Numero 6 Marzo-Aprile 2012

Numero 6 Marzo-Aprile 2012

MENSILE - POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. IN A.P. 70% - ROMA - COPIA EURO 0,001 QUANTO È SOCIAL È QUANTO A PORTATA DI MAPPA DI PORTATA A IL TUO TUO IL MUSEO? TUTTA SANTIAGO SANTIAGO TUTTA PAROLA A CRISTIANA COLLU CRISTIANA A PAROLA VI RACCONTO IL MIO MART MIO IL RACCONTO VI anno 11 L’INTERVISTA DELL’ANNO L’INTERVISTA numero SPERONE DIXIT SPERONE 6 marzo-aprile 2012 marzo-aprile IL CENTENARIO A BERLINO A CENTENARIO IL AUGURI NONNO CAGE NONNO AUGURI TERZA TAPPA IN SERBIA IN TAPPA TERZA INCHIESTA BALCANICA INCHIESTA REPORTAGE DAL MAROCCO DAL REPORTAGE ART THE THE CASBAH ART ullo scorso numero di Artribune proponevamo la chiusura del Ministero dei Beni e delle Attività Cultura- li. Ora quella che poteva sembrare una provocazione (e non lo era) si conferma nelle nostre convinzioni. Il ministero e il ministro non esistono; l’interesse del Governo verso la più grande industria del Paese (dopo la criminalità orga- nizzata) è nullo. Tanto vale eliminare le spese consegnando le deleghe della tutela, ma soprattutto della valorizzazio- ne del nostro patrimonio, direttamente al Primo Ministro. Già, tutela e valorizzazione: i due estremi entro i quali si muove il dibattito sull’heritage italiano. Come se fossimo negli Anni Cinquanta. Un nuovo episodio, in questo gorgo più di disgusto che di pessimismo, arriva da Venezia. Ed TONELLI è un episodio di speranza. Speranza di non essere all’infinito quel patetico “presepe” di cui Fabio Severino parla nel suo editoriale, poco più avanti. Venezia. Commedia all’italiana con giallo. I protagonisti ci sono tutti: gli industriali cattivi, il bene culturale conteso MASSIMILIANO tra speculazione e tutela (quando leggete ‘tutela’ dovete intendere ‘abbandono’, l’unica forma di tutela possibile in mancanza di soldi e idee), il sindaco illuminato, la città simbolo, il confronto internazionale. Il quadro è quello della trasformazione urbanistica del Fondaco dei Tedeschi. Strepitosa struttura cinquecentesca a uno sputo dal Ponte di Rialto. Ex ufficio postale, oggi abbandonato a se stesso. La proposta dei Benetton è di rilanciarlo, assegnando il progetto a un grande architetto, consegnando alla città non solo soldi sotto forma di oneri concessori (6 milioni!), ma anche spazi pubbli- ci, terrazze, nuove prospettive in un angolo stereotipato e stancamente turistico. Si inizia a parlare del progetto due anni fa, il Comune sigla gli accordi, Giorgio Orsoni, il sindaco della Serenissima, si convince e tutto sembra istruito per partire. A quel punto partono gli strali dei Salvatorisettis (tutto attaccato!) di turno. Secondo i quali, sempre, ri- qualificare è speculazione edilizia. Loro pensano di preservare un presepe, in realtà lo stanno aiutando a consumarsi, perché chi non si trasforma deperisce. E ancor di più nei complessi sistemi urbani delle nostre città, che sono arri- vate ad oggi così come sono grazie al fatto che si sono, sempre, trasformate. Al posto del Fondaco dei Tedeschi c’era una struttura medievale, duecentesca; ebbene, nel Cinquecento l’hanno buttata giù, facendovi qualcosa di meglio. Oggi farci intervenire un architetto come Rem Koolhaas è una speculazione edilizia che merita lunghi editoriali di reprimenda su La Repubblica. Dove sta la speranza? Nella reazione di un sindaco che ritiene di rappresentare la sua gente dichiarando che “Venezia non è intoccabile”, affermando che “non ci si deve comportare da feticisti” e facendo presente che “pure la Piramide del Louvre all’inizio è stata contestata”. Eccola la reazione capace di zittire, per mancanza di argomenti, i Salvatorisettis di turno. Il rispetto delle nostre città passa per il loro sviluppo e la loro trasfor- mazione. Il feticismo è una malattia per la quale occorre farsi curare da uno bravo. La generazione dei Salvatorisettis è un’egemonia che si sta sfaldando? È una maggioranza che si sta ridimensionando? Per ora no. Per ora la classe dirigente del Paese la pensa in quel modo e i Salvatorisettis sono ovunque: nei licei, nelle accademie, nelle soprintendenze, negli enti locali, ma anche nelle aziende private. E poi ci sono gli Orsoni e, augu- riamoci, i Monti. In ogni caso da scalare. 4 EDITORIALE Italia è uno strano Paese. Ci azzuffiamo per mesi su un gol-non-gol e un fuorigioco, sulla farfallina di Belen e sull’articolo 18. Sui dettagli, insomma. Ma è un Paese che non sa più costruire le scale di priorità. Ci prova, con una discreta tenacia, questo Governo di alieni: tecnici coraggiosi, che però palesemente pre- dicano nel deserto. Parti sociali, partiti, media, baronie accademiche e culturali non riescono a focalizzare neanche la più banale scala di priorità necessaria per evitare la fine della Grecia. Una scala in sé semplicissima: al primo posto non la generica riforma del mercato del lavoro, ma del salario. Il caro vecchio “cuneo fiscale”, che dovrebbe essere a beneficio anche del lavoratore, non solo dell’impresa. Flessibilità anche estremizzata, ma ADINOLFI in cambio di innalzamenti della paga oraria. Abbattimento delle aliquote fiscali più basse, subito, non con il solito effetto annuncio poi ritirato. MARIO Basta posti a vita, mercato delle opportunità dove chi più vale più guadagna e il merito abbia un senso. In- vestimento sulle energie più giovani e basta con l’ingiustizia del venticin- quenne fresco pagato un terzo del sessantenne bollito, alla catena di mon- taggio come nelle stanze dei bottoni. Basta con questo sindacato dei lavoratori, che è in realtà il sindacato dei pensionati e difende solo il diritto di milioni di persone, andate a riposo scandalosamente tra i quaranta e i cinquantacinque anni, a vedere rivalutata la propria pensione anche al triplo della minima. Seconda priorità: riforma dei partiti. Immediata, perché se domani dicessero agli italiani che le elezioni sono rinviate a data da destinarsi, gli italiani non sussulterebbero e sarebbero in fondo contenti. Perché gli italiani a questi mille parlamentari a diciottomila euro al mese, a questi partiti che spendono e spandono, bugiardi e molto spesso ladri, non credono più, non prestano più alcuna fede. E questo sarebbe poco male, se ad andarci di mezzo non ci fosse l’amore per la politica e in fondo per la democrazia. Il crimine più pesante commesso da questa classe dirigente incapace di riformare se stessa e per questo ignobile. Tutta. Anche a sinistra. E i casi Lusi e Penati sono lì a ricordarlo, anche se si è tentato il seppellimento della polvere sotto il tappeto. Terza priorità: l’abbattimento del debito. Perché non può reggere un sistema in cui la mezza Italia nata dopo il 1970 che, già penalizzata da salari da fame, assenza di tutela e di rappresentanza, precarietà senza opportunità, debba pagare anche tutti gli interessi di un debito fatto da altri e alimentato dal bisogno di altri di veder pagato il loro welfare. Questa condizione nel medio termine non regge socialmente e porta alla guerra generazionale. E allora, subito bisogna abbattere quel debito, intervenendo sugli interessi di chi l’ha realizzato e ne ha beneficiato. Li chiamano diritti acquisiti. Vanno toccati. Salario, democrazia, debito. Tre enormi emergenze, dalle conseguenze so- ciali ancora incalcolate. Non abbiamo chiaro in quale guaio ci stiamo infilando, continuando a non sciogliere i nodi e a interessarci solo di dettagli. Giornalista e scrittore l’altro editoriale 5 PIÙ START UP, MENO MUSEI PRESEPE ITALIA CULTURA E PIIGS “ iamo nella cacca”. Nulla di nuo- Nello scenario internazionale, i l recente aumento di attenzio- Svo, certo. Ma me lo diceva il pre- sempre meno emergenti lavorano Ine per l’economia della cultu- sidente di una delle più importanti tanto, chiedono poco e iniziano ra è collegato alla transizione dal banche italiane. Un signore elegan- a essere creativi. Gli italiani han- governo Berlusconi al governo te e vivace, che da sempre è interes- no il vantaggio di avere la crea- Monti. Non si può però dire che sato all’arte. E così dicendo lasciava tività nella cultura, lo esprimono il cambio di passo sia dovuto a LUIGI SACCO nell’aria anche una vaga speranza. col made in Italy, con l’emergere segnali provenienti dal nuovo “Non abbiamo altra nell’emergenza. “Alterare l’ordi- governo, che considera la cultura PIER via se non indaga- SEVERINO ne delle cose stabilite per fare cose come centro di costo da tagliare. re nuovi terri- FABIO nuove”: è la definizione di ‘inno- Anche quando l’interesse si sposta tori. Quelli vare’. L’Italia in questo ha la sul tema strutturale della crescita, la cultu- dell’in- sua leadership. Non ha mai ra non è in cima all’agenda delle priorità. SEGANFREDDO novazio- conosciuto rivoluzioni, ma L’attenzione per la cultura è rivolta soprat- CRISTIANO ne e della il suo tessuto umano tutto verso i temi tradizionali della tutela creatività. Aprire nuo- quotidianamente e della conservazione del patrimonio sto- ve strade. Temi che ci sem- - combatten- rico-artistico, oggi sottoposto a bravano naïf o settoriali solo do anche con il minacce crescenti di degra- qualche mese fa, oggi sono di proprio sistema so- do. La nuova situazione è grande attualità. E su questi dobbiamo in- ciale - innova e si rinno- frutto di una singolare vestire”. Qualcuno direbbe “bene!”, qual- va. La posata e costruttiva coincidenza? Non cuno tirerà su il naso contro le banche, reazione sociale alle attuali credo. Da una qualcuno dirà “era ora”. Il tema reale è che riforme è la dimostrazione più attuale. La ricerca condotta in manca totalmente un qualsiasi ecosistema visione individuale, che si trova in tanti IULM, risulta una for- visibile e riconoscibile dell’innovazione. imprenditori, ricercatori, artisti, intel- te relazione tra il livello di Non esiste una filiera. Non esiste massa lettuali, fatica a diventare un’intelligenza partecipazione culturale attiva critica. Niente numeri ufficiali. Tutto è collettiva, a tradursi in una visione poli- all’interno dei Paesi della EU15 e il livello di stabilità finanziaria.

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