Progetto Di Ricerca La Maremma E Gli Usi Civici

Progetto Di Ricerca La Maremma E Gli Usi Civici

Simona Bellugi Progetto di Ricerca La Maremma e gli Usi Civici: fenomeno analizzato attraverso le vicende storiche che segnarono l'esistenza di molte comunità maremmane. La Maremma e gli Usi Civici: fenomeno analizzato attraverso le vicende storiche che segnarono l'esistenza di molte comunità maremmane. La rivendicazione degli usi civici impegnò molti paesi della Maremma grossetana a co- minciare dalla seconda metà dell'Ottocento, per esplodere, poi, ai primi del Novecento e pro- trarsi per alcuni anni oltre il dopoguerra. Tali atteggiamenti evidenziarono l'interesse di comunità povere verso quest'istituzione, fonte integrativa dell'economia locale, che, spesso, non riusciva a supplire al fabbisogno quo- tidiano. I diritti collettivi1, come è testimoniato dalla legislazione pre-comunale, potevano andare dal pascolo all'approvvigionamento idrico coinvolgendo, quindi, tutto ciò che la natura produ- ceva spontaneamente. Le origini dell'uso civico, in Maremma, risalgono al periodo medievale e consistono, ge- neralmente, nel diritto collettivo di pascolo per la posizione rilevante, che la pastorizia rivesti- va nell'economia del territorio. Per molto tempo, pertanto, quest'area rimase legata al sistema dei pascoli sfruttati, preva- lentemente, attraverso la Dogana dei Paschi e che come affermavano i senesi “ sia quella che gitta maggior frutto et utilità alla comunità ”2. Proprio sulla presenza del diritto di pascolo in Maremma ci sono una serie di autorevoli interventi degni di nota. Da una parte Arturo Pallini scriveva che non “ si conosceva nella Maremma senese l'uso 1 Il termine “diritto collettivo” viene utilizzato, anche se impropriamente, per definire vari tipi di iura in re, di cui può essere titolare una comunità. Risulta, tra l'altro, conforme alla terminologia utilizzata dalla legislazione toscana. 2 Tocchini L., “Usi civici e beni comunali nelle riforme leopoldine”, in Studi storici, II (1961), n. 2 aprile giugno, p.226. 1 civico di pascolo” e che, anzi, “ dei veri usi civici non vi sono mai stati nella Provincia Infe- riore Senese” ma ribadiva la persistenza solo di un dominio del Comune, che garantiva l'uti- lizzo ai suoi membri3. Mentre, dall'altro lato, Neri Badia, proprio, riferendosi alla Maremma senese precisava, che in questa fascia di terra si preferì scoraggiare, in linea di principio, l'istituzione di bandite private e la recinzione dei campi, così che il mantenimento del pascolo di Dogana poté accor- darsi bene con la conservazione e tutela degli usi civici di pascolo4. Oltre, al pascolo di Dogana, di cui era originariamente titolare lo Stato senese, in Marem- ma vi si trovava il pascolo di bandita pubblica5, che, generalmente, spettava alle comunità, ad uffici e cariche pubbliche. Tale poteva essere venduto o affittato, per un certo periodo dell'an- no, direttamente oppure attraverso l'ausilio di intermediari ad allevatori ed a pastori. Ai membri delle comunità, invece, semplicemente, per la loro appartenenza spettava il diritto di pascolo collettivo o universale6 (le c.d. Bandite di Usi o Confini) in terreni in cui po- tevano accedere, esclusivamente, le bestie dei paesani. Ogni comunità provvedeva a regolare statuariamente l'uso di queste Bandite, “proibendo alcune il pascolo per i bestiami forestieri, salvo che per i buoi domati, che avessero arato nel territorio comunale”7 ovvero, altre ne ammettevano l'uso solo per coloro che, dopo aver abita- to nel luogo per un periodo di tempo prefissato, venivano ammessi alla cittadinanza dal Con- siglio generale del Comune (cioè dall'assemblea più ampia ed autorevole composta da tutti i 3 Pallini A., I pretesi usi civici negli antichi territori e corti del Sasso e di Vicarello di Maremma, Grosseto, 1930, pp. 62-63. 4 Neri Badia G. B., Decisiones et responsa iuris, I-II, Florentiae, 1769-1776, tom. I, dec. LI, p. 460. 5 Monaci G., , Paganico: appunti di storia ( dalle origini al 1581), Grosseto, 1993, pp. 33-40. 6 Dani A., Usi civici nello Stato di Siena di età medicea, Bologna, 2003, pp. 199-201. 7 Vedere nota 2. 2 capifamiglia, denominata Consiglio di un uomo per casa o Consiglio di popolo)8. L'ammissione all'uso di questi terreni, da parte dei nuovi arrivati, presentava modalità più semplici in quei Comuni, scarsamente abitati o dove, vi era la necessità di maggiore forza la- voro per supplire alle esigenze dell'organizzazione agricola9. In linea generale, il fenomeno dell'uso civico andò scemando fino a scomparire, tra Due- cento e Trecento, nei territori delle città maggiori, dove i cittadini acquistava terreni da far la- vorare ai propri conduttori o mezzadri. Il discorso, invece, fu ben diverso per la zona della Maremma lontana dal dominio della città, in cui sembra, che una proprietà fondiaria piena, nel senso attuale, costituisse più l'ecce- zione che la regola. Aspetto, che risulta essere confermato dalla Visita dell'Auditore Bartolo- meo Gherardini, infatti, nella grande maggioranza dei Comuni rientranti nella fascia della Ma- remma permaneva, ancora, il pascolo collettivo10. Il paesaggio della Maremma, quindi, era caratterizzato da piccoli appezzamenti terrieri costituiti, per la maggior parte, da orti e colture pregiate nei pressi dell'abitato, oggetto di for- me piene di godimento individuale ma più che ci si allontanava dal villaggio o castello, più le risorse divenivano di tutti11. La “Maritima” senese risultava essere dalle varie Visite, che la videro protagonista, solo una plaga incolta e disabitata, per lo più coperta da aree paludose, caratterizzata da un'aria malsana, ove la vita quotidiana risultava essere molto difficile12. 8 Ascheri M., Nardi L., Valacchi F., Pari ed il suo statuto, Siena, 1995, p. 1-56. Nella comunità di Pari, i nuovi arrivati potevano essere ammessi al terrierato, solo dopo un periodo di residenza pari a 10 anni. 9 Dani A., Usi civici cit., p. 82. 10 Gherardini B., Visita fatta nell'anno 1676 alle città, terre, castelli, comuni e comunelli dello Stato della città di Siena, manoscritti conservati presso l'Archivio di Siena, con le segnature MS D 82-86. 11 Dani A., Usi civici cit., p. 164. 12 La Maremma senese fu conosciuta dai Medici attraverso le “ visite” amministrative effettuate da funzionari granducali, senesi o fiorentini, che erano necessarie per raccogliere dati ed informazioni per il governo del territorio. 3 L'uso civico, in Maremma, pertanto, si istituì, prevalentemente, su “terre incolte, per lo più paludose o malsane o coperte di boschi sui monti ” ma nonostante la loro collocazione ”in molti paesi, e sopratutto in montagna o nei paduli, rendevano possibile la vita a un vasto numero di abitanti. La loro utilità è molteplice: i terreni incolti assicurano al bestiame minu- to e grosso quel minimo di pascolo, che né gli ancora rari prati naturali, né i terreni tenuti a maggese possono offrire; lo ius pascendi, gratuito o con pagamento di una leggera fida, per- mette ai più poveri di poter mantenere qualche bestia o di prendere spesso in soccida, mentre i pastori di ritorno dalle maremme hanno un punto di appoggio sicuro per i loro greggi; lo ius lignadi e il diritto di ruspo assicurano legna e castagne nei boschi e nei castagneti comu- nali”13. Il dibattito sugli usi civici iniziò dopo l'emanazione degli editti di Pietro Leopoldo, primo granduca di Toscana, del 177814 e del 178815, con i quali, in armonia ai più moderni indirizzi riformatori europei, nel Granducato, si tentò di razionalizzare l'agricoltura liberandola da ogni servitù di uso civico. Questi provvedimenti avrebbero determinato l'esclusivo diritto del pro- prietario sulla terra posseduta con l'obiettivo d'aumentare la produttività. In molti, alla corte lorenese, pertanto, attratti dalle nuove concezioni economiche circo- lanti in Europa, pensarono che la creazione di un ceto di piccoli e medi proprietari coltivatori diretti meglio rispondesse alle esigenze del miglioramento delle condizioni di vita e della ric- chezza dello Stato in generale. A vantaggio della piccola proprietà fu, dunque, finalizzato il sacrificio degli usi civici16. 13 Tocchini L., “Usi civici” cit., p. 226. 14 Provvedimento che comportò l'abolizione del compascuo. 15 Provvedimento che aveva ordinato l'abolizione della servitù del macchiato, favorendo una radicale mobilizzazione fondiaria con allivellazione ( in pratica una sorta di privatizzazione) ed alienazione, che avrebbe dovuto determinare, assieme ad una politica di liberalismo economico e di sfruttamento delle risorse, la creazione di una classe di medi e piccoli coltivatori diretti. 16 Dani A., Aspetti e problemi giuridici della sopravvivenza degli Usi Civici nella Toscana in età moderna e contemporanea, in “ Archivio storico italiano” , ClVII, 1999, pp. 298-300. 4 Le disposizioni leopoldine, accolte, quindi, con favore da economisti, proprietari ed im- prenditori agrari incontrarono, però, le resistenze dei ceti rurali e dei funzionari periferici, che temevano ripercussioni negative dalla abolizione dei diritti civici per le categorie dei meno o non abbienti. In verità, i risultati raggiunti da queste riforme furono negativi, anche là dove il Grandu- ca intervenne direttamente, come nella vendita delle fattorie di Castiglione e di Campagnati- co. Dallo svicolo della servitù riuscirono, infatti, ad avvantaggiarsene sopratutto i grandi possessori mentre peggiorò la condizione di vita dei piccoli possidenti e degli utenti degli usi civici non possessori17. Nonostante, la volontà del Governo Provvisorio di riparare alle continue proteste dei “co- munisti” maremmani18, la situazione sfociò in numerose agitazioni da parte

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