Pasta Letteraria

Pasta Letteraria

ANTOLOGIA LETTERARI DELLA PASTA V-II sec. a.C. - Le lasagne siciliane Anche dai “frammenti sulla Gastrologia” di Archestrato di Gela, il quale disapprovò l’uso di olio e di altri untumi nei cibi, e rese più raffinata l'arte di condirli, apprendiamo che: «Poscia le strisce di paste ne mangia E calde e intrise in forte salsa». In: ARCHESTRATO di Gela, Gastrologia, a cura di D. Scinà, Palermo (I), R. Stamperia, 1823, p. 63. da: SADA Luigi, Spaghetti e Compagni. Edizioni del Centro Librario, Biblioteca de “La Taberna”, Bari (I), 1982, p. 27. V-II sec. a.C. - La pasta fritta dei siciliani Antifone nella sua opera ricorda che: “I Siciliani erano in quei dì famosi nell’arte delle paste, e de’ confortini e degli intingoli, e degli altri saporetti, con cui condivano le vivande”. Si parla anche di “lasagne verdi” preparate impastando la farina con lattuga tritata, pepe e grasso di maiale; la pasta così ottenuta, veniva fritta in olio. Si tratta del laganon appulo-lucano-calabrese, prodotto soprattutto a Taranto, città famosa per le ricche “mense”, e immigrato a Roma per opera del poeta venosino Orazio. In: ANTIFONE, Presso Ateneo, libro XIV, cap. 23, p. 647, 661 da: SADA Luigi, Spaghetti e Compagni. Edizioni del Centro Librario, Biblioteca de “La Taberna”. Bari (I), 1982, p. 27. I sec. a.C. - Le Lixulae di Terenzio Marco Terenzio Varrone nel suo De lingua latina parla di Lixulae, specie di gnocchi ottenuti impastando acqua con farina e formaggio, che, olim (un tempo, cioè anteriormente al secolo in cui visse lo scrittore latino), erano considerati tra i cibi più poveri, facendo parte di quei 'ripieghi' alimentari lavorati, conservati e cucinati da quegli strati sociali meno abbienti, completamente dipendenti dalle distribuzioni gratuite di grano. La pasta era insomma un rimedio alle emergenze alimentari, una risposta dei ceti più bassi alle crisi di approvvigionamento sempre potenzialmente presenti. In: VARRONE Marco Terenzio, De lingua latina. da: MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 9. I sec. a.C. - Le lasagne di Apicio Nel IV Libro del De re coquinaria di Apicio ritroviamo le lagane cucinate in modo da trasformarle quasi in un emblema del "mangiar da ricchi". Sono infatti composte alternando strati di svariate polpe di carne e pesce, sminuzzate, bollite e insaporite con ogni ben di Dio, con strati di sfoglia: «quotquot posueris, tot trullas impensae desuper adficies» (quante sfoglie porrai, altrettanti ramaioli gettavi sopra di condimento). Infine «unum vero laganum fistula percuties, et superimpones» (una di quelle sfoglie spianala bene col mattarello e stendila sopra come coperta). Il testo apiciano si dilunga nella descrizione della preparazione degli impasti della carne e degli intingoli, ma non dice nulla a proposito di come si doveva procedere nella confezione delle lagane: questo dimostra indirettamente che all'epoca a nessuno era sconosciuto questo tipo di pasta né come si faceva. Sempre nel IV libro della sua opera Apicio ci fornisce un'informazione molto importante riguardo la pasta e in particolare riguardo la pasta secca. Egli suggerisce infatti di usare, a dire la verità come addensante, specie per il brodo, le tractae: «cum furberit, tractam confriges, obligas», quando bolle rompi una sfoglia di pasta e con questa addensa. E, nel Libro VIII, in una delle sue complicate ricette per stracotti, si accenna alle tractae, da sminuzzare nel sugo per infittirlo (“… tractam siccatam confringes et partitibus caccabo permisces”). Le tractae erano ottenute lavorando gli impasti di farina in modo che risultassero ben schiacciati e pressati e così lievitassero meglio. Il fatto poi che fosse una sfoglia da spezzare, non lascia dubbi: si tratta di una sfoglia secca, e perciò frantumabile. Ma si può fare anche un'altra deduzione e cioè che si trattasse di una sfoglia di semola di grano duro, poiché il termine tracta indica un grande sforzo di mani, sforzo che sarebbe stato certamente minore se si fosse impastato con farina di grano tenero. E forse queste tractae, usate da Apicio in modo per così dire indiretto, cioè in pietanze rese nobili e ricche da altri ingredienti, altro non sono che una versione povera delle lasagne, o meglio, di quelle stesse lagane che Orazio mangiava con porri e ceci. In: APICIO, De re coquinaria, Libro IV, Libro IX. E in: APICIO C., Delle vivande e condimenti, ovvero dell’Arte della cucina. Venezia (I), 1852. da: MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 10; PORTESI Giuseppe, L’industria della pasta alimentare. Roma (I), Molini d’Italia, 1957, p. 12. 35 a.C. - La cena di Orazio Q. Orazio Flacco (65 a. C. - 8 a.C.) nella satira VI del I Libro, al v. 115 dopo aver rinfacciato al pretore Tiburto che non può muoversi per le vie di Tivoli se non ha al seguito cinque servi, gli dice: “Per questo e per molte altre cose, o preclaro senatore, io vivo molto più comodamente di te. Io mi reco da solo dove mi piace. Chiedo quanto costi l’insalata e il farro. E sulla sera vago per il circo pieno di imbroglioni. O spesso, per il foro, mi fermo dinanzi agli indovini. Inde domum me ad porri et ciceris refero laganique catinum. E poi me ne ritorno a casa, alla mia cena e alla mia scodella piena di porri, di ceci e di lasagne”. In: ORAZIO, Satire. Libro I, satira VI, v. 115. da: AGNESI Vincenzo, Alcune notizie sugli spaghetti. Raccolte da V.A. Imperia (I), p.m., 1975, p. 23; MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 10. 850 d.C. - La pasta del musicista Il musicista arabo Ziryab, passato alla storia con lo pseudonimo di Petronio Arabo, portò in voga nella Spagna dell'emirato di Abd-ar Rahman II, l'arte della cucina e della tavola elegante e introdusse vari cibi, sempre esteticamente disposti sulla tavola, fra i quali compaiono anche certi impasti di farina che hanno le caratteristiche delle paste alimentari. In: ROCCHI Lorenzo, 10 ottobre 1957, cit. da: AGNESI Vincenzo, Alcune notizie sugli spaghetti. Raccolte da V.A. Imperia (I), p.m., 1975, p. 27. da: MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 11. 832-1061 - Gli Arabi in Sicilia e la pasta E’ in questo periodo che gli Arabi introducono l’uso dell’essiccazione delle paste alimentari in Sicilia. Luogo di produzione fu Trabìa. Ne parla Michele Amari, “Tarbî ‘ah, che suona la ‘quadrangolare’ e noi n’abbiam fatto Trabia, era amena villa: le grosse polle d'acqua, che sgorgan quivi a pie’ della roccia, movean di molti molini; e vasti casamenti erano addetti a lavorare l'itrija, vogliam dire le paste e particolarmente i vermicelli, de’ quali si caricavano bastimenti e spedivansi in Calabria e in tanti altri paesi di Cristiani e Musulmani: onde si vede come l'industria cittadina raddoppia il valore prodotto dall'industria agraria, e apprestava materia di nuovi guadagni alla navigazione”. Il passo dell'Amari, è evidente, è una parafrasi de “Il libro di Ruggero” dell'arabo Idrisi. In: Storia dei Musulmani di Sicilia, 2° ed. con note a cura di C. Natalino, Catania (I), Prampolini, 1939, vol. III, parte III. da: SADA Luigi, Spaghetti e Compagni. Edizioni del Centro Librario, Biblioteca de “La Taberna”. Bari (I), 1982, p. 28. In nota: “In Palermo le paste lunghe e non bucate, dette vermicelli di tria, sono assai sottili. Quel vocabolo è passato anche nello spagnolo aletria [al 1726 il Corominas, nel suo Diccionario critico etimologico de la lengua castellana, Berna, 1954-57, I, p. 108, fa risalire tale voce], che si vegga in DOZY ed ENGELMAN, Glossaire, etc. Il Qâmûs spiega il vocabolo itrja “cibo di farina in forma di fili”. La gabella su l'itrija facea parte de’ diritti fiscali ne’ tempi normanni. V. GREGORIO, Considerazioni, lib. I. cap. 4, nota 21”. 1041 - Maccheroni… da soprannome Nel Codex Diplomaticus Cavensis (Cava dei Tirreni, Salerno) si cita un certo «Nardus de Mari qui dicitur Mackarone» proveniente dai dintorni di Nocera, che nell’aprile 1041 vende un terreno. Il documento è importante ai fini della storia della pasta poiché, anche se il termine vi compare nel senso traslato di sciocco, testimonia che era comunque già largamente diffuso. In: Codex Diplomaticus Cavensis. Cava dei Tirreni, Salerno (I). da: Simmenthal Club, luglio-agosto 1965, cit. da AGNESI Vincenzo, Alcune notizie sugli spaghetti. Raccolte da V.A. Imperia (I), p.m., 1975, p. 27; MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 11. XII sec., metà - Il prelibato banchetto di Bari È significativo quanto a metà del sec. XII scrive il monaco filosofo e viaggiatore inglese Giovanni di Salisbury: a un banchetto fra mercanti pugliesi cui egli partecipò a Bari, apparvero sulla tavola “i più prelibati prodotti di Costantinopoli, del Cairo, di Alessandria, di Tripoli, della Siria e della Fenicia, quasi che non bastassero i prodotti della Sicilia, della Calabria, della Campania e della Puglia medesima a combinare un banchetto delicato”. Il Muratori (in Antiq. Med. Aevi, II, 311), parafrasando il testo latino, che per essere ampio riportiamo qui in sintesi, dice: “La cena si protrasse dalla nona ora alla dodicesima della notte. In questo convito il gentile ospite di Canosa aveva radunato tutte le delizie di Costantinopoli, del Cairo... E da lodare moltissimo l’abbondanza delle vivande, la prontezza delle portate, la disciplina dei servienti, l’urbanità dell’ospite”. Anche in questo pranzo troviamo i “vermicelli conditi col cacio”: “Memini me ipsum Barii, in Apulia, divitis cuiusdam interfuisse coenae, quae ab hora diei nona fere, usque ad duodecimam noctis, et hoc quidem tempore aequidiali, protracta est.

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