Grand Tour E Turismo a Venezia 1.1

Grand Tour E Turismo a Venezia 1.1

INTRODUZIONE p. 3 1 PREVISIONI E VISIONI: GRAND TOUR E TURISMO A VENEZIA 1.1. Viaggi narrati e viaggi ritratti: il paesaggio tra scrittura e immagini p. 15 1.2 . Il desiderio di possesso: viaggiatori-artisti e viaggiatori-clienti p. 33 1.3. Il faticoso esercizio dello sguardo: attese, invadenze e frustrazioni p. 47 2 IL GRAN TEATRO DI VENEZIA: IL PAESAGGIO VENEZIANO ATTRAVERSO LE ARTI DELLA RAPPRESENTAZIONE 2.1. Rimandi, incroci e contaminazioni: nascita dell’iconografia fotografica p. 63 2.2 . Fotografia e mito: il trionfo delle superfici p. 79 2.3. Lo sguardo tradotto: dall’immagine a stampa alla fotografia p. 91 3 SGUARDI ESTETICI E SGUARDI RAZIONALI: IL PAESAGGIO VENEZIANO NELLA PERCEZIONE DEL XIX SECOLO 3.1 . Fotografia e paesaggio: nascita di un nuovo sguardo artistico p. 109 3.2 . Cartografia, letteratura e fotografia: tra paesaggi interiori e paesaggi topografici 3.2.1. Idealità e razionalità nel paesaggio veneziano: storia di una collaborazione p. 125 3.2.2. La fotografia d’atelier: protagonisti e caratteri principali p. 149 4 TRADIZIONE E INNOVAZIONE NELLA FOTOGRAFIA DI PAESAGGIO: TEMPO E FORMA DI VENEZIA 4.1. Sguardi assoluti e sguardi relativi: la fotografia e la sua epoca p. 183 4.2 . Il tempo sospeso: lo sguardo tra rimando e contemplazione p. 201 4.2.1. Proiezioni personali e proiezioni collettive p. 221 4.2.2. Venezia città artificiale: stanze e palcoscenici p. 243 4.3. La fotografia tra itinerari artistici e urbani: dall’accumulo all’ordine p. 265 4.4. Venezia e il bon savage : un rapporto letto attraverso la fotografia p. 305 CONCLUSIONI p. 315 BIBLIOGRAFIA p. 319 1 2 INTRODUZIONE Venezia è una città problematica, scrive Filippo Zevi. 1 Lo studioso, con questa affermazione, non vuole riferirsi ad una qualche spinosità culturale o ad un mai risolto dilemma storico. In questo caso, l'ostilità in questione è semplicemente quella che Venezia stessa pare aver esercitato nei confronti dell'obbiettivo della più grande ditta fotografica italiana dell'Ottocento, gli Alinari di Firenze; gli stessi che hanno plasmato e gestito l'immagine di ogni altra città italiana, praticamente senza rivali, a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Proprio da questa ditta fiorentina sono dipese, infatti, la genesi e la diffusione di quella ferrea iconografia che ancor oggi condiziona il nostro rapporto con l'immagine urbana. Venezia, però, è una città diversa da ogni altra. A tal proposito, Sergio Bettini, suo grande conoscitore e amante, la descrive come uno spazio costruito attraverso «un linguaggio composto a grado di una geometria provvisoria e speciosa, che moltiplica, intreccia, decompone, ricostruisce».2 La sua struttura è talmente particolare e sfuggente che addirittura la razionalità della camera ottica canalettiana si è dovuta adattare a degli accorgimenti e a delle correzioni: la geometria e l'empirismo della rappresentazione vedutista, pur trovando nella Serenissima la propria patria ideale, dunque, si sono dovute ammorbidire di fronte al labirintico e sconnesso sistema delle vie di fuga all'interno del tessuto urbano lagunare. 3 1Filippo Zevi, “Le altre città e il paesaggio italiano” in Wladimiro Settimelli-Zevi, Gli Alinari fotografi a Firenze. 1852-1920 (catalogo della mostra, Firenze, Forte di Belvedere, luglio-ottobre 1977) Firenze, Alinari, 1977, p. 250. 2Sergio Bettini, Forma di Venezia , Venezia, Venezia Nuova, 2005 (1ª ed: Padova 1960), p. 50. 3Rimando ai lavori, sui quali poi torneremo, di André Corboz, Canaletto: una Venezia immaginaria (1978), a cura di Massimo Parizzi, Milano, Electa, 1985; “Profilo per un’iconografia veneziana”, in Isabella Reale-Dario Succi, Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento (Catalogo della mostra: Padova, Palazzo della Ragione, settembre 1994), Milano, Electa, 1994, pp. 21-34; “Sulla pretesa obiettività d Canaletto” in Giuseppe Pavanello-Alberto Craievich (a cura di), Canaletto e i suoi splendori (Catalogo della mostra: Treviso, Casa dei Carraresi, 23 ottobre 2008-5 aprile 2009), Venezia, Marsilio, 2008, pp. 31-37. 3 Il problema si ripresenta, appunto, nel pieno dell'Ottocento ad un altro occhio sistematico, quello della fotografia Alinari, che, viceversa, era riuscita ad adattarsi senza sforzo ad ogni altra struttura paesaggistica. La ditta fiorentina decide, quindi, di impegnarsi limitatamente nell'azione di conquista dell'immagine della città. Tanto che, anche se è documentata a metà del secolo, la vera e propria campagna Alinari in questa città si svolge tra il 1881 e il 1887, quindi relativamente tardi, quando Venezia era ormai già stata ampiamente analizzata e fotografata dalle ditte locali. Abbiamo consapevolmente usato una terminologia militare - “azione di conquista”, “campagna” – per riferirci a quello che stava accadendo, nella seconda metà del XIX secolo, nell'ambito della rappresentazione del paesaggio urbano: vale a dire, un sistematico e serrato lavoro di riordino e di catalogazione dell'intero patrimonio architettonico, paesaggistico e anche antropologico (anche se su un piano più folkloristico che conoscitivo) della penisola. Italo Zannier, tra i primi a studiare la fotografia italiana dell'Ottocento, paragona lo stile Alinari, adottato presto dalle altre ditte impegnate nella scoperta fotografica del territorio, ad una sorta di processo di smaterializzazione della realtà, che faceva apparire l'oggetto architettonico «come se fosse collocato in una neutrale esedra teatrale, a tal punto è decontestualizzato e avvolto in una soffusa e accattivante nuvola di luce»4. Ma proprio quest' «aurea metafisica»5 non sarebbe altro che il risultato razionale di un progetto pianificato di raffigurazione della realtà italiana, messo gradualmente a punto grazie ai consigli di studiosi e critici d'arte 6 e sulla base di un più ampio progetto culturale voluto dal neo-regno italico. Il rivoluzionario spirito scientifico della fotografia, proclamato da François Arago nel celebre discorso del 1839, era, dunque, stato indirizzato, fin da subito, alla registrazione e alla salvaguardia del patrimonio artistico e naturalistico. Nel contesto della nostra cultura nazionale, in particolare, questo stesso spirito era stato declinato soprattutto secondo un'accezione più pedagogica e didattica. 4Zannier Italo, Architettura e fotografia , Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 25. 5Ibidem . 6Tomassini Luigi, “Gli Alinari e l'editoria in Italia fra Ottocento e Novecento. Primi appunti per una ricerca”, I, in «Archivio fotografico Toscano», III, 5, giugno 1987, pp. 59-71. 4 Nel pionieristico Note su fotografia e storia, Giulio Bollati ha spiegato, infatti, che la fotografia di paesaggio e di genere, come tutte le altre forme di comunicazione di massa, era stata incaricata di educare i nuovi sudditi ai valori della corona e di far conoscere loro la varietà e la complessità di una nazione da secoli frammentata in particolarismi locali. 7 Le sobrie e regolari fotografie Alinari portavano a termine perfettamente questo compito, restituendo l'immagine comprensibile di un mondo dominato dall'austera severità di chiare linee prospettiche: frontalità, punto di ripresa a circa tre metri dal piano e un'illuminazione omogenea a dichiarare quali erano i pilastri fisici e morali della nazione. 8 Era possibile, ci chiediamo, applicare a Venezia questo stesso modulo rappresentativo? Era pensabile l'ipotesi di isolare dal contesto la facciata di un palazzo o di una chiesa? Era ottenibile, quindi, un'immagine concisa, rarefatta, dalla quale escludere ogni elemento sovrabbondante che rischiasse di comprometterne l'efficacia totale? La luce poteva essere domata nello spazio veneziano? E soprattutto, era questo che si chiedeva alla fotografia di Venezia? Per capire le caratteristiche dell’immagine fotografica veneziana del XIX secolo, si è rivelato, quindi, necessario rapportarla alla cultura del secolo e, allo stesso tempo, anche alla lunga tradizione iconografica di Venezia. Per questo motivo, abbiamo deciso di addentrarci in ambienti che esulano la storia della fotografia intesa come disciplina a se stante concentrata su generi e autori. Questo soprattutto per comprendere come l'evidente unicità della situazione veneziana potesse aver influito sulla formulazione, recezione e utilizzo della immagine della città. 7Bollati parla, appunto, di un'opera di compilazione di un «dizionario visivo degli Italiani» (Giulio Bollati, “Note su fotografia e storia”, in Carlo Bertelli-Id., L’immagine fotografica 1845-1945, in Annali di Storia d’Italia , 2, Torino, Einaudi, 1979, p 31). Paolo Costantini, successivamente, la definisce anche come una «visione enciclopedica che si vuole condotta su rigorose basi matematiche » (Paolo Costantini, “Occhio artifiziale . Sull’Italia riflessa nelle lamine di Daguérre”, in Zannier (a cura di), Segni di luce I . Alle origini della fotografia in Italia , Ravenna, Longo, 1991, p. 61. Corsivo dell’Autore). 8La struttura compositiva della veduta urbana standard così formulata aveva lo scopo anche di «fornire in una sola ed autonoma immagine, il massimo d'informazioni possibili su quella struttura architettonica e le sue articolazioni plastiche.» (Massimo Ferretti, “Memoria dei luoghi e luoghi della memoria nella riproduzione d'arte” in «Fotologia», 23-24, 2003, p. 3.) Fotografia come didattica popolare, quindi: la veduta, infatti, insegnava la storia e il senso civico; la fotografia d' architettura, invece, forniva un compendio di storia dell'arte (ma era molto apprezzata anche dagli specialisti, da John Ruskin a Pietro Selvatico Estense). 5 La fotografia di paesaggio a Venezia si trova

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