CATALOGO CATALOGUE LE GIORNATE DEL CINEMA MUTO 2005 24TH PORDENONE SILENT FILM FESTIVAL XXIV EDIZIONE 7 – 16 OTTOBRE 2005 SACILE, TEATRO ZANCANARO / CINEMA RUFFO PORDENONE, TEATRO COMUNALE GIUSEPPE VERDI Davide Turconi, il profeta del muto Davide Turconi, padre fondatore e primo direttore delle Giornate del Cinema Muto e decano degli storici italiani di cinema, è scomparso il 27 gennaio scorso alla veneranda età di 94 anni (era nato a il 17 gennaio 1911). Il suo nome è noto al di fuori dell’Italia soprattutto per una monografia su Mack Sennett (la prima in assoluto), rimasta per molto tempo l’unico studio specializzato riguardante the King of Comedy , per la sua pionieristica retrospettiva (1984) dedicata a Thomas H. Ince – uno dei registi a lui più cari – e per una monumentale filmografia della Vitagraph pubblicata dalle Giornate nel 1987. C’erano pochi intimi ai suoi funerali, ma un addio del genere è in un certo senso coerente con la personalità di un uomo umile e discreto, indifferente all’effimero richiamo della gloria in una disciplina che per sua natura non richiama l’attenzione dei mass media . Ho avuto la fortuna di conoscere Turconi dal lontano 1978, quando Angelo R. Humouda, direttore di quella fucina culturale che fu la Cineteca Griffith di Genova, mi accompagnò con il suo furgoncino verde Volkswagen nella minuscola località pavese in cui Davide avrebbe ispirato un nuovo corso negli studi sul cinema muto e insegnato a tanti – me compreso – la difficile arte della ricerca sui documenti d’epoca e la passione per il cinema muto. La sua esperienza nella valorizzazione del cinema muto risale tuttavia a molti anni prima, agli Incontri Cinematografici di Grado (1970-1972), primo esperimento di quella formula che avrebbe poi trovato piena realizzazione a Pordenone, e prima ancora alla Mostra del Cinema di Venezia (con le retrospettive Sennett nel 1961 e Keaton nel 1963). Ricordo spesso due delle sue espressioni favorite: la prima era una risposta all’incredulità degli americani che non capivano come un italiano potesse realizzare filmografie più precise delle loro: “è semplice”, diceva con modestia, “ho consultato tutte le rubriche delle lettere ai direttori delle riviste, quelle in cui si chiedevano informazioni su attrici e attori in minuscole parti dei film”; l’altra era il suo caveat di sempre – hic sunt leones , il motto (desunto dalle prime descrizioni cartografiche di terre sconosciute) che amava utilizzare parlando delle allora innumerevoli lacune nella nostra conoscenza del cinema delle origini. Mi ritengo ancor più fortunato per aver trascorso con Davide lunghe e appassionanti ore in treno nei viaggi notturni sulla linea che da Genova portava a Pordenone, dove le Giornate del Cinema Muto avevano cominciato a crescere sotto la sua guida. Col senno di poi, avrei dovuto portare con me un registratore per catturare le infinite storie raccontate da Davide in quelle insonni traversate lungo la pianura padana dopo le riunioni del comitato direttivo del festival. Storie di cinema, naturalmente, dalle avventure editoriali del periodico Cinema alla scoperta della collezione Joye in Svizzera, restaurata in gran parte dietro il suo impulso, alla sua intuizione della necessità di dar vita a un’Associazione Italiana per gli Studi di Storia del Cinema (nata grazie a lui nel 1964); ma anche storie personali e qualche volta intime, come la sua partecipazione alla Resistenza, la sua passione per la letteratura francese, l’attività quotidiana per l’Azienda del Turismo di Pavia che gli procurava di che vivere. Fra una stazione e l’altra, Davide dava espressione al suo talento di raconteur di prima classe. In mezzo a commenti sulle pagine del Moving Picture World e giudizi trenchant sulle molte storie del cinema scritte senza un’adeguata ricognizione delle fonti d’epoca spuntavano osservazioni sul ruolo dei cattolici nella lotta contro il fascismo, affascinanti aneddoti sulle cineteche nell’immediato dopoguerra, idee su retrospettive da organizzare a Pordenone negli anni a venire. Quando le Giornate del Cinema Muto erano ancora alle prime armi e i suoi giovani organizzatori non sapevano bene che pesci pigliare, si andava tutti da Davide. Era come catturare le trote con le mani, perché sapevamo benissimo che ci saremmo ritrovati sulla corriera che portava da Montebello della Battaglia alla stazione ferroviaria di Voghera con un carnet pieno di note, spunti, iniziative che aspettavano solo di prendere forma tangibile. Insieme alle idee, Davide era prodigo di informazioni. Definirlo un generoso (si dice sempre così di una persona scomparsa) è un imperdonabile eufemismo: se altri si preoccupavano di mantenere il controllo del sapere nella terra incognita che era il cinema delle origini, lui ti metteva in mano fotocopie di rari documenti, annate di vecchie riviste, libri che nessun altro avrebbe potuto trovare nell’Italia di allora. E non esigeva mai niente in cambio, se non di condividere con lui l’entusiasmo che lo animava da sempre e che gli ha garantito una così lunga e serena esistenza. Con il sopraggiungere della vecchiaia, Davide si trasformò gradualmente da primus motor della storiografia del cinema nell’oggetto di tesi di laurea e di interviste. Poi si diradarono anche quelle. Preoccupato per la salute della moglie (che sarebbe scomparsa un anno prima di lui), aveva abbreviato e poi definitivamente interrotto le sue escursioni a Pordenone. Aveva ceduto la sua insuperabile biblioteca di cinema alla Provincia di Pavia, che aveva promesso di metterla a disposizione del pubblico. A ben guardare, l’obbligo morale che Davide aveva chiesto di onorare riguarda tutti noi. Davide non ci ha dato soltanto gli strumenti necessari a studiare il cinema con criteri scientifici; nell’indicarci così tante strade da percorrere, ci ha dato anche e soprattutto una lezione di onestà intellettuale. È giunto il momento di ricambiarlo. Da questo punto di vista, la morte di Davide non rappresenta la fine di un’epoca quanto l’inizio di una nuova missione. Non la sentiamo come un debito nei riguardi di un maestro, bensì come una responsabilità da onorare nel nome di un amico. – PAOLO CHERCHI USAI Martedì 11 ottobre, in omaggio a Davide saranno presentati rari film a colori della collezione Joye (si veda la sezione “Eventi speciali”, pp. 32-34). Davide Turconi, Prophet of the Silents Davide Turconi, founding father and first director of the Giornate del Cinema Muto, and doyen of Italian cinema historians, died on 27 January 2005, at the age of 94 (he was born on 17 January 1911). His name was known internationally, above all for the first-ever monograph on Mack Sennett, which remained for many years the only specialist study dealing with “the King of Comedy”; for his pioneering 1984 retrospective dedicated to Thomas H. Ince – one of the directors dearest to him; and for a monumental filmography of the Vitagraph Company, published by the Giornate in 1987. There were few close friends at his funeral, but such a farewell was in a certain sense appropriate to the personality of a modest and retiring man, indifferent to ephemeral fame in a discipline which, as far as he was concerned, did not attract the attention of the mass media. I had the great fortune to know Davide a long time, from 1978, when Angelo R. Humouda, director of that cultural forge that was the Cineteca Griffith of Genoa, took me in his green Volkswagen van to the tiny locality in Pavia where Turconi had inspired a new course in the study of silent cinema and taught many – including myself – the difficult art of researching the documents of the period, as well as the passion for silent cinema. His experience in the appreciation of silent cinema went back many years, at least to the Incontri Cinematografici di Grado (1970-1972), a first essay in the formula which would subsequently find its full realization in Pordenone, and even before that, at the Venice Film Festival (with retrospectives of Sennett in 1961 and Keaton in 1963). I often recall two of his favourite expressions. The first was a reply to the incredulity of Americans who could not understand how an Italian could establish filmographies more precise and comprehensive than their own. “It’s simple,” he said, modestly. “I look in all the correspondence columns of the magazines, where readers ask for information on actors and actresses in tiny roles in films.” The other was his constant caveat , hic sunt leones (“here are lions”) – the Latin motto drawn from early cartographic descriptions of unexplored exotic lands – which he loved to use when talking of the innumerable lacunae in our knowledge of the beginnings of cinema. I consider myself even more fortunate to have passed long and thrilling hours on the night train between Genoa and Pordenone, where Le Giornate del Cinema Muto had begun to develop under his guidance. With hindsight, I wish I had had a recorder to capture the endless stories Davide told me during these sleepless journeys through the Lombardy plain, after the meetings of the board of directors of the festival. Stories of the cinema, of course, of the editorial adventures of the Italian magazine Cinema , of the discovery of the Joye Collection in Switzerland, in great part restored thanks to his influence, of his sense of the need to give life to an Italian Association for Studies in the History of Cinema (established thanks to him in 1964); but also personal and sometimes intimate stories, like his participation in the Resistance, his passion for French literature, the day-to-day activities of the tourist office in Pavia which provided him with a livelihood. Between one station and the next, Davide displayed his talent as a first-rate raconteur . In between comments on the pages of Moving Picture World and trenchant judgments on many histories of the cinema written without adequate recognition of period sources, there would be observations on the role of the Catholics in the struggle against fascism, fascinating anecdotes about the cinematheques of the immediate post-war period, and ideas for retrospectives to be organized for Pordenone in the years to come.
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