Le Riviste Storiche Britanniche E La Storiografia Italiana Di Ilaria Favretto

Le Riviste Storiche Britanniche E La Storiografia Italiana Di Ilaria Favretto

Le riviste storiche britanniche e la storiografia italiana di Ilaria Favretto Le riviste accademiche in Gran Bretagna attraversano ormai da anni una vera e propria età dell’oro. Diversi sono i motivi. In primo luogo, i mercati globali su cui le riviste pubblicate in lingua inglese possono contare, mercati che sono determinanti per la sopravvivenza e per la sostenibilità economica dei singoli progetti editoriali e che, negli ultimi anni, hanno conosciuto un’e- norme espansione grazie a database come JSTOR e alla possibilità per il jour- nal publishing di affiancare agli introiti provenienti dagli abbonamenti la ven- dita online di singoli articoli. Un altro fattore da considerare è l’impatto del Research Assessment Exer- cise (RAE), un esercizio di valutazione a cui tutte le università del Regno Uni- to vengono sottoposte dal governo con scadenza più o meno quinquennale e sulla base del quale vengono stanziati i finanziamenti statali per le singole isti- tuzioni. Fra gli indicatori considerati dall’RAE vi è la produzione scientifica del corpo accademico. Secondo i criteri di valutazione stabiliti dall’RAE gli articoli pubblicati in riviste cosiddette refereed – vale a dire riviste che si av- valgono di lettori che giudicano la qualità e l’originalità dell’articolo propo- sto senza essere a conoscenza dell’identità dell’autore –, ottengono una valu- tazione altissima, che, in ordine di importanza, segue solo di poco la pubbli- cazione di monografie. Ciò ha dato uno stimolo importantissimo alla produ- zione di articoli (e di conseguenza alla nascita di nuove riviste accademiche) a scapito di altre forme di comunicazione e di trasmissione di sapere come capitoli all’interno di opere collettanee (considerati di valore limitato perché non passati al vaglio di lettori esterni), manuali universitari, saggi di caratte- re divulgativo (due tipi di pubblicazione che non vengono quasi conteggiati nell’RAE), recensioni o voci per enciclopedia. All’insegna del motto publish or peril (pubblica o muori) la pubblicazione del proprio lavoro in riviste re- fereed è diventata per i docenti universitari britannici una condizione neces- saria per assicurarsi avanzamenti di carriera o, nel caso di junior staff alla ri- cerca di un impiego stabile, rendere il proprio profilo più appetibile in un 51 Ilaria Favretto mercato del lavoro, quello accademico, che dall’introduzione dell’RAE negli anni Ottanta, si è fatto vieppiù competitivo e meritocratico. La storia contemporanea è ospitata nelle numerose riviste storiche “ge- neraliste” che popolano il journal publishing britannico in area storica, rivi- ste, vale a dire, che abbracciano un ampio arco temporale (normalmente dal medioevo all’età contemporanea). Le più note sono: «Past and Present», una rivista che, costituitasi nel 1952 intorno ad uno sparuto gruppo di storici marxisti fra i quali Eric Hobsbawm, ha contribuito enormemente all’apertu- ra della storiografia britannica alla storia sociale e culturale e operato, fra le altre cose, come canale di trasmissione in Gran Bretagna per la scuola degli Annales1; «Historical Research», il “bollettino” pubblicato dal 1923 dall’In- stitute of Historical Research; «History», la rivista edita dal 1912 dalla Hi- storical Association; «The Historical Journal», una rivista diretta da storici per lo più legati all’università di Cambridge; e «The English Historical Re- view» di Oxford University Press che, fondata nel 1886, può vantare di esse- re, come si legge sul suo sito, la rivista di area storica nell’area anglo-sassone di più antica data. Temi di storia contemporanea trovano inoltre spazio nel- le riviste storiche specializzate che si focalizzano su singoli paesi e singole aree geografiche (riviste come «French History» di Oxford University Press, o «The Journal of African History» di Cambridge University Press), riviste che sono numerosissime nel panorama britannico e che riflettono una tradizione storiografica senza dubbio meno autoriferita rispetto a quella italiana. Il la- voro degli storici contemporanei è infine accolto nelle non meno numerose riviste di carattere tematico, riviste come, per fare solo qualche esempio, «Ur- ban History», «History of Political Thought», «Economic History Review», «Gender & History», «Social History of Medicine», ecc.); e nelle riviste in- terdisciplinari di area, le cosiddette riviste di area studies (riviste come il «Journal of Sourthern Europe and the Balkans», «Journal of Latin American Studies», «Modern Italy», ecc.). Ai fini di un’analisi del tema qui proposto, come e in quali termini – vale a dire – la riflessione storiografica italiana è riuscita a farsi strada negli ultimi anni all’interno delle riviste storiche britanniche, si è rivolta l’attenzione a due riviste storiche che si occupano specificatamente di ventesimo secolo: il «Journal of Contemporary History», la nota rivista per gli studi di storia con- temporanea fondata nel 1966 da George Mosse e Walter Laqueur e pubbli- cata da Sage; e «Contemporary European History» sorta nel 1992 e pubbli- 1 Per un’analisi dei cinquant’anni di vita di «Past and Present» si vedano, Lyndan Roper e Chir Wickham,“Past and Present after fifty years”, in «Past and Present», n. 176, 2002, pp. 3-6; e Eric Hobsbwam, “A Life in History”, in «Past and Present», n. 177, 2002, pp. 3-16. 52 Le riviste storiche britanniche e la storiografia italiana cata da Cambridge University Press. Si sono inoltre prese in esame «Past and Present», la rivista britannica più prestigiosa in area storica; «European Hi- story Quarterly» un’altra rivista storica i cui contenuti, diversamente da «Contemporary European History», vanno ben oltre il periodo contempora- neo ma che si è ritenuto opportuno considerare per via della sua vocazione europea e presunto interesse per un dialogo con la storiografia straniera; e, per ovvi motivi, «Modern Italy» la rivista di studi di italianistica costituitasi intorno all’Association for the Study of Modern Italy (ASMI) nel 1995. Il «Journal of Contemporary History» (da adesso in poi JCH), oggi diret- to da vere e proprie star della storiografia contemporanea quali Richard Evans, Niall Fergusson e Stanley Paine, pubblica quattro numeri all’anno e si articola intorno ad un corpo principale di otto o nove articoli. Si aggiun- gono a questi lunghe recensioni tematiche che possono arrivare ad includere anche nove o dieci libri. Circa la metà degli articoli pubblicati nel periodo preso in esame (1996-2006) si focalizzano sull’area geografica europea: qua- si il 28% di questi sono dedicati alla Gran Bretagna e il 17% alla Germania, un interesse, quello per la storia tedesca che stride con l’attenzione limitata riservata ad altri paesi europei come l’Italia (7.7%), la Francia (7.7%) o la Spagna (3%). Lo spazio significativo concesso alla storia tedesca riflette, inutile dirlo, gli interessi dei fondatori della rivista e degli editors attuali che, fatta eccezione per Stanley Paine, esperto di storia spagnola, si sono tutti distinti per saggi a tutt’oggi considerati pietre miliari per la riflessione storiografica sulla Germa- nia Weimeriana e nazista. L’imprinting di Mosse e Laqueur spiega anche l’at- tenzione riservata dal JCH agli anni fra le due guerre. Dalla metà degli anni novanta la rivista ha cercato di riequilibrare il peso concesso al periodo inter- bellico e offrire spazi maggiori agli anni dopo il 1945. Come scrisse nel 1997 Arthur Marwick, studioso di storia sociale britannica e allora direttore del JCH, al momento della nascita della rivista, nel 1966, “poteva avere un senso prestare un’attenzione privilegiata agli anni fra le due guerre”; tanto più che, per quello che riguardava la consultazione dei documenti al Public Record Of- fice (PRO) – l’archivio di Stato britannico – vigeva ancora la regola dei cin- quant’anni2. Ma, anche grazie alle nuove norme di consultazione introdotte al PRO grazie alle quali è oggi possibile prendere visione di documenti dopo trent’anni dalla loro emissione, la rivista avrebbe dovuto aprire spazi maggio- ri al lavoro di ricerca che molti storici contemporaneisti stavano da anni pro- 2 Arthur Marwick, “A New Look, a New Departure: a Personal Comment on our Changed Appearance”, in «Journal of Contemporary History», n. 1, vol. 32, gennaio 1997, pp. 5-8. 53 Ilaria Favretto ducendo sugli anni più vicini a noi. Scorrendo i numeri della rivista degli ulti- mi anni non passano inosservati gli sforzi per accrescere il numero di contri- buti ospitati sugli anni cinquanta e sessanta. Allo stesso modo ci si imbatte sempre meno frequentemente in articoli sui primi del novecento che, come si legge sempre nell’editoriale di Marwick, con l’entrata nel nuovo secolo ‘sem- brano sempre meno contemporanei’3. Ciò nondimeno, permane ad oggi un fo- cus privilegiato per il periodo interbellico: 23 dei 33 articoli pubblicati sulla Germania dal 1996 al 2006 sono sul Nazismo e sulla Repubblica di Weimar e 4 dei 6 contributi dedicati alla Spagna si focalizzano sulla guerra civile. Allo stesso modo, 9 dei 15 articoli sull’Italia sono sul Fascismo. Gli autori di larga parte dei contributi ospitati dal JCH sull’Italia di Mus- solini sono italiani. Per quello che riguarda il Fascismo italiano, si può quin- di dire che esiste un dialogo con la storiografia italiana sebbene, va aggiunto, esso si sia finora intrattenuto con una sola delle sue voci. Non sfugge, infatti, la presenza quasi incontrastata di storici di scuola gentiliana4, una “distor- sione” che si spiega, fra le altre cose, con la partecipazione di Emilio Genti- le e, prima di lui, di Renzo De

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