Quaderni Del Civico Museo Storico Della Città Di Palmanova Le “ORRIBILI DEMOLIZIONI” Palmada E La Spianata Del 1797

Quaderni Del Civico Museo Storico Della Città Di Palmanova Le “ORRIBILI DEMOLIZIONI” Palmada E La Spianata Del 1797

Quaderni del Civico Museo Storico Della Città di Palmanova Le “ORRIBILI DEMOLIZIONI” Palmada e la spianata del 1797 di Stefano Perini Città di Palmanova - 1996 Le “ORRIBILI DEMOLIZIONI” Palmada e la spianata del 1797 di Stefano Perini TRE PAESI L'arrivo in Friuli delle truppe francesi, comandate da Napoleone Buonaparte, costituì un momento di svolta epocale per tale zona e non solo per essa, provocando la caduta della secolare e gloriosa Repubblica di Venezia e introducendo la sudditanza alla casa d'Austria con il successivo trattato di Campoformido. Pur non svolgendosi in territorio friulano combattimenti particolarmente violenti, la guerra e la successiva occupazione non potevano non portare riflessi negativi nella vita delle popolazioni e sull'economia locale. Violenze, requisizioni, acquartieramenti di truppe, malattie di uomini e animali, furono il necessario e triste corollario di tale situazione. Per i tre paesi di Palmada, S. Lorenzo e Ronchis la presenza francese significò qualcosa di assai più grave, con la scomparsa della loro stessa identità fisica e comunitaria. È ben vero che questi villaggi, per la loro estrema vicinanza alle fortificazioni di Palmanova, vissero per lungo tempo nella paura di subire quella fine che ebbero nel 1797. Fu spesso ad essi minacciata la distruzione, onde lasciare libero campo alle artiglierie della fortezza o non dar ricetto e difesa ad eventuali nemici che potessero avvicinarsi alle mura palmarine. Nel 1596, 1601, 1605, 1611 i Provveditori di Palma avevano chiesto lo spianamento dei paesi, ma poi nulla era stato fatto, le cose s'erano acquietate e tra la fortezza e i tre nuclei abitati era sorto un "modus vivendi", che ad essi aveva portato anche dei vantaggi (1). Certo il loro territorio agricolo aveva subìto una non piccola decurtazione, però poi avevano ottenuto la possibilità dello sfalcio delle erbe sui bastioni e sulla spianata, i loro prodotti agricoli dovevano avere la precedenza negli acquisiti da parte di osti e mercanti palmarini, inoltre erano stati esentati da molte gravezze in cambio del servizio che svolgevano nei lavori di riatto delle fortificazioni o nei trasporti. Ad esempio non fornivano alcun contingente di cernide, le truppe formate da contadini, che dovevano addestrarsi in particolari periodi dell'anno. Solo Sottoselva era tenuto a quest'obbligo. Nel secolo XVIII il contingente da tale paese dovuto assommava a 7 uomini. Alle mostre (riviste ed esercitazioni) del 1765 i presentati furono comunque tutti "cassati", trovati cioè esenti dal servizio, perché ammogliati, figli unici o capi di casa, le condizioni che permettevano, accanto ai difetti fisici, di sfuggire a quel, forse non pesante, ma certo noioso, dovere. In questo scorcio del '700, dunque, Palmada, Ronchis e S. Lorenzo vivevano la loro semplice esistenza, ritmata dal lavoro dei campi e dalle stagioni, né più né meno di tanti altri paesi della pianura friulana, e la loro condizione sembrava non dover subire mutamenti. Certo non quelli radicali che invece il fato andava macchiando a loro insaputa, all'insaputa di tutti. Una serie indistinta di fatti, sparsi un po' ovunque, come gocce in un imbuto andava avvicinandosi sempre di più, per creare poi una situazione nella quale uno dei risultati sarebbe stato la distruzione dei tre paesi. Un insieme di accadimenti grandi e piccoli, dunque, andavano formando una rete che si stringeva sempre di più attorno ad essi. Eppure i carri continuavano a passare lenti sulle strade 2 polverose, il granoturco cresceva, le vicinìe si adunavano, degani e carcerari erano eletti ed uscivano di scena, le case sembravano più che solido riparo per che ci viveva, la pioggia scorreva sulle tegole dei tetti, la domenica e nelle feste comandate i fedeli riempivano le chiese. Quella di Palmada era dedicata alla Santa Croce (la cui festa cadeva il 3 maggio) e la sua sagra, cioè il giorno anniversario della consacrazione, era fissata alla quarta domenica di luglio. L'ultima visita pastorale che ricevette fu quella del giugno 1795. Il 17 di quel mese l'arcivescovo di Udine giunse in paese, proveniente da S. Maria la Longa, nella tarda mattinata. "scese di carrozza vicino alla chiesa, vi entrò per visitare il SS. Rosario, essendo anco ivi congregata urna moltitudine di gente uscita anco dalla Fortezza”-. In effetti il presule non si recò in Palmanova e i fedeli di quella parrocchia dovettero andare ad omaggiarlo in Palmada ed ivi alcuni di loro ricevettero pure la cresima. Infatti nel pomeriggio dello stesso egli “amministrò il sacramento della Cresima a gran rnoltitudine di fanciulli uscenti dalla Fortezza e da altre vicine parti e durò questa funzione per più di due ore”. In chiesa si trovava pure una reliquia ritenuta assai importante: un frammento della vera croce su cui Cristo si era sacrificato per l'umanità. L'arcivescovo la adorò, confermando con quest'atto la sua autenticità. Si trattenne indi monsignor Zorzi a dormire in paese, ospite nella casa canonica, e il giorno seguente proseguì nella sua visita alla chiesa, trovando tutto in ordine sia nelle strutture che nelle suppellettili nonché nella vita cristiana della popolazione. Infatti, all'atto della sua partenza, nel pomeriggio di quel giorno stesso, “fece venire alla sua Presenza il Parroco con altro clero e consolando con esso lui dell'ottima sua condotta nel buon governo spirituale di quell'anime li diede coraggio per il proseguire nell'intrapresa carriera". Andava perciò tutto per il verso giusto nella pieve palmadina, alla cui guida c'era allora don Domenico Appaludo. Egli godeva dei quartesi di Palmada, S. Lorenzo, Sevegliano e Felettis. Inoltre di alcune rendite tratte dai quartesi di Fanna, Adorgnano e Reana del Rojale, che la Repubblica di Venezia aveva concesso al pievano per indennizzarlo della diminuzione del quartese che veniva dall'essere tanti campi spariti nella costruzione di Palmanova. Pieve ho detto, perché in effetti Palmada era al centro di una di quelle entità amministrative ecclesiastiche da lunga pezza, formatasi per divisione dalla ancor più antica pieve di S. Maria la Longa. Alla fine del Settecento essa aveva giurisdizione sulle chiese di S. Lorenzo, Sottoselva, Sevegliano e Felettis. Quest'ultima era stata annessa a Palmada, staccandola da Ontagnano, da poco tempo, da quando, cioè nel 1783 l’Imperatore Giuseppe II aveva voluto che le chiese in territorio austriaco non dipendessero da quelle in territorio veneziano. Così Jalmicco, paese imperiale, fu tolto dalla strana situazione in cui si trovava. In effetti su di esso avevano per una metà, non in senso territoriale certo, giurisdizione il pievano di Trivignano e per l'altra quello di Palmada appunto. L'ordinario udinese, per ripagare quest'ultima pieve della perdita subita in termini di prestigio e di proventi (diritti di stola, quartese e così via) le unì la chiesa di Felettis. Palmada, comunque, era anche al centro di una foranìa, una foranìa non molto vasta e un po' strana nella sua composizione, perché, oltre alle chiese già menzionate, comprendeva Strassoldo e due territori come Malisana e Belvedere non certo contigui al corpo centrale della pieve, ma, anzi, piuttosto distanti. Essendo giurisdizioni dei conti Strassoldo, può essere plausibile che siano stati uniti alla foranìa collegati alla parrocchia di Strassoldo. È vero però che pochi anni prima la pieve di Palmada aveva subito una perdita ben importante che quella di Jalmicco, soprattutto sul piano del prestigio, la perdita cioè di Palmanova, che nel 1777 era stata eretta in parrocchia del tutto autonoma, dopo che per quasi duecento anni aveva ecclesiasticamente gravitato nell'orbita palmadina. Il distacco delle chiese della fortezza avrà certamente amareggiato il pievano, ma indubbiamente anche la comunità di Palmada, che da quella sudditanza in passato ne aveva tratto motivo di orgoglio, ritenendola, forse, un giusto, anche se non esauriente, compenso per il suo territorio rimasto sepolto sotto la mole delle fortificazioni e delle abitazioni. 3 Il fatto che i sacerdoti di Palmada amministrassero i sacramenti agli abitanti di Palma non mancava certo di suscitare una legittima soddisfazione nei palmadini. Figurarsi l'aspetto del paese in questo scorcio del secolo XVIII è indubbiamente impresa vana, mancando disegni, descrizioni o figurazioni, ma del resto, ciò potrebbe valere per gran parte dei villaggi del Friuli. Alcune mappe di buona precisione rilevate nel 1798 e nel 1806, ci danno comunque un'idea non peregrina della sua disposizione topografica. L'abitato si distendeva soprattutto lungo la strada principale che da Bagnaria si dirigeva a porta Marittima, altre abitazioni erano situate lungo i bordi della strada che tendeva verso sud, a Sevegliano. Abitazioni non contigue, ma con discreti spazi tra di esse, riempiti da cortili, "bearzi" e orti, nei quali, come mostrano alcuni atti notarili, si trovavano quasi esclusivamente gelsi, segno di una attiva bachicoltura. L'abitato era tagliato in due dalla roggia, che scendeva da nord, dopo aver costeggiato le fortificazioni di Palrnanova. Un ponticello la superava. Immediatamente ad ovest del ponte si trovava la chiesa, con l'abside rivolto ad oriente a testimoniare, forse, una origine abbastanza antica. La strada principale la costeggiava sul lato settentrionale, mentre sul lato meridionale c'era il cimitero, confinante ad est con la cantina parrocchiale, posta fra le case di Pietro Fabro. Vicino alla chiesa era situata pure la canonica. Anche il comune possedeva una casa sulla strada principale. Essa era “costruita di muri, coperta di coppi, di stanze 4, due a piè piano e due in soler con suo sedime”. Nel cortile aveva un gelso "in decadenza". Veniva data in affitto(4). La loggia comunale, ove si riuniva la vicinia, era costituita invece, dal foledôr proprietà della chiesa(5). Un paese di contadini, ma pure con qualche artigiano e naturalmente con persone anche di discrete possibilità, come quell'Antonio Minotto che nel 1788 maritò sua figlia Lucietta al veneziano Angelo Zangiacomo e le diede di dote 500 ducati, versati sul Monte di Pietà di Palmanova, più l'oro e l'argento di cui la sposa era adorna(6).

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