L'arte Di Garofalo

L'arte Di Garofalo

L’arte di Garofalo: dalla mostra alla città Benvenuto Tisi arricchì con suoi quadri e affreschi numerose chiese e palazzi nobiliari di Ferrara, nonché alcune residenze della corte estense che ancor oggi custodiscono importanti testimonianze dell’artista. La prima mostra monografica dedicata al Garofalo, allestita presso il Castello Estense, trova dunque una sua ideale estensione anche in città, dove oltre all’importante nucleo di opere conservato nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara e ai dipinti ancor oggi custodi in Cattedrale, i visitatori, tra le testimonianze ancora in loco, possono scoprire autentici capolavori del maestro: dagli splendidi affreschi dell’Aula del Tesoro di Palazzo Costabili detto di Ludovico il Moro, ora sede del Museo Nazionale Archeologico di Ferrara, a quelli delle Sale del Palazzo del Seminario Vecchio. Entrambi i cicli, che mostrano un Garofalo impegnato nella tematica profana, sono stati recentemente restituiti al pubblico grazie ad un attento restauro promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, dal Seminario Arcivescovile dell’Annunciazione di Ferrara e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, che li ha finanziati. La Pinacoteca Nazionale di Ferrara La Pinacoteca Nazionale di Ferrara, con sede al primo piano di Palazzo dei Diamanti, tra le sue collezioni di eccezionale valore storico-artistico accoglie un importante nucleo di opere di Garofalo provenienti, in particolare, dalle tante chiese cittadine – da quella di San Francesco fino a quella di San Domenico – che furono tra i più assidui committenti dell’artista. Oltre alla famosa Pala Suxena (1514), che per l’occasione sarà esposta in mostra – tipico esempio di abile fusione dei modi raffaelleschi con quelli veneto-ferraresi – sono diversi i capolavori del Tisi che si incontrano nelle sale del Museo e che ci permettono di ripercorrere gli sviluppi e l’evolu- zione del linguaggio figurativo del pittore. Se – secondo la Pattanaro – il tondo con la Presentazione di Gesù al Tempio (ante 1500) del ciclo di affreschi dell’Oratorio dell’Immacolata Concezione – opera corale di Boccaccino, Baldassarre d’Este, Michele Coltellini, Panetti e appunto Garofalo – rappresenta una delle più precoci opere dell’artista, è nel piccolo dipinto del Presepe (1505 ca.) che si scorgono gli albori di un’intensa fase di suggestioni derivate dal confronto con la poetica di Giorgione, che tanta parte ebbe nella maniera garofalesca. La prima prova della conoscenza diretta di Raffaello – evidente nella postura aulica di San Giuseppe o nella severa compostezza della Vergine – è invece rappresentata, secondo il Longhi, dalla Natività (1512 ca.) dipinta per la Chiesa di San Francesco: suggestioni che trasformarono Benvenuto nel più sensibile divulgatore in area emiliana del grande maestro urbinate. L’adesione alla poetica raffaellesca, oltre che nel Polittico Costabili – al cen- tro di un dibattito critico ancora aperto – appare anche nel meraviglioso dipinto della Pinacoteca con La Strage degli Innocenti: tra i capolavori asso- luti dell’artista. La tavola, parte centrale di un polittico realizzato da Garofalo nel 1519 per la cappella Festini in San Francesco, rappresentò un’autentica novità per l’ambiente artistico locale, tanto che anche Vasari ricorda come Garofalo “fece quello che sinora non s’era mai fatto in Lombardia; cioè fece modelli di Terra per veder meglio l’ombra e i lumi (…) ma quel che importa più ritrasse dal vivo el naturale ogni minuzia, come quelli che conosceva la dritta essere imitare e osservare il naturale.” La cimasa del medesimo polittico è una lunetta raffigurante la Fuga in Egitto – anch’essa conservata in Pinacoteca – che, secondo Fioravanti Baraldi, appare anticipatrice di quella nuova concezione figurativa della pittura di paesaggio, emblematica della poetica classicista di Annibale Carracci. Mostra invece suggestioni cromatiche provenienti dalla pittura dell’Ortolano – l’uso di una luce naturale e radente che rende concretezza alle figure e agli oggetti – la tavola Noli me Tangere acquistata sul mercato antiquario, mentre risulta quanto mai affascinante, soprattutto per la complessa iconografia, l’affresco proveniente dal refettorio del Convento degli Agostiniani di Sant’Andrea raffigurante L’Antico e il Nuovo Testamento (1523), soggetto che Garofalo ripropone in dimensioni ridotte nella tela proveniente dall’Ermitage, esposta in mostra. Risale al 1525 La Madonna del riposo con il ritratto di Lionello del Pero ritenu- ta, fin dalla storiografia più antica, uno dei più alti esiti della poetica garofalesca: l’opera è avvolta in una straordinaria atmosfera crepuscolare in cui la luce sottolinea il significato soprannaturale dell’evento e fa risaltare le perfette forme raffaellesche dei personaggi. Anche la fase più matura del Tisi è ben rappresentata nelle collezioni della Pinacoteca ferrarese: dall’Orazione nell’orto (1524 ca.), caratterizzata da una solidità formale e da un vivace cromatismo, fino alla Resurrezione di Lazzaro (1532) che, lodata anche da Vasari come piena di varie e buone figure, è ricordata come una delle opere più belle della maturità di Benvenuto, dove le evidenti influenze “romane” si uniscono all’utilizzo delle squillanti tonalità veneto-ferraresi e ai ritmi lenti derivati, dai modi di Giulio Romano. L’influenza del Romano – i cui rapporti con la corte estense si erano andati intensificando nel quinto decennio a causa delle commissioni per l’arazzeria ducale – si può notare anche nell’Adorazione dei magi e san Bartolomeo (1549) il quale appare raffigurato con la sua pelle scorticata in mano a testimonianza del martirio subito. Anche l’Adorazione dei Magi proveniente dalla Chiesa di san Giorgio risulta infine caratterizzata da un impianto scenico complesso e monumentale, con le figure che assumono pose artificiose, e da una particolare ricchezza di episodi narrativi. Palazzo Costabili detto di Ludovico il Moro La tradizione vuole che Palazzo Costabili detto di Ludovico il Moro – oggi sede del Museo Archeologico Nazionale – commissionato da Antonio Costabili a Biagio Rossetti nel 1502, dovesse ospitare lo Sforza, marito di Beatrice d’Este, nel caso si fosse resa necessaria la sua fuga da Milano; la sopraggiunta morte di Ludovico e gli eccessivi oneri economici di tale impresa interruppe- ro nel 1503 i lavori, che non furono mai completati. La datazione della volta dell’Aula Costabiliana o “Sala del Tesoro” è ancora oggetto di studio, anche se è certo che la realizzazione dell’affresco avvenne in due momenti diversi. Il soffitto, databile tra il 1503 e il 1506, raffigura una scena di vita contemporanea animata da musici, putti e animali, affacciati da una balaustra, oltre la quale si apre un cielo turchino attraversato da festoni di frutta. Situata presso il portico, la splendida volta è una sorta di riedizione di quella della Camera degli Sposi di Mantegna, della quale recupera il gusto per la decorazione all’antica e l’acrobatico scorcio prospettico ma, come ricorda anche Agosti, “il precedente mantegnesco è sottoposto nel Palazzo di Antonio Costabili a una drastica rilettura in direzione bramantesca e cortigiana; di certo a Isabella d’Este sarebbe piaciuto di più della camera degli Sposi.” La pittura del soffitto è stata raccordata alle pareti verticali, intorno al 1517, tramite la realizzazione di lunette, vele e pennacchi nei quali è illustrato il Mito di Eros ed Anteros. Tale soggetto, scelto dallo stesso Antonio Costabili, fu d’ispirazione per Garofalo e i suoi collaboratori nella veste poetica appron- tata dall’umanista Celio Calcagnini, stretto amico del Costabili. Se sia stata in origine una sala da musica, come suggeriscono recenti ipotesi, non è dato sapere. Quel che è certo è che nel 1870 risulta usata come deposito o legnaia, mentre otto anni più tardi la Commissione Governativa per la conservazione di monumenti e di belle arti la trova adibita a granaio. Acquisita nel 1920 dallo Stato, con l’intero palazzo, l’aula è stata da allora oggetto di numerosi lavori per lo più finalizzati a ripristinare l’assetto statico degli elementi murari di supporto ai dipinti. Nel 2007, grazie ad una conven- zione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, si sono conclusi i lavori di consolidamento strutturale della volta e di restauro degli splendidi affreschi iniziato nel 2004. Palazzo del Seminario In quelle che vengono chiamate le “Sale del Garofalo” si può ammirare un altro sorprendente ciclo pittorico, oggetto di recenti restauri. Il nucleo primitivo dell’edificio fu commissionato da Leonello d’Este che lo donò nel 1444 al suo Maestro di Camera Folco di Villafuora, nobile ferrarese ritratto anche da Mantegna. Dopo alterne vicende il palazzo passò ai Sacrati che, ammirando probabilmente la “Sala del Tesoro”, tra il 1519 e il 1520 commissionarono al Garofalo questo ciclo decorativo. Entrando da via Cairoli, il primo ambiente ospita un soffitto decorato a lacunari geometrici, impreziositi da grottesche e racemi. Il soffitto è raccordato ai piani verticali delle pareti per mezzo di lunette con relative vele e pennacchi, raffiguranti forse allegorie delle Virtù, delle Arti Liberali e delle Stagioni, la cui leggibilità risulta, nonostante i restauri, largamente compromessa. Nell’ambiente attiguo, si può ammirare un secondo soffitto, a doppia volta, decorato con soggetti mitologici e biblici, inframmezzati da grottesche

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