Cliente Codice attività Provincia di Roma 01 Codice prodotto Progetto 01 Codice elaborato Realizzazione di database e cartografie tematiche 01R

Realizzazione di database e di cartografie tematiche, in formato vettoriale, relativamente ad un’area campione rappresentativa del settore sud orientale del territorio della Provincia di Roma

Relazione finale

01 Definitiva G. Villa E. Mitidieri E. Mitidieri Luglio 2011 Rev. Descrizione Elaborato Verificato Approvato Data

Realizzazione di database e di cartografie tematiche, in formato vettoriale, relativamente ad un’area campione rappresentativa del settore sud orientale del territorio della Provincia di Roma

Relazione finale

Indice

1 Premessa...... 2

2 Raccolta dati ...... 4

3 Validazione, elaborazione ed integrazione dei dati di base ...... 6 3.1 Carta geologica e litotecnica ...... 6 3.2 Layer “punti instabili” e layer “frane”...... 7 3.3 Modello digitale del terreno (DEM), pendenza ed esposizione dei versanti ...... 8 3.4 Uso del suolo...... 9

4 Analisi della suscettibilità...... 10 4.1 Inquadramento geomorfologico ...... 11 4.2 Inquadramento geologico...... 13 4.3 Carta geologica ...... 20 4.4 Carta litotecnica...... 26 4.5 Censimento fenomeni franosi...... 27 4.5.1 Tipologie fenomeni gravitativi...... 27 4.5.2 Ricorrenze tipologiche...... 29 4.5.3 Distribuzione areale dei fenomeni franosi per tipologia ...... 31 4.6 Metodologia operativa ...... 34 4.7 Punti stabili ...... 39

5 Dati pluviometrici...... 40

6 Sismicità ...... 46 6.1 Sismicità remota...... 51 6.2 Storie sismiche locali...... 53

7 Indagine storico-archivista...... 63 7.1 Relazione dissesti-piovosità...... 63 7.2 Relazione dissesti-sismicità ...... 65

8 Progetto GIS...... 68 8.1 Metadocumentazione ...... 68

9 Conclusioni ...... 76

Pagina 1

1 Premessa

Il presente rapporto costituisce la relazione finale delle attività svolte, previste dal contratto stipulato in data 21/05/2010 tra la scrivente e la Provincia di Roma, avente ad oggetto la “Realizzazione di database e di cartografie tematiche, in formato vettoriale, relativamente ad un’area campione rappresentativa del settore sud orientale del territorio della Provincia di Roma”. L’area di studio, definita in accordo con la Direzione di Progetto (Fig. 1), ricade nel settore sud orientale della provincia di Roma e costituisce parte di un più ampio progetto avviato dall’amministrazione provinciale nel 2005, in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e sviluppatosi attraverso due progetti pilota: il primo, denominato “Franarisk_RM”, realizzato dal Dipartimento di Scienze geologiche dell’Università Roma Tre (2007), il secondo, denominato “Franarisk_RM2”, sviluppato dall’A.T.I. Geomap s.r.l. - Agristudio s.r.l. (2009).

Fig. 1 Inquadramento dell’area di studio rispetto ai progetti pilota precedentemente realizzati

L’area, di estensione di 172 Km2, è delimitata a nord e a ovest dalle aree indagate nei precedenti progetti pilota, a est dal limite della provincia di Roma, a sud dal di . Dal punto di vista amministrativo ricade completamente nei comuni di , , , Cave, , , e parzialmente, nei comuni di Valmontone e (Fig. 2).

Pagina 2

Fig. 2 Inquadramento dell’area di studio rispetto ai limiti amministrativi comunali

Di seguito sono descritte in dettaglio le singole attività svolte e i risultati ottenuti.

Pagina 3

2 Raccolta dati

L’attività ha riguardato la raccolta dei dati di base disponibili e/o reperibili presso enti e servizi a scala provinciale, regionale e nazionale. Il Servizio Geologico Provinciale, in data 02/8/2010 (Prot. 120623 del 27/07/2010) ha fornito allo scrivente, su supporto informatico, i dati territoriali disponibili, sulla base di quanto stabilito nella riunione svoltasi in data 11/06/2010, presso la sede del Servizio Geologico Provinciale, con il Dott. Geol. Massimo Fabiani, responsabile dell’ufficio Banche Dati e Analisi territoriali del Servizio 2 Geologico - Dipartimento V - Risorse Agricole ed Ambientali della Provincia di Roma, e con il Dott. Geol. Giovanni Rotella. In particolare sono stati acquisiti: Foto aeree del 2002 a colori alla scala 1:15.000 e del 1984 in bianco e nero alla scala 1:30.000, acquisite dal Servizio III - Sistema informativo geografico - GIS Servizio del Dipartimento VI - Governo del territorio della Provincia di Roma; Carta Tecnica Regionale, serie anni 1990/1991, distribuita dalla Regione in formato raster nel sistema di riferimento UTM ED50 FUSO 33, elementi alla scala 1:10.000 ricadenti nell’area di studio, acquisita dal Servizio III - Sistema informativo geografico - GIS Servizio del Dipartimento VI - Governo del territorio della Provincia di Roma; Curve di livello in formato vettoriale digitalizzate dalla CTR scala 1:10.000 e da tavolette IGM scala 1:25.000, acquisite dal Servizio 2 Geologico del Dipartimento V – Risorse Agricole ed Ambientali della Provincia di Roma; Limiti amministrativi comunali, rete idrografica, limiti sottobacini idrografici, rete viaria provinciale, in formato vettoriale, acquisiti dal Servizio III - Sistema informativo geografico - GIS Servizio del Dipartimento VI - Governo del territorio della Provincia di Roma; Carta dell’uso del suolo del 2003 alla scala 1:25.000 redatta dalla Regione Lazio per il progetto CUS, in formato vettoriale, acquisita dal Servizio III - Sistema informativo geografico - GIS Servizio del Dipartimento VI - Governo del territorio della Provincia di Roma; Coperture in formato vettoriale dei dissesti e delle fasce fluviali dei Piani di Assetto Idrogeologico (P.A.I.) delle Autorità di Bacino del fiume Tevere e del Liri-Garigliano e Volturno, acquisite dal Servizio III - Sistema informativo geografico - GIS Servizio del Dipartimento VI - Governo del territorio della Provincia di Roma. In data 22/09/2010 sono stati acquisiti, presso gli uffici del Servizio 2 Geologico del Dipartimento V – Risorse Agricole ed Ambientali della Provincia di Roma, i dati relativi al catasto delle pratiche dei dissesti interferenti con la rete viaria di competenza della Provincia di Roma, in formato cartaceo, suddiviso per sezione CTR. Ad integrazione dei dati forniti si è provveduto a raccogliere il seguente materiale: Ortofotocarta 2008, dal portale cartografico nazionale del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare; Copertura dei dissesti del Progetto IFFI, acquisita dal portale internet del Servizio Geologico Nazionale; Copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio, acquisita dal portale internet della Regione Lazio;

Pagina 4

Dati pluviometrici delle stazioni pluviometriche ricadenti nell’area di studio, pubblicati nel portale dell’ufficio idrografico della Regione Lazio; Dati sismici pubblicati nel portale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; Carta geologica del foglio 376 “SUBIACO” e del foglio 389 “Anagni” acquisita dall’ISPRA; Carta geomorfologica del foglio 389 “Anagni” acquisita dall’ISPRA.

Pagina 5

3 Validazione, elaborazione ed integrazione dei dati di base

Sulla base dei dati acquisiti si è proceduto alla validazione degli stessi valutando il grado di completezza del patrimonio informativo disponibile per la calibrazione dei dati da impiegare e da integrare anche nella successiva fase di analisi; ove necessario, sono state apportate modifiche ed integrazione al fine di applicare al meglio la metodologia, definita nei progetti precedenti, all’area oggetto di studio. A causa dei differenti enti coinvolti nel processo di creazione e distribuzione dei dati, della proliferazione di applicazioni, tipologie di prodotti e formati e della difficoltà nello scambio, riuso ed integrazione di dati provenienti da fonti diverse, si è proceduto ad un’attività analitica di sistematizzazione ed omogeneizzazione. L’attività è stata eseguita in ambiente GIS, utilizzando il sistema di riferimento UTM ED50 FUSO 33 N, compatibile con il Sistema Informativo Geografico della Provincia di Roma, in modo da uniformare la base dati oggetto di studio con il sistema informativo e le relative banche dati già a disposizione della Provincia di Roma. E’ stato realizzato un progetto GIS con una base geografica in formato vettoriale e raster relativa ai temi di tutte le entità raccolte, per le quali è prevista una rappresentazione geografica; sono state definite le strutture informative e ove ritenuto necessario sono stati implementati i livelli geografici per l’intera area di studio. In particolare, sono state eseguite: informatizzazione e georeferenziazione del materiale cartaceo acquisito presso il Servizio Geologico della Provincia relativamente ai dati di archivio storico dei dissesti interferenti con la viabilità provinciale; integrazione ed aggiornamento di tutti gli elementi e oggetti territoriali d’interesse per l’attività conoscitiva di base, attraverso la digitalizzazione in ambiente GIS e restituzione in formato vettoriale; definizione della struttura informativa delle basi dati geografiche, omogeneizzazione al sistema di riferimento, alla scala e ai formati numerici in uso dei dati acquisiti da varie fonti, uniformando la componente geometrica ed i relativi attributi associati. Sulla base dei temi di base necessari alla corretta applicazione della metodologia della suscettibilità da frana del territorio, definita dall’Università degli Studi di Roma Tre e dall’ENEA, si descrive nel seguito il lavoro svolto per ogni singolo tema.

3.1 Carta geologica e litotecnica

Per la definizione dei caratteri geologici, litostratigrafici e strutturali, non avendo il Servizio Geologico della Provincia di Roma dati di dettaglio relativi all’area di studio, si è proceduto a contattare il Servizio CARG dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca dell’Ambiente (ISPRA) al fine di avere una caratterizzazione delle unità geologiche conformi alle norme CARG del Servizio Geologico Nazionale. L’area di studio ricade nei seguenti fogli del PROGETTO CARG: FOGLIO 375 TIVOLI; FOGLIO 376 SUBIACO; FOGLIO 388 ; FOGLIO 389 ANAGNI

Pagina 6

In data 12/11/2010 l’ISPRA si è resa disponibile a fornire i fogli 376 SUBIACO e 389 ANAGNI, e a concedere la consultazione presso i propri uffici dei fogli 375 TIVOLI e 388 VELLETRI, in corso di realizzazione ed oggetto di una convenzione stipulata con la Regione Lazio e realizzati dall’Università Roma TRE. I fogli 376 SUBIACO e 389 ANAGNI, pubblicati dal Servizio Geologico Nazionale (SGI) sono stati acquisiti in formato cartaceo e digitalizzati in formato vettoriale per la porzione ricadente nell’area di studio. Un incaricato della società ART si è recato presso gli uffici del SERVIZIO CARG dell’ISPRA al fine di consultare i fogli 375 TIVOLI e 388 VELLETRI in fase di validazione; le informazioni raccolte hanno permesso di completare in modo esaustivo la caratterizzazione geologica dell’intera area di studio, in coerenza con le norme e i dati CARG attualmente disponibili. Le attività descritte hanno reso possibile completare l’acquisizione dei temi geologici e realizzare in formato vettoriale la carta geologica per la porzione di territorio oggetto di studio, come previsto dal Capitolato Speciale d’Oneri . Per la carta litotecnica, sulla base delle informazioni acquisite nei precedenti progetti pilota e all’analisi della descrizione delle formazioni geologiche cartografate (note illustrative dei fogli geologici del Progetto CARG), è stato possibile elaborare una “legenda litotecnica” e una tabella di corrispondenza tra unità geologiche e unità litotecniche, sulla base delle caratteristiche meccaniche delle formazioni affioranti nell’area di studio.

3.2 Layer “punti instabili” e layer “frane”

I dati di base acquisiti fanno riferimento agli archivi forniti dal Servizio Geologico Provinciale contenuti nei progetti pilota precedentemente realizzati (Franarisk_RM e Franarisk_RM2), che contengono anche gli archivi del dissesto dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere e del Liri-Garigliano e Volturno. Le coperture relative al dissesto sono state integrate con i dati dell’archivio regionale SIRDIS e con quelle dal Progetto IFFI. In aggiunta, sono stati cartografati e georeferenziati i dati acquisiti dall’archivio storico del catasto dei dissesti interferenti con la rete viaria di competenza della Provincia di Roma. In particolare, presso gli uffici del Servizio Geologico provinciale sono state acquisite le pratiche evase dal Servizio Geologico ricadenti nelle aree di studio. Le informazioni geografiche sono state verificate ed integrate tramite la fotointerpretazione su tutta l’area di studio, sulla base delle ortofoto a colori del 2008 pubblicate sul sito del portale cartografico nazionale del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (http://www.pcn.minambiente.it/GN/) , quelle del 2002 e in b/n del 1984. Ogni fenomeno franoso è stato cartografato alla scala di dettaglio 1:10.000 sulla base della cartografia tecnica regionale (CTR). Per il layer “frane” sono stati inseriti tutti i fenomeni franosi cartografabili, indicando la tipologia secondo la classificazione di Varnes (crolli e ribaltamenti, scorrimenti rotazionali, scorrimenti traslativi o traslazionali, colate lente in detrito o terra, colate rapide e lineari, aree interessate da deformazioni superficiali lente), individuate nel progetto Franarisk_RM2, e lo stato del dissesto, se attivo o quiescente. Per i fenomeni non cartografabili puntuali sono stati considerati punti instabili tali e quali. Per il layer “punti instabili” sono stati cartografati tutti i punti a quota più alta di coronamento per i fenomeni areali con associata l’informazione della quota in metri

Pagina 7

s.l.m., la tipologia di frana individuata, il codice IFFI, il codice regionale associato e l’unità litotecnica del punto di distacco, ove è stato possibile stabilire una corrispondenza o anche una correlazione tra le codifiche dei catasti di dissesto esistenti.

3.3 Modello digitale del terreno (DEM), pendenza ed esposizione dei versanti

Al fine di ricostruire un modello digitale del terreno (DEM) sono state acquisite, dal Servizio Geologico Provinciale, le curve di livello in formato vettoriale digitalizzate dalla CTR serie 1990-1991. La copertura fornita è risultata parziale e con vari errori di quota e lacune. Si è quindi proceduto alla digitalizzazione delle curve di livello mancanti a passo 10 m, correggendo gli errori e le lacune sulle coperture esistenti ed integrando i dati nelle zone pianeggianti con una serie di punti quotati dedotti dalla CTR in formato raster a passo di 5 m. Le curve di livello dedotte dalle tavolette IGM con equidistanza di 25 metri, fornite dal Servizio Geologico Provinciale, non sono state ritenute utili per la costruzione del modello digitale del terreno del dettaglio richiesto per l’applicazione della metodologia della suscettibilità al dissesto.

Fig. 3 Modello digitale del terreno a passo 10 m dell’area di studio

A partire dai dati di base si è proceduto alla costruzione di un DEM a passo 10 m e dal modello digitale sono state ricavati i relativi grid delle pendenze (SLOPE), espresse in 5 classi (8°-15°, 16°-25°, 26°-35°, 36°-45°, 45°-60°) e dell’esposizione (ASPECT) dei versanti suddiviso, per ottanti, secondo le classi N, NE, SE, S, SW, W, NW.

Pagina 8

3.4 Uso del suolo

Per la definizione dell’uso del suolo è stata acquisita la copertura vettoriale della Regione Lazio del 2003 alla scala 1:25.000, con la classificazione dell’uso del suolo al 4° livello del CORINE LAND COVER.

Pagina 9

4 Analisi della suscettibilità

L’analisi della suscettibilità del territorio al dissesto è stata eseguita per un’area di studio pari a circa 172 km2, come indicato in Fig. 4.

Fig. 4 Inquadramento dell’area oggetto dell’analisi di suscettibilità al dissesto

L’area è suddivisibile in due settori aventi caratteristiche geologiche, geomorfologiche e tettoniche uniformi. Il primo settore ricade nella porzione meridionale dell’area d’indagine, caratterizzato dal vulcanismo dei Colli Albani, con un assetto morfologico di bassa collina e presenza di un reticolo idrografico particolarmente sviluppato, la cui attività ha dato luogo ad una serie di vallecole incise a direzione prevalente NO-SE (comuni di Labico, Valmontone e, parzialmente, Cave e Genazzano). Il settore settentrionale (Rocca di Cave, Genazzano, Olevano Romano, San Vito Romano, Bellegra e Roiate) è costituito dai rilievi appennici dei Monti Prenestini, caratterizzati da un territorio in cui affiorano formazioni calcaree che raggiungono i 1200 m di quota. Per l’analisi della suscettibilità è stata applicata la metodologia definita da ENEA e dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Roma Tre ed utilizzata nei precedenti progetti pilota “Franarisk_RM” e “Franarisk_RM2” in aree limitrofe a quella di studio. In particolare, è stato attentamente studiato ed analizzato il progetto “Franarisk_RM2” applicato nell’area contigua a quella di studio.

Pagina 10

4.1 Inquadramento geomorfologico

Dal punto di vista geomorfologico l’area in esame è caratterizzata da due distinti paesaggi. Nel settore settentrionale predomina una configurazione aspra del territorio caratterizzata da rilievi costituiti prevalentemente da sedimenti calcarei e calcareo- marnosi, di età mesozoica e terziaria, con quote che si attestano intorno agli 800 – 1000 m. Questo settore è delimitato a est dall’alta valle del Sacco, a ovest dai monti Prenestini e dalla propagine settentrionale dei monti Tiburtini, a nord dal caratteristico massiccio dei monti Ruffi e parte dei monti Simbruini, che con gli Ernici, lo separano ad est dall’Abruzzo e a sud dal promontorio di Rocca di Cave. I rilievi sono caratterizzati da creste molto ampie che individuano una paleo-superficie sommitale scolpita nei depositi calcarei e calcareo-marnosi delle successioni del Miocene inferiore e medio. Le strutture dei monti Prenestini e dei monti Ruffi hanno un andamento pressoché meridiano, chiaramente dovuto all’assetto strutturale di questi rilievi, determinato a grande scala dalla presenza dell’elemento tettonico di carattere regionale, noto come linea Olevano-Antrodoco, che rappresenta il limite orientale e più esterno delle strutture compressive dell’area sabina. Il bordo meridionale dei monti Prenestini è caratterizzato generalmente da una brusca rottura di pendio rispetto al sottostante plateau ignimbritico, con un rilievo particolarmente aspro nell’area di Rocca di Cave, in corrispondenza dell’affioramento dei depositi di piattaforma carbonatica e di soglia che caratterizzano quest’area (Fig. 5).

Fig. 5 Bordo meridionale dei monti Prenestini; si noti il brusco passaggio tra i rilievi appenninici e la struttura del plateau ignimbritico dei Colli Albani, inciso da profonde valli (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI, Progetto CARG - Regione Lazio).

Nei comuni di Bellegra e Olevano Romano affiorano delle sequenze sedimentarie (depositi di sin-orogenesi) rappresentate da morfostrutture dovute ad erosione differenziale tra depositi areanacei (meno erodibili) e pelitici (più erodibili) caratteristiche della litofacies UAPa (arenacea-pelitica). Solo in questo settore è possibile osservare tale morfostruttura in virtù dell’assetto giaciturale monoclinalico est- immergente di pochi gradi, peculiare in quanto le formazioni appartenenti all’unità UAP

Pagina 11

si presentano solitamente estremamente deformate da pieghe, sia alla mesoscala che alla macroscala. A movimentare in modo incisivo questa porzione di territorio concorre la rete idrografica superficiale dominata dal fiume Sacco che nasce dall'unione di vari fossi presso i comuni di Bellegra, San Vito Romano e . Questi ultimi, in corrispondenza degli affioramenti dei depositi silicoclastici del Miocene superiore, sviluppano un denso reticolo idrografico di tipo sub-dendridico le cui acque drenano verso sud nell’alta valle del fiume Sacco. Le direzioni di drenaggio risentono fortemente dell’assetto delle principali strutture appenniniche delle quali seguono il trend generale; il reticolo idrografico presenta un andamento spiccatamente meridiano, in corrispondenza delle pendici del settore sud orientale dei monti Prenestini. Il settore meridionale dell’area di studio è invece caratterizzato da un sistema collinare diffuso, con pendii dolci e regolari, interrotti da valli trasversali profondamente incise nei depositi vulcanici dei Colli Albani. L’attività vulcanica dei Colli Albani è caratterizzata da tre tipi di domini vulcanici costituiti principalmente da litotipi acidi, da litotipi alcalino-potassici con attività centrale e da litotipi alcalino-potassici con attività areale. I distretti vulcanici acidi sono caratterizzati da ampi ripiani piroclastici (Formazione di Madonna degli Angeli - litofacies piroclastica) affioranti su buona parte dell’area, con quote comprese tra i 250 e i 450 m, caratterizzati dalla presenza di un reticolo idrografico particolarmente sviluppato, la cui attività ha dato luogo ad una serie di valli estremamente incise. Su questa formazione si sviluppano gli abitati di Cave e di Labico. La morfologia è caratterizzata da creste ampie e sub pianeggianti che si raccordano con i fondovalle, con pendii dolci in presenza di materiali poco coerenti (Pozzolane Nere e Rosse affioranti nel settore nord-Orientale) e ripidi in presenza di materiali lapidei (Tufi litoidi - Formazione di Villa Senni - Tufo limonato, diffusi su tutta l’area). L’abitato di Valmontone sorge su un isolato colle tufaceo che si affaccia sui morbidi rilievi dell’alta valle del fiume Sacco (Fig. 6).

Pagina 12

Fig. 6 L’ncisione delle vallecole presenta un andamento meridiano nel settore settentrionale dell’area di studio e un andamento sub parallelo, con direzione NO-SE, nel settore meridionale (fonte: Google Earth).

Il reticolo idrografico ha un andamento sub parallelo, con direzione NO-SE e risulta caratterizzato da pareti vallive fortemente acclivi (spesso subverticali) e gradonate, da alternanza fitta di litologie a diversa competenza (lave e piroclastiti); i fondi vallivi sono spesso appiattiti da fenomeni di sovralluvionamento conseguenti al sollevamento eustatico del livello marino e al ritiro dei ghiacci. Nell’insieme il reticolo di questa porzione di territorio è sostanzialmente controllato dai lineamenti tettonici ad andamento appenninico (NO-SE).

4.2 Inquadramento geologico

L’area in esame è delimitata a est dal fiume Sacco, a ovest dai monti Prenestini e dalla propagine settentrionale dei monti Tiburtini, a nord dal caratteristico massiccio dei monti Ruffi e parte dei monti Simbruini, che con gli Ernici la separano ad est dall’Abruzzo, a sud-ovest dalle propaggini settentrionali dell’edificio vulcanico dei Colli Albani e a sud dai monti Lepini (Fig. 7).

Pagina 13

Fig. 7 Inquadramento geologico regionale (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG, Regione Lazio)

L’area d’indagine è caratterizzata dall’apparato vulcanico dei Colli Albani nella sua porzione meridionale, fino al limite del comune di Rocca di Cave e in parte del comune di Genazzano, nella restante parte settentrionale da rocce di natura prevalentemente calcarea. Il Vulcano dei Colli Albani è un apparato centrale complesso, quiescente, caratterizzato nel corso della sua evoluzione da importanti cambiamenti nello stile e nei tassi eruttivi. L’attività vulcanica nell’area dei Colli Albani inizia a circa 600 ka (De Rita et alii, 1995) e si protrae fino all’Olocene come attività freatica associata al maar di Albano (Funiciello et alii, 2003). I depositi vulcanici costituiscono una complessa successione formata da

Pagina 14

depositi ignimbritici, da caduta e da lahar che derivano da quattro distinti apparati eruttivi, o litosomi (Litosoma Vulcano Laziale, Litosoma Tuscolano-Artemisio, Litosoma Faete e Litosoma Via dei Laghi) e subordinatamente formata da colata di lava. Nell’area affiorano il Litosoma Vulcano Laziale e il Litosoma Tuscolano-Artemisio (Fig. 8).

Fig. 8 Carta dei litosomi del Vulcano dei Colli Albani (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG - Regione Lazio, da M. Porreca, G. Giordano & M. Mattei)

Il Litosoma Vulcano Laziale raccoglie tutte le unità ignimbritiche principali eruttate dal vulcano, intercalate dagli espandimenti lavici e dai prodotti di ricaduta e di rimaneggiamento. I depositi ignimbritici, pur simili tra loro per geometria, possono essere suddivisi in due distinte successioni, per caratteristiche di facies e genetiche. Le prime ignimbriti hanno infatti uno spiccato carattere freatomagmatico, rappresentato da granulometrie cineritiche fini, presenza di lapilli e sviluppo significativo di facies stratificate intercalate alle facies massive, a testimonianza di flussi relativamente diluiti. Questa prima successione è rappresentata dall’unità di Tor de Cenci e dall’unità di Casale del Cavaliere (Fig. 9).

Pagina 15

Fig. 9 Affioramento di depositi cineritici a stratificazione incrociata appartenenti all’unità del Casale del Cavaliere. Località Ponte Antico, Cave (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG - Regione Lazio)

La seconda successione è invece rappresentata dalle tre unità ignimbritiche superiori Pozzolane Rosse, Pozzolane Nere, formazione di Villa Senni, nell’insieme chiamate Complesso dei Tufi inferiori (da Fornaseri et alii, 1963), che testimoniano processi di frammentazione magmatica senza una significativa interazione acqua-magma. La componente piroclastica è costituita da una ignimbrite massiva di colore rossiccio (da cui il nome di "Tufo lionato", con cui è più nota) a composizione leucititica: si tratta di scorie e pomici in matrice cineritica, con cristalli di leucite analcimizzata, pirosseno, biotite e rari inclusi di italite. Responsabili della litificazione sono i processi di zeolitizzazione e devetrificazione. Un altro deposito piroclastico è costituito dai Tufi stratificati varicolori di caratterizzati da un’alternanza di depositi cineritici e lapillosi da ricaduta, in genere ben stratificati (Fig. 10). Si tratta di una successione in cui si alternano livelli e bancate di scorie ben classate e livelli cineritici massivi in cui le scorie sono immerse in una matrice fine; affiorano estesamente nelle valli incise ai piedi dei versanti in Val Collerano, a SO di Cave, e nei Fossi Cauzza e Ciaffo, presso Genazzano.

Pagina 16

Fig. 10 Affioramento del contatto tra Pozzolane Rosse (in alto) e i Tufi stratificati varicolori di Sacrofano (in basso). Sono evidenti depositi costituiti prevalentemente da scorie da ricaduta. Località Colle Catasta, Cave (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG - Regione Lazio)

La superficie di base del Litosoma Vulcano Laziale è raramente esposta, essa di fatto coincide con la base dei primi prodotti vulcanici sul substrato sedimentario. La superficie di tetto del Litosoma corrisponde invece alla superficie topografica a debole pendenza che caratterizza, in tutta l’area, il plateau ignimbritico. Il Litosoma Tuscolano-Artemisio è costituito da un bastione continuo alto fino a qualche centinaio di metri, formato da una serie di coni di scorie, scorie saldate e lave coalescenti, emessi da fratture concentriche alla caldera che formano due sezioni ben distinte per direzione: la sezione del Tuscolano segue una direttrice NO-SE, che va dal Monte Tuscolo fino a Monte Castellaccio, dove il sistema cambia direzione e piega bruscamente a SO formando la sezione dell’Artemisio. Centri monogenici peri-calderici sono anche presenti nei settori settentrionale ed occidentale del vulcano (definiti “Attività esterna al recinto Tuscolano-Artemisio” da FORNASERI et alii, 1963) e danno luogo, insieme ai prodotti da caduta di un’attività subpliniana del contemporaneo apparato centrale delle Faete, ai depositi della Formazione Madonna degli Angeli (FKB), rappresentata diffusamente dalla litofacies piroclastica (FKBb) e subordinatamente dalla litofacies lavica (FKBa) che affiora con un singolo lembo a SO dell’area. Questo Litosoma poggia al di sopra di una superficie articolata che degrada verso l’esterno del vulcano dove è caratterizzata da un paleosuolo sviluppato al tetto della formazione di Villa Senni; rappresenta l’attività finale del vulcano accompagnata allo svuotamento della camera magmatica che può aver portato a deflazione e alla risalita di magmi essenzialmente degassati o poveri di gas, i quali hanno dato origine alle eruzioni effusive, o blandamente esplosive, da cui origina la struttura del Tuscolano- Artemisio.

Pagina 17

Sulla successione costituita dai depositi vulcanici del Pleistocene medio – superiore, si trovano le successive sequenze sedimentarie fluvio-lacustri affioranti in corrispondenza della valli incise. La porzione settentrionale dell’area di studio è caratterizzata da una successione sedimentaria meso-cenozoica ed è costituita prevalentemente da calcareniti bioclastiche, generalmente medio-fini ben stratificate, calcareniti con frammenti di echinodermi, briozoi e foraminiferi bentonici sempre in strati (Fig. 11 e Fig. 12); verso l’alto passa ad alternanze di calcareniti bioclastiche e marne calcaree.

Fig. 11 Esempio di stratificazione incrociata nelle calcareniti a briozoi. Cappellina S. Rita, Monti Prenestini (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI, Progetto CARG - Regione Lazio)

Pagina 18

Fig. 12 Stratificazione incrociata nelle calcareniti arancioni. Cimitero di Rocca di Cave (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG - Regione Lazio)

Presso i comuni di Rocca di Cave, Bellegra, Olevano Romano e Roiate affiorano lembi del margine occidentale della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese (Carbone et alii, 1971) (Fig. 13). L’insieme dei depositi sopra descritti si presenta intensamente deformato dai complessi processi di accrescimento della catena appenninica. La struttura dei monti Prenestini descrive, a grande scala, un’anticlinale a nucleo cretacico che sul fianco orientale passa, attraverso una complessa struttura tettonica, all’ampio sinclinorio costituito dai depositi torbiditici del Tortoniano superiore. L’età della deformazione compressiva in questo settore della catena appenninica può essere definita, sulla base dell’età dei depositi silicoclastici e sulla base di considerazioni di carattere regionale, come compresa tra il Tortoniano e il Pliocene inferiore (Cipollari & Cosentino, 1992).

Pagina 19

Fig. 13 Particolare del passaggio CBZ2-CBZ3. Il passaggio stratigrafico alla litofacies CBZ3 è segnato dall’aumento del contenuto di CaCO3 e dalla presenza di stratificazione incrociata a basso angolo, la quale caratterizza indistintamente tutta la porzione superiore della Rupe di Guadagnolo (fonte: note illustrative FOGLIO 375 TIVOLI Progetto CARG - Regione Lazio)

I depositi alluvionali, generati dal rilascio di materiale clastico durante le fasi di esondazione dei corsi d'acqua, colmano la maggior parte dei fondovalle, dove si trovano intercalati ai prodotti eluviali e colluviali. Si tratta di sedimenti limoso-argillosi, con intercalazioni più grossolane e di materiale torboso; la natura dei clasti varia ed è funzione dei terreni attraversati ed erosi dal corso d'acqua che li deposita.

4.3 Carta geologica

La carta geologica è stata redatta a partire dalla consultazione dei dati originali dei rilevamenti per il Progetto CARG della Regione Lazio, effettuati dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre e contiene: le unità formazionali, secondo la nomenclatura CARG stabilita per i fogli 1:50.000, 375 (Tivoli) e 388 (Velletri), SGI 376 (Subiaco) e SGI 389 (Anagni); i dati giaciturali riguardanti la stratificazione; i dati tettonici, faglie e fratture. Le unità formazionali ricadenti nell'area di studio sono descritte di seguito, dalla più recente alla più antica.

Pagina 20

DEPOSITI RECENTI E TERRENI DI COPERTURA h - deposito antropico. Depositi eterogenei dovuti all'accumulo e allo spostamento dei materiali per rilevati stradali, ferroviari, terrapieni, colmate. Spessore fino a 30 m. Olocene.

UNITA’ POST OROGENICHE

SFTba - depositi alluvionali. Alternanze di sabbie, silt, argille e livelli ricchi di materia organica. Spessore fino a 60 m. Olocene.

SFTa - deposito di versante. Coperture di limi, sabbie e ghiaie, con rari frammenti litoidi grossolani. I depositi sono prevalentemente di natura vulcanoclastica e possono raggiungere i 4 m di spessore. Pleistocene superiore p. p. - Olocene.

Z - accumuli di frana. Depositi eterogenei, sciolti o a bassa coesione. Olocene.

SFTb2 - coltre eluviale e colluviale. Coperture di limi e sabbie, con rari frammenti grossolani di natura calcarea, che riempiono forme carsiche prodotte da processi di erosione; terreni residuali e terre rosse. Pleistocene superiore p. p. - Olocene.

SFTf1 – travertino. Depositi travertinosi di origine idrotermale. Affiorano a valle dell’abitato di Genazzano lungo la valle del Rio Fossato, poco prima di confluire nel Fiume Sacco. Pleistocene superiore p. p. – Olocene.

SFTe2 - deposito lacustre. Limi argillosi alternati a livelli siltoso-sabbiosi ricchi di elementi vulcanici. Nell’area di Bagni di Tivoli, limi e argille intercalati a livelli torbosi e a sabbie travertinose. Spessore: variabile, mediamente >10 m; nel cratere di Castiglione, in sondaggio 90 m. Pleistocene medio p. p. – Olocene.

VULCANICO DEI COLLI ALBANI

LITOSOMA TUSCOLANO-ARTEMISIO. Pleistocene medio – superiore. FKBi1a - litofacies lavica. Lave grigio-scure in colate, da porfiriche a microcristalline, da compatte a vacuolari, con contenuto variabile di fenocristalli di leucite spesso in individui centimetrici, clinopirosseno e ,occasionalmente, olivina. Le colate principali sono quelle di , Tuscolo, Monte Mellone. Composizione da tefritica a K-foiditica. Spessori delle singole colate 20-30 m.

FKBa – litofacies lavica. Lave grigio-scure in colate, da microcristalline a porfiriche, da compatte a vacuolari, con contenuto variabile di fenocristalli di leucite spesso in individui centimetrici, clinopirosseno e ,occasionalmente, olivina. Composizione da tefritica a K-foiditica.

FKBb – litofacies piroclastica. Depositi di scorie e ceneri da ricaduta e rimaneggiati, associati sia a coni di scorie che ad apparati eccentrici.

Pagina 21

LITOSOMA VULCANO LAZIALE VSN2 – Pozzolanelle. Deposito piroclastico massivo, di colore da viola a nero, a matrice cineritico grossolana-lapillosa, povero in fini e ricco di cristalli di leucite, biotite e clinopirosseno, contenente grosse scorie nere, generalmente incoerente. Lapilli e blocchi di litici lavici e olocristallini possono raggiungere il 30% del deposito. Spessori massimi 30 m. Spesso sono presenti gaspipes. Composizione da tefrifonolitica a fonotefritica; "Tufo di Villa Senni" e "Pozzolanelle"Auctt.

VSN1 – Tufo Lionato. Deposito piroclastico massivo, litoide, a matrice cineritico- lapillosa con abbondanti pomici gialle, scorie grigie, litici lavici e olocristallini a gradazione inversa, di colore da giallo a rosso a marrone in gradazione verticale, spesso fino a 25 m. Localmente, nella parte alta del deposito, sono presenti fiamme. Gas-pipes, laminazioni e impronte di tronchi sono spesso presenti nelle zone distali e nelle paleovalli; composizione da K-foiditica a tefrifonolitica;"Tufo Lionato litoide" Auctt. Spessore: massimo 40 m. Pleistocene Medio p.p.

SLVb – litofacies piroclastica. Depositi tabulari di lapilli scoriacei ben classati e livelli cineritici intercalati da paleosuoli. Le scorie sono da afiriche di color marrone scuro a porfiriche con cristalli di leucite e pirosseno, spesso alterate in colori ocracei. Spessore: massimo 6 m. Pleistocene Medio p.p.

PNR – Pozzolane nere - Deposito piroclastico di colore nero, massivo e caotico, semicoerente, a matrice cineritica grossolana, nella quale sono disperse scorie, litici lavici, piroclastici, olocristallini e rari sedimentari termometamorfosati di dimensioni fino a 15 cm e cristalli di leucite e clinopirosseno. Al tetto è a luoghi litoide per zeolitizzazione. Alla base può essere presente un deposito di scorie a stratificazione pianoparallela a granulometria lapillosa, di spessore decimetrico. L’unità è riferibile ad una eruzione ignimbritica di grande volume. Spessore fino a 20 m. Età radiometrica 407±2 ka. Pleistocene Medio p.p.

RED - Pozzolane rosse - Deposito piroclastico massivo e caotico, da viola a grigio scuro, semicoerente, a matrice cineritica grossolana, e abbondante scheletro composto da scorie rosse, litici lavici, sedimentari termometamorfosati e olocristallini di dimensioni fino a 20 cm e cristalli di leucite, clinopirosseno e biotite. Chimismo tefritico. L'unità è riferibile ad un'eruzione ignimbritica di grande volume dell'apparato Tuscolano-Artemisio. Spessore: fino a 30 m in affioramento, conosciuto fino a 80 m in sondaggio.

REDa - Litofacies sabbioso-conglomeratica. Deposito sabbioso poco coerente, con scorie e litici lavici centimetrici, da massivo a poco organizzato, debolmente classato. Il deposito raggiunge spessori intorno ai 10-12 m, ai piedi dei versanti carbonatici e lungo i fossi e le strette valli dei Monti Prenestini, dove si ritrova spesso rimaneggiato sotto forma di lahar con frequenti intercalazioni di materiale ciottoloso di natura calcarea. Spessori: variabili tra 2 e 6 m. Pleistocene medio p.p.

Pagina 22

SKF - Tufi stratificati varicolori di Sacrofano. Depositi piroclastici lapillosi e cineritici in strati contenenti scorie e litici lavici di dimensioni centimetriche da ricaduta, intercalati a livelli vulcanoclastici rimaneggiati, orizzonti pedogenizzati e depositi limno- palustri. Nella parte intermedia della successione i livelli primari sono costituiti da pomici di ricaduta bianco-giallastre a sanidino e clinopirosseno. Spessori: fino a 14 m. Pleistocene medio p.p.

KKA – Unità di Casale del Cavaliere. Alternanze di livelli a granulometria da cineritico-fine a cineritico-grossolana, più raramente lapillosi, con scorie e litici lavici; fra i cristalli è prevalente la leucite, con pirosseno e biotite subordinati. Nell'unità sono presenti orizzonti a lapilli accrezionari. Sono presenti stratificazioni incrociate ed impronte di tronchi d’albero. Alla base del deposito è presente un livello scoriaceo lapilloso da ricaduta spesso fino a 20 cm. Spessore: massimo 5 m. Pleistocene medio p.p.

TDC – Unità di Tor de’ Cenci. Deposito piroclastico, grigio-giallastro, cineritico, da massivo e caotico a stratificato, con lapilli accrezionari di cenere sia nella matrice che in livelli stratificati. Lo scheletro è composto da pomici e litici lavici centimetrici, cristalli di leucite analcimizzata, clinopirosseno e biotite. Alla base è presente un deposito di scorie da ricaduta. Chimismo Kfoiditico. Il deposito è riferibile ad un'eruzione ignimbritica freatomagmatica di grande volume dell'apparato Vulcano Laziale. "Tufi Antichi" e "Tufi Pisolitici" p.p. Auctt. Spessore: massimo 10-15 m. Pleistocene medio p.p.

UTG - Unità di Poli. Deposito piroclastico caotico, litoide, con debole organizzazione a bancate, a matrice cineritica fine e abbondante scheletro costituito da individui poligenici, tra cui prevalgono scorie gialle, abbondanti litici calcarei, anche centimetrici, litici lavici e rari olocristallini. Sono presenti lapilli accrezionari centimetrici nella parte alta del deposito. Tra i cristalli è abbondante la leucite, mentre pirosseni e biotiti sono presenti in misura inferiore. Spessore: in affioramento supera i 4 m. Pleistocene medio p.p.

VCL – Formazione di Le Vallicelle. Alternanze di pomici bianche e livelli a granulometria da cineritico-fine a grossolana, fino a lapillosa, con tracce evidenti di rimaneggiamento. Le pomici sono porfiriche con cristalli di pirosseno. Sono organizzate in bancate decimetriche con intercalazioni di cineriti bianche, debolmente laminate, in cui sono presenti pomici bianche e, in misura inferiore, litici lavici, scorie e cristalli di pirosseno. Spessore: da 2 a 8 m. Pleistocene medio p.p.

DEPOSITI SIN-OROGENESI UAPa – Litofacies pelitico-arenacea. Peliti con intercalati sottili livelli di arenarie e di arenarie siltose. Spessore: variabile da 0 a circa 40 m.

UAPb – Litofacies arenaceo-pelitica. Arenarie a composizione litoarenitica e litoarenitica-feldspatica, in strati da spessi a molto spessi, alternati a livelli pelitici subordinati. Spessore: variabile sino a un massimo di 350 m.

Pagina 23

UAPc – Litofacies arenaceo-pelitica. Arenarie a composizione litoarenitica e litoarenitica-feldspatica, in strati da spessi a molto spessi o massicci, con frequenti fenomeni di amalgamazione. Spessore: variabile sino a un massimo di 250-350 m. Tortoniano p.p.

UAM3 - Membro delle Argille a Orbulina. Marne e marne calcaree, con bioturbazioni, di colore grigio e giallastro nella porzione basale; presenza, a luoghi, di glauconite. Marne argillose di colore grigio-bruno, ricche in foraminiferi planctonici (Orbulina spp.), nella porzione superiore. Spessore: circa 20 m. Tortoniano p.p.

UAM1 -. Membro delle Marne Calcaree. Calcareniti e subordinate calciruditi fini, lito- bioclastiche, con abbondante glauconite e noduli fosfatici, color marrone e verdastro. Ricche di foraminiferi planctonici. Spessore: variabile da <5 cm a >5 m. Tortoniano p.p.

DEPOSITI PRE-OROGENESI SPT1b - Membro di Guadagnolo, litofacies marnosa. Alternanze di marne, marne calcaree, marne argilloso-siltose, di colore grigio, giallastro e bruno, e calcareniti bioclastiche avana e nocciola. Spessori: molto variabili da 200 a 300 m. Burdigaliano p.p. – Langhiano.

CBZ3 - Membro delle calcareniti a briozoi. Calcareniti e calciruditi di colore grigio- biancastro, avana e marrone, con abbondanti frammenti di briozoi e litotamni. A luoghi, verso l’alto intercalazioni di calcareniti fini avana chiaro con foraminiferi planctonici. Lo spessore degli strati varia da 10 cm a 80-90 cm; presenza di strutture da corrente e moto ondoso con sviluppo di stratificazione e laminazione incrociata. Spessore: 100- 130 m. Serravagliano p.p. – Tortoniano p.p.

CBZ2 - Calcareniti a punti rossi. Calcareniti e subordinate calciruditi prevalentemente bioclastiche in strati piano-paralleli, con spessori da 10 cm a 30 cm, con punti di ossidazione di colore rosso. Rare intercalazioni marnose molto sottili (spessori da millimetrici a centimetrici). Caratteristica la presenza di livelli con frequenti noduli di selce di colore bruno e grigio. Localmente si assiste allo sviluppo di stratificazione incrociata a basso angolo. Spessore:15-30 m. Langhiano p.p. – Serravagliano p.p

CBZ1 – Calcareniti arancioni. Calcareniti bioclastiche, generalmente medio-fini, di colore rosato-arancione, localmente verdognole, ben stratificate in strati di spessore decimetrico, talora raccolti in bancate di 90-100 cm. Presenza di strutture da corrente evidenziate da stratificazione incrociata a basso angolo. Questo membro è presente solo in un piccolissimo affioramento all'estremità orientale dell'area, presso “la Montagnozza”.

SCZ1 - Membro Inferiore. Calcilutiti di colore bianco e avana chiaro, ben stratificate in strati da sottili a medi, con foraminiferi planctonici; frequenti livelli con selce in liste e

Pagina 24

noduli di colore grigio, avana e nocciola. Intercalazioni frequenti di calcareniti e calciruditi lito-bioclastiche e bio-litoclastiche. Spessore: circa 50 m (la base non affiora). Turoniano p.p – Campaniano p.p.

SPT1c - Membro di Guadagnolo, litofacies calcarenitica superiore. Calcareniti bioclastiche con frammenti di echinodermi, briozoi e foraminiferi bentonici in strati decimetrici raccolti in bancate metriche. Spessore: da 0 a 50 m. Miocene inferiore (Langhiano).

SGC - Scaglia condensata. Calcilutiti a foraminiferi planctonici di colore bianco, avana e rosato, e subordinate calciruditi litoclastiche e lito-bioclastiche. Localmente sviluppo di megabrecce. A luoghi costituiscono il riempimento di fratture e/o cavità preesistenti di origine carsica. Spessori: molto variabili, ma sempre <10 m. Campaniano p.p – Bartoniano p.p.

SPH1 – Calcari a calcisphaerulidi Membro di Rocca di Cave. Calcilutiti, calcisiltiti e calcareniti fini bioclastiche in bancate da decimetriche a metriche. Spessore: variabile, fino a circa 50 m. Santoniano p.p – Campaniano p.p.

SUCCESSIONI DI PIATTAFORMA CARBONATICA

BIC - Calcari bioclastici ad ippuriti e coralli. Calcareniti-calciruditi bioclastiche, bianche, cristalline, con abbondanti frammenti di rudiste, coralli, echinodermi e foraminiferi bentonici. Presenza di intervalli caratterizzati da stratificazione e laminazione incrociate. Nella parte medio-alta si individuano filoni sedimentari riempiti da materiale vadoso policromo. Spessore: variabile fino a 200 m. Turoniano p.p. – Campaniano p.p.

RDO - Calcari a Rudiste e Orbitoline. Calcareniti con ricca fauna ad orbitoline e frammenti di bivalvi e coralli. Calciruditi bioclastiche bianche a frammenti di caprine e caprotine e radiolitidi. Presenza di livelli con stratificazione e laminazione incrociate. Tracce frequenti di eventi di emersione con sviluppo di paleocarsismo e riempimenti policromi. Gli strati, con spessore variabile da 30 a 90 cm, sono spesso irregolari. A luoghi si assiste allo sviluppo di intercalazioni lentiformi costituite da biostromi a rudiste e gasteropodi. L’unità affiora limitatamente a tre punti presso Monte Pompeo, sull’estremo nord dell'area di studio. Spessore: circa 200 m. Cretacico inferiore p.p.- Cretacico superiore p.p (Albiano p.p.- Cenomaniano p.p.).

CIR – Calcari ciclotemici a requienie. Calcari fangosostenuti bianchi, avana e nocciola, in strati da medi a spessi. Nella parte bassa intercalazioni di orizzonti ad orbitoline e frammenti di rudiste; la porzione superiore è caratterizzata da biomicriti bianche in strati spessi con abbondanti requienidi. La base non è affiorante, mentre la sommità è marcata dallo sviluppo di un livello molto irregolare di “brecciole” a clasti neri e materiale residuale policromo. Spessore: 100 m. La base non è affiorante. Aptiano p.p. – Albiano p.p.

Pagina 25

4.4 Carta litotecnica

Le unità della carta geologica, definite con criteri bio-litostratigrafici, coerentemente alle specifiche del Progetto CARG, sono state accorpate in unità litotecniche omogenee, in base alle loro caratteristiche di comportamento meccanico. Le unità così definite, con la caratterizzazione litotecnica e la loro corrispondenza con le unità formazionali della Carta geologica, sono descritte nelle Tab. 1, Tab. 2, Tab. 3, per i tre grandi tipi di unità che affiorano nell'area di studio: Depositi recenti e terreni di copertura, Unità vulcaniche, Unità sedimentarie.

Tab. 1 Depositi recenti e terreni di copertura

Unità litotecnica Descrizione Comportamento Unità geologica (sigle CARG)

h deposito eterogeneo sciolto granulare H - deposito antropico deposito antropico Z terre sciolte terre sciolte Z - accumuli di frana Frane a alternanze di sabbie silt argille e granulare duttile SFTba - depositi alluvionali livelli ricchi di materia organica alluvionali c deposito limoso-argilloso-sabbioso granulare duttile SFTb2 - coltre eluviale e colluviale colluvioni-eluvioni d deposito eterogeneo sciolto granulare SFTa - deposito di versante detriti t da terrosi a litoide rigido SFTf1 - travertini travertini lc deposito lacustre granulare duttile SFTe2 - deposito lacustre deposito lacustre

Tab. 2 Unità vulcaniche

Unità litotecnica Descrizione Comportamento Unità geologica (sigle CARG)

Pcl da litoide a granulare, mai coesivo rigido-granulare KKA - Unità di Casale del Cavaliere Piroclastico-ceneri e lapilli Pcs da granulare a coesivo secondo il rigido FKBb - Formazione di Madonna degli Angeli - litofacies piroclastica Piroclastico-ceneri e scorie grado di alterazione degli strati SLVb - Formazione Fontana Centogocce, litofacies piroclastica SKF - Tufi stratificati varicolori di Sacrofano VCL - Formazione di Le Vallicelle

Pp granulare, granulometria mal granulare VSN2 – Unità di Villa Senni, Pozzolanelle classata, grossolana in matrice piroclastico, pozzolanelle cineritica Poz granulare, granulometria granulare PNR – Pozzolane nere mal classata, grossolana RED – Pozzolane rosse piroclastico, Pozzolane in matrice cineritica REDa - Pozzolane rosse - litofacies sabbioso conglomeratica

Pt litoide per zeolitizzazione dens. rigido VSN1 – Unità di Villa Senni, Tufo Lionato Piroclastico - tufo litoide 1,6-1,8 TDC – Unità di Tor de' Cenci UTG – Unità di Poli l litoide-fratturato dens. 2,9 rigido FKBa - Formazione di Madonna degli Angeli - litofacies lavica lave FKBi1a - Formazione di Madonna degli Angeli - litofacies lavica

Pagina 26

Tab. 3 Unità sedimentarie

Unità litotecnica Descrizione Comportamento Unità geologica (sigle CARG)

Mc litoide alternanza rigido e duttile UAPa - Unità Arenaceo Pelitica - Litofacies Marne e calcari pelitico-arenacea UAPb - Unità Arenaceo Pelitica - Litofacies arenaceo-pelitica UAPc - Unità Arenaceo Pelitica - Litofacies arenacea SPT1b - Unità Spongolitica - Membro di Guadagnolo - litofacies marnosa UAM1 - Unità Argillosa Marnosa - Membro delle Marne Calcaree UAM3 - Unità Argillosa Marnosa - Membro delle Argille a Orbulina ca litoide, fratturato rigido BIC - Calcari bioclastici ad ippuriti e coralli Calcareniti RDO - Calcari a rudiste e orbitoline CIR - Calcari ciclotemici a requienie CBZ3 - Membro delle calcareniti a briozoi CBZ2 - Calcareniti a punti rossi CBZ1 - Calcareniti arancioni SCZ1 - Unità della Scaglia Detritica - Membro inferiore SPT1c - Unità Spongolitica - Membro di Guadagnolo - litofacies calcarenitica superiore SGC - Unità Spongolitica - scaglia condensata SPH1 - Unità Spongolitica - Calcari a calcisphaerulidi Membro di Rocca di Cave

4.5 Censimento fenomeni franosi

Come già indicato al § 3.2, il censimento dei fenomeni franosi è stato effettuato a partire dall’analisi dei dati disponibili presso gli archivi del Servizio Geologico Provinciale contenuti nei progetti pilota Franarisk_RM e Franarisk_RM2, comprendenti anche gli archivi del dissesto dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere e del Liri- Garigliano e Volturno, integrati con i dati dell’archivio regionale SIRDIS e con quelli dal Progetto IFFI. Si è quindi proceduto ad aggiornare i dati acquisiti attraverso l’analisi fotointerpretativa dell’ortofotocarta del 2008. L’aggiornamento, che ha riguardato sia la revisione della perimetrazione degli areali alla scala 1:10.000 che l’individuazione di nuovi dissesti, ha portato alla modificazione di 177 areali e all’individuazione di 29 nuovi dissesti. Nel seguito si riporta una sintesi dei risultati dell’indagine.

4.5.1 Tipologie fenomeni gravitativi

La classificazione delle frane riprende quanto già definito per il precedente progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, con alcune varianti legate in particolare alle diverse caratteristiche geologiche e geomorfologiche dell'area del vulcanico, che però non modificano la procedura d'analisi successiva. Di seguito si riporta la descrizione delle tipologie dei fenomeni gravitativi che sono stati oggetto di studio.

Pagina 27

- Crolli e ribaltamenti – I Crolli sono fenomeni caratterizzati da caduta libera di diedri litoidi e, talora, dei terreni eventualmente sovrastanti dipendenti dalla presenza in rocce a comportamento rigido di sistemi di fatture con andamento prevalentemente sub- verticale. La dimensione degli elementi dipende dalla spaziatura, ossia dalla distanza esistente tra le fratture dei vari sistemi. I Ribaltamenti differiscono dai precedenti per la presenza di discontinuità anche sub-orizzontali che determinano appunto questo tipo di movimento caratterizzato da una componente laterale. In questa tipologia sono compresi anche gli Scorrimenti planari ad alto angolo, dei quali però non sono stati rilevati casi certi. - Scorrimenti rotazionali – Sono fenomeni gravitativi caratterizzati da movimenti di rotazione che avvengono intorno ad un punto, esterno al versante e situato in posizione superiore al baricentro della massa mobilizzata, secondo una superficie di taglio di forma arcuata e concava verso l’alto. Sono tipici dei terreni poco coerenti, ma si possono verificare molto frequentemente anche in sequenze fliscioidi intensamente fratturate. - Scorrimenti traslativi o traslazionali – Sono caratterizzati da movimenti di scivolamento lungo superfici di taglio planari, in genere costituite da superfici di debolezza preesistenti e spesso coincidenti con discontinuità strutturali, piani o giunti di stratificazione tra litotipi diversi, disposte a franapoggio, ossia nello stesso senso del versante, con valori d’inclinazione uguali o minori dello stesso. - Colate lente in detrito o terra – Consistono in movimenti lenti per deformazione plastica e possono assumere forme molto diverse e coinvolgere spessori di terreni di copertura altrettanto variabili. - Colate rapide areali e lineari – Sono fenomeni dalle forme piuttosto particolari perché generalmente essi mostrano dimensioni maggiori nella loro lunghezza rispetto alla larghezza. Esse si formano in materiali scarsamente coesivi con elevata percentuale d’acqua e s’impostano lungo impluvi preesistenti o di nuova formazione, spesso coincidenti con linee di debolezza sulle quali si sono impostati fenomeni d’erosione concentrati. L’origine, la composizione e la granulometria dei materali di copertura determinano le caratteristiche morfologiche di questo tipo di fenomeni gravitativi. Oltre ai predetti fenomeni, che rientrano nella classificazione adottata nello studio pilota “Franarisk_RM”, sono state considerate altre due tipologie, presenti nel secondo progetto “Franarisk_RM2”, ritenute necessarie per la caratterizzazione del territorio attualmente studiato. - Aree interessate da deformazioni superficiali lente (Soliflusso) – La nuova distinzione è stata introdotta con lo scopo di rappresentare le numerose aree che sono state individuate in uno stato di parziale e talvolta temporanea instabilità, ma che non possono essere classificate nelle tipologie di frane precedentemente descritte, pur essendo fenomeni chiaramente dipendenti dall’azione della gravità. Questi casi, distinti in forme areali o puntuali secondo le loro dimensioni, comprendono soprattutto fenomeni di creeping e di soliflusso che interessano coltri detritiche o di suolo anche estese, ma molto superficiali. In taluni casi essi possono indicare una modesta e parziale riattivazione di accumuli relativi a fenomeni non completamente stabilizzatisi, così come possono essere più spesso localizzati in corrispondenza di vecchie o antiche frane delle quali restano solo le vestigia dell’orlo di distacco o la morfologia dell’alveo o del canale di transito. La loro presenza rappresenta comunque delle manifestazioni d’instabilità che in particolari condizioni possono trasformarsi in fenomeni d’importanza maggiore.

Pagina 28

- Crolli in aree urbanizzate per cause antropiche – Questo tipo di fenomeni è noto per le problematiche che riguardano esclusivamente alcuni centri storici nel cui sottosuolo esistono cunicoli, gallerie, cantine ed altre cavità realizzate dall’uomo in tempi passati nel substrato roccioso, facilmente scavabile perché costituito da piroclastici o scorie. Si tratta quindi di collassi delle volte di tali cavità che talvolta interessano edifici ed altre strutture urbane sovrastanti. Nella successiva elaborazione dei dati per la determinazione della suscettibilità al dissesto, solo la tipologia definita come Soliflusso è stata presa in considerazione, dato il carattere particolare ed estremamente localizzato dei crolli in aree urbane. Di conseguenza le tipologie di fenomeni di dissesto analizzate per gli scopi di questo studio sono divenute sei.

4.5.2 Ricorrenze tipologiche

I risultati dell’analisi fotointerpretativa dell’ortofotocarta del 2008, integrati dalle informazioni di carattere bibliografico reperite, sono così riassumibili:  403 frane rappresentate arealmente, di cui le più frequenti sono costituite da frane a scorrimento rotazionale (186), seguite dalle colate lente (76) e dalle aree interessate da deformazioni superficiali lente (51); le tipologie meno rappresentate sono quelle delle colate rapide (45), prevalentemente quiescenti perché stabilizzatesi naturalmente, e delle frane di crollo (45), anch’esse in buona parte quiescenti;  72 frane puntuali, ossia non associate ad un poligono, di cui quelle costituite da limitati fenomeni di deformazione superficiale, non cartografabili, assommano a 8 casi; le tipologie di frane più frequenti sono quelle di crollo (31), quasi tutte ritenute attualmente quiescenti perché stabilizzatesi naturalmente, le colate rapide (10) e di scorrimento traslativo o traslazionale (10); scarsamente rappresentate sono le frane di scorrimento rotazionale (7) e di colata lenta (6), anche queste ultime tipologie classificate come quiescenti. Dall’insieme dei dati relativi ai fenomeni gravitativi emerge che la maggior parte di loro è avvenuta in un passato più o meno recente e che si sono esauriti per motivi naturali. Le forme oggi visibili consistono soprattutto in orli di distacco e nicchie, volumi di materiale ribassato e canali di transito, mentre raramente sono ancora riconoscibili porzioni consistenti dei loro accumuli. Il numero delle frane attive, ad esclusione delle aree interessate da deformazioni superficiali lente, è molto esiguo rispetto ai fenomeni rilevati e, in genere, esso si riferisce a frane del tipo “scoscendimento rotazionale” o di “crollo” e in forma ancor più esigua, alle restanti tipologie di frane. Le numerose piccole frane di crollo, delle quali sono stati individuati i punti di distacco, sono state classificate in parte come fenomeni attivi in parte come fenomeni quiescenti, coerentemente con la definizione della loro tipologia. Questi eventi costituiscono tuttavia un importante indicatore di potenziale instabilità delle pareti sulle quali essi sono avvenuti e di questo fatto va tenuto specialmente conto se i crolli si sono verificati per fattori esclusivamente naturali. Le frane del tipo “colata lenta” sono state anch’esse classificate per la maggior parte come quiescenti. Tuttavia, è probabile che in occasione di particolari eventi meteorici possa verificarsi una riattivazione in quelle che presentano ancora un modesto deposito residuo. Le aree interessate da deformazioni superficiali lente (soliflusso) sono numerose e attive. Molte di loro, tuttavia, non rappresentano fenomeni particolarmente importanti; in alcune zone si è rilevato che sono impostate su aree precedentemente interessate

Pagina 29

da altri tipi di fenomeni gravitativi e che, per tale motivo. potrebbero rappresentare i sintomi precursori di probabili futuri movimenti più profondi. Per quanto riguarda il rapporto tra tipologia di frana, unità litotecnica e pendenza del versante, che definisce l'insieme dei fattori discriminanti, nella Tab. 4 sono indicati gli intervalli di pendenza e le corrispondenti classi litotecniche, per ogni tipologia di frana, escludendo quelle ricadenti in condizioni di pendenza inferiori ad 8°, condizione riconosciuta come necessaria all’innesco dei fenomeni franosi.

Tab. 4 Numero di frane rilevate per tipologia, classe litotecnica e intervallo di pendenza

Pendenza Pendenza TIPOLOGIA NUM. CLASSE LITOTECNICA minima massima

4 A - Alluvioni 8° 17°

1 C - Colluvioni-eluvioni 23° 23°

26 CA - Calcareniti 8° 61°

22 MC - Marne e calcari 8° 45°

CROLLO 4 PCS - Piroclastico-ceneri e scorie 8° 31°

8 POZ - Piroclastico-pozzolane 8° 35°

1 PP - Piroclastico - pozzolanelle 18° 18°

6 PT - Piroclastico - tufo litoide 10° 28°

1 Z - Frana 17° 17°

1 C - Colluvioni-eluvioni 19° 19°

1 CA - Calcareniti 16° 16°

1 D - Detriti 19° 19°

1 LC - Deposito lacustre 10 10 COLATA LENTA 65 MC - Marne e calcari 8° 41°

7 POZ - Piroclastico-pozzolane 8° 20°

2 PT - Piroclastico - tufo litoide 9° 20°

2 Z - Frane 9° 23°

COLATA RAPIDA 1 A - Alluvioni 14° 14°

1 C - Colluvioni-eluvioni 8° 8°

24 CA - Calcareniti 9° 39°

1 D - Detriti 17° 17°

21 MC - Marne e calcari 9° 45°

2 PCS - Piroclastico-ceneri e scorie 20° 33°

4 POZ - Piroclastico-pozzolane 19° 42°

Pagina 30

Pendenza Pendenza TIPOLOGIA NUM. CLASSE LITOTECNICA minima massima

1 PP - Piroclastico - pozzolanelle 12° 12°

2 CA - Calcareniti 8° 41°

2 D - Detriti 11° 14°

1 L - Lave 17° 17°

149 MC - Marne e calcari 8° 53°

1 PCL - Piroclastico-ceneri e lapilli 8° 8° ROTAZIONALE 14 PCS - Piroclastico-ceneri e scorie 8° 26°

5 POZ - Piroclastico-pozzolane 9° 19°

2 PP - Piroclastico - pozzolanelle 14° 15°

4 PT - Piroclastico - tufo litoide 8° 36°

5 Z - Frane 8° 17°

3 CA - Calcareniti 14° 20°

27 MC - Marne e calcari 10° 40° DEFORMAZIONE SUPERFICIALE LENTA 11 PCS - Piroclastico-ceneri e scorie 8° 21° (SOLIFLUSSO) 4 POZ - Piroclastico-pozzolane 9° 24°

6 PT - Piroclastico - tufo litoide 8° 45°

1 A - Alluvioni 11° 11° TRASLATIVA- 1 33° 33° TRASLAZIONALE CA - Calcareniti

8 MC - Marne e calcari 8° 30°

4.5.3 Distribuzione areale dei fenomeni franosi per tipologia

Nella seguente Tab. 5 è riportato, per le varie tipologie di frana, il numero di eventi rilevati in ciascun territorio comunale compreso nell’area di studio, ottenuto estraendo dalla banca dati i punti d’origine di ciascun fenomeno franoso di forma areale. Il metodo utilizzato fornisce solo un’informazione statistica riferita al numero effettivo di eventi verificatisi in un comune, senza alterare quello totale con il conteggio di eventuali porzioni di frane che possono avere invaso parte di un territorio comunale adiacente.

Tab. 5 Numero di fenomeni gravitativi presenti in ciascun comune

Comune Crollo Scorrimento Scorrimento Colata Colata Soliflusso Totali rotazionale traslazionale lenta rapida

Bellegra 10 4 19 41 4 19 97 Cave 2 1 7 9 2 21 Genazzano 9 17 10 26 1 12 75

Pagina 31

Comune Crollo Scorrimento Scorrimento Colata Colata Soliflusso Totali rotazionale traslazionale lenta rapida

Labico 3 3 2 8 Olevano Romano 2 15 8 44 23 92 Rocca di Cave 18 2 8 3 1 1 33 Roiate 4 5 6 1 1 17 San Vito Romano 9 5 9 53 2 23 101 Valmontone 1 13 7 9 1 31

I dati mostrano che il comune interessato dal maggior numero di eventi, indipendentemente dalla superficie coinvolta, è quello di San Vito Romano, seguito da Bellegra e Olevano Romano, dove si osserva un’elevata prevalenza di frane del tipo di scorrimento rotazionale e di crollo. I fenomeni di soliflusso sono prevalenti nei comuni di Genazzano e Olevano Romano. Le frane del tipo di colata lenta si concentrano nei comuni di Olevano Romano e San Vito Romano, quelle del tipo di colata rapida nei comuni di Rocca di Cave, Bellegra e San Vito Romano. Ogni comune presenta una pressoché totale assenza di altre tipologie. Il comune meno interessato da fenomeni gravitativi risulta quello di Labico. Nella Tab. 6 sono invece rappresentate le superfici, in ettari, di ciascun comune coinvolte dai vari fenomeni gravitativi, calcolate sommando le aree di ciascun fenomeno rappresentabile arealmente ed attribuendo un valore convenzionale di 0,01 ettaro per quelli rappresentati da simboli puntuali.

Tab. 6 Superfici in ettari dei fenomeni gravitativi presenti in ciascun comune

Comune Crollo Scorrimento Scorrimento Colata Colata Soliflusso Totali rotazionale traslazionale lenta rapida

Bellegra 19,024 2,459 22,890 120,428 0,04 41,128 205,969 Cave 1,526 1,700 8,190 16,939 3,486 31,841 Genazzano 13,818 36,529 4,537 61,731 0,01 26,409 143,034 Labico 6,646 0,752 1,214 8,612 Olevano Romano 1,168 32,413 4,326 128,441 54,992 221,34 Rocca di Cave 77,301 9,990 23,803 1,810 0,01 1,906 114,82 Roiate 12,057 15,567 16,020 0,01 0,01 43,664 San Vito Romano 9,040 7,288 3,425 156,780 0,02 61,061 237,614 Valmontone 0,285 17,918 0,07 11,191 0,01 29,474

La superficie totale dei terreni coinvolti da una qualche forma di dissesto è risultata di circa 1036,368 ettari, sugli 8400 ettari di territorio indagato, pari a 12,34% di superficie in dissesto.

Pagina 32

Riassumendo, l’analisi della distribuzione areale dei fenomeni di dissesto coinvolge in primis i centri abitati di San Vito Romano, Olevano Romano, Bellegra e Genazzano, con tipologie prevalenti di scorrimento rotazionale e colate, mettendo a rischio la stabilità di alcune abitazioni e fabbricati. La viabilità provinciale maggiormente coinvolta è quella che collega gli abitati di San Vito Romano con Bellegra, , Olevano Romano e Genazzano caratterizzati da fenomeni di crollo e di colate. Particolarmente critica appare la situazione lungo le provinciali San Vito Romano – Bellegra, Ponte Orsini – Bellegra e la strada Empolitana, con numerosi fenomeni di crollo, colate rapide e scorrimento traslativo e traslazionale. Alcuni fenomeni di crollo hanno interessato, nel settore meridionale, anche la pedemontana per Valmontone. La distribuzione dei dissesti è fortemente condizionata dalle caratteristiche geologiche e litotecniche dei terreni affioranti nell’area di studio. Come già ampliamente illustrato, il settore settentrionale è caratterizzato da formazioni calcaree-carbonatiche in cui si concentrano i fenomeni rispetto all’area meridionale costituita da affioramenti dell’apparato vulcanico dei Colli Albani. Nell’area settentrionale calcarea, i dissesti verificatesi sono legati all’assetto morfologico del territorio, con elevate pendenze ed esposizione sfavorevole dei versanti, stratificazioni a franappoggio, zone ad elevata fratturazione tettonica, e discontinuità artificiali provocate dalla rete viaria. Gli eventi piovosi di breve durata ma intensi possono riattivare i fenomeni in questa porzione di territorio oggi in gran parte classificati come quiescenti.

Fig. 13 Distribuzione areale dei dissesti rispetto alle caratteristiche geologiche-litotecniche dell’area di studio

E’ da segnalare che nei terreni vulcanici esistono litotipi, o loro sequenze, che in condizioni normali, ossia naturali, non presentano alcun rischio di frana, mentre sono potenzialmente soggetti a crolli o scorrimenti rotazionali se intaccati da scarpate

Pagina 33

artificiali, anche d’altezze molto modeste, come quelle che frequentemente interessano la porzione direttamente a monte di strade principali e secondarie costruite a mezza costa, anche in condizioni di acclività modesta, o le secondarie realizzate sul bordo di pianori o terrazzamenti con un tracciato parallelo a quello della valle sottostante. Di conseguenza, va tenuto conto che parte dei piccoli fenomeni rilevati, verificatisi in corrispondenza di modificazioni del versante dovute ad interventi antropici, non possono essere ritenuti significativi per il tipo d'analisi condotto in questo studio, ma sono comunque da considerare segnali di attenzione, e quindi indicati sul layer frane, nel caso che il versante sia interessato da interventi antropici. Inoltre, ricordiamo che le numerose frane di crollo, rappresentate per la quasi totalità in maniera puntuale e talvolta concentrate su aree relativamente ristrette, sono state classificate tutte quiescenti. In realtà, l’attributo è da considerarsi riferito piuttosto all’area circostante che non al fenomeno stesso, oramai avvenuto ed esaurito. La presenza di fenomeni gravitativi di questo tipo e così classificati è da ritenersi, quindi, un importante indicatore di potenziale instabilità su aree che possono essere più estese quanto maggiore è il numero dei crolli rilevati, e questo fatto non è ben esprimibile mediante un’analisi automatica. Nel marzo 2011 si sono registrati eventi piovosi che hanno avuto effetti immediati sull’innesco e riattivazione di dissesti lungo la viabilità provinciale e i centri abitati di San Vito Romano, Bellegra, Olevano Romano e Genazzano. Particolarmente colpito è stato l’abitato di San Vito Romano e la strada provinciale San Vito-Bellegra.

Riattivazione dissesto abitato di San Vito Romano, zona depuratore Fenomeni di crollo lungo la strada provinciale San Vito Romano- Bellegra Fig. 14 Riattivazione di dissesti a seguito dell’evento piovoso del Marzo 2011 (fonte: sito internet del Comune di San Vito Romano)

4.6 Metodologia operativa

Per assicurare la continuità di analisi e permettere il confronto dei risultati del presente studio con gli studi già realizzati, anche in questa sede è stata applicata la metodologia elaborata per il progetto pilota “Franarisk_RM” realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, alla quale sono state apportate alcune modifiche che tengono conto delle diverse condizioni geologiche e geomorfologiche che

Pagina 34

caratterizzano l’area oggetto del presente studio, rispetto alle aree analizzate nei precedenti studi. Per una più immediata lettura delle modifiche apportate alla metodologia definita nel progetto pilota “Franarisk_RM”, nel seguito si riporta (in corsivo) il testo integrale della metodologia integrato da nostri commenti (in carattere normale). “La Metodologia ENEA – Roma TRE” In questo studio per la zonazione della suscettibilità da frana è stata applicata una metodologia essenzialmente qualitativa derivata dal metodo di sovrapposizione di mappe tematiche indicizzate. L’evoluzione principale rispetto alla semplice sovrapposizione di mappe (overlay mapping) riguarda due passaggi: 1. in primo luogo vengono individuati e classificati i Parametri Discriminanti (PD) che rappresentano le condizioni necessarie, ma non sufficienti per il verificarsi di una data tipologia di frana; 2. secondariamente vengono analizzati tutti i Parametri Predisponenti (PP), cioè i fattori di qualsiasi natura che concorrono, direttamente o indirettamente, ad aggravare le condizioni di stabilità, ma non sono sufficienti a determinarla. In questo studio i parametri discriminanti sono la geologia su cui è impostata la superficie di rottura e la pendenza originaria del versante prima dell’evento. L’intersezione in ambiente GIS dei tipi geologici con i relativi intervalli di pendenza, identifica, per tutto il bacino, le aree ove sussistono le condizioni necessarie ma non sufficienti per cui quell’area sia suscettibile ad una certa tipologia di fenomeno: tali aree vengono dette Unità Territoriali Lito-Morfometriche (UTLM). La prima zonazione per parametri discriminanti “discrimina”, appunto, le aree in cui sussistono entrambe le condizioni (geologia e pendenza) che l’inventario delle frane ha permesso di riconoscere all’origine di almeno un fenomeno. Naturalmente, in base a tale distinzione fondamentale, è anche possibile escludere il territorio in cui non si realizzano le condizioni discriminanti e quindi organizzare le successive fasi di rilevamento e analisi. Le UTLM così definite sono state tenute come prodotto intermedio all'interno del nostro progetto "Franarisk_RM3 ", in quanto rappresentano una prima mappatura delle aree dove è presente un rischio di frana. I parametri predisponenti sono rappresentati dalle condizioni geomorfologiche, morfometriche, geotecniche, tettoniche e di uso del suolo il cui contributo, differenziato per ciascuna tipologia di fenomeno franoso, determina la maggiore o minore suscettibilità. Essi non sono sufficienti a determinare la suscettibilità di un’area, ma il loro contributo distinto permette di qualificare un’area già riconosciuta suscettibile in base ai soli parametri discriminanti (UTLM). I parametri riconosciuti sono riportati nella tabella seguente:

Pagina 35

Tab. 7 Parametri discriminanti e parametri predisponenti

I dati relativi ai parametri Geologia e Litologia si riferiscono al rilevamento originale eseguito per questo studio. Il DEM (e i suoi derivati: Pendenza ed Esposizione) derivano dal modello del terreno realizzato appositamente su stereoscopio digitale a partire dalle foto aeree dell’anno 2002. Il DEM per l’area in esame è stato costruito con le curve di livello in formato vettoriale digitalizzate dalla CTR serie 1990-1991, opportunamente integrate da punti quotati, come descritto al punto 3.3 della presente relazione. Come “uso del suolo” è stato impiegato lo strato informativo realizzato dalla Regione Lazio nel 2003 in scala nominale 1:25.000 il contenuto informativo è riferito alla legenda derivata da quella del CORINE Land Cover con dettaglio fino al 4° livello. Il “tipo di contatto litologico” rappresenta la discontinuità di un versante determinata dal passaggio tra due litologie a comportamento differente. Tale parametro è rappresentato dalla fascia di deformazione di 20 metri a monte del contatto litologico ed assume nell’area una delle seguenti tipologie:

Tab. 8 Tipologie di contatto litologico

Le tipologie adottate in questo studio sono diverse, in quanto diverse sono le situazioni reali che sussistono nell'area, come illustrate nella tabella che segue, che riporta tutte le occorrenze rilevate.

Pagina 36

Tab. 9 Tipi di contatto litologico nell’area di studio

LITOLOGIA DI MONTE LITOLOGIA DI VALLE alternanza rigido e duttile da granulare a coesivo alternanza rigido e duttile granulare alternanza rigido e duttile granulare duttile alternanza rigido e duttile rigido alternanza rigido e duttile rigido granulare alternanza rigido e duttile terre sciolte da granulare a coesivo alternanza rigido e duttile da granulare a coesivo granulare da granulare a coesivo granulare duttile da granulare a coesivo rigido da granulare a coesivo rigido granulare da granulare a coesivo terre sciolte granulare alternanza rigido e duttile granulare da granulare a coesivo granulare granulare duttile granulare rigido granulare rigido granulare granulare terre sciolte granulare duttile alternanza rigido e duttile granulare duttile da granulare a coesivo granulare duttile granulare granulare duttile rigido granulare duttile rigido granulare granulare duttile terre sciolte rigido alternanza rigido e duttile rigido da granulare a coesivo rigido granulare rigido granulare duttile rigido rigido granulare rigido terre sciolte rigido granulare alternanza rigido e duttile rigido granulare da granulare a coesivo rigido granulare granulare rigido granulare granulare duttile rigido granulare rigido rigido granulare terre sciolte terre sciolte alternanza rigido e duttile terre sciolte da granulare a coesivo terre sciolte granulare terre sciolte granulare duttile terre sciolte rigido terre sciolte rigido granulare

Pagina 37

La zonazione tettonica è stata realizzata anch’essa appositamente per questo studio e contribuisce sotto due forme diverse: principalmente secondo fasce di deformazione nell’intorno dei singoli elementi tettonici (zonazione per sistema di faglie) e secondariamente come deformazione “diffusa” in funzione dei sistemi tettonici locali e regionali (zonazione per dominio strutturale). Per la spazializzazione del “rapporto giaciturale” fra versante e giacitura degli strati e dell’esposizione del versante l’intera area di studio è stata suddivisa, in “Unità di Versante” caratterizzate dall’omogeneità della pendenza e dell’esposizione. La successiva analisi GIS ha permesso di caratterizzare ciascuna Unità di Versante sia per la pendenza ed esposizione del versante, sia per la direzione e pendenza degli strati. Il parametro esposizione poi è stato classificato in ottanti (secondo le classi N, NE, E, SE, S, SW, W, NW oltre alle aree pianeggianti). Il parametro rapporto giaciturale invece è stato classificato in funzione della propensione al dissesto nelle seguenti classi:

Per la rappresentazione della “distanza da asse viario” è stato considerato un intorno significativo relativamente alla viabilità provinciale, considerando massimo il contributo di tale parametro nei primi 6 metri di distanza dall’asse viario e tendente gradualmente all’annullamento oltre i 20 metri. Tale parametro intende qualificare il contributo all’instabilità di versante dato dai tagli stradali come elementi di discontinuità del profilo del versante. Operativamente, in questa applicazione, sono stati spazializzati tutti i parametri discriminanti e predisponenti attraverso la realizzazione di uno strato informativo per ogni tematismo. Tutti gli strati informativi sono costituiti da layer vettoriali in forma di ESRI Shapefile acquisiti o rilevati ex novo tramite indagini di campagna e fotointerpretazione su stereoscopio digitale, solo i tematismi relativi al rilievo si presentano in formato ESRI GRID con cella di 10 metri. L’integrazione in ambiente GIS degli strati informativi relativi a ciascun parametro ha prodotto lo strato informativo di sintesi: esso identifica quelle porzioni di territorio caratterizzate da una particolare combinazione di parametri, denominate Unità Territoriali Omogenee (UTO). In seguito al rilevamento dei fenomeni esistenti, i parametri discriminanti e predisponenti sono stati riconosciuti e classificati in funzione del contributo all’insorgenza di un fenomeno franoso. Per rappresentare formalmente il contributo di ciascun parametro predisponente è stata applicata una metodologia euristica: alle varie classi di ogni parametro predisponente, e separatamente per ogni tipologia di frana, è stato attribuito un indice (i) crescente (da 0 a 9) in funzione del contributo di ciascuna classe all’instabilità. In questo modo per ogni parametro predisponente è stata realizzata una tabella in cui per ciascuna classe vengono riportati i valori degli indici relativamente a ciascuna tipologia di frana. Tale soluzione consente di collegare le tabelle di indici allo strato informativo ricavato dalla combinazione di tutti i parametri. Infatti sulle UTO insistono le stesse condizioni, descritte dalla particolare combinazione di fattori naturali e antropici espressi dai parametri, ed è quindi possibile mettere in relazione ogni UTO con gli indici associati alle classi di parametri.

Pagina 38

L'attribuzione degli indici alle singole classi e dei pesi ai parametri ha seguito, come nei precedenti progetti pilota, un approccio euristico, basato comunque, per quanto possibile, su un'analisi preliminare di tipo statistico. Le tabelle con i valori relativi sono contenute all'interno di files Excel, costituenti parti integranti del progetto "Franarisk_RM3 ", e riportati nel CD di consegna allegato a questo rapporto. Dal momento che gli indici sono espressi da numeri, tale relazione si può configurare come una funzione matematica: una funzione di suscettibilità. Per non appesantire l’elaborazione e consentire un approccio intuitivo alla procedura si è scelta una funzione elementare ma sufficientemente efficace: la Funzione di Suscettibilità proposta è sostanzialmente, per ogni UTO, una somma pesata degli indici associati ai parametri predisponenti, applicata alle sole UTLM che verificano le condizioni discriminanti. La funzione generale applicata per il calcolo della suscettibilità di ciascun fenomeno franoso (f) è la seguente:

I parametri discriminanti hanno indice 0 o 1 a seconda, rispettivamente, che non sussistano o che sussistano le condizioni che danno luogo a suscettibilità. Di conseguenza il primo fattore assume significato (1) solo se sussistono entrambe le condizioni di geologia e pendenza perché esista suscettibilità non nulla. Il secondo fattore rappresenta al numeratore la vera e propria somma degli indici i relativi agli n parametri predisponenti considerati moltiplicati per il peso P, che serve a bilanciare il contributo di ciascun parametro; al denominatore invece presenta la somma dei pesi P, necessaria alla normalizzazione del risultato secondo la stessa scala degli indici (da 0 a 9).Naturalmente l’attribuzione degli indici è stata ricavata dalle osservazioni di terreno, ma la semplicità e la flessibilità della funzione consente di intervenire facilmente sugli indici e/o sui pesi per tarare il modello, in modo da renderlo il più possibile coerente con le osservazioni. Inoltre è possibile correggere le inevitabili approssimazioni determinate dalla non perfetta conoscenza o possibilità di rappresentazione dei parametri.

4.7 Punti stabili

Seguendo il criterio adottato nei precedenti progetti pilota, i punti stabili vengono definiti come quei punti che si trovano in condizioni di pendenza di versante al di sotto del minimo necessario per l'innesco di fenomeni franosi e ad una certa distanza, ritenuta di sicurezza, dalle zone soggette a dissesto e dagli elementi tettonici. Si è considerato che le zone in cui si realizzano le condizioni di pendenza richieste sono tutte quelle al di fuori delle UTLM e la distanza di sicurezza da considerare è da riferire alle UTLM stesse. Si è ricavato, quindi, un layer di aree stabili, applicando un buffer di 200 metri all'esterno delle UTLM. Ciò anche in considerazione del fatto che i punti stabili non entrano nell'elaborazione dei parametri per l'analisi della suscettibilità di frana.

Pagina 39

5 Dati pluviometrici

I dati pluviometrici storici sono stati acquisiti dal portale internet dell’Ufficio Idrografico di Roma - Regione Lazio (www.idrografico.roma.it), dal quale è possibile reperire gli Annali Idrologici dell’Ufficio Idrografico e Mareografico, dal 1951 al 2002, e dai Bollettini Idrologici dove sono riportati i dati cumulativi mensili della piovosità del periodo più recente dal 2004 al 2010 di alcune stazioni. Le stazioni pluviometriche prese in considerazione per l’indagine sono , , Subiaco Santa Scolastica, ricadenti nel sottobacino del Tevere XIV- e la stazione di , nel sottobacino del Liri-Garigliano-Volturno.

Tab. 10 Stazioni pluviometriche

STAZIONE Periodi di attività Anni effettivi PLUVIOMETRICA Zagarolo 1982-1993/1999-2001 15 Palestrina 1998-2002 5 Subiaco Santa Scolastica 1951-2002/2004-2010 57 Affile 1951-1952/1954-2002 50 Colleferro 2004-2010 6

Per la stazione di Colleferro sono disponibili solo i dati cumulativi mensili per il periodo 2004-2010 dai Bollettini Idrologici.

Fig. 15 Ubicazione delle stazioni pluviometriche rispetto all’area di studio (in rosso)

Negli Annali Idrologici sono presenti le tabelle relative alle osservazioni pluviometriche giornaliere, le tabelle dei totali annui e mensili, le precipitazioni di massima intensità

Pagina 40

registrate, le massime precipitazioni dell’anno per periodi di più giorni consecutivi e le precipitazioni di notevole intensità e breve durata registrate ai pluviografi.

Tab. 11 Osservazioni pluviometriche giornaliere delle stazioni di Subiaco Santa Scolastica e Affile per l’anno 2000

Pagina 41

Pagina 42

Fig. 16 Osservazioni pluviometriche mensili delle stazioni esaminate

Fig. 17 Piovosità totali annue, media delle 5 stazioni considerate

L’istogramma di Fig. 17 delle piovosità totali annue, evidenzia che gli anni più piovosi sono stati il 1960, 1976, 1978, 1979 e 1996 con valori superiori ai 1750 mm annui, mentre l’andamento medio si attesta tra i 900 e 1200 mm di pioggia. Dai dati analizzati emerge che la stazione più rappresentativa, per estensione temporale e per completezza dei dati sono quelle di Subiaco Santa Scolastica ed Affile.

Pagina 43

Fig. 18 Media delle piovosità mensili della Stazione di Subiaco Scolastica (1951-2010) e della Stazione di Affile (1951-2002)

I due istogrammi indicano un andamento in linea con i dati climatici dell’Italia centrale, con la massima piovosità nei mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre.

Pagina 44

Fig. 19 Frequenza della piovosità mensile nelle Stazioni di Subiaco Santa Scolastica e Affile

La distribuzione della piovosità mensile si concentra per le due stazioni su valori compresi tra 60 e 150 mm, con valori superiori a 200 mm per il 16.4% (100 mesi su 610), nella stazione di Affile e del 9.9 % (70 mesi su 709) per Subiaco Santa Scolastica. Nell’ultimo decennio si sono verificati, sempre più di frequente, fenomeni piovosi intensi e di breve durata, che possono provocare effetti immediati sul territorio con ripresa dei movimenti franosi classificati come quiescenti e l’innesco di nuovi eventi. In particolare, nel dicembre 2004, dicembre 2008 e novembre 2010 si sono superati i 280 mm come valore massimo mensile, con un picco nel 2010 di 355 mm.

Pagina 45

6 Sismicità

Per quanto riguarda i dati sismici sono stati acquisiti quelli disponibili nei precedenti progetti pilota (Franarisk_RM e Franarisk_RM2) integrati nell’ambito del presente studio, con i dati relativi alla storia sismica dei comuni ricadenti e/o interferenti all’area di studio. Lo studio della sismicità storica dell’area ha come scopo quello di definire il massimo grado di intensità sismica registrato nell’area al fine di valutare la possibilità di eventi sismici come possibili fattori di innesco di fenomeni franosi. La ricerca si è basata sull’analisi dei dati bibliografici e dei data-base della sismicità storica e strumentale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). I dati di sismicità dell’area sono stati recentemente rivisti e aggiornati attraverso l’analisi delle fonti storiche e dei cataloghi sismici da Molin et alii, (2002), all’interno di uno studio sulla sismicità della Valle dell’Aniene effettuato in seguito alle scosse sismiche avvenute nel versante meridionale dei Monti Ruffi nel marzo 2000. La costruzione del catalogo dei terremoti di origine locale è stata condotta essenzialmente aggiornando e incrementando i dati estratti dal Catalogo dei terremoti italiani del CNR-Progetto Finalizzato Geodinamica (CNR-PFG; Postpischl, 1985), il più recente che contenga scosse di ogni intensità e tipologia, e il Catalogo macrosismico del Lazio di Dell’Olio & Molin (inedito). Sono stati inoltre utilizzati i risultati ottenuti dalle ricerche di sismologia storica svolte dall’INGV relativamente all’area Aniene-bassa Sabina (Molin et alii, 2002). Per quanto riguarda le fonti informative relative ai terremoti di origine locale, le indagini sono state condotte attraverso la ricerca di nuova bibliografia, il recupero dei lavori pubblicati dopo il 1980, la consultazione di giornali ed il reperimento di documentazione inedita presso biblioteche di Roma, la Biblioteca del Monumento Nazionale di Subiaco (BMNS) e l’Istituto Nazionale di Geofisica (INGV), dove sono attualmente conservate le cartoline sismiche pervenute all’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (o Geofisica, o Ecologia Agraria) di Roma (UCMG) dal 1900 al 1975 circa (Molin et alii, 2002). Per le scosse caratterizzate da Io>V grado MCS sono stati anche consultati il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, il Catalogo dei forti terremoti in Italia dell’Istituto Nazionale di Geofisica e SGA - Storia Geofisica Ambiente, e NT4.1, un catalogo parametrico di terremoti di area italiana del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, nonché i relativi database macrosismici. Per le scosse posteriori al 1980 sono stati utilizzati anche i dati sismometrici e macrosismici forniti dall’Istituto Nazionale di Geofisica, dati che hanno permesso di prolungare il catalogo fino al luglio 2000. Anche per quanto riguarda l’esame dei più importanti terremoti di origine esterna, quasi tutti caratterizzati da intensità epicentrali relativamente elevate, si è fatto in genere riferimento al catalogo CPTI e quindi ai database macrosismici dei cataloghi del GNDT e di ING-SGA; in Tab. 12 è riportato l’elenco completo degli eventi sismici dell’area considerati nelle indagini. Per ogni terremoto sono riportati: numero delle località interessate (punti d’intensità) di cui si ha notizia; intensità massima osservata ed intensità epicentrale; coordinate epicentrali derivate da dati macrosismici o, per eventi recenti, da registrazioni strumentali; valori di magnitudo (Ml, Ms ed Md) reperiti in letteratura;

Pagina 46

area origine, rappresentata da una subregione sufficientemente conosciuta da permettere una rapida individuazione dell’area in cui ha avuto origine l’evento.

Tab. 12 Catalogo dei terremoti risentiti nell’area di studio (da Molin et alii, 2002)

Pagina 47

Pagina 48

In totale nella Tab. 12 sono elencati 164 eventi di cui: - n. 6, riportati interamente in corsivo, risultano molto dubbi o inesistenti; di questi quattro sono di epoca medioevale (1216, 1227, 1299 e 1348) e due dell’ultimo secolo, rispettivamente del 31 luglio 1901 e del 19 dicembre 1908; - n. 30, oltre ai sei di cui al punto precedente, sono privi di parametri epicentrali, generalmente non stimabili per scarsità di informazioni; molti di questi corrispondono a probabili repliche segnalate in località dell’Alto Aniene di alcuni importanti terremoti, in particolare di quello del 13 gennaio 1915 (Io=XI grado MCS) con origine nella vicina Marsica; per questi eventi vengono indicate solo

Pagina 49

data ed intensità massima osservata, mentre l’area origine, essendo incerta, viene riportata in corsivo; - n. 12 rappresentano terremoti di origine esterna che hanno prodotto, o “probabilmente” prodotto, danni in almeno una località dell’Alto Aniene; i relativi dati macrosismici di base riguardano solo località dell’Alto Aniene; - n. 6 rappresentano terremoti che, dopo le indagini, sono risultati di origine esterna, ma con epicentro in aree immediatamente limitrofe all’Alto Aniene; questi eventi figurano in elenco sia per il fatto che sono stati oggetto di indagini, sia in quanto tra le località più fortemente interessate almeno una appartiene all’Alto Aniene; - n. 110 sono terremoti di origine locale; risultano tutti di epoca piuttosto recente, essendo avvenuti tra il 1867 ed il 2000; di questi, n. 90 sono definiti da parametri epicentrali ricavati da dati macrosismici e n. 20, avvenuti dal 1980 in poi, da parametri epicentrali ricavati da dati sismometrici; questi ultimi, caratterizzati da valori di magnitudo ≥3.0, sono stati considerati in quanto, sebbene non si posseggano informazioni sui risentimenti, sono stati molto probabilmente avvertiti dalla popolazione. In Fig. 20 viene riportata la distribuzione temporale degli eventi sismici nell’area sino al 1998.

Fig. 20 Distribuzione temporale degli eventi sismici sino al 1998

A parziale integrazione degli eventi registrati si riportano gli eventi avvenuti in aree prossime all’area di studio tra il 2000 ed il 2004 ricavati dal Catalogo Parametrico dei terremoti Italiani (CPTI0809 – Aprile 2009).

Pagina 50

Tab. 13 Eventi sismici verificatesi tra il 2000 ed il 2004 risentiti nell’area di studio

anno mese giorno Ora Min Magnitudo LAT LONG ORIGINE 2000 06 27 7 54 3.9 41.802 12.293 Colle Ceprano (Valmontone) 2001 12 19 7 20 3.0 41.88 12.965 Monti Tiburtini- Prenestini 2001 12 20 1 54 3.7 41.901 12.972 Monti Tiburtini- Prenestini 2004 10 05 23 00 3.0 41.866 12.989 Monti Tiburtini- Prenestini

6.1 Sismicità remota

I terremoti con epicentro al di fuori dell’area considerata, che hanno prodotto danni nell’Alto Aniene, sono riportati in Tabella 10.3 (Molin et alii, 2002), nella quale per ogni evento vengono indicati, oltre ai principali parametri, anche l’intensità massima (Iax) con cui è stato risentito, o “probabilmente risentito”, in una o più località dell’Alto Aniene e la distanza D in km tra l’epicentro del terremoto e Subiaco (considerato data la presenza del Monastero di Santa Scolastica, sede di un preziosissimo archivio storico). I casi in cui il valore di “Iax” figura in corsivo stanno a significare che, non essendo disponibili osservazioni dirette, quei dati sono stati desunti dall’andamento dei campi macrosismici dei rispettivi terremoti.

Pagina 51

Tab. 14 Elenco dei terremoti risentiti nell’alta-media valle dell’Aniene (da Molin et alii, 2002)

Nella Tab. 14 sono riportati 12 eventi, anche se per i terremoti del 1349 e del 1703 si posseggono solo gli effetti cumulati delle due scosse segnalate; in entrambi i casi, tuttavia, gli effetti prodottisi in Alto Aniene dovrebbero essere dovuti principalmente alle scosse provenienti dall’Aquilano, caratterizzate da epicentro molto più vicino. L’evento più antico è rappresentato dal grande terremoto del 9 settembre 1349 che ha apportato danni molto gravi all’Abbazia di Santa Scolastica e Subiaco, dove ha raggiunto un valore di massima intensità storicamente osservata nell’Alto Aniene. Anche nelle altre località dell’area dovrebbe essere stato risentito con intensità simile. Il terremoto del 1349, come già accennato, è un evento particolarmente complesso, tanto che nei cataloghi più recenti è stato soggetto a parametrizzazione multipla; infatti, il relativo campo macrosismico, molto esteso e caratterizzato dalla presenza di due principali aree di maggior danneggiamento (≥IX-X grado) tra loro distanti alcune decine di km, viene considerato come dovuto al concorso di almeno due scosse avvenute pressocché contemporaneamente, ma con epicentro differente. Le due aree più importanti sono situate una nella zona tra l’Aquila e la valle del Salto (Aquilano), e l’altra nella zona di Cassino-Isernia (Frusinate-Molise). Come accennato in precedenza, il danneggiamento prodottosi nell’Alto Aniene dovrebbe essere in gran parte dovuto alla scossa dell’Aquilano con origine più vicina rispetto a quella di Cassino-Isernia, anche se questa risulta di intensità un po’ più elevata. Altri risentimenti di rilievo, però solo presunti, compresi tra il VI ed il VII grado MCS, potrebbero essersi verificati in occasione dei forti terremoti del 1456 (Molise), del 1461 (Aquilano), del 1654 (Frusinate), del 1703 (Aquilano), del 1706 (Maiella). Per questi eventi non sono disponibili osservazioni dirette e si perviene a tali valutazioni considerando l’andamento del campo macrosismico. Relativamente ai terremoti del 1703 si ha solo notizia dell’assenza di vittime sia a Subiaco che all’Abbazia di Santa Scolastica (BMNS, sec. XVIII), mentre non è stata reperita alcuna informazione sui probabili danni. Il terremoto del 1877, con origine nel Frusinate, nei pressi di Veroli ed Isola del Liri, produsse danni molto leggeri a Jenne, mentre si ha notizia che non ne produsse in vari altri centri abitati dell’Alto Aniene, fra i quali Subiaco e l’Abbazia di Santa Scolastica. Il catastrofico terremoto del 13 gennaio 1915 (Io = XI grado), che distrusse completamente numerosi paesi della Marsica, provocando circa 30.000 vittime,

Pagina 52

danneggiò notevolmente anche varie località dell’Alto Aniene, causando anche una decina di vittime. I centri abitati più gravemente danneggiati furono Agosta, Filettino, e Trevi nel Lazio, nei quali si raggiunse l’VIII grado MCS, nonché Affile, Jenne e Subiaco, nei quali l’intensità fu di poco inferiore (VII - VIII grado). Si ha notizia che una replica di questo terremoto, avvenuta il 14 gennaio 1915, apportò ulteriori danni a Subiaco e e probabilmente anche altre località dell’area. Il terremoto della Valnerina del 19 settembre 1979 rappresenta l’evento più recente di origine esterna che ha prodotto danni nell’Alto Aniene; secondo il quotidiano “Il Tempo” (Giorn. 19, 1979) danneggiò in maniera molto leggera Subiaco e l’abbazia di Santa Scolastica, provocando qualche lieve crepa nei muri, caduta di calcinacci e di qualche cornicione. In generale, si può osservare che i 12 terremoti considerati hanno avuto origine nel tratto di catena appenninica compreso tra la Valnerina ed il Molise; le relative intensità massime (Ix) ed epicentrali (Io) sono quasi sempre elevate (≥VIII-IX grado MCS), tranne che per gli eventi del 1877 e del 14 gennaio 1915 (≤VII grado). La frequenza media con cui i terremoti di origine esterna vengono risentiti con danni nell’Alto Aniene (intensità ≥V-VI grado MCS) risulta, sulla base dei dati degli ultimi 130 anni generalmente considerati completi per eventi di questa intensità, dell’ordine di un evento ogni 32-33 anni. Praticamente impossibile stimare con attendibilità la frequenza con cui si sono verificati risentimenti di intensità ≥VI-VII grado MCS, in quanto i dati disponibili sono in buona parte desunti dall’andamento dei campi macrosismici e, prima del 1870, dovuti solo ad eventi con elevata intensità epicentrale (Io≥IX-X grado). Si può solo notare che, considerando tutti i dati disponibili, si perviene mediamente ad un evento ogni 100 anni circa. Per quanto riguarda i risentimenti di intensità ancora superiore (≥VII-VIII grado) possiamo invece osservare che se ne contano 2 negli ultimi sette secoli, uno di VIII-IX e uno di VIII, osservati rispettivamente in occasione dei grandi terremoti del 1349 e 1915 (magnitudo vicine a 7.0), entrambi con epicentro in aree relativamente vicine all’Alto Aniene (40-50 km). Dato che per gli eventi di tale magnitudo il catalogo italiano è generalmente considerato pressocché completo almeno per gli ultimi otto secoli, la frequenza media di un risentimento ogni 400 anni circa appare abbastanza attendibile. In conclusione, i terremoti di origine esterna risultano molto importanti nel definire la sismicità dell’Alto Aniene, in quanto hanno prodotto le massime intensità storiche, pari all’VIII-IX e all’VIII grado MCS, osservate rispettivamente in occasione dei terremoti del 1349 e del 1915; inoltre, varie volte potrebbero essersi avvicinati o aver raggiunto il massimo storico dovuto ai terremoti di origine locale (VII grado MCS). Il 6 aprile 2009, alle ore 3:33 la zona de L’Aquila, com’è noto, è stata colpita da un forte terremoto. La magnitudine della scossa principale è stata valutata sia come magnitudo Richter (Ml) 5.8 che come magnitudo momento (Mw) 6.3. Gli eventi di M>5 sono avvenuti il 6, 7 e 9 aprile (rispettivamente Ml=5.8, 5.3 e 5.1). I terremoti di Ml compresi tra M=3.5 e 5.0 sono stati in totale 31. Gli effetti di questo terremoto, pur essendo stati avvertiti anche nell’area di studio, non hanno prodotto conseguenze particolari di cui si abbia avuto segnalazione.

6.2 Storie sismiche locali

Nella seguente Tab. 15, sono riportate le massime intensità macrosismiche che hanno interessato i comuni della Provincia di Roma. Analizzando i dati in essa riportati emerge che i territori comunali che riguardano direttamente l’area di studio o che sono situati nelle sue immediate vicinanze, evidenziati in neretto inclinato, sono chiaramente distinti in due gruppi in quanto esiste una netta differenziazione tra le intensità

Pagina 53

massime registrate nella zona dei Colli Albani, dove i valori massimi d’intensità sono pari a 7, con la sola eccezione di , e la restante maggiore area dei Prenestini dove esse hanno raggiunto un valore di 8.

Tab. 15 Massime intensità macrosismiche osservate nella provincia di Roma

Pagina 54

Pagina 55

Pagina 56

Per ottenere una più precisa caratterizzazione sismica dell’area di studio sono state prese in considerazione le storie sismiche dei comuni compresi o limitrofi in detta area, estraendole dal sito DOM4.1, nel quale i comuni sono catalogati in base a tutte le osservazioni disponibili, indipendentemente dalle intensità dei sismi, oppure secondo il numero di osservazioni macrosismiche con valori di intensità Is (x10) ≥45, ossia al di sopra della soglia del danno. I comuni interessati più direttamente dall’indagine sono quelli riportati nei grafici seguenti. Le storie sismiche di ciascun territorio sono rappresentate da una lista degli eventi con valore di intensità disposti in ordine decrescente, dei quali è riportata la data, l’effetto e l’area epicentrale del terremoto; le intensità sono inoltre riportate in un diagramma che evidenzia visivamente la loro distribuzione nel periodo storico considerato.

Pagina 57

Pagina 58

Pagina 59

Pagina 60

Pagina 61

Fig. 21 Ricostruzione storica degli eventi sismici locali per i comuni ricadenti nell’area di studio

Dall’esame di questi diagrammi possono essere tratte le seguenti considerazioni di carattere generale. La maggior parte dei sismi registrati con intensità superiore alla soglia del danno nei comuni considerati è concentrata negli ultimi anni del XIX secolo ed i primi del XX. Non è possibile rilevare una particolare differenza di comportamento tra il settore dei Colli Albani e quello dei Prenestini, sebbene in quest’ultimo sia stato registrato un maggior numero di eventi ad elevata intensità nei comuni di Palestrina (20), San Vito Romano (5) e di Genazzano (8), rispetto ai 14 del comune di Valmontone e i 6 di Cave.

Pagina 62

7 Indagine storico-archivista

Lo studio storico-archivistico degli eventi franosi nell’area è stato effettuato attraverso una ricerca, nell’archivio del Servizio Geologico della Provincia di Roma, delle pratiche esistenti relative a dissesti e sondaggi geognostici ubicati all’interno dell’area di studio. I dissesti riconosciuti, i relativi sondaggi geognostici e le relazioni geologiche sono stati censiti, esaminati, catalogati e inseriti in un archivio digitale (Cartella "Archivio_catasto_Prov_RM"), contenente uno shapefile dei punti ("Dissesti_Archivio_Prov_Roma.shp "), i files relativi alle immagini degli stralci cartografici selezionati, ed il relativo database delle pratiche evase. Nell'insieme, sono stati catalogati in totale 90 eventi franosi, di cui 74 ricadenti direttamente nell’area di studio. Oltre a questi , sono stati presi in considerazione gli archivi forniti e raccolti nella prima fase dell’attività (Catasto IFFI, Catasto SIRDIS Regione Lazio, Autorità di bacino del Tevere e del Liri-Garigliano-Volturno). Per l'utilizzazione di questi dati per gli scopi dell'indagine storico-archivistica, una difficoltà primaria è risultata la scarsità di localizzazione temporale degli eventi. Nonostante l'abbondanza di archivi, da quelli citati sopra, a quelli più generali, sono molto rare le informazioni riguardo alla data dell'evento, informazioni peraltro essenziali per un'analisi delle cause e delle previsioni. In conclusione, gli eventi per i quali si è potuto individuare una data certa o presunta del mese e dell’anno di accadimento e che si sono potuti selezionare per la nostra indagine sono risultati in tutto 64.

7.1 Relazione dissesti-piovosità

Allo scopo di verificare la relazione tra i dissesti e la piovosità, è stato fatto un primo confronto tra l'andamento delle piovosità mensili della stazione di Subiaco Santa Scolastica, presa come riferimento per la completezza dei suoi dati, e le date di riferimento degli eventi. Questo rapporto è mostrato dal diagramma di Fig. 22, nel quale si può notare come non esista una diretta corrispondenza tra piovosità e dissesti nell’area di studio. Riteniamo che questa scarsa corrispondenza tra piovosità e dissesti sia dovuta più alla scarsità dei dati disponibili, che non ad una situazione reale. Questo, anche in considerazione del fatto che gran parte dei dissesti considerati si trova ubicata nella parte nord dell'area di studio, in condizioni geologiche e ambientali caratterizzate da unità calcaree fratturate ad alta infiltrazione.

Pagina 63

Fig. 22 Relazione tra piovosità mensile ed eventi franosi nell’area di studio

Su 14 eventi segnalati è stato possibile ricostruire i grafici cumulativi di piovosità per intervalli di tempo che hanno preceduto l’evento di 5, 10, 20 e 40 giorni, allo scopo di individuare le soglie di piovosità e la distribuzione temporale che maggiormente innescano i fenomeni franosi dell’area di studio.

Pagina 64

Fig. 23 Andamento della piovosità nel periodo precedente i dissesti

Dal grafico di Fig. 23 emerge che tutti gli eventi presi in considerazione ricadono in mesi di piovosità superiore ai 100 mm, ad eccezione dell’evento n° 12; significativi accumuli di pioggia si sono avuti per i dissesti 2, 3, 8 e 10 con almeno 200 mm di pioggia nei 20 gg cumulativi antecedenti l’evento. In conclusione, la scarsità dei dati e il fatto che quelli disponibili si riferiscano soprattutto ad eventi di piccole dimensioni lungo le strade provinciali, non permette di stabilire un rapporto diretto tra la piovosità e l'innesco di dissesti. Nel novembre 2008 e nel marzo 2011 si sono registrati eventi piovosi che hanno avuto effetti immediati sull’innesco e riattivazione di dissesti lungo la viabilità provinciale e i centri abitati di San Vito Romano, Bellegra, Olevano Romano e Genazzano. Da quanto sopra esposto, a nostro avviso, scaturisce un’importante considerazione: qualunque organismo sia preposto alla raccolta dei dati e alla catalogazione dei fenomeni di dissesto gravitativo, specialmente se in vista di un'analisi della suscettibilità e del rischio in prospettiva, non può prescindere da un dato essenziale, rappresentato dalla datazione, la più precisa possibile, dell'evento censito.

7.2 Relazione dissesti-sismicità

Le indagini svolte sulla sismicità dell’Alto bacino dell’Aniene nel progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, hanno riguardato l’analisi dell’attività sismica di origine locale e dei principali terremoti di origine esterna. I risultati ottenuti hanno permesso di definire e distinguere la sismicità dovuta ai terremoti locali da quella dovuta ad eventi esterni. Le intensità massime osservate hanno raggiunto valori di VII grado MCS, in occasione del terremoto di del 1941, e di VIII-IX grado, in occasione del terremoto dell’Appennino centrale del 1349. Se si considerano solo i risentimenti di intensità ≥V- VI grado MCS, ossia quelli che hanno prodotto come minimo danni molto leggeri agli edifici (lesioni agli intonaci, riapertura di lesioni preesistenti, piccole cadute di calcinacci, ecc.), si può ritenere che il catalogo sia pressoché completo per gli ultimi 130 anni, in quanto dal 1870 circa sono iniziate le raccolte sistematiche di dati macrosismici per terremoti di ogni livello di intensità. In questo periodo l’Alto Aniene è stato interessato da tali risentimenti in dieci occasioni, di cui sei dovute a terremoti locali e quattro a terremoti esterni, con una frequenza media di un evento ogni 13 anni. Anche per i risentimenti di intensità ≥VI-VII grado MCS, che come minimo hanno prodotto danni leggeri (leggere fessurazioni passanti nei muri, caduta di camini, notevoli cadute di calcinacci, ecc.), risulta necessario fare riferimento allo stesso

Pagina 65

periodo di 130 anni, in quanto coincide con l’intervallo di tempo coperto dal catalogo dei terremoti di origine locale. Negli ultimi 130 anni l’Alto Aniene è stato interessato da risentimenti di VI-VII grado in tre occasioni, di cui due dovute a terremoti locali ed una a terremoti esterni, quindi con una frequenza media di un evento ogni 43 anni circa. Va ricordato che in uno dei terremoti locali l’evento sismico ha anche causato lo sviluppo di frane da crollo. Infine, solo in due casi l’Alto Aniene è stato interessato da risentimenti di intensità ≥VII- VIII grado (valore corrispondente alla soglia dei danni gravi, quali notevoli fessurazioni nei muri, crolli parziali, distruzioni e a volte anche qualche crollo totale e qualche vittima), precisamente in occasione dei grandi terremoti di origine esterna del 1349 e del 1915, i quali hanno prodotto importanti danneggiamenti riferibili rispettivamente all.VIII-IX e all’VIII grado MCS. Entrambi i terremoti sono caratterizzati da Io≥X grado MCS, da magnitudo molto elevate (vicine a 7.0) e, soprattutto, da una limitata distanza tra l’epicentro e l’Alto Aniene (40- 50 km). Considerando che, relativamente a questi grandi terremoti, il catalogo italiano dovrebbe essere pressoché completo almeno per gli ultimi otto secoli, e che i terremoti locali non hanno mai raggiunto intensità >VII-VIII grado, altrimenti ne avremmo avuto notizia come per quelli di origine esterna, si può supporre che la frequenza media si aggiri intorno ad 1 evento ogni 400 anni circa. Dai dati disponibili sui risentimenti nei singoli comuni dell’alto Aniene, relativamente a terremoti sia locali che esterni, si può osservare che le intensità massime, osservate o presunte, variano notevolmente a seconda dei casi e di conseguenza variano anche le frequenze con cui i comuni stessi sono stati interessati da terremoti; più in particolare, si può notare che: le intensità massime dovute agli eventi di origine locale sono molto variabili da comune a comune; il valore massimo (IX grado) è stato osservato solo a Cervara di Roma, mentre in vari comuni generalmente situati a monte di Subiaco non è mai stato raggiunto neppure il V grado; le intensità massime dovute agli eventi di origine esterna (VIII-IX grado MCS) sono tutte presunte, ad eccezione di quella di Subiaco, e collegate al grande terremoto appenninico del 1349; appare evidente, osservando la variabilità dei valori osservati in occasione del terremoto del 1915, che queste sono da considerarsi solo indicative. In conclusione, la sismicità dell’Alto Aniene può essere considerata nel complesso moderata, sia relativamente alle intensità massime raggiunte, sia soprattutto alla modesta frequenza con cui vengono risentite le intensità più elevate. La massima intensità storicamente osservata (VIII-IX grado MCS) risulta intermedia tra quelle molto elevate (X e XI grado MCS), che interessano la fascia centrale della catena appenninica, e quelle più modeste (VII grado MCS), che generalmente interessano le aree costiere tirreniche. Dal punto di vista delle relazioni tra eventi sismici e innesco dei fenomeni franosi, gli unici dati certi sono quelli relativi al terremoto di dell’11 marzo 2000, distante dell'area di studio, quando a seguito dell’evento si dovette procedere all’interruzione della strada provinciale nei pressi di Canterano a causa di crolli di ammassi rocciosi. Non sono invece date testimonianze dell’attivazione di altre tipologie di frane durante lo stesso evento sismico. Sulla base di questo dato si può quindi ipotizzare che terremoti con queste intensità (che, sulla base dei dati storici disponibili, si sono ripetuti nell’area con una frequenza di circa 43 anni) possano essere sufficienti ad innescare crolli di significativi ammassi rocciosi, in particolare nelle aree dove questi si presentano estremamente fratturati. Per quanto riguarda in particolare l'area analizzata nel presente studio, tutte le informazioni raccolte fanno presumere che l’eventuale influenza nei riguardi della stabilità dei versanti da parte di eventi sismici, con intensità simili a quelle registrate,

Pagina 66

possa verificarsi solo in alcuni casi particolari. Tra questi è da menzionare la reale possibilità di crolli in corrispondenza di rocce calcaree massicce e fratturate, soprattutto dove esse affiorano su pareti acclivi e sub-verticali, Altra azione diretta può verificarsi in corrispondenza di fenomeni gravitativi del tipo di scorrimento, specialmente rotazionale, qualora all’origine del fenomeno già esistente abbiano concorso motivi strutturali di carattere disgiuntivo. In questi casi è possibile una riattivazione parziale del fenomeno, specialmente nella porzione esposta della corona, ma fenomeni di questo genere non sono stati rilevati.

Pagina 67

8 Progetto GIS

I risultati ottenuti nell’ambito del presente studio sono presentati sotto forma di un progetto GIS, denominato "Franarisk_RM3 ", che segue lo schema dei modelli progettuali costruiti per i precedenti progetti pilota (Franarisk_RM e Franarisk_RM2). La struttura del progetto “Franarisk_RM3” è la seguente: Basi_Carto: contiene le basi cartografiche in formato raster della CTR serie 1990-1991 della Regione Lazio, le ortofoto a colori 2008, il volo del 2002 e quelle in b/n del 1984; Grid: contiene nella directory DEM il modello digitale del terreno (DEM) a passo 10 m e il grid delle pendenze (SLOPE) e dell’esposizione dei versanti (ESPO), con le relative legende e vestizioni in formato lyr; nella directory UTLM i grid delle Unità Territoriali Lito-Morfometriche suddivise per tipologia di frana; nella directory SUSC i grid della suscettibilità per tipologia di frana e le vestizioni in formato lyr (n.b. nella sottodirectory “coperture” è presente la conversione della suscettibilità dal formato grid raster al formato vettoriale di Mapinfo per la lettura diretta del dato senza l’utilizzo dell’estensione “Vertical Mapper”); Tabelle: contiene le tabelle dei pesi associati ai parametri predisponenti e la formula di calcolo della suscettibilità applicata per ogni tipologia di frana; Temi_base: contiene i temi di base in formato vettoriale quali l’area di studio, i confini amministrativi, i centri abitati, la rete idrografica, la viabilità comunale, provinciale e statale, le ferrovie, l’autostrada, etc; Temi: contiene le coperture in formato vettoriale necessarie all’applicazione della metodologia della suscettibilità del territorio al dissesto, quali le frane in formato areale e puntale, i punti instabili, il catasto dei dissesti provinciali, la copertura geologica, l’uso del suolo, etc; Archivio_catasto_Prov_RM: contiene l’ubicazione, il database, e gli stralci cartografici relativi alle pratiche evase dal servizio geologico provinciale dei dissesti interferenti con la rete viaria di competenza della Provincia di Roma; Dati_pluviometrici: contiene i dati pluviometrici degli Annali idrologici e dei Bollettini idrologici delle stazioni pluviometriche dell’Ufficio Idrografico di Roma della Regione Lazio; DB_terremoti: contiene i db dei terremoti dell’INGV e i dati della sismica locale dei comuni ricadenti nell’area di studio.

8.1 Metadocumentazione

Vengono descritte le tabelle degli attributi associate alle coperture vettoriali principali create per il presente progetto “Franarisk_RM3” contenute nella directory “temi”.

Coperture = copertura poligonale rappresentante tutti gli affioramenti superficiali quaternari dei depositi cartografati nella carta litotecnica come corpi litologici distinti e cioè le unità con sigla h, a, d, c, z, lc, B. Si tratta quindi di depositi alluvionali e lacustri, depositi di versante ed accumuli di frana, coltri eluviali e colluviali, ed anche depositi antropici. A questi sono stati aggiunti i poligoni costituiti dai canali di transito delle frane per colata, all'interno dei quali si è riscontrata la presenza di una sottile copertura detritica e quelli all'interno dei quali sono stati rilevati fenomeni di soliflusso, evidentemente innescati su di una coltre, seppure sottile, di copertura.

Pagina 68

CAMPO DESCRIZIONE

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG” DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG” COD_LITO Codifica cartografia litotecnica TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Dissesti_Archivio_Prov_Roma = copertura puntuale dei dissesti segnalati nell’archivio del servizio geologico della Provincia di Roma lungo la viabilità provinciale.

CAMPO DESCRIZIONE

CODPRATICA Codifica pratica archivio Provincia di Roma (Numero sezione CTR+numero pratica, es. : 375160L0015) Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o ID_FRANA traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

DESCRIZION Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

SEZ_CTR Numero sezione CTR in cui ricade il punto di dissesto

COD_PRAT Numero pratica archivio Provincia di Roma

ANNO Anno della segnalazione del dissesto

N_PRATICA Numero pratica database archivio Provincia di Roma

OGGETTO Descrizione della segnalazione o tipologia del dissesto

STRADA Viabilità provinciale coinvolta dal dissesto

HYPERLINK Collegamento immagine ubicazione dissesto della pratica archiviata

Elementi_Tettonici = copertura lineare degli elementi tettonici presenti nella cartografia geologica CARG e SGI. La rappresentazione grafica nel progetto GIS è la seguente:

CAMPO DESCRIZIONE

TipoFaglia Descrizione dell’elemento tettonico rot Angolo di rotazione dell’oggetto

Faglie_sovrascorrimenti = copertura lineare estratta dalla copertura “Elementi_tettonici” in cui sono riportate le faglie certe (dirette, inverse, trascorrenti) e i sovrascorrimenti utilizzati come parametro predisponente nel calcolo della suscettibilità.

Pagina 69

CAMPO DESCRIZIONE

TipoFaglia Descrizione dell’elemento tettonico

Frane = copertura poligonale dei dissesti costruita digitalizzando e inserendo in banca dati tutti gli elementi costitutivi dei fenomeni franosi con riferimento alle CTR. Ciascun tipo di fenomeno è stato classificato secondo le tipologie previste dal metodo. Gli elementi areali rappresentati, ove riconoscibili, sono costituiti da nicchia, canale di transito, materiale d'accumulo. Per tutti è stato indicato lo stato, se attivo o quiescente.

CAMPO DESCRIZIONE

ELEMENTO Descrizione dell’elemento costitutivo del fenomeno franoso Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o COD_TIPO traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

TIPOLOGIA Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

ATTIVITA’ Descrizione dello stato del dissesto (attivo o quiescente)

DATA Data in cui si è manifestato l’evento franoso

IFFI Codice copertura dei dissesti del Progetto IFFI

ABT Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino del Tevere

ABLG Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano

SIRDIS Codice copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio

TIPO_OLD Descrizione della tipologia di evento franoso relativa alla codifica originale del catasto di appartenenza

AREA Superficie dell’elemento franoso espressa in metri quadrati

Aggiornamento dei dissesti franosi su base ortofoto 2008 del Ministero dell’Ambiente (NU= nuovo areale di dissesto, Agg_2008 MO= modifica perimetrazione dissesto, NO= dissesto non modificato).

Frane_Punti_Alto= copertura puntuale corrispondente a tutti i punti a quota più alta di coronamento dei fenomeni areali con associata l’informazione della quota in metri s.l.m., la tipologia di frana individuata, l’unità litotecnica del punto di distacco e la pendenza del versante.

CAMPO DESCRIZIONE

TIPOLOGIA Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

ATTIVITA’ Descrizione dello stato del dissesto (attivo o quiescente)

IFFI Codice copertura dei dissesti del Progetto IFFI

ABT Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino del Tevere

ABLG Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano

SIRDIS Codice copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio

Pagina 70

QUOTA Quota in metri s.l.m. corrispondente al punto più alto di coronamento del fenomeno franoso

PENDENZA Indica il grado di ripidità del versante

Selezione che esclude le frane ricadenti in condizioni di pendenza inferiori ad 8°, condizione riconosciuta come SELEZ necessaria all’innesco dei fenomeni franosi. In tabella il SI indica le pendenze uguali o superiori ad 8° e il No le pendenze inferiori ad 8°. TIPO-PUNTI Tipologia punti (PA= punti a quota più alta del coronamento)

Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o ID_FRANA traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Aggiornamento dei dissesti franosi su base ortofoto 2008 del Ministero dell’Ambiente (NU= nuovo areale di dissesto, Agg_2008 MO= modifica perimetrazione dissesto, NO= dissesto non modificato).

Frane_Punti_Isolati = copertura delle frane puntuali non associate ad un poligono; in genere si tratta di dissesti non cartografabili interessati da limitati fenomeni di deformazione superficiale.

CAMPO DESCRIZIONE

TIPOLOGIA Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

ATTIVITA’ Descrizione dello stato del dissesto (attivo o quiescente)

IFFI Codice copertura dei dissesti del Progetto IFFI

ABT Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino del Tevere

ABLG Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano

CATASTO Codifica pratica archivio Provincia di Roma (Numero sezione CTR+numero pratica, es. : 375160L0015)

SIRDIS Codice copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio

QUOTA Quota in metri s.l.m. corrispondente al punto più alto di coronamento del fenomeno franoso

PENDENZA Indica il grado di ripidità del versante

Selezione che esclude le frane ricadenti in condizioni di pendenza inferiori ad 8°, condizione riconosciuta come SELEZ necessaria all’innesco dei fenomeni franosi. In tabella il SI indica le pendenze uguali o superiori ad 8° e il No le pendenze inferiori ad 8°.

Pagina 71

Tipologia punti (PA= punti a quota più alta del coronamento, PR=punti archivio catasto Provincia di Roma, PI= punti TIPO-PUNTI isolati non cartografabili)) Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o ID_FRANA traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

OGGETTO Descrizione della segnalazione o tipologia del dissesto

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Punti_instabili = copertura puntuale per la quale sono stati cartografati tutti i punti a quota più alta di coronamento per i fenomeni areali, per i fenomeni puntuali dell’archivio provinciale e dei catasti acquisiti, con associata l’informazione della quota in metri s.l.m., la tipologia di frana individuata, il codice IFFI, il codice regionale associato e l’unità litotecnica del punto di distacco, ove è stato possibile stabilire una corrispondenza o anche una correlazione tra le codifiche dei catasti di dissesto esistenti. Per tutti è stato indicato lo stato, se attivo o quiescente. I punti instabili rappresentano le frane con pendenza uguale o superiore ad 8°, condizione riconosciuta come necessaria all’innesco dei fenomeni franosi ed utilizzati per l’analisi della suscettibilità.

CAMPO DESCRIZIONE

TIPOLOGIA Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

ATTIVITA’ Descrizione dello stato del dissesto (attivo o quiescente)

IFFI Codice copertura dei dissesti del Progetto IFFI

ABT Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino del Tevere

ABLG Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano

CATASTO Codifica pratica archivio Provincia di Roma (Numero sezione CTR+numero pratica, es. : 375160L0015)

SIRDIS Codice copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio

QUOTA Quota in metri s.l.m. corrispondente al punto più alto di coronamento del fenomeno franoso

PENDENZA Indica il grado di ripidità del versante

Selezione che esclude le frane ricadenti in condizioni di pendenza inferiori ad 8°, condizione riconosciuta come SELEZ necessaria all’innesco dei fenomeni franosi. In tabella il SI indica le pendenze uguali o superiori ad 8° e il No le pendenze inferiori ad 8°.

Pagina 72

Tipologia punti (PA= punti a quota più alta del coronamento, PR=punti archivio catasto Provincia di Roma, PI= punti TIPO-PUNTI isolati non cartografabili)) Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o ID_FRANA traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Aggiornamento dei dissesti franosi su base ortofoto 2008 del Ministero dell’Ambiente (NU= nuovo areale di dissesto, Agg_2008 MO= modifica perimetrazione dissesto, NO= dissesto non modificato).

Punti_Q_Pend = copertura puntuale per la quale sono stati cartografati tutti i punti a quota più alta di coronamento per i fenomeni areali con associata l’informazione della quota in metri s.l.m. (punti alto), i punti instabili e i punti isolati.

CAMPO DESCRIZIONE

TIPOLOGIA Descrizione tipologia frana secondo la classificazione di “Varnes”

ATTIVITA’ Descrizione dello stato del dissesto (attivo o quiescente)

IFFI Codice copertura dei dissesti del Progetto IFFI

ABT Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino del Tevere

ABLG Codice copertura dei dissesti dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano

CATASTO Codifica pratica archivio Provincia di Roma (Numero sezione CTR+numero pratica, es. : 375160L0015)

SIRDIS Codice copertura dei dissesti dell’archivio SIRDIS della Regione Lazio

QUOTA Quota in metri s.l.m. corrispondente al punto più alto di coronamento del fenomeno franoso

PENDENZA Indica il grado di ripidità del versante

Selezione che esclude le frane ricadenti in condizioni di pendenza inferiori ad 8°, condizione riconosciuta come SELEZ necessaria all’innesco dei fenomeni franosi. In tabella il SI indica le pendenze uguali o superiori ad 8° e il No le pendenze inferiori ad 8°. Tipologia punti (PA= punti a quota più alta del coronamento, PR=punti archivio catasto Provincia di Roma, PI= punti TIPO-PUNTI isolati non cartografabili)) Numero identificativo del tipo frana (1= Crollo - Ribaltamento; 2= Scorrimento rotazionale; 3=Scorrimento traslativo o ID_FRANA traslazionale; 4= Colata lenta; 5= Colata rapida; 6= Area interessata da deformazione superficiale lenta (soliflusso); 7= Crollo per causa antropica in area urban)

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

Pagina 73

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Aggiornamento dei dissesti franosi su base ortofoto 2008 del Ministero dell’Ambiente (NU= nuovo areale di dissesto, Agg_2008 MO= modifica perimetrazione dissesto, NO= dissesto non modificato).

Geologia = copertura poligonale dei temi geologici costruita digitalizzando in formato vettoriale i fogli del PROGETTO CARG e inserendo in banca dati tutti gli elementi costitutivi delle formazioni geologiche al fine di avere una caratterizzazione delle unità geologiche conformi alle norme CARG del Servizio Geologico Nazionale. Le attività descritte hanno reso possibile completare l’acquisizione dei temi geologici e realizzare in formato vettoriale la carta geologica per la porzione di territorio oggetto di studio.

CAMPO DESCRIZIONE

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Litotecnica = copertura poligonale dei temi litotecnici; sulla base delle informazioni acquisite nei precedenti progetti pilota e all’analisi della descrizione delle formazioni geologiche cartografate, è stato possibile elaborare una “legenda litotecnica” e una tabella di corrispondenza tra unità geologiche e unità litotecniche, sulla base delle caratteristiche meccaniche delle formazioni affioranti nell’area di studio.

CAMPO DESCRIZIONE

COD_CARG Codifica legenda di campagna cartografia geologica CARG

SIGLA_CARG Sigla ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

DESCR_CARG Definizione ufficiale della formazione o unità geologica della cartografia “CARG”

COD_LITO Codifica cartografia litotecnica

TIPO_LITO Tipologia litotecnica derivante dalla cartografia litotecnica

Pagina 74

DESCR Descrizione del tipo litotecnico derivante dalla cartografia litotecnica

COMP Comportamento litotecnico dei terreni

Uso_Suolo = copertura poligonale dell’uso del suolo. Per la sua definizione è stata acquisita la copertura vettoriale della Regione Lazio del 2003 alla scala 1:25.000, con la classificazione dell’uso del suolo al 4° livello del CORINE LAND COVER.

CAMPO DESCRIZIONE

DESCRIZION Definizione ufficiale del tipo uso suolo derivante della classificazione Corine Land Cover

CODUSOSUOL Codifica cartografia dell’uso del suolo

COD Codifica cartografia dell’uso del suolo

Area Superficie dell’elemento uso del suolo espressa in metri quadrati

Hectares Superficie dell’elemento uso del suolo espressa in ettari

Giaciture = copertura puntuale degli elementi giaciturali presenti nella cartografia geologica CARG e SGI. La rappresentazione grafica nel progetto GIS è la seguente:

CAMPO DESCRIZIONE

DGC_CODICE DIREZ Indicata dall'angolo che una linea orizzontale che giace sul piano forma con la direzione del Nord IMMERS E’ la direzione verso cui la superficie immerge, misurata sul piano azimutale. PENDENZA E’ l'angolo che il piano forma con il piano orizzontale. rotaz Rotazione legata alla rappresentazione cartografica

Pagina 75

9 Conclusioni

Le UTLM e le carte della suscettibilità sono state elaborate, per tipologia di frana, seguendo la metodologia messa a punto nel progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre e integrata nel secondo progetto “Franarisk_RM2” redatto da Geomap s.r.l.. In particolare, per le caratteristiche geologiche e geomorfologiche del territorio in esame si è fatto espressamente riferimento al progetto “Franarisk_RM2”, prendendo come riferimento le modifiche effettuate alla metodologia dell’Università Roma TRE, date le caratteristiche simili dell’area di studio, contigua a quella del progetto indicato. Per quanto riguarda la metodologia, si deve osservare che i fattori che entrano nelle elaborazioni derivano da un'analisi delle occorrenze dei fenomeni di dissesto rilevati nell'area studiata, rispetto ai parametri discriminanti e predisponenti, i quali dipendono dalle condizioni geologiche, geomorfologiche e di copertura del suolo dell'area stessa. Ciò significa che, sia gli indici che i pesi dei parametri che entrano nella valutazione, sono influenzati dalle predette condizioni. L'area che viene considerata in questo rapporto e per la quale sono stati prodotti gli elaborati inseriti nel progetto "Franarisk_RM3 " è in parte localizzata nel complesso vulcanico dei Colli Albani, con condizioni geologiche e geomorfologiche relativamente uniformi e diverse dalle condizioni del settore settentrionale, costituite dalle formazioni calcaree appenniniche dei monti Prenestini. L’area vulcanica è caratterizzata da un assetto morfologico a bassa pendenza con vallecole incise dal reticolo idrografico e caratteristiche geologiche, litologiche e meccaniche a scarsa coesione. Date queste caratteristiche di pendenza e di litologia, i fenomeni di dissesto rilevati e cartografati sono limitati come numero e caratterizzati in prevalenza dalla tipologia di deformazione superficiale lenta (soliflusso). Nell’area dei complessi sedimentari carbonatici appenninici cambiano le condizioni di assetto geologico-geomorfologico, con versanti a pendenza elevata, zonazione per sistema di faglie e per dominio strutturale che influenzano l’analisi della suscettibilità, con parametri predisponenti di diverso peso rispetto all’apparato vulcanico. La suscettibilità ai fenomeni franosi, che rappresenta il prodotto principale del progetto, è in realtà costituita da sei layer, ciascuno corrispondente ad una tipologia di dissesto: crollo, scorrimento rotazionale, scorrimento traslazionale, colata lenta, colata rapida e soliflusso. All'interno di ciascun layer, la propensione del territorio a mettere in atto una determinata tipologia di fenomeno franoso è divisa in 5 classi: nulla, bassa, media, elevata e molto elevata. Questi layer, prodotti a un livello di dettaglio corrispondente alla scala 1:10.000 degli strati informativi, forniscono indicazioni attendibili sulla distribuzione della suscettibilità al livello del territorio, ma non possono essere utilizzati per interventi alla scala di sito localizzato. Per questi, infatti, devono essere condotte indagini puntuali in maniera tale da individuare le opere più appropriate, in funzione delle condizioni locali di pericolosità e della vulnerabilità dei beni da proteggere. Più in particolare, le analisi devono prevedere l’identificazione delle cause della franosità locale sulla base di rilevamenti di dettaglio di ordine geologico, geomorfologico, litotecnico, idrogeologico (es. grado di fratturazione degli ammassi rocciosi, caratterizzazione puntuale degli assetti giaciturali, caratteristiche geotecniche delle coperture e del substrato, individuazione della presenza e delle caratteristiche di

Pagina 76

falde acquifere sospese e/o in pressione ecc.) integrati da opportune analisi di laboratorio. Ciò premesso e facendo riferimento alla scala del lavoro utilizzata nell’ambito dello studio, per le diverse classi di suscettibilità è possibile fornire alcune indicazioni principali in merito alla possibilità/opportunità di intervento ai fini del controllo dei fenomeni franosi. Aree a suscettibilità molto elevata In queste aree sono fortemente sconsigliate:  la realizzazione di nuove opere progettuali (edifici, strade ecc.);  la fruizione naturalistica, culturale, educativa e ricreativa (nel caso di fenomeni franosi rapidi). Al loro interno sono raccomandati:  interventi di demolizione senza ricostruzione;  interventi volti a ridurre la vulnerabilità degli edifici esistenti e a migliorare la tutela della pubblica incolumità, senza cambiamenti di destinazione d’uso che comportino aumento del carico urbanistico;  interventi di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi. Aree a suscettibilità elevata In queste aree sono sconsigliate:  la realizzazione di nuove opere progettuali, fatta eccezione per quelle di rilevante importanza socio-economica e previa approfondite indagini geologiche, geomorfologiche e geotecniche alla scala locale;  la fruizione naturalistica, culturale, educativa e ricreativa (nel caso di fenomeni franosi rapidi). Al loro interno sono raccomandati:  interventi di demolizione senza ricostruzione, fatta eccezione per le opere di rilevante importanza socio-economica;  interventi volti a ridurre la vulnerabilità degli edifici esistenti e a migliorare la tutela della pubblica incolumità;  interventi di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi. Aree a suscettibilità media e bassa In queste aree la realizzazione di nuove opere progettuali (edifici, strade ecc.) è possibile, ma dovrebbe essere comunque preceduta da una analisi geologico- geomorfologica preliminare a scala di grande dettaglio, seguita, ove necessario, da indagini geognostiche e geotecniche. Aree a suscettibilità nulla L’uso di queste aree non è soggetto a particolari limitazioni, con riferimento al possibile impatto di fenomeni franosi. Fanno eccezione le strette fasce al piede di versanti ripidi e scarpate raggiungibili dai materiali mobilitati da frane a evoluzione rapida (crolli e colate di detrito). Riguardo agli eventuali interventi volti a ridurre i livelli di rischio rispetto agli elementi esposti, si possono considerare le seguenti due categorie di situazioni.

Pagina 77

Fenomeni a rapida evoluzione (crolli e colate rapide) Dall’analisi a scala 1:10.000, il rischio relativo ai crolli è elevato sia in corrispondenza della rete viaria (a causa della frequente presenza di tagli artificiali), che in corrispondenza dei principali contatti tettonici, specialmente in prossimità dei centri abitati. Le opere di mitigazione in questo caso devono essere di tipo strutturale (reti paramassi, tiranti ecc.). Nel caso delle colate di detrito, le opere di mitigazione vanno finalizzate al miglioramento del fattore di sicurezza del versante attraverso l'incremento della resistenza al taglio dei terreni e la diminuzione degli sforzi. Particolarmente raccomandate sono la regimazione delle acque di ruscellamento superficiale e le opere di ingegneria naturalistica comprendenti tra l’altro l’impianto di specie arbustive capaci di ridurre l’infiltrazione superficiale e di consolidare il suolo. Fenomeni a lenta evoluzione (scorrimenti rotazionali, scorrimenti traslativi, colate lente, soliflusso) Anche in questo caso sono raccomandabili gli interventi di regimazione delle acque superficiali e le opere di ingegneria naturalistica. Qualora dagli studi di dettaglio emergano condizioni d'instabilità per cui questi ultimi interventi risultino inadeguati (come ad esempio nel caso di piani di scorrimento profondi che determinino scenari di rischio potenziale su insediamenti e infrastrutture esistenti e di progetto), potrà essere necessario impiegare tecniche di consolidamento convenzionali, previa analisi di impatto ambientale. Nell’ambito dello studio, alle indagini sopra esposte è stata affiancata un'indagine storico-archivistica con lo scopo di individuare le eventuali relazioni esistenti tra i fenomeni di dissesto ed i fattori d'innesco, considerando come fattori d’innesco la piovosità e la sismicità, e definire curve di risposta del terreno al fine di stimare le probabilità del verificarsi di un dissesto al verificarsi di specifiche condizioni. A causa della scarsa disponibilità del dato relativo alla localizzazione temporale degli eventi considerati, i risultati di tale indagine non si ritengono di particolare significatività. La carenza del dato temporale ha condizionato sia le valutazioni in merito agli eventi piovosi, che quelle riferite agli eventi sismici. Nel secondo caso, alla scarsità di dati si aggiunge il basso grado di sismicità caratterizzante l’area, definibile in generale moderato. Quanto sopra osservato, rende evidente l’importanza che riveste la corretta catalogazione di un evento naturale, ai fini della possibilità di utilizzo dei dati ad esso associati. Per tale motivo, si ritiene indispensabile che qualunque organismo sia preposto alla raccolta dei dati e alla catalogazione dei fenomeni di dissesto gravitativo, soprattutto se funzionali ad un'analisi della suscettibilità e del rischio, non possa prescindere dalla datazione, la più precisa possibile, dell'evento censito.

Pagina 78