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ISSN 2464-9279 (Online) 0 NuovoMeridionalismoStudi rivista interdisciplinare Pubblicazione online: ISSN 2464-9279 Anno I - numero 1 Ottobre 2015 In copertina: veduta della città di Matera - G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, 1703. 0 Organigramma Direttore responsabile Generoso Benigni Direttore scientifico Salvatore Abbruzzese (Università di Trento) www.nuovomeridionalismo.it Consiglio scientifico ISSN 2464-9279 (Online) Salvatore Amato (Università di Catania) _____________________ Ester Capuzzo (Sapienza Università di Roma) Anno I - numero 1 Marco Nicola Miletti (Università di Foggia) Ottobre 2015 Manuel J. Pelàez (Università di Màlaga) periodico semestrale Alberto Vespaziani (Università del Molise) ____________________ Ediziioni Nuovo Meridionalismo Comitato eeditoriale ____________________ Rosanna Alaggio (Università del Molise, coordinatore) Maurizio Martirano (Università della Basilicata) Direziione: Galleria di via Mancini, Giovanni Cerchia (Università del Molise) 17 - 83100 Avellino ____________________ Lorenzo Scillitani (Università del Molise) Mail di redazione: Comitato di redazione [email protected] Emilio Tirone (caporedattore) [email protected] Achille Beenigni Marco Stefano Birtolo Mail Caporedattore: Dario Citati [email protected] Gianfrancesco De Cosmo [email protected] Michele De Feudis ____________________ Veronica De Sanctis NuoovoMeridionalismoStudi è Bruno Del Vecchio patrroocinata dal Dipartimento di Giuseppe Di Palo (grafico editoriale e webmaster) Scienze Umanistiche, Sociali e Lorenzo Dorato della Formazione Monica Gigante Paolo Iagulli Angela Landolfi Gabriele Paci Maria Pia Pedone Laura Tommaso 1 Sommario Anno I - numero 1 - Ottobre 2015 EDITORIALE .. di Salvatore Abbruzzese 4 RICERCHE .. Angela Landolfi, Cittadinanza e appartenenze: identità multiple nella letteratura italiana dell’immigrazione 12 Cultura giuridica e questione meridionale Raffaele Ruggiero, Vico tra due stagioni “costituzionali” 24 Stefania Torre, Ritratti insoliti dell’avvocatura napoletana del XVIII secolo. Letteratura giuridica, memorie di viaggio e opinione pubblica 49 Alberto Vespaziani, Federalismo e meridionalismo 73 DOCUMENTI E INTERVENTI . Giuseppe Di Palo, L’opera di un profeta. Uno studio sociologico 82 Gabriele Paci, Meridione e comunicazione: è la nuova “Questione Meridionale”. Dal locale al globale, dal globale al locale, da “Radio Sicilia Libera” di Dolci al “Mattino” di Zavoli, sino al “Caso Crocetta” 86 Matteo Santarelli, ‘Ndrangheta, reciprocità, riconoscimento. Alcune riflessioni a partire da “Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali” 91 Lorenzo Scillitani, Per una antropologia filosofico-politica del diritto all’educazione: primi spunti 102 RECENSIONI .. Alfonso Celotto, Il Dott. Ciro Amendola, Direttore della Gazzetta Ufficiale, 2014, ISBN: 9788804638667, di Achille Benigni 111 Ennio Corvaglia, Da Napoli a Torino. Costantino Baer fra globalizzazione e nuovo Stato, 2014, ISBN 9788865820261, di Veronica De Sanctis 113 2 AUTORI 115 REGOLAMENTO E CODICE ETICO 116 NORME PER I COLLABORATORI 118 3 Anno I - n. 1 EDITORIALE di Salvatore Abbruzzese Proporre oggi una rivista di valorizzazione delle ricerche in ambito storico-sociale è un’operazione culturale apparentemente imprudente ed implicitamente provocatoria. Inserirsi all’interno di una tematica di consolidata tradizione culturale, qual è quella del meridionalismo, vuol dire accedere ad uno degli spazi problematici più importanti della cultura nazionale; un laboratorio permanente con il quale hanno dovuto fare i conti le migliori intelligenze del nostro Paese e che vede, a tutt’oggi, la presenza di non poche istituzioni culturali di prestigio nazionale. Una tale operazione sarebbe quindi improvvida, quando non addirittura velleitaria, se non si fondasse su una sostanziale rivalutazione della ricerca storico-sociale. Una rivalutazione che non ha alcunché di automatico ma implica la capacità di iscriversi in controtendenza rispetto alla congiuntura culturale contemporanea; procedendo in direzione opposta rispetto ad alcuni luoghi comuni che attraversano il pensiero diffuso e che, spesso, sono sbrigativamente ripresi anche da quello riflesso. Nell’ambito degli studi storico-sociali l’attuale congiuntura culturale appare profondamente marcata da un’accezione particolare del processo culturale di affermazione della modernità. Questa infatti risente ancora – anche se in modo implicito – di quella tensione normativa verso il progresso che l’ha caratterizzata a partire dagli anni cinquanta del XIX secolo. Sono diversi gli elementi empirici che suffragano una tale tesi e, in particolare, è proprio il sostanziale disinteresse per la dimensione storica a svelare la persistenza di un simile paradigma. Quest’ultima infatti è ancora troppo spesso apprezzata dal grande pubblico solo nel quadro di un nostalgico come eravamo o in funzione di un interesse meramente esotico per le culture altre, dove il diaframma non è più rappresentato dalla distanza geografica bensì da quella temporale: fino a che punto una tale considerazione è accettabile? Lo scoglio della modernità e quello del sociologismo Ovviamente un simile giudizio non si produce a caso: la modernità vive dentro una tensione costante tra l’insieme dei fatti storici che ne sono all’origine ed il mito del quale ha cominciato ad alimentarsi a partire dalla seconda metà del XIX° secolo. Se i singoli fatti storici sono oggetto di analisi e di riflessioni sistematiche, il mito, riassumibile nell’esaltazione del nuovo come senso normativo della storia – un’accezione questa esplicitata da Jean Séguy, attento lettore dell’opera di Max Weber e di Ernst Troeltsch – vive vita propria. È proprio questo paradigma che, alimentando il mito del progresso, finisce con il relegare ogni ricerca storica ad un ruolo ancillare. Infatti nella misura in cui è il nuovo, inteso sotto qualsiasi forma e in qualsiasi ambito, a dettare le regole, cioè le norme, qualsiasi permanenza, esattamente come qualsiasi ricostruzione del passato, scivola 4 inevitabilmente in secondo piano. Una tale esaltazione della modernità conduce lo studio dei fatti storici verso gli spazi riservati della ricerca specialistica escludendola da qualsiasi possibilità di rendersi utile – quando non addirittura indispensabile – per analizzare il presente. Infatti se la modernità, nelle sue versioni di maggior successo e, proprio per questo, ampiamente presenti nel senso comune, si presenta come costante apertura verso il nuovo caratterizzato, sempre e ovunque, da un valore implicitamente positivo, il passato – inteso come sede di tutto ciò che, in qualche modo, si è già verificato – non può avere che un puro, per quanto pregevole, valore d’archivio. Per una tale strada l’essere eredi di un tale passato è una posizione scarsamente utilizzabile. Vale così l’affermazione di Hannah Arendt per la quale «la nostra eredità è senza testamento». Quanti non si sono consacrati alla ricerca storica finiscono così per passare accanto alle vestigia del passato ed ai documenti storici che si affacciano dagli scaffali delle biblioteche, senza più possedere il criterio di lettura per leggere e comprendere il testamento che ci consegnano. Visitare un museo, documentarsi sullo sviluppo di un fatto storico determinato, frequentare gli archivi è spesso motivato dal solo desiderio di soddisfare una legittima curiosità, ma non rappresenta alcunché di urgente per il nostro presente, caratterizzato da problemi emergenti e, certamente, inquietanti. Risiede proprio qui la premessa svalorizzante, l’elemento dirompente che classifica ogni studio sul già trascorso come conoscenza pregevole ma non indispensabile. Per tale strada le conoscenze storiche, una volta viste attraverso il prisma deformante del mito della modernità, si rivelano come implicitamente esterne rispetto all’insieme dei processi contemporanei. Quest’ultimi si iscrivono infatti in uno spazio dell’inedito dinanzi al quale ogni fatto trascorso, anche nella stessa storia delle rivoluzioni scientifiche, non può occupare che un ruolo accessorio, d’archivio.1 Ma un tale processo, per potersi realizzare ha bisogno anche di un’epistemologia che glielo consenta, di un approccio alla realtà che lo renda possibile. Questo è costituito da una variante specifica della sociologia contemporanea, riassunta e denunciata da Raymond Boudon attraverso il ricorso al termine di sociologismo inteso come la pretesa di inferire l’agire sociale dei singoli dal contesto nel quale questi vivono e operano. I due percorsi, quello della marginalizzazione della ricerca storica e quello della riduzione sociologistica, scorrono in parallelo. La modernità infatti è in primo luogo il primato attribuito alla trasformazione delle condizioni (politiche, economiche e culturali) d’esistenza dei singoli in termini di progressiva e irreversibile razionalizzazione. Essa costituisce una sostanziale e generale trasformazione del contesto sociale, quindi – come segnala Dahrendorf – delle opportunità che questo mette a disposizione e degli strumenti che offre. Il valore di irreversibilità attributo al processo di razionalizzazione appare tanto più centrale quanto più alimenta – ed è a sua volta sostenuto – dal principio epistemologico che sancisce la priorità del contesto (tecnologico, politico, economico) sulle azioni del singoli e la conseguente dipendenza di quest’ultimi dal primo. 1 Un riferimento paradigmatico è costituito dalle conoscenze tecnologiche e, in particolare, dalle scienze informatiche.

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