Dottorato di ricerca in Studi umanistici. Tradizione e contemporaneità Ciclo XXVIII S.S.D. L-FIL-LET/10 L'Argenis di John Barclay (1582-1621) e la sua influenza sul romanzo italiano del Seicento Coordinatore: Ch.ma Prof.ssa Cinzia Bearzot Tesi di Dottorato di: Davide Invernizzi Matricola: 4110879 Anno Accademico 2015/2016 Sommario Premessa IV I. Gli studi sul romanzo del Seicento nella tradizione critica italiana 1 1. Le origini di un problema 1 2. Tra Settecento e Novecento 3 3. Gli studi classici sul romanzo (1960-1978) 9 4. Di alcuni recenti percorsi critici 18 II. L'Argenis di John Barclay e la nascita del "romanzo a chiave" 30 1. John Barclay (1528-1621). Biografia di un intellettuale europeo 30 2. «Scribendi novum genus». Momenti di riflessione romanzesca 35 nell'Argenis di John Barclay 3. «Arma, coniugia, cruorem, laetitiam insperatis miscebo successibus» 41 4. «Grandem fabulam historae instar ornabo» 49 5. «An nescis qua arte aegris pueris medicamina concilientur» 57 6. «Occurerent sibi ipsis agnoscentque obiecto speculo speciem ac meritum 69 suae famae» 6.a. Il principe e l'usurpatore 70 6.b. Il principe e il tiranno 77 6.c. Da principessa a regina 83 6.d. Il letterato in corte 84 III. Sulla fortuna italiana di John Barclay e della sua Argenis 88 1. Il profilo di un successo 88 2. La fortuna di John Barclay nel Seicento italiano 89 3. Quattro biografie italiane di John Barclay 112 4. Alcuni momenti della fortuna italiana: Francesco Pona e Carlo Antonio 120 Cocastello traduttori dell'Argenis IV. L'Argenis di John Barclay come modello narrativo per il Seicento italiano 128 1. Sul romanzo in Italia, per la definizione di un campo di indagine 128 2. Tra riprese e dubbi 133 3. L'armi, gli amori, dall'unità al trionfo della varietà 143 4. Geografia e storia nel romanzo fantastico italiano 153 5. L'universo della corte 162 6. L'irriducibilità del fantastico 170 V. Il romanzo a chiave in Italia. Teorie di un genere 180 1. Il romanzo a chiave in Italia 180 2. Il problema del romanzo nella trilogia di Biondi 185 3. Il romanzo a chiave tra gli Incogniti 190 4. Il romanzo a chiave fuori dall'Accademia degli Incogniti 204 5. Romanzi a chiave ed altre favole istoriate 205 VI. Narrazione e storia nelle scritture a chiave italiane 213 1. Di alcuni caratteri generali dei romanzi a chiave in Italia 213 2. Narrazione e storia nella parabola letteraria di Giovanni Francesco 227 Biondi 2.a. Dalla narrazione alla storia 252 3. Loredano: la scrittura a chiave e la prudenza dell'uomo politico 255 4. Romanzo a chiave e corruzione del potere in Ferrante Pallavicino 274 5. Gli accidenti di Cloramindo ovvero dell'educazione del buon principe 282 6. Il Nigello di Benamati o della fedeltà al modello 298 7. Chiavi autobiografiche nell'entroterra veneto 317 VII. Momenti di riflessione politica nei romanzi a chiave italiani 329 1. Tra ripensamenti e nuovi interessi 329 2. Del principe ideale 335 3. Consigli di Stato e di Guerra 349 Appendice 357 Bibliografia 371 Testi antichi 371 Edizioni moderne 379 Testi moderni 382 Sitografia 416 Indice dei nomi 417 PREMESSA La fortuna degli studi sul romanzo italiano del Seicento ha condotto all'abbandono di pregiudizi critici sedimentati intorno ad un genere a lungo considerato espressione di bassa letterarità, un prodotto minore del mercato editoriale, che si dimostrava un tempo oggetto di interesse solo per quanti fossero impegnati nella ricostruzione della cultura dell'epoca. A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, il susseguirsi di nuove indagini ha infatti consentito una ricostruzione via via sempre più accurata dei caratteri peculiari del romanzo secentesco, mentre venivano approfondite le conoscenze su singole opere, anche attraverso meritori progetti di edizione, e venivano recuperate e delineate nel dettaglio le figure di diversi romanzieri. Tra i vari e proficui percorsi di ricerca emersi nel corso degli ultimi decenni, frutti significativi sono stati colti da quegli autori che si sono interrogati sull'intrecciarsi di narrazione e storia nei romanzi del Seicento e sui legami tra letteratura italiana e coeve esperienze europee. A fronte dei risultati conseguiti, la domanda intorno all'influenza esercitata dall'Argenis di John Barclay (1582-1621) sul romanzo italiano è parsa motivo di sicuro interesse. Si domanderà perché proprio l'Argenis. Anzitutto il letterato franco-scozzese è un celebre rappresentante della Repubblica delle Lettere: agitò la scena culturale con vivide satire dei potenti e sferzanti polemiche; coltivò l'amicizia di alcuni tra i maggiori spiriti della sua epoca e fu corrispondente assiduo di Nicolas-Claude Fabri de Peiresc; soggiornò a lungo a Londra, stimato e protetto da re Giacomo, e terminò i suoi giorni a Roma, accolto entro la cerchia di letterati barberiniani. L'Argenis è invece uno dei best sellers della sua epoca, romanzo latino letto e diletto, in Italia come nel resto d'Europa, lungo l'interno Seicento. Vi è inoltre una significativa coincidenza cronologica, dal momento che l'edizione parigina del 1621 precorre di soli tre anni l'improvvisa apparizione del romanzo nel Seicento italiano. Andrà infine ricordato che l'Argenis si pone come il fortunato atto fondativo di un genere definito in Francia come roman à clef, espressione traducible con 'romanzo a IV chiave'. Attraverso la piacevole maschera offerta dalla narrazione di gesta eroiche e vicende sentimentali, Barclay ha evocato in forma allegorica episodi salienti della storia contemporanea. Entro un universo letterario così allestito, la voce critica del romanziere trova modo di esprimersi con una spregiudicatezza preclusa allo storico. L'autore si avvale di questa conquistata libertà per pronunciare giudizi severi sulle condotte dei Grandi del secolo e per intervenire su questioni di scottante attualità politica, nell'intento di definire l'azione di governo del buon principe. I letterati italiani, nello sperimentare il genere nuovo del romanzo, condivisero l'interesse di Barclay nei confronti della storia e della politica, materie ampiamente dibattute negli scritti del secolo. Ancor più nel dettaglio, godette di sicuro prestigio, almeno a giudicare dagli autori che vi si applicarono, l'espediente innovativo della scrittura allegorica, espressione di un gusto narrativo votato all'allusività, che prometteva, al lettore in possesso dell'opportuna chiave ermeneutica, il disvelamento di verità non comunicabili in forma letterale per il timore delle ingiuste rivalse dei Grandi. Fondandosi su queste premesse, il volume intende verificare i debiti del romanzo italiano del Seicento nei confronti dell'Argenis di Barclay. Il lavoro è stato organizzato in sette capitoli. Il primo di essi ha funzione introduttiva. Presentato in forma sintetica il problema del romanzo nella storia della critica letteraria italiana, si sono riconosciuti alcuni dei più recenti filoni di indagine lungo i quali possono disporsi gli studi qui raccolti. I due capitoli successivi sono invece dedicati integralmente al letterato franco- scozzese e alla sua Argenis latina. Anzitutto, si è proposta un'analisi puntuale del volume, testo poco frequentato dalla critica italiana, per definire i suoi caratteri peculiari e gli elementi di innovazione rispetto alla tradizione, cercando in questo modo di rintracciare le ragioni del diffuso favore del pubblico. Il momento successivo è stato quindi dedicato alla ricostruzione del giudizio espresso sull'opera e sul suo autore dai letterati italiani nel corso del secolo decimosettimo. Gli ultimi quattro capitoli intendono rispondere all'interrogativo di partenza, riconoscendo elementi di continuità e di dipendenza manifesta dalla scrittura esemplare di Barclay, al fianco dei quali si sono annotati i dubbi, i ripensamenti e i netti rifiuti opposti al modello latino. In un primo momento, l'indagine si è concentrata sul terreno delle scritture di ambientazione fantastica, con l'intento di verificare la fortuna di alcune caratterizzanti scelte narrative operate da Barclay. L'attenzione si è poi spostata, a partire dal quinto capitolo, sui soli V romanzi a chiave. Ad una prima analisi dedicata agli spunti di riflessione teorica offerti dai romanzieri sul nuovo genere di scrittura che andavano sperimentando, ha fatto seguito lo studio delle forme di impiego della storia, cercando di suggerire un'esegesi puntuale dei vari brani allegorici identificati e di riconoscere le specifiche finalità di questi passaggi testuali. Gli ultimi sforzi sono confluiti in un capitolo dedicato alla trattazione della materia politica nei romanzi a chiave italiani. VI I. Gli studi sul romanzo secentesco nella tradizione critica italiana 1. Le origini di un problema Il romanzo incarna compiutamente l'anima del Seicento italiano, specchio fedele dei gusti, degli interessi culturali e delle mode del secolo. Genere moderno e faticosamente incasellabile all'interno dei canoni della tradizione letteraria, la sua apparizione ha destato atteggiamenti antitetici nello stesso Seicento, che pure fu «veramente il secolo dei romanzi»1. L'esaltazione della «più stupenda e meravigliosa macchina, che fabbrichi l'ingegno» e l'indiscusso successo editoriale della nuova moda letteraria sono infatti convissute con la duratura diffidenza di molti letterati, che non esitarono a definirne gli inviluppati intrecci come delle «storiacce», ricorrendo alla formulazione di Francesco Bogliano, a cui era stato posto il «barbaro nome di romanzo»2. Il genere romanzesco condivise in seguito le accuse rivolte alle espressioni della cultura e della letteratura del Seicento dal vario mutare della sensibilità e del gusto artistico nel corso dei due secoli successivi, assistendo all'improvviso tramonto della propria fortuna al declinare del diciassettesimo secolo3. Ad ulteriore pregiudizio delle sorti del romanzo giocò inoltre un ruolo importante la diffusa opinione circa il suo minor valore letterario rispetto alle forme nobili della tradizione nazionale, quali la 1 A. APROSIO, La Biblioteca Aprosiana passatempo autunnale di Cornelio Aspasio Antivigilmi tra Vagabondi di Tabbia detto l'Aggirato, In Bologna, per li Manolessi, 1673, p. 551. 2 G. B. MANZINI, Il Cretideo, In Bologna, per Giacomo Monti, 1637, c.
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