Lo sguardo dell’anima di Ivan Varsi A NANA’, ATTRAVERSO I SUOI OCCHI HO RIVISTO IL MONDO PREFAZIONE Incastonata come una perla sul filo dell’infinita collana del tempo, la nostra esistenza è ben poca cosa. Al cospetto della storia infatti ogni vita è poco più che un solo, lucente, magnifico battito di ciglia. Quando chiudo gli occhi nel tentativo vano di isolarmi dal mondo penso a Napoli, ai miei 24 anni, agli amici, agli affetti. Ai ricordi illuminanti e agli umori così incoscienti. E poi al cielo, sempre uguale, così diverso. Non si tratta di semplici tonalità di un passato sbiadito, bensì di vivi colori, melanconica realtà che solo un'animo scevro da ridondanti malinconie sa dipingere. E in fine penso al tempo, depositario dei ricordi, che stringe a se la notte, l'arcobaleno illusorio che tiene insieme i giorni. Ciò che facciamo è rumore, tanto fugace rumore racchiuso tra due interminabili silenzi. Ciò che siamo è luce, buio accecante. Sognare ad occhi aperti è tutto ciò che resta agli uomini che come me a volte sentono dentro la sgradevole e malsana convinzione di vivere una vita non propria. Fuggire in quel mondo di fantasia, li dove l’anima si rifugia e si nasconde ogni volta che sente il peso degli insuccessi, delle sconfitte, della realtà. Mi sono reso conto che tutti i giorni che vivo sono parte di un unico sogno ad occhi aperti. Non saprei dire se il mio sogno sia bello o brutto, so solo che simile a quello strano, ma meraviglioso meccanismo che permette al nostro cervello di reinventarsi il mondo durante il sonno, io mi sono abituato a vivere delle mie fantasie. Riflessi dilatati e deformati da cenere di ricordi, luci e ombre di un mondo che solo io vedo. Com’è il mondo visto da qui? Il mondo visto con gli occhi di un cieco è una sorta di realtà parallela in cui tutto è come è e tutto è come vorremmo fosse. Ci sono persone che racchiudono il proprio mondo dentro di se; persone che non devono catturare immagini, aspettare che sia il proprio occhio a farlo, perché quelle immagini, quei volti, quei colori albergano nella loro mente, ne sono pilastro e fondamenta, prigioniere di una fantasia reale come un dolore acuto, una continua danza sul sottile confine tra follia e sanità mentale. Tutto può apparire diverso nella contrapposizione tra chi vede e chi immagina, tuttavia gli amici, gli affetti, gli amori sono uguali per tutti. L’esistenza è simile a una poesia, al testo di una canzone o a un romanzo, uguale a se stesso ogni volta che lo si ascolta o lo si legge e pure sempre diverso, cucito su ognuno di noi come un capo d’’alta moda fatto su misura, pronto ad adagiarsi leggero sul nostro corpo, ad adattarsi ad esso a seconda di ciò che gli viene richiesto; sicuro che tutti sono in grado di leggere, ma più che capirne il significato, gliene assegneranno uno sempre diverso e prettamente personale. Io sono nato ipo vedente e lo sono stato fino a quando quell’ottimistica illusione chiamata ipo, si è trasformata in un più duro e realistico non. So cosa vuol dire, il mio cervello è allenato a realizzare illusioni a volte, mi sono chiesto se sia più semplice creare fantasie o subire passivamente immagini reali. Non so, sono sicuro che potendo scegliere opterei per la seconda possibilità, non sono certo un ipocrita, ma quando ci inventiamo la realtà, ne siamo padroni assoluti. Tutto è nostro, perché come un Dio ci creiamo il nostro mondo su misura, senza condizionamenti di sorta. Quando la realtà invece è già lì che ci aspetta non dobbiamo far altro che adeguarci ad essa, cercando di ritagliarvi al suo interno lo spazio per i nostri sogni. Ognuno ha il proprio modo di raccontare la vita, a volte agli altri, più spesso a se stessi. Io Scrivo perché chi ha qualcosa da raccontare non deve e non dovrà mai avere timore né vergogna di farlo. Scrivo perché scrivere è come pregare e una preghiera non è altro che un foglio bianco con su disegnata la speranza che il mondo diventi un posto migliore. Scrivere, in un certo senso, è come vivere, l’inchiostro come sangue che da vita ai nostri sogni e se è vero com'è vero che la consapevolezza forgia il nostro essere, sono i sogni che forgiano l’unica parte di noi che come la scrittura è eterna, la nostra anima. Ringrazio gli amici che si sono prestati a diventare personaggi di una storia che hanno vissuto anche loro con me in prima persona e che sono sicuro, rivivranno volentieri attraverso le pagine di questo romanzo e con il mio stesso entusiasmo. In fondo lo hanno scritto insieme a me. Ringrazio mia madre e mio padre, perché senza di loro il mio mondo sarebbe stato ancor più buio di quanto non è. Allo stesso modo ringrazio Christian e Miryam. Ringrazio Rock, Milo e Natalina, che molto più degli esseri cosiddetti umani, hanno saputo e sanno portare affetto e felicità in questo mondo troppo egoista ed egocentrico. Grazie a chi ha ispirato questa storia e la vita dei suoi protagonisti. Grazie a Sacha, che ha avuto fiducia in me e ha saputo spronarmi nel riscrivere questa parte della mia vita. Grazie a Pierpaolo, Zorro come lui ama farsi chiamare, perché facendomi partecipare al suo progetto musicale “Shining line”, mi ha regalato uno dei brividi più intensi della mia vita, nonché la più grande soddisfazione nell’ambito della musica. Grazie a tutti coloro che mi sono stati vicini e lontani, non facendo ulteriori nomi per non far torto a nessuno. Tre citazioni speciali però sono d’obbligo. La prima è per il centro addestramento cani guida lions di Linviate in provincia di Milano, perché attraverso il loro lavoro, animali speciali come i nostri amici a 4 zampe diventano ancor’ più straordinari di quanto non siano già. La seconda è per il centro del libro parlato lions di Milano, che mi ha ridonato il piacere di affogare le ansie giornaliere in un bel libro nel quale affondare le radici della mia fantasia e mi ha pazientemente supportato nel mio forse folle intento di laurearmi. L’ultima, non certo per importanza, è per i ragazzi dell’ufficio disabili dell’università degli studi di Milano, il cui encomiabile lavoro è un fondamentale supporto per chi come me senza il loro aiuto non potrebbe inseguire il sogno di laurearsi. Ciò che regalano queste persone speciali è qualcosa che va ben oltre la mera utilità logistica. Il mondo può essere fantastico anche visto da qui! INIZIO "Solo nell’imprevisto l’anima non era cieca" Paul la Cour I 24 maggio 2003, sabato Calvizzano, Napoli. Come spesso accadeva, il mio letto mi apparve improvvisamente. Successe così, è qualcosa che non saprei spiegare, fu proprio come essere rapito da un meraviglioso miraggio. Un richiamo irresistibile al pari del mitologico canto delle sirene, alla fine di una splendida e deliziosamente faticosa giornata trascorsa a Sorrento con i miei amici. Il mio ventitreesimo compleanno, quanto tempo è passato… Un giorno, una data che a pensarci oggi sembra lontana nel tempo quanto il luccichio di un faro in una notte di ricordi. Una bella doccia una volta tornato a casa, un bel piatto di pasta e poi che vuo’ cchiù! C’era tuttavia un’altra cosa molto più importante da fare, qualcosa che come un assillante promemoria ricompariva nella mia mente puntuale come un aereo Lufthansa ogni volta che mi fermavo un istante a pensare ai fatti miei. Più che un’intenzione era diventata una sorta di scommessa con me stesso. Prendevo rapidamente coscienza però del fatto di essere sul punto di perderla, ineluttabile conseguenza della mia scarsa vena creativa di quei giorni. Quella sera avevo pianificato, speravo tuttalpiù, di far leggere ad una persona molto speciale la raccolta di poesie che cercavo di terminare da quanto; non lo ricordavo più. Perché ogni volta che scavavo nella mia mente così a fondo da poterci trovare petrolio e pensieri fossili, perdevo quasi del tutto il conto dei giorni che passavano. …mancava un ultimo tassello e poi… In quei giorni di fine maggio, quello che per me era sempre stato il più bello dei mesi, il periodo dell’anno in cui vuoi per le temperature gradevoli, vuoi per quel frizzante risveglio dei sensi Ego, il mio cervello, dava sempre il meglio di se. Il vento tiepido che sfiora i capelli delle donne, una brezza leggera come fosse il fiato del sole che stanco al tramonto conclude l’ennesima giornata di estenuante lavoro. E poi i profumi e la luce e i colori e la leggerezza degli abiti e la libertà dello spirito. Quello che provavo in simili momenti era come sentire il rumore sordo di un’idea. Si creava l’immagine, una visione vera e propria, poi l’impressione di aver fretta di tramutarla in scrittura per non perderla e quelle parole che sgorgavano dalle mie mani attraverso la tastiera del computer, come acqua da una bottiglia bucata che fino a quando non ne avessi versato l’intero contenuto in un file word, non avrebbe smesso di gocciolare. Mi aspettava una bella festicciola in famiglia. La primavera invitava sempre a trascorrere piacevoli ore insieme agli amici, gli affetti più cari e quella sera ci sarebbero stati tutti, seduti in ordine sparso tra il salone e il balcone di casa mia. Durante quel viaggio di sola andata che ci viene concesso una tantum, ci si imbatte in milioni di conoscenti, incontri più o meno casuali, persone che vedi una volta sola e riescono in qualche oscura maniera a cambiarti la vita e altri che, pur frequentandoli assiduamente, non lasciano alcun segno del loro passaggio nella memoria, allo stesso modo di un freddo, buio e inutile giorno di metà gennaio.
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