COMPENDIO DE LE ISTORIE DEL REGNO DI NAPOLI Pandolfo Collenuccio COMPENDIO DE LE ISTORIE DEL REGNO DI NAPOLI A LO ILLUSTRISSIMO PRINCIPE ET ECCELLENTISSIMO SIGNORE ERCULE INCLITO DUCA DI FERRARA COMPOSTO DA MESSER PANDOLFO COLLENUCCIO IURISCONSULTO DA PESARO, SUO SERVO. LIBRO PRIMO In questo primo libro si descrive la grandezza e confini di esso regno di Napoli; notansi le regioni che si contengono in quello; dappoi si fa un sommario de le cittá piú illustri e de' fondatori di esse e li uomini piú famosi di quelle; e si dá notizia de le altre nazioni e popoli esterni, toccando ancora l'origine de' goti, vandali, longobardi, saracini e altri popoli, e processi di quelli in Italia. Natural cosa è che non manco si amano li lochi ove li uomini ne la sua tenera etá sono stati educati e nutriti, che quelli ove sono nati: la quale affezione tanto maggior diventa, quanto in quelli lochi l'uomo sotto il governo di qualche principe,di eccellente natura ha imparato virtú e costumi e ottima istruzione et esperienza a la vita. Però meraviglia non è se la Vostra Eccellenza, del regno di Napoli, ove il fiore de la puerizia e gioventú in gloriosi esercizi tradusse, e de l'inclito buon re Alfonso I di Aragona, col quale familiarmente in favore onoratissimo visse, spesso parla e volontieri ode, e de le passate sue condizioni cerca averne espedita notizia. E benché sappiamo tutti noi che ne la Vostra corte versiamo, niuna istoria quasi latina o greca trovarsi, che Vostra Signoria letta e intesa con diligenza non abbia, nondimeno, perché variamente e interrottamente le cose di quel regno da diversi sono scritte, né comportano le cure e cotidiani pensieri del governo e stato Vostro quella sottile et esatta discussione che si ricercaria per ridurre istoricamente in un ordine e in un corpo tutto quello che di esso regno si ritrova scritto, a Vostra Eccellenza è parso dare a me questa cura. Piaccia a Dio che a la elezione di V. Signoria e a lo ardentissimo desiderio mio del bene obedire e piacere, l'opera risponda. Io volontieri ho assunto tal provincia, e se bene confesso tali istorie essere intricatissime e varie e disperse, e per questo laboriose e moleste a ridurle ad ordinata narrazione, nondimeno il farlo volontieri e dilettarmi ne l'opera pel studio di piacere, ogni fatica mi fará leggera. Veramente, illustrissimo Signore, le mutazioni de li stati e la varietá de' governi a niuna parte d'Italia piú famigliare a' dí nostri esser si vede, che a quella che regno di Napoli è chiamata: onde pare che fatal sia a quelle provincie che in essa si contengono avere non che spesso, ma sempre, tirannie, sedizioni, perfidie, rebellioni, guerre, eversioni di cittá, rapine e incendi, e tutte le altre calamitá che da l'avarizia e ambizione, vere produttrici di tal peste, proceder sogliono. Il che non solo a' tempi nostri veggiamo, e per la presente istoria in piú modi si comprenderá, ma ancora ne li tempi vetustissimi esserli stato sí peculiare leggiamo, che Strabone, scrittore e geografo greco, dice non per altra cagione li poeti aver finto ne li Campi Flegrei, che sono in Terra di Lavoro giá detta Campania, esser state le battaglie e gesti dei giganti, se non perché quella regione di sua proprietá è disposta a muovere e concitare le guerre. E appresso Tito Livio, Publio Sulpizio console romano, volendo deliberare la spedizione contra Filippo II re di Macedonia, dice che tanto stanno questi regnicoli senza rebellione, quanto non hanno a chi rebellarsi, e in un altro loco dice la perfidia essere ingenita e naturale a quelli di Campania. La qual cosa fa ancora che manco mi maravigli se rara memoria si trova fatta, per croniche o per annali propri, de li uomini di quel regno, pensando che tutto sia proceduto da le continue mutazioni et esilii e inquietudine de li uomini, che non hanno potuto avere ozio a componere libri; e se qualche ricordo ne è stato fatto, facilmente si estima che li incendi e le rapine da varie nazioni fatte lo abbino estinto. Non voglio però che tal cosa ad escusazione mi vaglia a fine di schivar l'impresa a me data, ma sí bene a qualche giusta venia mi giovi, se non tutte le cose minutamente, come a me incognite, in questi libri comprenderò; assai bene (a mio giudizio) satisfacendo, se de le cose piú degne li piú importanti capi, da molti illustri scrittori estratti al numero di ventiquattro o piú, oltra molti detti al proposito de' nostri iurisconsulti e fedele relazione di alcuni viventi, in questo compendio avrò condotto: non omettendo però di far brevemente special nota di qualche cosa ancora che al detto regno non spettasse, se alcuna ne la narrazione ne occorrerá che di osservazione e notizia sia degna. Del che non credo poter esserne biasimato, sí come neanche ad un peregrino che a qualche determinato loco ha il suo cammino dirizzato, si deve a vizio imputare se, alcuna cittá o degno loco trovando per via, in quello qualche poco si ferma a vederlo, da l'instituto suo viaggio però non mancando. Ma volendo con intelligibile ordine in questa opera ridurre tutto quello che a mia notizia è pervenuto de li gesti e cose fatte e accadute nel detto regno di Napoli, cominciando da lo imperio di Cesare Augusto e da l'anno primo de la nativitá di Cristo insino a questi nostri tempi, estimo non esser fuor di proposito, per evidenza del tutto, nel primo libro con un breve discorso descrivere la grandezza e i confini del regno di Napoli, appresso denotare quali regioni d'Italia sieno quelle che oggi per un sol nome regno di Napoli son chiamate, poi far sommario ricordo de le cittá piú illustri e uomini famosi di quelle, e ultimamente dare piú chiara notizia mi sia possibile de le nazioni e popoli esterni, de li quali in questo epitome occorrerá ragionare, per potere avere nel processo piú chiara intelligenza de le particolari contingenze che d'esso regno scriveremo. Dovemo adunque sapere che questo regno in tre modi appresso li istorici si trova nominato, cioè regno di Napoli, regno di Puglia, regno di Sicilia oltra il Faro. Li suoi termini d'intorno sono oggi: prima, per la via d'infra terra, la linea e li confini, per li quali detto regno si congiunge a Maremma e Campagna di Roma, che oggi son terminate al fiume di qua da Terracina chiamato Ufente; e da la bocca del detto fiume, ove entra nel mare Tirreno, procedendo in su verso l'Apennino, con Lazio e parte di Sabina, e passando il monte Apennino, con parte de l'Umbria e del Piceno detto Marca di Ancona, insino a li confini di essa, che è il fiume Tronto ove entra nel seno Adriatico. La qual linea, perché non è retta, ma si va curvando e torcendo da un fiume a l'altro predetti per li termini di queste regioni, si fa di lunghezza circa 150 miglia, andando cioè da Terracina per li confini del regno a Pontecorvo e Ceperano, e per li confini di Riete, tra il contado di Tagliacozzo, ad Interocrea (oggi Interdoco), a Civita reale e a l'Amatrice, e di lí per il fiume ad Ascoli sin poi in bocca di Tronto: la quale linea, quando diritta si tirasse, appena 130 miglia e ancor manco di lunghezza saria. Per la via litorea e marittima è terminato il regno intorno, come peninsula, verso mezzodí dal mar Tirreno e dal mar Siciliano, e dal mare detto Adriano da la parte di levante, e di verso tramontana, parte dal mare e seno Ionio sino al monte Gargano (detto oggi Sant'Angelo) e parte dal seno Adriatico dal Gargano al Tronto: in tanto li suoi liti con questi mari tutti il regno comunica, come piú chiaramente appresso noteremo. È di lunghezza questo giro da l'Ufente al Tronto, per riviera, in tutto 1318 miglia; però che da Terracina a Napoli sono miglia 82, da Napoli al capo del golfo di Policastro miglia 147, dal capo di Policastro a Regio di Calabria miglia 183, da Regio al capo di Spartivento (giá detto Erculeo) 33, dal capo di Spartivento al capo de le Colonne (giá detto Lacinio) 195, dal capo de le Colonne a Taranto 200, da Taranto a capo di Leuca (giá detto Salentino) 30, dal capo di Leuca al capo di Otranto 26, dal capo di Otranto al capo Sant'Angelo (giá detto Gargano) 222, dal capo Sant'Angelo a l'ultimo suo confine, che è il fiume Tronto, miglia 200. Le quali somme insieme raccolte fanno di giro per riviera miglia 1318, onde aggiungendovi le 150 predette, che è lo spazio de la linea per terra, con che si congiunge a l'altre parti d'Italia, da l'Ufente al Tronto, sommano a 1468 miglia. E questa è oggi la dimensione del circuito del regno di Napoli. Contiene il detto regno in sé queste provincie. Prima, cominciando a l'Ufente sopra il mare Tirreno, una parte del vero Lazio, il quale anticamente si stendeva sino al fiume Liri, oggi detto il Garigliano. E benché a questi tempi, sí come ogni cosa è confusa, di tutta la regione che è tra il Tevere e Sabina e l'Apennino e Terracina, ne sieno fatte tre parti e tre nomi, cioè Lazio, Campagna di Roma e Maremma, nondimeno anticamente tutto di un nome, insino al Garigliano, era chiamato Lazio nuovo. Tenne dunque prima il regno una parte del Lazio nuovo, quanto è dal detto fiume di Terracina sino al Garigliano: ne la qual parte principali terre sono Formie, Fundi e Gaeta.
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