Vicende Collezionistiche, Oblio E Fortuna Del Ritratto Di Giovane Donna Di Piero Del Pollaiolo Del Museo Poldi Pezzoli, Fra Otto E Novecento

Vicende Collezionistiche, Oblio E Fortuna Del Ritratto Di Giovane Donna Di Piero Del Pollaiolo Del Museo Poldi Pezzoli, Fra Otto E Novecento

Vicende collezionistiche, oblio e fortuna del Ritratto di giovane donna di Piero del Pollaiolo del Museo Poldi Pezzoli, fra Otto e Novecento Il Ritratto di giovane donna di Piero del Pollaiolo del Museo Poldi Pezzoli, intorno al quale è stata ideata questa mostra, ha conosciuto una notevolissima fama a partire dalla fine degli anni settanta dell’Ottocento, quando viene acquisito da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, della cui collezione diventa ben presto una delle opere più apprezzate e rinomate1. Già allo scadere del XIX secolo, per spontanea elezione della critica specialistica e dei visitatori, assurge al ruolo di vera e propria icona del Museo Poldi Pezzoli, aperto al pubblico nel 1881. È a partire da questi anni che il dipinto assume una valenza emblematica, che mantiene ancora oggi, quale simbolo ideale del fascino esercitato dal Rinascimento fiorentino. Fino all’ottavo decennio dell’Ottocento era però, abbastanza sorprendentemente, quasi del tutto sconosciuto, e si fa una certa fatica a rintracciarne delle menzioni, ancorché fugaci, nelle fonti manoscritte e a stampa. Nei decenni centrali dell’Ottocento il dipinto era già custodito a Milano, nella collezione Borromeo, come attesta Giovanni Battista Cavalcaselle: lo studioso lo raffigura, insieme ad alcune altre opere della collezione di Giberto VI (1815-1885), che evidentemente lo avevano colpito e che egli riteneva particolarmente rilevanti, in uno dei suoi tipici schizzi di riproduzione eseguiti a penna, che reca in calce la dicitura “Casa Borromeo / Milano”: nel foglio, non datato, sono appuntate dallo studioso, come d’abitudine, alcune osservazioni: il ritratto è “rilevato”; i “capelli”, su cui compaiono delle “perle”, sono “rilevati ad asfalto”; la veste, dal “panneggio naturale”, è di colore “verde”, com e il fondo del quadro; la manica è di colore “rosso” e decorata con “fiori”; il dipinto, in cui anche il “fondo” è “rilevato”, è eseguito con uno “smalto denso” e secondo Cavalcaselle “sente del Pietro [ della Francesca] ma è più duro”2. La tavola era verosimilmente pervenuta a Giberto VI nel 1830, con il legato della cospicua raccolta di opere d’arte antica costituita nei primi decenni dell’Ottocento da Giovanni Battista Monti, il segretario amministrativo dei Borromeo 3: dopo l’acquisizione del lascito la collezione, denominata “Pinacoteca Borromeo-Monti” (come si desume dai grandi cartellini a stampa apposti sul retro dei dipinti al momento della loro inventariazione, che recano al centro lo stemma Borromeo), fu allestita nel palazzo della casata a Milano, mentre le opere appartenenti alla raccolta di famiglia furono trasferite in blocco nel palazzo dell’Isola Bella; non è inoltre noto che Giberto VI Borromeo abbia acquistato altri pezzi da aggiungere agli oltre quattrocento che aveva ricevuto da Monti4. Il dipinto, tuttavia, non compare nelle descrizioni delle opere più importanti della raccolta Borromeo di Milano redatte da Otto Mündler e Charles Lock Eastlake, nei loro taccuini manoscritti, negli anni cinquanta e sessanta5. Sembra davvero strano che al travelling agent e al direttore della National Gallery di Londra – i quali, fra i più abili ed esperti connoisseurs del XIX secolo, battevano indefessamente l’Italia e l’Europa per scovare nelle raccolte private i dipinti antichi che potessero, per l’elevata qualità e l’impeccabile stato di conservazione, essere “eligible” per la pinacoteca nazionale inglese – sia potuta sfuggire un’opera di questa importanza. Nemmeno Cesare Cantù nel 1844, Giovanni Morelli nel 1861 e Gaetano Gualandi nel 1862 menzionano fra i dipinti della collezione Borromeo di Milano il ritratto oggi al Museo Poldi Pezzoli6. È probabile dunque che quest’ultimo fosse custodito da Giberto VI Borromeo non nella galleria della sua dimora, insieme alle altre opere della raccolta, ma in un ambiente privato, a cui pochi erano ammessi; non si può però neanche escludere del tutto che l’opera in realtà non fosse fra quelle pervenutegli con il legato Monti, e che egli l’abbia acquisita soltanto dopo l’ultima visita di Eastlake alla sua collezione, avvenuta nel 1863. Qualche tempo dopo avere ammirato il profilo femminile presso i Borromeo e averlo riprodotto nel suo disegno, Cavalcaselle aggiunge a matita sullo stesso foglio di averlo “veduto nel 1875 da Poldi”, implicando quindi che Gian Giacomo Poldi Pezzoli ne era entrato nel frattempo in possesso. La presenza del dipinto nella collezione Borromeo e il suo successivo passaggio in casa Poldi Pezzoli sono menzionati da Cavalcaselle, allo scadere del secolo, anche nell’ottavo volume dell’edizione italiana della Storia della pittura in Italia da lui firmata insieme a Joseph Archer Crowe, al termine del capitolo su Piero della Francesca. Vale la pena riportare integralmente questo brano, in cui lo studioso riutilizza le note che aveva appuntato sul disegno pi ù di vent’anni prima7, poiché si tratta di una delle prime descrizioni dettagliate del quadro pubblicate nella letteratura critica: “In casa Borromeo a Milano vi si trova un busto, dipinto su tavola, di una donna vestita signorilmente con perle intrecciate fra i capelli raccolti attorno alla testa, e con catenella ornata di un gioiello al collo. Il farsetto è verde, e la manica della sottoveste è rossa tessuta a fiorami. Stacca sul fondo verde, ed è di poco inferiore alla grandezza naturale. In questo ritra tto si scorge molto smalto di colore unito a una certa durezza, che per il solito non si trova nei dipinti di Piero. Anche il disegno e le forme hanno caratteri diversi da quelli soliti del nostro pittore, ma non sappiamo dire chi possa aver dipinto questo ritratto. Il quale dal palazzo Borromeo passò a far parte della galleria Poldi-Pezzoli, pure in Milano; e, come opera di Piero della Francesca, è indicato col n. 21. Il catalogo dice che da un lato, sul rovescio della tavola, eravi l’iscrizione: Uxor Ioannes De Bardi”8. La tavola non compare fra le trentuno opere della collezione Poldi Pezzoli, scelte fra quelle di maggior rilievo, presentate nella sala VI della prestigiosa mostra delle opere d’arte antica appartenenti alle principali raccolte private milanesi, tenutasi tra l’agosto e l’ottobre del 1872 nel palazzo di Brera a Milano 9. Con ogni probabilità fu acquistata dal collezionista milanese dopo quella data – ma in ogni caso entro il 1875, come abbiamo visto – dato che sembrerebbe da escludere che un’opera di questa importanza non fosse stata selezionata per essere esposta al pubblico. È ricordata presso Gian Giacomo Poldi Pezzoli anche nel catalogo manoscritto delle opere delle collezioni private milanesi compilato fra l’estate del 1874 e il febbraio del 1878, forse insieme a Giovanni Morelli, da Gustavo Frizzoni, che ne sposta l’attribuzione da Piero della Francesca a Filippo Lippi e ne fornisce una stima venale estremamente elevata: “Profilo di giovane Signora, busto, senza mani, attribuito a Piero de lla Francesca, cui non appartiene, manifestando invece il fare di Fra Filippo Lippi. Buona conservazione. Valore £ 20 mila”10. Un’iscrizione presente sul retro della tavola al momento della sua acquisizione da parte di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, ben presto eliminata in quanto ritenuta apocrifa, è trascritta nei primi cataloghi del Museo Poldi Pezzoli con l’errata lezione “Uxor Joannes De Bardi”11 – riferita anche da Cavalcaselle nell’edizione italiana della Storia della pittura in Italia, come abbiamo visto – che ha indotto a ricerche infruttuose per cercare di identificare il consorte della fanciulla effigiata in uno dei membri della cospicua e ramificata famiglia fiorentina dei Bardi12. L’iscrizione, fortunatamente registrata più fedelmente prima della sua cancellazione nel citato disegno di Cavalcaselle 13 e in un foglietto conservato presso l’Archivio della Fondazione Brivio Sforza di Milano 14, in realtà recitava: “uxor iohannis cunii barbiani comitis” e individuava nell’effigiata la sposa non di Giovanni Bardi, bensì di Giovanni da Barbiano, conte di Cunio, appartenente dunque alla famiglia Barbiano di Belgioioso 15. Inoltre, come riferiscono alcune fonti, all’inizio del Novecento presso la Biblioteca Trivulziana, all’epoca ancora custodita presso la famiglia Trivulzio, erano conservati alcuni ritratti eseguiti a penna su carta, databili verso la fine del Settecento, che raffiguravano personaggi femminili di casa Barbiano di Belgioioso: uno di essi era una copia fedele della fanciulla oggi al Museo Poldi Pezzoli ed era accompagnato da una scritta che lo identificava appunto con l’effigie della moglie di Giovanni II Barbiano di Belgioioso16. Le ricerche svolte presso l’Archivio Primogeniale Belgioioso di Merate e l’Archivio della Fondazione Brivio Sforza di Milano, per le quali ringrazio sentitamente Alessandro Brivio Sforza e Alessandra Squizzato, hanno permesso di verificare che il dipinto oggi al Poldi Pezzoli nei primi anni del XIX secolo era effettivamente custodito nella collezione Barbiano di Belgioioso a Milano, recava un riferimento a Bramante ed era ritenuto l’effigie della sposa di Giovanni II Barbiano di Belgioioso. Come tale è menzionato in un inventario, databile fra il 1803 e il 1813, dei quadri di proprietà di Alberico XII Barbiano di Belgioioso d’Este (1725-1813)17 nella seconda galleria del palazzo di Milano: “14. In piedi di palmi 6, e diti 9 – con cornice intagliata dorata in tavola rappresentante un Ritratto antico della moglie di Giovanni Conte di Cunio di Barbiano del Bramante” 18. Il documento gli accostava, a costituire un pendant, il ritratto, dalle stesse misure, di un personaggio maschile: “In piedi, di palmi 6, e diti 9 – con cornice intagliata dorata in tavola rappresentante il Ritratto di Giovanni Conte di Cunio di Barbiano di Belgioioso del Bramante”19. I due dipinti sono citati, nella Stanza gialla del palazzo Belgioioso di Milano, anche nell’inventario dei quadri redatto nel 1814, dopo la morte di Alberico XII, con stime e attribuzioni di Giuseppe Bossi: “805–22. Quadretto in tavola rappresentante il ritratto di Galeazzo Maria figlio di Francesco I Sforza. Del fratello di Ambrogio Fossani £ 12 – N.B. Vi è stato scritto male a proposito il nome di Giovanni di Cunio”; “805–27.

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