ISTITUTO DI STUDI POLITICI "S. PIO V" ROMA D. CELLAMARE, R. ANGIUONI, M.E. GATTAMORTA L'ISLAM RADICALE IN AFRICA A CURA DI DANIELE CELLAMARE PREFAZIONE DI GIANLUIGI ROSSI EDITRICE APES 2012 Indice Prefazione di Gianluigi Rossi 1. Il diritto che discende da Allah di Daniele Cellamare 2. Il dibattito sul ruolo dell’islamismo di Daniele Cellamare 3. L’occidente del mondo arabo di Roberto Angiuoni 4. L’ombra lunga del fondamentalismo di Daniele Cellamare 5. I percorsi frammentati dell’islamismo di Maria Egizia Gattamorta 6. La periferia dell’Islam di Maria Egizia Gattamorta Appendice Nota sui criteri di trascrizione usati. Per agevolare la lettura del testo è stato scelto un sistema di trascrizione dei termini arabi e africani facilmente comprensibile. Le lettere enfatiche, così come le lunghe e gli apostrofi, che rendono indistintamente differenti accezioni del termine, non sono state evidenziati. Termini noti e diffusi in Occidente – quali ulama, imam, mufti, etc. – non recano segni diacritici. Sempre al fine di agevolarne la lettura, i termini inseriti nel testo conservano quasi sempre la forma singolare anche dove sarebbe necessario il plurale (shahid anziché shudada, faqih, anziché fuqaha, etc.) Prefazione La creazione di sistemi coloniali stabili, negli anni tra le due guerre, aveva contribuito a favorire un atteggiamento più comprensivo nei riguardi delle culture africane – prima ritenute insolite ed esotiche – per incoraggiare in epoca più tarda un’attenzione crescente al grande tema dell’unità continentale. Questi studi hanno assunto dignità scientifica e stimolato quindi l’interesse per le complesse ed articolate culture, favorendo in larga misura una serie di ricerche sulla sua storia e sugli sviluppi delle istituzioni socio-politiche. Dopo i primi riconoscimenti dell’africanismo sul piano storiografico – ad opera del nigeriano K. Onwuka Dike per i suoi studi sul delta del Niger nel 1956 – è stato rovesciato il consueto approccio eurocentrico e il capovolgimento di prospettiva permette un più approfondito studio sulla storia del continente, proprio alla ricerca di quei valori e quelle fonti, che – per la loro assenza – avevano in passato negato qualsivoglia evoluzione della cultura africana. Riuscendo a distinguere gli ambiti di analisi dell’africanismo da quelli dell’orientalismo – che godeva già da prima di un certo rispetto accademico – queste ricerche hanno saputo dare adeguate risposte alla crescente considerazione internazionale del continente africano e dei suoi soggetti che, nella maggioranza dei casi, stavano diventando gli attori della propria storia e non più semplici oggetti della dominazione coloniale. Considerando quindi questi soggetti come protagonisti dei propri destini politici, i nuovi studi – proprio come questa Ricerca – ravvisano con forza la necessità di svincolarsi da quella diffusa atmosfera intellettuale che ha lungamente ostacolato l’approccio corretto alle realtà africane, per proporre una metodologia più complessa, in grado di elaborare una valenza di interesse internazionale nell’ambito del moderno africanismo. Questo approccio metodologico, nato negli anni Cinquanta, è stato incoraggiato senza dubbio dalla riscoperta delle fonti e dei documenti della storia africana – più numerosi di quanto si supponesse – e dalle fonti europee mai prima utilizzate, come gli archivi delle compagnie commerciali, delle società missionarie e delle amministrazioni coloniali. Parimenti, si è ravvisata subito la necessità di dare rilevanza a fonti e influenze non africane, rappresentate – come nel caso specifico – dalla cultura islamica e araba, coniugando le nuove metodologie con un approccio diretto all’attualità degli eventi e alle loro complessità nel contesto sociale, in ogni caso riconducibili al loro potenziale non utilizzato. Il Sahel e il Sudan, ma in definitiva tutto il continente, sono stati attraversati da vigorosi processi di espansione dell’islamismo e hanno prodotto nuove ed interessanti esperienze politiche. Queste ultime, a loro volta, hanno incoraggiato l’esplosione di una serie di jihad locali, intese come manifestazioni di un movimento di riforma che mirava a mettere in discussione la tradizionale strategia di compromesso tra i mussulmani e gli animisti, il principale elemento di resistenza politico-religiosa dell’islamizzazione. Con l’intensificarsi della penetrazione coloniale, si è ridotta l’ostilità degli animisti e si sono aperti quei nuovi percorsi commerciali – regolari e sicuri – che hanno favorito i contatti tra comunità islamiche indipendentemente dalla loro distanza. Scopo di questa ricerca è appunto quello di interpretare le conseguenze della colonizzazione per coniugarle con la multiforme e variegata realtà islamica, ancora in bilico tra le tendenze moderate e le derive dell’ortodossia, ovvero quelle militanti più aggressive. Le due guerre mondiali hanno di fatto dato impulso al processo di decolonizzazione: la prima con l’incitamento alla lotta di liberazione mutuata dalla rivoluzione russa e la seconda, con la guerra fredda, al movimento dei non allineati. Questi fattori sono riusciti ad esercitare, sia in seno alle Nazioni Unite che nell’opinione pubblica internazionale, la pressione necessaria per giungere all’indipendenza. Insieme al tentativo di elaborare un socialismo arabo, con il presidente egiziano Nasser, nei paesi sub sahariani si è cercato di sviluppare una sorta di passaggio da una comunità di villaggio primitiva a quella di un villaggio socialista, come in Nigeria e nello Zimbabwe, a sicura testimonianza del fermento di una ideologia in continua dilatazione. Il dibattito, parallelamente, vedeva contrapporsi gli esponenti del socialismo arabo – che si sforzavano di dimostrare che quella forma politica e sociale di governo era in piena consonanza con i principi del Corano – e gli avversari che non si stancavano di ricordare che le riforme agrarie e le nazionalizzazioni andavano contro il diritto di proprietà, e pertanto contro le norme coraniche a cui ogni buon mussulmano avrebbe dovuto attenersi. In ogni caso, tutti questi modelli – dal nazionalismo arabo a quello di stampo liberale e democratico ereditato dai colonizzatori europei e sino al panarabismo nasseriano – elaborati da intellettuali reduci da scuole occidentali e così percepiti dalle popolazioni, hanno progressivamente lasciato spazio all’ideologia islamica, intesa come modello di giustizia e di organizzazione della società, l’unica in grado di definire una diversa e più marcata identità culturale. La speranza di tornare ad essere protagonisti della storia continua però a suscitare preoccupazione in molti analisti occidentali, che vedono in ciò una potenziale minaccia sul piano ideologico ed economico, paventando la totale incompatibilità tra islam e democrazia. Le recenti rivolte arabe sembrano suggerire però che non sono ancora cambiate, nella loro sostanza, le cause della crisi, oggi più direttamente imputate alla classe dirigente, autolegittimatasi come unica garante dello sviluppo sociale e politico della popolazione. Il radicalismo islamico, in questo studio analizzato nelle sue componenti più significative, continua a trovarsi al centro dell’attenzione mediatica per le cruenti tensioni da cui è attraversato, svelando all’esterno l’esistenza di numerosi ed energici movimenti di militanza. Ci piace però pensare che il ricorso al terrorismo equivale piuttosto ad una dichiarazione di impotenza, sia per chi lo pratica – per la sua incapacità di utilizzare strumenti più idonei a suscitare la solidarietà dell’opinione pubblica internazionale – sia per chi lo subisce, presumibilmente costretto a riconoscere che l’aver costretto l’avversario a questa scelta non sia stato il modo migliore di gestire il conflitto. Di contro, l’islam militante riesce però a produrre una seria alternativa ai governi e alle opposizioni, proponendo sul piano sociale, e su quello politico, soluzioni che appaiono credibili ad una quota crescente di elettorato, nel tentativo di coniugare il rifiuto di una dipendenza tecnologica e scientifica dall’Occidente con una via di islam politico. Attraverso un’indagine approfondita delle situazioni storiche che maggiormente hanno contribuito alla formazione di questi processi evolutivi, la Ricerca concorre alla maggiore comprensione di quella che viene comunemente indicata come la rinascita islamica, o meglio quel complesso intreccio di fattori e processi religiosi, sociali, politici ed economici che hanno partecipato alla produzione di questo oscuro e inquietante arco di islam radicale. Gianluigi Rossi Capitolo Primo Il diritto che discende da Allah Daniele Cellamare Il dibattito sull’islam radicale è aperto da alcuni decenni. In un primo tempo, l’era islamica sembrava aver soppiantato gli anni della decolonizzazione ispirandosi ad ideologie più familiari alla cultura occidentale, quali il nazionalismo e il socialismo. In anni più recenti, invece, gli studiosi (in particolare Gilles Kepel) hanno parlato di declino, se non di fallimento, dell’islam politico, che sarebbe riuscito ad afferrare il potere solo in pochi casi. Il potere nel mondo mussulmano si è lasciato però conquistare dall’islam e cerca di utilizzarlo ai propri fini, ma la vicenda – pur avendo tutte le apparenze di uno scontro tra civiltà – sembra in buona parte non essere soltanto politica. In quella che viene considerata come l’area politica più fragile del globo (i tre grandi istmi mediterranei), caratterizzata da un gran numero di formazioni statali di diversa natura, sembra che sia ancora oggi costretta a pagare per
Details
-
File Typepdf
-
Upload Time-
-
Content LanguagesEnglish
-
Upload UserAnonymous/Not logged-in
-
File Pages265 Page
-
File Size-