Stefania Consigliere dispense del corso di Paleoantropologia Università degli Studi di Genova corso di laurea triennale in Scienze geografiche applicate. Territorio ambiente turismo. a.a. 2007-2008 Questo documento è pubblicato sotto licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale 2.5; può pertanto essere liberamente riprodotto, distribuito, comunicato al pubblico e modificato; la paternità dell'opera dev'essere indicata; non può essere usata per fini commerciali. I dettagli legali della licenza sono consultabili alla pagina http://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.5/ Indice Diventare umani 1 La filosofia della natura nell'antichità 8 Un'epoca di transizione 15 L'evoluzione per selezione naturale di Darwin 27 Dalla genetica alla Sintesi moderna 35 I geni, i dogmi e l'evoluzione plurale 46 Il mondo vivente 57 I parenti prossimi 68 La paleoantropologia 80 La galleria degli antenati 88 Linee portanti nell'evoluzione umana 104 Fossili di cultura 123 Il linguaggio 134 Bibliografia 150 Diventare umani § Una disciplina schizofrenica e una domanda L'antropologia, come si sa e come il nome stesso dichiara, è lo studio dell'uomo: «discorso sull'uomo», appunto. E qui cominciano i problemi. I discorsi sull'uomo sono infatti innumerevoli e in un certo senso ogni discorso è sempre, anche, un discorso sull'uomo. Parlare di società, di musica, di letteratura, di storia, di politica, di economia, di architettura, di moda, di biologia, significa parlare dell'anthropos; ma anche parlare di matematica, fisica, chimica, astronomia significa chiamare in causa l'anthropos: sia perché, in quanto parte del mondo, l'uomo è anche fisica, chimica e misura, sia perché si tratta di campi di sapere definiti e riempiti dall'attività conoscitiva umana – e quindi storici, mutevoli, soggetti ai rovesciamenti che caratterizzano tutte le faccende umane. Occorre allora distinguere due diversi oggetti che vanno sotto il medesimo nome di antropologia. Da un lato, l'antropologia è una disciplina scientifica oggetto d'insegnamento accademico; dall'altro, essa è un modo di guardare al mondo che si trova fin da subito in connessione con moltissimi campi del sapere e in singolare contiguità con la filosofia. In quanto disciplina scientifica, l'antropologia ha un campo di ricerca circoscritto dalle tabelle ministeriali, e quindi variabile da nazione a nazione, da un sistema accademico a un altro. In generale, essa si occupa, talora con nomi diversi, della storia naturale dell'uomo (è questo il campo di ricerca dell'antropologia biologica) e della conoscenza degli usi e dei costumi delle popolazioni "altre" (campo d'indagine dell'antropologia culturale, o etnologia)1. Antropologia biologica e antropologia culturale viaggiano separate: ciascuna ha i suoi metodi, i suoi concetti, i suoi numi tutelari, le sue cattedre, le sue piste di ricerca. Entrambe le antropologie hanno prodotto quantità ragguardevoli di dati e di interpretazioni, che tuttavia raramente «si parlano» e che sembrano trattare oggetti completamente differenti. Da un lato lo studio dell'essere umano come specie biologica: come si è evoluto (paleoantropologia), quale variabilità presenta, quali i caratteri genetici (antropologia molecolare) e fenotipici (antropometria), quali le tappe biologiche dello sviluppo (auxologia) ecc. Dall'altra parte descrizioni, spesso affascinanti e quasi sempre molto accurate, dei modi di vita delle popolazioni "non occidentali": i sistemi matrimoniali, le credenze, le pratiche magiche, sciamaniche e religiose, l'organizzazione sociale ecc. Un medesimo «oggetto» viene così trattato in due modi completamente diversi, in ossequio alla partizione, ovunque rispettata, fra scienze hard e scienze umane. La dicotomia fra i due approcci non è un tuttavia un problema occasionale nel sistema delle discipline scientifiche, che possa essere superato con un po' di buona volontà e applicando l'interdisciplinarietà: piuttosto, essa segnala qualcosa di più profondo, l'azione di una partizione che non è solo di superficie. La schizofrenia dell'antropologia ricalca quella, tipica del pensiero occidentale, fra natura e cultura, fra universalismo e relativismo. Per ciascuna cosa, e quindi anche per gli uomini, esiste un'unica natura, universale, immutabile, da apprendere come mero dato di fatto: questa presunta natura unica e universale della specie Homo sapiens è oggetto d'indagine della bioantropologia; ma poi, anche, esistono al mondo diverse culture, una molteplicità di modi di pensare, di sistemi familiari, di regimi dietetici: in questa babele si muove l'etnologia, alla ricerca di costanti. I due approcci (quello alla natura praticato dalla bioantropologia e quello alle culture praticato dall'etnologia) sono solo apparentemente divergenti; di fatto, si tratta delle due facce di una stessa medaglia, quella che, prendendo ciò che oggi è come dato di fatto assoluto, destoricizza i processi evitando così di porre la domanda fondamentale, l'unica in grado di tenere insieme biologia e cultura, filogenesi e ontogenesi: come si diventa umani? 1 Questa, quantomeno, è la partizione delle tabelle ministeriali italiane, che separano l'antropologia (settore scientifico- disciplinare BIO/08), disciplina che studia la biologia e l'evoluzione umana, dalle discipline demo-etno-antropologiche, che studiano gli usi e i costumi degli "altri. Altrove, le linee di discrimine sono tracciate in modo diverso: il sistema accademico statunitense, ad esempio, usa una partizione in quattro campi: antropologia fisica, antropologia socio-culturale, antropologia linguistica, archeologia. 1 § Ben più che un programma biologico Essere umani, far parte dell'umanità, non significa solo essere un membro della specie Homo sapiens. A differenza di quello che accade alle altre specie, negli esseri umani la biologia non basta, essere dotati del corredo biologico che caratterizza la specie non è sufficiente: per arrivare a essere umani serve anche un lungo processo di umanizzazione. Vediamo qualche esempio. I documentari naturalistici mostrano a volte le femmine di diverse specie mammifere selvatiche nell'atto di partorire: il cucciolo, espulso rapidamente e senza troppo dolore, si alza in piedi dopo pochi minuti e comincia a succhiare il latte; un'ora dopo il parto è già in grado di camminare da solo: l'accudimento della madre può limitarsi a una generica protezione e all'allattamento. Ancora più chiari gli esempi che vengono da specie animali non mammifere, in cui l'accudimento genitoriale è, nella più parte dei casi, del tutto assente2. In tutte queste forme viventi (e parliamo della stragrande maggioranza del mondo vivente), essere – biologicamente parlando – membro della specie, essere dotati del corredo biologico tipico di quell'insieme di organismi, è condizione necessaria e sufficiente al raggiungimento dell'età adulta e allo svolgimento della vita secondo i criteri propri di quel gruppo vivente. Fra gli umani, invece, le cose vanno in modo completamente diverso. I piccoli non solo non sono in grado di sopravvivere da soli, ma restano del tutto sprovveduti per un periodo lunghissimo, durante il quale altri membri del gruppo devono fornir loro continuo sostegno materiale e affettivo. È bene notare qui, fin da subito, che questa caratteristica non è esclusiva della specie Homo sapiens, che la condivide con le specie facenti parte dei cosiddetti "mammiferi superiori" (primati, elefanti, mammiferi marini ecc.): tutte queste specie hanno bisogno, esattamente come gli esseri umani, di accudire i piccoli per un periodo più o meno prolungato, di farne degli adulti tramite un processo più o meno lungo di acculturazione. Ciò che è eccezionale nella nostra specie è la durata delle cure parentali, la loro intensità, il grado della loro necessità per lo sviluppo del piccolo e la notevole "prematurità ontogenetica" dei bambini alla nascita. Se già nei mammiferi superiori il programma biologico è solo una parte di ciò che serve per il raggiungimento dell'età adulta, negli esseri umani il mero programma biologico è del tutto insufficiente al raggiungimento della condizione, in senso proprio, di «essere umano». Un bambino che non venga immediatamente accolto da una comunità non solo non sviluppa le qualità che differenziano gli umani dal resto del mondo vivente (facoltà di linguaggio, di astrazione, di calcolo, di progettazione, di affetto ecc.), ma, più radicalmente, non sopravvive. L'«uomo naturale», l'«uomo in generale», il mero esito del programma biologico, non esiste. Mentre, quindi, un coccodrillo è un coccodrillo fin dal suo concepimento, e così per tutte le specie viventi che, nell'arco della loro esistenza, sviluppano in modo più o meno ineludibile un preciso programma biologico, gli esseri umani diventano esseri umani solo attraverso un lunghissimo processo di plasmazione in cui il programma biologico, più che fissare limiti, sembra aprire potenzialità – potenzialità che devono essere riempite per via culturale, pena la non sopravvivenza del piccolo, o quantomeno il suo sviluppo dimidiato. L'azione essenziale e ineludibile di ciascuna cultura è quindi quella di «mettere in forma» le potenzialità che il nostro programma biologico lascia aperte, plasmando gli individui secondo linee precise, trasformando la mera materia Homo sapiens in un adulto specifico. Bisogna guardarsi dal pensare a questo processo come a qualcosa di esclusivamente "mentale", astratto, che si aggiungerebbe come un vestito sopra una natura materiale vera e immodificabile: nel processo che ogni cultura mette in atto per umanizzare i propri membri ne
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