AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino Le parole dell'agricoltura. Saggio di un glossario da fonti latine medievali. I This is the author's manuscript Original Citation: Availability: This version is available http://hdl.handle.net/2318/104124 since 2016-02-29T10:30:04Z Publisher: Edizioni dell'Orso Terms of use: Open Access Anyone can freely access the full text of works made available as "Open Access". Works made available under a Creative Commons license can be used according to the terms and conditions of said license. Use of all other works requires consent of the right holder (author or publisher) if not exempted from copyright protection by the applicable law. (Article begins on next page) 07 October 2021 PLUTEUS TESTI 9 POSTPRINT POSTPRINT Matteo Rivoira Le parole dell’agricoltura Saggio di un glossario da fonti latine medievali del Piemonte I POSTPRINT Edizioni dell’Orso Alessandria © 2012 POSTPRINT Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. 15121 Alessandria, via Rattazzi 47 tel. 013⒈252349 – fax 013⒈257567 e-mail: [email protected] http://www.ediorso.it Realizzazione editoriale e informatica di Matteo Rivoira È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941 ISBN 978-88-6274-344-0 Presentazione L’area alpina e pedemontana registra per il Medioevo una notevolissima scar- sità di documenti scritti in volgare locale (e, in generale, in volgare), di fonte ad una straordinaria ricchezza di documenti in lingua latina che raffigurano secondo particolari modalità rappresentative la realtà linguistica originaria. Partendo da questo stato di fatto diversi studiosi del passato iniziarono raccolte di lemmi se- condo diversi punti di vista e con diverse intenzioni di completezza. Fra tutti van- no ricordati Costantino Nigra, Girolamo Rossi (riferito ad area prevalentemente ligure, ma con corrispondenze davvero notevoli con vaste aree del Piemonte me- ridionale) e soprattutto Giuliano Gasca Queirazza. Di fonte al sostanziale silenzio della letteratura in volgare (con l’exploit ini- ziale dei Sermoni subalpini, che aprono più problemi di quanti ne chiudano), il latino variamente disposto a lasciar emergere le forme della lingua parlata, a seconda delle epoche, dei contesti, degli attori: un notariato numeroso ed attivis- simo, alle cui scritture le modalità di deposito di minutari e documenti in genere hanno dato buone possibilità di conservazione; una fiscalità molto attenta, che si esercitava nella situazione del territorio alpino e subalpino attraverso il controllo delle merci in passaggio; l’esistenza di una straordinaria fammentazione comu- nale che ha prodotto una abbondantissima produzione statutaria. Le fonti a disposizione sono molto ampie, e sono state studiate con attenzione soprattutto da Giuliano Gasca Queirazza, che ha messo a futto una favorevolis- sima serie di doti personali e di circostanza particolarmente favorevole: eccellente conoscenza del latino, che gli consentiva con grande facilità di percepire la qualità linguistica dei testi, distinguendo i livelli espressivi dei testi, con una facilità e limpidità che nonPOSTPRINT si può dimenticare; la sua conoscenza diretta della vita di cam- pagna, che derivava anche da affettuosi ricordi di infanzia; la conoscenza della montagna, accompagnata da uno spirito di osservazione che si può sviluppare soltanto attraverso l’intelligente contatto con le cose. A queste sue doti — ac- compagnate, naturalmente, da una competenza scientifica di largo raggio, che oggi diremmo d’altri tempi — si accompagnava un dato occasionale, vale a dire il suo insegnamento nella Facoltà di Magistero. Facoltà guardata sempre dall’al- to in basso dalle Facoltà prossime, Magistero aveva un pubblico particolare; il Piemonte aveva pochi licei, e in provincia si studiava soprattutto negli Istituti Magistrali, i cui diplomati potevano accedere alla Facoltà di Magistero, ma non a Lettere; spesso, inoltre, avevano il diploma dell’Istituto Magistrale i figli di VI famiglie non ricche, che preferivano un lavoro alla fine della scuola. Insomma studenti di provincia, e di famiglie non ricche: due coordinate che, con una certa approssimazione, individuavano dialettofoni di diverso grado. Ecco che allora le condizioni per poter studiare un lessico difficile, che poteva essere capito bene soltanto avendone conoscenza diretta e vissuta si verificavano; con nessuna nostalgia per settori che altri ritenevano “elevati” si aprì una grande serie di tesi di laurea che consentiva a persone certe volte già mature (maestri e maestre che desideravano una laurea e venivano in università dopo il lavoro, partendo anche da sedi lontane). Gli argomenti prevalenti, lessico, toponoma- stica e antroponomastica consentivano di fare uno straordinario passo in avanti: utilizzare una esperienza che poteva parere localistica, per applicare metodi di grande respiro anche a ciò che era quotidiano. E le conseguenze apparentemen- te secondarie consistevano poi nel coinvolgimento, nelle realtà locali piccole, di strati sociali, e classi di età, che vedevano riconosciute le loro conoscenze come importanti non solo per sé, ma anche in un contesto ampio. Quanto questi lavori abbiano contribuito a rendere operante e vivente l’eser- cizio di una disciplina scientifica rigorosa — ma non mai rigida — sono i prota- gonisti a saperlo e a ricordarlo. Successivamente è stato fatto tanto altro lavoro, spesso con aspirazioni a to- talità di registrazioni lessicali, che forse potevano essere buoni progetti, ma con poche speranze di realizzazione (edizioni integrali di testi inediti, lessici non at- tenti soltanto al volgare ma a tutti gli aspetti dei testi) cui ho personalmente dato sviluppo, con risultati inferiori alle aspettative. È probabile che alcuni sondaggi su singoli campi semantici, ed in aree deter- minate, con studi di natura contrastiva, come questo lavoro, riaprano, passando da un altro aspetto del problema, l’intera partita. Una prospettiva geolinguistica applicata ad un’area di forte interferenza di diverse parlate galloromanze e gal- loitaliche è in grado di dare uno sguardo di assieme, e stimolare vie di indagine mirate che faccianoPOSTPRINT avanzare di molto la conoscenza. La scelta del lessico agricolo è, con evidenza, una scelta quasi obbligata, se si parte da materiale statutario e dal materiale geolinguistico. Ma vorrei in questo riprendere o ricordare a questo proposito, un dialogo che ebbi tanti anni fa con Giuliano Gasca Queirazza. Gli dissi che avrei dato molto per passare un quarto d’ora con Petrarca per capire davvero come parlava. Quasi distrattamente mi disse: «E io invece darei di più per passare un quarto d’ora con un contadino dell’epoca di Petrarca». Rimasi molto stupito, chiesi perché, e mi disse: «Perché ne so molto di meno». Ci ho riflettuto molto, quasi ogni giorno, dandogli sempre più ragione. Alessandro Vitale Brovarone Introduzione* La documentazione delle varietà dialettali si basa spesso su fonti caratterizzate da scarsa profondità storica. Nel caso del Piemonte, ad esempio, gli strumenti più importanti per conoscere la realtà linguistica della regione sono costituiti dalle raccolte novecentesche realizzate nei primi decenni del secolo dai grandi atlanti linguistici nazionali (l’Atlante Italo-Svizzero e l’Atlante Linguistico Italiano) cui si aggiungono, in anni più vicini a noi, quelle della Carta dei Dialetti Italiani e dell’Atlante Linguistico ed Etnografico del Piemonte Occidentale 1. I dati raccolti da queste imprese, dalla viva voce dei parlanti attraverso un’indagine sistematica e mediante il ricorso a raffinate metodologie di elicitazione, permettono di deline- are un quadro preciso e dinamico della realtà linguistica del territorio. Si tratta però di raccolte che programmaticamente si limitano a documentare la situazione in una prospettiva sincronica. Seguono i grandi dizionari dialettali ottocenteschi (Pipino, Brovardi, Capello, Zalli, Ponza, Di Sant’Albino, Pasquali, Gavuzzi) 2, cospicui repertori lessicali contenenti prezioso materiale linguistico, sebbene con alcuni limiti d’impostazione, il più rilevante dei quali — nell’ottica di precisare la fisionomia linguistica della regione — è quello di essere esemplati in prevalenza sulla varietà torinese pur accogliendo, in genere senza una precisa collocazione geografica, un gran numero di voci “contadinesche” o “plebee”. Anche in questo caso, tuttavia, benché si tratti di fonti che ci permettono di risalire almeno al secolo precedente, si ha a che fare pur sempre con una documentazione essen- zialmente sincronica, basata fondamentalmente su testimonianze orali, trattando * Desidero qui ringraziare il prof. Alessandro Vitale Brovarone per i preziosi suggerimenti che mi hanno guidatoPOSTPRINT nella stesura di questo lavoro e per la discussione puntuale e serrata dei suoi contenuti. A Sabrina Specchia va la gratitudine per essersi fatta carico di un’attenta lettura delle bozze, al prof. Lorenzo Massobrio, Claudia Alessandri e Federica Cusan quella per aver rivisto e discusso i contenuti dell’Introduzione. Gli errori rimasti sono ovviamente imputabili solo alla mia ostinazione. A Vittorio Dell’Aquila, infine, devo l’elaborazione del database impiegato per l’archiviazione dei materiali. 1 In particolare, le inchieste dell’AIS furono realizzate negli anni ’20, quelle dell’ALI negli anni ’30 e ’40, mentre quelle della CDI risalgono agli anni ’70 e quelle
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