Modena. La famiglia di un detenuto morto durante la rivolta si oppone all’archiviazione 24emilia.com, 23 marzo 2021 I familiari di Chouchane Hafedh, uno dei detenuti morti durante la rivolta scoppiata nel marzo del 2020 dentro la casa circondariale modenese Sant’Anna, si sono opposti alla richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Modena sulla vicenda. Secondo la magistratura modenese, infatti, otto dei nove decessi (tra cui appunto anche quello di Hafedh) sarebbero sopraggiunti per overdose di metadone e benzodiazepine dopo che i detenuti avevano saccheggiato la farmacia del carcere emiliano. Per l’avvocato Luca Sebastiani, che assiste la famiglia di Hafedh, “è un atto complesso, frutto di un lavoro lungo e copioso dove abbiamo avuto modo di affrontare ogni singolo aspetto che la procura non ha considerato. Siamo fiduciosi che le nostre perplessità, che sono tante e anche molto rilevanti, possano essere considerate dal giudice per le indagini preliminari”. Il legale, che comunque ha spiegato di condividere le risultanze investigative sulla causa della morte individuata dai pm modenesi, ci sono però altre questioni: “Oltre al tema della responsabilità omissiva, che andava esplorato con maggiore dovizia come avviene ogni giorno quando tragedie come queste accadono in posti di lavoro, in ospedali o in altre strutture, vi è un tema molto rilevante relativo al ritardo nei soccorsi, così come segnalato dal nostro consulente medico legale specializzato proprio in tossicologia”. Parma. Covid al 41bis, quattro detenuti positivi di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 23 marzo 2021 La notizia dei detenuti positivi al Covid al 41bis di Parma è stata confermata dal garante locale dei detenuti Roberto Cavalieri. Covid al 41bis di Parma. Per ora risultano 4 detenuti reclusi al carcere duro ad essere positivi, di cui uno è sintomatico. A confermare a Il Dubbio la vicenda è il garante locale dei detenuti Roberto Cavalieri. Risultano infetti almeno 16 agenti dei Gom, il gruppo operativo mobile specializzato al servizio di custodia dei detenuti sottoposti al regime differenziato. C’è enorme preoccupazione, anche perché il 41bis del carcere parmense è pieno di persone vecchie e con pluri patologie. Ricordiamo che fino a poco tempo fa era recluso Raffaele Cutolo, gravemente malato, poi deceduto. Proprio a lui, nel mese di maggio, il magistrato di sorveglianza gli rigettò l’istanza per la detenzione domiciliare. Tra le motivazioni del rigetto, anche la mancanza di rischio contagio. Al 41bis di Opera c’è scappato il morto - In realtà, i fatti dimostrano che anche il 41bis non è immune dal virus. Lo abbiamo a novembre scorso con i casi di Covid nei 41bis del carcere milanese di Opera. Ricordiamo che c’è scappato anche il morto. A dicembre è morto 78enne Salvatore Genovese, detenuto al 41bis a Opera e ricoverato in ospedale per complicazioni dovuto dal Covid 19. Era cardiopatico, già operato di tumore e con i polmoni malandati. Come ci raccontò il suo avvocato Paolo Di Fresco, circa 10 giorni prima che ha contratto il virus, si è visto respingere l’istanza per la detenzione domiciliare. Per il giudice stava al sicuro, curato e non esposto al contagio visto il regime di isolamento. I fatti hanno smentito tutto ciò. Ma com’è possibile che il Covid entri al 41bis? - Lo aveva spiegato molto bene il giudice di sorveglianza di Sassari Riccardo De Vito, quando in un provvedimento lungo otto pagine aveva disposto la detenzione domiciliare per Pasquale Zagaria, malato di tumore al 41bis, sottolineando tra le altre cose che “sotto questo profilo occorre rilevare che benché il detenuto sia sottoposto a regime differenziato e dunque allocato in cella singola, ben potrebbe essere esposto a contagio in tutti i casi di contatto con personale della polizia penitenziaria e degli staff civili che ogni giorno entrano ed escono dal carcere”. Al 41bis di Parma 49 detenuti si 62 sono a rischio - Ma ora tocca ai 41bis del carcere di Parma, dove la tensione è massima. La situazione sanitaria, AltraCittà infatti, è complessa perché su 62 detenuti al 41bis ben 49 sono da considerare a rischio per l’età e le numerose patologie (neoplasie, trapianti d’organo, cardiopatie severe e diabete). La popolazione detenuta a Parma si caratterizza anche per altri dati importanti che connotano la struttura come complessa e critica: 36 detenuti sono costretti all’uso della carrozzina per deambulare e 50 sono non autosufficienti. Per ciascun detenuto recluso a Parma sono state diagnosticate in media dalle 4 o alle 5 patologie. L’incidenza maggiore è al carcerewww.altracittacoop.it duro, dove oramai Covid al 41bis di Parma è riuscito a varcare le porte blindate. Reggio Emilia. Carcere, dieci detenuti e dieci agenti positivi al Covid reggiosera.it, 23 marzo 2021 Per altre venti persone si attende l’esito del tampone: chiusi sei reparti su otto. La situazione epidemiologica nel carcere di Reggio Emilia, oggetto nei giorni scorsi di una denuncia dei sindacati, registra oggi 10 detenuti positivi, di cui cinque con sintomi leggeri. Per altre 20 persone si attende l’esito dei tamponi. I contagiati tra gli agenti penitenziari sono invece 10 (di cui due ricoverati nel reparto infettivi), a cui si aggiungono 24 operatori in quarantena fiduciaria. È l’aggiornamento fornito ieri in Consiglio comunale dall’assessore al Welfare Daniele Marchi. “Dal 13 marzo c’è stato un positivo tra i detenuti e ora la situazione è piu’ complicata rispetto ad un mese fa, ma è nel complesso gestita, perché il focolaio appare contenuto”, spiega Marchi. È chiaro che “siccome il carcere è una comunita’ chiusa, la situazione va monitorata con attenzione”, aggiunge l’assessore. In via precauzionale sono stati chiusi tutti i reparti (sei) tranne due, che hanno sede in edifici separati. Solo in questi, quindi, i detenuti possono uscire dalle celle. A tutti sono comunque garantiti i colloqui con avvocati e parenti, che si svolgono in videoconferenza. Tra oggi e domani, infine, dovrebbe riprendere la campagna di vaccinazione per gli operatori. Accelerarla è l’auspicio del Consiglio comunale, che ha votato all’unanimita’ un ordine del giorno urgente proposto da Cinzia Ruozzi (Pd). Una riunione della commissione speciale Covid sul carcere, informa la presidente Palmina Perri, sara’ convocata “a brevissimo”. Le regole Mandela ci dicono che il prigioniero è un uomo. Non gettate la chiave! di Daniela de Robert* Il Riformista, 23 marzo 2021 Adottate nel 2015 dall’Assemblea generale dell’Onu, dopo anni di lavoro, sono dedicate all’ex presidente del Sudafrica che in carcere ha trascorso ben 27 anni della propria vita. Cinque principi base, 122 regole. Indicano gli standard minimi delle condizioni di detenzione, ma in realtà puntano a ottenere livelli di tutela sempre più alti per le persone private della libertà. Sono dedicate proprio a lui, Nelson Mandela, le Regole delle Nazioni Unite che stabiliscono gli standard minimi delle condizioni di detenzione. Lo ha deciso l’Assemblea generale Onu nel dicembre del 2015 quando le ha adottate dopo anni di lavoro. Il primo testo, infatti, risale al 1955, quando ancora le ferite della Seconda guerra mondiale erano aperte e il ricordo delle violazioni dei diritti delle persone private della libertà, dei trattamenti crudeli, inumani e degradanti era vivo e doloroso. Le 95 regole adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento degli autori di reati definivano le norme minime universalmente riconosciute per la gestione delle strutture detentive e per il trattamento delle persone detenute. Stabilivano cioè gli standard minimi, al di sotto dei quali nessun Paese doveva mai scendere. I principi fondamentali erano due: il rifiuto della discriminazione sulla base dell’origine etnica, del colore, del sesso, del linguaggio, della religione, della politica o di altre opinioni, della nazionalità o contesto sociale, della proprietà, della nascita o di altri status; e il rispetto del credo religioso e dei precetti morali della comunità a cui la persona detenuta appartiene. Le regole saranno approvate dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite con una prima risoluzione del 1957 e saranno poi rivedute con una successiva risoluzione nel 1977. Ma bisognerà aspettare il 2011 perché l’Assemblea generale istituisca un gruppo di esperti intergovernativi con il compito di rivedere e aggiornare il testo, e altri quattro anni perché si raggiunga un documento condiviso. Si arriva così al 2015 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta gli Standard minimi delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti, scegliendo di chiamarli Nelson Mandela Rules, per onorare la memoria del Presidente sudafricano che trascorse 27 anni della sua vita in un carcere. Cinque principi di base, a cominciare dal diritto di ognuno a essere trattato con il rispetto dovuto alla propria intrinseca dignità e valore come essere umano, per un totale di 122 regole suddivise in diverse aree tematiche. Come le precedenti, queste regole non vogliono descrivere un modello di istituzione penale, ma si limitano a definire ciò che è generalmente accettato come buoni principi e pratiche nel trattamento delle persone detenute e nella gestione delle carceri. Ma AltraCittà se la sorella maggiore del 1955, si limitava a definire la soglia minima di accettabilità al di sotto della quale un determinato aspetto rischiava di configurarsi come trattamento inumano o degradante, con una sorta di obiettivo al ribasso, le Nelson Mandela Rules puntano più in alto, invitando gli Stati a considerare
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