27.11.1992 PIETRO GIBELLINI il nodo dello stil nuovo1 Parliamo del "dolce stil nuovo", commentando un testo poco familiare agli studenti e raramente riportato dalle antologie scolastiche. E' il sonetto che Bonagiunta Orbicciani da Lucca indirizza a Guido Guinizzelli (l'amanuense scrisse "Guinisselli"): Bonagiunta da Lucca a messer Guido Guinizzelli Voi, ch'avete mutata la mainera de li plagenti ditti de l'amore de la forma dell'esser là dov'era, per avansare ogn'altro trovatore, avete fatto como la lumera, ch'a le scure partite dà sprendore, ma non quìne ove luce l'alta spera, la quale avansa e passa di chiarore. Così passate voi di sottigliansa, e non si può trovar chi ben ispogna, cotant'è iscura vostra parlatura. Ed è tenuta gran dissimigliansa ancor che 'l senno vegna da Bologna, traier canson per forsa di scrittura. Ad esso rispose il Guinizzelli: Messer Guido: risposta al soprascritto Omo ch'è saggio non corre leggero, ma a passo grada sì com' vol misura: quand'ha pensato, riten su' pensero infin a tanto che 'l ver l'asigura. Foll'è chi crede sol veder lo vero e non pensa che altri i pogna cura: non se dev'omo tener troppo altero, ma dé guardar so stato e sua natura. Volan ausel per air di straine guise ed han diversi loro operamenti, 1 Testo rivisto dall'Autore. né tutti d'un volar né d'un ardire. Déo natura e 'l mondo in grado mise, e fe' despari senni e intendimenti: perzò ciò ch'omo pensa non dé dire. Ma i due sonetti polemici del Lucchese e del Bolognese vanno esaminati tenendo presenti alcune terzine dal XXIV canto del Purgatorio di Dante Alighieri: "Ma dì s'i' veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando Donne ch'avete intelletto d'amore". E io a lui: "I' mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando". "O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo che 'l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo! Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che de le nostre certo non avvenne; e qual più a gradire oltre si mette, non vede più da l'uno a l'altro stilo"; e, quasi contentato, si tacette. Dante definisce lo Stilnuovo Il "nodo" rappresentato da questa categoria critica (il "dolce stil nuovo") dobbiamo scioglierlo portandoci idealmente a quella fine del Duecento in cui la "novità" venne polemicamente percepita dai "conservatori" ed esemplarmente teorizzata da Dante, e cercando di capire come il problema era visto da loro. E' dunque Dante a fornire la definizione di "dolce stil nuovo", nel XXIV del Purgatorio. In questo canto il Poeta incontra Bonagiunta Orbicciani, lucchese, un poeta della generazione precedente: Bonagiunta, quando vede il mistico pellegrino che sta visitando il Purgatorio, lo interpella offrendogli il destro per la sua folgorante definizione di poetica. Il senso generale del discorso è chiaro, ma conviene sottolineare i punti essenziali: 1. Bonagiunta riconosce in Dante l'iniziatore del nuovo stile (o, come vedremo, colui che compi e portò a pienezza e perfezione la renovatio). 2. Il testo-svolta è costituito dalla canzone "Donne ch'avete intelletto d'amore". Il verbo "cominciato" ha un valore tecnico: nel Medioevo per dare il titolo ad un componimento, si dava l'incipit, il capoverso. E "Donne ch'avete intelletto d'amore" è una canzone che, all'interno della Vita Nuova, introduce le rime ispirate alla nuova poetica, allo "stile della lode". Si aggiunga che anche "dolce" ha un significato tecnico: allude a una maniera da trobar leu, sublime nella semplicità, opposta all'artificiosità del trobar clus e alle dissonanze delle rime "aspre e chiocce" congrue a una materia polemica o a un stato d'animo travagliato. Dante dà poi la sua celebre definizione: si paragona a un copista che scrive sotto dettatura; ma il "dittatore" è la personificazione dell'amore, l'Amore in persona che gli parla "dentro" (in interiore homine est veritas...), il poeta si limita a trascrivere quel dettato interiore. E' una risposta modesta e ambiziosissima: modesta, perché egli si trasforma da inventore in fedele registratore; ambiziosa, perché finisce per attribuirsi il ruolo dell'agiografo; come l'evangelista non è autore del vangelo, ma puro tra scrittore ispirato da Dio, Dante è l'agiografo del dio d'Amore. Di colpo, quella risposta apre gli occhi a Bonagiunta. Adesso (come dice con una espressione municipale lucchese, "issa", dal latino ipsa hora), egli capisce qual nodo, quale impedimento trattenne al di qua del nuovo stile il Notaro, cioè Giacomo da Lentini (identificato come il caposcuola dei Siciliani), Guittone d'Arezzo (riconosciuto come leader dei siculo-toscani, o piuttosto - cercherò di dimostrarlo - come capofila di una linea di "trovare artificioso", del trobar clus, dello scrivere difficile, della bravura per artificio), e Bonagiunta (rappresentante dell'altro partito dei siculo-toscani, quello per cui l'artificio provenzaleggiante veniva volto verso il trobar leu). Lo capisco così bene - prosegue Bonagiunta -, che ora mi rendo conto di perché le vostre penne volarono alto, segnando un distacco enorme fra nuova e vecchia maniera: il passaggio dall'uno all'altro "gradino" poetico è frutto di rivoluzione, più che di evoluzione. La comprensione di Bonagiunta ci ricorda che il Purgatorio è il luogo in cui le anime, oltre a scontare il castigo per il male fatto, si "perfezionano", raggiungono cioè quei traguardi morali e conoscitivi che in vita non sono stati pienamente toccati .Le anime del Purgatorio, secondo Dante, vanno "solvendo un nodo", ad ogni passo che fanno, sulla via del perfezionamento. Evidentemente anche Bonagiunta qui ha sciolto, dopo la morte, quel nodo che in vita non era riuscito a districare. Perché Bonagiunta? Ma chiediamoci: perché Dante ha scelto proprio Bonagiunta? Perché, fra tanti poeti anche maggiori del lucchese, ha deciso di spiegare lo stil nuovo proprio a Bonagiunta? La risposta la dà il sonetto Voi ch'avete: il più lucido e drastico attacco polemico che un rimatore della vecchia maniera aveva mosso all'innovatore, a Guido Guinizzelli. Accontentiamoci per il momento di una prima parafrasi letterale. Bonagiunta si rivolge al colto poeta-notaio bolognese, morto nel 1296, autore di un gruppo di rime divise tra fermenti nuovi e tradizione sicilianeggiante, rimproverandolo di aver cambiato per ambizione (per superare ogni altro trovatore, poeta) la maniera tradizionale della piacevole lirica amorosa, de li plagenti ditti de l'amore. Strettamente agganciata al canto nelle sue origini provenzali, la lirica aveva registrato un progressivo "divorzio" tra parole e musica: nei suoi sviluppi italiani, la parola è anteriore alla musica, che può ornarla (ma non necessariamente) in un secondo tempo. Però anche quando alludono alla poesia scritta, gli autori duecenteschi mantengono le sue caratteristiche di sonorità e di oralità. Gli antichi non leggevano quasi mai coi soli occhi, ma ad alta voce (come i latini). Così, come i metri conservano le denominazioni originate dall'iniziale esecuzione vocale-strumentale (sonetto, canzone) o danzata (ballata), Dante nella Vita nuova usa l'espressione "dir parole" per indicare la composizione di versi. Trovatore, del resto, è colui che inventa o reperisce dei tropi musicali. Perciò Bonagiunta indica la poesia con il termine ditti, ma aggiunge che sono "piacenti" e che trattano di "amore": formula cioè una poetica che collega la lirica alla materia amorosa e a una finalità di diletto. La poesia di Guinizzelli, prosegue Bonagiunta, è simile alla luce, che dà splendore alle parti oscure, ma non per noi, qui in Toscana, dove splende l'alta sfera (il globo solare o il raggio luminoso) che supera e sorpassa per chiarità ogni altro poeta. Quanto a voi (dice ancora il poeta), superate tutti per sottigliezza intellettualistica, e nessuno sa ben esporre, cioè commentare adeguatamente, la vostra poesia (parlatura), tanto essa è oscura. Conclude, poi, il Lucchese: è ritenuta da noi una grande stramberia, sebbene (e lo dice con ironia o sarcasmo) la vostra cultura venga dalla dotta Bologna, trarre faticosamente canzoni dalla scrittura, ovvero (ma il senso non muta) trarle grazie alla scrittura. A questo testo di Bonagiunta, Dante allude anche attraverso la forte caratterizzazione linguistica municipale del suo interlocutore (i lucchesismi abbondano nel sonetto: sprendore, quìne, la conversione di z in s), e con una citazione mascherata, là dove scrive "colui che fore / trasse le nove rime", riprendendo il verbo del Lucchese: "traier canson per forsa di scrittura". Ma, chiarito a quale testo pensa Dante, chiediamoci: a quale testo di Guinizzelli si riferisce il Lucchese? Per quale poesia rivolge l'accusa di oscurità e di stramberia? Il testo di Guinizzelli che ha "cambiato la maniera" deve essere quasi con certezza la canzone programmatica Al cor gentil rimpaira sempre amore. Bonagiunta parla precisamente di "canson" e, delle cinque canzoni rimaste di Guinizzelli, questa è l'unica d'impronta stilnovista: nel composito canzoniere di Guido, abbiamo vari sonetti stilnovistici, accanto a testi di vecchia maniera (cortese, siculo-provenzale), e di altro registro (come il bel sonetto "comico" a Lucia), ma Al cor gentil è l'unica canzone stilnovistica. Lo stesso Dante l'aveva implicitamente indicata come manifesto della nuova poesia, alludendovi in un sonetto della Vita nuova, "Amore e 'l cor gentil sono una cosa / sì come il saggio in suo dittare pone" (XX), che comincia parafrasando l'incipit guinizzelliano e dove Guido è detto "saggio", con l'espressione cioè ch'egli
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