UNA DISPERAZIONE CONFUSA PIETRO ALTIERI ZAPPING TRA LUOGHI E TEMPI “Quello che si è vissuto non c’è modo di aggiustarlo, né di pulirlo, né di buttarlo”. Sono ancora sconvolto. Non so più cosa pensare. Stamattina è successo qualcosa di veramente strano, che mi ha turbato molto. Sono uscito di casa di buon’ora indossando la mascherina protettiva, come al solito in questi ultimi giorni. L’aria è grigia e pesante. La Nube Tossica ha raggiunto anche la nostra città. Si dice che sia esplosa una centrale nucleare a 300 chilometri di distanza, ma le Autorità hanno subito rassicurato la popolazione: non ci dovrebbero essere rischi di contaminazione. Gli esperti intervistati al Telegiornale hanno categoricamente escluso pericoli imminenti. La mascherina è solo una misura precauzionale, del resto non è che un filtro, utile tra l’altro anche per evitare di inalare troppo smog o le polveri sottili dei gas di scarico. Comunque, prima ancora di uscire in strada, già nell’atrio del palazzo, è capitato un piccolo episodio che mi ha sgradevolmente sorpreso. Ho incrociato il mio vicino di pianerottolo con il quale ho rapporti più che cordiali, direi quasi amichevoli, l’ho salutato espansivamente, come sempre, ma lui ha tirato dritto, senza degnarmi di uno sguardo, come se non mi conoscesse, non mi avesse mai visto, immerso nei suoi pensieri come un sommozzatore sott’acqua. Mi sono voltato stupito a guardarlo mentre si allontanava, non riuscivo a capacitarmi che non mi avesse riconosciuto. “Mah, avrà i suoi problemi anche lui, come tutti noi” – mi sono detto, e sul momento non ho dato troppo peso alla cosa, anche se un po’ c’ero rimasto male. Una volta in strada però la faccenda si è fatta più inquietante. C’era il solito traffico impazzito, all’incrocio all’angolo, la gente isterica, esasperata, i clackson e le sirene che tranciavano come proiettili l’aria densa, i pedoni trafelati che acceleravano il passo, ma stavolta c’era un piccolo, banale particolare che stonava con tutto il resto: le persone sui marciapiedi di punto in bianco camminavano all’indietro. Anche le auto e le moto, gli autobus, anche il traffico, tutto scorreva all’indietro, come un fiume che improvvisamente inverte il suo corso, come un film proiettato al contrario. E non ricordavano più dove andavano, avevano perso la memoria, tutti insieme, simultaneamente, e continuavano meccanicamente a muoversi a ritroso, con gesti automatici, lungo itinerari misteriosi e imprevedibili, come in un sogno, anzi, in un incubo. Il cammino era un succedersi ininterrotto di sbandamenti, di piccole cadute abortite, un obliquo oscillare tra cielo e suolo. Si urtavano, inciampavano, cadevano, si rialzavano e continuavano a retrocedere, come sonnambuli, senza perdere l’orientamento apparente, senza dar segni di insofferenza, di sorpresa o di panico, assolutamente “normali” e abitudinari, come mossi da un’invisibile corrente interna, sempre procedendo all’indietro, con lo stesso ritmo sincronizzato, come in un paradosso logico o in un quadro di Escher. 2 * * * “Ci hai fatto caso? C’è un dolore strano nel suo sguardo…” Bevve un sorso d’acqua dalla bottiglia. Si asciugò le labbra col dorso della mano. Poi si accese una sigaretta, aspirò voluttuosamente una boccata di fumo e si allontanò sotto una pioggia sottile, a passo lento. Non c’erano autobus. E comunque il cane non l’avrebbero fatto salire. Avrebbe potuto essere chiunque o nessuno. Camminava da solo, con le mani in tasca, la barba ispida, lungo strade interminabili, sprofondato nei suoi pensieri, impermeabile agli agenti atmosferici e a ogni variazione di pressione. Continuava a rimuginare un pensiero fisso, fino all’ossessione. “Cammini fino alla fine del mondo e poi scopri che dovunque c’è già stato qualcuno”. Qui. Cuore che pulsa, dietro le inquadrature, 24 ore su 24, muore e riappare sul display. Fari antinebbia, insegne luminose, parabrezza, pulsazioni, ambulanze, ansie, euforie. Là fuori, pensieri che evaporano, come strati di fumo nell’aria incolore, appena nati. Ronzìo incessante di voci nel cervello, lampi, impulsi, immagini sfocate, teste vuote come lavagne cancellate. Campi magnetici, passi frenetici, riflessi condizionati, inerziali automatismi mentali, sospetti, sospiri. Sorrisi pubblicitari, ektachrome, su schermo panoramico, da tutti gli edifici, IBM, TDK, Toyota, Coca-cola – guarda, osserva, assorbi. Ora fermati e respira. Tutto il Futuro in faccia, da inalare, democratico, disponibile, bio-degradabile: Mercato Globale, il pianeta intero, in offerta speciale, a tre gradi centigradi, 70% di umidità, nuvole basse, negozi aperti, Visa, American Express, Sony, Mitsubishi. Antenne satellitari, cellulari eternamente accesi, ad ogni orecchio, ad ogni incrocio, Station wagon, Jeep Cherokee 4x4, all’ora di punta, duemilaeotto dopo Cristo, sportelli Bancomat, profili arabi, orologi svizzeri, ristoranti cinesi. Sotto una pioggia grigia, meticolosa, code ai semafori, le strade intasate, lungo vetrine sfavillanti di merci, file infinite, flussi, polveri sottili, vapori di azoto e di benzene. Un moto browniano di particelle centrifughe, come pulviscolo atmosferico, qui, lì, avanti, indietro, sopra, sotto, intorno, a destra, a sinistra, dappertutto, sempre. Folle-formiche anfetaminiche, isteriche, blindate in solitudini incrociate – le cifre al quarzo alle pareti, i tavolini vuoti, gli sguardi asciutti degli oggetti. E poi… L’intollerabile Silenzio delle Sedie. Nella folla, ogni passante in completo scuro e cravatta digita il numero giusto sul quadrante. Entra ed esce da un tribunale, da una compagnia di assicurazioni, da una società finanziaria, da uno studio televisivo, da un’azienda, da una banca. 3 Compra e vende, contratta, stipula, rescinde, investe, calcola, ottimizza, progetta, produce, comunica, tace. Camminava lungo il fiume, come in un sogno, osservando distrattamente, attraverso una nebbia densa e biancastra, i ponti di ferro che affondavano nell’acqua, i riflessi dei passanti nelle vetrine, le ombre dei grattacieli sulle teste ovali, affaccendate o svuotate, pensando ad altro. Qualsiasi cosa facesse, pensava sempre ad altro. La gente, estranea e trasparente, gli veniva incontro e svaniva, come in un film muto, in dissolvenza. Un flash intenso e improvviso gli mozzò il respiro, facendolo barcollare. Un lampo accecante nella mente, come se qualcuno avesse schiacciato un pulsante. Poi lentamente si spense in un silenzio azzurro. “E la città si dissolse in luce e le persone camminavano l’una attraverso l’altra”. * * * “Perché gli esseri sono ora avanti ora indietro; ora respirano piano, ora ansimano con violenza; ora sono forti, ora sono preoccupati; ora cominciano, ora decadono.” “Navigare avanti e indietro nel Tempo, è come camminare sull’acqua”. – disse – “Devi farti leggero, più leggero di una foglia, come un filo sottile, per non smarrirti e affondare”. Londra, 1922 “Città irreale, sotto la nebbia bruna di un’alba d’inverno, una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta, ch’io non avrei mai creduto che morte tanta n’avesse disfatta. Sospiri, brevi e infrequenti, se ne esalavano e ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi.” Piccole bolle di memoria affiorano lente, illuminate dal fondo, sull’acqua dei suoi occhi. Antiche cartoline ingiallite, color seppia, vecchie foto sbiadite in un cassetto dimenticato. Odore di muschio e muffa. A cosa pensi? A niente. 4 “In lontananza una città tremolante, gli Anni Venti leggeri e intermittenti.” Berlino, 1928 Strade bagnate in bianco e nero: Friedrichstrasse, Leipzigerstrasse, Kurfurstendamm, Spittelmarkt, Konigstrasse, Potzdammer Platz, Alexander Platz, i grandi magazzini “Hermann Tietz”, “Kaufhaus des Westens”, Anhalter Banhof, Grand Hotel Kempinski, Gloria Palast. Pedoni che sciamano in tutte le direzioni, ombrelli aperti su tutte le teste, le rotaie viscide dei tram, la luce fioca dei fanali, come in un film di Murnau. “Nella Elsasser Strasse hanno chiuso tutto il centro della strada con un tavolato; dietro il recinto sbuffa una locomotiva. Impresa costruzioni Becker-Fiebig, Berlino W 35: Un gran fracasso, vagoni a bilico fino all’angolo dove c’è la Banca Privata di Commercio, succursale L, depositi, custodia di valori, pagamento dei conto correnti. Dinanzi alla banca stanno inginocchiati cinque uomini: operai, pestano dentro la terra tante picccole pietre.” Periferie perdute, lungo i tornanti di un eterno scrutare, senza vedere il fondo, senza capire. Bar e terrazze con vista sul mare, dove la gente viene per bere, sorridere o morire. New York City, 24 ottobre 1929 “Black thursday”, giovedì nero. Già prima dell’apertura, al mattino davanti alla Borsa si era radunata una grande folla traboccantante e rumorosa. Qualcuno sparse in giro la voce che nella notte si erano già suicidati undici noti speculatori. Inizia istantaneamente il panico, la ressa, l’ondeggiare tumultuoso della calca, il timore di restare con un pugno di mosche, con il classico cerino acceso in mano. Lo spettro della rovina cala sulla folla come una nube nera e minacciosa. A metà mattinata è il caos totale, si tocca il punto di non ritorno, l’istante del collasso, del crash irreversibile. Agenti di borsa e brokers non credevano ai propri occhi leggendo le quotazioni che via via comparivano sulla grande lavagna luminosa. Altri uscivano dal palazzo urlando, come fossero improvvisamente impazziti, mentre fuori, in Wall Streeet, la folla dei piccoli speculatori faceva ressa, piangendo e gridando con le mani tra i capelli ad ogni notizia che scandiva senza pietà l’inesorabile polverizzarsi dei patrimoni e dei risparmi di una vita intera. Il vocio di migliaia di persone davanti alla Borsa era ormai diventato un boato crescente, un chiasso assordante. A un tratto scese dall’alto un brivido gelido, un silenzio tombale. Tutti si misero a guardare in su. Dal tetto di un palazzo di fronte, alto dieci piani, si sporgeva un uomo. Attimi di tensione nelle vene. Tutti pensarono subito che si trattasse di un suicida e si misero ad aspettare con impazienza che si buttasse giù. Invece, tra il disappunto generale, l’uomo deluse le morbose aspettative della folla. 5 Si trattava semplicemente di un operaio che, dal tetto dove lavorava, si era affacciato per curiosità nel sentire sotto tutto quel baccano.
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