Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232

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La miniatura come documento storico: le celebrazioni di Saptasvarupa Annakutotsava al Tempio di Śrī Nāthjī a Nathdwara nel 1822

Isabella Nardi Cleveland State University [email protected]

Abstract

This article highlights the importance of a prominent festival, the Saptasvarupa Annakutotsava celebrated in Nathdwara in 1822, through an iconographic analysis of a miniature painting dated to 1822–1850 in the LACMA collection. First, the essay de- limits the area of investigation by briefly introducing the sect of Puṣṭi Mārg, its icons or svarūps, and the installation of its most important deity, Śrī Nāthjī, at Nathdwara in 1672. Secondly, it analyzes the festival of 1822 as depicted in the painting. The final part of the study underlines the significance of the celebrations in the history of the sect by contextualizing the event with information drawn from secondary literature: it intro- duces some well-documented issues, such as the absence of the svarūp of Bālkṛṣṇajī in the celebrations; it mentions some of the problems that Dauji, the head priest of the temple, had to overcome in the coordination of the festival, such as settling the disputes among the gosvāmīs of the sect; and it concludes with a comparative analysis of the Saptasvarupa Annakutotsava with two similar festivals held in Nathdwara in 1739–1740 and 1966 to emphasize the preeminence of the event of 1822 in the history of Puṣṭi Mārg.

* Si ringraziano Joachim Bautze, Kalyan e Madhuvanti Ghose per alcune indicazioni riguardanti l’iconografia di Bālkṛṣṇajī e Mukundrāyjī; Mariola Offredi per i suoi suggerimenti sull’uso dei diacritici; Bruno Cavallaro per aver commentato la prima stesura di questo arti- colo; Elisa Freschi per avermi gentilmente fatto pervenire una copia dell’articolo di Dalmia (1994); ed infine i revisori anonimi per i loro validi e puntuali commenti. Per quanto riguarda l’uso dei diacritici, per coerenza con il periodo di riferimento, si è preferito optare per quelli in hindī (quindi svarūp invece del sanscrito svarūpa) e si è deciso di ometterli per i luoghi geografici, i nomi di persona e i nomi dei festival per utilizzare le versioni più comuni con i quali sono conosciuti (quindi Vallabhacharya invece del sanscrito Vallabhācārya e Annakuta invece di Annkūṭ in hindī).

© koninklijke brill nv, leiden, ���7 | doi 10.1163/24685631-1234003Downloaded1 from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 216 Nardi

Keywords

Indian painting – Rajasthani painting – Nathdwara painting – Śrī Nāthjī – Puṣṭi Mārg – Annakuta festival – Saptasvarupa festival

La cittadina di Nathdwara, in , è un importante centro di pellegri- naggio che attira folle di devoti a Śrī Nāthjī, l’icona principale di Puṣṭi Mārg (Sentiero della Grazia). I fedeli giungono per partecipare ai darśan quotidiani oppure per assistere agli importanti festival (utsav) che, a cadenza annuale, si svolgono presso il suo tempio. Queste celebrazioni costituiscono il tema pri- mario della pittura tradizionale di Nathdwara, la cui realizzazione stessa è con- siderata parte della devozione a questa importante divinità.1 Le origini di Śrī Nāthjī, una scultura in marmo nero raffigurante Kṛṣṇa bambi- no, sono narrate nell’opera letteraria in lingua braj intitolata Śrī Nāthjī Prākaṭya kī Vārtā del poeta e studioso Śrī Harirāyjī (1590–1715),2 secondo il quale questa icona incarna la divinità stessa ed è dunque uno svarūp o “forma essenziale di Kṛṣṇa-Gopāl” (Vaudeville 1980: 16).3 Śrī Nāthjī si manifestò nella sua forma at- tuale nel 1493 precisamente quando Vallabhacharya (1479–1531), il fondatore di Puṣṭi Mārg, si recò in pellegrinaggio nella regione del Braj.4 L’immagine rimase in questa regione insieme ad altre fondamentali icone della setta, chiamate

1 Nathdwara è famosa per diverse produzioni artistiche a scopo devozionale tra cui i pichvāī, ovvero dipinti su stoffa (si veda n. 7), la miniatura, l’affresco e, dalla fine del XIX sec., la cro- molitografia e la fotografia. Queste espressioni artistiche sono analizzate in Skelton (1973); Ambalal (1995); Lyons (2004); Pinney (2004: 80–104); Krishna, Talwar (2007); Nardi (2009, 2016); Cimino (2011: 190–204); Relia (2013); Ghose (2015). 2 Per una parziale traduzione di Śrī Nāthjī Prākaṭya kī Vārtā, o Cronaca della Manifestazione di Śrī Nāthjī, si veda Vaudeville (1980). Per le origini e gli spostamenti di Śrī Nāthjī prima della sua installazione a Nathdwara si vedano Ambalal (1995: 51–52); Peabody (2003: 53–54); Bau- tze (2012: 227–29). 3 La parola svarūp letteralmente significa “forma propria” ma viene spesso tradotta con l’e- spressione “forma essenziale”. Puṣṭi Mārg fa una netta distinzione tra svarūp e mūrti: mūrti è un’icona creata da un artigiano seguendo le caratteristiche rituali ed iconografiche ritenute appropriate per la sua raffigurazione; uno svarūp invece non è tradizionalmente considerato artificiale, ma è un’icona che si manifesta sulla terra già formata ed incarna la divinità stessa. Per la distinzione tra svarūp e mūrti si veda anche Peabody (2003: 60). Per un’analisi śāstrica dell’icona di Śrī Nāthjī si veda Nardi (2009). 4 L’incontro tra Śrī Nāthjī e Vallabhacharya sul Monte , evento nodale nella storia della setta di Puṣṭi Mārg, è raffigurato in numerose miniature. Per un’illustrazione si veda Nardi (2016: fig. 4).

Annali, Sezione orientaleDownloaded from 77 Brill.com10/04/2021(2017) 215–232 05:06:29PM via free access La miniatura come documento storico 217 navnidhi (nove tesori),5 fino al 1669 quando l’Imperatore Mughal (r. 1658–1707) forzò i loro custodi a trovare patrocinio altrove. Nel 1672, Śrī Nāthjī trovò rifugio a Nathdwara, vicino alla città di nella regione del e, grazie alla sua presenza, la cittadina divenne sia un popolare centro di pellegrinaggio sia la sede di un’importante scuola di pittura devozionale che ebbe un grande fiorire tra la fine del XVIII sec. e l’inizio del XX. Tra i temi principali di questa scuola sono le raffigurazioni di Śrī Nāthjī adorno per le celebrazioni religiose,6 in cui la divinità viene ritratta secondo formu- le rigide e ieratiche che incarnano la sua essenza divina (Nardi 2009: 107). Le opere possono essere eseguite su stoffa, come nel caso dei noti pichvāī,7 o su carta, come nel caso della miniatura di Fig. 1. Oggigiorno queste opere vengono acquistate dai pellegrini nei negozi storici del mercato della cittadina, fioriti verso la fine del XIX sec., mentre in epoche precedenti, soprattutto tra il XVIII

5 Per una lista delle navnidhi e la loro ubicazione attuale si veda l’analisi della miniatura oppure si faccia riferimento a Barz (1992: 55); Bautze (2012: 231–33). 6 Śrī Nāthjī viene bardato in modo diverso sia a seconda dei darśan giornalieri o dei festival annuali sia in base alle disposizioni del sacerdote capo. Per una descrizione dei cerimoniali e del calendario annuale del tempio si veda Ambalal (1995: 21–36). 7 Il pichvāī, comunemente trascritto , è una delle produzioni artistiche più importanti di Nathdwara. Ne esistono due tipi: il primo è strettamente legato ai cerimoniali nel sanctum del tempio di Nathdwara ed ha misure e decori ben precisi; il secondo invece indica una stoffa dipinta che viene utilizzata a scopo devozionale per adornare altari domestici o luoghi di culto. Nel primo caso si tratta di un tessuto di ampio formato (circa tre metri per un metro e ottanta) in cotone o seta che può essere dipinto, stampato o ricamato, e che viene appeso dietro a Śrī Nāthjī nel sanctum del tempio in occasione di determinati festival. Questo ha la funzione di creare un’atmosfera capace di evocare sensazioni ben precise nei devoti. La sua iconografia può richiamare episodi della vita di Kṛṣṇa, come la raffigurazione delle mucche per il festival di Gopashtami in cui si ricorda la prima volta in cui il dio è andato a pascolare, oppure contenere decorazioni astratte e floreali come per Annakuta. Il pichvāī utilizzato nei cerimoniali del tempio di Nathdwara viene accompagnato da altri tessuti dagli stessi colori e motivi decorativi che vanno a ricoprire alcuni oggetti del sanctum, come la piattaforma e lo scalino dov’è posizionata l’immagine di Śrī Nāthjī. Per uno studio dettagliato di questi tessuti si vedano Skelton (1973); Ambalal (1995); Krishna, Talwar (2007); Ghose (2015). La seconda definizione di pichvāī si riferisce a pitture su stoffa, spesso raffiguranti Kṛṣṇa, che vengono appese in occasioni speciali sia nei templi della setta sia nelle abitazioni dei devoti per rie- vocare eventi mitologici o commemorare festival religiosi. Secondo Krishna, Talwar (2007: 25), questa pratica è tipica di Puṣṭi Mārg. Per una foto dimostrativa di questo impiego si veda Lyons (2004: fig. 111).

Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232 Downloaded from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 218 Nardi e il XIX sec., le pitture venivano commissionate direttamente dai sacerdoti del tempio e dai sovrani rājpūt devoti di Śrī Nāthjī.8 Questa attività pittorica probabilmente ebbe inizio con la fondazione del tempio alla fine del XVII sec. e conobbe periodi alterni di sviluppo e di crisi. Una delle epoche di maggior prestigio della scuola di Nathdwara si registrò durante la vita di un sacerdote o tilkāyat 9 di spicco, Damodarji II (1797–1826), chiamato più comunemente Dauji.10 Ai tempi di Dauji la pittura di Nathdwara raggiunse il suo massimo splendore, caratterizzandosi sia per l’enfasi nella puntuale descrizione del rito religioso, raffigurato nei minimi particolari, sia per la preoccupazione di rappresentare più realisticamente i sacerdoti offi- cianti rendendone spesso possibile l’identificazione individuale, tanto che al- cune opere possono essere considerate veri e propri documenti visivi. La raffigurazione di avvenimenti storici in modo preciso e minuzioso è da ri- tenersi una caratteristica fondamentale della miniatura sviluppatasi alla corte di Udaipur, come specificato da Aitken (2010: 119) che chiama tali opere “ritratti contestuali”. Solitamente, questi ‘ritratti’ descrivono eventi di rilevanza stori- ca sia attraverso la figurazione sia mediante lunghe iscrizioni, poste sul verso, che identificano il sovrano, i membri della corte, gli artisti, i luoghi e le date dell’avvenimento, incoraggiando la lettura della miniatura quasi fosse la crona- ca dell’evento. Queste opere, spesso di dimensioni molto grandi, furono consi- derate dei veri e propri documenti anche da Kaviraj Shyamaldas (1836–1893), lo storico di corte del Mewar (Aitken 2010: 120). La vicinanza geografica tra Udaipur e Nathdwara e i numerosi spostamenti di artisti e opere d’arte hanno sicuramente avuto un impatto sulla scuola di Nathdwara ai tempi di Dauji.11

8 Tra le corti rājpūt devote a Śrī Nāthjī ci sono Kota e Kishangarh. L’aspetto devozionale di Kota è stato oggetto di vari studi, fra i quali Welch (1997); Peabody (2003); Bauze (2012); per quanto riguarda Kishangarh si faccia riferimento a Mathur (2000: 3). La divinità tute- lare della stirpe del regno del Mewar, la regione in cui è situata Nathdwara, rimase invece Ekliṅgjī (Nardi 2014: 129), ma i sovrani di Udaipur divennero ‘devoti personali’ di Śrī Nāthjī per beneficiare della sua presenza nei loro territori (Peabody 2003: 72 n. 60). 9 Tilkāyat è il titolo del sacerdote capo del tempio di Śrī Nāthjī, mentre gli altri sacerdoti della setta vengono chiamati semplicemente gosvāmī. L’importanza del lignaggio di Nathdwara è dovuta dal compito di custodia di Śrī Nāthjī, l’immagine principale della setta. 10 Damodarji è anche conosciuto come Dauji Chappanbhogvale (Dauji del chappan bhog) un soprannome che si riferisce alla sua memorabile offerta di cinquantasei tipi di cibo (chappan bhog) durante il festival di Annakuta del 1822. 11 Per quanto riguarda i pittori che si sono trasferiti da Udaipur a Nathdwara si vedano Ambalal (1995: 85) e Topsfield (2001: 277). Per l’impatto della scuola del Mewar e di altre scuole rājpūt sulla pittura di Nathdwara si veda Skelton (1973: 28).

Annali, Sezione orientaleDownloaded from 77 Brill.com10/04/2021(2017) 215–232 05:06:29PM via free access La miniatura come documento storico 219

In linea con quanto affermato, questo articolo si propone di utilizzare la miniatura come documento storico nello studio di un importante festival chiamato Saptasvarupa Annakutotsava, un evento epocale che si celebrò a Nathdwara nel 1822. A questo scopo, si esaminerà un’opera raffinata (Fig. 1), fi- nora datata tra il 1822 ed il 1850 ma probabilmente eseguita tra il 1822 ed il 1826, anno della morte di Dauji, e oggi conservata al Los Angeles County Museum of Art (LACMA).12 La pittura non contiene iscrizioni, ma i dettagli con i quali sono dipinte le celebrazioni svoltesi all’interno del tempio suggeriscono, alme- no dal punto di vista figurativo, i ritratti contestuali menzionati sopra. L’opera è particolarmente interessante sia per il suo valore storico in quanto ci forni- sce la documentazione di un raro evento religioso, sia dal punto di vista stili- stico ed iconografico poiché incarna il meglio della tradizione della scuola di Nathdwara, tanto da suggerire una committenza da parte del tempio stesso o da parte di un sovrano rājpūt devoto a Puṣṭi Mārg. Un secondo obiettivo di questo saggio, strettamente correlato al primo, è quello di elucidare l’impor- tanza e la portata del festival di Saptasvarupa Annakutotsava nel 1822, che non sono sempre riconosciute in letteratura vista la mancanza di fonti primarie re- lative all’evento. Si cercherà dunque di contestualizzare l’evento illustrato nella miniatura con le frammentarie ma complementari notizie che si trovano nella fonti secondarie.13 In questo articolo dapprima saranno presentate sinteticamente le origini della setta di Puṣṭi Mārg, le sue icone principali e le vicende che portarono all’installazione di Śrī Nāthjī a Nathdwara, informazioni che sono necessarie per contestualizzare sia le celebrazioni di Saptasvarupa Annakutotsava sia l’a- nalisi della miniatura del LACMA. Di seguito ci si soffermerà sull’opera in sé e

12 Questa miniatura è stata pubblicata anche in Listopad (2000: fig. 1) e Pal, Markel, Leoshko (1993: fig. 11) ed è accessibile online sul sito del LACMA dove è catalogata con il codice AC1999.127.41 Il presente saggio intende offrire un’analisi e una contestualizzazione sto- rica molto più ampie e dettagliate rispetto alle precedenti pubblicazioni. 13 Tra le fonti secondarie più valide nella contestualizzazione del festival si menzionano Ambalal (1995), che è un testo essenziale per lo studio della pittura di Nathdwara, e due lavori di taglio storico, ovvero Peabody (2003) e Saha (2004), che toccano diversi aspetti dello sviluppo della setta di Puṣṭi Mārg e delle sue interazioni con le istituzioni politiche del nord . Bautze (2012) è un altro studio importante che presenta un’analisi stori- co-artistica e la traduzione di un manoscritto datato 1805 dal titolo Śrī Vrajrājjī ka Ghar ki Utsavmālikā, ovvero Ghirlanda di Festival della Casa (Tempio) di Śrī Vrajrājjī, un’opera oggi conservata al Government Museum di Kota che conta 102 pagine e un totale di 38 illu- strazioni. Il testo descrive i cerimoniali che si svolgono nei templi di Puṣṭi Mārg, tuttavia il materiale è scritto per un lettore già a conoscenza delle formalità rituali, per cui molti dettagli utili a questo studio sono tralasciati.

Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232 Downloaded from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 220 Nardi

Figura 1 La cerimonia di Saptasvarupa Annakutotsava al tempio di Śrī Nāthjī a Nathdwara nel 1822. Nathdwara, ca. 1822–1850. Acquerello opaco, foglia d’oro e lega in rame. Immagine: 30,48×24,77 cm; foglio: 33,02×25,08 cm. Donazione di Jane Greenough Green (AC1999.127.41). Los Angeles County Museum of Art. Immagine di Pubblico Dominio: www.lacma.org.

Annali, Sezione orientaleDownloaded from 77 Brill.com10/04/2021(2017) 215–232 05:06:29PM via free access La miniatura come documento storico 221 sul significato e l’iconografia del festival. La parte finale integrerà l’analisi della miniatura con alcuni fatti storici menzionati dalle fonti secondarie: questa indagine evidenzierà un’importante questione riguardante la mancata parte- cipazione di Bālkṛṣṇajī, una delle navnidhi o icone principali di Puṣṭi Mārg, al festival del 1822 e verranno brevemente considerate le dispute che hanno preceduto il festival rivelando le tensioni esistenti tra i sacerdoti del tempo. Le discordie interne alla setta, infatti, impedirono l’organizzazione di simili cele- brazioni negli anni seguenti. Sarà infine presentato un breve studio compara- tivo della cerimonia del 1822 con due eventi simili, datati 1739–1740 e 1966, che evidenzieranno ulteriormente l’eccezionalità del Saptasvarupa Annakutotsava in questione.

I lignaggi di Puṣṭi Mārg, gli svarūp e Śrī Nāthjī

La setta di Puṣṭi Mārg (Sentiero della Grazia) è una comunità devozionale fon- data nel XVI sec. nella regione del Braj, nelle zone limitrofe a nell’India del nord, da Vallabhacharya (1479–1531), un filosofo che insegnò l’importanza di condurre una vita completamente affidata alla grazia del dio Kṛṣṇa. La setta guadagnò un forte seguito in e Rajasthan, dove la comunità continua a fiorire anche oggi, come succede a Nathdwara. Quando Vallabhacharya morì nel 1531, la setta venne affidata a suo figlio Vitthalnath (1515–1585) che riuscì a rafforzarne la presenza nel nord dell’India grazie al patrocinio delle élite eco- nomiche e politiche del tempo. Con la sua morte, la leadership spirituale di Puṣṭi Mārg passò ai suoi sette figli che ereditarono il diritto esclusivo ad iniziare nuovi discepoli. Questa distribuzione dell’autorità spirituale portò alla forma- zione di sette lignaggi, in base ai figli di Vitthalnath.14 A questi lignaggi fa capo un sacerdote, comunemente chiamato gosvāmī,15 che deve essere un discen- dente maschio di Vallabhacharya e Vitthalnath (Peabody 2003: 57). Nei secoli a seguire, i sacerdoti di Puṣṭi Mārg godettero del sostegno della classe mer- cantile e delle élites politiche dell’India occidentale e settentrionale. Questo

14 Tradizionalmente la setta enumera sette lignaggi anche se in pratica ne esistono otto. Il primo lignaggio, il più importante in termini di anzianità, fu infatti ulteriormente diviso tra i due discendenti maschi di Giridhar, il primogenito di Vitthalnath. Si vedano anche n. 16 e Peabody (2003: 58). Per informazioni più dettagliate su Vallabhacharya, la sua fami- glia e la formazione dei lignaggi di Puṣṭi Mārg si vedano Peabody (2003: 55–59) e Barz (1992: 52–55). 15 I gosvāmī di Puṣṭi Mārg vengono anche chiamati con il titolo di mahārāj o sovrano (Bennet 1990; Saha 2004; Bautze 2012).

Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232 Downloaded from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 222 Nardi patrocinio li trasformò in influenti proprietari il cui stile di vita aristocratico divenne causa di molte controversie durante il XIX sec. (Saha 2004: 272). Ai sette figli di Vitthalnath fu data in consegna la custodia di nove icone sacre chiamate navnidhi (nove tesori), statue di natura divina (svarūp) che, secondo la setta, apparirono miracolosamente a Vallabhacharya e ai suoi primi disce- poli prive di difetti e imperfezioni in quanto non prodotte dall’uomo (Peabody 2003: 61).16 Tradizionalmente Puṣṭi Mārg ne enumera sette (saptsvarūp o sette svarūp), escludendo dal conteggio le immagini di Śrī Nāthjī e Navnītpriyjī, in quanto le loro qualità e i loro attributi sono la somma totale delle altre icone (Peabody 2003: 58).17 Le navnidhi risiedettero nella regione del Braj fino alla loro dispersione in diverse località del nord dell’India a causa delle tensioni che si manifestaro- no all’epoca dell’Imperatore Mughal Aurangzeb (r. 1658–1707) che portarono alla distruzione di alcuni templi nell’area di Mathura (Vaudeville 1980: 17). Śrī Nāthjī originariamente si trovava nel luogo della sua miracolosa apparizione sul Monte Govardhan, dove Vallabhacharya stesso eresse un piccolo tempio in suo onore. Successivamente, l’icona fu installata in un edificio più gran- de, costruito nel 1499 grazie all’aiuto di un ricco mercante (Vaudeville 1980: 17, 27; Bautze 2012: 227–229), dove rimase fino al 1669, quando l’Imperatore Mughal Aurangzeb forzò i custodi della statua a rimuoverla e nasconderla. Nei due anni successivi Śrī Nāthjī trovò rifugio temporaneo presso diverse corti principesche del Rajasthan, tra cui Bundi, Kota, Jodhpur e Kishangar, ed infine una sede permanente a Nathdwara che fu fondata nel 1672 vicino alla città di Udaipur in Mewar.

Nathdwara 1822: il festival di Saptasvarupa Annakutotsava nella miniatura del LACMA

Il festival annuale più importante del calendario del tempio di Śrī Nāthjī è quello di Annakuta (annkūṭ o montagna di cibo). Questo cade il secondo

16 A Giridhar, il primogenito di Vitthalnath, furono date in custodia tre navnidhi, cioè Śrī Nāthjī, Navnītpriyjī e Mathureśjī. Egli consegnò le prime due icone al primogenito e Mathu- reśjī al secondogenito, determinando la scissione del primo lignaggio. Per uno schema riassuntivo dei lignaggi di Puṣṭi Mārg e della distribuzione delle navnidhi si veda Pea- body (2003: fig. 2). Per una lista completa delle nove icone si veda l’analisi della miniatura. 17 Navnītpriyjī è una piccola immagine in metallo che raffigura Kṛṣṇa bambino mentre tiene con la mano destra una palla di burro. Per una sua rappresentazione in pittura si veda Ambalal (1995: 54).

Annali, Sezione orientaleDownloaded from 77 Brill.com10/04/2021(2017) 215–232 05:06:29PM via free access La miniatura come documento storico 223 giorno di Diwali nel mese di kārttik (ottobre-novembre), segnando l’inizio del nuovo anno con la commemorazione dell’episodio in cui Kṛṣṇa solleva il Monte Govardhan. Una ricorrenza altrettanto importante ma più rara è il Saptasvarupotsava, in cui i rappresentanti dei lignaggi di Puṣṭi Mārg giungono a Nathdwara con i rispettivi svarūp al seguito.18 La miniatura del LACMA (Fig. 1) rappresenta il festival di Annakuta, l’even- to principale del calendario rituale del tempio, ed illustra una celebrazione ben precisa, avvenuta nel 1822, alla quale parteciparono sei dei sette svarūp di Puṣṭi Mārg, che furono radunati al tempio di Nathdwara assieme a Śrī Nāthjī e Navnītpriyjī. Per questo motivo il festival non fu un’ordinaria celebrazione di Annakuta ma un avvenimento epocale che prese il nome di Saptasvarupa Annakutotsava ovvero ‘il festival di Annakuta a cui parteciparono i sette svarūp’.19 Nel dipinto (Fig. 2), Śrī Nāthjī è la figura più grande al centro e accanto a lui, bardate allo stesso modo, sono le icone di Puṣṭi Mārg che parteciparono al festival e che identifichiamo di seguito (da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso) attraverso uno studio comparativo tra la miniatura in questione e gli esigui studi iconografici sugli svarūp, cercando di fornire alcuni dati essenziali per il loro riconoscimento.20

18 Come spiegato più avanti, il Saptasvarupotsava (hindi: saptsvarūpotsav; sanscrito: sapta- svarūpotsava) fu celebrato al tempio di Nathdwara tre volte in forma solenne: 1739–1740, 1822 e 1966. 19 Il Saptasvarupa Annakutotsava è raffigurato spesso nella pittura di Nathdwara ed è facil- mente riconoscibile dal fatto che le opere utilizzano il medesimo impianto scenico della miniatura in questione, soprattutto nel posizionamento delle icone, dei sacerdoti e del pichvāī a sfondo nero dietro gli svarūp. Questa specificità iconografica si riconduce ai ‘ritratti contestuali’ menzionati nell’introduzione. Per alcune opere che raffigurano il Sap- tasvarupa Annakutotsava del 1822 si vedano Skelton (1973: figg. 11–14); Ambalal (1995: 66); Krishna, Talwar (2007: figg. 23, 28); Ghose (2015: cat. 58, 60). Per un raro affresco si veda Cimino (2011: fig. 280). Due pannelli ai lati di quest’ultimo (figg. 283–84), testimoniano la presenza di Mahārāṇā Bhim Singh di Udaipur (r. 1778–1828) al festival. 20 In merito a queste identificazioni va ricordato che le navnidhi di Puṣṭi Mārg non sono facil- mente accessibili al pubblico, il quale ha la possibilità di vederle in modo molto affrettato durante i brevi e affollati darśan giornalieri che si svolgono nei loro rispettivi templi; inol- tre, le icone non possono assolutamente essere fotografate, come conferma Bautze (2012: 231). Per questi motivi una pittura che ritrae le divinità in modo accurato, come il caso della miniatura del LACMA, diventa un’importante fonte documentaria anche se non può fornirci indicazioni precise sulle dimensioni reali delle immagini. La presente identifica- zione è stata possibile grazie ad un’analisi dettagliata della miniatura in congiunzione allo studio iconografico sulle navnidhi presentato da Ambalal (1995: 54–59), un autore devoto a Puṣṭi Mārg che ha avuto l’occasione di vedere le icone di persona e che nella sua ricerca

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Figura 2 Gli svarūp insieme a Śrī Nāthjī (al centro in alto) e Navnītpriyjī (al centro in basso) nel tempio di Nathdwara (dettaglio di Fig. 1).

– In alto a sinistra si trova Śrī Madanmohanjī, una statua in metallo21 che raffigura Kṛṣṇa mentre suona il flauto accompagnato da due attendenti che prendono il nome di Rādhā e Candrāvalī. Questo svarūp si trova in un tem- pio ubicato a Kaman (anche Kamavan), un villaggio vicino a Bharatpur in Rajasthan, in un’area geografica che fa culturalmente parte della regione del Braj. – Śrī Dvārkādhīśjī (anche Śrī Dvārkānāthjī) è una stele in marmo nero che rappresenta Kṛṣṇa con quattro braccia che reggono loto, conchiglia, disco e mazza. L’immagine risiede nel suo tempio dedicato nel villaggio di Kankroli, a nord di Udaipur in Rajasthan. Dal punto di vista iconografico, questo svarūp ha gli stessi attributi di Śrī Mathureśjī (cfr. sotto) dal quale si distingue solamente per la sommità squadrata, anziché arrotondata, della sua stele.

indica i loro materiali e, talvolta, le loro dimensioni. Una valida fonte complementare a quella di Ambalal è presentata da Bautze (2012: 231–33). Nella lista che segue, i nomi delle navnidhi sono preceduti dall’onorifico Śrī che viene invece omesso per brevità nel testo, fatta eccezione per Śrī Nāthjī. 21 I materiali delle icone sono suggeriti nella miniatura dal loro colore: il giallo si riferisce al metallo mentre il colore blu scuro si riferisce al marmo nero oppure al legno. Questi mate- riali sono ulteriormente confermati dalle analisi iconografiche di Ambalal (1995: 54–59) e Bautze (2012: 231–33).

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– In alto al centro si trova Śrī Nāthjī, l’icona principale di Puṣṭi Mārg, una statua in marmo nero alta circa un metro e trentasette centimetri che raffigura Kṛṣṇa all’età di sette anni. Lo svarūp ha il braccio sinistro alzato verticalmente a simboleggiare il sollevamento del Monte Govardhan per riparare i pastori di dalle piogge torrenziali inviate dall’infuriato dio Indra.22 Śrī Nāthjī risiede a Nathdwara in una struttura che prende il nome di havelī (residenza, villa), anziché mandir (tempio), ubicata nel centro della cittadina. – Śrī Mathureśjī è una stele in marmo nero che rappresenta Kṛṣṇa con quat- tro braccia che reggono loto, conchiglia, disco e mazza. Questa risiede nel suo tempio dedicato nella città di Kota in Rajasthan. Questo svarūp sorregge gli stessi emblemi di Śrī Dvārkādhīśjī dal quale si contraddistingue solamente dalla sommità arrotondata della sua stele. – Śrī Gokulcandramājī è l’unica scultura lignea tra le navnidhi di Puṣṭi Mārg. L’icona, che raffigura Kṛṣṇa mentre suona il flauto, risiede in un tempio a Kaman, lo stesso villaggio in cui si trova anche lo svarūp di Śrī Madanmohanjī. – L’ultima icona in alto a destra la identifichiamo con Madanmohanjī, una statua in metallo che raffigura Kṛṣṇa mentre suona il flauto.23 Questa non fa parte delle navnidhi canoniche della setta e nella miniatura prende il posto di Śrī Bālkṛṣṇajī, navnidhi del sesto lignaggio di Puṣṭi Mārg residente a Surat in Gujarat, che non partecipò all’evento.24 – In basso a sinistra si trova Śrī Gokulnāthjī, una statua in metallo che rap- presenta Kṛṣṇa con quattro braccia accompagnato da due attendenti, Rādhā e Candrāvalī. Lo svarūp si trova nel suo tempio dedicato a , nella regione del Braj in Uttar Pradesh. – Al centro in basso si trova Śrī Navnītpriyjī, una piccola statua in metallo che raffigura Kṛṣṇa bambino mentre tiene in mano una palla di burro. Questo svarūp non solo risiede nel tempio di Nathdwara insieme a Śrī Nāthjī, ma in

22 Śrī Nāthjī è anche conosciuto in letteratura come Śrī Govardhanjī o Śrī Govardhannāthjī (Vaudeville 1980: 1, 12, 16), epiteti che si riferiscono al legame tra la divinità e il Monte Govardhan. 23 Come spiega Ambalal (1995: 53), la statua di Madanmohanjī (da non confondere con l’o- monima navnidhi del tempio di Kaman descritta brevemente sopra) è da considerarsi una ‘immagine del grembo’ o Gaud ke Thakurji, ovvero una di quelle icone che risiedono regolarmente nel sanctum del tempio di Nathdwara. 24 Si veda oltre per i problemi di successione legati al sesto lignaggio di Puṣṭi Mārg che cau- sarono l’assenza di Bālkṛṣṇajī, un’icona che raffigura Kṛṣṇa bambino. Per un’immagine di questo svarūp si faccia riferimento a due miniature eseguite alla corte di Kishangarh nella seconda metà del XVIII sec. pubblicate in Mathur (2000: 20, 54). In entrambe le illustra- zioni, la divinità appare in compagnia di Madanmohanjī. Ringrazio Joachim Bautze per avermi segnalato queste immagini (comunicazione personale, gennaio 2016).

Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232 Downloaded from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 226 Nardi particolari cerimonie lo sostituisce. Infatti, trattandosi di un’immagine di pic- cole dimensioni, è facilmente trasportabile nei cortili del tempio durante le funzioni religiose che si svolgono al di fuori del sanctum (nij mandir). – Śrī Viṭṭhalnāthjī è una statua in metallo di circa dieci centimetri che raffi- gura Kṛṣṇa con la consorte Rūkmiṇī. Questo svarūp si trova a Nathdwara in un tempio dedicato. Nella miniatura, le divinità sono posizionate all’interno del sanctum del tempio di Nathdwara. Indossano abiti di color argento e una corona di piume di pavone affiancata da un ornamento che ricorda le orecchie di mucca (gokarṇ mukuṭ) che ha lo scopo di evocare le origini di Kṛṣṇa pastore. La cerimonia è caratterizzata dal grande effetto scenico dato dal contrasto cromatico tra il color argento dei loro abiti, la stoffa arancione appesa dietro ciascuna icona e il tessuto a sfondo nero posizionato dietro al gruppo di statue. Il tessuto, che prende il nome di pichvāī, è decorato da due elementi a forma di arco polilo- bato che incorniciano alberi della vita realizzati in oro e puntini bianchi ad imitare ricami con filo dorato e perle. Come spiega Ambalal (1995: 67), que- sto particolare pichvāī era stato commissionato da Dauji nel 1822, quando sua madre insieme ad altri sacerdoti donarono al tempio alcuni dei loro gioielli che furono poi utilizzati per la manifattura di questo prezioso oggetto devozionale. L’albero della vita su sfondo nero del pichvāī diventerà parte dell’iconografia canonica del festival da questo momento in poi. Come negli altri festival di Annakuta, anche Saptasvarupa Annakutotsava è caratterizzato da una grande offerta di cibo (chappan bhog). Nella miniatu- ra, l’offerta è collocata di fronte alle icone: il cibo è sistemato in ceste mentre più in basso ci sono dei vasi riempiti di latte e prodotti derivati. In primissimo piano, a simboleggiare il Monte Govardhan, si nota una montagna di riso deco- rata da cinque torte—una delle quali non visibile—che rappresentano la testa e i quattro attributi di Viṣṇu. La montagna di cibo di fronte a Śrī Nāthjī durante il festival di Annakuta evoca l’episodio in cui Kṛṣṇa convinse i pastori del Braj a cessare di fare sacrifici al dio Indra ed iniziare ad adorare e fare offerte al Monte Govardhan.25 Su entrambi i lati dell’altare i sacerdoti svolgono diversi compiti rituali. Come da tradizione nella miniatura del tempo, essi sono rappresentati con caratteristiche fisiognomiche molto stilizzate anche se è possibile riconosce- re il sacerdote sulla sinistra, Dauji (1797–1826), raffigurato con in mano una

25 Per ulteriori riferimenti bibliografici sul festival di Annakuta si veda Bautze (2012: 251 n. 96). Per una descrizione del festival nella regione del Braj si veda Vaudeville (1980: 2–4). Per un’analisi sull’esperienza mistica dei devoti durante Annakuta si veda Bennet (1990: 199–200).

Annali, Sezione orientaleDownloaded from 77 Brill.com10/04/2021(2017) 215–232 05:06:29PM via free access La miniatura come documento storico 227 lampada ad olio per officiare la cerimonia di ārtī. Gli altri, non ancora identifi- cati, hanno in mano ventagli con piume di pavone. Il dipinto segue la formula tradizionale della pittura di Nathdwara per stile e composizione: l’opera è caratterizzata da stilizzazione e raffinatezza che si traducono con un sottile contorno nero a definire le figure dei sacerdoti e trat- teggi molto fini per rendere i loro capelli; l’uso di colori vivaci, come l’arancio- ne del tessuto dietro le immagini; l’utilizzo della foglia d’oro per evidenziare i gioielli e una lega in rame per rappresentare gli abiti di color argento indossati dalle divinità. Anche la mancanza di chiaroscuro, plasticità e punto luce sono caratteristiche della miniatura di Nathdwara.

I Saptasvarupotsava nella storia della setta e rilevanza del festival del 1822

Come spiega Peabody (2003: 62), il festival del 1822 ebbe lo scopo di rievocare la prima celebrazione di Annakuta presieduta da Vitthalnath nel 1588 nella regione del Braj, l’ultima occasione che vide radunate tutte le navnidhi prima della loro dislocazione in diverse aree del nord dell’India. Per diversi problemi, una perfetta rievocazione dell’evento non fu mai possibile, infatti, come spiega Saha (2004: 199), se il successo di questi festival può dare l’impressione di una grande e pacifica riunione dei lignaggi di Puṣṭi Mārg, dietro questa facciata covavano costanti litigi causati da conflitti personali e controversie su questio- ni economiche e di prestigio. Perciò solamente due celebrazioni al tempio di Nathdwara si avvicinarono allo spirito del festival del 1588: la prima si svol- se nel 1739 e continuò fino all’anno seguente, la seconda fu quella del 1822. Un terzo Saptasvarupotsava si celebrò nel 1966 ma, diversamente dagli altri, questo non venne ufficiato in occasione di Annakuta.26 La letteratura secondaria ci fornisce pochi particolari relativi alla celebra- zione del 1739–1740: ci informa che al festival partecipò il sovrano di Kota,

26 Secondo Richardson (1979: 89–90 n. 1), la letteratura della setta menziona anche un festi- val di Annakuta svoltosi nel 1675 nel villaggio di Sinhar, che poi diventerà Nathdwara, al quale parteciparono Śrī Nāthjī, Dvārkādhīśjī e Viṭṭhalnāthjī. Ghose (2015: 158–59) pub- blica l’immagine di un festival avvenuto a Nathdwara nel 1908 in cui partecipano cinque svarūp. Queste due celebrazioni, tuttavia, non possono essere considerate Saptasvarupot- sava, vista la partecipazione di un numero limitato di navnidhi. Richardson menziona anche un Saptasvarupotsava celebrato nel regno di Kishangarh nel 1783 (1979: 89 n. 1), ma finora questa dichiarazione non trova ulteriore conferma in altre fonti letterarie o in pittura.

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Durjan Sal (r. 1723–1756), che si accollò le spese della convocazione e del tra- sporto delle icone dai loro rispettivi templi. L’investimento fu ripagato dall’e- norme successo delle celebrazioni, tanto che il sovrano fu proclamato patrono principale del festival dall’allora tilkāyat, Govardhaneshji (Peabody 2003: 62, 106–7; Saha 2004: 188–89). Anche in pittura si conoscono poche illustrazioni che commemorano l’evento, tra queste una si trova nel manoscritto di Kota datato 1805 menzionato alla nota 13. Il testo descrive nel dettaglio i festival e le icone di Puṣṭi Mārg e, molto probabilmente, l’illustrazione che si riferi- sce al Saptasvarupotsva si ispira al festival del 1739–1740 (Bautze 2012: 250–51: pl. 18). L’evento viene anche raffigurato in una preziosa miniatura della corte del Mewar che ritrae Mahārāṇā Jagat Singh II (r. 1734–1751) con altri membri della famiglia reale e un sacerdote, probabilmente Govardhaneshji, mentre rendono omaggio a Śrī Nāthjī e alle altre navnidhi.27 Un’altra miniatura, in cui gli allora sacerdoti Govindji e Govardhaneshji sono identificati da una iscrizio- ne, è conservata al British Museum.28 Il festival del 1822 fu un evento eccezionale tanto da essere illustrato in nu- merose pitture.29 Esso si concretizzò nonostante i numerosi conflitti che Dauji dovette affrontare, tra i quali due sono ben documentati nella letteratura se- condaria: il primo riguarda le discordie all’interno del sesto lignaggio di Puṣṭi Mārg e la relativa custodia dell’icona di Bālkṛṣṇajī, problemi già manifestatisi al festival del 1739–40 a causa dei quali l’icona non partecipò (Peabody 2003: 75–78); il secondo concerne una lotta tra i lignaggi di Nathdwara e Kankroli che rischiò di far annullare l’evento (Saha 2004: 199–201). Come spiega Peabody (2003: 75, 77–78), Bālkṛṣṇajī è lo svarūp che originaria- mente Vitthalnath consegnò al suo sesto figlio, quindi è tecnicamente una delle navnidhi. A causa dei problemi di successione all’interno del sesto lignaggio, questa icona cominciò a perdere fama e reputazione e, allo stesso tempo, altre immagini acquisirono potere ed importanza, come per esempio Mukundrāyjī, un’icona che apparteneva a Dauji già installata al tempio di Nathdwara fino al suo definitivo trasferimento a nel 1827. A causa dell’autorità conte- stata di Bālkṛṣṇajī, alcuni membri di Puṣṭi Mārg cominciarono a considerare

27 Questa miniatura su carta, conservata al Baroda Museum and Picture Gallery in Gujarat, è pubblicata in Doshi (1995: 78). 28 La miniatura è accessibile online sul sito del British Museum, dove è catalogata con il numero 1940,0713,0.67 ed è anche pubblicata in Lyons (2007: fig. 1). Quest’opera, datata sul sito del museo come tardo XVIII sec., è stata probabilmente eseguita dopo il 1822 in quanto il decoro del pichvāī con l’albero della vita su sfondo nero è identico a quello com- missionato da Dauji e quindi precedentemente sconosciuto. 29 Per una lista di illustrazioni che raffigurano il festival del 1822 si veda n. 19.

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Mukundrāyjī la navnidhi ufficiale del sesto lignaggio (Ambalal 1995: 59; Peabody 2003: 78).30 Il festival rischiò di saltare alla sua vigilia a causa di una disputa apertasi con il sacerdote di Kankroli per il controllo di una proprietà terriera e per il ri- fiuto di Nathdwara a riconoscere l’autorità del gosvāmī sul problematico sesto lignaggio. Il sacerdote richiedeva anche di essere formalmente annunciato con la recitazione dei suoi titoli nel caso della sua partecipazione al festival. Dauji in un primo momento riluttante, finì per accettare due delle tre richieste, cioè il controllo sulla proprietà terriera contestata e il formale annuncio dell’arrivo al festival del sacerdote di Kankroli (Saha 2004: 199–201). Questo ed altri con- flitti in corso richiesero la presenza di James Tod (1782–1835), l’agente politico britannico degli stati rājpūt occidentali, che fu convocato da Dauji per fungere da mediatore.31 Il tempio di Nathdwara organizzò un Saptasvarupotsava anche nel 1966, al tempo di Tilkāyat Govindlal. Come spiega Lyons (2004: 124 n. 14), un pichvāī speciale per commemorare l’evento viene mostrato per l’anniversario del fe- stival che cade il nono giorno della metà chiara del mese di śrāvaṇ, quindi in un’occasione diversa da quella di Annakuta. Il pichvāī, dipinto da Kanhaiyalal e Hiralal Gaur di Nathdwara, ritrae Tilkāyat Govindlal che esegue la cerimonia

30 Madhuvanti Ghose, che ha avuto l’occasione di vedere la statua di Mukundrāyjī, spiega che si tratta di un’icona di piccolissime dimensioni che raffigura Kṛṣṇa bambino (comu- nicazione personale, luglio 2016). Nonostante non sia una delle navnidhi canoniche della setta, Mukundrāyjī è comunque considerato un sevya-svarūp, ovvero un’icona che ha goduto del servizio rituale o sevā di Vallabhacharya e dei suoi discendenti maschi (Peabody 2003: 78). Come spiega Kalyan Krishna (comunicazione personale, gennaio 2016), oggi l’immagine è custodita a Varanasi in un tempio chiamato Śrī Gopāl Mandir, ­un’istituzione considerata da alcune fazioni della setta la sede del sesto lignaggio. Questa autorità non è accettata da tutti, creando ulteriori divisioni all’interno di Puṣṭi Mārg. Per maggiori informazioni su Mukundrāyjī e la sua installazione a Varanasi si faccia riferi- mento a Dalmia (1994). 31 James Tod non solo ricoprì la carica di agente politico britannico dal 1818 al 1822, fu anche l’autore di Annals and Antiquities of Rajasthan or, the Central and Western Rajpoot States of India, la cui prima edizione, in tre volumi, risale agli anni 1829–1832. Questo compen- dio di storia del Rajasthan è arricchito dalle opinioni ed imprese personali dell’autore in cui dichiara di aver partecipato al Saptasvarupa Annakutotsava del 1822 in funzione di conciliatore dei dissidi tra sacerdoti e sovrani. In particolare, Tod dovette affrontare le pressioni dei sovrani rājpūt i cui regni ospitavano le immagini della setta: questi gli chiesero di garantire che i sacerdoti non trasferissero i loro rispettivi svarūp in altri templi alla fine del festival. I governanti rājpūt temevano che corruzione e questioni di prestigio avrebbero potuto invogliare i sacerdoti a installare le loro icone in altri regni provocando loro una perdita di “santità, dignità e prosperità” (Tod 2001: 436 n. 2).

Annali, Sezione orientale 77 (2017) 215–232 Downloaded from Brill.com10/04/2021 05:06:29PM via free access 230 Nardi di ārtī circondato dai sacerdoti della setta e da numerose mucche. Jindel (1976: 73–74), secondo il quale il festival si celebrò in occasione del Nanda Mahotsava,32 asserisce che vi parteciparono le navnidhi di Dvārkādhīśjī, Gokulcandramājī, Madanmohanjī, Mukundrāyjī, Viṭṭhalnāthjī e ovviamente Śrī Nāthjī e Navnītpriyjī. Mancarono dunque all’appello, probabilmente per ulteriori dispute, Mathureśjī, Gokulnāthjī e, ancora una volta, Bālkṛṣṇajī, ma vi partecipò una nuova icona, Naṭvar Prabhu, proveniente da Ahmedabad. La presenza di queste icone viene confermata da un altro pichvāī dell’epoca ese- guito dalla stessa coppia di artisti.33 La stoffa non solo illustra le statue addob- bate per l’evento, ritrae con precisione fotografica anche i sacerdoti del tempo, tra cui Tilkāyat Govindlal. Nonostante il festival sia stato celebrato in epoca re- cente, documenti scritti che lo descrivano nel dettaglio sono finora sconosciuti e, anche in questo caso, la pittura funge da documento storico o da ‘ritratto contestuale’. Il presente articolo ci ha portato a riflettere sul valore documentario della miniatura del LACMA nello studio del Saptasvarupa Annakutotsava del 1822. L’opera ci offre uno snapshot dell’evento all’interno del tempio, il suo intento sembra infatti quello di ritrarre il festival nei minimi particolari, includendo i sacerdoti, le icone di Puṣṭi Mārg, le offerte di cibo e l’ambiente addobbato in modo da indicare con precisione la ricorrenza, che viene suggerita dal pichvāī a sfondo nero decorato con l’albero della vita. La miniatura può dunque essere considerata un ‘ritratto contestuale’ oltre che a costituire un’importante testi- monianza complementare alle fonti secondarie; infatti, lo studio dell’opera in congiunzione alle frammentarie notizie sul festival in letteratura ha elucidato la portata di questo avvenimento epocale. Anche il paragone tra i tre festival considerati sopra dimostra l’eccezionalità del Saptasvarupa Annakutotsava del 1822 che, al contrario degli altri, è ampiamente raffigurato in pittura. Questa fu la celebrazione che probabilmente si avvicinò maggiormente allo spirito della riunione originale delle navnidhi ai tempi di Vitthalnath nel 1588 nel Braj e, vista la sua rarità, rimase memorabile nella storia collettiva della comunità di Puṣṭi Mārg e del tempio di Nathdwara.

32 Per una descrizione di Nanda Mahotsava si vedano Ambalal (1995: 29); Ghose (2015: 110– 11). Questo festival cade durante la metà scura del mese di bhādoṁ (agosto-settembre), quindi il mese successivo a śrāvaṇ (luglio-agosto). Probabilmente Lyons (2004: 124 n. 14) e Jindel (1976: 73–74) si riferiscono alla stessa adunanza, in quanto, viste le difficoltà a congregare le icone, queste rimanevano poi a Nathdwara per lunghi periodi. 33 Questo pichvāī è stato recentemente pubblicato in Krishna, Talwar (2014: 212, fig. 17.7). La descrizione dell’opera (2014: 212) fornisce anche l’identificazione dei sacerdoti presenti durante il rituale.

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