riding the Bullet - Passaggio per il nulla La moneta portafortuna Introduzione Praticare un'arte (quasi) perduta Ho scritto più volte del piacere di scrivere e, dopo tanti anni, non vedo il motivo di proporvi una minestra riscaldata, ma ho una confessione da farvi: mi interesso anche all'aspetto com-merciale del mio lavoro, con quell'entusiasmo un po' esagera-to tipico dei dilettanti. Mi piace giocarci, tentare una sorta di impollinazione incrociata tra i media, andare oltre i limiti. Ho provato a scrivere romanzi- sceneggiature (La tempesta del se-colo,la miniserie TVRose Red ), romanzi a puntate (Il Miglio Verde) e romanzi a puntate su Internet (The Plant). Non l'ho mai fatto per guadagnare di più e nemmeno con la precisa in-tenzione di creare nuovi mercati: ho sempre cercato di vede-re sotto prospettive diverse la pratica, l'arte e la tecnica della scrittura, rinnovandone il processo e rendendo così i risultati - le storie, in altre parole - il più possibile originali. Nella riga sopra avevo iniziato a scrivere: «... rendendo co-sì [le storie] sempre nuove», ma poi ho cancellato la frase per onestà. Suvvia, andiamo, signore e signori, chi posso prende-re in giro dopo tanti anni, se non forse me stesso? Ho venduto il mio primo racconto a ventun anni, prima ancora di finire il college. Adesso ne ho cinquantaquattro e ormai ho macinato una bella quantità di parole grazie al computer/word proces-sor da un chilo e qualcosa su cui appoggio il berretto dei Red Sox. È da molto tempo che per me la pratica della scrittura non è più una novità, ma non per questo ha perso il suo fascino. Eppure, se non trovassi il modo di renderla sempre fresca e interessante, diventerebbe stanca e ammuffita in un attimo. Non voglio che succeda, perché non voglio ingannare chi leg-ge quello che scrivo (e cioè te, caro Fedele Lettore), e nem-meno me stesso. Dopotutto qui siamo in due. Abbiamo un ap-puntamento. Dovremmo divertirci. Dovremmo ballare. Tenendo a mente tutto questo, ecco un'altra storia. Allora, io e mia moglie abbiamo due stazioni radio: WZON-AM, un canale sportivo, e WKIT-FM, che propone rock classico («il rock di Bangor», diciamo noi). Quello radiofonico è un setto-re difficile di questi tempi, soprattutto in un mercato come Bangor, dove ci sono troppe stazioni e non abbastanza ascol-tatori. Si possono ascoltare il country contemporaneo, il country classico, i grandi successi del passato, i programmi di grossi personaggi. Le stazioni di Steve e Tabby King erano in rosso ormai da anni: non di molto, ma quanto bastava per in-fastidirmi. A me piace vincere, capite, e anche se avevamo successo negli ARB (gli indici d'ascolto Arbitron), alla fine dell'anno i conti non quadravano mai. Mi avevano spiegato che le entrate pubblicitarie sul mercato di Bangor erano insuf-ficienti, che la torta era stata divisa in troppe fette. Così mi è venuta un'idea. Ho pensato di scrivere uno sce-neggiato radiofonico, come quelli che ascoltavo con mio non-no a Durham, nel Maine, mentre io crescevo (e lui invecchia-va). Uno sceneggiato per Halloween, buon Dio! Ovviamente conoscevoLa guerra dei mondi, la famosa, o famigerata, tra-smissione proposta per Halloween da Orson Welles nel suo programmaThe Mercury Theatre. Con grande presunzione (una presunzione davvero geniale), Welles aveva trasformato il classico racconto di un'invasione scritto da H.G. Wells in una serie di notiziari e servizi radiofonici. E aveva funzionato. Aveva funzionato così bene da scatenare il panico in tutta l'A-merica e da costringere Welles (Orson, non H.G.) a scusarsi pubblicamente durante la puntata successiva. (Scommetto che l'aveva fatto con il sorriso sulle labbra... Io di certo avrei sor-riso, se fossi riuscito a creare una menzogna così forte e con-vincente.) Credevo che quello che aveva funzionato per Orson Welles avrebbe funzionato anche per me. Invece di iniziare con musi-ca da ballo, come lo sceneggiato di Welles, il mio sarebbe in- cominciato con Ted Nugent che miagolavaCat Scratch Fever. Poi si inserisce un annunciatore, uno dei nostri «artisti dell'e-tere» (nessuno li chiama più deejay). «Vi parla J.J. West, per il notiziario di WKIT», dice. «Sono nel centro di Bangor, do-ve un migliaio di persone affollano Pickering Square con gli occhi fissi su un oggetto volante, un grande disco argenteo di-retto verso terra... Un momento, se sollevo il microfono forse riuscite a sentirlo.» E da lì sarebbe nato tutto il resto. Potevamo usare le nostre apparecchiature per creare gli effetti sonori, scritturare attori dilettanti della zona per interpretare i vari ruoli, e sapete qual era la cosa più bella? La cosa più bella di tutte? Potevamo re-gistrare lo sceneggiato e venderlo alle stazioni di tutti gli Stati Uniti! I proventi, riflettevo (e il mio commercialista era d'ac-cordo), sarebbero rientrati nella categoria «utile della stazione radiofonica» invece che «utile da diritti d'autore». Era un mo-do per compensare la mancanza di introiti pubblicitari, e forse alla fine dell'anno le due stazioni avrebbero chiuso in attivo! L'idea dello sceneggiato radiofonico mi entusiasmava, co-me pure la prospettiva di contribuire a risollevare le finanze delle mie stazioni prestando la mia abilità di scrittore alla ra-dio. E poi cos'è successo? Non ci sono riuscito, ecco che co-sa. Ho provato e riprovato, ma tutto quello che scrivevo alla fine somigliava a una narrazione. Non a uno sceneggiato, a una di quelle storie che si svolgono a poco a poco nella mente (chi ha l'età per ricordare certi programmi radiofonici come Suspense eGunsmoke capirà cosa intendo), ma a qualcosa di simile a un libro su cassetta. Sono sicuro che avremmo comunque potuto vendere lo sceneggiato ad altre stazioni, rica-vandoci qualche soldo, ma sapevo che non avrebbe avuto successo. Era noioso. Gli ascoltatori si sarebbero sentiti im-brogliati. Aveva qualcosa che non andava, e non sapevo come rimediare. Scrivere sceneggiati radiofonici, secondo me, è un'arte perduta. Abbiamo perso la capacità di vedere con l'u-dito, anche se un tempo ce l'avevamo. Una volta, ricordo, mi bastava sentire un rumorista picchiettare con le nocche su un pezzo di legno cavo per vedere Matt Dillon avvicinarsi al bancone del Long Branch Saloon con indosso i suoi stivali polverosi, chiaro come il sole. Ora non più. Quei tempi sono passati. Scrivere opere teatrali in stile shakespeariano - commedie e tragedie in versi sciolti - è un'altra arte perduta. La gente va ancora a teatro per assistere alle rappresentazioni universitarie diAmleto eRe Lear, ma diciamoci la verità: quanto successo credete che avrebbero in tivù queste tragedie contro un quiz o un programma comeSurvivor, anche se Amleto fosse inter-pretato da Brad Pitt e Polonio da Jack Nicholson? E per quan-to ci sia ancora chi va a vedere monumenti del teatro elisabettiano comeRe Lear oMacbeth, l'apprezzamento di una forma d'arte dista anni luce dalla capacità di creare un nuovo esempio di quella forma d'arte. Di tanto in tanto c'è chi cerca di produrre uno spettacolo in versi sciolti, a Broadway oppure off-Broadway. Finisce inevitabilmente per fallire. La poesia invece non è un'arte perduta. La poesia gode di ottima salute. Certo, c'è sempre il solito branco di idioti (co-me amavano definirsi gli autori della rivistaMad ) che si na-sconde nella massa, gente che confonde la pretenziosità con il genio, ma ci sono anche molti che esercitano quest'arte in maniera brillante. Se non mi credete, date un'occhiata alle ri-viste letterarie nella libreria più vicina.
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