Dottorato di Ricerca Internazionale in Studi Culturali Europei/Europäische Kulturstudien Dipartimento di Culture e Società Settore Scientifico Disciplinare L-ART/06 Riflessioni critiche sulla potenza destituente nel pensiero di Giorgio Agamben IL DOTTORE IL COORDINATORE LUCA CINQUEMANI Prof. MICHELE COMETA IL TUTOR IL CO TUTOR Prof. SIMONE ARCAGNI Prof. PIETRO MALTESE CICLO XXIX ANNO CONSEGUIMENTO TITOLO 2017 2 3 4 Indice 10 Introduzione Parte prima Genesi del concetto di potenza destituente 31 1. La nuda vita come prestazione fondamentale del potere sovrano 48 2. Il dispositivo ontologico e il carattere presupponente del linguaggio 63 3. Stato di eccezione: il vuoto anomico al centro della macchina giuridi- co-politica dell’Occidente 82 4. Il paradosso della sovranità e la relazione di bando 95 5. L’incessante oscillazione dialettica fra potere costituente e potere costituito 106 6. Una potenza senza relazione con l’essere in atto 118 7. Potenza destituente e violenza pura 126 8. Dalla reine Gewalt come «medio puro» al Neue Advokat di Kafka 140 9. «Potenza puramente destituente» Parte seconda Critica della relazione, inoperosità e forma-di-vita 153 1. Critica della relazione e «contatto destituente» 165 2. Deporre senza abolire: uso del corpo, inoperosità e potenza destituente 182 3. Forma-di-vita 193 4. Una forma generata vivendo 5 Parte terza Formaǀdiǀvita come vita non ricongiungibile a nessuna forma 209 1. Verso il concetto di «formaǀdiǀvita»: soglia di pura indiscernibilità e zona di irresponsabilità 220 2. «Un pensiero inservibile»: l’estromissione di Bataille dalla filosofia agambeniana 233 3. «Sommes-nous nous aussi en train de travailler pour le fascisme?» Informità incompatibili e attualità del monito benjaminiano 239 4. Una vita assolutamente inconcepibile 243 Formaǀdiǀvita: alcune riflessioni conclusive 260 Bibliografia 6 7 Riflessioni critiche sulla potenza destituente nel pensiero di Giorgio Agamben C’è qualcosa della povera e breve infanzia, qualcosa della perduta felicità che non si ritrova, ma anche qualcosa della vita attiva di oggi, della sua piccola vivacità incom- prensibile eppure sempre presente, e che non si saprebbe come uccidere. F. Kafka, Josefine, la cantante ovvero il popolo dei topi 8 9 Introduzione La grande posta in gioco al centro dell‟archeologia della politica che va sotto il nome di «Homo sacer» è stata senz‟altro l‟individuazione della struttura origina- ria a fondamento della politica occidentale, lo svelamento di ciò che lo stesso Agamben, a distanza di vent‟anni dalla pubblicazione di Homo sacer I (1995), definisce l‟«arcanum imperii» della politica, «ciò che ne costituiva in qualche modo il fondamento e che era rimasto in essa insieme pienamente esposto e tena- cemente nascosto»1. A questa dimensione archeologica della filosofia agambe- niana, che emerge con evidenza nella ricerca instancabile della struttura dell‟archè che fonda la politica occidentale, si intreccia intimamente una dimen- sione «odologica». Essa coincide con la ricerca di una odos, di un‟altra via della politica che potrà aprirsi soltanto con la disattivazione della macchina ontologi- co-biopolitico-giuridica dell‟Occidente. Ne L’uso dei corpi (2014), volume che almeno in apparenza sembra concludere il progetto «Homo sacer», il cammino archeologico-odologico della filosofia agambeniana culmina nell‟idea di una po- tenza destituente, una potenza in grado di disattivare e rendere inoperose le rela- zioni ontologico-politiche e consentire in tal modo l‟emersione di una forma-di- vita, che per Agamben, rappresenta il «concetto guida e il centro unitario della politica che viene»2. Sottratta alle scissioni e alle articolazioni che la tradizione ontologico-politica ha operato sulla vita – una vita inclusa/esclusa nel dispositi- vo dell‟eccezione sovrana – la forma-di-vita rappresenta il superamento di tali scissioni, il momento in cui zoè e bios, «vita» e «forma», diventano indistinguibi- li e si ricongiungono. Dal momento che le divisioni e le articolazioni della vita riposano originalmente sulla figura dell‟eccezione, che Agamben individua al centro tanto dell‟ontologia che della macchina politico-giuridica dell‟Occidente, sarà solo a partire dall‟individuazione di questa figura originaria che sarà possibile pensare una di- sattivazione della macchina. Se, scrive Agamben, «con un nemico la cui struttu- 1Agamben G., L’uso dei corpi, Neri Pozza, Vicenza 2014, p. 333. 2Ivi, p. 272. 10 ra resta sconosciuta si finisce prima o poi con l'identificarsi»3, il problema centra- le del progetto «Homo sacer» diveniva dunque quello di indagare in profondità la struttura dell‟archè a fondamento della politica e dell‟ontologia occidentale4. Ciò non significava, tuttavia, «risalire archeologicamente a un inizio più originario», perché, scrive Agamben, «l'archeologia filosofica non raggiunge altro inizio che quello che può, eventualmente, risultare dalla disattivazione della macchina». In tal senso, egli afferma, «la filosofia prima è sempre filosofia ultima» 5 . L‟archeologia di Agamben, in quanto «filosofia ultima», risale all‟archè per apri- re all‟essere un nuovo possibile inizio, una nuova possibile via (odos): «l'ontolo- gia è innanzitutto un‟odologia». Bernard Witte analizzando il metodo argomenta- tivo di Agamben e individuandone in Heidegger il modello filosofico, mostra come scopo dell‟etimologia, coerentemente, del resto, con il senso che viene dato all‟archeologia in Signatura rerum, non è una ricostruzione dello sviluppo dia- cronico della parola, ma l‟individuazione del suo nucleo archetipico e a-storico. Nell‟argomentazione agambeniana ricorre inoltre l‟uso del «commento analitico o narrativo» di determinati testi, il cui riferimento, questa volta, è il «metodo mi- crologico» di Walter Benjamin. Questo metodo è consustanziale a una filosofia che si vuole porre «dopo la fine della filosofia sistemica»6. Agamben, in tal sen- so, si avvicinerebbe ai testi della tradizione occidentale da una posizione molto speciale, quella di chi, cioè, incarna l‟ultimo filosofo di tale tradizione. Tuttavia, proprio per questo, proprio in quanto ultimo, egli si propone, allo stesso tempo, come primo interprete di una «filosofia che viene», di una filosofia che si colloca al di là tanto del nichilismo che della stessa metafisica e che apre l‟accesso a una «politica che viene». Carlo Salzani ha rilevato «il carattere assolutamente imma- nente della redenzione e dell'azione politica» condensato nella formula «che vie- 3Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 16. 4Tuttavia, avverte Agamben, bisogna fare attenzione a non pensare il progetto «Homo sacer» come una ricerca in cui sia distinguibile una pars destruens da una pars costruens: «Occorre, infatti, revocare decisamente in questione il luogo comune, secondo cui è buona regola che una ricerca cominci con una pars destruens e si concluda con una pars construens e, inoltre, che le due parti siano sostanzialmente e formalmente distinte. In una ricerca filosofica, non soltanto la pars destruens non può essere separata dalla pars construens, ma questa coincide in ogni punto senza residui con la prima». Agamben G., L’uso dei corpi, cit., p. 9. 5Agamben G., L’uso dei corpi, cit., p. 336. 6Witte B., Di alcuni motivi di Giorgio Agamben, in Dell‟Aia L. (a cura di), Studi su Agamben, Ledizioni, Milano 2012, pp. 33-43. 11 ne», riferimento al tedesco kommende del saggio benjaminiano del 1918 dal tito- lo Über das Programm der kommenden Philosophie7. Nel sintagma agambenia- no, inoltre, confluisce una coloritura messianico-paolina, in quanto «“colui che viene” è, nella tradizione giudaico-cristiana, il Messia»8. Se l‟archeologia è, per Agamben, una filosofia ultima che risale all‟archè che riposa alla base della macchina ontologico-politico-giuridica per raggiungere, attraverso la sua destitu- zione, l‟accesso a una «politica che viene», prima di mostrare come il filosofo ar- rivi a pensare tale destituzione, sarà necessario ripercorrere il cammino archeolo- gico del progetto «Homo sacer», soffermandosi sui momenti decisivi che hanno consentito di rintracciare, passo dopo passo, l‟arcanum imperii, la struttura che fonda la politica dell‟Occidente. Seguendo questa doppia linea, la presente ricer- ca tenterà, da un lato, di ripercorrere il cammino archeologico e, dall‟altro, di tratteggiare, a partire da esso, le linee genetiche che conducono al concetto di po- tenza destituente. Dopo aver indagato, nel corso della prima e della seconda par- te, alcuni tratti del cammino archeologico-odologico qui in questione e aver mes- so in luce i caratteri della potenza destituente, si tenterà di avanzare, all‟interno della terza parte della ricerca, alcune riflessioni critiche che, a partire da tale con- cetto e da quello di forma-di-vita, ad esso inestricabilmente legato, condurrano a una differente possibilità di pensare la destituzione della macchina ontologico- politica. I. In questa prospettiva, nei primi capitoli della prima parte della ricerca si mo- strerà come Agamben, nel corso del progetto «Homo sacer» tenti di risalire alla struttura dell‟archè individuando nell‟eccezione l‟operazione logica a fondamen- to tanto dell‟ontologia che della tradizione giuridico-politica dell‟Occidente. In tal senso, nel primo capitolo si spiegherà in che modo, per il filosofo, la produ- zione della nuda vita sia la «prestazione fondamentale del potere sovrano» e in che senso essa, in quanto vita divisa e separata dalla sua forma, sia il risultato di un‟operazione ontologico-politica
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