Tomo Ii Corretto

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«GIÀ TROPPE VOLTE ESULI» LETTERATURA DI FRONTIERA E DI ESILIO a cura di Novella di Nunzio e Francesco Ragni Tomo II Università degli studi di Perugia Culture Territori Linguaggi – 3 2014 «GIÀ TROPPE VOLTE ESULI» LETTERATURA DI FRONTIERA E DI ESILIO a cura di Novella di Nunzio e Francesco Ragni Tomo II Università degli Studi di Perugia Indice del tomo II TESTIMONIANZE D’AUTORE DIEGO ZANDEL La mia frontiera…………………………………………………………………...p. 7 IN FUGA DA… ESILIO VOLONTARIO ELISABETH KERTESZ-VIAL Luigi Pirandello dal 1929 al 1935: un improbabile esiliato volontario…...….p. 15 ILARIA DE SETA Autoesilio americano e World Republic nei diari inediti di Giuseppe Antonio Borgese……………………………………………………………………..……..p. 23 ANDREA PAGANINI La letteratura italiana in Svizzera durante la seconda guerra mondia- le………………………………………………………………………...................p. 39 CRISTINA TERRILE Il «dispatrio» di Luigi Meneghello: la polarità come fondamento di poeti- ca……………………………………………………………...……………….…..p. 53 ERRANTI NOVELLA DI NUNZIO La funzione letteraria dell’ebreo errante e l’ebraismo come dispositivo narra- tivo e critico………………………………………………………...…………….p. 65 VALENTINA SARDELLI «La vera patria è la lingua». Gli intellettuali ebreo-tedeschi da minoranza pra- ghese a comunità esule…………….……………………………………………p. 89 MARTA MĘDRZAK-CONWAY New York Exiles, Triestine Exiles: Affinities Between American-Jewish and Svevian Protagonists.……………………………….……………….……….….p. 97 FORME DI ESILIO, MIGRAZIONE, FRONTIERA: TEATRO PAOLO PUPPA La grazia/disgrazia di essere straniero a teatro……………………………...p. 107 MARTINA DAMIANI – FABRIZIO FIORETTI L’esilio degli intellettuali italiani dai territori asburgici: il percorso di Nanni Mocenigo……………………………………………………………………...…p. 123 ANNE-MARIE LIEVENS L’arcangelo dall’ala spezzata: l’esilio di Alberti in Noche de guerra en el Museo del Prado ……………………………………………………………………….….p. 131 MARIA ESTER BADIN Migrazione e teatro……………………………………………………………..p. 139 «IL SOGNO DI UNA COSA» BOŠKO KNEŽIĆ L’eterno esule dalmata sugli esempi di Tommaseo e Bettiza…………..….p. 149 CHIARA MARASCO Alla periferia del mondo: il vicino e l’altrove. Le cicatrici della memoria nella letteratura triestina……………………………………………………………..p. 159 MASSIMILIANO TORTORA L’«esiliato» e la «patria» sognata in Mediterraneo di Eugenio Montale…....p. 169 ELIS DEGHENGHI OLUJIĆ La terra e le origini ritrovate: il ritorno in Istria, spazio fisico e interiore, di Anna Maria Mori……………………………………………….……………….p. 177 TIZIANO TORACCA L’ambiguità del Terzo Mondo: il rimpianto drammatico di Pasolini……..p. 193 COLONIE, IDENTITÀ, IDIOMI ELEONORA RAVIZZA Percorsi alla ricerca del sé e dell’altro nella letteratura d’esilio anglo- caraibica……………………………………………………………………...….p. 209 CRISTIANO RAGNI «La prole dello schiavo di Crusoe». L’indentità “liquida” nelle Antille di Derek Walcott…………………………………………………………………...p. 221 LUCA FAZZINI Esperienze marginali: la Luuanda di Luandino Vieira…………………....…p. 233 LORENZO MARI Un riconoscimento mancato. L’esperienza italiana (1976-1979) di Nuruddin Farah…………………………………………………………………….……..…p. 241 JELENA REINHARDT Dalla periferia al centro: la figura del taglio in Elias Canetti e Herta Müller………………………………………………………………….………...p. 255 ROSINA MARTUCCI Mary Melfi e Giose Rimanelli: fra testi letterari di frontiera ed esilio ed esigen- ze linguistico-espressive…………………………..………………….………..p. 265 FORME DI ESILIO, MIGRAZIONE, FRONTIERA: PROSA II MICHELANGELA DI GIACOMO Foggia-Torino solo andata. Codificazione dell’identità migratoria nelle memo- rie di due protagonisti…………………………………………...………….….p. 273 ALESSANDRA LOCATELLI Fulvio Tomizza, tra esodo ed esilio…………...………………...……….…...p. 289 KATERINA DALMATIN Le metafore dell’identità dalmata e spalatina in Esilio di Enzo Bettiza...p. 299 VALENTINO BALDI Esilio e frontiera nella narrativa di Cormac McCarthy………………….…..p. 311 CONCLUSIONI (PROVVISORIE) CLAUDIO FRANCESCAGLIA Aldo Capitini: la «compresenza» come liberazione e superamento del limite……………………………………………………………………….….....p. 321 INDICE DEGLI AUTORI E ABSTRACT. ……………….……..………...…p. 327 TESTIMONIANZE D’AUTORE Diego Zandel LA MIA FRONTIERA 1. Nascere e crescere in un campo profughi Sono nato nel 1948 in un campo di concentramento, adibito a centro di raccolta profughi, a Servigliano, in provincia di Fermo, da genitori esuli da Fiume. Di quel campo non ho ricordi, solo i racconti che mi hanno fatto i miei genitori: baracche in cui vivevano più famiglie separate da teli che in pratica precludevano ogni intimità. Tanto più che i nuclei erano compositi: il mio ad esempio era composto dai miei genitori, la nonna paterna e io. C’erano poi la mensa e le latrine in comune, per le quali bisognava uscire. Fu in quel campo che mia madre si ammalò di tisi, costretta poi a un lungo ricovero in sanato- rio. Da lì poi fummo trasferiti in un altro campo profughi, al cosiddetto Vil- laggio Giuliano-Dalmata di Roma, costituito dai dormitori degli operai che costruivano l’E.42, l’Esposizione Universale Romana, interrotta a causa della guerra. Qui sono praticamente cresciuto, ed è stata un’esperienza determinante per la mia formazione di uomo e di scrittore. Per dieci anni, prima che i dormitori fossero abbattuti e sostituiti con case popolari, eravamo sistemati in dei padiglioni, in ciascuno dei quali vive- vano undici nuclei familiari. C’era un corridoio lunghissimo sul quale si affac- ciavano le porte dei nostri alloggi, composti da una o due camere, cucina, ga- binetto e un lavandino che serviva a tutto, per cucinare, lavare i piatti, la roba, farsi la barba. Si usciva dalla cucina e ci si trovava nel corridoio comune. Io, figlio unico, non ho mai sofferto la solitudine. Vivevamo in una sorta di autismo etnico, linguistico e culturale, perché il Villaggio era isolato dal resto della città, dalla quale all’epoca ci separavano chilometri. Gli insediamenti più vicini erano le caserme militari della Cecchi- gnola e, quindi, la borgata della Montagnola, nei pressi della Basilica di San Paolo. Al Villaggio, che era controllato da una guardiania, c’era una scuola elementare, i cui maestri erano per la gran parte profughi. È pertanto chiaro che anche l’insegnamento aveva come punto di riferimento la nostra storia e la nostra condizione di esuli. Tra noi parlavamo il dialetto giuliano, e comun- que i maestri, pur parlando in lingua, non potevano sottrarsi all’accento tipico del nostro dialetto. Eravamo una repubblica a parte. E, come al campo profu- ghi di Servigliano il confine tra noi e chi ne viveva fuori era determinato dal 7 muro che ci separava, così al Villaggio di Roma il confine era rappresentato dal posto di guardiania, al di là del quale scorreva la via Laurentina, la terra degli altri. Ecco, qui ho vissuto sulla mia pelle la frontiera, culturale e linguistica, che separava la comunità di esuli nella quale vivevo dall’ambiente esterno, che si trovava al di là del muro di cinta dei campi e della loro porta d’ingresso. In questo senso, credo di essere forse l’unico scrittore che, nato e vissu- to lontano dalla frontiera propriamente detta, possa fregiarsi del titolo di scrit- tore di frontiera. Lasciatemi a riguardo citare Cristina Benussi, che scrive: intanto è bene che la memoria venga mantenuta viva, anche da parte di chi non può ricordare l’esodo, perché appartiene alla se- conda generazione, quella nata nei campi profughi. È il caso di Die- go Zandel, che fin dalle sue prime prove poetiche non poteva non partire dai ricordi tramandati dalla nonna. Tanto è forte il legame con la patria avita, Fiume, da obbligarlo, anche dentro un romanzo d’intreccio come Massacro per un presidente , a cercare qualcosa che potesse ricondurlo alle radici della propria identità. Una identità che non può non portarsi dietro la frontiera. Sostanzialmente, direi che la frontiera è una condizione di vita. E per spiegarlo vorrei proseguire con un’ampia citazione tratta da libro Trieste, un’identità di frontiera di Angelo Ara e Claudio Magris, che mi sembra molto pertinente: la frontiera è una striscia che divide e collega, un taglio aspro come una ferita che stenta a rimarginarsi, una zona di nessuno, un territorio misto, i cui abitanti sentono spesso di non appartenere ve- ramente ad alcuna patria ben definita o almeno di non appartenerle con quella ovvia certezza con la quale ci si identifica, di solito, con il proprio paese. Il figlio di una terra di confine sente talora incerta la propria na- zionalità oppure la vive con una passione che i suoi connazionali stentano a capire, sicché egli, deluso nel suo amore che non gli sembra mai abbastanza corrisposto, finisce per considerarsi il vero e legittimo rappresentante della sua nazione, più di coloro per i quali essa è un dato pacificamente acquisito. Ma la frontiera, la quale se- para e spesso rende nemiche le genti che si mescolano e si scontra- no sulla sua linea invisibile, anche unisce quelle stesse genti, che si riconoscono talora affini e vicine proprio in quel loro comune de- stino – che le grandi madrepatrie non riescono a capire – in quel lo- ro sentimento segreto d’inappartenenza, in quell’indefinibilità della loro identità. Perciò dai luoghi di frontiera – non solo nazionale o 8 linguistica, ma anche etnica, sociale, religiosa, culturale – è spesso nata una notevole ed incisiva letteratura, espressione di quella crisi e di quella ricerca dell’identità che segnano oggi il destino di ognu- no e non certo soltanto di chi nasce o vive nelle terre di confine. Su questa verità esistenziale è nata e, fino a un certo punto, è cresciuta la mia ispirazione, che si è espressa prima con due sillogi di

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