View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Electronic Thesis and Dissertation Archive - Università di Pisa UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE Tesi di laurea La soggettività morale del minore tra tutela e autonomia: il caso del cosiddetto “disturbo da deficit di attenzione” Candidata: Relatore: Alessia Araneo Prof. Sergio Bartolommei Correlatore: Prof. Mario Pirchio ANNO ACCADEMICO 2014-2015 A Tina, mamma e papà, l’armonia di fondo della mia esistenza I keep six honest serving men They taught me all I knew Their names are What, Why and When and How and Where and Who. Rudyard Kipling INDICE Introduzione................................................................................................................. 6 Prima parte Il complesso fenomeno dell’ADHD 1.1 ADHD: un perimetro ancora indefinito ................................................................ 13 1.2 Profilo nosografico del DDAI ................................................................................ 17 1.3 Introduzione della terapia farmacologica: la parabola italiana ........................... 22 1.4 La risposta ai medicinali: tra accoglienza e resistenza ......................................... 30 1.5 MRI: nuove prove a favore del Ritalin?................................................................ 45 1.6 ADHD: un nuovo caso di Disease Mongering? ..................................................... 56 Seconda parte L’autonomia del minore in quanto soggetto morale 2.1 L’iperattivo: il convitato di pietra ......................................................................... 61 2.2 Progetto PrISMA: quale ruolo al bambino? ......................................................... 66 2.3 Uno sguardo oltreconfine attraverso i bambini di VOICES .................................. 68 2.3.1 La possibile compromissione della propria autenticità ............................. 75 2.3.2 Il Ritalin disinnesca la propria competenza morale? ................................. 77 2.3.3 L’ADHD come espropriazione della responsabilità? .................................. 81 2.3.4 Conclusioni dello studio ............................................................................. 82 2.4 Brevi ricostruzioni del concetto di autonomia e del consenso informato nella pratica medica ................................................................................................... 84 2.4.1 Consenso informato: corollario del principio di autonomia nonché pattern della relazione medico-paziente ......................................................................... 93 2.4.2 La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? .................................. 101 4 2.5 Tutti i bambini sono minori. Tutti i minori sono incapaci. Tutti i bambini sono incapaci. Sillogismo valido? ...................................................................................... 105 Terza parte L’ADHD tra cura e potenziamento 3.1 Richiesta di aiuto: trattamento o potenziamento? ........................................... 127 3.2 Se il potenziamento biomedico incontra lo sport, diventa doping ................... 150 3.3 Il potenziamento cognitivo tra dis-umanità e super-umanità ........................... 165 Conclusioni ................................................................................................................ 186 Riferimenti bibliografici ................................................................................... 190 5 Introduzione L’idea del presente lavoro nasce dall’interesse suscitato dal controverso caso dell’ADHD, sigla che rimanda all’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder e che designa un “disturbo” di carattere neuropsichico contraddistinto da inattenzione e/o da impulsività e iperattività. Ad esserne affetti possono essere tanto gli adulti quanto i minori e per entrambi la terapia più efficace − secondo stime scientifiche e valutazioni mediche − è quella multimodale, ossia un approccio integrato che combina un intervento psico-comportamentale con uno farmacologico. Ad arroventare il dibattito, almeno in Italia, è stata l’autorizzazione, nel 2007, all’immissione in commercio di Ritalin e Strattera − rispettivamente a base di metilfenidato e di atomoxetina − per la cura del disturbo. La somministrazione, infatti, di psicostimolanti alla popolazione pediatrica − che comprende soggetti tra i sei e i diciotto anni, dunque ancora sottoposti alla tutela giuridica − non solo ha provocato polemiche relative alla sua pericolosità nonché ai presunti rischi sociali annessi, ma ha comportato una più radicale messa in discussione del deficit stesso. Già oggetto di accese dispute negli U.S.A., dove il farmaco è in circolazione a partire dagli anni Sessanta, l’importazione del Ritalin entro i nostri confini ha richiamato l’attenzione su un altro fenomeno ormai dilagante, quello, cioè, del ricorso a strategie di potenziamento biomedico al fine di migliorare le prestazioni e di accrescere le capacità del soggetto che ne usufruisce. Secondo i più critici, infatti, l’impiego del farmaco per contenere i sintomi di inattenzione e di iperattività rientra a pieno diritto nel novero delle sostanze di controllo e potenziamento delle dotazioni “naturali”. 6 Le perplessità sollevate dalla cura dell’ADHD rimandano inevitabilmente ad un esame delle tecniche diagnostiche adoperate per l’identificazione del “disturbo” e, quindi, ad una problematizzazione dell’esistenza del “disturbo” stesso in quanto “malattia”. Svolgere queste valutazioni richiederebbe una previa indagine di tipo epistemologico, tesa a mettere a fuoco le nozioni di normale e patologico e a delimitare l’euristica propria del procedimento psichiatrico. In questa sede, pur non avendo condotto esaustivamente una simile ricerca, abbiamo provato a far emergere la natura articolata e multifattoriale del presunto “disturbo”, concentrandoci sul ruolo assunto dal minore all’interno di questa complessità. Il punto di vista dal quale abbiamo provato ad inquadrare il problema è stato quello dei minori coinvolti o, forse più propriamente, il loro misconosciuto punto di vista. L’elaborato presenta una struttura tripartita e ha il proprio fulcro nella sezione centrale, quella dedicata, appunto, all’analisi della soggettività morale del minore. La prima parte è finalizzata ad illustrare il fenomeno dell’ADHD nei suoi aspetti medici, sociali e culturali. Il punto di partenza è costituito dai criteri diagnostici del “disturbo” sanciti all’interno del DSM-V, vale a dire il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, la cui guida è valida tanto negli U.S.A. quanto in Italia. Questa assimilazione al modello statunitense pone già dei problemi; è convinzione dei critici, infatti, che la caratterizzazione del deficit non possa prescindere dal contesto culturale e che non si possano trascurare le variazioni geografiche, adottando un approccio diagnostico one-size-fits-all. A questo stadio del processo di individuazione del “disturbo” il coinvolgimento del minore è pressoché nullo. Il fatto che la segnalazione del disagio, nella maggior parte 7 dei casi, provenga da genitori e insegnanti ha accresciuto il sospetto di una preoccupazione tesa a risolvere più una loro negligenza o incapacità che un’eventuale sofferenza del bambino. Che l’ADHD sia una malattia fittizia è sostenuto da più parti: da coloro che la ritengono frutto di un indebito processo di medicalizzazione, insistendo sulla continuità tra normalità e patologia; da chi pensa che sia un comodo e rapido rimedio (quick fix) adottato per compensare deficit e inadeguatezze parentali o scolastiche e, infine, da chi denuncia le disdicevoli commistioni tra gli studi clinici, la ricerca e i profitti commerciali delle case farmaceutiche. La partecipazione di tutti questi fattori contribuirebbe alla costruzione socio-economica del “disturbo” (disease mongering). A queste ragioni fanno da contraltare le testimonianze dei bambini e dei genitori che, invece, dalla diagnosi e dalla terapia corrispondente hanno tratto benefici significativi. Uno scenario composito, ma non certo composto e pacificato, bensì attraversato da fratture su più fronti, non ultimo quello medico. All’interno della stessa comunità pediatrica, infatti, non è stato riscontrato un parere unanime né sull’esistenza del disturbo né sull’opportunità dell’impiego dei farmaci. Sono stati proprio questi ultimi, poi, a catalizzare l’attenzione sul “disturbo” e a spostarla dall’antecedente diagnostico all’intervento terapeutico. Ad infittire il quadro è la scarsità di dati scientifici volti a convalidare la sicurezza del trattamento sul lungo periodo, tenuto conto che l’azione del farmaco opera su un sistema neuro-cerebrale in sviluppo e non ancora compiutamente formato. La moltiplicazione delle diagnosi di ADHD registratasi negli ultimi anni e l’autorizzazione alla commercializzazione del metilfenidato e dell’atomoxetina sono i due elementi da cui ha preso avvio la discussione; sono stati, poi, indagati i vantaggi e le criticità connesse all’individuazione del “disturbo”; è stata 8 data voce ai “portatori di interesse” che lo promuovono (dai genitori agli insegnanti sino alle case farmaceutiche) e ai detrattori che lo contestano per arrivare, infine, alla messa in evidenza dell’unica figura che riluce per assenza, quella del minore. La parte iniziale del lavoro mira, quindi, a delineare il quadro variopinto e screziato che caratterizza il deficit dell’ADHD, che
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