
A mio padre don Pippinu ‘u pitturi TORE MAZZEO Giuseppe Marco Calvino 2 poeti in 1 Corrao Editore • Progetto grafico della copertina Gaspare Mazzeo • Fotocomposizione Quick Service - Trapani • Stampa Arti Grafiche Corrao - Trapani Pubblicazione patrocinata dalla Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese Proprietà letteraria riservata dell’Autore PRIMA EDIZIONE Aprile 2004 (n. 700 copie numerate) Questa prima edizione è un Saggio gratuito fuori commercio INTRODUZIONE Accingendomi a scrivere quest’opera ho cercato, per prima cosa, di allontanare da me la pretenziosa idea di dover fare un saggio lettera- rio. Ho voluto, invece, accostarmi con umiltà al Poeta, tramite i suoi manoscritti, ed immaginare, leggendoli, di sentirlo, dentro di me, into- nare le sue poetiche declamazioni solitarie, fatte di grida gioiose ma anche di pause sospirose, di tremuli sussuri e di qualche irritato mur- mure per un verso mal riuscito o un sinonimo introvabile. Le voci di questo poeta morto, io le ho sentite, di sovente, nei lunghi silenzi notturni della mia casa ormai solitaria; allora, per smettere la mestizia, al mattino mi recavo in biblioteca come se andassi in casa di un amico poeta, da lui invitato a guardar le sue carte. Lì osservavo la sua scrittura ottocentesca sui fogli sbiaditi dal tempo, i disegnini e gli svolazzi (a decoro delle manuali stesure), sui librettini lisi dall’antico uso; guardavo le tormentate correzioni ed i manifesti pentimenti delle sovraccorrezioni, sforzandomi di concepire il suo mede- simo pensiero su una parola giusta, apprezzando un’elisione che faceva correre il verso, dubitando su una virgoletta per noi moderni superflua, gioiendo per un vocabolo risuscitato o per una locuzione ritrovata. Immaginavo, a volte, di seguirne i passi attraverso le vie della città medievale, spiarne l’osservanza delle convenzioni dal modo di com- portarsi salutando una signora, un amico o un conoscente oppure osservando una donna bella o ammirando una giovane fresca come una forosetta dei suoi versi. Una pubblicazione organica capace di dare una diffusa informazio- ne sulla vita e sull’attività letteraria del poeta Giuseppe Marco Calvino, non è stata mai fatta. INFORMAZIONE – DIDASCALICITÀ – DIFFUSIONE sono ele- menti, tra di loro complementari, che, se correttamente applicati, avrebbero consentito di realizzare la COMUNICAZIONE divulgativa del personaggio CALVINO: UOMO – POETA. – 7 – Su Calvino invece, fino ad oggi, c’è stato solo l’entusiasmo di alcu- ni suoi estimatori, fra l’altro ormai spento, che hanno pubblicato apprezzabili articoli o piccole biografie su riviste letterarie o rassegne periodiche di modesta diffusione, oppure ottimi scritti di storici che hanno, com’è di lor mestiere, trattato il “fenomeno” Calvino come un poeta del suo tempo, ma soprattutto dei suoi luoghi. Questi lodevoli comportamenti letterari, hanno avuto il difetto di far passare la comunicazione soltanto fra le élite culturali. Altri letterati invece, e fra di essi persone rispettabili e per altri ver- si degne, hanno silenziosamete manifestato indifferenza o fastidio, oppure forse, hanno accolto, da persone dai garbati modi, consigli o… preghiere affinchè assumessero nei riguardi del nostro Poeta atteggia- menti di agnosticismo di buona maniera. Consapevole di quanto è fino ad oggi accaduto e convinto che la cultura generale fa bene alla società più di ogni cosa, mi sono fatto promotore di una necessaria opera di divulgazione letteraria. Perciò ben vengano le divulgazioni di poeti o scrittori o di altri con- cittadini che hanno illustrato la scienza, le belle lettere e la storia: a condizione però che queste opere siano scritte con umiltà e piacevolez- za, come sapevano fare i nostri maestri di scuola dei tempi che furono. I potenziali lettori di opere siffatte hanno spesso un diffidente approccio alla lettura, sia per negative passate esperienze, sia per la naturale avversione acquisita sui banchi delle scuole, dove i testi, soventemente, risultano logorroici ed inadeguati alla naturale immatu- rità dei discenti. Molti trapanesi, i concittadini del Poeta e tra loro “genti comu gen- ti”(1), lo scambiano per Salvatore Calvino, al quale è intestato l’Istituto tecnico commerciale della città ed altri ancora, addirittura (sono pron- to a giurarlo), per l’uomo che inventò la rianata.(2) Stando così le cose, da uomo responsabile che ama la propria città (e spesso anche la odia), ho deciso di scrivere, senza troppe pretese let- terarie questo saggio divulgativo con il fine di far conoscere questo sfortunato Poeta, la cui principale disgrazia (che per essere un epicu- reo è la più grande) è stata quella di morire nel fior degli anni, quan- do, forse, stava meditando di rivedere le sue opere. L’autore (1) Gente di notevole levatura morale o anche sociale. (2) Sorta di pizza trapenese con molto origano. – 8 – 1. GLI ALBORI DELLA LETTERATURA ITALIANA: I SICILIANI “Non dubito che quanti abbiano non interrottamente percorse la varie epoche della letteraratura italiana, si siano più volte mera- vigliati che la bella Sicilia, la quale apparve primamente in iscena a sviluppare e a ingigantire la nuova favella scritta della penisola, sparisse dalla storia senza ricomparire mai più per lo spazio di cin- que secoli; quasi il genio dei suoi fervidi ammiratori cadesse spen- to con la dinastia sveva sotto il ferro dei barbari angioini ” Sono parole di Paolo Emiliani - Giudici, il primo letterato che diede un ordine capitolare ai vari movimenti letterari degli italia- ni.(1) Gli albori della letteratura italiana si ebbero in Sicilia sotto il regno di Federico II° di Svevia(2) nel periodo che corre tra il 1230 ed il 1250. Nacque e si formò, in quel tempo, la “scuola siciliana”, i cui poeti furono detti “i siciliani”. Essi, aprendo ai ritmi dei giul- lari, alle cantate delle corti vescovili e a quelle dei monasteri bene- dettini, nonché alla poesia religiosa delle salmodie francescane ed a quella lirica ed epica dei provenzali, formarono un gruppo omoge- neo che segnò una grande traccia nella unità linguistica italiana. Difficile localizzare questa primaria manifestazione poetica favorita dal giovane imperatore che gli ammiratori, per la sua gran- de cultura umanistica, chiamarono la meraviglia del mondo; se cioè essa ebbe a manifestarsi a Palermo, a Messina, o altrove. Sta di fatto comunque che le prime espressioni poetiche di cui si dispone provengono da un gruppo di giuristi e notai della corte impe- riale. Con essi la poesia non venne più cantata, ma soltanto declama- ta e perciò gustata e meglio compresa, perché ascoltata nella lingua volgare da una voce solista. – 9 – E fu così che il labbro di un poeta, che per primo verseggiò d’a- more in volgare, fu quello di un siciliano. Purtroppo questo splendido periodo storico si spense con la dominazione degli Angioini (1266), ai quali successero, poco dopo, gli Aragonesi. Queste vicende cambiarono l’ordine politico e ammi- nistrativo della Sicilia, sicché essa non poté più partecipare al movi- mento culturale della unificazione letteraria italiana. Tacquero per sempre i “siciliani”, quei poeti che con le loro ope- re avevano ingentilito il “volgare” e, con la loro scomparsa, la poe- sia emigra verso altri lidi ed è accolta in Toscana ove, col tempo, diviene l’incantevole linguaggio dei poeti italiani. Muta restò la musa di Jacopo da Lentini che aveva cantato sol- tanto l’amore, come in questi dolcissimi versi: Madonna, dir voi voglio Como l’amor m’ha priso Inver lo grande orgoglio Che voi bella mostrate, E non m’aita. Oi lasso lu meo core Che in tante pene è miso Che vive quando more Per ben amare… Dante, pur non nominando questo poeta, lo rammenta nel “De vulgari eloquentia” e, nel canto XXIV, 56 del “Purgatorio”, lo elogia come il caposcuola della poesia che precedette il “dolce stilnovo”. Aveva cantato Amore anche Ciullo d’Alcamo, o forse Cielo d’Alcamo(3) nel suo ormai conosciutissimo “contrasto”, altra nuova invenzione poetica amorosa, ove Amante e Madonna duettano, l’u- no chiedendo, l’altra non concedendo fino a quando la passione li avvince entrambi. Dolce poesia d’amore come forse solo un siciliano avrebbe potuto scrivere; versi purissimi ed incantevoli: Rosa fresca aulentis- sima/ c’appari in ver la state…oppure ingenui: Tu non m’ami, ma io molto t’amo/ m’ai preso come un pesce all’amo… – 10 – E per secoli riposano nei chiusi manoscritti i versi di Jacopo Mostacci, di Federico II, di Ruggieri d’Amici, di Ruggerone da Palermo, di Enzo Re, di Stefano protonotaro, di Mazzeo di Ricco e tanti altri ancora. Francesco De Sanctis(4) sostiene che “i Siciliani” si spensero ancor prima che “questa vivace e fiorita coltura …acquistasse una coscienza più chiara di sé e venisse a maturità…- ed aggiunge -: Nata feudale e cortigiana questa coltura diffondevasi già nelle clas- si inferiori ed acquistava una impronta tutta meridionale. Il suo carattere non è la forza né l’elevatezza, ma una tenerezza raddolci- ta dall’immaginazione e non so che molle e voluttuoso riso di natu- ra… La vita italiana, mancata nell’Italia meridionale in quella sua forma cavalleresca e feudale, si concentrò in Toscana. E la lingua fu detta toscana e toscani furon detti i poeti italiani. De’ siciliani non rimase che questa epigrafe: Che furon già primi e quivi eran da sezzo”.(5) – 11 – N O T E: (1) Emiliani-Giudici Paolo: Letterato, storico letterario, siciliano di Mussomeli (1812-1872), è considerato uno dei primi periodizzatori della storia della lette- rartura italiana. Fu deputato al parlamento, professore di estetica alla Univer- sità di Firenze. La sua opera più importante è la “Storia della letteratura italia- na”, Firenze, 1855, nata in precedenza, nel 1844, come “Storia delle belle let- tere in Italia”. (2) Federico II° di Svevia: Figlio di Enrico IV e di Costanza d’Altavilla (1194 – 1250). Nel 1208 re di Napoli e di Sicilia; nel 1215 re tedesco; nel 1220 impe- ratore.
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