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La dimensione che non c’è Appunti sull’animazione Disney e l’estetica del tridimensionale

di Marco Bellano

«Nessuno oggi nel mondo del cinema Tra le case di produzione più attente discute l’assurdità dello schermo ret- oggi allo sviluppo della tridimensiona- tangolare quale è stato usato dalla lità nel cinema, vi è quella guidata nascita del cinema a oggi. Non soltan- dagli ideali eredi di un cineasta parti- to è rigidamente convenzionale chiu- colarmente sensibile al divario esisten- dendo le immagini in un “riquadro di te fra potenziale creativo e limitatezza finestra” ma con le sue proporzioni di dei mezzi tecnologici a disposizione. circa quattro per tre è esteticamente diceva di sé: «Non posso poco attraente e monotono»1. Era il mai rimanere quieto. Devo esplorare e 1953 quando il critico Bosley Crowther sperimentare. Non sono mai soddisfat- esprimeva con queste parole la sottile to del mio lavoro. Mi rammarico della frustrazione nutrita da molti tra i cinea- limitatezza della mia stessa immagina- sti più creativi verso la restrittiva “cor- zione»2. La recente nuova uscita nelle nice” della tela di proiezione. Tali paro- sale cinematografiche italiane (13 giu- le rimangono valide ancora oggi, in gno 20123) dell’ardita conversione in un’epoca in cui, nonostante le conqui- 3D di un film come La Bella e la Bestia ste tecnologiche, sembra di essere (Beauty and the Beast, di Gary ancora lontani dal definire un’estetica Trousdale e Kirk Wise, 1991) offre uno del film realmente alternativa a quella spunto per riconsiderare sommaria- condizionata dal quadrilatero dello mente il difficile e stimolante rapporto schermo, quali che siano le sue pro- da sempre esistito fra l’arte disneyana porzioni. Eppure, proprio nella contem- più autentica, basata su un mezzo poraneità si sta verificando un risveglio espressivo di natura bidimensionale (il della consapevolezza nei confronti di disegno animato), e una pulsione nuove possibilità espressive del cine- apparentemente paradossale verso la ma, in maniera estremamente simile a tridimensionalità e il superamento dei quanto accadde negli anni Cinquanta “confini” segnati dallo schermo, conse- del secolo scorso; ed esattamente guenza collaterale della volontà infles- come allora, la cinematografia tridi- sibile di Disney di garantire il maggior mensionale sta attirando su di sé l’at- “realismo” possibile alle pellicole pro- tenzione e le discussioni maggiormen- dotte sotto la sua supervisione, alla te vivaci. ricerca di quella che gli animatori vete-

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rani Frank Thomas e Ollie Johnston Difficilmente un’estetica visuale e del chiamarono «l’illusione della vita»4 (the movimento basata sulla caricatura

illusion of life). potrebbe essere considerata “realisti- LABORATORIO ca”. Ma questo sarebbe vero solo se si Prima di passare in rassegna alcune accettasse il primato della fotografia occorrenze di rappresentazione tridi- per quanto concerne il realismo, mensionale nella produzione Disney, è seguendo André Bazin: necessario effettuare alcune conside- razioni preliminari. La parola “reali- Il fantastico al cinema è consentito smo” va usata con cautela, nell’ambito solo dal realismo irresistibile dell’im- del cinema, e ancor più quando si magine fotografica. È essa ad impor- parla di animazione. Per quanto riguar- ci la presenza dell’inverosimile, a da l’accezione di “realismo” nell’esteti- introdurlo nell’universo delle cose visibili. È assai facile fornire la contro- ca Disney, uno dei riferimenti più perti- prova di questa proposizione. Si nenti è contenuto in un memorandum immagini infatti L’uomo invisibile a destinato a Donald “Don” Wilkinson disegni animati e si vedrà che perde Graham, docente del Chouinard Art ogni interesse. Ciò che piace infatti al Institute di Los Angeles, che dal 1932 pubblico nel fantastico cinematogra- era stato assunto per tenere lezioni di fico è evidentemente il suo realismo, perfezionamento agli animatori: «Il voglio dire la contraddizione fra l’og- primo compito del disegno animato», gettività irrecusabile dell’immagine scrisse Disney, «non è ritrarre o dupli- fotografica e il carattere incredibile care l’azione reale o le cose come dell’avvenimento7. accadono nella realtà – ma fare una La “oggettività irrecusabile” della foto- caricatura della vita e del movimen- grafia è tutt’altro che indiscutibile. to»5. L’affermazione non sembra ben Come ha fatto notare Giorgio Tinazzi: accordarsi con il desiderio di permette- «la […] fotografia non è una riproduzio- re un dialogo alla pari tra animazione e ne oggettiva, avendo invece capacità cinema fotografico, espresso con chia- di trasformazione e larghi margini di rezza durante gli anni in cui fu in lavo- arbitrarietà»8. Si può certamente razione Biancaneve e i sette nani sostenere, anche empiricamente, che (Snow White and the Seven Dwarfs, di il cinema a base fotografica sia in David Hand, 1937), primo lungome- grado di fornire impressioni di “realtà” traggio d’animazione statunitense e più immediate ed evidenti rispetto al opera che Disney, come ci informa cinema d’animazione. Ma, appunto, Michael Barrier, «voleva porre […] non tali impressioni appaiono “più eviden- in contrapposizione con i corti ma in ti”: questo non implica che il cinema contrasto con i film dal vero, i cui cast d’animazione ne sia drasticamente erano formati da persone in carne e privo a priori. ossa. Per catturare l’attenzione del pubblico, la presenza scenica dei suoi Quello dell’animazione Disney è un personaggi doveva essere paragonabi- realismo dichiaratamente d’illusione. le a quella degli attori reali»6. La vita non è rappresentata con

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l’“oggettività” della fotografia, ma tra- mente basata sul disegno anatomico e mite una ricostruzione enfatizzata: è sulla copia dal vero11. “caricatura” nel senso letterale del ter- La costruzione dello spazio scenico e mine. Il reale viene messo sotto una della profondità dell’immagine concor- metaforica lente d’ingrandimento, che rono senz’altro in maniera importante non esalta solo le dimensioni ma alla «illusione della vita» e al «plausibile anche il dinamismo. Negli universi ani- impossibile» disneyani, che pure sono mati degli animatori Disney ogni corsa in realtà focalizzati sul personaggio e è più veloce, ogni articolazione è più sulla sua attitudine a comunicare emo- mobile, ogni reazione è più evidente; zioni con cui lo spettatore possa identi- ma non tanto da far perdere di vista il ficarsi. Tra i dodici princìpi essenziali termine di paragone, il punto di parten- dell’animazione Disney identificati da za sottostante all’elaborazione artisti- Thomas e Johnston12, quello che mag- ca. Che è, appunto, la realtà. Stando a giormente implica un controllo dell’or- Béla Balazs, una simile maniera di rap- ganizzazione e della percezione dello presentazione potrebbe a buon diritto spazio è lo staging (“messa in scena”), dirsi “realista”. Infatti: termine molto ampio che non riguarda solo la gestione di sfondo e scenogra- L’artista può definirsi un realista quando si limiti, attraverso i contorni fia. «È la presentazione di qualsiasi soggettivamente tracciati, a trasfor- idea in modo tale che essa risulti com- mare la propria impressione soggetti- pletamente e indubbiamente chiara. va, ma non la figura oggettiva e il […] Quando si mette in scena un’azio- senso dell’oggetto. La caricatura può ne, occorre essere certi che solo l’azio- sbizzarrirsi nelle più ardite deforma- ne sia visibile; non deve diventare con- zioni, l’essenziale è che io sia in grado fusa a causa di vezzi o di una cattiva di riconoscere il volto deformato. Se scelta del punto di vista, oppure venire non riconosco l’oggetto, non posso messa in secondo piano da qualcos’al- ridere. La comicità risiede proprio tro che potrebbe stare accadendo»13. nella somiglianza che nonostante Gli artisti sono dunque invitati a sce- tutto si può scoprire nell’immagine9. gliere elementi che sappiano comuni- Come Disney stesso ebbe a dire in un care completamente e con alta qualità episodio della sua trasmissione televi- il senso dell’azione, evitando ogni pos- siva “Disneyland”, con espressione poi sibile sperpero grafico. diventata celebre, scopo di questa ani- Anche l’illusione della profondità tridi- mazione è raccontare un «plausibile mensionale è sottoposta alla regola impossibile»10. In conseguenza a que- dello staging. Nell’estetica Disney, sto tipo di approccio, si è venuta stabi- essa passa dunque attraverso una lizzando una particolare figura d’ani- serie selezionata di espedienti visivi. matore dalla professionalità solo in Come ha sostenuto Lev Manovich (sug- apparenza paradossale: pur dedito gerendo l’uso dell’espressione, forse alla raffigurazione di animali antropo- non del tutto pertinente, “iconografia morfi o di oggetti senzienti, esso ha la della mimesis”), esiste un vocabolario sua formazione artistica essenzial- del realismo nell’immagine cinemato-

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grafica, fatto di effetti o costruzioni e il gradiente di densità microstruttura- sceniche che il pubblico ha imparato a le. Tutti questi sono indizi statici: il

interpretare in maniera univoca. movimento di oggetti o personaggi LABORATORIO Manovich discuteva dell’argomento a sullo schermo non è indispensabile proposito della sola animazione digita- alla loro efficacia. le in tre dimensioni, ma le sue conside- La prospettiva lineare è basata sulla razioni sono estendibili anche al dise- convergenza di linee verso un punto. gno animato: «Questi privilegiati segni Nell’animazione Disney, il controllo di realismo compensano l’impossibilità della prospettiva è fondamentale. […] di simulare in maniera piena delle Nasce nella fase di stesura dei layout […] “scene reali”»14. (disegni preliminari che stabiliscono la Degli espedienti veicolanti una perce- costruzione scenica di un’inquadratu- zione tridimensionale all’interno dello ra) ed è finalizzato a stabilire un rap- staging Disney è possibile proporre porto naturale fra la figura e l’ambien- una sommaria classificazione in tre te. Le linee di prospettiva impostate categorie: indizi di profondità statici; per lo sfondo devono essere utilizzate indizi di profondità dinamici; stereo- implicitamente come riferimento scopia. Ognuna di queste ipotetiche anche per il personaggio, in modo che categorie è usata spesso in combina- la sua collocazione spaziale sia univo- zione con le altre. ca16. Una volta inserito il personaggio in una “scatola prospettica” coerente, Nell’insieme degli indizi di profondità si è dunque possibile lavorare sull’e- possono inserire tutti quegli elementi spressività del suo movimento in modo grafici che chiariscono la struttura efficace (ad esempio, scegliendo di dello spazio occupato dai personaggi mostrare con evidenza la distanza tra i in relazione al punto di vista prescelto suoi piedi e il suolo durante una cam- in una determinata inquadratura. minata, per raccontare con l’andatura Occorre ricordare che il punto di vista uno stato d’animo). nel disegno animato è monoculare, e Se nelle prime, pioneristiche esperien- che dunque l’insieme di indizi prospet- ze di Disney con i cortometraggi pro- tici utilizzabili è limitato da tale stato dotti dal suo Laugh-O-Gram Studio di delle cose. In sostanza, il disegno ani- Kansas city (1920-1923) la “scatola mato è un mezzo espressivo fondato prospettica” è spesso a punto di vista su un linguaggio bidimensionale che centrale, favorendo dunque una confi- offre stimoli visivi analoghi a quelli che gurazione della scena quasi teatrale, sono disposizione quando si osserva la successivamente s’iniziano a predilige- realtà con un solo occhio aperto. Nel re soluzioni dove il punto di fuga delle vocabolario degli indizi monoculari di linee è collocato lateralmente, o addi- profondità, seguendo John Darley, Sam rittura al di fuori dell’inquadratura (si Glucksberg e Ronald Kinchla15, si tro- consideri ad esempio la prima sequen- vano la prospettiva lineare, la sovrap- za di Sky Scrappers [di Walt Disney, posizione, l’altezza sul piano dell’oriz- 1928], facente parte della serie zonte, la messa a fuoco, il chiaroscuro “Oswald the Lucky Rabbit”).

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animati, è invece frequente l’uso di sfondi in gran parte neutri, privi di linee di fuga prospettiche ma con generiche linee dell’orizzonte in alto, a comunica- re la distanza tra il primo piano e il secondo piano. In tal caso, l’indizio di profondità della altezza sul piano del- l’orizzonte (più un oggetto è vicino al piano dell’orizzonte, più sembra distante) diventava preponderante. Tale scelta era probabilmente motivata © Disney dalla necessità tecnica di ridurre al minimo problemi di integrazione tra la Questo rende maggiormente dinamica figura ripresa dal vero e la prospettiva la messa in scena, pur mantenendo l’i- dello sfondo disegnato. Nei cortome- deale “macchina da presa” prevalen- traggi completamente disegnati a temente orizzontale rispetto alla base mano del periodo precedente all’intro- d’appoggio dei personaggi, per mante- duzione del colore, le linee prospetti- nere la semplicità richiesta da uno dei che erano invece decisamente presen- fondamenti dello staging disneyano ti, e anzi ricevevano particolare enfasi (evitare punti di vista difficili da inter- dallo stile grafico. Nei lungometraggi, e pretare). Si noti, ad esempio, quanta dunque nella produzione disneyana importanza abbia la scelta di punti di matura, la prospettiva lineare rimase a fuga esterni all’inquadratura nella fondamento della costruzione scenica. costruzione di un’atmosfera “tesa” e Pur venendo a mancare la quantità di umoristicamente macabra nel corto- linee rette ben in evidenza e in fuga metraggio Topolino e lo scienziato verso l’orizzonte tipiche dei cortome- pazzo (The Mad Doctor, di David Hand, traggi del decennio precedente, l’at- 1933), dove la prospettiva è sempre tenzione degli artisti alla prospettiva enfatizzata dalla presenza di elementi rimase determinante per garantire la scenografici voluminosi e dal profilo tipica coerenza disneyana della messa delimitato da rette, in grado dunque di in scena. Anzi, la preoccupazione pro- mostrare con evidenza su di sé gli spettica si fece talmente forte da invi- effetti della fuga prospettica. Tali ele- tare talvolta a ricorrere a espedienti menti vengono spesso portati all’at- necessari a guidare con esattezza la tenzione dello spettatore, poiché inte- mano dei disegnatori nella creazione ragiscono attivamente con i personag- di entità tridimensionali dalla geome- gi: è il caso della scalinata “infestata” tria complessa. Nel caso dei palchi dei da scheletri che percor- cervi raffigurati in Bambi (Id., di David re durante una scena. Nella serie a Hand, 1942), si volle utilizzare il roto- scrittura mista “Alice Comedies” scopio (ricalco di fotogrammi ripresi (1924-1927), in cui una piccola attrice dal vero) per evitare incongruità nella in carne e ossa interagisce con disegni rappresentazione delle corna qualora

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si dovesse passare da un punto di vista a un altro17. Proprio per via della

ben sviluppata coscienza prospettica LABORATORIO degli artisti, tuttavia, sono riscontrabili occasionali deroghe giustificate da contesti figurativi particolarmente visionari18. Esempio ne sono le pro- spettive enfatizzate (anche dai perso- naggi, che percorrono tridimensional- mente lo spazio rimpicciolendosi e ingrandendosi in maniera volutamente esagerata per segnalare allontana- menti e avvicinamenti al punto di vista) nella sequenza onirica cosiddetta degli “elefanti rosa” (corrispondente alla canzone Pink Elephants on Parade), in Dumbo (Id., di Ben Sharpsteen, 1941). L’indizio della sovrapposizione è invece specialmente legato a una delle inno- vazioni tecnologiche più importanti introdotte nell’animazione durante gli anni Trenta, e che per un certo periodo fu esclusivo appannaggio degli Studios Disney: la multiplane camera19. Era questa un’armatura metallica divisa in sei livelli orizzontali, ciascuno dei quali poteva alloggiare parte del disegno di un fondale. Riprendendo i livelli dall’al- to, la macchina da presa fotografava il disegno completo, che tuttavia veniva © Disney ad avere una profondità di campo inso- lita per l’animazione, risultante dall’ef- fettiva disposizione tridimensionale dei livelli bidimensionali nello spazio. Tra questi livelli era naturalmente possibi- le inserire animazioni di personaggi in movimento. I risultati dello sfruttamen- to di tale macchinario si videro in parti- colar modo nella sequenza di Biancaneve e i sette nani dove la pro- tagonista fugge terrorizzata nella fore- sta: il personaggio passa continua- mente dietro a elementi in primo piano © Disney

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che talvolta la occultano, simulando resa tramite l’uso dell’ombreggiatura; con efficacia la presenza di una il gradiente di densità microstrutturale “reale” macchina da presa che la stia è il modo in cui l’addensarsi o il dira- inseguendo a fatica attraverso l’intrica- darsi di micro-elementi facenti parte ta vegetazione. della tessitura di una superficie segna- Tra gli indizi di profondità permessi la la vicinanza o la lontananza dal dalla multiplane camera vi erano punto di vista. anche quelli di messa a fuoco, sfrutta- L’uso del chiaroscuro comincia a farsi ti sin dal primo cortometraggio che strada nell’estetica disneyana già a fece da “test” per il congegno. partire dalle “Alice Comedies”, benché Nell’esordio della Silly Symphony Il vec- con gradazioni di colore visibili solo chio mulino (The Old Mill, di Wilfred sugli sfondi e rarissime ombre applica- Jackson, 1937) lo spettatore è invitato te sul corpo dei personaggi, caratteriz- a spostare la propria attenzione dal zati invece da un design fatto di netti ragno che tesse la tela in primo piano contrasti tra aree bianche e nere. al mulino, grazie a un cambio di fuoco Citando ancora Thomas e Johnston: «I tra un “piano” dello sfondo e l’altro. personaggi erano bianchi e neri, senza Anche nella già citata sequenza della sfumature di grigio per ammorbidire il fuga di Biancaneve nella foresta, gli contrasto e delineare una forma. […] alberi in primo piano appaiono realisti- Non vi era modo di mettere in scena camente fuori fuoco. Su Il vecchio un’azione che non fosse vista di profi- mulino, Disney commentò: «Fu la prova lo»21. In seguito, specialmente in vista che possedevo una percezione della del maggior “realismo” richiesto da terza dimensione»20. una produzione come Biancaneve, Chiaroscuro e gradiente di densità di l’ombreggiatura del personaggio diven- micro strutturale riguardano invece la ta una prassi, permettendo dunque di stesura del colore più che la costruzio- creare animazioni capaci di trasmette- ne geometrica dello spazio, e possono re il convincente posizionamento di un essere senz’altro considerati assieme. corpo in uno spazio tridimensionale. Il chiaroscuro è ovviamente la maniera La tecnica dell’ombreggiatura, tutta- in cui la volumetria di un corpo viene via, può essere applicata al disegno animato tradizionale solo a costo di operare dei compromessi stilistici significativi. La procedura standard per l’animazione di disegni, rimasta valida sino all’introduzione di più moderni sistemi di composizione digitale del- l’immagine (come il CAPS – Computer Animation Production System, che ha esordito in Bianca e Bernie nella terra dei canguri [The Rescuers Down Under, di Hendel Butoy, Mike Gabriel, © Disney 1990]), è quella della stesura di cam-

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piture di colore assolutamente omoge- qualche ragione, una parte dello sfon- nee sul retro di fogli di acetato traspa- do deve essere messa in grado di ani-

rente (detti rodovetri o cel), dove è marsi, e dunque disegnata su rodove- LABORATORIO stato preliminarmente disegnato un tro: si verifica allora improvvisamente personaggio. Come hanno ricordato un “appiattimento” delle sfumature di ancora Thomas e Johnston: colore in quella zona, segnalando allo spettatore l’artificio tecnico. Non è Un disegno deve essere fatto di linee, questa una limitazione dell’arte copiato sui rodovetri, dipinto con colori piatti, fotografato davanti a uno Disney, ma del disegno animato in sfondo e proiettato su un grande generale, a cui sono state trovate solu- schermo. Linee piccole e delicate sui zioni solo in tempi recenti, grazie disegni non vengono enfatizzate, a all’apporto di manipolazioni digitali23. meno che non siano più larghe di un È possibile, in linea teorica, mitigare le piede e molto, molto scure. A metà differenze fra figure e sfondo sceglien- degli anni Trenta, desideravamo do tinte piatte anche per i dipinti sui ombreggiature, tessiture, aree senza quali i personaggi recitano: ciò è in contorni, ma non erano soluzioni pra- effetti avvenuto nel cosiddetto periodo ticabili. […] Scuotevamo le nostre “Xerox” dell’animazione Disney (1961- teste e condividevamo il pensiero: “È 1988), segnato da un’estrema stilizza- un mezzo espressivo grezzo”22. zione dello stile grafico dovuta all’uso Questa tensione tra obiettivi degli arti- di una tecnica (elaborata da Ub Iwerks) sti e limitatezza dei mezzi materiali a che rendeva molto più rapido ed eco- disposizione è alla radice di alcuni tra i nomico il processo di animazione: la risultati più interessanti e più proble- fotocopiatura diretta degli schizzi a matici nell’ambito dell’estetica “tridi- matita su rodovetro, senza bisogno di mensionale” disneyana. La difficoltà di previa inchiostrazione24. base risulta evidente: utilizzando la Di base, tuttavia, la pulsione disneyana tecnica del disegno animato tradizio- verso il “realismo” condusse gli artisti nale, figura e sfondo tendono a rima- a percorrere una via differente: non la nere stilisticamente separati. Negli semplificazione degli sfondi, ma l’arric- sfondi non esiste alcuna limitazione a chimento cromatico dei personaggi. utilizzare chiaroscuri e gradienti elabo- Da una parte, si ebbero soluzioni di rati; sui rodovetri, invece, le tinte piatte notevole interesse. Tra gli anni Trenta e sono l’unica alternativa praticabile con Quaranta si sperimentò la sovrapposi- efficacia. L’ombreggiatura, se presen- zione di ombreggiature trasparenti alle te, deve essere fatta a sua volta di tinte piatte dei personaggi, in modo da campiture omogenee, generando quin- evitare i contrasti netti di cui si è detto di effetti di contrasto netto tra aree illu- sopra. I risultati furono incoraggianti; minate e non (come avviene regolar- tuttavia, le inevitabili variazioni nelle mente nell’estetica di rappresentazio- pennellate e nella densità del colore ne della volumetria dei personaggi tra disegno e disegno rendevano le negli anime giapponesi). Un problema ombre «piuttosto irrequiete sullo scher- evidente nasce inoltre quando, per mo»25. Si rimediò all’inconveniente

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realizzando ombre traslucide con pro- di frequente nei cortometraggi che nei cedimenti di doppia esposizione del lungometraggi; inoltre, essa appariva medesimo fotogramma, con esiti di preferenza in inquadrature destina- apprezzabili in molte sequenze di te ad avere un certo impatto emotivo: Biancaneve e Pinocchio (Id., di lo stile complesso di ombreggiatura Norman Ferguson et al., 1940). In accentuava dunque la drammaticità entrambi questi film, inoltre, si arrivò (anche ironica) della situazione. Si persino a trattare la coloritura dei rodo- nota una simile attenzione nel corto- vetri in maniera analoga a quella degli metraggio La giornata nera di sfondi: ciò avvenne per la Fata Paperino (Donald’s Off Day, di Jack Turchina, il cui volto doveva essere tal- Hannah, 1944), quando viene mostra- volta mostrato in primissimo piano. Per to il dettaglio della mano di Paperino, evitare l’effetto straniante di un viso stringente il testamento con cui affida fatto da un’unica area di colore omoge- un set di mazze da golf ai suoi nipotini; neo, si ammorbidirono le tinte piatte oppure in Lilli e il Vagabondo (Lady and con sfumature di raffinata realizzazio- the Tramp, di Clyde Geronimi et al., ne. Sul volto di Biancaneve, invece, si 1955), nella scena in cui “Gianni caro” arrivò ad applicare del reale fondotin- mostra alla cagnolina protagonista il ta, fotogramma per fotogramma, per neonato con il quale ella dovrà d’ora in una miglior resa dell’incarnato della poi dividere l’affetto dei suoi padroni: il 26. fanciulla bambino è per l’appunto dipinto con L’interesse per chiaroscuri e gradienti un chiaroscuro da sfondo. Al di là di sui personaggi portò però anche a quest’esempio, giova rammentare risultati meno felici. Si è detto come come proprio Lilli e il Vagabondo fu questi indizi di profondità statici abbia- una tappa decisiva nel percorso no i loro risultati migliori e più sempli- disneyano d’esplorazione della tridi- cemente praticabili proprio sulle parti mensionalità della rappresentazione: della costruzione animata destinate a si trattò infatti del primo lungometrag- non muoversi, ovvero gli sfondi. gio d’animazione presentato nel for- Ebbene, tale constatazione fu a tal mato CinemaScope, che sin dagli esor- punto chiara agli artisti Disney da invi- di venne percepito dalla critica come tare, in alcuni casi, a trattare un perso- capace di veicolare suggestioni di naggio come uno “sfondo” quando profondità intense, e per questo consi- fosse prevista un’inquadratura priva di derato come variante “minore” (in animazione. Il risultato è un improvviso «pseudo rilievo»27) del cinema stereo- “stacco” stilistico tra l’aspetto “norma- scopico. le” del personaggio e una sua appa- renza quasi manieristicamente volu- Il problema del rapporto tra figura e metrica, che invece di nascondere il sfondo e rappresentazione della terza problema della resa tridimensionale dimensione si ripresenta anche consi- del disegno animato ne accentua i limi- derando gli indizi di profondità dinami- ti espressivi. Si può comunque osser- ci. Sono questi un numero ridotto di vare che a tale soluzione si ricorse più strategie di staging direttamente deri-

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vanti da quelle statiche. Due, in parti- Fondamentalmente, in animazione, i colari, sono gli stratagemmi che meri- movimenti verticali, i movimenti dal tano di essere ricordati in questa sede: fondo verso il primo piano dello LABORATORIO la parallasse di movimento e quella schermo, sono difficili da rendere. che si può scegliere di chiamare ani- Questo è il motivo […] per cui sino ad allora nell’animazione Disney non si mazione completa. erano visti che movimenti laterali. La parallasse di movimento è l’effetto Coloro che raccolsero la sfida del dato dallo spostamento di un oggetto movimento verticale furono Isao rispetto a un altro che è fisso o si Takahata e Hayao Miyazaki. Sono muove a velocità minore. Effetti simili stati di conseguenza studiati, e diventano frequenti nell’animazione anche presso la Disney i movimenti Disney a partire dall’introduzione della verticali sono aumentati di colpo. multiplane camera, che consente di Quando uno guarda Il gobbo di Nôtre- far scorrere a velocità differenti i vari Dame, per esempio, si trovano molte pannelli in cui si articola lo sfondo, scene in cui domandarsi se non si simulando così movimenti di macchina tratti piuttosto de Il castello di Cagliostro [di Hayao Miyazaki]28. quali carrelli laterali o panoramiche. L’esempio della fuga di Biancaneve Sebbene Suzuki esageri nel limitare nella foresta è di nuovo pertinente, l’animazione disneyana ai soli movi- mostrando una presenza intensiva di menti laterali, vero è che la costruzione effetti di parallasse. scenica impostata dalla multiplane È vero, tuttavia, che la multiplane camera limitò l’utilizzo di altri indizi di camera segmenta la profondità spazia- profondità dinamici, come l’animazio- le in porzioni limitate a sviluppo oriz- ne completa. Con questo termine, si zontale. Collocare un personaggio tra vuole qui indicare l’animazione di una due piani dello sfondo limita parzial- sequenza in cui figura e sfondo non mente la possibilità dell’animatore di sono gestiti separatamente, ovvero avvicinare o allontanare la figura dal animando solo i personaggi o gli ogget- punto di vista dello spettatore. Ovvero, ti in movimento su rodovetri da sovrap- anche se la multiplane camera genera porre a fondali statici. Si tratta, invece, un’illusione di profondità intensa e di un’animazione in cui tutto è dise- convincente, essa rende difficile l’at- gnato su rodovetro, simulando movi- tuazione di altre strategie di resa tridi- menti di macchina compositi che ren- mensionale dell’azione, invitando i per- dono indispensabile modificare in sonaggi a movimenti “schiacciati” tra tempo reale la prospettiva e le propor- due parti dello sfondo, in cui è privile- zioni di quanto viene mostrato. Prima giato l’asse orizzontale (dalla destra dell’introduzione della multiplane alla sinistra dello schermo, e vicever- camera, nella produzione Disney l’ani- sa). Questo tratto contraddittorio della mazione completa non era affatto rara. ricerca spaziale disneyana è stato Se ne trovano esempi molto evidenti commentato dal produttore della mag- già nel primo cortometraggio della gior parte dei film dello Studio Ghibli, serie “Oswald”, ovvero Trolley Troubles Toshio Suzuki: (di Walt Disney, 1927), quando la

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“macchina da presa” precede il vago- uso realmente “tridimensionale” dei ne ferroviario guidato da Oswald, movimenti di macchina, fu la scena del inquadrandolo frontalmente, mentre Big Ben in Basil l’investigatopo (The l’intero sfondo si “allontana” prospetti- Great Mouse Detective, di John camente verso l’orizzonte. Si può poi Musker, Ron Clements, Burny Mattison considerare il visionario traveling con e David Michener 1986), con la sua cui, all’inizio della “Silly Symphony” scenografia di ingranaggi in movimen- Egyptian Melodies (di , to generati al computer. La “consacra- 1931), la macchina da presa sembra zione” dell’utilizzo della grafica digitale seguire l’esplorazione di una galleria per simulare uno spazio tridimensiona- dentro una sfinge da parte di un ragno, le che può essere esplorato in maniera con un risultato che anticipa la fluida illimitata dai personaggi e dal punto di libertà di movimento della steadicam vista si ebbe idealmente nella scena di oltre quarant’anni. Un effetto simile del ballo tra i due protagonisti in La è presente anche nel già citato Bella e la Bestia. Nel frattempo, il CAPS Topolino e lo scienziato pazzo. aveva eliminato ogni limitazione riguar- dante l’applicazione di ombreggiature sfumate e convincenti ai personaggi. Singolarmente, tuttavia, le tecnologie digitali non cancellarono il problema della differenza stilistica tra sfondo e figura: lo sostituirono invece con difetti di integrazione estetica tra elementi animati tradizionalmente, dunque identificati da linee di contorno e tinte piatte (eventualmente con sfumature digitali) e oggetti in grafica computeriz-

© Disney zata, privi di confini netti e dalla torni- tura tridimensionale molto più marca- Come si è già accennato più volte, l’e- ta, a volte tendente a effetti di fotorea- stetica Disney della rappresentazione lismo. Tale inconveniente venne a tridimensionale venne a essere cadere nei lungometraggi totalmente sostanzialmente ridefinita dall’introdu- in computer grafica realizzati dalla zione delle tecniche di generazione ed Pixar e distribuiti dalla Disney (a parti- elaborazione digitale dell’immagine. Il re da Toy Story, di John Lasseter, primo lungometraggio disneyano che 1995), ma rimase evidente nel dise- comprendeva entità animate al com- gno animato tradizionale, dove l’inser- puter fu Taron e la pentola magica (The zione di elementi digitali divenne nel Black Cauldron, di Ted Bernan e corso degli anni Novanta una costante Richard Rich, 1985), ma si trattò sem- irrinunciabile. Si tentò di stemperare i plicemente della “pallina” luminosa contrasti estetici con espedienti quali il che faceva da spalla alla principessa Deep Canvas, una tecnologia digitale Eilonwy. Più rilevante, anche per un in uso a partire da Tarzan (Id., di Chris

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Buck, Kevin Lima, 1999), che permet- subito un forzato periodo di pausa teva agli artisti di “dipingere” tramite nella produzione di disegni animati. tavolette grafiche su volumi virtuali, Dopo Mucche alla riscossa (Home on LABORATORIO mantenendo così l’effetto dei colpi di the Range, di William Finn e John pennello. I risultati furono apprezzabili, Sanford, 2004) gli Studios furono indi- ma i limiti della tecnica risultarono evi- rizzati ad occuparsi esclusivamente di denti nel caso di stili grafici complessi- film in digitale, sulla scia dei crescenti vi in cui la singola pennellata risultasse successi commerciali raccolti da realtà meno evidente e le tessiture delle produttive come la già citata Pixar e la superfici fossero omogenee. In Il pia- DreamWorks. Dopo la distribuzione di neta del tesoro (Treasure Planet, di tre film interamente digitali (Chicken John Musker e Ron Clements, 2002), Little [Id.], di Mark Dindal, 2005; I la generale chiarezza grafica riporta gli Robinson – Una famiglia spaziale oggetti in Deep Canvas ad allinearsi [Meet the Robinsons], di Steve con normali costruzioni digitali, ripristi- Anderson 2007; Bolt [Id.], di Chris nando il problema che si voleva evita- Williams e Byron Howard, 2008), la re. Va tuttavia ricordato come nello fusione tra Disney e Pixar (avvenuta stesso film vengano compiuti promet- nell’aprile 2006) ha consentito a John tenti esperimenti di ibridazione tra Lasseter, ora coordinatore delle attività disegno e immagine computerizzata creative dell’azienda, di far riprendere nell’animazione dei personaggi. Il John lo sviluppo di progetti in animazione Silver curato da Glen Keane provò tradizionale. Attualmente, gli Studios come fosse possibile far convivere con Disney alternano la produzione di film naturalezza parti completamente digi- a disegni animati con quella di lungo- tali (le protesi del pirata) con animazio- metraggi totalmente generati al com- ne tradizionale, senza fastidiosi con- puter, tra i quali una menzione specia- trasti stilistici. le merita senz’altro Rapunzel – Nella contemporaneità, la Disney non L’intreccio della torre (Tangled, di ha ancora trovato una maniera convin- Nathan Greno e Byron Howard 2010), cente per ibridare l’animazione tridi- ideato da Glen Keane, che ha tentato mensionale al computer con le tecni- con successo di utilizzare lo stile di che di disegno bidimensionali, come si disegno tipico dei film Disney degli è visto in produzioni recenti ancora anni Novanta per controllare il design recanti i segni di tale incompatibilità, di una produzione in grafica tridimen- quali La principessa e il ranocchio (The sionale. Princess and the Frog, di John Musker e Ron Clements, 2009), dove la diffe- Alla fase “digitale” dell’animazione renza di “origine” tra i personaggi ed Disney coincide anche la conquista elementi come le carrozze dei tram della terza e ultima maniera in cui è risulta ancora ben avvertibile. Del possibile generare l’illusione della resto, la Disney è ritornata solo da rela- profondità a partire da uno schermo tivamente poco a riprendere le fila del piatto: la stereoscopia. Chicken Little proprio cammino artistico, avendo fu il primo lungometraggio d’animazio-

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ne Disney a utilizzare la moderna ste- l’approfondire simile tecnica: salì sul reoscopia digitale, preceduto nel suo carro della terza dimensione per asse- ambito dal film Warner Bros. Polar condare una moda31, con la coscienza Express (The Polar Express, di Robert di poter abbandonare simili esperi- Zemeckis, 2004). Non si è tuttavia menti una volta che l’attenzione del riscontrato un immediato impatto sul- pubblico si fosse indirizzata altrove: l’estetica della rappresentazione della «Nessuno ha ancora una risposta defi- terza dimensione: al di là di sporadici nitiva sul 3D», disse. «Non penso nem- effetti di illusoria penetrazione nella meno che il pubblico ne sappia qualco- sala cinematografica di oggetti e per- sa. La quantità [di film] che faremo sonaggi, i film rimangono chiaramente dipenderà da quanto tempo rimarran- concepiti all’interno di un riquadro bidi- no in programmazione nei cinema. Se mensionale, al quale l’effetto di profon- la novità rimarrà in auge, ne faremo dità bioculare viene attribuito apparen- altri»32. temente a posteriori. Del resto, l’appro- L’attuale ritorno alla stereoscopia sem- do della Disney alla stereoscopia non è bra essere stato mosso da un simile stato preparato da un’evoluzione gra- atteggiamento, senza provocare con- duale: i precedenti cinematografici seguenze realmente profonde; ma, del sono soltanto due e lontani nel tempo, resto, anche al di fuori dell’animazione ovvero i cortometraggi Adventures in disneyana sono ben pochi i segni del- Music-Melody (di Ward Kimball e l’avvento di una concezione realmente Charles A. Nichols 1953) e Working for tridimensionale del linguaggio cinema- Peanuts (di Jack Hannah, 1953, poi tografico (secondo chi scrive, si sono rimasterizzato in digitale e riproposto sinora mossi in questa direzione sol- in stereoscopia nel 2007). In prece- tanto il cortometraggio Pixar Quando il denza, si parlò di animazione in stereo- giorno incontra la notte [Day & Night], scopia soltanto in un’occasione: si era di Teddy Newton, 2010, e il film Hugo ipotizzato di regalare profondità tridi- Cabret [Hugo], di Martin Scorsese, mensionale al primo segmento di 2011). Fantasia (Id., di James Algar et al., 1940), ovvero la Toccata e fuga in re Non si può concludere, tuttavia, traen- minore di Johann Sebastian Bach, alle- do un bilancio negativo dalle esperien- gando al programma di sala del film ze contemporanee che la produzioni degli appositi occhiali per la visione29. Disney stanno avendo con la tridimen- Il coraggioso esperimento, che avreb- sionalità. Si può invece apprezzare be preceduto di dodici anni il primo come, nonostante la difficile crisi arti- film in 3D commerciale, Buana Devil stica ancora in corso e iniziata dai (Bwana Devil, di Arch Oboler, 1952) primi anni 2000, l’apporto di nuove purtroppo non ebbe luogo. Altre produ- tecnologie non abbia fatto dimenticare zioni più tarde furono sviluppate come agli animatori e ai registi i fondamenti attrazioni per i parchi a tema quali che contraddistinguono la disneyana Disneyland30, ma Disney non ritenne illusion of life: la comunicatività spon- di dover procedere ulteriormente nel- tanea del personaggio e la cura nella

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costruzione di storie e situazioni narra- ne del settimanale «Topolino», un ben tive. Si è stati in grado, cioè, di rendere dettagliato articolo promozionale l’animazione moderna partecipe delle preannunciava la scena tridimensiona- LABORATORIO preoccupazioni di base che mossero le ambientata all’interno del Big Ben, un tempo l’intuito di Walt Disney, svelandone l’origine computerizzata. creando legami un tempo inimmagina- Ma in chiusura, l’autore precisava: il bili tra l’artigianato ingegnoso di computer ha generato unicamente Biancaneve e la morbida sinteticità ingranaggi, ed è solo un aiuto per gli digitale dei protagonisti di Rapunzel. animatori, che continueranno sempre L’autore del presente articolo ricorda a disegnare a mano; giammai il prota- una testimonianza molto significativa gonista di un film Disney potrà essere in proposito, che purtroppo, per motivi portato in vita da una macchina. Il di tempo, non è possibile rintracciare e fatto che la storia abbia costruttiva- citare con la precisione che sarebbe mente smentito le previsioni di quel opportuna. redattore, e che si sia imparato come Si era tra il 1986 e il 1987: il film Basil far diventare quelle “macchine” degli l’investigatopo sarebbe uscito nelle strumenti artistici, appare un segnale sale italiane il 20 febbraio. Sulle pagi- rassicurante.

Note 1. Bowsley [Bosley] Crowther, L’enigma tridimensionale, «Cinema», n.s., a. VI, n. 106, marzo 1953, p. 178 [177-180]. 2. Walt Disney, citato in: Frank Thomas, Ollie Johnston, The Illusion of Life. Disney Animation, Disney Editions, New York 1984 [1981], p. 25 (la traduzione è nostra). 3. Singolarmente, l’uscita cinematografica italiana è stata preceduta di diversi mesi dalla versione per l’home video, pubblicata il 30 novembre 2011 su supporto Blu-ray 3D. 4. «Per qualche presuntuoso motivo, l’uomo sente il bisogno di creare personalmente qual- cosa che sembri vivere, che abbia una forza interiore, una vitalità, un’identità autonoma – qualcosa che parli con autorità – una creazione che trasmetta l’illusione della vita» (Frank Thomas, Ollie Johnston, Op. cit., p. 13; la traduzione è nostra). 5. Walt Disney, memorandum, Burbank, 23 dicembre 1935, pubblicato in: Michael Barrier, Vita di Walt Disney, edizione italiana a cura di Marco Pellitteri, Tunué, Latina 2009, p. 181. 6. Idem, pp. 184-185. 7. André Bazin, Che cos’è il cinema, a cura di Adriano Aprà, Garzanti, Milano 2008, p. 17. 8. Giorgio Tinazzi, La copia originale, Marsilio, Venezia 1983, p. 22. 9. Béla Balazs, Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova, traduzione di Grazia e Fernaldo Di Giammatteo, Einaudi, Torino 1972 [1952], p. 115. 10. The Plausible Impossible, “Disneyland”, stagione 3, episodio 8, 31 ottobre 1956 (pubbli- cato nel DVD Walt Disney Treasures – Behind the Scenes at the Walt Disney Studio, Walt Disney Home Video, 2002). 11. Si veda quanto spazio dedica Richard Williams alla copia dal vero nel suo manuale prati- co The Animator’s Survival Kit (Faber and Faber, Londra-New York 2001, pp. 23-34), testo fra i più autorevoli in materia. Williams, non a caso, si è formato con animatori Disney quali Grim Natwick, Milt Kahl e Art Babbitt.

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12. 1) Squash and stretch: sottolineatura di allungamenti o accorciamenti delle parti in movi- mento, nella realtà impercettibili; 2) Anticipation: di ogni movimento si enfatizza la preparazione; 3) Staging: ogni situazione o personaggio deve essere immediatamente riconoscibile; 4) Straight ahead action/pose-to-pose action: l’azione può essere pianifica- ta o improvvisata dall’animatore; 5) Follow through/overlapping action: accentuazione degli effetti d’inerzia su un corpo; 6) Slow in/slow out: ogni azione inizia con un’accelera- zione e termina con una decelerazione; 7) Arcs: i personaggi si muovono percorrendo archi di circonferenza; 8) Secondary action: l’animazione di movimenti secondari può ren- dere più efficace l’azione principale; 9) Timing: il tempo di ogni azione deve accordarsi con i tempi della scena in cui si svolge; 10) Exaggeration: le azioni vanno enfatizzate; 11) Solid drawing: le forme dei corpi possono essere flessibili, ma devono apparire solide, con volumetria plausibile; 12) Appeal: le figure in movimento devono trasmettere carisma (adattato da: Thomas, Johnston, Op. cit., pp. 47-69). 13. Idem, pp. 55-56. 14. Lev Manovich, ‘Reality’ Effects in Computer Animation, in: Jayne Pilling (a cura di), A Reader in Animation Studies, John Libbey, Sidney 1997, p. 12 [5-15] (la traduzione è nos- tra). 15. John M. Darley, Sam Glucksberg, Ronald A. Kinchla, Fondamenti di psicologia, edizione italiana a cura di Luigi Anolli, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 100-101). 16. Thomas, Johnston, Op. cit., p. 238. 17. Idem, pp. 338-339. 18. Nel disegno animato classico è comunque consentita una deformazione prospettica del personaggio molto accentuata nel caso di movimenti rapidi in profondità, per sottolinea- re il dinamismo (si veda Richard Williams, Op. cit., pp. 132-134). 19. Si veda: Jeff Kurtti, Snow White and the Seven Dwarfs, Disney Editions, New York 2009, p. 19 e p. 22; inoltre: Michael Barrier, Op. cit., p. 195. 20. Walt Disney, citato in: Jeff Kurtti, Op. cit., p. 19. 21. Thomas, Johnston, Op. cit., p. 56. 22. Idem, p. 69. 23. Il regista Hayao Miyazaki è da sempre uno dei più interessati al superamento delle limita- zioni tecniche legate al disegno animato. Nel 2001, per il suo film La città incantata, egli suggerì ai suoi animatori di evitare quanto più possibile contrasti tra l’elaborato chiaroscu- ro degli sfondi e le aree destinate ad animarsi, ricorrendo alla grafica computerizzata. Ad esempio, decise di “trasporre” su un oggetto tridimensionale controllato dal computer i tocchi di pennello e le sfumature con cui era resa la volumetria di un piatto disegnato sullo sfondo, in modo che esse non venissero alterate nel momento in cui esso fosse stato messo in movimento: «Se lo avessimo disegnato su rodovetro, lo spettatore sarebbe stato in grado di accorgersi che era destinato a muoversi ben prima del momento stabilito per il movimento. Irritato da ciò, il signor Miyazaki suggerì un’alternativa. Così ideammo un’a- nimazione dello sfondo dove una parte che sembra di stile identico al resto finisce in realtà per muoversi» (Mitsunori Kataama in: Studio Ghibli [a cura di], The Art of Miyazaki’s Spirited Away, edizione Usa a cura di Alvin Lu, Viz Media, San Francisco 2002, p. 188; la traduzione è nostra). 24. Christopher Finch, L’arte di Walt Disney. Da Mickey Mouse ai Magic Kingdoms, traduzio- ne di Marta Fornasier, Rizzoli, Milano 2001, p. 85. 25. Thomas, Johnston, Op. cit., p. 252. 26. Christopher Finch, Op. cit., p. 59. 27. Riccardo Redi, Anche l’Italia in gara per la 3D, «Cinema», n.s., a. VI, n. 108, aprile 1953, p. 230 [230-231]. 28. Toshio Suzuki, Dans le Studio Ghibli – Travailler en s’amusant, traduzione francese di Myriam D’Artois-Ako, Parigi, Dargaud-Kana 2008, pp. 39-40 (la traduzione è nostra). 29. John Culhane, Fantasia. Il capolavoro di Walt Disney, edizione italiana a cura di Laura Hollis, Claudio Riva e Raffaella Tedde, Disney Libri, Milano 1992, p. 38. 30. Robert Tieman, The Disney Keepsakes, Disney Editions, New York 2005, pp. 36-37. 31. Idem, p. 36. 32. Idem, pp. 36-37.

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