02 VOLUME IL TRITTICO DI PUCCINI: FONTI E LIBRETTISTI a cura di LUCIANA DISTANTE 1 GIACOMO PUCCINI 1.1 Brevi cenni sulla vita. Nato a Lucca il 22 dicembre 1858, Giacomo fu il sesto dei nove figli di Michele Pucci- ni e Albina Magi. Da molte generazioni i Puccini erano maestri di cappella del Duomo di Lucca e anche Giacomo, perduto il padre all’età di cinque anni, fu mandato a studia- re presso lo zio materno. L’aneddotica ce lo descrive tuttavia come uno scavezzacollo. Lasciata Lucca, dal 1880 al 1883 Puccini studiò al Conservatorio di Milano, grazie ad una borsa di studio di cento lire al mese, per un anno, fattagli avere dalla regina Mar- gherita su supplica della madre.Durante questi anni di gaia miseria, divise una camera con l’amico Mascagni. Tra i suoi insegnanti spiccano i nomi di Amilcare Ponchielli e Antonio Bazzini. Nel 1883 partecipò al concorso per opere in un atto indetto dall’edito- re Sonzogno con Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana e non vinse il concorso, ma nel 1884 fu rappresentata al Teatro dal Verme di Milano sotto il patrocinio dell’editore Giulio Ricordi, concorrente di Sonzogno.Nel 1884 Puccini aveva messo su famiglia, iniziando una convivenza destinata a durare tra varie vicissitudini tutta la vita con Elvi- ra Bonturi, moglie del droghiere lucchese Narciso Gemignani.Nel 1891 Puccini si tra- sferì a Torre del Lago (ora Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio): ne amava il mondo rustico e lo considerava il posto ideale per coltivare la sua passione per la caccia e per le baldorie tra artisti. Di Torre del Lago il maestro fece il suo rifugio, prima in una vecchia casa affittata, poi facendosi costruire la villa che andò ad abitare nel 1900. Qui furono composte le sue opere di maggior successo. Puccini la descrive così:Dopo il mezzo passo falso di Edgar, la terza opera – Manon Lescaut – fu un successo straordi- nario, forse il più autentico della carriera di Puccini. Essa segnò inoltre l’inizio di una fruttuosa collaborazione con i librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, il primo su- bentrato a Marco Praga e Domenico Oliva nella fase finale della genesi, il secondo in un ruolo più defilato. Illica e Giacosa avrebbero scritto poi i libretti delle successive tre opere, le più famose e rappresentate di tutto il teatro pucciniano. La prima, La bohème (basata sul romanzo a puntate di Henri Murger Scènes de la vie de Bohème), è forse la sua opera più celebre. Tra i capolavori del panorama operistico tardoromantico, La bohème è un esempio di sintesi drammaturgica, strutturata in 4 quadri (è indicativo l’uso di questo termine in luogo del tradizionale “atti”) di fulminea rapidità. La succes- siva, Tosca, rappresenta l’incursione di Puccini nel melodramma storico a tinte forti. Il soggetto, tratto da Victorien Sardou, può richiamare alcuni stereotipi dell’opera verista, ma le soluzioni musicali anticipano piuttosto, specie nel secondo atto, il nascente e- spressionismo musicale. Madama Butterfly (basata su un dramma di David Belasco) è la prima opera esotica di Puccini. Il suo debutto alla Scala nel 1904 fu un solenne fia- sco, probabilmente almeno in parte orchestrato dalla concorrenza. Dopo alcuni rima- neggiamenti, l’opera fu presentata al Teatro Grande di Brescia, dove raccolse un suc- cesso pieno, destinato a durare fino ad oggi.La collaborazione con Illica e Giacosa fu 2. certamente la più produttiva della carriera artistica di Puccini. L’ultima parola spettava comunque a Puccini, al quale Giulio Ricordi aveva affibbiato il soprannome di «Doge».L’eclettismo pucciniano, e insieme la sua incessante ricerca di soluzioni origi- nali, trovarono piena attuazione nel cosiddetto Trittico, ossia in tre opere in un atto rap- presentate in prima assoluta a New York nel 1918. I tre pannelli presentano caratteri contrastanti: tragico e verista Il tabarro, elegiaca e lirica Suor Angelica, comico Gianni Schicchi. Turandot è la prima opera pucciniana di ambientazione fantastica, Puccini si entusiasmò subito al nuovo soggetto e al personaggio della principessa Turandot, algi- da e sanguinaria, ma fu assalito dai dubbi al momento di mettere in musica il finale, coronato da un insolito lieto fine, sul quale lavorò un anno intero senza venirne a capo. L’opera rimase incompiuta perché Puccini morì a Bruxelles nel 1924, per complicazio- ni sopraggiunte durante la cura di un tumore alla gola. Le ultime due scene, di cui non rimaneva che un abbozzo musicale discontinuo, furono completate da Franco Alfano sotto la supervisione di Arturo Toscanini; ma la sera della prima rappresentazione lo stesso Toscanini interruppe l’esecuzione sull’ultima nota della partitura pucciniana, ossia dopo il corteo funebre che segue la morte di Liù. Nel 2001 vide la luce un nuovo finale composto da Luciano Berio, basato sul medesimo libretto e sui medesimi abboz- zi. La tomba del maestro si trova nella cappella della villa di Torre del Lago. 1.2 Puccini e il verismo musicale. Sotto l'influsso letterario del verismo, nell'ultimo decennio del XIX secolo i composito- ri italiani privilegiarono soggetti legati alla classe proletaria trattati con gusto realistico, talvolta evidenziando la brutalità e le ingiustizie di alcune situazioni messe in scena. I critici degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento accomunarono con l'appellativo “Giovane scuola ” un gruppo di compositori (Ruggero Leoncavallo, Pietro Mascagni, Umberto Giordano, Francesco Cilea e Giacomo Puccini) dediti al melodramma, che venne chiamato da allora “verista”. 1 Questi musicisti non ebbero una formazione musi- cale omogenea: Leoncavallo, Giordano e Cilea frequentarono il Conservatorio di Napo- li, mentre Puccini e Mascagni si perfezionarono al Conservatorio di Milano sotto la guida di Amilcare Ponchielli. Tutti i compositori erano legati alla Casa Sonzogno, e- scluso Puccini, che aveva come editore Ricordi. Ciò che interessava ai compositori veristi era promuovere l'identificazione del pubblico dell'epoca con i personaggi e le situazioni emotive messe in scena. Un ruolo importante in questo senso fu svolto dai letterati della “scapigliatura” movimento letterario d'avanguardia che contribuì ad ag- giornare la cultura italiana al più avanzato romanticismo d'oltralpe negli ultimi decenni del XIX secolo. 2 Nutriti di un gusto particolare per il grottesco, il sinistro e l'eccentrico, 1. Per un quadro generale sull’opera verista si consulti Guido Salvetti, La nascita del Novecento , nuova ed., Torino, EDT, 1991, cap. V. 2. Sul movimento della Scapigliatura si veda Pazzaglia, Letteratura italiana cit., pp. 532-534. 3. essi posero l'attenzione sulla necessità di una letteratura non aulica, più vicina al parlato quotidiano. Alcuni esponenti di questo movimento, tra cui Arrigo Boito ed Emilio Pra- ga, si interessarono fortemente alla musica, cimentandosi anche nella professione di librettista (soprattutto Boito). 3 Gli scapigliati, che criticavano il melodramma tradizio- nale, si mossero in direzione sia di una migliore qualità letteraria dei libretti, sia di un forte sperimentalismo linguistico. Si avvertiva inoltre il bisogno di inglobare nel lin- guaggio operistico il parlato quotidiano. I personaggi dei drammi veristi si esprimono in un linguaggio semplice e concreto, la lingua di ogni giorno. I testi divengono poli- metrici e flessibili, tanto che il sistema metrico che aveva governato il libretto dell'ope- ra italiana per circa due secoli, ossia l'architettura in numeri musicali funzionali al di- scorso drammatico, viene rivoluzionato. La rigida struttura a numeri (ognuno dei quali composto da due sezioni cinetiche e due statiche) fu sostituita da forme più flessibili e dinamiche. 4 Assunsero un'importanza determinante le sonorità locali - esotiche, gli inserti di danza (in precedenza il ballo era separato totalmente dall'azione dell'opera) e il dispiegamento di masse corali. Per questo tipo di opera fu coniata la nuova definizio- ne di “opera-ballo”, di cui sono celebri esempi Aida di Giuseppe Verdi, La Gioconda di Amilcare Ponchielli e Le Villi di Giacomo Puccini. Puccini sviluppa in modo molto personale le innovazioni wagneriane. Naturalmente è molto legato alla tradizione italiana, ma risente di molte influenze che in qualche modo lo attirano senza mai convincerlo del tutto. Risente del verismo, ma in qualche maniera le sue opere si distaccano dal movimento portato avanti da Mascagni, e si dirigono ver- so sentieri diversi, più indirizzati sul microcosmo della coppia, del quale parleremo, che alla realtà circostante. È vicino anche all’estetismo dannunziano (e la loro collabo- razione fu vicina a realizzarsi), ma l’immobilità estetica dello scrittore mal si combina con la dinamica sentimentale che sviluppa Puccini. Un compositore fuori dagli schemi e dalle tradizioni, quindi, così particolare da risultare alla fine unico e inimitabile: Puc- cini, appunto. Ogni opera è affrontata da Giacomo Puccini con una attenzione e una dedizione che nel mondo della composizione ha ben pochi riscontri. Altri compositori, non meno noti al grande pubblico, hanno prodotto una quantità incredibile di partiture, approfittando di vantaggiosi contratti e lavorando sulla scia di una fama senza confron- ti. Leggendo lettere e dichiarazioni di compositori o contemporanei possiamo appren- dere che alcune opere, che potremmo pensare essere il frutto di mesi di duro lavoro, con il compositore alla ricerca dell’ispirazione e della migliore forma stilistica, sono invece il risultato del frenetico lavoro di poche settimane, a volte pochi giorni. In Gia- como Puccini, notiamo una certa riflessione,
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