Luigi Maria Sanguineti

VitaVita privataprivata didi grandigrandi personalitàpersonalità allaalla luceluce didi astrologia,astrologia, grafologiagrafologia ee storiastoria

Federico II, Carlo V, Pietro il Grande, Caterina II di Russia...... ….....Churchill, Hitler, Mussolini, Roosvelt, Lenin...... Richelieu, Robespierre, Lucrezia Borgia, Napoleone I ...... Garibaldi, Cavour, Vitttorio Ermanuele II....Gandhi, Teresa d'Avila, , Lutero, Pascal......

Pubblicato col patrocinio di Guida alla vita www.guidamorale.it Avvertenze:

- Il lettore troverà alcune “personalità” senza biografia, altre senza analisi grafologica, altre ancora senza analisi astrologica: scorrendo l'indice, si renderà conto delle lacune che l'Opera presenta ( lacune che, nelle speranze dell'Autore, non dovrebbero essere considerate talmente gravi da portare a un calo di interesse per l'Opera ). - Per le analisi grafologiche ci si è lasciati guidare dai bei libri di Padre Moretti, I grandi dalla scrittura , I santi dalla scrittura . A Padre Moretti si è ritenuto di fare riferimento, non solo perché si tratta di una riconosciuta autorità in campo grafologico, ma anche perché le sue “analisi” hanno questo di particolare : che, di massima, sono state da Lui elaborate, sapendo, sì , naturalmente , che la grafia sottoposta al suo esame era di un “grande”, ma ignorando la sua precisa identità : tali analisi danno quindi, ci pare, una particolare garanzia di obiettività - Quando nelle analisi astrologiche il lettore troverà delle parole “virgolettate” , ma senza l’indicazione dell’autore e dell’opera da cui sono tratte, deve intendere , come autore , il Sementovsky Kurilo e , come opera , il suo Trattato di astrologia . Va altresì detto che le “interpretazioni” così riportate sono state elaborate dal Sementovsky in via generale, cioè senza nessun specifico riferimento alle “personalità” in quest’opera trattate. - Gli oroscopi di Luigi XIV, Luigi XVI, Enrico IV, Caterina dei Medici , Richelieu, Robespierre, sono tratti dal bel libro del Barbault , Trattato pratico di astrologia. (editore, Astrolabio). Infatti alla fine di questo libro l’Autore dà numerosi esempi di interpretazione di un tema natale, con riferimento a importanti uomini politici della Francia , dimostrando , non solo la sua riconosciuta competenza in materia astrologica , ma una insospettata conoscenza della storia e degli aspetti intimi della vita dei grandi protagonisti della vita politica francese. Ne risulta una lettura interessantissima. Indice

Sezione prima : Vite di otto grandi Sovrani

Pietro il Grande Biografia...... Oroscopo...... Caterina II di Russia Biografia...... Oroscopo...... Alessandro I di Russia Biografia...... Oroscopo...... Carlo V Biografia...... Oroscopo...... Federico II di Prussia Biografia...... Oroscopo...... Analisi grafologica...... Enrico IV di Francia Biografia...... Oroscopo...... Analisi grafologica...... Caterina dei Medici Biografia Oroscopo Maria Teresa D'Austria Biografia...... Oroscopo......

Sezione Seconda : Vita di nove grandi personalità spirituali

Aurobindo Biografia...... Gandhi Biografia...... Oroscopo...... Analisi grafologica...... Gurdjieff Biografia...... Oroscopo...... Ignazio di Loyola Biografia...... Prabhupada Biografia...... Ramakrishna Biografia...... Ramana Maharishi Biografia...... Steiner Biografia...... Oroscopo...... Teresa D'Avila Biografia......

Sezione terza : Appunti biografici e oroscopo di cinque grandi statisti

Churchill Appunti biografici...... Oroscopo...... De Gaulle Appunti biografici...... Oroscopo...... Francisco Franco Appunti biografici...... Oroscopo...... Hitler Appunti biografici...... Oroscopo...... Lenin Appunti biografici...... Oroscopo...... Roosvelt Appunti biografici...... Oroscopo......

Sezione quarta : Oroscopo e analisi grafologica di sedici grandi personalità.

Mussolini Oroscopo...... Analisi grafologica...... Cavour Oroscopo...... Analisi grafologica...... Carlo Alberto Oroscopo...... Analisi grafologica...... Garibaldi Oroscopo...... Analisi grafologica...... Pio IX Oroscopo...... Analisi grafologica...... Richelieu Oroscopo...... Analisi grafologica...... Robespierre Oroscopo...... Analisi grafologica...... Luigi XIV Oroscopo...... Analisi grafologica...... Luigi XVI Oroscopo...... Analisi grafologica...... Napoleone I Oroscopo...... Analisi grafologica...... Napoleone III Oroscopo...... Analisi grafologica...... Lucrezia Borgia Oroscopo...... Analisi grafologica...... Elisabetta I D'Inghilterra Oroscopo...... Analisi grafologica...... Calvino Oroscopo...... Analisi grafologica...... Lutero Oroscopo...... Analisi grafologica...... Pascal Oroscopo...... Analisi grafologica...... Sezione prima Vita di otto grandi sovrani Pietro il Grande

Biografia

I russi del diciassettesimo secolo erano abituati a pensare al loro sovrano come a una creatura quasi divina . Un loro proverbio diceva, “Un unico sole splende in cielo, lo Zar di Russia sulla terra” . Pur infinitamente distante, lo zar si preoccupava dei bisogni del suo popolo con sollecitudine e amore : egli ne era il batijuska , il padre ; e, naturalmente, come un padre doveva essere ubbidito, senza limitazioni : perché “chi può limitare l’autorità di un padre se non Dio ?”. Immediatamente dopo lo zar, c’erano i “boiari” . Termine con cui il popolo si riferiva ai membri della più elevata nobiltà e della più alta burocrazia . Più sotto c’era l’aristocrazia minore ; più sotto ancora, la borghesia, e infine, alla base della piramide, c’erano i contadini e gli schiavi della gleba, che costituivano la stragrande maggioranza del popolo russo . Nel terzo quarto del diciassettesimo secolo, il ruolo di zar era ricoperto da Alessio, secondo della dinastia Romanov . Alessio era il più calmo, il più gentile, il più pio di tutti gli zar . Spesso digiunava ( 8 mesi su 12 calcolò un medico, che ne frequentava la Corte ) ; e, quando digiunava, si nutriva solo di pane di segala e si dissetava solo con vino leggero e birra . La moglie Maria, della potente famiglia dei Miloslavkain, lo aveva lasciato vedovo quand’egli aveva solo quarant’anni . Maria aveva dati al suo augusto sposo ben quattordici figli, ma quasi tutti erano morti in tenera età . Solo due dei suoi figli maschi, alla sua morte, sopravvivevano, Fedor e Ivan . Però Fedor, di dieci anni, era molto gracile e Ivan, di tre anni, era già quasi cieco e aveva un grave difetto di parola : nessuno dei due bambini sembrava insomma in grado di continuare la dinastia dei Romanov ; e ciò rendeva opportuno che Alessio prendesse una seconda moglie . Questa fu trovata da Alessio dopo che già da un anno era vedovo . Lo zar passava sovente le serate in casa del suo primo ministro e caro amico, Artamon Matvcev ; un uomo colto, che aveva sposata una scozzese ed era affascinato dalla cultura occidentale . Ora in casa di Matvcev era ospitata una giovane donna, Natalia Naryskin : la figlia di un proprietario terriero di origine tartara, che, per evitarle la piatta vita della nobiltà di campagna, aveva chiesto al suo amico Matvcev di prenderla sotto la sua protezione e di portarla a respirare l’atmosfera di cultura e libertà, che caratterizzava la sua casa . L’ipocondriaco e depresso Alessio fu colpito e attratto da questa giovane donna : dalla sua bellezza, dal suo corpo sano, dal suo sguardo vivo e brillante, dai suoi occhi ( a mandorla ), dal suo comportamento semplice e sereno, dal buon senso delle sue risposte : la sposò . E fu, questo, un matrimonio felice: la giovane donna dai lunghi capelli neri infondeva al serio e austero zar un senso di serenità e di calma. Egli la voleva sempre accanto a sé e la portava con sé ovunque andasse . La felicità dei due sposi fu piena quando il 30 maggio 1672, all’una del mattino, Natalia partorì un maschietto dal bel colorito roseo, sano, gli occhi neri, vagamente “tartari” come quelli della madre, un ciuffo di capelli castani . Gli fu dato il nome dell’apostolo, Pietro .

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Il matrimonio di Alessio e Natalia durò poco : solo cinque anni : il tempo perché Natalia desse al suo zar un altro figlio, una bambina a cui fu dato il nome di Natalia ( e a cui Pietro sarà sempre affezionatissimo ) . L’8 febbraio 1676, quando Pietro aveva solo 3 anni e mezzo, lo zar Alessio, all’ancor giovane età di quarantasette anni, morì, in seguito ad una banale infreddatura . Con la morte del padre, cambiò anche la situazione di Pietro . Era stato fino ad allora l’adorato figlio d’un padre innamorato della madre , d’un tratto divenne…..un problema politico. Infatti ad Alessio successe Fedor, il figlio della prima moglie, Maria Miloslavkaja ; e ciò comportò un “cambio della guardia” al Cremlino : i posti di potere passarono dal clan dei Nariyskin ( si ricordi che la seconda moglie di Alessio era una Nariyskin ) al clan dei Miloslavskain : e le speranze dei primi di ribaltare nuovamente la situazione poggiavano solo sulla vita e sull’ascesa al trono di Pietro : insomma, questi diventava il punto di riferimento di un partito avverso, se non allo zar, alla famiglia dello zar . Come si comportò questi verso il suo potenziale rivale ? Con umanità e senso di giustizia : si preoccupò del suo benessere fisico, provvide alla sua educazione . Ma Fedor, dopo soli sei anni di regno, morì precocemente e senza lasciare figli . E ciò rese drammatica e attuale la soluzione del problema politico, a cui prima accennavamo : due infatti erano i possibili candidati alla successione : Ivan, il secondo figlio di primo letto di Alessio, e Pietro, il suo unico figlio di secondo letto . Ivan era più vecchio di sei anni di Pietro e a rigore avrebbe dovuto essere lui lo zar , però era quasi cieco, zoppicava e stentava a parlare ; Pietro invece era sveglio e pieno di salute . Il patriarca Gioacchino, i vescovi, i boiari discussero animatamente su quale dei due fanciulli dovesse mettersi sul trono ; ma senza mettersi d’accordo . Per cui il patriarca interpellò il “popolo”, cioè la folla che sostava, in attesa del nuovo zar, davanti al palazzo imperiale : “Lo zar Fedor Alekscevic di venerata memoria è morto . Non lascia altri eredi che i fratelli, lo zarevic Ivan Alekscevic e lo zarevic Pietro Alekscevic . A quale di questi due principi affidate il potere ?” . I più risposero : “A Pietro Alekscevic” : la scelta era fatta . Quando il patriarca, tornato all’interno del palazzo, pregò il decenne Pietro di essere il nuovo zar, questi, arrossendo, rifiutò, dicendo che era troppo giovane e che suo fratello avrebbe governato meglio . Ma il patriarca insistette : “Signore, non rifiutate la nostra richiesta” ; e Pietro accettò : egli sarebbe stato il nuovo zar, la madre sarebbe stata la reggente e Matvcev ( il vecchio protettore della madre ) avrebbe di fatto governato la Russia . Così avrebbe dovuto avvenire e così sarebbe avvenuto, se non ci fosse stata…la zarevna Sofia .

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Sofia era sorella di Ivan, più precisamente era la terzogenita delle otto figlie, che lo zar Alessio aveva avute dalla prima moglie . Il suo destino sarebbe dovuto essere quello di tutte le figlie e sorelle di uno zar ; che, non potendo sposarsi né con una persona di condizione sociale inferiore né con uno straniero, vivevano, praticamente recluse come monache, nel terem ( cioè in una sorta di gineceo, un complesso di locali situati nella parte più tranquilla della casa, riservato solo alle donne ) . Ma Sofia era una donna eccezionale . Quand’era ancora bambina riuscì a persuadere il padre, lo zar Alessio, a infrangere per lei la tradizione del terem e a permetterle di assistere alle lezioni del fratello Fedor . La sua superiore eccellenza non mancò di essere ben presto notata ; e tanto apprezzata che, quando il fratello divenne lo zar, spesso veniva ammessa alle riunioni in cui si discutevano le più gravi questioni di politica . Inutile dire che la morte di Fedor e l’ascesa al trono del fratellastro Pietro, furono vissute da Sofia come due eventi catastrofici : la madre del nuovo zar, la zarina Natalia, che la detestava, senza dubbio l’avrebbe relegata nella soffocante clausura del terem . Ciò che evitò alla zarevna tale squallida fine fu un terribile evento ( non si sa fino a che punto provocato dalla zarevna stessa ) ; e con ciò ci riferiamo alla rivolta degli strelizi . Gli strelizi erano un corpo di soldati di professione creato da Ivan il Terribile . Per la maggior parte era formato da gente del popolo, che, pregiudizialmente contraria ad ogni innovazione e riforma, si sentiva investita dalla funzione di custode, della tradizione, della Chiesa Ortodossa, del patriarca e dello zar . Questa truppa, in tempo di pace, montava la guardia al Cremlino ed era acquartierata in Mosca . Ora tra di essa fu fatta correre la voce ( da chi ? da Sofia ? non si hanno prove certe ) che il clan dei Nariyskin ( il clan a cui, si ricordi, apparteneva il neoeletto zar Pietro ) , dopo aver ucciso lo zar Fedor e sottratta la corona al suo legittimo successore, Ivan, tramava per aprire la Santa Russia all’influenza occidentale e per umiliare la Chiesa Ortodossa . Scoppiò incontenibile la rivolta (maggio del 1682 – età di Pietro, anni 10 ) : migliaia di strelizi entrarono nel Cremlino e, nello spaventoso massacro che ne seguì, moltissimi del clan nariyskin, tra cui Matvcev, trovarono la morte . I principali esponenti del partito avverso uccisi, Sofia si trovò spianata la strada al potere supremo . A cui giunse rapidamente, ma per gradi . Gli strelizi ( sobillati da chi? da Sofia ? è ben possibile ! ) chiesero, una decina di giorni dopo la loro vittoriosa rivolta, che anche Ivan fosse nominato zar .Quindi due sarebbero stati gli zar : Ivan, primus inter pares, e Pietro. Il patriarca, gli arcivescovi e i boiari riuniti in assemblea presero in esame la richiesta degli strelizi e…l’accolsero ( come avrebbero potuto dir di no a quella strapotente milizia ?!) . Ma entrambi i nuovi zar erano troppo giovani : occorreva nominare un reggente. Chi poteva essere ? La risposta a tale domanda la impose una (nuova ) delegazione di strelizi che, presentatasi alla Corte, “chiese” che reggente fosse nominata Sofia . Patriarca, arcivescovi, boiari (naturalmente!) acconsentirono a tale richiesta ( fatta da soldati che avevano ancora le mani sporche del sangue di chi aveva osato ostacolarli ) . Sofia aveva così raggiunto il suo scopo : per sette anni questa donna eccezionale governerà la Russia . Quanto a Pietro, egli conservò durante tutti i giorni del massacro, giorni che vedevano la sua stessa vita in pericolo, un’ammirevole calma . Quando la madre, per smentire le voci che dicevano Ivan assassinato, su suggerimento dei Boiari, si presentò alla soldataglia , tenendo, per una mano, Ivan e, per l’altra, Pietro, essa era terrorizzata e le sue mani tremavano, ma Pietro, a suo lato, non rivelò alcun timore e fissò uno sguardo fermo e tranquillo sui soldati inferociti . E tuttavia lo spettacolo della primitiva ferocia di questi non lo abbandonerà mai ; e spiega, non solo la spietata vendetta che, una volta diventato maggiorenne, su di loro si prese, ma altresì perché egli non amò mai Mosca e a tale città preferì, come capitale del suo impero, Pietroburgo (la città da lui stesso fondata sul baltico ) . Secondo alcuni, va attribuito alla tensione accumulata in quei terribili giorni anche un disordine nervoso di carattere epilettico, che, come diremo meglio dopo, lo afflisse nella maggiore età.

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Durante la reggenza di Sofia, i rapporti tra questa e Pietro furono corretti e formalmente cortesi : la reggente si preoccupò dell’educazione di Pietro e cercò di venire incontro alle sue necessità e anche a quei desideri, che potevano sembrarle infantili ( ad esempio, quando Pietro le chiese dei soldati per quei suoi “giochi di guerra” , di cui poi parleremo, essa senza difficoltà glieli fece avere ) . Improntati, poi, addirittura ad amicizia e tenero affetto furono i rapporti tra Pietro e il fratellastro Ivan . E ciò, nonostante che (o forse, proprio perché) i loro temperamenti fossero - così come risulta dalla seguente descrizione di una cerimonia ufficiale, trasmessaci da un frequentatore della Corte moscovita – diametralmente opposti : “Entrambe le loro maestà sedevano (….) sopra un trono d’argento, che somigliava a una cattedra vescovile, alquanto rialzato e coperto di panno rosso (….) Il più anziano dei due si tirò più d’una volta il berretto fin sugli occhi e, con lo sguardo abbassato sul pavimento, sedeva pressoché immoto . Il più giovane aveva il volto franco e aperto e il giovane sangue gli saliva alle guance ogni qualvolta qualcuno gli rivolgeva la parola. Si guardava continuamente in giro e la sua grande bellezza e i suoi modi vivaci – che talvolta lasciavano sconcertati i magistrati moscoviti – ci colpirono tutti, al punto che, se fosse stato un giovane qualsiasi e non un personaggio imperiale, saremmo stati lieti di ridere e discorrere con lui (…) Quando l’ambasciatore svedese consegnò le proprie credenziali, entrambi gli zar si levarono dai loro posti (…) ma Ivan, il maggiore, intralciò un poco la cerimonia poiché non capiva quanto stava succedendo e porse la mano al bacio al momento sbagliato . Pietro era così impaziente da non lasciare ai segretari il tempo abituale di sollevare lui e il fratello dai rispettivi seggi e toccarli sulla testa . Balzò in piedi di scatto, si portò la mano al copricapo e cominciò a formulare subito la domanda di rito : “Sua maestà reale Carlo di Svezia è in buona salute ?” . Lo dovettero tirare indietro affinché il fratello maggiore avesse la possibilità di parlare” .

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Durante la reggenza di Sofia, la madre di Pietro, volle allontanarsi dal Cremlino ( e dalla presenza di Sofia, che odiava ) e si trasferì a Preobrazensko , una villa distante 5,6 chilometri da Mosca, posta nelle vicinanze di un fiume e circondata da prati e foreste . Nel tempo in cui abitò a Preobrazensko, Pietro, libero da gravosi impegni di governo, poté soddisfare quella che era una sua caratteristica esigenza : un’insaziabile curiosità . Egli voleva conoscere ; ma non le cose astratte insegnate nei libri ( egli non amò mai né il leggere né la cultura libresca – e, di conseguenza, anche in età adulta la sua ortografia e la sua grammatica rimasero inammissibilmente difettose ), bensì le concrete conquiste della tecnica e dell’arte umana . Pietro voleva sapere come funzionavano le cose ( com’è possibile che una nave riesca a sfruttare col gioco delle vele anche il vento contrario ? come può una persona misurare, col sestante, la distanza di un punto senza muoversi ?… ) . Amava soprattutto entrare nelle botteghe e nelle officine, osservare come lavoravano gli artigiani e, poi, presi nelle sue grandi mani i loro strumenti, cercare di imitarli . E li imitava con successo . Procuratosi un bancone da falegname, imparò a maneggiare con maestria asce, scalpelli, martelli e chiodi . Diventò muratore . Si fece insegnare la difficile arte di lavorare al tornio e divenne un ottimo tornitore, prima in legno e, più tardi, anche in avorio . Apprese come si stampavano i libri e come si rilegavano . Come molti fanciulli della sua età, anche Pietro amava i “giochi di guerra” . Ma anche questi giochi egli non li faceva solo per divertirsi : giocandoli voleva imparare : imparare il mestiere di soldato ( come si scava una trincea, come si manovra, come si spara il fucile e il cannone, come si assalta un fortino…) . E, convinto com’era ( e come restò sempre ) che, per imparare un mestiere, bisogna iniziare “dalla gavetta” , non pretese ( stoltamente ) il comando, ma volle partecipare alla “vita militare” al più basso livello : come tamburino ( e il tamburo, anche in seguito, rimase la sua passione) . E nessuna distinzione voleva che si facesse tra sé e gli altri : dormiva sotto le stesse tende e mangiava lo stesso cibo degli altri suoi “commilitoni” , come loro montava la guardia e scavava trincee . Peraltro, questi giochi di guerra divennero, col crescere di Pietro, sempre più realistici ed elaborati e sempre più aumentò col tempo il numero delle persone, che vi erano coinvolte come ufficiali e come soldati . Così che quando Pietro entrò, come subito diremo, in conflitto aperto con la sorellastra Sofia, egli poté contare sull’appoggio di due reggimenti di trecento uomini ciascheduno perfettamente addestrati (da ufficiali occidentali ) ; cosa che contribuì non poco alla sua vittoria .

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Mentre Pietro conduceva vita spensierata, Sofia regnava . E regnava bene, dato che, come già detto, era donna intelligente e di carattere fermo . Però il suo era un regno “a termine”, destinato a cessare con la maggiore età di Pietro. Lei lo sapeva e, ambiziosa com’era, non se ne dava pace . Tentò di ritagliarsi un ruolo alla pari con Ivan e con Pietro (non più reggente, ma coreggente ) : si appropriò ( indebitamente ) del titolo di “autocrate”, fece circolare tra le Corti estere suoi ritratti, che la raffiguravano ( di nuovo indebitamente ) con le insegne della regalità ( scettro e corona ) . Dovette però accorgersi che né gli strelizi né la Chiesa Ortodossa avrebbero tollerato, oltre ad Ivan e a Pietro, un terzo zar e per di più donna . Sofia si preparò allora a fare un colpo di stato per detronizzare Pietro ( o Pietro e Ivan insieme ) ? Non si sa . Certo vi era tra i suoi amici chi coltivava tale disegno . E, a poco a poco, si formarono in Russia due partiti : il partito della reggente Sofia e quello dello zar Pietro . E vale la pena di dire, per far vedere come i disegni della Storia operino a volta in maniera contorta e quasi buffa , che intorno a Pietro ( che fu, poi, il più deciso e radicale modernizzatore della Rus= sia ) si raccoglievano la Chiesa Ortodossa e i boiari più conservatori, mentre Sofia era punto di riferimento delle forze filo-occidentali e moderniste . La crisi politica, che così si delineava, precipitò quando due spedizioni fatte in Crimea, per difendere l’Ucraina dalle scorrerie dei tartari, fallirono disastrosamente ; e Sofia, invece di destituire chi le aveva comandate, mossa dall’affetto ( ne era l’amante !) si incaponì a riceverlo come se fosse stato un eroe vittorioso . Ciò indebolì il partito di Sofia ; e quello di Pietro sentì giunto il momento per la resa dei conti . Entrambe le fazioni erano sul chi vive e avevano i nervi a fior di pelle : lo scontro era inevitabile, ma nessuna delle due voleva fare la prima mossa . Si trattava, al contrario, di costringere la parte avversa a tentare per prima il colpo di stato ( ciò che l’avrebbe messa dalla parte del torto e quindi in svantaggio …sempre che si fosse riusciti a parare il colpo ) . Il “gioco” riuscì alla fazione di Pietro . Una notte ( dell’estate del 1689 ) giunsero a Preobrazensko due cavalieri ; e, affannati, annunciarono che gli strelizi, sobillati da Sofia, stavano per giungere col chiaro intento di trucidare lo zar . Non si sa se fossero in buona fede , è però storicamente accertato che la notizia, così concitatamente data, era falsa . Quel che conta, comunque, è che Pietro la credette o finse di crederla vera ; e, senza neanche vestirsi, saltò in sella a un cavallo e terrorizzato ( o fingendosi terrorizzato ) si rifugiò in un monastero vicino a Mosca, il monastero della Trinità ; che era considerato dalla popolazione uno dei luoghi più sacri della Russia e, proprio per questo, era il tradizionale rifugio della famiglia reale nei momenti di maggior pericolo . Là Pietro, lo zar costretto a fuggire per sottrarsi a un sacrilego attentato, ebbe la forza ( il cui nerbo era dato proprio da quei reggimenti ch’egli aveva, durante i suoi “giochi di guerra”, preparato e addestrato alla lotta ) e soprattutto l’autorità morale, per ordinare agli strelizi di venire da lui per confermargli la loro fedeltà . Sofia reagì a tale manovra minacciando la decapitazione a chiunque si fosse recato a rendere omaggio a Pietro . Fu un braccio di ferro duro e spietato ; ma la sua conclusione non poteva essere dubbia : Pietro era lo zar incoronato dalla Santa Chiesa Ortodossa ; Sofia era la reggente sospetta di aver sacrilegamente attentato alla vita dello zar . Le diserzioni dal campo di Sofia incominciarono ben presto e divennero inarrestabili : ogni diserzione indeboliva la posizione di Sofia e quindi favoriva altre diserzioni : a un certo punto Sofia si trovò sola e costretta a chiedere la clemenza di Pietro . A questo punto per Pietro restavano da definire i rapporti col suo collega nell’impero, con Ivan : gli scrisse proponendogli che, da quel momento, fossero solo loro due a governare con l’esclusione totale della reggente : egli si sarebbe riservata la nomina dei ministri ( cioè il potere effettivo !), ma Ivan sarebbe stato, come zar più anziano, da lui onorato come un padre ( cioè a Ivan venivano attribuite quelle funzioni di “rappresentanza”, che Pietro aborriva ) . Ivan acconsentì ( e d’altra parte non poteva far altro che consentire ); e, in piena armonia col fratello, che ebbe sempre verso di lui rispetto e affetto, continuò nel suo ruolo di zar ( di facciata ) fino alla morte, che avvenne sette anni più tardi, nel 1696 . Sofia fu relegata in un monastero vicino a Mosca, dove visse, reclusa, ancora per 15 anni . xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Con la destituzione di Sofia, Pietro si ritrovò ad essere ( praticamente ) l’unico autocrate della Russia : tutto il potere (reale ) era nelle sue mani . Ma per ben cinque anni non lo esercitò, ma lasciò che a governare fossero i membri più autorevoli del suo clan . La spiegazione di questo fatto ( sorprendente !) la diede egli stesso in età matura : al momento della destituzione della reggente, egli aveva solo diciassette anni, era giovane e voleva divertirsi . Attorno allo spensierato Pietro si formò un’eterogenea compagnia di nobili e di borghesi, di anziani e di giovani ; i più, naturalmente, erano russi, ma moltissimi erano anche stranieri . Infatti Pietro si era messo a frequentare assiduamente il “Quartiere tedesco” , che era una cittadina vicina a Mosca riservata a residenza degli stranieri ( prima solo tedeschi, da qui il nome, ma poi provenienti da ogni regione dell’Occidente, soprattutto, dall’Olanda, dalla Scozia, dall’Inghilterra ); i quali avevano portato le loro usanze, i loro costumi, le loro idee e le loro arti ( molto più progredite di quelle russe – ecco il perché dell’assidua loro frequentazione da parte di Pietro, che, va detto per inciso, per amante si prese e si tenne per lunghi anni una ragazza tedesca di estrazione plebea, proprio nel “quartiere tedesco” conosciuta, Anna Mons ) . Nonostante la loro eterogeneità ( c’erano tra loro persone di età, nazionalità, classe sociale diversissime) tutti coloro che gravitarono intorno a Pietro vennero a poco a poco a formare un gruppo molto compatto, che si definì “La Allegra Compagnia” e che seguiva Pietro ovunque andasse . I membri di tale “Allegra Compagnia” facevano insieme vita vagabonda : piombando, quando sentivano necessità di mangiare, bere, dormire, in qualche villa nobiliare ( con meraviglia e costernazione dei proprietari, che si vedevano così messa a soqquadro la loro casa ). Un loro banchetto ( numero dei partecipanti variabile da 80 a 200 ) cominciava di solito a mezzogiorno e finiva all’alba del giorno successivo. Si mangiava, naturalmente ; ma non si faceva solo quello : tra una portata e l’altra, si fumava , si chiacchierava e si giocava (a carte, a bocce e birilli, a tirare con l'arco ..). Ma soprattutto si beveva : birra e vino scorrevano in tali feste a fiumi . E, all’uso russo, una festa non si considerava ben riuscita se i partecipanti non ne uscivano ubriachi fradici . Col tempo si insinuò, nei divertimenti che Pietro e i suoi compagni si prendevano, una venatura anticlericale . Essi avevano costituito un “Sinodo di Matti e Buffoni, Semprallegri e Semprebrilli”, a capo del quale era stato eletto un “Principe-Papa-Pagliaccio” ; e, mascherati da cardinali, vescovi, preti e papi imbastivano, anche per le strade e in altri luoghi pubblici, delle parodie della Chiesa ( della Chiesa Cattolica, certo, e non di quella Ortodossa, ma anche così l’offesa al sentimento religioso dei russi non mancava ) . Come si vede erano piuttosto grossolane le forme di divertimento, in cui Pietro e i suoi compagni indulgevano nella giovinezza ( e continueranno a indulgere negli anni della loro maturità : il “Sinodo” elesse un “papa” ancor poco prima della morte di Pietro ) . Ma i componenti la “Allegra Compagnia” non erano certo uomini dai gusti raffinati . Erano uomini d’azione, impegnati a costruire e governare uno Stato, le loro mani erano impastate di sangue, di polvere da sparo e di fango, e…avevano bisogno di svagarsi . E quando si svagavano erano pronti a ridere e a scherzare senza inibizioni su tutto e su tutti ; e in particolar modo su quella Chiesa, che li ostacolava regolarmente ogni qual volta si apprestavano a fare qualcosa di nuovo . Quel che importa notare, è che tali divertimenti per nulla resero Pietro uno debosciato e uno smidollato . Anche se lo (smodato ) libare a Bacco ( vizio a cui Pietro non seppe mai rinunciare ) finì per accorciargli la vita (Pietro morìrà a 53 anni ), almeno finché fu giovane non lo lasciava né esausto né infiacchito . Al contrario, egli, aiutato in ciò da un fisico eccezionale ( era alto due metri ed era vigorosissimo ), era capace, dopo una notte di bagordi, di alzarsi all’alba, quando ancora gli altri russavano distesi sul pavimento, per andare nella sua officina a piallare il legno o a forgiare il ferro ; oppure per mettersi al timone di una nave e prendere il largo incurante del tempo avverso ( e più di una volta la sua vita corse così pericolo ) . E qui va fatto cenno a quella che fu (dalla prima giovinezza alla vecchiaia ) la grande passione di Pietro : la passione per la nautica . Pietro amava sia costruire le navi ( si vuol dire, costruirle materialmente, armato di pialla e di ascia, lavorando cameratescamente insieme agli altri carpentieri ), sia condurre le navi ( come comandante o anche come semplice timoniere ), sia ideare e progettare le navi . E a tale passione la Russia deve, se Lei – che all’avvento di Pietro era, sì, un’immensa nazione, ma jugulata dalla mancanza di sbocchi sul mare ( aveva solo un piccolo porto, Arcangelo, che dava sul Mar Bianco ) – alla morte di Pietro aveva acquistati saldamente sbocchi nel mare, sia a sud ( con la conquista di Azov ai Turchi ) che a nord ( con la fondazione di Pietroburgo ) .

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Uno degli eventi fondamentali della vita di Pietro fu la “Grande Ambasceria” . Fino ad allora nessun zar aveva, in tempo di pace, oltrepassato i confini della sacra terra russa . Pietro, invece, decise che un’ambasceria avrebbe visitato i principali Paesi dell’Occidente e ch’egli vi avrebbe partecipato ; non solo, ma, cosa che doveva scandalizzare particolarmente i tradizionalisti russi, che vi avrebbe partecipato, non nella maestà delle sue vesti imperiali, ma in incognito . Quali le ragioni di tali (eterodosse) decisioni ? Pietro spiegò la sua partecipazione all’ambasceria con il proposito di sciogliere il voto, fatto una volta che stava per naufragare, di visitare la tomba del primo Apostolo . Ma la vera spiegazione la si trova nella scritta “Sono uno scolaro e ho bisogno di essere istruito” da lui fatta incidere in un sigillo prima della partenza : Pietro voleva andare in Occidente per istruirsi sui costumi e soprattutto sulla tecnologia occidentale . Sì, ma perché in incognito ? Perché egli voleva lavorare, come un operaio qualsiasi, nei cantieri e nelle fabbriche dei Paesi visitati e mischiarsi tra la gente comune per rendersi conto di come era realmente la vita in Occidente . Bisogna riconoscere che il piano era ben studiato : il far parte dell’ambasceria gli avrebbe permesso di conoscere personaggi influenti ( e di giovarsi della loro influenza per aprir porte, che altrimenti gli sarebbero rimaste serrate ) , l’incognito, poi, avrebbe tolto quella barriera di ufficialità, che gli avrebbe impedito di muoversi liberamente tra la gente del popolo . Il piano riuscì . Durante il suo viaggio Pietro ebbe, sì, modo di parlare con i regnanti e gli uomini più autorevoli dei paesi visitati ( naturalmente in forma privata : ufficialmente la presenza dello zar doveva essere ignorata ), ma anche di vivere e operare tra la gente comune . In Amsterdam egli viveva nella casa, di un maestro funaio, procuratagli dal borgomastro e si recava all’alba nei cantieri navali – i cantieri più tecnologicamente avanzati del tempo ( Amsterdam era allora la capitale marittima, finanziaria, commerciale del mondo ) – con l’ascia e gli attrezzi in spalla come tutti gli operai ; e assolutamente non voleva che si facessero distinzioni tra lui e gli altri lavoratori : mangiava il pasto – che si cucinava da solo, come gli altri carpentieri – seduto su un tronco e conversando cameratescamente con i marinai e con chiunque lo chiamasse semplicemente “carpentiere Pietro” . Ma Pietro non si interessa solo di navi . La sua curiosità e la sua sete di sapere sono insaziabili e spaziano dalla balistica ( a Konigsberg ne prende lezioni ottenendo un attestato scritto di competenza in materia ) all’arte della stampa ( le cui tecniche studia in Olanda, prendendo sul posto accordi per la stampa dei libri russi ) , dall’arte del coniare le monete ( in Inghilterra ne visita la zecca e al suo ritorno modernizzerà quella russa ) all’astronomia . Non si stanca mai di visitare in ogni Paese : fattorie, segherie, filande, cartiere, botteghe di artigiani, musei, giardini botanici, laboratori . Particolarmente lo interessa la scienza medica e, delle sue branche, particolarmente lo interessano l’anatomia e la chirurgia . Visita ripetutamente dei laboratori di dissezione ; e quando in Olanda, nel laboratorio di un luminare dell’epoca, il dottor Boerhaave, può vedere un corpo con alcuni muscoli abilmente sezionati, viene preso dall’ammirazione e dall’entusiasmo ( e, avendo udito delle esclamazioni di disgusto da parte dei suoi compagni, ordina loro, con orrore degli olandesi, di avvicinarsi al cadavere e tirarne fuori i muscoli con i denti ). Dà istruzioni che lo informino di ogni operazione interessante che si compia nelle vicinanze e, quando può, si reca ad assistervi, non di rado fungendo da aiutochirurgo, Acquisisce così un’abilità sufficiente per sezionare, salassare, incidere e compiere altri piccoli interventi . E negli anni successivi porterà sempre con sé due cassette : l’una zeppa di strumenti utili per esaminare e controllare i progetti di costruzione che gli venivano presentati, l’altra colma di strumenti chirurgici ( e poteva capitare a un servitore, ammalatosi, di veder presentarsi al suo capezzale lo zar con la sua cassetta per offrire le proprie cure – non si sa quanto gradite!) . Ad Amsterdam, sul mercato, assiste all’attività di un cavadenti ambulante il quale compie le sue estrazioni con l’aiuto di strumenti quanto mai insoliti, come l’incavo di un cucchiaio o la punta di una spada . Ne è ammirato, si fa dare qualche lezione e….si mette a far pratica con i denti (sani!) dei suoi servi . Distolse brutalmente Pietro da tanti interessi scientifici, un dispaccio urgentissimo con notizie inquietanti dalla capitale : quattro reggimenti di strelizi, all'ordine di lasciare Azov per la frontiera polacca, si erano ribellati e stavano marciando su Mosca . Il dispaccio portava la data di un mese prima e Pietro si rese conto che, mentre lui lo leggeva, forse gli strelizi avevano occupato il Cremlino, posto Sofia sul trono e condannato lui per tradimento . Decise immediatamente di tornare a Mosca . Fortunatamente, sulla via del ritorno, gli giunse la notizia che l'esercito strelizi era stato sbaragliato e la ribellione domata . Ormai però era sulla via del ritorno e decise di proseguirvi. La grande Ambasceria, dopo 18 mesi, era terminata .

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Quando Pietro arrivò a Mosca, regolò i conti con gli strelizi ; in maniera decisa e brutale . Gli strelizi ( quelli superstiti da una prima decimazione, avvenuta subito dopo la battaglia che li aveva visti sconfitti !) venivano, per prima cosa, sottoposti a tortura . Infatti Pietro riteneva ch’essi fossero stati sobillati e voleva sapere da chi ( da qualche potente boiaro ? dalla sorellastra Sofia ? dalla Chiesa Ortodossa ?….) . Quattordici camere di tortura furono costruite ( non a Mosca, perché la cosa si voleva tenere segreta per paura delle reazioni del mondo occidentale, ma ) a Preobrazensko . E lì non passava giorno ( salvo la Domenica considerata ….giorno di riposo ) che i prigionieri non fossero interrogati a colpi di Knut o con metodi ancor più raffinati di tortura ( ferri roventi, applicati ai piedi o alla schiena…) . Chi aveva già confessato per un capo d’imputazione veniva sottoposto a nuovo interrogatorio per un altro e così via . Chi sveniva o anche perdeva tanto le forze da non sentire neanche più la tortura, veniva affidato a un medico perché lo curasse e lo mettesse in grado di essere ulteriormente torturato . Fortunati potevano dirsi quelli che sotto i tormenti morivano o impazzivano o che riuscivano a procurarsi con le loro mani la morte . Pietro, ossessionato dal sospetto, voleva interrogare personalmente i prigionieri che si pensavano coinvolti nella (supposta ) congiura e, roso dalla rabbia, spesso usava su di loro il suo grosso bastone da passeggio dal manico d’avorio. Alla tortura seguivano le esecuzioni : a centinaia gli strelizi furono uccisi e i loro corpi appesi, come monito, alle mura di Mosca . Korb – un austriaco del corpo diplomatico, a cui dobbiamo molte informazioni sulla Corte impe= riale – nel racconto che fa di quelle tragiche giornate, ci dice che Pietro, acceso da furia vendicativa, costrinse molti boiari a fungere da carnefici : veniva loro data una mannaia e l’ordine di usarla contro un prigioniero . Alcuni, impugnando l’arma con mani tremanti, sbagliavano il colpo, aumentando così l’agonia del condannato . Anche Pietro, sempre secondo Korb, avrebbe di persona giustiziato più di un prigioniero . Ma questa notizia non viene accettata da molti storici ( specie russi ); anche se non è inverosimile : Pietro per principio non si sottraeva mai ai “lavori” a cui chiamava i suoi collaboratori . Tali e tanti orrori spinsero il patriarca a recarsi da Pietro per chiedere, ostendendo l’immagine della Santissima Vergine, clemenza. Ma Pietro, risentito, rispose alle sue richiesta di misericordia con la dura affermazione che, se si voleva estirpare la cancrena che aveva infettato l’apparato politico, non c’era altro mezzo che il ferro e il fuoco . Mosca, disse, si salverà, non con la pietà, ma con la crudeltà . (Va peraltro detto che questa, se pur profusa in dosi così massicce, non gli servì ad ottenere la prova certa della paventata congiura ! ). Era dunque Pietro un sadico ( come senza dubbio lo fu Ivan il Terribile) ? No, egli non fece mai il male per il gusto di far il male . E’ probabile che nel suo cuore si sentisse come un buon chirurgo, che deva far soffrire, se vuole far guarire il paziente ( nel caso, la Russia ) . Certo non fu un uomo dal cuore duro e insensibile . A parte la tenerezza che ebbe verso molti dei suoi parenti e dei suoi collaboratori ( il fratellastro Ivan, la sorella Natalia, la moglie Caterina, e , fra i suoi molti collaboratori, Mensikov, Lefort, Gordon…),vari momenti della sua vita testimoniano della sua capacità di essere colpito e commosso per eventi luttuosi e disgrazie, ad amici e parenti, occorsi . Quando apprende della morte di Lefort, che gli fu amico dalla giovinezza e stretto collaboratore, Pietro, che sta lavorando in un cantiere, lascia cadere l’accetta che ha in mano, si mette a sedere su un tronco d’albero, si nasconde la faccia tra le mani e piange . Quando la morte allunga la sua ombra su un altro suo vecchio amico e collaboratore, Paluck Gordon, egli lo va spesso a trovare, gli vuole essere accanto al momento del trapasso, gli chiude gli occhi e lascia la sua casa in lacrime . Pietro, insomma, come il popolo tra cui aveva avuto i natali, era un istintivo, forte nei suoi odi, forte nei suoi amori . E dimostrò molto acume psicologico Sofia, la vedova dell’elettore di Hannover, che ebbe ad ospitarlo ( al tempo della Grande Ambasceria ), quando disse : “E’ un principe molto buono e molto cattivo : il suo temperamento è esattamente quello della sua terra” .

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Il castigo esemplare inflitto agli strelizi, dimostrò alla Russia che il potere si trovava ora in mani forti ed energiche ; a cui non era opportuno ribellarsi . E ciò facilitò l’opera riformatrice che Pietro volle intraprendere appena tornato dalla Grande Ambasceria . Il giorno del suo ritorno era andata a dargli il benvenuto al Cremlino una gran folla di boiari e di ufficiali ; piena di entusiasmo : finalmente il batjuska era di nuovo tra di loro . Ma tale entusiasmo fu in quello stesso giorno messo a dura prova da uno strano comportamento dello zar : gentile e sorridente egli cominciò, munito di un lungo e affilato rasoio da barbiere, a tagliare le barbe che gli venivano a tiro . Lo choc tra i suoi sudditi fu immenso : per loro portare la barba non era un semplice fatto estetico, ma rappresentava l’osservanza di un preciso dovere religioso . I preti si rifiutavano di benedire gli uomini senza barba : li consideravano peccatori della peggior specie. Ed erano, non di un prete bigotto, ma di un sovrano anche troppo smaliziato , Ivan il Terribile, le severe parole : “Radersi è un peccato che nemmeno tutto il sangue dei martiri può cancellare . E’ uno sfregio all’immagine dell’uomo creato da Dio” . Le resistenze alla nuova moda furono quindi molte . Ma furono infrante : chi avrebbe potuto resistere alla volontà dello zar ?! Fu imposto a tutti gli ufficiali di tagliare le barbe di chiunque incontrassero, senza far distinzioni di rango . Solo chi rassegnava a pagare una forte tassa poteva sfuggire al taglio . Ma anche chi sarebbe stato disposto a pagare tale tassa, come poteva osare di suscitare l’ira dello zar presentandosi a Corte con la barba ? Rapidamente il costume occidentale della rasatura si diffuse . E i moscoviti, così come dovettero rinunciare alle loro barbe, così dovettero rassegnarsi a fare a meno dei loro tradizionali vestiti . Il loro costume tradizionale era dato, da ampi pantaloni infilati in morbidi stivali, una camicia ricamata e, sopra, un caffettano con strascico, dal collo stretto di velluto, di satin o di broccato, e maniche molto grandi e lunghe . Quando il russo usciva indossava ancora un soprabito, leggero, d’estate, guarnito di pelliccia, d’inverno, dal collo alto e squadrato e con maniche tanto larghe e lunghe da toccare terra . Pietro detestava tale modo di vestire, che intralciava i movimenti ed era oggetto di divertita curiosità per gli stranieri . Decise di cambiarlo ; e, come aveva fatto per le barbe, anche per i vestiti usò una tattica diretta e originale : durante un banchetto cominciò a tagliare le ampie maniche dei boiari a lui vicini, suggerendo agli esterrefatti suoi ospiti di adottare abiti alla tedesca o alla ungherese : “Non vedete come vi sono d’impaccio queste vostre maniche troppo larghe ?!” . Un anno dopo ( 1700 ), Pietro trasformò tale suggerimento in obbligo per tutti i boiari, i pubblici ufficiali e i proprietari terrieri . Ancora un anno e venne dato loro l’ordine di indossare giacchetta, pantaloni, ghette, stivali e un cappello alla francese o alla tedesca e di far indossare alle loro donne, busti, gonne, capellini e scarpe all’occidentale . Modelli dei nuovi vestiti furono affissi nei giardini e nelle pubbliche piazze, perché fossero copiati. E, a cinque anni di distanza, l’ambasciatore d’Inghilterra poteva riferire da Mosca che “in questa grande città non s’incontra una sola persona di rango la quale non vesta alla tedesca” . Non è che i cambiamenti, così energicamente imposti dallo zar ai suoi sudditi, avessero solo benefici effetti . Infatti, è vero che le antiche mode presentavano degli inconvenienti ( chi può dubitare che gli abiti della tradizione non fossero ingombranti ?), però esse erano le più adatte a riparare il corpo dai rigidi inverni russi . Quando la temperatura scendeva a venti, trenta gradi sotto zero, i russi che ancora vestivano all’antica, nei loro caldi stivali, nei loro ampi mantelli che dalle orecchie scendevano fino ai piedi, con le loro folte barbe che proteggevano la bocca e la guancia, potevano ben guardare con commiserazione i loro connazionali occidentalizzati con le facce arrossate dal freddo e con le ginocchia esposte al vento gelido dai corti cappotti . Più felici e meno controverse furono le innovazioni che Pietro introdusse nel calendario russo . Da sempre i russi calcolavano gli anni, non dalla nascita di Cristo, ma dal momento in cui ( secondo loro !) era stato creato il mondo . Col risultato che si era determinato un macroscopico scarto tra il loro calcolo degli anni e quello occidentale : ad esempio, per gli occidentali Pietro era tornato dalla Grande Ambasceria nel 1698, per i russi, invece, nel 7206 . Inoltre i russi festeggiavano il capodanno, non il primo di gennaio, ma il primo di settembre ( non era più logico che il mondo fosse stato creato in autunno, la stagione in cui il grano e altri copiosi frutti si offrivano maturi all’uomo, anziché in inverno, la stagione che vede la natura irrigidita dal freddo e come morta ?). Ma lo zar voleva che i suoi sudditi si allineassero con l’Occidente anche nel calcolo del tempo e, appena ritornò dalla grande Ambasceria, decretò ( dicembre 1699 ) che l’anno seguente sarebbe iniziato il primo gennaio e avrebbe preso il numero 1700. E naturalmente ….fu prontamente ubbidito .

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La personalità di Pietro I, si presenta per molti lati paradossale . E così, paradossalmente, egli, che fu certamente uno degli zar più dispotici, fu di essi anche il più “democratico” . Abbiamo già avuto occasione di vedere come egli amasse mischiarsi e vivere tra la gente comune . Qui dobbiamo aggiungere ch’egli detestava nella vita ufficiale “porsi al centro della scena” : in guerra, nelle operazioni navali o terrestri, non si riservava, come sarebbe sembrato naturale, il ruolo di comandante in capo, ma di semplice subalterno . E, come un qualsiasi ufficiale subalterno, partecipò all’entrata trionfale in Mosca delle truppe vittoriose sui turchi : in testa al corteo c’era l’ammiraglio della flotta vittoriosa, Lefort, con un mantello rosso bardato d’oro , e, dietro la sua carrozza, mischiato agli altri capitani di marina, camminava Pietro, riconoscibile solo per una penna bianca sul suo ampio cappello nero e…per l’altezza, a quella di tutti gli altri, superiore . Per Pietro era un gran fastidio indossare gli abiti di gala, sedere sul trono, ascoltare gli ambasciatori appena accreditati : il respiro gli si faceva pesante, diventava rosso in faccia e sudava . A suo giudizio il cerimoniale era “una legge barbara e inumana, promulgata ai danni dei soli sovrani, per impedir loro di godere del sodalizio umano” . Di conseguenza, quando poteva, egli snobbava le cerimonie ufficiali ; e perfino accadde che si facesse sostituire nel ruolo di zar da un amico : quando gli ufficiali svedesi, sconfitti nella decisiva battaglia di Poltava, si inchinarono in segno di sottomissione davanti allo “zar” seduto sul palco imperiale, non sapevano che lo “zar” a cui si inchinavano era in realtà un amico di Pietro, Lefort, e che il vero zar se ne stava tranquillo ad assistere alla cerimonia in seconda fila . E Pietro, come detestava le cerimonie e l’etichetta, così detestava la vita raffinata : egli fu sempre amante della vita semplice . Quando, durante la grande Ambasceria, visitò l’Aia, venne condotto, naturalmente, nel miglior albergo, dove gli fecero vedere una bella stanza con un magnifico letto . Li rifiutò, dichiarando di preferire una cameretta dell’ultimo piano, con un semplice lettino da campo . Ma anche lì, evidentemente, si sentiva a disagio e fuori posto, perché dopo un po’ pretese che lo conducessero dove alloggiavano gli altri componenti la Grande Ambasceria ; e, lì giunto, rifiutando di alloggiare in una camera a parte, si gettò a dormire, insieme ai servi dell’ambasceria, su una pelliccia stesa per terra . Senza dubbio Pietro era un uomo coraggioso. Una volta, si abbatté sulla nave che lo trasportava un furioso nubifragio : l’equipaggio, che pur era composto da esperti marinai, si raccolse in preghiera, mentre il vascello minacciava di capovolgersi da un momento all’altro : l’arcivescovo passava tra gli uomini per dar loro gli ultimi sacramenti : tutto sembrava veramente perduto . Solo Pietro non si perdette d’animo, ma inchiodato al timone ( abbiamo già detto che era un provetto marinaio ) riuscì a condurre sana e salva la nave in porto . Nella gloriosa battaglia di Poltava, in cui la potenza svedese fu umiliata, Egli, incurante del pericolo, non cessò di dirigere e incoraggiare i suoi soldati stando nel più folto della mischia, nonostante che la sua alta statura lo rendesse facile bersaglio del nemico : fu colpito ben tre volte, anche se tutte le tre volte rimase miracolosamente illeso : una pallottola gli tolse dalla testa il cappello, un’altra gli si infilò nella sella e una terza, che lo raggiunse in pieno petto, fu deviata da un’icona d’argento che portava indosso . Eppure quest’uomo così coraggioso, nella vita di società si rivelava spesso, ecco un altro lato paradossale della sua personalità ! impacciato e timido. Due grandi dame ( le elettrici del Brandeburgo e dell’Hannover a cui abbiamo già accennato ) le quali ebbero ad ospitarlo al tempo della grande Ambasceria, riferiscono ch’egli, messo a sedere nel posto d’onore in mezzo a loro, fu sopraffatto dalla timidezza e si coprì la faccia con le mani mormorando in tedesco : “Non so cosa dire” . Solo il savoir faire delle sue ospiti riuscì a poco a poco a metterlo a suo agio e, allora….si scatenò : bevve con gioia, mostrò con soddisfazione alle sue ospiti le sue grandi mani rese callose dai lavori manuali in cui si dilettava, ordinò ai suoi nani di ballare, baciò sulla testa la decenne principessa Sofia Dorotea, futura madre di Federico il Grande, distruggendone l’acconciatura, abbracciò e baciò il quattordicenne principe Giorgio, il futuro re d’Inghilterra . Indubbiamente lo zar era un istintivo . E, come molti istintivi, era di carattere imprevedibile e facile agli scatti d’ira : alla corte dell’elettore di Brandeburgo ( futuro re di Prussia ) giunse a scaraventare fuori della sala un dignitario tedesco, rischiando un incidente diplomatico. Tuttavia all’occorrenza sapeva controllarsi , adeguandosi anche alla mentalità e alla psicologia del suo interlocutore . Quando, al tempo della Grande Ambasceria, dovette incontrare l’imperatore absburgico, Leopoldo I, i suoi ministri lo informarono del protocollo concordato con la corte imperiale : i due monarchi dovevano entrare nella grande sala simultaneamente da due porte che si aprivano alle opposte estremità e, camminando lentamente, dovevano incontrasi esattamente al centro, all’altezza cioè della quinta finestra . Ma Pietro, aprendo la porta e vedendo Leopoldo, si dimenticò di tutto e a gran passi lo incontrò all’altezza della terza finestra . Costernazione generale : l’etichetta era stata infranta . Ma Pietro seppe rimediare alla gaffe . Quando i due sovrani si appartarono nel vano di una finestra, i ministri austriaci videro, con sollievo e con soddisfazione, il giovane zar trattare con gran rispetto e deferenza il loro imperatore : lo strappo all’etichetta era stato (sapientemente ) ricucito . Nessuno dei regnanti aveva un carattere più agli antipodi di quello di Pietro, che Guglielmo, principe d’Orange, statolder d’Olanda e dei Paesi Bassi Uniti, nonché re d’Inghilterra con il nome di Guglielmo III : tanto era freddo e disciplinato l’Olandese, tanto era impulsivo ed estroverso il Russo . Anche nel fisico erano opposti : l’uno ( l’Olandese ) piccolo, con la schiena curva e il respiro asmatico, l’altro ( il Russo ) un gigante, esuberante e pieno di salute. Eppure Pietro seppe intessere più colloqui con Guglielmo, a dir il vero non fruttuosi e proficui, ma comunque sereni e senza incidenti : i due per lo meno si parlarono e riuscirono ad intendersi, anche se non a convincersi. Pietro era, insomma, un impulsivo, ma non un primitivo . Va qui detto – perché può servire a spiegare la sua instabilità caratterologica – che Pietro venne a soffrire nell’età adulta di una malattia nervosa, probabilmente di natura epilettica, non grave, ma noiosa e spesso mortificante : quando era troppo turbato o stressato, la faccia gli si contraeva . Il disturbo, che in genere interessava solo la parte sinistra del viso, variava di intensità e di durata a seconda dei casi ( e, verosimilmente, a seconda dell’intensità dell’emozione che lo aveva provocato) . Qualche volta si limitava a un tic facciale della durata di pochi secondi, altre volte si aveva una vera e propria convulsione, che iniziava con una contrazione dei muscoli del collo ed era seguita da un ulteriore spasmo, che interessava tutta la parte sinistra della faccia, e dalla rotazione dell’occhio finché la pupilla scompariva nella parte superiore dell’orbita . Durante gli attacchi più violenti, si notava anche la disarticolazione motoria del braccio sinistro ; essi terminavano, allora, solo quando Pietro aveva perso conoscenza .

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In tutta la usa vita Pietro amò solo quattro donne : sua madre, la sorella Natalia, Anna Mons ( quella ragazza conosciuta frequentando il Quartiere tedesco, della quale già abbiamo fatto cenno ) e Caterina . Di tutte quattro, forse la più importante fu quest’ultima ; anche perché dette la vita a due figlie, Elisabetta e Anna , la prima delle quali diventò imperatrice, la seconda, madre del futuro imperatore Pietro III (che sposò Caterina la Grande e fu da questa spodestato ) . Chi era Caterina ? Era la figlia di un contadino lituano . Rimasta orfana in tenera età, ebbe diversi “protettori” altolocati ; l’ultimo dei quali, Mensikov , era il più fidato amico e collaboratore di Pietro . E fu proprio frequentando la casa di Mensikov, che Pietro la conobbe e ne fece la sua amante . Fu un grande e tenero amore . Caterina era affettuosa, allegra, appassionata, spontanea, di animo buono e generoso . Godeva anche di ottima salute e possedeva una grande vitalità : era una delle poche persone che riusciva a tenere il passo con l’enorme energia di Pietro . Non era certo donna di cultura raffinata ; ma era dotata di un solido senso pratico e si esprimeva, come Pietro, con un linguaggio semplice, diretto e naturale . Fu non soltanto la compagna di letto di Pietro , ma la sua confidente e la sua amica : la persona con cui egli poteva discutere e condividere le sue aspirazioni e i suoi progetti . Potendo contare sulla sua forte tempra contadina e volendo star vicina al suo uomo, accompagnò Pietro nel suo girovagare per il mondo : in Polonia, in Germania, in Danimarca, in Olanda . Per due volte lo seguì anche in guerra, senza lamentarsi della fatica, delle marce e dei pericoli . Quando erano lontani, Pietro le scriveva ogni tre o quattro giorni, parlandole della sua solitudine, preoccupandosi della sua salute, rassicurandola della propria, insomma condividendo con lei le gioie e i dolori della vita . Pietro la sposò dopo un lungo periodo di convivenza , e, l’aver elevato al trono degli zar una contadina illetterata e straniera, dimostra, non solo l’amore che le portava, ma anche il suo coraggio .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx La frenetica attività, politica e militare, di Pietro, volta a far entrare di pieno diritto la Russia nel mondo occidentale, raccolse consenso e suscitò ammirazione in non pochi ; però furono molti coloro che la giudicarono negativamente . Anzi, si può dire che la maggior parte del popolo russo non amò quello strano zar vestito all’occidentale ( ma era poi un vero zar o un impostore ? dove si era mai visto uno zar mischiarsi col popolo e comportarsi con così poca dignità ? lo sbalordimento e la costernazione dei russi non erano minori di quelli che noi oggi proveremmo se vedessimo il Santo Padre girare …in abiti laici per le vie di Roma a fare shopping!) . Quello “strano zar”, poi, non stava mai tranquillo, non amava la pace, faceva un mucchio di guerre ( contro i turchi, contro gli svedesi, contro i tartari, contro i cosacchi…) ; guerre alla fine vittoriose, che aprirono alla Russia preziosi sbocchi al mare e difesero la prosperità e la tranquillità di estese regioni, ma guerre lunghe e costose . La pressione fiscale sotto Pietro aumentò a dismisura. E la continua domanda di denaro si accompagnava a una continua richiesta di uomini . Nei nove anni che precedettero la vittoriosa battaglia di Poltava, furono arruolati nell’esercito più di trecentomila uomini . A parte ciò i contadini, a migliaia, furono assoggettati al lavoro coatto reso necessario dagli ambiziosi progetti di Pietro ( la fortificazione di Azov, la costruzione della base navale di Tagauroc, la costruzione di un canale che collegasse il Don al Volga ) . “Da quando Dio ci ha mandato questo zar, non ci sono più giorni felici” – si lamentavano i contadini . E non erano solo loro a lamentarsi . “Che tipo di zar è costui ?” – si chiedeva il figlio di un nobile - Ci ha obbligati tutti al servizio militare coatto, si è presi tutti i nostri vassalli e i nostri contadini per farli diventare soldati . Non gli si può sfuggire . Siamo tutti perduti . Anche lui va sotto le armi, ma che non ci sia mai qualcuno che lo uccida ?! Se ci fosse qualcuno che lo uccide, la sarabanda finirebbe e la gente starebbe meglio” . E Pietro, oltre i sacrifici in oro e vite umane, voleva cambiare il millenario costume di vita del popolo : non era troppo ? Per molti lo era : il malcontento era diffuso e trovò il suo punto di riferimento politico in Alessio il figlio di primo letto di Pietro . Sì, perché Pietro si era sposato all’età ( e qui dobbiamo fare qualche passo indietro nel nostro racconto ) di diciassette anni . La moglie gli era stata scelta dalla madre (tra le più nobili famiglie boiare ) . Ma era stata una scelta infelice . Evdokija Lopukhina, così si chiamava la nuova zarina, era graziosa, aveva un gran senso del dovere, cercava in tutti i modi di compiacere il suo signore, però…a questi non andava a genio : come si suol dire, i due sangui non si incontravano . Pietro ben presto la ignorò e quando si ricordò di lei fu solo per spedirla in convento a vestire l’abito monacale : era questo il sistema usato dai mariti russi del tempo per liberarsi di una moglie diventata sgradita e convolare a nuove nozze . Tale coppia ( male assortita ) dette comunque un frutto : quell’Alessio, da cui ha preso le mosse questa nostra breve digressione . Alessio aveva un carattere del tutto opposto a quello del padre . Questi era un uomo d’azione, proiettato nel futuro ; lui, invece, era una persona introversa, meditativa, attaccata alla tradizione e alla Chiesa Ortodossa . Pietro cercò di “svegliare” e di occidentalizzare quel figlio degenere, mandandolo a studiare in Occidente, facendogli sposare un’occidentale, spronandolo continuamente a interessarsi ai problemi dello Stato, della strategia militare, della costruzione delle navi…insomma , al suo mondo . Ma non ottenne nessun risultato . Gli pose allora l’aut, l’aut : o cambi vita e carattere o ti fai monaco . Alessio trovava impossibile cambiare il carattere che la natura gli aveva dato e, d’altra parte, non voleva neanche farsi monaco ( dato che, sì , leggeva la Imitazione di Cristo e altri libri religiosi, andava sempre alla Santa messa ed era insomma un fervente credente, ma, in questo come il padre, era anche…un peccatore : si ubriacava regolarmente e trascurava la moglie per un’amante di estrazione plebea, Afrosina ) . Alessio cercò di sfuggire al dilemma espatriando e mettendosi sotto la protezione dell’imperatore d’Austria . Fu ripreso ; e lui e le persone sospette di averlo aiutato nella fuga subirono la tremenda ira dello zar . Davanti a una folla immensa calcolata tra i duecentomila e i trecentomila spettatori, i sospetti complici furono barbaramente uccisi : chi fu lasciato morire lentamente sulla ruota dopo che a martellate gli erano state fracassate le ossa, chi, dopo essere stato frustato e tormentato con ferri roventi, fu lasciato per ben tre giorni su una panca munita di chiodi e infine impalato . Potettero dirsi fortunati coloro che furono subito decapitati . Quanto ad Alessio, non servì a scampargli la tortura, l’essere figlio dello zar ; vi fu ripetutamente sottoposto . Deferito poi a un tribunale supremo, composto dei maggiori dignitari dell’impero, fu condannato a morte ; e la sentenza fu trasmessa a Pietro perché decidesse se eseguirla o no . Il dilemma, che così veniva posto allo zar, era, non solo sul piano umano, ma anche sul piano politico, veramente drammatico . Pietro però fu sollevato dall’affrontarlo dalla morte di Alessio . Morte, dovuta, secondo la versione ufficiale, a un colpo apoplettico indotto dalla tortura e dallo stress psicologico ; morte ordinata e voluta dal padre, secondo voci che subito si diffusero ( e non mancò chi sostenne che fosse stato lo stesso Pietro a decapitare il figlio, poi disponendo che la testa fosse ricucita al corpo per occultare il suo gesto assassino ) . Alla salma di Alessio furono tributate le esequie regali , e fu esposto nella bara aperta perché il popolo gli potesse rendere, secondo l’uso, l’estremo omaggio . Ma non ci fu lutto : il giorno dopo la morte dello zarevic era l’anniversario della battaglia di Poltava, e niente fu mutato nel programma delle celebrazioni . Pietro prese parte al banchetto e al ballo come se niente fosse .

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Nel 1725 lo zar aveva solo cinquantadue anni , ma era già un uomo vecchio : la sua magnifica costituzione era stata irreparabilmente danneggiata dagli sforzi e dal bere smodato . Già da tempo soffriva di infezioni alla vescica e ai reni e aveva dei calcoli . Nel gennaio il suo male si aggravò . Il 23 di tal mese ricevette i Sacramenti e trovò la forza per ordinare un’amnistia e per raccomandare ai suoi ministri di proteggere gli stranieri . Dopo pochi giorni, il 27, entrò in agonia e, in preda a fortissimi dolori, chiese più volte perdono dei suoi peccati . Disse anche . “Spero che Dio perdonerà i miei peccati per il bene che ho cercato di fare al mio popolo”. Quello che Puskin definì un “lavoratore infaticabile sul trono russo” entrò nel riposo eterno il 28-1-1725.

Oroscopo di Pietro il Grande 09 . 06 . 1672 00h 30m LMT 22h 00m GMT Mosca Russia Ascendente, Pesci Sole in Gemelli

Dai libri dello storico balza l’immagine di un Pietro I dalla volontà ferrea, che con spietata determinazione rivoluziona i costumi del suo popolo per trarlo , dal medioevo, alla modernità . Però la carta del cielo dell’astrologo pretende di apportare a tale immagine non poche correzioni . Certo anche dalla carta del cielo risulta come caratteristica della personalità di Pietro la spinta rivoluzionaria . Vari sono gli elementi oroscopici che la testimoniano . Prima di tutto Urano collocato proprio all’ascendente, e che, pertanto, va considerato la “dominante” dell’oroscopo e della personalità di Pietro, cioè il pianeta-chiave di quello e di questa . Ecco, infatti, il significato che il Sementovsky, nel suo famoso trattato di astrologia, ricollega a Urano in prima casa nel segno dei Pesci : “Aspirazione al rinnovamento del mondo che sa di utopia. Questi individui dovrebbero limitarsi ad esporre le proprie idee e a riprodurre le visioni della loro immaginazione in opere puramente teoriche che in avvenire potrebbero essere utili all’umanità ; non dovrebbero invece mai tentare di mettere in pratica i propri sogni così lontani da ogni realtà . Facendolo correrebbero il pericolo di essere considerati come fantastici e messi in disparte, oppure di venir dichiarati nemici della società e come tali soppressi ( Robespierre ) “ . Noi sappiamo che Pietro effettivamente tale pericolo lo corse ( con la rivolta degli strelizi )anche se (più fortunato di Robespierre ) lo scampò. Il significato di Urano, nel suo aspetto negativo di ribellione alla legge e alla tradizione, viene poi rinforzato, nell’oroscopo di Pietro, dalla quadratura del Sole con Giove – che il Sementovsky così interpreta : “Ribellione contro la legge, il costume, la tradizione . Giudizi superficiali e per lo più sbagliati sulle persone, cose e circostanze della vita”. Anche la spietatezza, la mancanza di scrupoli e la brutalità di Pietro nell’attuazione del suo sogno di rinnovamento della società russa sono testimoniati da vari elementi. E principalmente da: Luna in quadrato con Giove – il cui significato secondo il Sementovsky è : “Mancanza di senso sociale, ma aspirazione al dominio dei propri simili . Pertanto tentativi fatti senza scrupoli, per arrivare a dominare singole persone o gruppi di individui . Il soggetto è temuto ma non amato” . Marte in opposizione a Giove – il cui significato secondo il Sementovsky è : “Volontà intermittente o mal impiegata (…) intemperanza e mancanza di ritegno nei discorsi e nelle azioni . Difesa senza scrupoli dei propri interessi e poca comprensione per le esigenze e preoccupazioni altrui . Urti con l’ambiente e l’opinione pubblica” . Giove in opposizione a Urano – il cui significato, sempre secondo il Sementovsky è : “Essere amorale . Dispregio cinico delle opinioni altrui . Spregiudicatezza nel parlare e nel fare” . Se la spinta rivoluzionaria e la spietatezza di Pietro I trovano conferma nella carta del cielo, la sua (pretesa) volontà ferrea non vi trova, invece, riscontri . Anzi vari elementi oroscopici ci dipingono un Pietro I dalle idee confuse, dal carattere dispersivo, debole e suggestionabile . Tali aspetti negativi della personalità di Pietro risultano dagli elementi che ora passiamo a indicare ( avvertendo che la loro interpretazione è da noi tratta, come il solito, dal Trattato del Sementovsky ) . Luna in quadrato con Marte – interpretazione : “Progettare e agire impulsivo . Spesso gli ultimi fini dell’esistenza non sono chiari” . Mercurio in quadrato con Saturno – interpretazione : “ Impedimenti nel parlare e nell’agire. Mancanza di autofiducia e diffidenza verso i propri simili” . Sole in quadrato con Urano : “Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico . Progetti inattuabili ed ideali lontani dalla realtà della vita che ciononostante vogliono essere messi in pratica ad ogni costo, con molta insistenza e altrettanto entusiasmo” . Sole nei Gemelli : i nati sotto tale segno sono, secondo il Sementovsky, irrequieti ( il loro sguardo, nelle parole del Sementovsky, ”vivace, inquieto, con curiosità scruta il mondo circostante” – si ricorda il lettore l’impressione che lasciò Pietro fanciullo a un ambasciatore ?) . Molti di essi “abbandonandosi – stiamo citando sempre il Sementovsky - alle più svariate occupazioni o in continua ricerca ricerca di nuovi campi di studio o di azione, rassomigliano allo scoiattolo” che fa girare la ruota della propria gabbia senza costrutto – questa descrizione non si adatta forse a Pietro I, che un po’ fa il mestiere del fabbro, un po’ quello del falegname, un po’ quello del tornitore, un po’ studia chirurgia, un po’ balistica e così via ?! Ascendente in Pesci : i nati sotto questo segno vengono dagli astrologi descritti come persone piuttosto inclini a farsi trascinare, di carattere umile, del tutto prive di una volontà dominatrice e conquistatrice . Queste rispondenze potrebbero ritenersi non adeguate a chi, come Pietro I, fu uno zar temuto ( ma è anche vero che pure Nerone fu temuto : i sudditi ben a ragione temono anche i sovrani deboli, che sono però soggetti a stati d’ira durante i quali compiono efferatezze !) ; si deve però convenire che esse spiegano molti atteggiamenti di Pietro : Pietro che quasi sempre rifiuta il comando in capo della flotta e dell’esercito e si limita ad assumere ( lui, lo zar !) i gradi e le funzioni di un ufficiale in subordine ; Pietro che, dopo la vittoria sui turchi, non conduce in testa il corteo del trionfo, ma vi partecipa in coda, mischiato agli altri ufficiali (…) . Volendo concludere, dal punto di vista dell’astrologia, l’attributo di “grande” dato a Pietro sembra del tutto immeritato : Pietro era un uomo che, sì, aveva una buona propensione per i mestieri manuali e tecnici ( Mercurio in sestile con Marte ), che, sì , aveva una spiccata originalità, un’immaginazione fervida ed esuberante, addirittura era un vero e proprio “vulcano ambulante” di idee e di energie (merito di Plutone e di Nettuno !), ciò che veniva a costituire il suo grande fascino e la sua attrattiva, ma era…del tutto incapace di regnare (come si accorse per sua disgrazia il popolo russo che con sollievo ne accolse la morte )

Caterina II di Russia Biografia

La più grande imperatrice della Russia era…una tedesca . E il nome datole al fonte battesimale era stato Sofia Augusta Federica ; solo quando si era trasferita in Russia e convertita alla religione Ortodossa aveva preso il nome di Caterina – con questo nome, comunque, per meglio intenderci, sempre a lei d’ora in poi ci riferiremo . Il padre di Caterina era il principe Cristiano Augusto di Anhalt-Zerbst : uno dei tanti principotti di cui era allora piena la Germania . Uomo retto e modesto si sentiva legato da un rapporto di vassallaggio con il re di Prussia , e come suo vassallo aveva ai suoi ordini partecipato a diverse campagne . Buon soldato aveva fatto il suo dovere con fedeltà e coscienza, ma senza distinguersi per particolari azioni . Caterina, che ne ebbe sempre un commosso ricordo, scriverà : “Non ho mai conosciuto un uomo più sincero di mio padre, tanto nei suoi principi quanto nelle sue azioni” . Il re di Prussia ricompensa il suo fedele vassallo nominandolo, all’età di trent’un anni, maggiore generale di un reggimento con sede a Stettino ; e poco dopo lo fa governatore di questa città . Raggiunta con ciò una certa agiatezza, Cristiano Augusto si sposa con una persona del suo rango, la figlia del Principe di Holtsein-Gottorp, Giovanna Elisabetta di nome ; e si rivela marito e padre eccellente . Sua moglie, la madre di Caterina, ha un carattere opposto al suo : tanto lui è modesto, parsimonioso, retto, tanto lei è ambiziosa, spendacciona, intrigante e di costumi leggeri ( difetto questo che, a dir il vero, non si rivelerà a Stettino, ma solo nel suo soggiorno alla corte russa, dove si farà un amante e se ne farà mettere incinta con grande imbarazzo di Caterina, a quel tempo già fidanzata del granduca Pietro, erede al trono russo ). Nonostante tale diversità di carattere ( o, forse, proprio per questa ) la coppia risulta bene assortita : naturalmente in casa comanda la moglie, ma il marito, che ne riconosce la superiore intelligenza, di ciò non si dispiace. La nascita di Caterina costituisce per la giovane coppia….una grossa delusione . Cristiano e Giovanna speravano infatti in un maschio ( come tutte le coppie del tempo : i maschi si mettono a posto facilmente : se ne fanno dei buoni soldati ed é fatto tutto : un soldato in quei tempi di ferro trova sempre da occuparsi ; ma una femmina ? non é facile trovarle marito! ) . Il padre supera presto la delusione e si affeziona teneramente alla figliola ; la madre, invece, no; e tra madre e figlia esisterà sempre freddezza e un latente conflitto . Tale situazione di abbandono affettivo si accentua per Caterina quando, all’età di due anni, la madre le dà un fratellino : tutta la tenerezza di questa si riversa sul nuovo nato ( anche perché venuto alla luce già storpio ) . Racconta nelle sue memorie Caterina : “Due anni più tardi mia madre diede alla luce un bimbo, che idolatrava. Io ero soltanto tollerata, e spesso sgridata con durezza e violenza , né sempre a ragione . Me ne rendevo conto sebbene non mi spiegassi ancora con chiarezza i miei sentimenti”. Questa carenza affettiva ( che il padre, preso dal suo lavoro, non può compensare ), non riesce a soffocare la naturale esuberanza e vivacità di Caterina ; spiega, però, secondo alcuni, la sua volontà di affermazione anche nel rapporto amoroso, che ne caratterizzerà la vita adulta ( sottomettersi al partner, significa dipendere dal suo affetto, che può essere finto o venire a mancare : per evitare delusioni, meglio comandare, essere l’uomo nella coppia, anche se si veste la sottana ) . La madre di Caterina era doppiamente legata con la Casa regnante di Russia : suo cugino, Federico di Holstein , aveva sposato Anna, la figlia minore di Pietro il Grande ( e ne aveva avuto un figlio, Pietro Ulrico, che, come vedremo poi, sposerà Caterina ) ; inoltre il suo fratello carnale era stato fidanzato della zarevna Elisabetta e non l’aveva sposata solo perché ucciso dal vaiolo, poche settimane prima della data fissata per le nozze . Quest’ultimo legame era soprattutto importante : infatti, la zarevna era stata innamoratissima del fidanzato (tanto innamorata da giustificare, il suo nubilato e il rifiuto di legarsi durevolmente a un uomo, con il ricordo che del fidanzato sempre conservava ) e, diventata zarina, aveva sempre avuto un occhio attento e benevolo verso la Casata degli Holstein . La madre di Caterina lo sapeva e furbescamente non mancava occasione per ricordarsi alla potente parente ; quando poi seppe della volontà di questa di accasare il nipote ( il Pietro Ulrico, a cui poco prima abbiamo accennato e che la zarina aveva chiamato presso di sé nominandolo granduca e suo erede ), mandò alla Corte russa un ritratto della figlia . Il ritratto evidentemente piacque ; dato che un bel giorno del 1744 giunse al palazzo principesco di Cristiano Augusto una lettera da Pietroburgo : era del maggiordomo del granduca Pietro che su ordine della zarina invitava Giovanna Elisabetta e sua figlia alla Corte russa, facendo chiaramente intendere che il viaggio era finalizzato a propiziare le nozze di questa e del futuro zar, il granduca Pietro . Madre e figlia ( naturalmente! ) partono subito – tanto più che la generosa e benevola zarina si è fatto carico di tutte le spese del viaggio ( anche di quelle necessarie per adeguare il loro abbigliamento al lusso della Corte imperiale ) . Ma non vanno direttamente a Pietroburgo : passano prima per Berlino : si deve ringraziare il re di Prussia, Federico II, per le “buone parole” da lui spese per favorire le nozze tra la figlia del suo vassallo e l’erede al trono russo ( e il re di Prussia approfitta dell’occasione per dare istruzioni alla moglie del suo vassallo di adoperarsi alla Corte russa per scalzare l’influenza del primo ministro Bestushew, che conduceva una politica, alla Prussia, ostile – Giovanna ubbidirà, e la sua ingerenza negli affari interni russi la renderà invisa alla zarina, ne determinerà l’allontanamento dalla Corte russa e farà rischiare la rottura del fidanzamento tra Caterina e il Granduca Pietro ) . Il viaggio dalla Germania alla Russia è oltremodo scomodo : le strade sono tutte dissestate : le pesanti vetture sobbalzano continuamente sulle carreggiate pietrose o affondano nella mota altissima . E più ci si allontana dalla Germania più difficile diventa per le due viaggiatrici trovare un adeguato alloggio : spesso si deve pernottare in sperduti paesi il cui unico albergo può offrire ai suoi ospiti solamente una grande sala scaldata da una enorme stufa : donne e uomini, contadini e signori in completa promiscuità si riuniscono intorno a questa stufa, si tolgono gli stivali, espongono al suo calore i loro piedi ( spesso sudici ! ) . Ecco come la madre di Caterina descrive una di quelle fortunose soste : “La sala comune era simile a un onesto stabiolo da maiale : il marito, la moglie, il cane, il gatto di casa, alcuni bimbi in culla, alcuni altri a letto, altri ancora sopra un materasso di piume dentro la stufa ; tutto era gettato là alla rinfusa . Ma poiché tutti avevano l’aria sana, mi feci preparare un tavolato e mi coricai in mezzo alla stanza” . Fortunatamente, giunte in Russia, le cose cambiano radicalmente per le due avventurose viaggia= trici . A Riga, la prima, importante, città russa sulla frontiera, esse erano arrivate in una carrozza sgangherata, coperte di modesti mantelli di lana, e con non più di 5,6 lacchè di scorta . Da Riga ripartono per Mosca, avvolte in preziose pellicce di zibellino (primo regalo di Elisabetta alle sue ospiti ), in una slitta tanto grande da potercisi benissimo sdraiare e anche coricare per la notte . Dieci focosi cavalli la tirano, le fanno da scorta uno squadrone di corazzieri e il reparto di un reggimento . Al suo passaggio la gente accorre e grida : “Ecco la fidanzata del granduca!” . Giunte alla reggia, le due provinciali baciate dalla fortuna, sono portate, attraverso un’interminabile sfilata di splendide sale, negli appartamenti privati dell’imperatrice : lì, nella sua camera da letto, questa le sta aspettando . Caterina se la trova davanti e ne rimane sinceramente affascinata ; ancora tredici anni dopo, quando già si erano avuti motivi di tensione tra lei ed Elisabetta, così ne parla : “Debbo dire che non era possibile vederla per la prima volta senza rimanere sorpresi dalla sua bellezza e dal suo aspetto maestoso” .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Elisabetta, l’imperatrice che con tanta generosità dava ospitalità alle due principesse provenienti da un’oscura regione della lontana Germania, era la primogenita di Pietro il Grande e della sua seconda moglie ( anche lei di nome, Caterina, come la protagonista di queste pagine ) . Suo padre aveva covata per lungo tempo l’ambizione di maritarla con il Delfino di Francia, il futuro Luigi XV; e per prepararla a ciò le aveva anche fatto imparare il francese, il galateo e i balli di cor= te ; però, con grande rabbia di Pietro, il matrimonio con il Delfino era sfumato, ed egli aveva dovuto accontentarsi, come marito per la figlia, di un principe della ( modesta ) Casata degli Holstein, lo zio di Caterina, il fratello della di lei madre . Come già si è detto, questo fidanzamento voluto dalla ragion di Stato si rivelò un “grande amore”, purtroppo distrutto dal vaiolo , ed Elisabetta si rifiutò in seguito di sposarsi, per rimanere fedele alla memoria del fidanzato . Ora dobbiamo aggiungere che (misteri del cuore umano! ) ciò non le impedì per nulla di avere una interminabile serie di amanti . E non è che non fosse religiosa ; anzi, lo era moltissimo, in maniera morbosa : passava dei periodi di crisi religiosa, prostrata in ginocchio nelle chiese e nei conventi, digiunando e facendo penitenza . Poi, però, qualche bel ufficiale della Guardia, qualche lacché o qualche stalliere attirava la sua attenzione e la riportava nel gorgo della vita . Si vergognava di tali sue passioni, ma aveva pronta la scusa : un destino crudele le aveva strappato l’unico uomo che aveva veramente amato e a cui avrebbe potuto totalmente essere fedele . Elisabetta, volendolo, avrebbe potuto salire sul trono al posto di Ivan, il piccolo figlio del suo fratellastro . Ma aveva preferito, al peso del potere, la vita libera e indipendente : galoppare per i campi insieme al suo ultimo amante, prendere parte ai balli dei contadini, entrare nelle caserme fraternizzando con ufficiali e soldati semplici . Forse fu solo per sventare la minaccia dell’imperatrice di rinchiuderla in convento, che Elisabetta, forte dell’appoggio della Guardia, s’impadronì, con un colpo di stato, del potere, rinchiudendo Ivan in un castello vicino a Mosca . Elisabetta aveva amato e ammirato moltissimo il suo grande Padre e, salita sul trono, ne proseguì la politica, specie quella di introdurre gli usi europei in Russia e nella Corte . Peraltro essa lasciava briglia sciolta ai suoi ministri ; creando loro ostacoli solo per la sua proverbiale indolenza . Si lamentava Bestushev , il suo primo ministro : “Se la zarina dedicasse agli affari dello Stato soltanto la centesima parte del tempo che vi dedica Maria Teresa, io sarei l’uomo più felice di questa terra!”. E’ noto l’aneddoto di quando Elisabetta, convinta dal suo ministro, si siede per firmargli finalmente un decreto : ha già cominciato a firmare, ha già scritto “Elis” , quando, ahimè, una vespa si posa sulla sua mano : ci vollero sei mesi prima che la bella, ma troppo indolente, imperatrice si decidesse a finire la firma incominciata . Il fatto è che Elisabetta non aveva altra ambizione che quella di essere una bella donna, circondata da uno stuolo di ammiratori . Una donna che non poteva rimanere neppure un momento senza divertimenti : alla mattina, la caccia ; una gita, nel pomeriggio ; l’opera o il ballo, la sera, con relativi cambiamenti di pettinatura e di abiti (aveva quindicimila abiti e cinquemila paia di scarpe! ). Dispotica e crudele alle volte, era generalmente generosa, allegra e semplice . E covava, nonostante la sua vita brillante, nel profondo del cuore un forte sentimento materno insoddisfatto . Aveva sperato di potergli dar sfogo quando aveva chiamato presso di sé il nipote Pietro ; però questi, come meglio vedremo in seguito, aveva un carattere che non invitava all’affettuosità . Per questo, quando Elisabetta conobbe Caterina – che era tutta diversa da Pietro, che come lei era impetuosa, estroversa, coraggiosa, piena di gioia di vivere – credette di aver trovato finalmente la figlia che non aveva potuto avere e su di lei riversò tutto il suo affetto di donna passionale . E da Caterina fu ricambiata : come Elisabetta vedeva in Caterina la figlia che le sarebbe piaciuto avere, così Caterina vedeva in Elisabetta la madre che purtroppo non aveva avuta .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Il fidanzato di Caterina, il granduca Pietro, era nato, come lei, in Germania e precisamente nell’Hostein. Vari fattori : l’esser rimasto in giovanissima età orfano e privo di veri affetti, un’educazione ottusamente repressiva, una costituzione fisica gracile e malferma, avevano fatto di lui un essere debole, psichicamente instabile e in definitiva morboso . E, di tale sua morbosità, erano patenti manifestazioni due passioni, che sviluppò da bambino e che purtroppo conservò da adulto ; due passioni talmente contrastanti tra di loro che solo uno psicoanalista potrebbe tentare di conciliare : la passione per le bambole, con cui giocava in segreto nella sua camera, e la passione per la vita militare che esibiva in piazza d’armi : forse giocando con le bambole dava sfogo al suo bisogno di tenerezza e, vestendo la divisa militare, simbolo di virilità e di forza, nascondeva e compensava la sua intrinseca debolezza di carattere . Quest’essere morboso subì come una violenza ( e in realtà lo era! ) l’essere sradicato dall’amata patria tedesca per essere trasferito in terra straniera (sia pure una terra che lo voleva come zar ) e l’essere costretto ad abiurare la religione in cui era stato battezzato, le religione luterana, per abbracciarne un’altra, la ortodossa, i cui riti fastosi così tanto differivano da quelli sobri che avevano accompagnato le sue prime preghiere . E non c’è da meravigliarsi se alla violenza subita reagì con il disprezzo e addirittura l’odio per la terra, che lo ospitava, e per la religione, che era stato costretto ad abbracciare ; disprezzo e odio che non si preoccupava di mascherare ( ed anzi ostentatamente palesava, ad esempio parlando ad alta voce durante le funzioni religiose, a cui era costretto ad assistere) , disprezzo e odio che certo non erano fatti per conciliargli l’affetto dei suoi sudditi . Tutta diversa dalla condotta del Granduca fu quella della sua giovane ( ma più di lui saggia e avveduta ) fidanzata . Caterina è presa da un vero e proprio furore di imparare i costumi, la lingua, la storia del Popolo che così splendidamente l’ha accolta . Poiché gli obblighi della vita di società rendono il giorno troppo corto per il suo amore allo studio, essa di notte scende dal letto e, camminando a piedi nudi per la stanza per tenersi ben desta, si sforza di imparare la ( non facile ) lingua russa . Finisce per buscarsi una polmonite : per ventisei giorni deve lottare contro la morte, ma ognuno di quei 26 giorni le procura nuovi amici e ammiratori . Le cameriere, che conoscono la ragione della grave, forse mortale, malattia, la raccontano ai servitori, questi ai fornitori ; il macellaio, il fornaio, il calzolaio, il falegname la diffondono per tutta la città : la notizia della principessa che si alza la notte e mette a rischio la salute per imparare la lingua russa lusinga ed esalta l’orgoglio nazionale dei russi . La popolarità della principessa tocca poi il culmine quando si viene a sapere che, avendola i medici dichiarata in prossimo pericolo di vita e avendole la madre proposto di chiamare, per gli ultimi conforti religiosi, un pastore luterano, aveva preferito invece un prete ortodosso : “Fai piuttosto venire il pope Simone, avrei piacere di parlare con lui” , si diceva avesse bisbigliato con la voce resa fioca dalla debolezza . Quando , ristabilitasi, Caterina si presenta in pubblico, subito si accorge di quanta simpatia abbia conquistata . Essa non è più la forestiera guardata con curiosità e sospetto : è una di loro, è una russa.

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Risulta, da quanto già detto, che Pietro e Caterina avevano due personalità totalmente diverse . Introverso, nevrotico, malaticcio, il primo ; estroversa, equilibrata, piena di gioia di vivere, la seconda . E ciò sembrò favorire all’inizio tra i due giovani, se non l’amore ( ci pensò subito Pietro a gelare ogni possibilità di effusione sentimentale, confidando alla sua fidanzata, già nei primi colloqui a quattr’occhi, che era pazzamente innamorato di una ex dama di compagnia di Elisabetta) almeno una sorta di cameratesca amicizia : Pietro sentiva la maggior forza di Caterina ed era istintivamente portato ad appoggiarvisi, ne capiva la superiore intelligenza e trovava naturale chiederle consigli e pareri . Tanto più, questo, che Caterina aveva la furbizia di adeguarsi al livello intellettuale di Pietro : egli amava giocare alle bambole e lei lo accontentava : giocava anche lei alle bambole . Ma i rapporti sereni e amichevoli tra i due fidanzati, a un certo momento si incrinarono . E la colpa di ciò viene attribuita generalmente a una grave malattia ( il vaiolo ) che lasciò Pietro col viso irrimediabilmente deturpato . Egli non era mai stato l’immagine di una sana e virile bellezza, tuttavia il suo viso, prima della malattia, aveva dei tratti fini ed aristocratici . Ora il vaiolo l’aveva reso gonfio, quasi grossolano e l’aveva ricoperto di ributtanti pustole . Pietro sente di non poter piacere alla bella ragazza bionda, che la sorte gli ha posto accanto ; e ciò lo inasprisce . E come Riccardo Terzo, “poiché non è buono a far l’innamorato, vuol essere ribaldo” ; e, per sfortuna di Caterina, ci riesce : con lei è offensivo, sgarbato, non ha ritegno a raccontarle i suoi amorazzi e i suoi innamoramenti .

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Nonostante la tensione che cresce sempre più tra i due fidanzati, il matrimonio viene celebrato , però non viene consumato . Caterina così narra nelle sue Memorie la sua prima notte di nozze : “Dopo di che l’imperatrice accompagnò il Granduca e me nelle nostre stanze, le dame mi spogliarono e tra le nove e le dieci mi misero a letto . Io pregai la principessa di Hessen di rimanere ancora un poco, ma essa non volle acconsentire . Rimasi sola più di due ore, e non sapevo che cosa dovessi fare : forse alzarmi di nuovo ? oppure restare a letto ? Arrivò finalmente la mia nuova cameriera, la signora Kruse, che mi annunciò molto allegramente che il Granduca aspettava la sua cena, che presto gli sarebbe stata servita . Dopo che Sua Altezza Imperiale ebbe ben mangiato, venne a coricarsi , e quando mi si fu sdraiato accanto, cominciò a parlarmi del piacere che avrebbe trovato uno dei suoi camerieri a veder noi due insieme a letto . Poi s’addormentò, e dormì beatamente fino alla mattina . La signora Kruse la mattina dopo cercò di sapere da noi qualche cosa sulla nostra prima notte di matrimonio, ma le sue domande non potevano approdare a nulla . E le cose continuarono nello stesso modo, senza il minimo mutamento, per nove anni” . Ma a dir il vero non è che nel letto matrimoniale di Pietro non succedesse proprio nulla ; anzi, i due giovani sposi vi facevano dei giochi proibiti, tanto proibiti da dover essere attentamente da loro occultati : sì, a letto giocavano…..con le bambole . Si è detto della passione che Pietro per queste aveva ; e Caterina, da brava moglie, riteneva suo dovere partecipare ai divertimenti del marito . Con quale animo lo facesse lo rivelano però le parole, indignate e insieme piene di humour, con cui Caterina ebbe poi a rammentare tale fatto : “Il me semble que j’etais bonne à autre chose”! A poco a poco l’imbarazzante verità sul talamo granducale viene a galla : i due sposi si ignorano sessualmente . L’imperatrice va sulle furie : aveva fatto sposare quei due nella speranza che le avrebbero dati dei bei bambini, consolidando così la monarchia e soddisfacendo il suo senso materno, e quei due scherzano, ridono sotto le coperte ma….non fanno all’amore, non fanno figli . Di chi la colpa ? Di Caterina, che non sa nascondere la sua ripugnanza per la bruttezza e le cattive maniere del marito, inibendo così a questi, già di per sé così timido, qualunque tentativo di avvicinamento ; oppure di Pietro, che non è tanto “uomo” da possedere sua moglie ? La domanda, che si poneva allora la preoccupata imperatrice, se la pongono oggi anche gli storici ; e non è facile darle una risposta . Infatti non può dirsi che Pietro fosse frigido . Vari fatti testimoniano anzi di una sua accesa fantasia erotica, sia pure pervertita e quasi senile : Egli scopre un giorno che la propria camera da letto confina con una delle stanze degli appartamenti privati di Elisabetta : subito apre dei fori per spiare l'imperatrice mentre é in intimità col suo favorito . Egli ha un lacchè assai bello e prestante, certo Tscernyscheff ; ebbene, egli, non solo non si dispiace di vederlo in amichevoli rapporti con la moglie, ma a bella posta crea occasioni di intimità per il bel lacchè e la trascurata moglie, nella speranza che essi abbocchino l’esca e divengano amanti . Il gioco è tanto spinto che il lacchè, giustamente preoccupato per la sua incolumità, si permette alla fine di osservare che “Sua Altezza Imperiale potrebbe considerare che la Granduchessa non è la signora Tscernysceff” . Ma la sessualità di Pietro non si limitava solo a (torbide ) fantasie erotiche : risulta ch’egli intessé degli amori, o, se vogliamo, degli amorazzi, con varie dame di compagnia di Caterina . E allora ? Alcuni spiegano la sua impossibilità di consumare il matrimonio, con un difetto anatomico (peraltro facilmente eliminabile con un intervento chirurgico così semplice, che qualsiasi rabbino avrebbe saputo compierlo ) . Altri, e forse con più ragione, ritengono che egli fosse un impotente psichico : un neurotico, un nevrastenico sessuale. Una colpa di Caterina ( nella mancata consumazione del matrimonio ) pare invece da escludere ; sia per quel che scrive nelle sue Memorie riferendosi al marito (“Se avesse voluto essere amato da me, ciò non gli sarebbe riuscito molto difficile”) sia soprattutto perché era suo interesse ingravidarsi di un erede al trono . Sia come sia, la situazione è intollerabile e l’imperatrice prende severi provvedimenti . Al granduca viene assegnato un “accompagnatore” col compito di distoglierlo dalle sue “inclinazioni indegne” . Quali esse siano è detto minutamente nelle istruzioni ( a tale “accompagnatore” ) : “il Granduca dedica tutto il suo tempo alla dannosa intimità con i servitori ed i lacchè , li fa vestire in uniforme e fa loro eseguire gli esercizi militari, riducendo così a passatempo l’arte della guerra” ; e non basta, il granduca – continua l’impietoso elenco – versa il vino sulla testa dei servitori, accoglie con lazzi osceni le persone che gli si avvicinano, perfino se forestiere, fa continuamente delle smorfie, non riesce a tenere ferme le proprie membra (noti il lettore questi particolari, che sono propri dei nevrastenici ) e (dulcis in fundo ), cosa inconcepibile per uno sposo di diciotto anni, gioca con le bambole nella camera di sua moglie . Quanto a Caterina, le viene posta accanto una “distinta signora” (così a lei ci si riferisce sempre nei documenti imperiali ) col compito preciso di “rammentare alla Granduchessa che essa è stata innalzata al grado di Altezza Imperiale solamente affinché sia dato all’Impero il desiderato erede e successore dell’Altissima Casa Imperiale”. In pratica Caterina perde la sua libertà e diventa una sorvegliata speciale : non deve scrivere lettere, non deve parlare con nessuno a quattr’occhi. Iniziano così per Caterina anni duri, terribili, d’incertezza sulla propria sorte (ché ora crisi e tensioni diventano quasi inevitabili con la imprevedibile imperatrice ) e soprattutto di solitudine : l’unica compagnia è data dai servitori, dalle poche persone ammesse al suo salotto ( col criterio di scartare tutte quelle di carattere brillante e di aperta intelligenza ) e dal marito – un marito che la coinvolge nei suoi insulsi giochi con le bambole ( che una dama di compagnia riesce a procurargli nonostante ogni proibizione ) o che la arma di un moschetto e le fa fare…da sentinella alla porta di una stanza vuota . C’è da meravigliarsi che una persona così piena di vita come Caterina abbia potuto sopportare una tale umiliante situazione per nove anni senza cadere in qualche serio sconcerto psichico! Probabilmente da questo la salvarono il suo perfetto equilibrio psicologico e le letture, intense e profonde, a cui i lunghi spazi vuoti di tempo la invogliarono e a cui la sua intelligenza “da filosofa” la rese adatta. Caterina comincia a leggere dei romanzi francesi ; ma presto passa a letture più serie come quelle di Plutarco e di Tacito . Un giorno le viene raccomandato il Dictionnaire philosophique et critique di Henry Bayle : è il suo primo contatto con l’illuminismo ; che ben presto approfondisce con lo studio delle opere di Montesquieu e di . La futura imperatrice è entusiasta delle idee di tali pensatori repubblicani : la sua stessa condizione di reclusa, sia pure in una prigione dorata , la porta a simpatizzare per chi lotta per i “diritti dell’uomo” e per la sua libertà e fa di lei quella “entusiasta repubblicana”, in cui essa si riconobbe anche dopo aver cinto la corona imperiale .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Gli anni passavano e nel letto matrimoniale di Caterina non succedeva nulla : nulla, si vuol dire, di quel che l’imperatrice e ormai tutto il popolo russo si aspettavano . Eppure la stabilità e la pace dello Stato reclamavano un erede al trono : una soluzione bisognava ben trovarla . Un giorno la “distinta signora”, a cui compete la sorveglianza di Caterina, le annuncia di avere qualcosa di molto importante da dirle . E infatti le tiene un discorso molto serio e, anche se non esplicito, chiaro nelle sue conclusioni e nei suoi intendimenti . Comincia a parlare, alla perplessa Caterina, della fedeltà coniugale, alla moglie imposta dai sacri precetti della religione e della morale. Ma – prosegue – l’amor di patria sta sopra anche all’amor coniugale . E a questo punto taglia corto e senza più tanti preamboli, riferendosi a due giovani gentiluomini che erano diventati assidui frequentatori di Pietro e Caterina, brutalmente le dice . “Lei può scegliere tra Naryshkin e Saltycov”. Il prescelto è Saltycov ; e a lui, bello, brillante, audace, discendente d’antica nobiltà russa, subito si aprono i catenacci della prigione e le porte delle stanze di Caterina . Fu Pietro consapevole dell’intrigo ? Secondo una versione – che era anche la più accetta nelle chiacchiere della Corte – non lo fu ; e questo in quanto lo si sarebbe convinto a quell’operazione chirurgica, che lo avrebbe liberato dal difetto che gli impediva di congiungersi con la moglie ; e questo proprio al fine che egli potesse credere di essere il padre del figlio, che la gravidanza di Caterina avesse annunciato . Ma è opinione autorevole ch’egli, pur essendone consapevole, guardasse all’intrigo con perfetta indifferenza : egli stava in quel tempo corteggiando una graziosa vedova e di Caterina assolutamente nulla gli importava . Certo è che la liaison di Caterina e Saltycov ci fu e durò due anni ; e che in tale periodo Caterina, prima sterile, dopo due gravidanze abortite ( per sue imperdonabili leggerezze ), diede finalmente alla Russia e all’imperatrice il tanto atteso erede al trono : era il 20 settembre 1774 . Elisabetta – che non si era mai staccata dal giaciglio di dolore di Caterina durante tutte le otto ore in cui era durato il travaglio – appena il bimbo venne alla luce ordinò alla levatrice di portarlo nell’appartamento imperiale , dove essa stessa subito si recò con tutte le dame di corte . Tutta la nazione era in festa, le campane suonavano, i cannoni sparavano a salve ; ma Caterina giaceva sola e dimenticata su un materasso gettato a terra ( dato che, come voleva l’uso russo, non nel letto, ma in un materasso steso per terra, aveva partorito ) ; tra due finestre aperte, senza che nessuno ci fosse per darle neppure un bicchiere d’acqua . Dovette essere per Caterina una ben crudele esperienza ! Una dura lezione sulla brutalità della natura umana ; che continuò nei giorni seguenti, in cui a lei, che aveva partorito nel dolore, fu negata la gioia di tenere presso di sé il “frutto del suo ventre” . E infatti l’imperatrice, preso il bambino, non pensava neppure a renderlo . Affari di Stato, favoriti, ogni altra passione, tutto era dimenticato per questa nuova beatitudine, tanto a lungo sospirata : un bimbo da amare, da stringere al petto, da curare, da poter viziare . Soltanto due settimane più tardi , in occasione delle congratulazioni pubbliche, il bimbo fu portato per un poco di tempo nella camera di Caterina . E come a questa era stato tolto il bimbo ; così le fu tolto l’uomo amato . In fondo anche lui, come lei, aveva ormai svolta la sua funzione . Ora non doveva dar fastidio : fu mandato in Svezia dove rapidamente si consolò della lontananza di Caterina con nuove amanti e con nuove avventure ( e quando , tornato in Russia, sarà invitato da Caterina a riprendere l’antico rapporto, si rifiuterà ) . Quanto a Pietro, egli non contestò mai, almeno pubblicamente, la legittimità del figlio ; ma da allora in poi si astenne dall’entrare nel letto matrimoniale .

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La Caterina che il primo gennaio 1715, in occasione del genetliaco del granduca, compare in pubblico per la prima volta dopo il parto, è una donna resa più matura e forte dalla dura esperienza sofferta . E’ una donna consapevole della sua nuova importanza a corte ( è la madre del futuro zar, destinata forse a reggere lo Stato nella sua minorità ) e consapevole anche di aver in sé l’energia, l’intelligenza, il coraggio necessari per farla valere . Per lei una nuova vita comincia . E in questa nuova vita ben presto reclama un posto privilegiato, un nuovo amore ; un amore più profondo di quello, che l’aveva legata a Saltycov, forse l’amore più profondo di tutta la sua vita : l’amore per un giovane polacco, il conte Stanislao Poniatovsky ( il futuro re di Polonia ) . Stanislao Poniatovsky, non così bello come Saltycov, aveva però più di questo un carattere profondo e sensibile . Era fedele, attento, e discreto, cavalleresco e appassionato : da lui per la prima volta Caterina impara a conoscere a pieno la gioia d’essere amata . E lei la gusta a grandi sorsate, se ne lascia trasportare, vi s’abbandona, dà libero sfogo a tutte le forze della sua natura positiva, della sua gioia di vivere . “Io sono la donna più ardita del mondo” – esclama nella sua ebbrezza , “ e se ce n’è bisogno so essere anche temeraria” . Non si tratta di una millanteria : è la verità . Caterina non esita a far entrare l’amante nelle sue stanze, contando nella compiacenza di persone di servizio corrotte . Essa stessa, vestita da uomo, attraversa l’appartamento di suo marito, mentre questi con la sua compagnia gozzoviglia, passa davanti alle sentinelle di guardia e si affretta alla casa ospitale in cui si danno convegno Poniatovsky e i suoi amici per stare a parlare, ridere, scherzare con quelle persone brillanti e intelligenti fino all’albeggiare . A volte, la mattina, non trovando nessuna carrozza per farsi ricondurre, torna a piedi per le strade deserte della città : e così, per il gusto di divertirsi, mette a rischio la vita . Chi ama l’azzardo, ama il gioco (d’azzardo) , e Caterina , che a tale regola non fa eccezione, perde, alle carte, somme favolose : del suo assegno annuo di trentamila rubli, soltanto nel gioco del faraone, ne dilapida in media diciottomila . E’ poi sfrenatamente prodiga ; e non si creda che si tratti di regalie fatte col freddo calcolo di corrompere . Certe volte è così ; ma il più delle volte, i regali vengono da Caterina distribuiti per impulso, per il gusto di donare, di vedere intorno a sé facce soddisfatte e allegre . Ma da dove prende, la prodiga granduchessa, i soldi necessari per sostenere un treno di vita così brillante ? Certo, dal cospicuo assegno che la generosa Imperatrice le passa ; ma in gran parte è giocoforza prenderli anche dal portafoglio di sir Williams, l’ambasciatore inglese. Il quale naturalmente dà per avere in cambio qualche cosa : Caterina ha molti amici, anche tra i comandanti dell’esercito ; amici pronti a compiacerla e a seguire i suoi suggerimenti : è difficile allora spiegare il mistero dell’esercito russo sul fronte di battaglia, dell’esercito russo che vittorioso non sfrutta la vittoria, ma sta fermo dando tempo al nemico ( nemico della Russia, ma alleato dell’Inghilterra ) di riorganizzarsi e di difendersi ? Si spiega, sì, e facilmente ; anche se la spiegazione può dispiacere a qualche patriota russo, ammiratore di Caterina . Peraltro non c’è troppo da scandalizzarsi : tutti, in quel tempo, erano corruttibili alla Corte russa, dall’ultimo lacchè su su fino all’Imperatrice . L’ambasciatore inglese può scrivere al suo Governo, per convincerlo a fare un versamento ulteriore nelle casse private d’Elisabetta : “In una parola, tutto quello che è stato fatto fino ad ora é servito per comprare le truppe russe : quello che si farà, d’ora innanzi, servirà per comprare l’Imperatrice” . Tali erano i tempi e Caterina è donna del suo tempo !

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Gli anni passano e l’Imperatrice invecchia. Degli affari di stato non si occupa ormai quasi più. Con maggior frequenza di prima alterna i bagordi con le penitenze e tanto queste che quelli hanno carattere patologico . A volte si ubriaca fino a cadere a terra priva di sensi ; a volte sta tutto il giorno in ginocchio davanti a un’immagine sacra, le parla ad alta voce e crede di averne consiglio . Dozzine di uomini si affaticano nel tentativo, sempre più vano, di restaurare la sua bellezza rovinata dagli anni e dagli stravizi . Poi, col passare del tempo, il problema per lei non è neanche più quello di piacere, ma più semplicemente di tirare avanti ancor un po’ con la vita Le gambe, a quella che fu un’ammirata ballerina, si sono fatte spropositatamente gonfie, subite stanchezze la affliggono ( e allora si fa improvvisare un giaciglio dovunque si trovi e guai a chi la venga a disturbare nei suoi sonni inquie= ti ). Le medicine ormai non servono più a nulla . Tutta l’Europa guarda col fiato sospeso all’agonia dell’imperatrice . E anche Caterina deve preoccuparsi del suo futuro : che accadrà di lei quando Elisabetta non ci sarà più ? Per anni Caterina ha agito come se le sue sorti, la sua fortuna e la sua disgrazia, fossero strettamente legate a quelle di Pietro . Ma ora ciò non è più necessario, comunque non è più opportuno, comunque non è più possibile . Non è più necessario, perché il potere che le potrebbe derivare dallo status di moglie dello zar Pietro, lei può egualmente, anzi in maggior misura, ottenerlo dallo status di madre dello zar Paolo . Non è più opportuno, perché Pietro agisce come se volesse scavarsi la fossa : proprio mentre tutta la Russia freme nell’eccitamento e nella tensione di una guerra imminente contro la Prussia, egli non ha riguardo a dichiarare la sua ammirazione per Federico II , il re del paese nemico ; di più, si fa venire dall’Hostein un reggimento di soldati – di soldati vestiti alla prussiana, cosicchè nel cuore della Russia, a far la guardia al futuro zar, ci sono dei soldati con le divise odiate dei nemici della Russia ! Lo stesso sovrano così ammirato da Pietro, deve dare su di lui un giudizio severo : “ Il Granduca Russo –scrive Federico II – è molto imprudente nei suoi discorsi, vive in lite continua con l’Imperatrice, è poco stimato, o piuttosto è disprezzato dal suo popolo, e s’occupa troppo del suo Holstein” . Perché mai Caterina dovrebbe legare la sua sorte a quella di un pazzoide ? E, del resto, anche se volesse, ciò non le sarebbe possibile : Pietro è sempre più preso dal rancore e dall’odio contro di lei ; ed è giunto al punto di manifestare chiaramente la sua volontà di divorziare da lei e di sposare l’amante, una volta salito sul trono . Caterina quindi non ha altra scelta che quella di lottare per conquistare il potere, così impedendo che altri, presolo, esercitandolo, la opprima. A tal fine occorre, prima di tutto, distinguersi da Pietro, per impedire che l’odio, ch’egli si attira, travolga anche lei ; poi, occorre farsi degli alleati. Ecco allora Caterina cercare ogni occasione per manifestare la sua insofferenza verso i soldati dell’Holstein e per punzecchiare con sarcasmi il loro comandante . Eccola starsene ostentatamente ad annaffiare i fiori del suo giardino, mentre il marito dà una di quelle sue feste che, per la loro licenziosità e il loro lusso esagerato, tanto urtano il buon gusto ( e l’opinione pubblica ! ) . Eccola, lei, la repubblicana, la libera pensatrice, che tutta compunta partecipa alle funzioni della religione ortodossa ( mentre Pietro, il luterano, non vi partecipa o, peggio, vi partecipa tenendo un contegno ostentatamente irrispettoso ) . La gente guarda e capisce : Caterina, al contrario di Pietro, ama la Russia, è una russa . Ma per vincere non basta non avere dei nemici ; occorre avere degli amici, di più , degli alleati . E Caterina non deve faticare molto per procurarseli . Essa non è soltanto bella, ha “personalità” – una personalità che si fa notare, si fa sentire in chiunque l’avvicina anche soltanto una volta . A certuni induce una sorta di timore – un timore, così essi cercano di spiegare, che nasce dal suo “sguardo infiammato da bestia feroce” . Ma si tratta di eccezioni rare ( forse volute : chi vuol comandare, deve farsi, in certe circostanze, anche temere ! ) : per i più è un vero piacere starle vicino, perché essa conosce il segreto di scegliere per ognuno l’argomento capace di interessarlo e di far sì che ognuno possa porre in luce le proprie qualità . Ma Caterina, non solo piace, affascina : chi la vede, chi le parla, sente di trovarsi di fronte a una persona non comune destinata a grandi cose : gli amici vedono già nel suo capo la corona di zarina ; e anche chi non le sarebbe amico, è costretto a tener conto di tale eventualità e cerca di acquistarsene la benevolenza . La prova del fascino di Caterina, è data dal fatto stesso che, a diventare la sua più attiva e convinta sostenitrice, è la sorella di Elisabetta Vorontzov ( l’amante di Pietro ) – cioè una persona che ci si sarebbe dovuti aspettare sua decisa e acerrima nemica . Questa nemica mancata, questa amica quasi innaturalmente guadagnata, si chiama Caterina come lei ( e per distinguerla da lei, più tardi, avrà dagli storici il nome di “piccola Caterina” ) ; ed è soltanto una ragazza, anche se già sposata ( col principe Dashkov ) e madre di due figli . Caterina ( per intenderci, Caterina la futura imperatrice ) l’ha incontrata in casa dello zio ( che è il primo ministro di Elisabetta ) ed è rimasta sorpresa della sua cultura, tanto insolita in una giovane russa del tempo . Tra le due giovani donne, che condividono l’amore per Montaigne e Voltaire, è nata una spontanea simpatia ; e tale simpatia s’è a poco a poco trasformata nella “piccola Caterina” in una fanatica ammirazione per l’amica potente e più adulta – fanatica ammirazione che la porta a informarsi di ogni fatto, la cui conoscenza possa essere utile alla causa della sua grande amica e a guadagnare a questa le persone più influenti ( cose che, entrambe, le sono facilitate dall’esser, lei, la nipote del primo ministro e la moglie di un influente ufficiale ) . Altro convinto e importante sostenitore di Caterina è un tenente della Guardia, di nome Gregorio Orlov, che è succeduto a Poniatowski nel suo cuore ( ahimè, anche i grandi amori hanno una fine : Poniatowski, dopo aver data a Caterina una figlia, che Pietro aveva riconosciuta per sua, era stato allontanato dalla Russia come persona non gradita ; ciò con gran dolore di Caterina, che però dopo non molto tempo…si era consolata con il tenente Orlov, di cui abbiamo cominciato a dire ) . Gli Orlov non appartenevano alla vecchia nobiltà . La loro fortuna era cominciata col nonno ( del Gregorio Orlov di cui stiamo parlando ) , ed era nata, cosa che spesso capita, da un evento disgraziato : il nonno, un semplice strelitz, insieme a molti altri suoi compagni era stato condannato a morte ( e infatti gli strelitz erano un corpo scelto di soldati che si era ribellato a Pietro il Grande) . Venuto il suo turno di mettere il capo sul ceppo, aveva spinto via con un calcio la testa insanguinata di un compagno di sventura prima di lui decapitato, dicendo quasi con buon umore : “Bisogna pure che anch’io mi faccia il mio posto qui !” . L’imperatore , che assisteva alla scena, fu colpito da tanto freddo coraggio e, fattagli la grazia , lo arruolò in un reggimento di fanteria, dove col tempo si guadagnò i galloni di ufficiale e un titolo nobiliare . Al tempo di Caterina , di quel rude e cinico eroe, vivono cinque nipoti. Tutti e cinque militano nella Guardia , tutti e cinque sono belli di una bellezza maschia e robusta, arditi fino alla temerità, allegri e vivaci, generosi verso gli amici, sfrenati nelle passioni, beoni e giocatori, grandi cacciatori di donne, fatalisti nell’animo, e tutti e cinque sono benvoluti dai loro camerati e idolatrati dai loro inferiori, che in quella loro mescolanza di vizi e di virtù vedono l’ufficiale ideale . Compito loro e in particolare di Gregorio ( l’amante di Caterina ) è di spargere i germi della insofferenza e della ribellione contro Pietro, tra i reggimenti di stanza a Mosca e in particolare tra la Guardia imperiale . Cosa non difficile, perché negli ufficiali e nei soldati russi cova, come già si è accennato, una naturale animosità contro i soldati dell’Holstein e chi li ha chiamati . E cosa resa ancor più facile dal fatto che in tale compito gli Orlov sono agevolati da una notevole disponibilità di denaro ( ché, chiaro, gli “evviva Caterina” sgorgano più forti e convinti da bocche inumidite dal buon vino ! ) – denaro che è in parte fornito da un uomo d’affari inglese, in parte è disinvoltamente travasato dalla cassa del corpo di artiglieria ( di cui la previdente e astuta Caterina ha fatto nominare tesoriere il suo amante ) . Insomma la polvere c’è, asciutta e ben preparata : basterà innescare una miccia al momento opportuno ( il momento della morte dell’imperatrice Elisabetta ) per farla esplodere .

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Il 25 Dicembre del 1761 muore Elisabetta . Al trono sale Pietro ; senza nessuna opposizione : Caterina non si muove : perché ? Perché il suo corpo è appesantito e impacciato dal figlio (di Orlov), che sta aspettando ; mentre la impresa, a cui si accinge, la vuole più che mai agile e bella . Perché ancora bisogna aspettare che Pietro dia un motivo – un motivo che la pubblica opinione possa considerare buono e valido – per quella, che è pur sempre una ribellione al legittimo zar, fatta da una straniera, che nessun diritto, al trono degli zar, può vantare . Finalmente ai primi giorni di Aprile dell’anno seguente ( siamo dunque nel 1762) Caterina dà alla luce il suo bastardo ( bastardo, sì, perché Pietro non lo vuol riconoscere – peraltro Caterina, così com’è riuscita a mascherare con vari accorgimenti la sua gravidanza, così riesce a partorire senza scandalo, senza che l’opinione pubblica nulla sappia ) . Ora bisogna solo aspettare che Pietro…si metta la corda al collo. Pietro non è veramente stupido né veramente malvagio – la sua stessa nemica giurata, la principessa Dashkov ( la “piccola Caterina” ) dovrà ammettere che non gli mancava una certa magnanimità e un certo buon senso, e in effetti i primi suoi atti di governo sono buoni e giusti ; però è un nevrotico e un impulsivo e commette gli errori che i suoi nemici da lui si aspettano . Pietro già in varie occasioni e in vari modi aveva offeso Caterina . E sempre questa non aveva reagito ; con freddo calcolo, perché voleva apparire la “vittima” di un marito brutale . E la cosa le era riuscita perfettamente : l’ambasciatore francese scriveva al suo governo : “ L’imperatrice viene trattata con ogni possibile forma di disprezzo, al quale essa oppone la più rispettosa devozione e le sue lacrime . Il popolo, che prende parte al suo dolore, fa per lei ogni migliore augurio, ma inutilmente” . Però Pietro il 10 giugno, in un banchetto (poi diventato storico) – un banchetto a cui partecipano tutti i dignitari russi, tutti i rappresentanti diplomatici delle potenze estere, il fiore della nobiltà e dell’esercito – supera il segno : ad alta voce e ripetutamente ingiuria Caterina (chiamandola “dura”, oca ) . Caterina non reagisce, ma i suoi occhi si riempiono di lacrime . La scena ignobile s’è svolta davanti a cinquecento testimoni, tutti e cinquecento sono sdegnati per la mancanza di riguardo dell’imperatore, tutti e cinquecento sono ammirati per la condotta esemplare dell’imperatrice . Manca ancora un passo al baratro ; e Pietro lo compie . Il 21 giugno insignisce la Vorontov, la sua amante, dell’ordine di Santa Caterina . Siccome questa è una decorazione che può essere data solo alle persone della famiglia imperiale, ciò significa che Pietro, davanti a tutti, tratta la sua amante come se fosse la sua legittima consorte . Caterina anche in tale occasione non reagisce . Ma non è proprio questa sua (falsa ) mansuetudine , la cosa che fa più saltare i nervi del suo ( fragile ) mari= to ? Lo è e alla sera di quello stesso giorno Pietro, ubriaco, ordina l’arresto dell’ormai odiata consorte . L’ordine, dato tra i fumi del vino, non viene eseguito ; ma la notizia che l’imperatore ha deciso di far arrestare la sua legittima consorte e di privare dei diritti al trono il suo legittimo erede e tutto per sposare la sua amante, corre, si sparge, suscita indignazione nei ( molti ) amici dell’imperatrice e nella popolazione . Ecco arrivato per Caterina il momento di agire !

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La mattina presto del 28 giugno, Caterina, in carrozza, si presenta davanti alla caserma del reggimento Ismailov. Il suono di un tamburo fa uscire in strada ufficiali e soldati . “Sono venuta in mezzo a voi per chiedervi aiuto . L’imperatore ha dato ordine di arrestarmi : vuol farmi ammazzare insieme con mio figlio” . Come lasciare indifesa quella giovane donna che riesce ad essere bella pur con i capelli pettinati alla svelta e indossando un semplice abito nero; che sa restare nobile, serena, maestosa, pur essendo in pericolo di vita ? La truppa grida entusiasta : “Urrà ! viva Caterina , la nostra piccola madre” . La stessa scena si ripete davanti alle caserme degli altri (più importanti) reggimenti . Quando, infine, Caterina si dirige verso il Palazzo d’Inverno, in cui già si è radunato il Senato al completo, la sua carrozza è preceduta da sacerdoti adorni dei loro paramenti più lussuosi ed è seguita da migliaia di soldati, di popolani e di donne – mentre tutte le campane suonano : è un trionfo. Ma per renderlo completo, occorre l’abdicazione di Pietro . Questi si trova nelle vicinanze della capitale, a Peterhof . E verso Peterhof, senza concedersi riposo, marcia Caterina alla testa di quattordicimila soldati . Procede, la giovane donna, a cavallo, con indosso un’uniforme militare, nel giorno che si sta spegnendo ; e un apologeta di Pietro III (una persona a lei ostile, quindi ) è costretto a scrivere : “Persone che videro Caterina quella sera, dichiararono di non averla mai vista tanto bella” . Che fa intanto Pietro ? La partita per lui è tutt’altro che persa : egli potrebbe raggiungere la sua flotta a Kronstad o il suo esercito in Livonia . Però egli, come al solito, non sa decidersi : finisce per andare a Kronstadt, ma troppo tardi, quando la flotta, ormai passata agli ordini di Caterina, gli spara addosso . In Livonia non tenta neanche di recarsi ; e forse a quel punto sarebbe stato inutile . Si arrende dunque, implorando che lo si lasci ritirare con la sua amante nel suo principato di Holstein . Gli viene rifiutato : Caterina ritiene necessaria, alla sicurezza e alla tranquillità del trono appena conquistato, la presenza di Pietro in Russia, dove può essere facilmente controllato e custodito . Federico, quel Federico che Pietro III tanto ammirava, commentando la sua deposizione sprezzantemente scriverà : “S’è lasciato deporre dal trono come un bimbo si lascia mettere a letto” . Pietro avrà la (buona! ) sorte di non sopravvivere molto alla sua deposizione : dopo soli tre mesi da questa verrà assassinato dagli Orlov . Su ordine di Caterina ? sembrerebbe di no ; è un fatto, però, che essa non muoverà un dito per punire gli assassini ; non solo, li innalzerà al titolo di conte e li colmerà di onori d’ogni specie . Val la pena di dire che Gregorio Orlov (l’amante di Caterina ) che, anche se non fu l’esecutore, fu il probabile ispiratore dell’efferato omicidio, dopo di questo non ebbe pace : la visione del cadavere insanguinato dello zar, da lui fatto assassinare , lo perseguitava e finì per impazzire, impiastricciandosi, disperato e furente, il proprio viso col proprio sterco . Caterina, invece, visse ancora trent’anni, tranquilla e sorridente e morì senza aver mai manifestato il minimo rimorso . La sua maggior grandezza e la sua peggior condanna consistono appunto in questo : aver assunto su di sé ( se non altro col premiare gli assassini ) il peso di un delitto così orrendo e crudele ed essere stata tanto forte da sopportarlo fino alla morte senza mai vacillare .

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Caterina II, così come fallì nel suo rapporto coniugale con Pietro III, così fallì nel suo rapporto materno con Paolo I , il suo primogenito . E si può dire che, nell’ambito della famiglia, solo i suoi rapporti con i nipoti furono veramente felici e positivi ; solo con essi le riuscì l’impresa più importante per una donna : quella di amare ed essere amata . Il figlio Paolo le negò invece il suo amore e le fu nemico ( e il suo amore per giunta lo diede all’uomo, Pietro III, che anch’egli le era stato nemico – e questa inimicizia verso la stessa persona, verso di lei, non fu la sola cosa che unì figlio e marito : li accomunò la stessa tragica fine : entrambi furono assassinati ) . Tale mancanza di affetto tra madre e figlio come si spiega ? Certamente col fatto ( del tutto innaturale ) che questo fosse stato, alle cure di quella, sottratto appena nato ; ma non solo con questo. La condotta scandalosa di Caterina e l’incertezza di Paolo su chi fosse veramente suo padre ( Pietro III o , come si sussurrava, Saltycov ?) : ecco altri due elementi che non si possono ignora= re . Doveva essere veramente penoso per un adolescente, ormai capace di comprendere i fatti della vita, dover salutare con rispetto gli uomini, spesso di bassa condizione, che uscivano alla mattina dal letto della madre ! Angosciante doveva essere poi per lui il non sapere se veramente scorreva nelle sue vene il sangue dei Romanoff e aveva un legittimo diritto al trono o se invece egli era un bastardo che, salendo sul trono, l’avrebbe profanato . Ed è naturale che, di tali umiliazioni e di tali angosce, egli chiamasse a rispondere chi, sia pure indirettamente, gliele aveva causate . Così come altrettanto naturalmente si spiegano con l’incertezza sui propri natali, il vero e proprio culto tributato da Paolo I a Pietro III e il suo continuo sforzo di imitarlo, di rendersi il più possibile a lui simile (simile, ahimè ! anche nei difetti : nel suo disprezzo per i costumi russi, nel suo ridicolo amore per le esercitazioni militari da cortile : Paolo I, come Pietro III, invece di darsi pensiero degli affari di stato, perdeva il tempo a far fare nella sua residenza idiote esercitazioni a qualche manipolo di soldati ) : erano questi modi per esorcizzare l’angoscia sulle proprie origini (se io amo tanto lui, se sono tanto simile a lui, è perché sono figlio di lui !). Il sospetto (atroce!) che la madre fosse la mandante dell’assassinio del padre : ecco ancora un altro elemento dirompente nei rapporti tra madre e figlio . Elemento aggravato dal fatto che Paolo, non solo sospetta, ma sa che molti come lui sospettano, sa che tale sospetto viene malignamente coltivato nelle Corti d’Europa . Un giorno, mentre egli si trova in visita a Vienna, un commediante, che dovrebbe rappresentare l’Amleto, a ciò si rifiuta, adducendo che se lui avesse fatto Amleto “ci sarebbero stati due Amleti nella sala” – e Giuseppe II gli dà cinquanta ducati, fingendo di voler ricompensare la sua “delicatezza”, ma in realtà volendo premiare la sua impertinenza . Le ragioni che abbiamo ora elencate sarebbero di per sé sufficienti a spiegare la mancanza d’amore del figlio Paolo verso la madre Caterina . Ad esse bisogna aggiungere che, questa non ama il figlio : lei sa che, tutti coloro che hanno motivo di dolersi del suo governo o semplicemente cercano avventure, vedono in Paolo ( in lui, a cui solo sarebbe spettato di succedere al padre Pietro III, in lui che è lo zar usurpato ) il proprio punto di riferimento – e ciò la porta a vedere in Paolo, non un figlio, ma un avversario ; lei ancora conosce l’infatuazione che Paolo I (ad imitazione di Pietro III ) ha per la Prussia e per Federico II e ciò la porta a vedere nel figlio, non il continuatore, ma il distruttore della propria opera : “Vedo già che alla mia morte la Russia diventerà una provincia della Prussia !” – la si sente esclamare . Dunque Caterina non ama il figlio ; e lo dimostra, non solo con il suo disprezzo, ma anche con la brutalità con cui lo tratta . Paolo piange la moglie morta di parto ; sembra inconsolabile, mentre la madre vuole che si risposi e gli dia al più presto il desiderato erede al trono . Che fa lei allora, che fa quella Caterina capace di dimostrarsi così piena di tatto, così diplomatica con gli estranei ? Gli spiattella la tresca, che la moglie da lui tanto adorata teneva col suo migliore amico ; per togliergli ogni dubbio gli mette sotto gli occhi le lettere che la comprovano . La cura ( da cavallo !) è efficace, il figlio non piange più l’indegna consorte e accetta di risposarsi subito, ma che ferita è stata inferta al suo cuore ! C’è da meravigliarsi se, pressata da tali prove, da tali circostanze avverse, la mente di Paolo a un certo punto vacilla ?! La madre lo ritiene addirittura pazzo .”E’ pazzo” – dice ; ma aggiunge : “Purtroppo non è tanto pazzo che si possa proteggere la Russia contro la sua pazzia” . Squilibrato, se non pazzo, Paolo I lo è diventato davvero ; e lo dimostrerà chiaramente alla morte della madre . Prima di salire sul trono da questa “usurpato”, egli fa dissotterrare il corpo di Pietro III e ne fa portare le ossa in pompa solenne per le strade della capitale, obbligando Alessandro Orlov, ormai vecchio cadente, a seguire il corteo della sua vittima e ordinando che l’urna contenente le ossa del “padre” sia posta sul trono ( e c’è chi dice che abbia ordinato di porre sul trono, non l’urna, ma lo scheletro – ma ciò viene dai più negato ) – questo a simboleggiare che al padre Pietro, e non alla madre Caterina, egli succede . Se i rapporti di Caterina col figlio Paolo sono, a dir poco deludenti ; quelli, invece, con i nipoti Alessandro e Costantino, i figli di secondo letto di Paolo, sono pieni per lei di soddisfazioni e le arricchiscono la vecchiaia . Per Alessandro, il futuro, grande e irriducibile, avversario di Napoleone, essa addirittura stravede. Ogni giorno alle dieci e mezzo del mattino se lo fa condurre . E quando il piccolo granduca le compare davanti, l’imperatrice interrompe ogni lavoro, s’accoccola per terra e passa ore ed ore a giocare con lui, a insegnargli a leggere o ad usare l’abaco . Per lui inventa un vestitino fatto in modo da non impedirlo nei movimenti . Per lui scrive fiabe e un “abbecedario di massime”, che comincia col seguente aforisma : “Tutti gli uomini, i Granduchi non meno dei figli dei mendicanti, nascono simili a piccoli scimmiotti” . Costantino, il fratellino minore di Alessandro, all’inizio non è accolto dalla nonna con lo stesso entusiasmo : lo trova troppo gracile, troppo delicato di complessione per un nipote d’imperatore . Ma il bambino col tempo si irrobustisce e la tenerezza della nonna si riversa anche su di lui : non è forse con lui che si deve realizzare il suo sogno ( di imperatrice ) : la definitiva sconfitta dell’impero ottomano ? non gli è stato forse dato il nome di Costantino come auspicio e programma di una sua futura ascesa al trono di Costantinopoli ? Ma Caterina, non solo ama, è anche riamata : i nipoti corrispondono appieno al suo affetto ; specie Alessandro . Un giorno questi interroga una cameriera di Caterina per sapere a chi rassomiglia . “Alla vostra mamma – ella risponde : -ne avete tutti i lineamenti, il naso, la bocca” . “Non voglio dir questo : il mio umore, le mie maniere, a chi rassomigliano ?” ;”Da questo punto di vista, più alla nonna che a chiunque altro” . A queste parole, il piccolo getta le braccia al collo della cameriera e la stringe con effusione : “E’ proprio questo che volevo sentirmi dire” .

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Come Elisabetta, che l’aveva preceduta sul trono ( e, si può aggiungere, come la maggior parte dei monarchi del tempo : come Luigi XIV, Luigi XV, come Elisabetta d’Inghilterra, come Maria Stuarda….), anche Caterina ebbe i suoi “favoriti” . Furono molti, almeno una dozzina ; ma ciò non ci autorizza a pensare a lei come a una baccante o a una donna volgarmente lasciva . Tutto al contrario Caterina agì sempre “con stile”, senza mai cadere nella volgarità, anche nelle riunioni riservate a pochi intimi amici. E ,se mai un’accusa le può essere mossa, è quella di essere stata troppo prude . Il principe di Ligne, nel profilo dedicatole, ci fa sapere : “Non si poteva mai (….) davanti a lei azzardare la minima critica in fatto di religione o di moralità . A malapena ci si poteva concedere qualche battuta un po’ spinta, ma estremamente velata, di cui ella rideva sommessamente . Quanto a lei, non si permetteva mai una facezia di quel genere, né su nessuno” . Un’ipocrita, dunque, Caterina ? No, perché se ebbe, è vero, molti amanti, è anche vero che a ognuno di essi fu fedele come una moglie, finchè con lui la relazione durava – e questa, si badi, non si riduceva al puro sesso, ma in essa aveva grande spazio il sentimento . Caterina non vedeva insomma nell’uomo, con cui intratteneva una liaison, un semplice oggetto di piacere, ma una persona con sentimenti, pensieri, da comprendere e se possibile migliorare . Sì, perché, e questo va ben notato, Caterina ebbe la vocazione di un pigmalione : cercò sempre di far avanzare i suoi “amici”, non solo socialmente, ma anche intellettualmente e moralmente . Ed è spesso solo grazie a lei ch’essi riuscirono a dare il “meglio di sé stessi” . Emblematico è al proposito il caso di Potiemkin . Potiemkin, il favorito che succedette a Gregorio Orlov e che ancor più di lui ebbe importanza nella vita di Caterina, operò senza dubbio nella scena della Storia come un grand’uomo : la Russia deve a lui la conquista della Crimea e dei porti sul Mar Nero , eppure egli si considerava una “opera” fatta e modellata da Caterina . Ed era vero. Basta, per rendersi conto di ciò, pensare a quanto fu risolutivo l’intervento e l’incoraggiamento di Caterina per risollevare il grande Comandante dalla depressione in cui le difficoltà della guerra l’avevano condotto . Queste difficoltà erano veramente grandi . Otsciakov, una fortezza strategica sul Mar Nero , resisteva strenuamente ai russi e sembrava imprendibile ; di conseguenza l’avanzata delle truppe russe, di mare e di terra, segnava il passo e una ritirata sembrava inevitabile . Per colmo di sfortuna una tempesta aveva distrutta la flotta russa. Il morale di Potemkin è a terra : egli scrive a Caterina di volersi ritirare in convento . Ma Caterina ha ben altra stoffa che lui, non si lascia certo abbattere da un rovescio della fortuna : incrollabile ( e proprio così, “La incrollabile” si autodefinisce in una lettera ) è la sua fede nella propria stella, incrollabile è la sua fiducia nell’uomo amato . Gli scrive : “Non privare me e il mio impero dell’uomo più necessario, più prezioso e più fedele e tieni mente che uno spirito coraggioso può sormontare un rovescio momentaneo . Tu sei il mio amico e il mio migliore allievo, e spesso i tuoi consigli sono migliori dei miei . Ma sei impaziente come un bambino di cinque anni, mentre i tuoi affari richiedono molta pazienza, una pazienza che non si lasci abbattere da nulla”. E - dopo averlo rassicurato : “Non credere che qualunque cosa a questo mondo, possa mai far diminuire la mia fiducia in te “ – così Caterina conclude : “ Non c’è nessuna cosa affettuosa, che io non vorrei dirti” . Un’imperatrice che sa parlare con tale positivo coraggio, con tale fiducia, con tale amicizia a un generale perdente, è capace di trasformarlo in un eroe. Potemkin si riprende dallo scoraggiamento, attacca Otsciakov e, esponendosi direttamente al fuoco, compiendo prodigi di valore, la conquista . Che i sentimenti di Caterina verso i suoi favoriti fossero profondi e radicati nel suo cuore, risulta anche dal dolore che provava allorché una disgrazia o la morte li colpiva . Alla notizia del decesso di Potemkin, Caterina cade in deliquio ; eppure Potemkin l’aveva già da diversi anni lasciata ( sì, perché non mancano i favoriti che la lasciano come una volgare sartina e lei accetta la cosa senza reagire, senza minimamente tentare di vendicarsi ) . Quando muore Orlov ( ancorché anche da lui vivesse ormai da molti anni lontana ) scrive :"La perdita del principe Orlov mi ha piombata in letto con un delirio così violento, durante la notte, che é stato necessario salassarmi". Ed ecco ora ciò che Caterina scrive quando muore Lanskoi, un giovane a cui si era legata dopo la rottura della liaison con Potemkin : “…Sono immersa nel più profondo dolore e la mia felicità non esiste più . Ho creduto di morire anch’io per la perdita irreparabile che mi ha colpita, or sono otto giorni, con la scomparsa del mio migliore amico . Speravo che sarebbe diventato l’appoggio della mia vecchiaia : si applicava, faceva progressi, aveva ormai contratto tutti i miei gusti . Era un giovane che io allevavo, che si mostrava riconoscente, dolce, onesto, condivideva le mie pene quando ne avevo e si rallegrava delle mie gioie. In una parola, singhiozzando, ho il dolore di annunciarvi che il generale Lanskoi non è più” . E’ così che una Messalina scrive dei suoi amanti ? Non lo crediamo. E con tutto ciò non mancano, bisogna riconoscerlo, alcuni aspetti dei rapporti, tra Caterina e i suoi favoriti, che offendono la nostra sensibilità per il loro squallore . Particolarmente squallido era il modo con cui tali rapporti iniziavano , il modo con cui i favoriti venivano assunti come “aiutanti generali” dell’imperatrice (questo era l’ufficio loro attribuito per mascherare le loro vere funzioni ) . Senza neppure ricorrere a un pretesto, il giovane sul quale l’imperatrice aveva posto l’occhio, veniva chiamato a Corte per essere sottoposto, da un medico, a un’accurata visita . Superata positivamente questa, egli doveva superare un altro esame, di natura particolarmente intima e delicata, e di più non si può dire, da parte di due contesse amiche dell’imperatrice, a cui era stato dato, per motivi intuibili, il soprannome di “Les èprouveuses” . Il prescelto che riusciva a superare anche questa così importante prova, veniva poi condotto nell’appartamento speciale a lui destinato – appartamento fornito di tutte le comodità e di tutti i comforts ( al tempo ) immaginabili . Aprendo uno stipite, egli scorgeva centomila rubli, primo dei molti doni di cui l’imperatrice lo avrebbe gratificato durante il suo “servizio” . La sera, sarà lui a dare il braccio all’imperatrice quando questa avanzerà, solenne, nei saloni della reggia , e allo scoccare delle dieci sarà ( naturalmente !) lui ad accompagnarla nel suo appartamento privato . E non meno brutalmente cortese, se c’è permesso l’ossimoro, era il modo con cui il favorito veniva licenziato .Il licenziamento assumeva la forma di un “ordine di partire” . Lo sfortunato ex-favorito che riceveva quest’ordine – ed era un ordine spesso dato inaspettatamente – doveva mettersi in viaggio lo stesso giorno e vita natural durante non doveva più comparire davanti agli occhi dell’imperatrice . Peraltro la “liquidazione” che riceveva era generosa : alla prima stazione di posta trovava un cospicuo regalo di denaro, più una quantità d’altri oggetti preziosi . La meta del suo viaggio, in cui avrebbe potuto spendere tanta ricchezza, era a sua assoluta libera scelta . Certamente tali procedure sono squallide ; e noi non vogliamo attribuire a Caterina una delicatezza di sentimenti che non ebbe ( e che del resto non siamo soliti pretendere da un uomo di Stato ) . Diciamo solo : fu una donna normale, non una Messalina ; la sua sessualità non fu lasciva e corrotta. . Questo è sicuro almeno per il maggior tratto della sua vita . Perché non manca chi sostiene che la grande imperatrice negli ultimi suoi anni si desse a pratiche licenziose . E in effetti farebbero pensare a ciò due stanze del palazzo imperiale, con le pareti riproducenti , in una, le immagini dei favoriti, nell’altra, figure lascive . L’imperatrice – questa è l’illazione – con una cerchia ristrettissima di “amici” e di donne innominabili, si sarebbe in tali stanze data a pratiche addirittura lesbiche, che giustificherebbero l’appellativo di “Cibele del nord” a lei attribuito . Noi sulla verità di tali accuse non sentiamo di pronunciarci . Però, ricordando l’equilibrio, la dignità, la chiarezza di idee, la freschezza di sentimenti dimostrata dalla grande imperatrice fino agli ultimi suoi giorni , ci viene spontaneo ricordare alcuni insegnamenti di Nietsche : quello che “la grandezza del carattere non consiste nel non avere (….) passioni – bisogna possederle in massimo grado , ma tenerle al laccio” ; e quello che “la dissolutezza non è un argomento se non contro chi non ne ha diritto e tutte le passioni sono state discreditate per colpa di coloro che non erano abbastanza forti per volgerle a loro vantaggio” o almeno, aggiungiamo noi, per viverle, come Caterina, senza esserne travolti .Forse voleva dire la stessa cosa quell’oratore inglese, lord Kamelford, che parlando di Caterina affermò che essa onorava il trono con i suoi vizi, mentre il re d’Inghilterra (Giorgio III) lo disonorava con le sue virtù .

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Caterina, come già abbiamo avuto occasione di dire, era un’ammiratrice di Voltaire e degli Illuministi . Tanto che in un epitaffio, che si era scritta per sé all’età di sessan’anni , si definiva di “sentimenti schiettamente repubblicani” ( più precisamente l’epitaffio suonava :”Fu indulgente, ebbe idee larghe e carattere sereno, sentimenti schiettamente repubblicani, cuore generoso”) . Ma i buoni propositi, di cui era senza dubbio animata all’inizio del suo regno, si scontrarono ben presto con la dura realtà della vita ; ed essa finì per essere uno degli zar più convintamente autocrati . E quando scoppiò in Francia la rivoluzione prese le distanze e criticò duramente i rivoluzionari francesi, e nel suo regno perseguitò chiunque manifestasse idee liberali . Così spiegando a Diderot tale divergenza tra la pratica di governo e gli ideali professati : “Voi filosofi siete gente felice, che scrivete sulla carta, materia tanto docile . Ma a me, povera Imperatrice, tocca di scrivere sulla pelle degli uomini, che teme il solletico “ . La verità è che Caterina aveva un forte senso di classe e l’orgoglio di appartenere all’aristocrazia . Il conte di Segur, un diplomatico francese con cui per lunghi anni era andata d’accordo, avendo espresso soddisfazione per la presa della Bastiglia, si sentì freddamente licenziare con le parole : “Io sono aristocratica per dovere e per mestiere” . A Grimm, che le aveva mandato un ritratto di Bailly, pregandola di volergli inviare in cambio il proprio, rispose : “ E’ tanto poco conveniente che il maggiordomo del palazzo a cui è stata tolta la monarchia possegga il ritratto della più aristocratica imperatrice d’Europa, quanto che questa abbia davanti agli occhi il ritratto di un ribelle” . Tuttavia questa aristocratica convinta, nella vita privata si dimostra straordinariamente demo= cratica . Verso i suoi ospiti si rivela la più affabile, la più benevola, la più alla mano di tutte le padrone di casa . Nei ricevimenti ( non ufficiali ) incoraggia la più grande semplicità di comportamento : non vuole che ci si alzi quando entra e neppure quando parla al suo ospite stando in piedi . Capita che chi siede al tavolo da gioco, quando perde, vada in bestia, rimproveri alla sovrana di barare, le getti con stizza le carte sotto il naso . Caterina non si offende mai, difende come può il suo modo di giocare, prende a testimoni i presenti . Un giorno il conte Strogonof, a cui la fortuna è stata ostinatamente avversa, perso il controllo, si alza e con il volto in fiamme si mette a misurare la stanza a grandi passi. Un presente, trovando che sta passando la misura, vorrebbe intervenire, ma Caterina lo bloc= ca : “Lasciate stare! E’ sempre stato così, da cinquant’anni a questa parte . Voi non riuscirete mai a farlo cambiare, e neppure io” . E non è da credere che Caterina riservi tanta amabilità solo alle persone della sua classe sociale ; anche verso le persone di servizio si dimostra altrettanto gentile : non chiede loro il più piccolo servizio senza accompagnare la richiesta con qualche parola cortese : “Vorrebbe essere tanto gentile da darmi la mia tabacchiera ?” . A centinaia poi si raccontano gli aneddoti che mostrano quanto Caterina fosse umana con i suoi sottoposti .Una volta, durante un’escursione, quando già, dopo aver pranzato, è risalita nella slitta, le viene in mente di domandare se anche i cocchieri e i lacchè che l’accompagnano abbiano mangiato . Alla risposta negativa, scende nuovamente dalla slitta : “Questa gente ha bisogno di mangiare al pari di noi” . E siccome non c’è nulla di pronto, attende pazientemente che il pasto venga preparato e i poveri domestici si siano sfamati .

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Caterina aveva una grande capacità di lavoro ; e fu veramente per il suo Paese “la sentinella alla quale non si dà mai il cambio” , come la definì un poeta . Per convincercene seguiamola in una qualsiasi giornata lavorativa della sua ormai tarda età . La sveglia è alle sei . Acceso il fuoco (incombente che da giovane sbrigava da sola e ora rimette alla servitù ) , fa una rapida toeletta e una sobria colazione . Poi si mette sola soletta allo scrittoio : lì sbriga la corrispondenza con gli amici, scrive commedie, articoli di giornale . Sono le nove . è ora di dare udienza a ministri, generali , alti funzionari . Questo dura fino alle una, ora in cui l’imperatrice si reca nel suo abbigliatoio privato, dove provvede alla sua toeletta intima . Terminata questa, passa in un salone più vasto dove completa la vestizione : è il rito del petit lever . Il numero di coloro che hanno il privilegio di assistervi è ristretto ; ciò nonostante la stanza è gremita . Vi sono anzitutto i nipotini dell’imperatrice, poi il favorito di turno, quindi alcuni intimi . Non manca la “pazza di corte” , una persona assai ragionevole, che ha il compito di riferire i pettegolezzi che circolano a Pietroburgo . Così facendo ella diverte la sovrana e nello stesso tempo la tiene informata di tutto ciò che si dice e si fa sia a Corte che in città . Finita la toeletta ci si siede a tavola . Il pasto dura circa un’ora e non è per nulla ricercato : il piatto preferito dalla sovrana è bue bollito con cetrioli salati ; il dessert si riduce a qualche frutto, di solito mele o ciliegie . Finito il pranzo, si fa un po’ di conversazione ; quindi gli invitati si ritirano e Caterina lavora al suo telaio da ricamo mentre le si legge un libro . Passata così un’ora, l’imperatrice dà di nuovo udienza : al segretario, a funzionari vari . Nei momenti di tregua, gioca con i bambini ( che sono sempre i suoi più graditi ospiti ). Finita l’udienza pomeridiana, Caterina si concede un po’ di relax : gioca al biliardo, esamina le nuove collezioni d’arte e ne sorveglia la sistemazione, si diverte a tornire l’avorio . Si è arrivati così alle sei : è l’ora di recarsi negli appartamenti riservati ai ricevimenti, dove stanno per avere luogo le “entrate” . Caterina fa lentamente il giro delle sale, distribuisce parole cortesi, poi siede al tavolo da gioco . Questo termina invariabilmente alle dieci ; ora in cui Sua maestà ( senza cenare – cosa di cui essa non ha l’abitudine ) si ritira nei suoi appartamenti . Quivi giunta si dirige direttamente nella sua stanza da letto, beve un gran bicchiere d’acqua bollita e si corica . La sua giornata è finita .

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Caterina riusciva a sopportare lo schiacciante fardello dei suoi molteplici impegni solo grazie alla robusta e sana gaiezza di cui la natura l’aveva fornita. A sessantacinque anni si dedicava ancora con piacere a giochi fanciulleschi e la “mosca cieca” conservava per lei i suoi incanti . Amava giocare con i bambini, fossero i suoi nipoti o i figli e i nipoti degli amici . E per giocare con loro si gettava per terra, vi si rotolava, faceva mille follie e rideva fino alle lacrime . Sì, perché l’imperatrice amava ridere ; e la sua risata era sana e forte, sonora e squillante . I motivi dei suoi scoppi di ilarità, potevano essere i più vari . Rideva leggendo la Pucelle di Voltaire e rideva pure a vedere Leone Naryshkin dar prova della sua speciale abilità nel farsi tentennare la parrucca in testa . Essa stessa era orgogliosissima perché sapeva muovere il suo orecchio destro . Scriveva a una signora amica : “Madame, ella deve stare allegra . E’ l’unico modo di poter sopportare la vita . Parlo per esperienza personale, perché ho dovuto tollerare molte cose, e le ho potute tollerare soltanto perché mi sono messa sempre a ridere ogni volta che mi se n’è presentata l’occasione” . La causa della sua morte fu in linea con tale sua filosofia : infatti morì di una risata . Leone Naryshkin aveva avuta l’idea di travestirsi da venditore ambulante e d’andare a vendere ogni sorta di giocattoli e di cianfrusaglie nell’appartamento dell’imperatrice . Questa aveva trovata la cosa così buffa e ci aveva riso tanto di gusto da prendersi una colica per il troppo ridere . Si ritirò in camera sua prima del solito , e la mattina seguente, dopo aver scritto alla Corte di Vienna una lettera di complimenti scherzosi per una vittoria dell’esercito austriaco, cadde priva di sensi dalla sua poltrona . Per trentasei ore ancora ( tante ore quanti erano stati gli anni in cui era durato il suo lungo regno ) il suo cuore continuò a battere ; ma senza ch’essa ripigliasse coscienza . Tutti quelli che l’avevano conosciuta personalmente la piansero . Non il popolo russo ( che in fondo sentiva a sé più vicina l’imperatrice Elisabetta, collerica e manesca con le sue serve, che l’imperatrice Caterina con queste sempre cortese e “signorile” – e in questo aggettivo forse c’è la chiave dell’enigma ) .

Oroscopo di Caterina II

02,05,1729 02h 30m LMT 01h 32m GMT Stettino Germania Ascendente, Aquario Sole in Toro

La carta del cielo, e quindi la vita, di Caterina II, è “segnata” soprattutto da tre elementi : l’ascendente in Aquario, il sole nel Toro e Saturno in posizione dominante. Questi tre elementi non sono, però, sinergici, ma tendono a controbilanciarsi o addirittura a contraddirsi. L’ascendente in Aquario farebbe di Caterina una “progressista” , se non addirittura una rivoluzionaria (è la Caterina che in un epitaffio si dice di “sentimenti schiettamente repubblicani”) . Però Caterina è anche sotto l’influsso del Toro, e ciò la porta a combattere con decisione ogni movimento che metta in pericolo il suo potere e il suo benessere (Sementovsky-Kurili, nel suo famoso trattato di astrologia, dipinge il taurino come “inflessibile nella sua volontà di proteggere quanto possiede, di agire contro le forze che potrebbero tentare di privarlo del suo benessere” ) : ecco, quindi, Caterina che fredda il conte di Segur, che incautamente aveva espresso soddisfazione per la presa della Bastiglia, con le parole : “Io sono aristocratica per dovere e per mestiere” : è chiaro che ciò che impedisce a Caterina di mettersi in testa il berretto frigio è solo il fatto che per farlo…dovrebbe togliersi la corona . Vi è poi Saturno ( il severo, profondo, rigoroso Saturno ) : egli deve essere senza dubbio considerato la “dominante” della carta del cielo di Caterina : l’elemento cioè che ci dà la chiave per comprendere la sua personalità . Ed è infatti Saturno, che, controbilanciando la tendenza aquariana ai sogni utopistici e la tendenza taurina all’indolenza e al piacere, fa di Caterina la “filosofa”, la strenua lavoratrice (“la sentinella alla quale non si dà mai il cambio”), la paziente e cauta politica . Con tutto ciò Venere, la dolce signora del segno del Toro, non manca di farsi sentire : è lei che dà a Caterina il suo fascino, la sua cortesia e, dulcis in fundo, la sua propensione all’intenerimento sessuale . Però, si badi, nessun elemento della carta del cielo permette di definire Caterina II come una pervertita o un erotomane : la Venere di Caterina si trova ottimamente “aspettata” e, quel che più conta, non subisce nessun influsso negativo da parte né di Nettuno né di Plutone (i pianeti che, formando aspetti malefici con Venere, rendono la sessualità morbosa ) Certamente, però, non può certo negarsi che Caterina ebbe una vita sessuale molto “movimentata”, di cui non è sufficiente spiegazione la forte posizione di Venere : vogliamo interrogare su di essa le case VII, IV, V e il nodo lunare (cioè gli elementi che condizionano, secondo gli astrologi, la vita sentimentale di una persona ) nella speranza di avere da essi gli sperati lumi ? La casa VII (la casa in cui l’astrologo cerca le informazioni sul matrimonio e i rapporti col coniuge) ci si presenta completamente vuota di pianeti ( come dire che è un settore della vita di scarsa importanza e significato ) e con la cuspide nel segno del Leone ( chi è così segnato, secondo il Sementovsky, “può essere sicuro di trovare presso il compagno di vita piena comprensione per le proprie debolezze” : Pietro III, che chiude tutti e due gli occhi sulle infedeltà di Caterina e addirittura ne riconosce i figli illegittimi ! ) . La casa IV (quella che dà informazioni sulla “vita nel focolare domestico” ) risulta occupata da un segno inadatto: dal segno dei Gemelli ( il Sementovsky, chiosando tale combinazione oroscopica : “La vita nella casa paterna e più tardi in casa propria può essere sregolata o disordinata…a volte il soggetto non riesce, sebbene si sposi, a fondare una famiglia nel senso corrente della parola . Per lo più si tratta di persone che a priori vi rinunciano…”. Così come Caterina II in effetti vi rinunciò . La casa V ( la casa che ci informa sui divertimenti e sull’amore ) risulta ( e può essere per molti una sorpresa ! ) “vuota” ( si direbbe che i “favoriti”, nel quadro complessivo della vita di Caterina, significassero in fondo ben poco ! ), però con Venere e ancor più Giove prossimi alla sua cuspide e con questa occupata dal segno del Cancro . La prossimità di Venere potrebbe interpretarsi come indice di un rapportarsi di Caterina con i suoi “favoriti” sotto il segno dell’attrazione sessuale (peraltro volubile, come volubile è il segno dei Gemelli in cui Venere si trova ) e la prossimità di Giove, come un indice del suo rapportarsi con loro con senso di giustizia (“Tu non mi ami più e vuoi lasciarmi ? è un tuo diritto, è giusto e…non mi vendico” ) .Quanto al Cancro in cuspide, per esso può valere il seguente significato ( che noi ricaviamo dal trattato del Sementvsky ) : “Mutevoli relazioni d’amore accompagnate da stati di esaltazione . L’oggetto dell’affezione non corrisponde affatto all’immagine che se ne fa il soggetto : pertanto frequenti delusioni” . E veniamo infine al nodo lunare : esso si trova in campo XII e il significato ( piuttosto ovvio ) di ciò ce lo dà così il Sementovsky : “Rapporti intimi illegali, immorali o comunque inammissibili che il mondo tuttavia ignora” . Sembrerebbe quindi doversi concludere (sul punto, vita sentimentale e famigliare di Caterina) così : Caterina non crede né nella famiglia né nel matrimonio e neanche nell’amore : i favoriti per lei sono solo un passatempo o un aiuto politico, nulla di più . Eppure – e ciò forse ci rivela quello che deve essere stato il dramma esistenziale di Caterina – guardando alla disposizione dei pianeti nella carta del cielo, vediamo che, quasi tutti, si concentrano nell’ imum coeli , cioè nella parte inferiore, sotto l’orizzonte, della carta del cielo, in quella sua parte che indica la vita intima, raccolta, del soggetto . Come dire, la parte più importante della sua vita, Caterina la sente – non nel successo professionale, non nel mondo della cultura ( guardi lo studioso in alto nella carta del cielo, dove vi sono la casa decima e la casa nona, che tradizionalmente vengono riferite ai rapporti col mondo professionale e della cultura, e le troverà vuote ! ) – ma nei rapporti con poche e fidate persone con cui è possibile relazionarsi con naturalezza e senza problemi di etichetta : ecco le serate di Caterina passate con persone che non esitano a bisticciare con lei giocando a carte o a parlarle, senza tante riverenze, stando sedute mentre lei è in piedi . Alessandro I di Russia

Biografia di Alessandro I

Il 12 dicembre (del calendario giuliano) 1 al granduca Paolo , figlio dell’imperatrice Caterina II , e a sua moglie, la granduchessa Maria Federovna nasce il tanto aspettato, da loro e da tutta la Nazione, erede maschio: gli vien dato il nome di Alessandro Pavolovic ( e sarà il primo di una numerosa figliolanza, tre maschi, contando Alessandro, e sei femmine, che Maria Federovna – questa principessa tedesca sposata in seconde nozze da Paolo – darà alla nazione russa e alla sua soddisfattissima imperatrice !). Alessandro appena nato viene sottratto alla madre e portato negli appartamenti dell’imperatrice: sarà questa a far da mamma al nipote (come se fosse orfano!) e a prendersi cura della sua educazione (forse che quei retrogradi del figlio e della nuora sarebbero capaci di educare il bimbo, il futuro imperatore di Russia? Lei, sì, che lo sa, perché l’ha studiato nei più moderni libri di puericultura : Alessandro sarà allevato secondo severi ma sani principi spartani: niente culla ma un lettino di ferro con cuscini di duro cuoio, ogni mattina una doccia in una stanza la cui temperatura non superi mai i 15 gradi). E in effetti Alessandro cresce bene, diventa un bel bambino sano e forte, senza l’ombra di una malattia, un bimbo che costituisce l’orgoglio della nonna. All’età di sei anni gli viene dato un precettore : uno svizzero, repubblicano arrabbiato, amico del popolo e avversario della tirannia : è quel che ci vuole ( secondo la nonna, che in gioventù simpatizzò per Rousseau e gli Enciclopedisti) per fare, del futuro imperatore della Russia, un governante moderno , e capace di modernizzare la Russia ancora tanto arretrata. Dunque , sani i principi a cui si ispira l’educazione fisica e morale di Alessandro ; non altrettanto sano, però, anzi decisamente vizioso , è l’ambiente in cui egli deve crescere. Nella corte sfarzosa di Pietroburgo lo stile di vita é estremamente “spregiudicato” – e la parola è un eufemismo. E di tale spregiudicatezza ne dà l’esempio l’imperatrice. Questa donna , già bella ma ora invecchiata , fa un uso sfacciato di giovani amanti. Alessandro – adolescente ma ormai in grado di comprendere le cose della vita – deve vedere la nonna far la vezzosa a tavola con l’amante di turno, per poi ritirarsi nei suoi appartamenti -–appesantita e ansimante – con il favorito alle calcagna. Alessandro prova ripugnanza per quelle passioni senili ; ma in quella corte, in cui tutto è intrigo, menzogna, odio ribollente , una cosa egli ha imparato presto (una cosa che non dimenticherà mai durante tutta la vita!) : se si vuole sopravvivere, in questo basso mondo, occorre saper dissimulare : nessuno deve poter penetrare nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti : per gli altri occorre essere come una “sfinge” ( per usare un termine che in effetti ad Alessandro verrà, dai contemporanei e dai posteri, riferito). Ciò del resto gli riesce facile e spontaneo , dato che per carattere egli è portato ad evitare urti con l’ambiente in cui è destinato a vivere, ma ad armonizzarsi il più possibile con esso : insomma a dire “si” anziché “no”. Quindi non deve meravigliare che Alessandro già grandicello (quattordicenne) accetti di buon grado di diventare per Platone Zubov (che sarà l’ultimo grande “amore” di Caterina che avrebbe

1 Sul calendario giuliano saran basate tutte le date che daremo in prosieguo. Per avere le corrispondenti date del calendario gregoriano (calendario che, com’è noto, fu adottato in Russia solo con la rivoluzione bolscevica) il lettore dovrà aggiungere 11 giorni. potuto….essergli nonna) un compagno di passeggiate, di gite, di giochi di società. Essi rideranno fianco a fianco sotto lo sguardo commosso dell’imperatrice, lieta dell’intesa che regna tra nipote e favorito. Un vero idillio familiare su cui neanche il “virtuoso” precettore niente troverà a ridire ( a chi ama tanto la libertà può forse ripugnare il ….libero amore?!) Però, ancorchè circondato dal vizio, Alessandro conserva intatta la sua innocenza. Jennings , l’inviato svedese, comunica al suo governo : “ Egli (Alessandro) ha serbato tutte le grazie naturali della sua età, e il fiore dell’innocenza primeggia fra ogni altra”. Sì, però Alessandro ha una costituzione sana e forte e giunto all’età pubere inizia …..a sognare di notte le belle dame che incontra di giorno: bisogna trovargli moglie. E’ inutile dire che questo è un compito che la nonna riserva a se stessa. La sposa prescelta è una giovane principessa tedesca, Luisa di Baden. Si procura un incontro tra i due giovani : incontro che riesce però parecchio deludente : Luisa è bella ma la sua bellezza non attira né commuove Alessandro : lo lascia indifferente. Alessandro però comprende che tutti si aspettano che dica “si” al matrimonio con la bionda principessina tedesca, ed egli, lo abbiamo già detto, è uno a cui non piace dire di no: i due giovani – anzi giovanissimi (lui è quindicenne, lei tredicenne) – il 28 settembre 1793 si sposano (una volta che Luisa ha cambiato il suo nome in quello più russo di Elisabetta Alekscèvna e si è fatta battezzare secondo il rito ortodosso). I due sposi sono entrambi belli e affascinanti però…….sessualmente non si dicono nulla. Forse anche perché troppo giovani e inesperti. Un cortigiano, devoto alla monarchia, il generale Protezov, annota nel suo diario: “Durante i mesi di ottobre e novembre il comportamento di Alessandro Pavlovic non ha corrisposto alle mie speranze. Egli si sofferma su sciocchezzuole infantili, soprattutto militari ; seguendo l’esempio del fratello, si abbandona nei suoi appartamenti a giochi indecorosi con la servitù. Tali giochi, che sono della sua età ma non del suo stato, hanno la moglie per testimone. La condotta del granduca è altrettanto puerile nei confronti di quest’ultima: le manifesta un grande attaccamento, viziato però da una certa grossolanità che non si addice alla delicatezza dell’altro sesso”: una fanciulla al suo primo sbocciare, anima romantica e sensi addormentati, a letto con un giovane ancora inesperto e maldestro : che ne può venire fuori di eroticamente eccitante ?! Com’è inevitabile in questi casi le pulsioni sessuali , che non trovano soddisfazione nell’ambito matrimoniale , vanno a cercarla in avventure e legami extramatrimoniali : Alessandro e Elisabetta rimarranno buoni amici per tutta la vita , però reciprocamente si concederanno un’assoluta libertà sessuale. Sia l’uno che l’altro avranno delle liaisons, con relativo corteo di figli illegittimi (cosa ben nota a Corte – anche per quel che riguarda Elisabetta, come risulta dal seguente aneddoto : al momento del battesimo della primogenita di Alessandro e Elisabetta, l’imperatore Paolo , alla contessa che gli presenta la neonata , domanda bruscamente : “Signora, pensate che un marito biondo e una moglie bionda possano avere un figlio bruno ?” – turbata , la contessa balbetta : “Sire, Dio è onnipotente !”). Se le liaisons di Elisabetta hanno un certo spessore sentimentale ( e sono anche rare e in un certo senso “sofferte”), per Alessandro quelle che contano sono soprattutto le avventure superficiali; anzi, più che le avventure (in definitiva non numerose, specie se si tiene conto della facilità che l’autocrate della Russia avrebbe a procurarsele !) per Alessandro contano i fleurts, le schermaglie amorose. Il fatto è che Alessandro, uomo bellissimo, affascinante, corteggiatissimo dalle donne, ha in sé una buona dose di narcisismo e gode soprattutto nel sentirsi ammirato: quando la donna oggetto del suo corteggiamento si accende e diventa a sua volta intraprendente egli……si tira indietro. Czartoyski, un gentiluomo polacco suo intimo amico e collaboratore (nonché amante della moglie, di Elisabetta) scrive sulle sue abitudini sessuali : “Era ben raro che la virtù delle signore a cui questo principe si interessava fosse messa veramente in pericolo”. Durante la sua visita alla Corte prussiana, Alessandro fa una corte spietata alla regina Luisa (sotto lo sguardo compiacente del reale consorte che da un’eventuale liaison tra la moglie e il potente imperatore spera di ricavare benefici per il suo regno periclitante). Ma, ritiratosi nel suo appartamento, nel timore che la bella e disinvolta regina compia qualche intrusione notturna……barrica le porte della camera. Quest’uomo controllato, dalla sessualità sofisticata e cerebrale, finisce per legarsi durevolmente con una donna bellissima, sì , ma di gusti semplici e senza nessuna pretesa intellettuale: Maria Naryskin, moglie di un ricchissimo signore polacco e naturalmente……coniugata a un marito molto compiacente. I due legami, quello legittimo con Elisabetta e quello illegittimo con la Naryskin, coesistono armoniosamente: Elisabetta sa naturalmente del legame extraconiugale del marito ma molto generosamente non fa storie o solleva problemi, anzi quando alla Naryskin muore prematuramente un figlio gettando Alessandro nella disperazione , Essa le fa , commossa , le condoglianze. Alessandro pur avendo due “famiglie” , non lascerà discendenti: tutti i suoi figli, sia quelli avuti da Elisabetta che quelli avuti dalla Naryskin, moriranno prematuramente, i più in tenerissima età. Egli attribuirà ciò a un castigo divino per la sua “colpa”. Ma per dire di questa dobbiamo prima parlare dei rapporti tra Alessandro e suo padre.

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Passati i primi anni dell’infanzia sia Alessandro che suo fratello Costantino prendono a frequentare il padre, l’arciduca Paolo. Questi , che non tollera neanche la presenza della madre, l’imperatrice Caterina, vive in una sua proprietà poco distante da Pietroburgo, Gacina. Gacina è stata trasformata in un vero e proprio feudo prussiano : i 2400 soldati che vi sono acquartierati vestono (non l’uniforme russa, ma) l’uniforme prussiana: alti stivali, guanti fino al gomito, tricorni smisurati, capelli unti d’olio e intrecciati. Essi sono sottoposti ad una disciplina ferrea : passano la maggior parte del tempo in parate e manovre ; la loro minima mancanza in fatto di divisa o di allineamento viene punita a bastonate : perché un esercito sia forte, bisogna che sia composto da automi ! A Gacina non flauti, non violini suonanti languidi minuetti come nella francesizzata corte pietroburghese, ma marce militari e il continuo rombare dei cannoni, che fa trasalire le donne della famiglia. Ma ciò nonostante Alessandro si trova a suo agio in quest’atmosfera militaresca. A Gacina – stretto in un’uniforme prussiana, gli speroni ai tacchi e il bastone alzato – senza dar segno della minima stanchezza assiste alle sfibranti e interminabili manovre della truppa, insegna a reclute imbecilli l’uso del moschetto, il passo cadenzato, lo schieramento a quadrato, le marce e le contromarce. E soprattutto si appassiona all’artiglieria ( ma tale passione la pagherà assai cara : infatti il suo stare troppo vicino ai cannoni gli procurerà una sordità all’orecchio sinistro, che l’angustierà tutta la vita :”Ciò che rende il granduca sgradevole in società è la sua sordità” – annota Rostopcin, un cortigiano - “Bisogna gridare proprio forte, perché non sente nulla da un orecchio”). Alessandro viene così a condurre una doppia vita: alla corte della nonna, in abito alla francese e scarpe con la fibbia, conversa amabilmente con le donne o parla con passione di libertà, eguaglianza, progresso; a Gacina, presso il padre, vestito alla prussiana, dà secchi ordini alla truppa e assiste impassibile a punizioni feroci. Tale duplicità di carattere rimarrà una costante del carattere di Alessandro: egli , da una parte, amerà ispirare i rapporti con i suoi collaboratori ad amicizia, mancanza di ogni formalità, diciamo a “democraticità”; ma, dall’altra, esigerà un’assoluta efficienza nel lavoro e una perfetta esecuzione dei suoi ordini. E sarà severissimo contro chi si dimostrerà deficiente in quella o sgarrerà in questa : un collaboratore non riesce a trovare un documento : Alessandro gli urla in faccia : “Ti spedirò in un posto che non saprai scovare sulle tue carte”. Eppure quel collaboratore è un amico, un suo intimo , a cui, trovato il documento, sbollita la rabbia, Alessandro si rivolge quasi su un piano di parità : “Ammetti che eri in colpa? Facciamo la pace!”. Quando i soldati del reggimento Semionovski, non sopportando più le vessazioni di un sadico comandante si ammutinano, peraltro senza compiere violenze, Alessandro ordina, spietato, che i capi della sommossa ricevano, ciascuno, 6000 vergate e siano spediti ai lavori forzati nelle miniere. Ma dove si rivela la parte meno simpatica, la parte Gacina , di Alessandro (amore dell’ordine ottenuto a costo dell’annullamento dell’individuo) è nella ideazione e costituzione delle “colonie militari”.Tali colonie sono comunità, poste alla frontiera dell’impero per presidiarlo , in cui i soldati vivono insieme con i contadini : i primi aiutano i mugiki a falciare, trebbiare, arare ; i secondi, nel tempo libero, imparano l’uso delle armi e a marciare. Tutta la vita, in tali comunità, è ispirata a una disciplina militare : i contadini spingono l’aratro e maneggiano la falce indossando l’uniforme e al suono di un tamburo. I matrimoni sono combinati dall’autorità militare, spesso con estrazione a sorte. Le donne che non partoriscono con sufficiente frequenza sono soggette ad ammende. I bambini all’età di sei anni , sottratti alle famiglie, vengono mantenuti ed educati dallo Stato come “figli della truppa”. Tutto è regolamentato : spazzatura dei cortili, lavaggio dei pavimenti, cura del bestiame, accensione delle luci e dei fornelli, allattamento dei bambini, insomma ogni minima azione della vita quotidiana. E’ pur vero che ai mugiki sono assicurate linde casette in cui abitare e un vitto sano ; però a quale terribile prezzo : la perdita della libertà di cui (pur nella sporcizia) godevano! Essi quindi protestano, supplicano, scappano, si nascondono nei boschi. La risposta dello zar a tali proteste è categorica : “Le colonie militari continueranno ad esistere, pur se ciò significasse coprire di cadaveri la strada tra San Pietroburgo e Cudovo”. Quando nella colonia militare di Cuguev scoppia una ribellione, ben 160 uomini vengono giustiziati.

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I rapporti di Alessandro col padre, che possono definirsi buoni fino a che la nonna vive, diventano veramente difficili alla sua morte. L’assunzione al trono di Paolo, determina infatti un rivolgimento traumatico dello stile di vita sia per tutta la corte russa sia in particolare per Alessandro : dall’ oggi al domani lo spirito germanico scaccia in ogni dove lo spirito francese. Non solo cambiano (come c’era da aspettarsi!) le divise degli ufficiali (non più ispirate all’esercito francese ma a quello del grande Federico II) ma cambia anche il modo di vestire dei civili ; per amore o….per forza. Con un ukaz del 13-1-1797 il nuovo zar proibisce i cappelli rotondi, gli stivali con il risvolto, i pantaloni dritti, le scarpe con stringa. E a far eseguire l’ordine ci pensano i dragoni lanciati a piccoli gruppi nelle vie di San Pietroburgo; essi aggrediscono i passanti il cui abbigliamento non corrisponde alla volontà imperiale, strappano via i cappelli , lacerano i gilè, sequestrano le calzature. I contravventori – tutti appartenenti alla migliore società – si ritrovano pesti e con gli abiti a brandelli. Il valzer non elettrizza più le serate della Corte e dei palazzi signorili : come danza francese e quindi giacobina viene bandito. Così come subiscono l’ostracismo parole come “cittadino” “club” “sociale” “rivoluzione” ( neanche della “rivoluzione” degli astri si può parlare !) . Anche le alleanze vengono dall’oggi al domani capovolte: lo zar rompe le relazioni con l’Inghilterra (rea di aver sottratto Malta agli omonimi cavalieri – venerati dall’ imperatore , che vagheggia un ritorno allo spirito feudale del medioevo ): le navi inglesi nei porti russi , vengono sequestrate, l’esercito imperiale si muove alla conquista dell’. Il malcontento dilaga : i giovani nobili della guardia rimpiangono le belle divise e le feste spensierate dei tempi di Caterina II; i commercianti e gli industriali piangono gli affari andati in fumo con l’interrompersi del commercio con l’Inghilterra. E se la Russia piange, Alessandro….non ride : egli è, sì, indicato come l’erede al trono e ricoperto di incarichi onorifici, ma non gli viene concesso nessun effettivo potere: deve tenersi continuamente a disposizione del padre ed eseguirne pedissequamente gli ordini : e guai se tale esecuzione non soddisfa l’esigente e severo imperatore : sono rimproveri brutali, anche minacce, perfino minacce di cambiare la linea di successione per escluderlo dal trono. Alessandro viene colpito anche nella sua privacy : egli era solito riunirsi con intimi amici per parlar e progettare di politica ispirandosi a idee progressiste : il circolo viene sciolto, gli amici vengono allontanati. In tale situazione di generalizzato malcontento è inevitabile che si faccia strada l’idea di un colpo di stato. E infatti ufficiali “progressisti” si riuniscono nascostamente per tessere le fila di un complotto. Ma questo non può riuscire se manca il consenso dell’erede al trono (se non altro perché senza tale consenso i congiurati avranno sempre da temere che, detronizzato Paolo, chi sale al trono al suo posto , severamente li punisca). Alessandro una prima volta si rifiuta; ma quando i congiurati accortamente gli fan presente che la detronizzazione è imposta dall’amor patrio ( la Russia sta andando in rovina), quando gli ricordano le minacce paterne di escluderlo dal trono, quando gli assicurano che nessun male al padre verrà fatto, egli cede: non parteciperà al colpo di Stato, ma accetterà di subentrare nel potere al padre ( e, ciò va sans dire , non punirà i congiurati ). Avuta la via libera dal principe ereditario i golpisti possono agire ed agiscono. Nella notte del 11-3- 1801 essi si riuniscono in un appartamento contiguo al Palazzo imperiale. I loro capi sono il governatore di Pietroburgo, Pahlen, il generale Bennigsen, i fratelli Zubov ( come il lettore ricorderà, Paolo Zubov era stato l’ultimo dei favoriti di Caterina). I visi sono accesi dall’amor patriottico e dalle…abbondanti libagioni. Pahlen, il loro capo, dichiara finito il regno di Paolo e invita a fare un brindisi al nuovo zar Alessandro. Uno degli astanti, la voce impastata dal vino, azzarda: “ E se Paolo facesse resistenza ?”. Imperturbabile Pahlen risponde: “Lo sapete, signori, che per fare una frittata bisogna rompere le uova”. I congiurati ,entrati senza difficoltà nel Palazzo (dato che conoscono la parola d’ordine), arrivano per vie tortuose nella biblioteca che serve da anticamera all’appartamento dell’imperatore. A difesa della sicurezza di questo ci sono solo due lacchè assopiti : al rumore che fanno i congiurati, uno di questi lancia un grido, ma si accascia colpito subito da una sciabolata, l’altro terrorizzato fugge. La via è libera; ma al momento di entrare nella stanza dell’imperatore, la maggior parte degli ufficiali, quasi si rendesse conto solo allora del sacrilegio che sta per compiere, si dilegua. Solo Bennigsen, i fratelli Zubov e una dozzina di altri, penetrano nella camera da letto: questo è vuoto : l’imperatore al grido del lacchè è fuggito. Platone Zubov esclama furibondo: “L’uccello ha preso il volo”. Bennigsen, perfettamente calmo, tasta le lenzuola e conclude . “Il nido è ancora caldo. L’uccello non è andato lontano”. Ci si guarda attorno: Bennigsen si accorge che da un paravento spuntano due piedi nudi : è l’imperatore: camicia bianca, berretto di cotone, viso disfatto dalla paura, occhi stravolti. Viene spinto verso un tavolo. Un ufficiale gli spiega davanti l’atto di rinuncia. Paolo testardamente rifiuta la firma. Intanto si sente nell’anticamera un rumore: potrebbe trattarsi di truppa fedele all’imperatore: occorre affrettarsi. Gli ufficiali che attorniano Paolo lo premono perché firmi : gesticolano, urlano, minacciano. A un certo punto uno dei due moccoli di candela che illuminano la stanza, si spegne ( o viene spento) : resta solo il debole lumino davanti ad un’icona. Nella penombra è difficile riconoscere le persone. Qualcuno con un tabacchiera colpisce Paolo alla tempia e lo fa stramazzare a terra. E’ l’inizio. I congiurati tremanti di paura e di odio si gettano su di lui. L’imperatore si dibatte e grida a squarciagola. Allora un congiurato (sempre nell’oscurità) afferra una fascia, gliela passa attorno al collo e comincia a stringere. Paolo già mezzo soffocato scorge una persona, che gli sembra il figlio Costantino e la implora : “ Fatemi grazia, monsignore! Grazia, per pietà…..aria, voglio aria”. Non vi fu pietà in quella notte. Alessandro nel frattempo , nelle stanze a lui riservate, attende, più morto che vivo, di conoscere la conclusione degli eventi. Con lui é la moglie Elisabetta : stanno , insieme abbracciati teneramente, cercando conforto l'uno nell'altro. Arriva Pahlen, il capo dei congiurati, e dà la terribile notizia : lo zar è morto, morto assassinato. Alessandro scoppia in lacrime , vinto dal rimorso: egli si sente segnato per sempre dal marchio del parricida; un parricida dalle mani pulite…..la specie peggiore. Pahlen lo guarda freddamente. “ Smettetela di fare il bambino! Andate a regnare”. XXXXXXXXXXXXXXXXXXX

L’annuncio ufficiale è: Paolo I è stato vittima di un colpo apoplettico. Ma la verità non tarda a trapelare: Paolo I è stato assassinato; ed il sospetto è che ciò sia avvenuto con il consenso del figlio – sospetto avvalorato dal fatto che questi, salito sul trono, si è ben guardato dal fare indagini e dal porre sotto processo i presunti assassini. Tale sospetto graverà come un macigno su tutto il regno di Alessandro I. Quando questi rimprovererà a Bonaparte l’assassinio del duca d’Enghien, Talleyrand gli risponderà dando per scontato l’assassinio di Paolo ( e così bollando come falsa la versione dallo stesso Alessandro data!) e rinfacciando l’impunità concessa agli assassini: “La lagnanza che oggi la Russia muove induce a domandarsi perché , quando l’Inghilterra meditò l’assassinio di Paolo I e si venne a sapere che gli autori del complotto si trovavano a una lega delle frontiere, non si fece il gesto di catturarli”. Ma l’assassinio del padre, più che sulle fortune politiche di Alessandro (chè, in definitiva , dal sospetto di una sua complicità nell’assassinio, la sua popolarità , sia all’estero che all’interno della Russia, non fu mai seriamente scossa o diminuita) influì sulla sua personalità per tutta la vita : novello Oreste perseguitato dalle Erinni, non potè mai togliersi il rimorso di quella tragica morte. Scrive la contessa Edling nella sue memorie : “Si nascondeva spesso nell’angolo più isolato del suo appartamento e lì, abbandonandosi al dolore, emetteva sordi gemiti accompagnati da torrenti di lacrime”. E se ciò avvenne (ovviamente) nei primi tempi successivi alla morte del padre, anche dopo, in tutto il resto della sua vita, il rimorso mai lo abbandonerà. E alla sua colpa egli attribuirà tutte le numerose disgrazie che colpirono la sua persona e il suo regno : la morte prematura di tutti i figli, l’invasione del suo impero da parte della soldataglia napoleonica, i disastri naturali che afflissero la Russia : quando una terribile alluvione sommerge gran parte di Pietroburgo, a chi del popolo, disperato, a lui si rivolge dicendo “Dio punisce le nostre colpe” replica : “No, Dio punisce la mia Colpa” : la colpa di non essersi opposto all’assassinio del padre.

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Alessandro regnerà dal marzo 1801 fino alla sua morte (maggio 1826). E durante questo suo lungo regno saranno molti gli avvenimenti che interesseranno il suo vasto impero: alcuni tragici e dolorosi, come le ripetute sconfitte ad opera degli eserciti napoleonici culminate nell’incendio di Mosca; ma molti felici e gloriosi: come la vittoria finale su Napoleone , che fece per lungo tempo della Russia l’unica superpotenza d’Europa e l’arbitra dei suoi destini ; come la sicura acquisizione , nell’orbita dell’influenza russa, della Polonia ; come l’assorbimento nell’impero di numerosi territori, alcune volte con la forza (il caso della Finlandia e della Bessarabia), altre volte pacificamente, per spontanea dedizione (il caso della Georgia e della Mongolia) o in seguito a trattati (il caso delle rive del mar Caspio). Spesse volte lo Zar ha dovuto abbandonare le sale sfarzose dei suoi palazzi per affrontare i disagi e le privazioni della guerra, spesse volte ha dovuto smettere gli amabili conversari con dame eleganti e affascinanti per assistere allo spettacolo orribile e sconvolgente del sangue dei feriti e dei cadaveri sui campi di battaglia. Egli ripetutamente non ha esitato a rischiare con gran coraggio la sua vita nelle prime linee. E ripetutamente ha dovuto assumersi la responsabilità di gravi decisioni : dopo l’occupazione di Mosca, quando ormai la Russia sembra finita ( Joseph de Maistre nell’occasione scrive “Salvo miracoli, la Russia non esiste più”) e molti premono per una pace con la Francia che salvi il salvabile, egli rischia il tutto per tutto decidendo per la continuazione della guerra ; quando a Lipsia si accorge che il piano del comandante in capo degli eserciti alleati, generale Schwarzenberg, è sbagliato, egli non esita a imporre almeno per le truppe russe un suo piano di battaglia (dice al generale Schwarzenberg “Voi farete ciò che vorrete dell’esercito austriaco. Per quanto riguarda invece le truppe russe esse si porteranno alla destra della Pleisse – ove devono essere – e non altrove !”) – e a Lipsia i russi vincono per sé e per gli alleati (che invece , seguendo il piano di Shwarzenberg, subiscono una rovinosa sconfitta) : sì, ma se la decisione dello zar si fosse rivelata sbagliata? se a Lipsia Napoleone avesse vinto ancora ?! Tutte queste lotte, queste traversie hanno profondamente modificato il carattere di Alessandro : egli è diventato più introspettivo e sente il bisogno del conforto di una fede in Dio : dal razionalismo si volge al misticismo. A tale riguardo fondamentale é il suo incontro con la baronessa Giulia de Krudener : una donna che, dopo una vita brillante e spregiudicata, nell’età matura, ha subito una radicale conversione e si è data con fervore a pratiche religiose ispirandosi alle dottrine (non della chiesa ortodossa o di quella cattolica o protestante, ma) del grande mistico svedese Swedenborg. Alessandro appena vede la baronessa ne è soggiogato. Questa con tono rude, al quale lo zar non è abituato, enumera i suoi errori, gli rinfaccia il peccato di orgoglio, lo accusa di mancanza di pentimento davanti a Dio. “No, Sire!” esclama. “Voi non vi siete ancora avvicinato all’’Uomo-Dio come un criminale che chiede la grazia. Non avete rinunciato ai Vostri peccati e non vi siete umiliato davanti al Cristo. Per questa ragione non trovate la pace interiore!”. L’allusione all’assassinio di Paolo I sconvolge Alessandro. Il quale però non si offende, non si ribella , ma si umilia, china il capo e scoppia in singhiozzi. I colloqui tra lo zar e la mistica baronessa si ripeteranno frequenti : da essi nascerà la sublime utopia della Santa Alleanza. Ma non solo l’imperatore, tutta la Russia sembra sommersa da un’ondata di misticismo. In un rapporto dell’ambasciatore francese si legge: “ Numerose signore della buona società – abbandonata quasi del tutto la galanteria – cercano ogni emozione nel misticismo”. Le più strane sette prendono piede: una vuole raggiungere l’estasi praticando le danze dervisce, un’altra, più pericolosamente, praticando l’autocastrazione. Ma questo proliferare delle sette non è pericoloso per l’unità e la saldezza dell’impero ? forse che la Chiesa Ortodossa non è il più sicuro sostegno della Monarchia e tutto ciò che indebolisce l’una indebolisce l’altra ? Certo che è così! Di ciò Arakecev , il potente ministro, nonché amico fidatissimo dello zar, ne è più che convinto. E per convincerne anche il suo Signore, combina un incontro tra questi e l’archimandrita Fozio. Fozio, affascinante figura di asceta, pronto ad ogni mortificazione (porta cilicio e cintura di ferro sotto il saio) si sente chiamato a combattere il male e le opere di Satana nel mondo : male e opere sataniche che egli ravvisa soprattutto nelle idee e nelle dottrine che direttamente o indirettamente trovano la loro fonte nella “idra dalle sette teste dell’illuminismo” – idra che egli vuole decapitare : seguaci degli Enciclopedisti, massoni, martinisti, membri di sette pseudo-mistiche sono le sue bestie nere. Ammesso alla presenza di Alessandro, il monaco non saluta il suo imperatore, ma cerca immediatamente con lo sguardo l’icona che, come vuole la tradizione, santifica il locale. Scortala in un angolo, davanti ad essa si prosterna recitando una preghiera. Reso omaggio allo “zar celeste” si rialza senza fretta per inchinarsi davanti allo “zar terreno”. Poi, senza nessuna soggezione, parla per segnalare al suo zar i pericoli che corrono la Chiesa e il Trono a causa del proliferare di sette eretiche. Egli stesso, lo zar, si è lasciato forviare e si è avvicinato al protestantesimo. Deve cambiare rotta. Il tono è cupo e terrificante. Tutta la persona del monaco – alto, magro, viso emaciato, occhi magnetici e ispirati – incute timore e rispetto: Alessandro bandirà le logge massoniche, instaurerà una rigorosissima censura per impedire alle perniciose idee dell’illuminismo di attecchire nel suolo russo.

XXXXXXXXXXXXXXX Alessandro aveva sempre manifestato un grande interesse per la compagnia femminile. Ma, arresosi alla grazia, non vuole più cedere agli stimoli della carne : tronca con le donne, tronca con la sua quasi-moglie, Naryskin. Se questa tenta di ritrovare il tono brioso e galante di un tempo, Alessandro la gela parlando di……rigenerazione morale all’ombra della Croce. Un solo vincolo lo tiene ancora unito alla Naryskin: la figlia Sofia. A questa figlia , che si è fatta una graziosa creatura di diciott’anni, elegante ed istruita, Alessandro è affezionatissimo. Ma un crudele destino vuol privarlo di questa che è l’unica figlia rimastagli. Alessandro ne apprende la morte (23-6-1824) mentre si appresta ad assistere alle manovre di artiglieria. Scoppia in singhiozzi, e le lacrime sono così abbondanti che, secondo la testimonianza del medico di Corte, “sul petto la sua camicia era tutta bagnata”. La morte della figlia tronca ogni legame con l’amante e lo ravvicina alla moglie (che, sempre comprensiva e generosa, ha pianto insieme al marito la figlia che lui aveva avuto tradendola). Tra i due coniugi ormai avviati nel viale del tramonto si forma un rapporto fatto di affetto, tenerezza, amicizia. Essi si appartano per parlare quietamente delle loro preoccupazioni familiari e politiche e….per leggere la Bibbia. Lei tutta dolcezza, lui tutto abbandono. Lo zar, stanco, in netto calo di popolarità (nei salotti della capitale sempre più apertamente si parla della necessità di en finir avec ce gouvernement ) pensa sempre più spesso di abdicare, giunto ai cinquantanni, a favore del fratello Nicola (non a favore del fratello Costantino perché questi , facendo un matrimonio morganatico, si è volontariamente preclusa la corona – a cui peraltro non tiene). In questo stato d’animo, quando i medici consigliano alla moglie un soggiorno in una località vicino al mare, decide di andare con Lei per assisterla e farle compagnia. La località prescelta è Taganov, una piccola borgata sul mare di Azov, circondata da paludi e spazzata da un vento furioso. E a Taganov il grande imperatore il 19 novembre 1826 è colto dalla morte (sembra dovuta a una infreddatura mal curata). Aveva quarantasette anni e undici mesi.

Oroscopo di Alessandro I

23 . 12 . 1777 11h 00m LMT 08h 59m GMT Pietroburgo Russia Ascendente in Aquario Sole in Capricorno

Avendo noi trovata una grande difficoltà a calcolare tutti gli elementi necessari per la costruzione della carta del cielo di Alessandro I, ci siamo basati, per quel che diremo, sulla carta del cielo costruita da Hans-Hinrich Taeger ( che è il valentissimo astrologo tedesco autore di un Horoscope lexicon riportante le carte del cielo di numerosissime personalità della storia antica e moderna ) – carta del cielo, quella del Taeger , che, peraltro, ci sembra, trovi precisi riscontri nella vita di Alessandro, come da noi esposta . L’Ascendente e i Sole proposti dal Taeger sono rispettivamente nell’Aquario e nel Capricorno . L’Ascendente nell’Aquario trova un primo riscontro in quel di enigmatico e impenetrabile che la personalità di Alessandro ebbe sempre per le persone che poterono conoscerlo, anche non superficialmente ( ecco quel che dice il Sementovsky sui tipi aquariani : “Per la maggior parte di questi individui la loro stessa natura rimane un enigma e non è pertanto da stupirsi se altrettanto enigmatica appare agli occhi altrui”). Un secondo e ancor più importante riscontro l’Ascendente nell’Aquario lo trova in quel che di utopico, vago, fumoso, avevano certe idee di Alessandro ( come quelle, ad esempio, a cui egli voleva ispirata la Santa Alleanza ) : dice il Sementovsky di coloro che hanno l’Ascendente in Aquario : “( In queste persone) le numerose contraddizioni del loro intimo ( …) nonché la mancanza di idee chiare in genere costituiscono indubbiamente per loro un grande ostacolo ad un’intesa con altre persone” .Tale aspetto della personalità di Alessandro è peraltro ribadito dal Sole in quadrato a Nettuno ( = “ Spesso pensieri e sentimenti confusi . La concezione di vita è fondata su vaghe visioni suggerite dall’immaginazione” ). Le idee di Alessandro , ancorché utopiche, appaiono però suggerite da generosità e nobiltà d’animo e dalla giusta aspirazione a farla finita con un vecchio mondo (con vecchie idee, vecchie istituzioni…) per sostituirlo con un mondo nuovo e migliore . E anche tali aspetti della personalità di Alessandro trovano riscontro in elementi del suo oroscopo. I primi (generosità e nobiltà) da Sole in trigono a Saturno ( = “Amore della vita e fiducia nelle proprie capacità. Concetti nobili. Rettitudine, onestà, affabilità e generosità” ) , l’ultimo (progressismo), ancora nel suo Ascendente in Aquario ( che in uno dei suoi tanti significati = “pronunciata tendenza di prendere atto delle correnti contemporanee in ogni campo, sia in quello dell’arte, che in quello della scienza o in quello della tecnica, (gli aquariani) sentendosi attratti dai fenomeni della più spinta modernità” ) . La “modernità” o, se vogliamo, la spregiudicatezza di Alessandro, sappiamo, che ebbero modo di manifestarsi anche nei suoi rapporti sentimentali : si pensi al matrimonio “aperto” ante litteram, con tra i coniugi la più ampia tolleranza delle reciproche infedeltà da lui voluto o, comunque, di buon grado accettato. E anche questo aspetto trova riscontro nell’oroscopo di Alessandro : questo presenta un Nettuno opposto a Urano e a questa opposizione il Sementovsky dà il significato di “mancanza di idee chiare circa l’amore e la vita coniugale. Segno di perversione sessuale” . La possibile esistenza di una sessualità pervertita o almeno non “sana”, non “normale”, è ribadito nell’oroscopo da Sole quadrato con Nettuno ( che in uno dei suoi significati = “Indice di tendenze morbose e anormali”) – e qui viene da pensare al fatto, già segnalato nella “vita”, che Alessandro fu un grande “corteggiatore” ma per nulla un grande “amatore”, anzi spesso si ritraeva di fronte ad avances femminili . Peraltro sappiamo che, nonostante la stranezza del loro menage , Luisa, la moglie di Alessandro, gli si dimostrò sempre solidale e amica; ora Alessandro ha la cuspide della sua settima casa occupata dal segno del Leone e a questo aspetto il Sementovsky attribuisce appunto il significato di “Il soggetto può essere sicuro di trovare presso il compagno di vita piena comprensione per le proprie debolezze . E’ sempre indice di un’evoluzione armoniosa dei rapporti coniugali, sebbene non sempre si possa parlare di fedeltà reciproca” . Ma Alessandro è, sì, l’uomo dalle idee un po’ “confuse” circa la morale, la religione e l’organizzazione della vita sociale, ma è anche il generale capace di rapide e coraggiose risoluzioni : forse che non si deve alla sua coraggiosa decisione di discostarsi dal piano di battaglia del comandante la coalizione alleata, Schwarzenberg, la vittoria di Lipsia ? E infatti tale capacità è nell’oroscopo testimoniata dalla Luna in trigono a Marte ( = “Questi individui si rendono rapidamente conto delle esigenze di una data situazione, agiscono in conformità e riportano perciò invariabilmente successo” ) . E il Sole in Capricorno lo abbiamo dimenticato ? No, a lui si devono la capacità di Alessandro di non cedere alle avversità ( quando, dopo la presa di Mosca da parte di Napoleone, da più parti gli si chiese di firmare l’armistizio egli rispose con un fermo e ostinato “no”!) e…il suo amore per la solitudine ( si pensi alla sua morte a Taganov, una sperduta borgata sul Mar di Azov !) : infatti Sole in Capricorno = “Le invincibili armi di questo tipo nella sua lotta per l’esistenza (…) sono . la tenacia, la prudenza e la laboriosità assecondate da un profondo senso del dovere e del sacrificio” e ancora Sole in Capricorno = “Gli individui di sesso maschile mostrano una spiccata tendenza verso la solitudine” . Peraltro le qualità di laboriosità e coscienziosità nell’espletamento dei propri compiti, indicate dal Sole in Capricorno, vengono ribadite da Nettuno in sestile con Saturno (aspetto che è = “Precisione e coerenza . Individui timidi, scarsi di parole che assolvono il proprio dovere con la massima coscienziosità. Laboriosità” ) . Carlo V

Biografia di Carlo V

Carlo V è , nell’era moderna, uno degli ultimi governanti europei capace di ispirare a un ideale sovranazionale la sua politica : egli non lotta , “pour la grandeur” del proprio casato e del proprio paese, come faranno i re francesi, suoi avversari ; ma “para desviar grandes males de nuestra cristiana y para la impresa contra las infedeles”. Ha quindi quasi il valore di un simbolo il fatto che la sua nascita sia avvenuta (il 24 febbraio 1500) a Gand , nelle Fiandre : quindi nell’ambito di quello Stato borgognone che , come poi sarà anche per l’impero austriaco , abbracciava e obbligava a convivere in pace popolazioni diverse per etnia e lingua. E , ancora , sembra rivestire un significato simbolico (sempre della sua universalità ), il fatto che egli fosse un “sangue misto” , un sangue arricchito dagli apporti di ascendenti di etnia e lingua diverse : alcuni tedeschi ( il nonno e il bisnonno ), altri borgognoni ( il padre e la nonna paterna ), altri ancora spagnoli (la madre e i due nonni materni ). xxxxxxxxxxxxxxxxx Il bisnonno paterno di Carlo, era Federico III ( 1440 – 1493 ). Apparteneva , Federico , alla stirpe degli Absburgo : una stirpe gloriosa che aveva le sue radici in Svevia , nell’alto Reno , e che , grazie all’abilità e all’energia di un suo esponente , Rodolfo ( 1273 – 1291 ) si era impossessata dell’Austria e della Stiria e aveva ottenuta la dignità imperiale . Dignità che per qualche tempo aveva persa ; ma che a lei era tornata grazie all’abile politica di Federico , il bisnonno di Carlo . Il quale , non fu solo il restauratore della potenza absburgica , ma anche l’iniziatore e , se vogliamo , l’ideatore , di quella politica , così caratteristica degli Absburgo , che mirava a realizzare l’ingrandimento del Casato , non tramite delle guerre , ma dei vantaggiosi matrimoni : politica che verrà scolpita nel noto epigramma : “ Bella gerant alii , tu , felix Austria nube : nam quae Mars ali= is , dat tibi regna Venus” (“Gli altri facciano pure le guerre , tu, Austria felice, fa dei matrimoni : poiché quei regni che Marte procura agli altri , a te Venere li offre”). Esempio preclaro di tale politica fu il matrimonio , combinato da Federico , tra il suo figlio ed erede Massimiliano e Maria di Borgogna . Che , a sua volta , era figlia ed erede di Carlo il Temerario , signore della Borgogna ; cioè delle terre più progredite e opulente dell’Occidente di allora : nei loro porti e nelle loro città s’incontravano le correnti commerciali del Sud e del Nord Europa creando una ricchezza smisurata , che si accompagnava ad uno stile di vita estremamente gaudente , raffinato e colto. Maria ( la nonna di Carlo ) era una giovane bella e gentile . E fa pensare che fosse anche molto religiosa , o almeno molto pudica , il fatto stesso che alcuni storici possano a un suo eccesso di pudicizia attribuire la sua morte : caduta da cavallo durante una caccia e così feritasi a una gamba , per non denudarla davanti ad occhi maschili , avrebbe rifiutato di curarsi : la ferita si sarebbe così infettata degenerando in incurabile cancrena. Il matrimonio di Maria e di Massimiliano , pur essendo dettato dalla politica, risultò felice ed armonioso . I due giovani ereditieri si piacquero subito , formarono una famiglia molto unita ed ebbero tre figli ; di cui però solo due sopravvissero , Filippo ( il padre di Carlo ) e Margherita . Ma di questi diremo dopo . Ora siamo debitori di almeno alcuni cenni sulla personalità di Massimiliano ( il nonno di Carlo ) . Massimiliano , capelli biondicci , occhi neri attraversati da lampi di furbizia , aveva un carattere energico e coraggioso , che si scontrava però con una natura di sognatore e di idealista : egli si vedeva , nelle vesti di un nuovo Carlomagno , restaurare l’antico romano impero . Era raffinato e colto : si racconta che una volta si chinasse per raccogliere il pennello caduto al grande pittore Albrecht Durer e che , letta nel viso dei cortigiani la disapprovazione , si giustificasse : “Io sono il re della terra , ma Durer è un re dello spirito : che c’è di strano se gli rendo omaggio ?” ( un aneddoto simile , si badi , viene raccontato anche per Carlo V e il “divino” Tiziano : ciò senza dubbio può far pensare che entrambi i racconti siano falsi , non però che sia falso l’amore per l’arte dei due principi , che rendeva tali racconti verosimili). Massimiliano era molto prodigo e pertanto sempre a corto di denaro ( così come sempre a corto di denaro sarà poi suo nipote – che però non sarà , come lui , prodigo , ma avaro ) ; e al padre Federi= co , che lo rimproverava per le sue folli spese , si racconta rispondesse con la frase : “Io governo gli uomini , non l’oro” . Si dovette però accorgere presto che , per governare gli uomini, ci vuole anche l’oro . E , in effetti, per mancanza di questo , subì parecchi insuccessi . Al suo attivo , però, questo simpatico principe, segnò due realizzazioni . La prima, fu la creazione del corpo dei lanzichenecchi . Questi erano milizie addestrate a combattere come gli svizzeri – cioè in possenti quadrati ( di novanta metri di larghezza e composti da settanta file di soldati armati di alabarde e picche ) che risultavano inespugnabili ( fino a quando l’artiglieria non poté scompaginare le loro file ) . Al contrario degli svizzeri, però, tali milizie (secondo l’idealista loro creatore ben presto smentito dalla realtà ) avrebbero dovuto combattere, non per i soldi, ma per il Sacro Romano Impero ( a cui in effetti, prendendo servizio, prestavano giuramento ) . La seconda realizzazione ( che rese attivo il conto di Massimiliano, nonostante le sue numerose sconfitte ) fu lo sposalizio del figlio Filippo con Giovanna , la figlia ed erede dei potenti sovrani di Spagna , Isabella e Ferdinando .

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Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, gli ascendenti di Carlo in linea materna, furono i costruttori dell’unità e della grandezza spagnola . Isabella di Castiglia era energica, attiva, abile e coraggiosa . Al contrario, il fratello Enrico IV, con la sua incompetenza e con gli sprechi per mantenere i suoi favoriti, aveva condotto il regno di Castiglia alla rovina , così da meritarsi lo spregiativo titolo di Enrico l’impotente . Di conseguenza, quando egli volle lasciare in eredità il trono a Juana, ch’egli chiamava sua figlia, i nobili, schernendolo, negarono la sua paternità e la sua virilità e lo costrinsero a nominare come suo successore la sorella Isabella . La legittimità di questa nomina era stata però, da Juana, contestata , e Isabella era stata costretta a intraprendere una dura lotta per far valere i suoi diritti al trono : era stata esiliata, imprigionata, persino sospettata di veneficio ; aveva reagito cercando e ottenendo l’aiuto del Papa e del clero, facendo appello alla lealtà e al senso di giustizia della parte migliore del suo popolo . Cercata e corteggiata da Alfonso di Portogallo ( che poi finì per sposare Juana ) e da Carlo di Francia, duca di Berry, aveva saputo scegliere per marito, con occhio sicuro e sagace, l’uomo che, grazie alla sua palese abilità e ambizione, l’avrebbe aiutata a conquistare il trono : suo cugino, Ferdinando d’Aragona, . E questi, infatti, prima, condusse lei e i suoi partigiani a una risolutiva vittoria ( a Toro ) sull’esercito di Juana e del suo alleato, il re del Portogallo ; e, poi, cooperò con lei nel restaurare in Castiglia la sicurezza della vita e della proprietà, nell’eliminare il brigantaggio, nel piegare la resistenza dei nobili e nella riconquista dei territori occupati dagli “infedeli” . Nulla era più importante per Isabella di questa “riconquista”, costosissima in sangue e denari, ma necessaria per restituire alla Spagna l’unità politica e religiosa . Consapevole che essere re “non è solo potere, ma soprattutto dovere”, e convinta che “essere fedeli, vuol dire anche essere dove sta la tua gente : non altrove”, rinunciò a stare al fianco del marito, che pure amava moltissimo e – mentre questi era impegnato a guerreggiare in altri fronti con i Mori, oppure sui Pirenei per difendere dai francesi i confini della sua Aragona – girava da sola per tutto il suo regno per rassicurare con la sua presenza i deboli e i timidi e per intimorire i prepotenti . In sella a un cavallo bianco, essa piombava tra le truppe impugnando con una mano le redini e con l’altra lo stendardo reale sul quale lei stessa aveva ricamato in oro il motto “Ave Maria” . Figura imperiosa, terrorizzante . La “santa” la chiamavano , e ancora viveva . E, se non una “santa”, certo era una madre per il suo popolo e i suoi soldati : grazie a lei e alle sue capacità organizzative questi sapevano di poter contare su abiti leggeri, quando era estate, su giubbe e scarpe pesanti, durante l’inverno ; sapevano anche che, se feriti, avrebbero trovato cure e ristoro negli “ospedali della regina” – gli ospedali da campo, allestiti sotto tende facilmente spostabili, che , assoluta novità per il suo tempo, lei aveva ideato e attuato . Isabella, innamorata com’era del marito, certamente soffrì per la sua esuberanza, che lo portava a ripetute infedeltà . All’inizio si dimostrò anche gelosa, però alla fine si rassegnò, molto filosoficamente dicendo che, in fondo, quel che importava, per rendere stabile e felice un matrimonio, era che almeno la moglie fosse fedele . E lei lo fu ; e tanto teneva alla sua reputazione di sposa onesta che dormiva sempre insieme ai suoi figli per allontanare il sospetto che il posto del marito assente fosse da altri occupato . Nonostante le infedeltà di Ferdinando, l’unione matrimoniale tra il re di Aragona e la regina di Castiglia fu, tra quelle dei regnanti che la storia conosce, una delle più felici e riuscite, sia sul piano umano che politico ; e questo perché i caratteri di Isabella e di Ferdinando si integravano perfettamente. La calda dolcezza della regina faceva sopportare il temperamento freddo e riservato del re, la generosità di lei compensava l’avarizia di lui, il leale candore della donna trovava una difesa nella spregiudicata astuzia dell’uomo ( “Il re di Francia - diceva questi torvamente – si lamenta che io l’abbia ingannato due volte . Mente, lo sciocco : io l’ho ingannato dieci volte e anche di più” – e del resto non cercavano tutti gli altri governanti di ingannarlo e di truffare la Spagna ?! ) . Ma oltre a tali (utili) diversità, i due sposi avevano parecchie doti in comune . Entrambi erano frugali, fermi nelle avversità, moderati nella prosperità, entrambi sapevano perseguire fini lungimiranti con flessibile tenacia e con sistemi prudenti . Entrambi, infine, furono, della religione, rispettosissimi e per essa combatterono , poco importa se per intima convinzione, com’è certamente il caso,di Isabella, o per calcolo politico, com’è probabilmente il caso di Ferdinando. Quel che veramente conta é che questi due grandi sovrani seppero, facendo leva sulla fede del loro popolo, trasformare la Spagna, da un miscuglio di frammenti impotenti, ad una unità e ad una potenza che, dopo una generazione, la resero (col nipote e il pronipote ) padrona d’Europa.

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Il matrimonio dei due genitori di Carlo V, Filippo (figlio di Massimiliano d’Absburgo e di Maria di Borgogna) e Giovanna (figlia di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona ) fu dettato da ragioni di alta politica : sia la Spagna che la Borgogna traevano utili dalla loro amicizia e cooperazione (forse che le donne borgognone non filavano la lana spagnola ?! ) . E tuttavia i due giovani, appena si videro, si piacquero ; e si dice che il loro desiderio di unione fosse così ardente che essi, ricevuta una frettolosa benedizione, sparirono per ricomparire, solo due giorni e due notti dopo, per le nozze ufficiali . Certamente per Giovanna, quello verso il marito fu l’unico e totale amore della sua vita (un amore estremamente sensuale e passionale, se un frate, mandato dalla madre, alla Corte di Borgogna per accertarsi del reale stato dei rapporti tra la figlia e il genero, poteva di quella, senza mezzi termini, dire : “La principessa è un’anguilla insaziabile, lasciva” ) . Però lo stesso non può dirsi per Filippo, che invece non lasciò passare molto tempo che prese a concedersi delle avventure extra-coniugali : e infatti egli era un giovane estroverso, esuberante, la cui naturale sensualità veniva favorita da ministri (peraltro ottimi ) a cui commodava un principe che, perso dietro le gonnelle, non interferisse troppo nel loro lavoro ( e anche il titolo di Filippo il Bello , con cui la storia lo conosce, sembra dovuto, più ad una astuta adulazione dei ministri, che ad una reale bellezza del principe, se è vero che questi era più basso della moglie e mancava di parecchi denti ) . Giovanna – meno saggia o più innamorata della madre Isabella – in preda ad una divorante gelosia, si ribellò alle infedeltà del marito con atti eccessivi, che passarono decisamente la misura durante una festa di Corte . Durante questa festa, avendo Giovanna notato che la donna, indicatele come amante del marito, si era nascosta in seno una lettera, con un balzo le saltò addosso per impossessarsene pensando di trovarvi la prova dell’adulterio . E, non essendoci riuscita, aveva, con una forbice da lei tenuta nascosta nella cintura, tagliuzzato il viso della rivale ( ma, secondo altri cronisti, si sarebbe limitata a tagliare alla rivale delle ciocche di capelli ) . L’impressione che il gesto dissennato causò nella raffinata corte borgognona fu enorme e si ingigantirono le voci che la descrivevano come una pazza, una “loca” (Juana la loca, questo è il marchio che da allora le fu impresso e con cui passò alla storia ) . La “pazzia” di Giovanna (fosse essa vera pazzia o un semplice squilibrio della personalità causato da una troppa intensa gelosia ) si accentuò con la morte dell’adorato marito . Questa avvenne durante una visita di Filippo e di Giovanna in Spagna – visita seguita al decesso di Isabella e mirante a consolidare su questo Paese un potere ( di Giovanna direttamente, di Filippo indirettamente) insidiato da più parti. A Burgos, dopo una festa prolungatasi nella notte, Filippo aveva trascinata la compagnia all’aperto e iniziata una serrata partita al pallone con un paggio . Al suo termine, la camicia e i capelli fradici di sudore, si era bevuta una caraffa di acqua gelata. Era il 14 Settembre 1506, il 25 Settembre era morto . E – anche se non mancò chi parlò di un suo avvelenamento, additando il fatto che il primo coppiere di corte, incaricato di assaggiare tutte le vivande di Filippo, stava dimagrendo a vista d’occhio e assumendo rapidamente l’aspetto di un moribondo – la causa più evidente della morte del principe sembra essere stata la sua stessa imprudenza , Comunque sia, quando al termine dell’angosciante malattia del marito, ch’essa aveva con rara abnegazione assistito, il medico annunciò a Giovanna l’avvenuto decesso, questa prese a comportarsi nel modo più strano : si sdraiò accanto al cadavere del marito, accarezzandolo appassionatamente, giurando che era ancora vivo, che la sua morte era solo apparente e “soffiando sulle sue labbra gelide ancora convinta di potergli dare la vita” ( sembra, infatti, che alcune fantesche moresche, che la servivano, l’avessero convinta che il marito era stato colto solo da una “morte apparente” , da cui si sarebbe risvegliato ) . Né le stranezze di Giovanna qui finirono . Il primo Novembre, quindi trentasei giorni dopo la morte del marito, essa aveva ordinato di riaprirne il feretro . Era seguito uno spettacolo raccapricciante : Giovanna, mentre le guardie che l’accompagnavano non riuscivano a nascondere l’orrore e il disgusto, si era chinata sul cadavere ormai in decomposizione, secondo alcuni per baciarlo, secondo altri per accertare, strappando freneticamente le bende che lo avvolgevano, le lesioni infertigli da chi aveva proceduto all’autopsia, secondo altri ancora per accertare che non fossero stati rubati i gioielli con esso depositati . Era stato comunque uno spettacolo terrificante , che aveva colpita l’immaginazione del pubblico e convinto i più della pazzia della povera sovrana . La quale dopo non molto verrà rinchiusa in una specie di fortezza e lì gelosamente e severamente custodita . Non mancherà, però, né durante la sua vita né dopo la sua morte, chi negherà l’effettività della sua pazzia e attribuirà il suo internamento all’avidità di potere, di chi trovava in lei un ostacolo all’impossessamento di una corona, che a lei spettava . Ed è un fatto che, le sue decisioni in materia politica, furono sempre improntate a buon senso ( e a tutela dell’indipendenza castigliana dagli attentati, che le venivano dal padre aragonese o dal marito borgognone ! ) , e che, durante la rivolta delle Comunitades , ebbe la forza di volontà e la saggezza di non farsi strumentalizzare, dai ribelli che l’avevano “liberata” , contro il figlio Carlo .

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Le limitazioni della libertà a cui fu sottoposta la madre ( creduta, a torto o a ragione, pazza ) e la morte prematura del padre, resero praticamente orfani (di entrambi i genitori ) in tenerissima età Carlo e i suoi fratelli (che erano cinque e precisamente : Eleonora, Isabella, Maria, Ferdinando e Caterina ) . Pertanto essi (eccezion fatta per Ferdinando e Caterina, che furono allevati in Spagna ) vennero affidati alla tutela della zia Margherita d’Austria, governatrice dei Paesi Bassi. Questa, una delle più incantevoli protagoniste di quell’età d’oro che fu il cinquecento europeo, nel 1506, l’anno in cui ricevette in cura i nipoti, aveva ventisei anni . Con i piccoli, di cui accettava la responsabilità dell’educazione, era legata da un doppio vincolo, di parentela e di affinità, essendo, non solo sorella di Filippo, loro padre, ma anche vedova di don Juan, un loro zio materno. E infatti l’imperatore Massimiliano, sempre col proposito di rinsaldare i legami tra Borgogna e Spagna, aveva fatto sposare i propri figli, Filippo e Margherita, l’uno alla figlia e l’altra al figlio di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona . Era però destino che i rampolli delle due Casate si amassero e piacessero….troppo . Infatti, così come Giovanna era stata presa da tale violenta passione per Filippo da diventare pazza ( o almeno tanto squilibrata da essere ritenuta pazza ), così suo fratello, don Juan, trovò tanto stupenda e desiderabile la moglie…da morirne (per consunzione dovuta ad abusi sessuali ) . Dopo questo matrimonio finito così tragicamente, Margherita si era nuovamente sposata, questa volta col duca di Savoia, Filiberto . Quello alla corte dei Savoia fu per la giovane principessa il periodo più pieno e felice della sua vita : viveva in una corte raffinata con un marito che l’adorava . Purtroppo fu un periodo destinato a durare poco, in quanto anche il secondo marito le fu rapito prematuramente dalla morte . Quando ciò accadde Margherita aveva ventiquattro anni e da nessuno dei due matrimoni contratti aveva avuto figli . Sia il padre Massimiliano che il fratello Filippo fecero pressioni perché lei si sposasse una terza volta ; ma lei fermamente rifiutò . Fu allora nominata governatrice dei Paesi Bassi e seppe ricoprire tale ruolo splendidamente ( perché donna di notevole levatura intellettuale, poetessa e scrittrice apprezzabile, protesse le lettere e le arti ) e fermamente (perché all’occorrenza sapeva severamente punire i disobbedienti e i devianti ) . Questa intellettuale raffinata, questa governante energica e severa, si rivelò, per i bambini regali avuti in tutela, una madre saggia e amorevole . E infatti come a una madre a lei Carlo e si suoi fratelli si rivolgevano, chiamandola curiosamente “signora zia e buona madre” . Carlo ( e i suoi fratelli ), nonostante le disgrazie familiari, ebbero dunque un’infanzia felice, in un’atmosfera di serena letizia creata dall’amorevole tutrice e in un ambiente ( quello della corte dei Paesi Bassi ) che era uno dei più colti, eleganti e raffinati di Europa ; e anche dei più gioiosi, dato che in esso le feste si susseguivano alle escursioni, alle cacce, ai tornei. All’educazione di Carlo provvidero, scelti dalla saggia zia, uomini di prim'ordine . Tra di essi vanno ricordati, Adriano di Utrech ( che diventerà Papa col nome di Adriano VI ) : un grande teologo, ma di carattere gioviale e amabile, un animo fine, che ebbe grande influenza nel determinare la forte religiosità di Carlo ; e, soprattutto, Guillaume de Croy, un raffinato gentiluomo borgognone, cavaliere del Toson d’Oro, dimostratosi valoroso combattente in guerra e abile ed avveduto politico nei delicati incarichi che il suo re gli aveva affidato . Egli seppe riscuotere l’assoluta confidenza del suo discepolo ( tanto da condividere con lui la camera da letto ) e la sua incondizionata ammirazione ( che si conserverà inalterata negli anni : Carlo, anche da imperatore, lo volle presso di sé come uno dei più ascoltati consiglieri ) . Carlo non amava molto lo studio ; ma (con gran gioia del nonno Massimiliano, che condivideva il disprezzo della nobiltà di allora per gli uomini di lettere ) ad esso preferiva gli esercizi militari in palestra o all’aria aperta : presto imparò a torneare, a rompere lance senza cadere da cavallo e a tirare di scherma . Divenne un cavaliere superbo ( e tanto apprezzato che, quando ascese al trono, gli Spagnoli si lamentarono di essere così privati del loro migliore ufficiale di cavalleria) . Peraltro De Croy ebbe anche cura di iniziare il suo pupillo agli affari di governo : appena decenne Carlo doveva vedere tutte le comunicazioni che giungevano dalle province e discutere col suo aio i provvedimenti che, in base ad esse, sarebbe stato più opportuno prendere . L’educazione di chi era destinato a governare popoli di culture diverse, avrebbe dovuto curare particolarmente l’insegnamento delle lingue ; che invece fu trascurato . Carlo parlava perfettamente solo il francese (che era la lingua in uso nella corte borgognona ) : solo col tempo e in età avanzata riuscì ad esprimersi bene in spagnolo ; l’italiano, l’inglese, il tedesco, li parlava, sì, ma stentatamente (ma non tanto stentatamente da non permettergli di sostenere una conversazione, se è vero che, divenuto imperatore, celiando poteva dire : “Io parlo in italiano con gli ambasciatori, in francese con le donne, in tedesco con i soldati, in inglese con i cavalli, in spagnolo con Dio” ) . Comunque Carlo seppe rimediare alle sue lacune culturali con la cortesia, il tratto aristocratico e un’immensa conoscenza degli uomini . L’ambasciatore veneziano ebbe a dire che l’imperatore si imponeva ai Fiamminghi per la bonomia, agli Italiani per l’acutezza dello spirito, agli Spagnoli per la solennità e il sobrio splendore con cui governava.

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Ma per Carlo il tempo dei divertimenti e del noviziato si conclude presto : nel 1515 ( a quindici anni cioè ) viene sottratto alla tutela della zia Margherita e dichiarato maggiorenne. Nel 1516, in seguito alla morte del nonno materno Ferdinando, assume (mentre è ancora in Borgogna ) il titolo di re di Castiglia e di Aragona . Venti mesi dopo, nel settembre 1517, insieme alla sorella Eleonora, che va sposa al re del Portogallo, e con quaranta navi e un seguito che non smentisce il tradizionale splendore della corte borgognona, sbarca in terra spagnola . La prima visita, che i due fratelli fanno, è alla madre Giovanna . E’ una visita estremamente formale e imbarazzata, in cui il grande assente è l’affetto. Nessun abbraccio : quando Carlo ed Eleono= ra ( elegantissimi ) sono ammessi ad entrare nella stanza ( disadorna ) della madre, avanzano verso di lei ripetendo per ben tre volte una profonda riverenza : a metà della stanza, in piedi, Giovanna tende loro la mano, che loro baciano. Poi, alla presenza della scorta, inizia un impacciato dialogo : Giovanna fa molte domande ( in perfetto francese ) , Carlo, mentre la sorella in silenzio studia la madre, con rispetto le risponde. Dopo un po’ la madre, fingendo premura ma in realtà volendosi togliere da una situazione imbarazzante, li licenzia “perché voi dovete essere molto stanchi, il viaggio è stato lunghissimo”. L’incontro è finito . Carlo ripeterà la visita altre volte . Nessuno sa cosa madre e figlio in quelle occasioni si dissero, perché Carlo volle che gli estranei fossero rigorosamente esclusi . Si convinse egli, in seguito a tali incontri, della pazzia della madre ? Certamente, si : egli era senza dubbio una persona profondamente religiosa e onesta : mai avrebbe usurpato il trono spettante alla madre, mai l’avrebbe tenuta senza ragione segregata . Però alcuni storici ( fautori della tesi della sanità mentale di Giovanna ) sostengono che Carlo credette alla pazzia della madre perché voleva credervi . E voleva credervi perché, l’assunzione al trono della madre, avrebbe scompaginato il suo grandioso progetto di restaurazione di un impero universale . Comunque sia, Carlo dispose che la segregazione della madre continuasse ; solo sostituendo il precedente custode con un altro, che avrebbe dovuto garantire alla reclusa un migliore trattamento. A quali rigori, però, giungesse la detenzione di Giovanna anche col nuovo “custode”, risulta da una lettera che questi scrive a Carlo l’11 ottobre 1527 ; vi si legge : “Se Vostra Maestà ordina che la Sua Altezza sia trattata con riguardo, Vostra maestà agisce come un buon figlio . Deve tuttavia convenirsi che io nella mia qualità di vassallo debba fare ciò che è utile a Sua Altezza” – e ciò che il “pietoso” custode ritiene “utile a Sua Altezza” è la tortura ( più precisamente la cuerda : una tortura in cui la vittima veniva appesa per le braccia con dei pesi ai piedi ) : “Niente le farebbe tanto bene quanto la tortura e si renderebbe servizio a Dio e a Lei applicandogliela” . La reclusione di Giovanna ebbe una breve interruzione nel 1520, in occasione della rivolta dei comuneros . Se infatti è vero che Paesi Bassi e Spagna furono i paesi più amati da Carlo, è anche vero che l’amore tra questi e i suoi sudditi spagnoli non fu “a prima vista”. Tutt’altro : nei primi anni Carlo stentò ad assuefarsi al rigore e alla severità spagnola e rimpianse spesso la gaiezza e lo splendore borgognone ; e, da parte loro, gli Spagnoli rimpiansero il governo di Ferdinando e di Isabella e lamentarono che i Fiamminghi, calati numerosi in terra iberica al seguito di Carlo, pensavano solo ad arricchirsi alle loro spalle ( e in effetti i Fiamminghi parlavano con sprezzo degli Spagnoli come dei “loro indiani” ) . Da tale (iniziale ) incomprensione scaturì una rivolta mirante a ridare la corona a Giovanna, che si sosteneva essere mentalmente sana e quindi illegittimamente detenuta . Quando però i comuneros ribelli, impadronitisi della prigione di Giovanna, le si presentarono innanzi e le chiesero di regnare, essa fermamente dichiarò : “ Che nessuno provi a creare malintesi tra me e mio figlio . Ciò che mi appartiene è suo ed egli avrà cura del bene del regno” . Ed è triste pensare che tale sua generosità materna fu ricompensata, una volta cessata la rivolta, con la prosecuzione della sua detenzione .

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La donna più importante di Carlo fu sua moglie, Isabella del Portogallo . La sposò nel 1526 ; e fu quello, benché dettato dalla politica, un felicissimo matrimonio d’amore . A lui, la sposa apparve essere la quintessenza della femminilità, della delicatezza, della grazia . A Tiziano, il suo pittore prediletto, a cui aveva dato commissione di ritrarla, raccomandò di far trasparire, nei lineamenti e nel portamento dell’imperatrice, “la somma di ogni distinzione”. A lei, Carlo sembrò incarnare le più alte qualità del cavaliere e del gentiluomo, la nobiltà dell’animo e la fierezza ombrosa dell’hidalgo spagnolo . Il segreto della loro felicità coniugale forse va trovato nella diversità dei loro caratteri, che però si compensavano : l’uomo, ambizioso, taciturno, spesso preda del malumore e dell’ira, trovò quiete e appagamento nella dolcezza della donna . In comune avevano un forte sentimento religioso : prima di consumare la loro prima notte di nozze vollero entrambi ascoltare un’altra volta la Santa Messa. Isabella conquistò, non solo l’amore, ma anche la fiducia del suo imperiale consorte e ne divenne la più fidata collaboratrice : a lei Carlo sapeva di poter tranquillamente confidare i più gelosi segreti di Stato . Quando doveva allontanarsi dalla Spagna, era a lei che affidava la luogotenenza del regno ; e lei sempre seppe svolgere le sue funzioni con saggezza e abilità . Del resto la stima di Carlo era condivisa . Quando Margherita, sua zia, chiamata a reggere i Paesi Bassi, necessitò di chi potesse mediare tra lei e i suoi sudditi, fu a Isabella che si rivolse . La coppia imperiale ebbe cinque figli, dei quali solo tre sopravvissero : Filippo ( che succederà al padre col titolo di Filippo II ) , Maria e Juana . Nel dare alla luce il sesto figlio ( destinato a morire subito dopo la nascita ) Isabella rese la sua anima a quel Dio in cui tanto confidava . La sua morte fu per Carlo un durissimo colpo . Egli rimase inginocchiato per lunghe ore davanti al letto su cui giacevano le spoglie mortali della moglie amatissima . Nei giorni seguenti si ritirò in un convento dove ogni giorno, alzandosi prestissimo, assisteva a una messa di suffragio . Solo il senso del dovere, la necessità di presiedere alla Dieta di Ratisbona, lo fecero rientrare nella vita mondana . Ma se Isabella fu senz’altro e di gran lunga la donna più importante nella vita di Carlo, non ne fu l’unica . Al contrario, sia prima che dopo e anche durante il suo matrimonio, Carlo fu spinto dalla sua natura sensuale e sanguigna a cercare un’infinità di amanti e la sua potenza imperiale facilmente gliele procurò . Il suo vorace appetito sessuale non faceva distinzioni tra nobili e plebee . Da giovane, come certi re di Francia, usciva di notte armato da una giubba di maglia d’acciaio e di due pugnali e col seguito di due soli cavalieri, per cogliere i favori di belle popolane . Amava anche mischiarsi nelle feste popolari per insidiare le donzelle che vi partecipavano . Molte famiglie di ricchi borghesi fiamminghi si dicevano orgogliose di avere nelle loro case i bastardi dell’imperatore . Naturalmente l’età matura e la dignità imperiale lo costrinsero a sistemi meno avventurosi di ricerca dell’appagamento sessuale ; però non ridussero la sua voracità . E si racconta che, già in età avanzata, trovandosi nell’Italia del sud, al ritorno di una spedizione contro gli infedeli, ordinasse ai suoi soldati di fare incetta di ragazze, per permettergli di scegliere fra di esse la più bella con cui passare la notte . Però, al contrario di altri monarchi del suo tempo, Carlo non ebbe mai delle “favorite” e tanto meno lasciò che un’amante assumesse troppa importanza nella sua vita . Ciò non toglie che alcune liaisons venissero ad assumere anche per lui un particolare significato e che ne riconoscesse i frutti. E, tra tali frutti di illegittimi amori, vanno ricordati, Margherita, la dolce ed elegante futura duchessa di Parma e Piacenza, nata da un amore con una cameriera incontrata nell’intervallo di una battaglia ( 1521 ) a Oudenaarde sulle rive della Schelda, e don Giovanni d’Austria, il futuro vincitore della battaglia di Lepanto ( 1571 ), nato da un amore con una dama di Ratisbona .

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Il “grande” imperatore Carlo V fu schiavo, non solo del sesso, ma anche della gola : egli fu uno dei più gagliardi mangiatori di tutti i tempi . Al mattino, appena desto, si faceva servire un cappone cotto nel latte, con zucchero e forti droghe . E i restanti pasti della giornata erano proporzionati al primo . Si ritiene che tale sua voracità dipendesse anche dall’anomala disposizione della mascella, tipica degli Asburgo, che impediva ai denti inferiori e superiori di combaciare e quindi di masticare convenientemente gli alimenti e di sentirne bene il sapore . Tutto ciò spiegherebbe la grande quantità di cibo che occorreva a Carlo per sentirsi soddisfatto e lo sforzo dei cuochi di corte di trovare sempre nuove salse e nuovi intingoli, che lo rendessero apprezzato, nonostante un’imperfetta masticazione . Oltre che gran mangiatore, Carlo fu un robustissimo bevitore . Fin dal primo mattino, senza attendere l’ora dei pasti, tracannava grandi quantità di birra (che voleva ghiacciata ! ) . La sua resistenza all’alcool era invidiata anche dai suoi sudditi Borgognoni e Tedeschi ( che pur erano noti come fortissimi bevitori : l’ambasciatore veneto diceva che i tedeschi, quando non avevano voglia di bere…andavano a chiamare il medico perché convinti di essere malati ! ) . “Mai nella mia vita ho visto un bevitore di tal fatta !” esclamò ammirato un cavaliere del Toson d’Oro, dopo aver partecipato a un banchetto offerto dall’imperatore . E un cronista racconta impressionatissimo :”Ogni sorso dell’imperatore equivale a una buona pinta di vino del Reno”. Vero che un autorevole biografo di Carlo V ( D.B. Wyndham Lewis ) cerca di ridimensionare la sua voracità riportando la descrizione di un suo pranzo fatto da un gentiluomo ( di nome Sastrow ), che ebbe ad assistervi . A prescindere dalla probatività di tale descrizione nel senso voluto dal Lewis, è interessante leggerla per le informazioni che viene a dare sugli usi della corte imperiale : “Dopo aver deposte le portate sulla tavola – così ci ragguaglia il Sastrow – i paggi ne tolsero il coperchio . L’imperatore scuoteva il capo quando non desiderava un dato cibo, assentiva se gli conveniva e se ne serviva . Enormi pasticci, grosse porzioni di selvaggina, le più succulente pietanze furono servite, ma sua maestà si accontentò di un pezzo di arrosto, di una fetta di testa di vitello o di qualcosa di simile . Non vi furono scalchi e Carlo usò raramente il coltello , Cominciò a tagliare il pane in pezzi di misura sufficiente per un boccone, poi attaccò il suo piatto infilzando il coltello dove capitava, usando spesso le dita di una mano, mentre con l'altra mano teneva il piatto sotto il mento . L’imperatore mangiò tanto di buona voglia che era un vero piacere l’osservarlo . Quando aveva sete faceva segno ai doctores medicinae , ritti al suo fianco che, versato il vino, in un bicchiere di cristallo contenente circa una misura e mezza, da due ampolle d’argento, lo porgevano all’imperatore, che lo vuotava fino all’ultima goccia quasi in una sorsata, riprendendo fiato due o tre volte. Non si curava della folla che accorreva per vedere il monarca mangiare . Dopo il pranzo, che durò meno di un’ora , la tavola, le sedie ed ogni altra suppellettile vennero portate via e il salone rimase adorno soltanto dei magnifici arazzi appesi alle pareti. L’imperatore, dopo il ringraziamento a Dio, ripuliti i denti con cannule di penne e lavate le mani, si assise nel vano di una finestra, dove chiunque poté avvicinarlo per parlargli, rivolgendogli delle domande o presentandogli suppliche” . Bisogna riconoscere che la descrizione ora riportata ci presenta un Carlo V, se non temperante, almeno non smoderato ; ed è probabile che l’ingordigia di Carlo V sia stata un po’ ingigantita . Tuttavia , che tale vizio effettivamente marchiasse l’imperatore, a noi sembra obiettivamente ed inequivocabilmente denunciato dal fatto che la gotta – che com’è noto è la malattia dei ghiottoni – lo torturò a partire dal trentesimo anno con attacchi sempre più frequenti . E la gravità di questa malattia (ma anche il coraggio dell’imperatore nel sopportarla ! ) risulta da un dispaccio (del 1549 ) che l’ambasciatore francese mandò al suo signore . Dispaccio in cui egli riferisce come, essendo andato a trovare l’imperatore lo aveva trovato ( a causa della gotta ) con gli occhi velati, le labbra livide, i lineamenti simili a quelli di un morto, il dorso curvo, la respirazione affannosa, le gambe talmente deboli che poteva a stento trascinarsi nella camera appoggiato alla mazza . Sebbene cercasse virilmente di riderne ( “combien qu’il fasse encor parfois continuance de rire” ) e tentasse di uscire affermando di non soffrire “è evidente – conclude l’ambasciatore con malcelata soddisfazione – che è un uomo finito” . Dal momento che abbiamo finito per toccare l’argomento delle malattie di cui Carlo V soffriva, va qui detto che egli negli ultimi anni della sua vita soffrì anche di asma . Mentre invece di un’altra grave malattia, l’epilessia, di cui soffrì in gioventù, egli stranamente guarì del tutto dopo essersi sposato ( nel 1526 ) . Peraltro notevole fu lo spirito di sopportazione che Carlo V sempre dimostrò nei confronti del dolore : nel 1547, alla battaglia di Muhlberg, rimase in sella per ventun ore di fila nonostante la gotta che lo tormentava . Quanto ora abbiamo detto sull’ingordigia sessuale e gastronomica di Carlo, non deve far pensare a lui come a una specie di bruto ; ché il contrario è dimostrato, dalla sua ricettività agli influssi dell’arte, dalla sua capacità di guardare a fondo le cose e in specie l’animo umano, dal suo sottile senso dell’umorismo, e, infine, dal suo forte senso del dovere e dalla sua viva religiosità . Carlo, pur non avendo un temperamento artistico, era un più che mediocre intenditore d’arte . Nella musica aveva acquistata bastante competenza per consentirgli di individuare un plagio in una musica recentemente composta . Nella pittura sapeva apprezzare nella giusta misura la superiore maestria di un Tiziano e selezionare con gusto una collezione di quadri ( e infatti pregevole fu la collezione che di questi si portò nel suo ritiro di Yuste ). Lo faceva , però, qualcosa di più di un semplice esteta, la sua capacità di approfondire le cose e in specie l’animo umano : dote, questa, che preclaramente risulta, sia dalla nutrita corrispondenza diplomatica da lui intrattenuta sia dai copiosi scritti in cui egli dà istruzioni e suggerimenti al figlio Filippo : soprattutto da questi ultimi documenti balza fuori sorprendentemente una personalità, non ristretta e bigotta, ma estremamente complessa : che vuole sottomettersi alla volontà divina, ma è anche assalita dal dubbio e dallo scetticismo, tormentata e lacerata dalle perplessità, timorosa di aver fallita la sua missione storica . Qui è il caso di aggiungere che Carlo dettò delle Memorie che, pur non essendo eccelse, si fanno apprezzare per la semplicità e la franchezza . “Non sono quali ho desiderato” scrive modestamente al figlio , “ma Dio sa che non le ho scritte per vanità” . La serietà di Carlo si rivelava anche nel modo di vestire : infatti egli ben presto rinunciò agli sgargianti abiti borgognoni e adottò le vesti estremamente semplici e dimesse, di colore nero, in uso in Spagna (nella Spagna dei suoi tempi, che non era ancora la Spagna un po’ fanfarona dei secoli successivi ) ; e alla modestia del vestire egli accompagnava un comportamento taciturno e riservato. Va qui aggiunto per completezza, che la sua serietà e capacità di approfondimento aveva il suo lato negativo in una certa sua lentezza nelle decisioni . Ma è anche vero che, una volta presa una decisione, era inflessibile e non si spostava di un millimetro nella sua attuazione . Il suo agire, così acquistava una straordinaria coerenza : se guardiamo al disegno politico da lui tracciato nei suoi quarant’anni di potere, vediamo che è sempre lineare e non rivela contraddizioni . La riservatezza di Carlo, se lo rendeva refrattario alla chiassosa e grossolana allegria ( e spesso egli fu visto chiaramente annoiarsi alle facezie dei giullari di corte ) , non gli impediva però di cogliere il lato comico e simpatico delle situazioni . Incontrando una volta per la strada un contadino spagnolo ne ascoltò divertito le pungenti invettive contro le imposte imperiali e la prolungata assenza dalla Spagna dell’imperatore ; e quando il villico, riconosciutolo, non si trattenne dal dirgli che, se avesse saputo di parlare con l’imperatore, gliene avrebbe dette ancor di più, non si adontò, ma rise di cuore trovando di suo gusto la franca semplicità del costume spagnolo, che consentiva a un qualsiasi popolano di rivolgere la parola al re che transitava, come avrebbe fatto un gentiluomo con un suo pari . E Carlo non mancava neanche di vero e proprio senso dell’humour . Avendo una volta letta, su una pietra tombale di un nobile spagnolo, la scritta : “Qui giace un uomo che non ha mai conosciuto la paura” , maliziosamente commentò : “Forse perché non aveva mai spenta la candela con le dita” . Carlo invece la paura la conosceva (aveva tra l’altro un sacro terrore dei ragni e dei topi ); però il suo radicato senso del dovere gliela faceva superare. A Ingoldstadt (1545 ) quando i luterani, tre volte superiori a lui per truppe e per artiglieria, sottoposero per otto ore a un furioso bombardamento le sue linee, egli confessò agli intimi che per la paura gli era preso un tremito nervoso ; ma riuscì a dominarsi e, apparentemente sereno, si espose al pericolo passando tra i soldati per incoraggiarli con la sua presenza ; e alle premurose raccomandazioni dei suoi ufficiali, rispose che qualcuno, dato il loro scarso numero, doveva pur aiutarli nella fatica di tenere la disciplina . Anche nell’attacco di Algeri ( 1541 ) e in quello di Metz ( 1552 ) si espose in situazioni, che comportavano per lui un serio pericolo di morte . Nella guerra di Tunisi ebbe un cavallo ferito sotto di sé e un paggio ucciso al suo fianco . Per ben due volte sfidò il re di Francia, Francesco I, a far decidere da un loro duello le controversie che li dividevano, risparmiando così sofferenze e lutti ai loro sudditi , ed entrambe le volte fu Francesco, e non lui, a mandare a monte la sfida . Nel 1547 in una situazione critica in cui rischiava la cattura da parte dell’esercito protestante, scrisse alla sorella questa lettera che rivela, col suo coraggio, le radici religiose che lo alimentavano : “Ho deciso – scrive Carlo – di mettermi in strada stanotte per i Paesi bassi . Poiché devo decidere di rischiare tra un grande disonore e un gran pericolo, scelgo il pericolo, perché allora il mio destino dipenderà dalla volontà di Dio . Ma in ogni caso preferisco morire o soffrire la prigionia piuttosto che vivere nel disonore” . Com’è lecito aspettarsi da chi trae il suo coraggio da una intensa energia morale, e non da un’ottusa insensibilità al pericolo, Carlo seppe anche dimostrarsi magnanimo . Numerosi sono gli aneddoti che testimoniano tale sua virtù . Quando stava per cominciare la prima campagna di , un moro si fece ricevere segretamente da lui per dirgli che la sua qualità di panettiere del Barbarossa lo metteva in condizione di poter agevolmente avvelenare il proprio padrone . Carlo, sdegnato, lo fece scacciare . Nel 1547, quando, dopo aver sconfitto i luterani, si recò a Wittemberg , centro della rivolta, uno del seguito gli suggerì di far esumare le spoglie di Lutero (che i seguaci delle sue dottrine facevano oggetto di una venerazione offensiva per i cattolici ) e di gettarle ai cani . “Io faccio guerra ai vivi e non ai morti” – rispose Carlo freddamente. Per Carlo la religione era un sentimento profondamente radicato, perpetuamente presente . Quando la notizia della spettacolosa vittoria di Pavia, con la cattura del re rivale, pervenne a Madrid, egli non cedette a manifestazioni di chiassosa allegria, non “brindò alla vittoria”, ma si ritirò nell’oratorio privato dove rimase un’ora assorto in preghiera . Uscitone, proibì qualsiasi celebrazione, invitando invece coloro che si congratulavano con lui a rivolgere la mente a Dio . Dopo la sfortunata spedizione di Algeri scrisse ai suoi intimi : “Bisogna render grazia al Signore di ogni cosa e sperare dalla divina bontà che, dopo un simile infortunio, ci conceda una sorte migliore”. Era anche solito dire : “Importante non è di alzarsi di primo mattino ma all’ora giusta, che però dipende sempre da Dio” . xxxxxxx

Il profondo sentimento religioso, di cui abbiamo prima parlato, e il desiderio, che sempre più con l’avanzare degli anni lo aveva preso, di una vita più serena e concentrata nell’interiorità, spinsero Carlo, a 55 anni (quindi non ancora vecchio ), ad abdicare a favore del figlio Filippo e a ritirarsi a Yuste . In questa località dell’Estremadura, arroccata tra i monti, di difficile accesso, egli si era fatto costruire, accanto a un convento, una casetta ; e, nella camera a lui riservata, aveva fatta aprire una finestra da cui si poteva vedere l’altare maggiore della chiesetta del Convento e il celebrante, che elevava il Santo Sacramento nel momento culminante della Messa. Peraltro Carlo V intendeva condurre a Yuste vita ritirata, ma non monacale . E in effetti egli non si fece mancare né piaceri né comodità : lunghe file di muli carichi di cibi e di bevande di ogni genere, pesce, selvaggina, carni varie, birra e vino , giungevano periodicamente a Yuste . E come l’imperatore si faceva arrivare nel suo “rifugio” le cose buone di questo mondo, così si faceva arrivare da questo notizie che…non erano sempre buone ; e lo costringevano a intervenire negli affari politici con consigli, pareri, suggerimenti . E così nel 1557, essendo stato informato che il tesoro spagnolo era esaurito, ordinò che tutto l’oro che arrivava dalle Americhe venisse dirottato a rinsanguarlo . E nel 1558, quando gli giunse la notizia che in Castiglia, nel cuore vivo della Spagna cattolica, si era scoperto un nuovo nido di eresia, mandò alla figlia Juana questo allarmatissimo messaggio : “Se non fossi certo che Voi e i Vostri consiglieri potete distruggere questo male in germe, credo che lascerei questo luogo per occuparmene io stesso” . In buona sostanza Carlo nel convento di Yuste riuscì a portare tutto il suo corpo, ma solo metà del suo cuore : l’altra metà restò legata alle cose di questo mondo, agli affari del suo grande impero. Con tutto ciò vi era, in quel che era stato il più potente sovrano della terra, la seria e compunta volontà di prepararsi degnamente al momento in cui sarebbe comparso davanti al Re del Cielo : egli si confessava e comunicava ogni giorno e tre volte alla settimana ascoltava un sermone pronunciato da un predicatore da lui stesso scelto . E il grande momento – il momento di presentarsi al suo Creatore – venne . Il pomeriggio del 30 agosto 1558 Carlo V cena sulla terrazza di casa ; con la vista, che sempre lo affascina della Sierra e della pianura estramaduregna bruciata dal sole . Ultimata la cena chiede che gli siano portati il quadro della moglie e l’ Ultimo Giudizio , del suo pittore preferito, il Tiziano. Resta a lungo a contemplarli in silenzio . Alle quattro rientra nell’appartamento : è stato preso da un terribile mal di testa . La notte non dorme e ha la febbre alta . E’ l’inizio della sua (breve ) agonia. A letto, con le mani giunte, passa i suoi ultimi giorni ascoltando delle orazioni e delle litanie da lui stesso richieste : a capo del letto ha voluto il crocifisso che l’adorata consorte aveva stretto nelle mai nell’ultima sua ora . Non vuole attorno a sé che qualche servo e chi ha il compito di dargli assistenza religiosa : alla sorella e alla figlia, accorse per vederlo, si nega . Alla sera del 20 settembre sente vicina la morte e prega i presenti di dire con lui le preghiere degli agonizzanti . Attende calmo l’ora suprema . Alle due del mattino del 21 settembre fa segno di mettergli nella mano destra un cero e nella sinistra il crocifisso che accompagnò la morte della moglie . Le sue labbra si aprono per mormorare debolmente “Ya es tiempo!” : ora è il momento : il momento di morire . L’arcivescovo che l’assiste tiene ora davanti ai suoi occhi il crocifisso, perché in esso si concentri dimenticando ogni affetto terreno . E gli occhi del morente non se ne staccano fino a che lascia il suo corpo mortale pronunciando in un soffio, debolmente ma distintamente, le parole : “Ay, Jesuz!” .

Oroscopo di Carlo V

24 . 02 .1500 03h 30 m LMT 03h 15m GMT Gand Belgio Ascendente, Capricorno Sole , in Pesci

Ecco come il grande astrologo Runge descrive la personalità di Carlo V *: “Riassumendo la situazione oroscopica generica, si può dire che Carlo Quinto appartenga al tipo Capricorno-Pesci . Il segno dell’Ascendente, il Capricorno, ha una importanza considerevole rispetto alle caratteristiche fisiche del soggetto : l’imperatore viene infatti descritto, estremamente resistente alla fatica e ai disagi : caratteristiche, queste, tipiche dei capricorniani. La natura del Capricorno si manifesta pure nel modo di affrontare e di risolvere gli essenziali problemi della vita. L’aspirazione al dominio della materia si concreta nell’imperatore in uno sforzo continuo diretto alla conquista di enormi territori e alla sottomissione delle loro popolazioni (……) . Il Sole nei Pesci è essenzialmente significatore della personalità spirituale . Carlo Quinto continuamente si abbandonava ad esaltate speranze . L’impero ch’egli sognava, in ultima analisi avrebbe dovuto essere un mondo di bellezza e di armonia, l’opera di un artista, ma in realtà fu un’utopia . Religioso durante tutta la vita, egli finì per cadere in un misticismo cupo e introspettivo, altra ragione che gli fece cercare l’isolamento nella vita monastica (….). Carlo Quinto, natura artistica, religiosa e incline al misticismo, ha affermato la propria personalità a prezzo di ferro e fuoco ( Luna e Capricorno ). Non si può tuttavia dire che si trattasse di un proponimento dovuto al freddo ragionamento : senza dubbio il “cuore” prevaleva nell’imperatore sul “cervello” ; l’aspirazione a fondare un grande impero era alimentata piuttosto da una vaga visione anziché poggiare su un piano concepito e ponderato in tutti i suoi particolari ( Mercurio nei Pesci ) . Questo è confermato dalla posizione della Luna all’Ascendente . Egli infatti si trovava in certo qual modo in uno stato di entusiasmo permanente, travolgente, ma non ragionevole (Venere nei Pesci ), ed era proprio perciò soggetto al rapido mutarsi di umori, a depressioni psichiche improvvise, che solo più tardi dovevano assumere l’aspetto di insanabile disprezzo della vita ( Luna all’Ascendente ) . D’altra parte, subendo un inatteso scacco, l’imperatore rimaneva spesso disorientato, e soccombeva, sia pure per breve tempo, alla desolazione ( Giove in campo secondo ). Allo stato di perpetua esaltazione si deve aggiungere anche la fiducia quasi cieca nelle proprie possibilità e nella benevolenza della Provvidenza, tendenza, come già accennato, propria del tipo Capricorno, e che nel tema di Carlo Quinto ci si rivela in forma accentuata data la posizione di Marte nel segno del Toro . Si deve infine constatare in lui la sincera convinzione che l’affermazione del suo io lo portasse a un progressivo perfezionamento spirituale (Giove nei Pesci). Ciò nonostante egli era non di rado indeciso e solo sotto la pressione di particolari circostanze si vedeva costretto ad agire in un modo o nell’altro ( Saturno in Toro ) . L’originalità delle sue idee, ma anche la loro indole chimerica, si riflettono nella posizione dei pianeti Urano e Nettuno, rispettivamente nei segni di Aquario e di Capricorno

• Le notazioni del Runge sono tratte dal suo libro (edito da Vallecchi nel 1951 ), La rinascita dell’astrologia . Confronta, Carlo V scritto da Cesare Giardino e Marisa Paltrinieri per la collana I grandi della Storia, edita da Mondadori . Carlo V: analisi grafologica di P. Moretti

All’esame di P. Moretti la personalità di Carlo V appare essere quasi “ingessata”, imprigionata nel suo ruolo di imperatore . Carlo V è tanto calato in questo ruolo, rileva dall’analisi grafologica il Moretti, che, non solo nella vita ufficiale, ma anche nella vita privata (anche nei rapporti d’amore !) non sa smettere di recitare la sua “parte” di “grande re” . L’intelligenza di Carlo V di per sé non sarebbe cattiva, il Moretti la definisce “quantitativamente sopra la media (grafia larga di lettere ); qualitativamente con un’originalità che supera un po’ la mediocrità (dis. Met. ) “. E, inoltre, egli “ potrebbe avere facoltà discriminativa” ; ma quel che guasta e impedisce a tale facoltà di adeguatamente fruttare è l’esagerato senso della sua funzione che ha chi la possiede : Carlo V, quasi trasportato “da una sorta di mitomania” , “parla, asserisce o nega, quasi ex cathedra, a modo di sentenza” : egli sempre tende in una discussione a “imporre il suo pensiero” e “non ammette replica” : è chiaro che ai consiglieri di una personalità siffatta deve ben riuscire difficile farle comprendere gli eventuali errori in cui stesse per cadere ! Come si è detto CarloV non smette di recitare la parte di “grande re” neanche …..a letto. Eppure – rileva il grafologo egli “è un tipo che ha la tendenza non comune alla facoltà dell’intenerimento sessuale” ; “tuttavia – continua il grafologo – anche in questo non perde della sua autorità, dalla quale sono in un certo senso assorbite tutte le sue facoltà tanto intellettuali come morali “ . Il fatto è che Carlo V, nato ed educato per essere destinato al trono, si sente “realizzato” solo recitando la sua parte di re; con le parole del Moretti : “tende a dilettarsi della sua posizione privilegiata”. E’ chiaro che se un tipo simile “dovesse cadere da tale sua posizione privilegiata – nota a mò di conclusione il Moretti – riceverebbe un gran colpo in tutte le sue facoltà” : si sentirebbe cascare il mondo addosso. Federico II di Prussia

Biografia di Federico II

Colui che passerà alla storia come Federico il Grande venne alla luce a Berlino in una Domenica del 1712 ( e precisamente il 24-1-1712 ) . Suo padre, Federico Gugliemo, era il secondo principe, dell’illustre e antica casata degli Hohenzollern, che poteva fregiarsi del titolo di re . A ottenerlo (dall’imperatore ) era stato con sottile diplomazia il nonno ( per bene intenderci, il nonno di Federico il Grande), Federico I – il quale, però, innamorato, come la maggior parte dei principi tedeschi del tempo, della cultura francese e volendo imitare gli splendori della corte di Versaille, aveva dissestato le finanze dello Stato con acquisti inconsulti di cose superflue (carrozze di lusso, addobbi, argenterie, diamanti…) e circondandosi di una pletora di parassiti ( cortigiani, paggi, ciambellani e – poteva mai mancare in chi voleva imitare il re sole ? – una favorita ). Tutto questo ciarpame era stato spazzato via, alla sua morte, dalla mano di ferro del padre Federico Guglielmo ( succeduto al debole nonno) : argenterie, carrozze, ornamenti, erano stati venduti per rinsanguare le finanze pubbliche ; il personale della Corte era stato ridotto ai minimi termini : a quanto era necessario per un re militare e spartano . Quale ambiva essere e quale era Federico Guglielmo ; il quale, peraltro, era una figura complessa, in quanto a indubbi difetti ( era brutale, avaro, prepotente, eccessivo mangiatore e bevitore….) sapeva unire preziose virtù : era energico, meticoloso, leale, animato da un forte senso del dovere verso il suo Casato e verso il popolo su cui era stato chiamato a regnare . Presente dappertutto, conosceva ogni villaggio del suo regno, riusciva a sapere tutto di tutti, esigeva spietatamente da ciascuno, civile, militare o funzionario, che facesse il proprio dovere ( che egli prescriveva minutamente !) reprimendo con mano terribile ogni manchevolezza . Per l’esercito aveva le cure di un padre affettuoso ; e soprattutto tra i soldati – che conosceva, si può dire, ad uno ad uno – amava vivere : era il “re sergente” . Peraltro era tutt’altro che un bellicista , solamente sapeva di vivere in un secolo di ferro e voleva poter difendere il suo regno : “La mia massima – diceva – è di non nuocere a nessuno, ma di non lasciare menomare me stesso” . Aveva sposato Sofia Dorotea di Hannover, figlia di Giorgio I, re di Inghilterra, che, continuamente incinta, gli aveva dato quattordici figli, di cui dieci erano sopravvissuti – di essi la primogenita era Guglielmina , il secondogenito , con tre anni di differenza, Federico . Sofia Dorotea, istruita, ma pettegola e vanitosa, detestava lo stile di vita militare di cui si compiaceva il consorte e sognava lo spirito e la galanteria della Corte di Francia : essa parlava così bene il francese , che un rifugiato ugonotto le aveva chiesto se capiva il tedesco . Quale simpatia poteva sussistere tra questa donna raffinata e il suo rozzo consorte, che ( memore dei disastri che aveva causato la francofilia del padre ) detestava tutto ciò ch’era francese : lingua, letteratura, arte, abbigliamento, cucina ; e il cui ideale era dormire sulla paglia d’un granaio, lavarsi all’alba in una tinozza, vestire un’uniforme semplicissima, ispezionare fattorie, libri di contabilità e soldati, rimpinzarsi a mezzogiorno di grossolani piatti tedeschi, russare il pomeriggio sotto un albero e consacrare la serata al tabacco, agli scherzi grossolani e soldateschi e al bere ? Sofia Dorotea si guardava bene dal contraddire il regale sposo, ma continuamente tesseva piccoli intrighi che, quando venivano scoperti, provocavano in Federico Guglielmo scene di un indescrivibile furore . Essa allora si sfogava con le persone del suo ambiente e con i figli e… ricominciava daccapo . Federico Guglielmo avrebbe voluto far del figlio un saggio governante e un buon soldato : egli era riuscito, con la sua grande energia e laboriosità, a restaurare lo Stato lasciato decadere dall’indolenza del padre ; aveva fatto rifiorire l’industria e l’agricoltura, accogliendo nel regno i perseguitati ugonotti, riformando il sistema fiscale; aveva con accorte misure creato un efficiente e poderoso esercito : non poteva permettere che un erede imbelle distruggesse la sua opera ! Ed invece vedeva che il piccolo Fritz non cresceva come egli avrebbe desiderato : era pigro, sognatore, svogliato, capriccioso, delicato di salute . Con lui, poi, era troppo riservato e chiuso, come se contro lui covasse una segreta ostilità . Ed era vero : il piccolo Federico subiva l’influenza della madre e della sorella ( maggiore ) , Guglielmina, a cui era legatissimo ( come lei a lui : Guglielmina nelle sue memorie scriverà : “Non c’è mai stato un affetto come il nostro, l’uno per l’altra…Ho amato mio fratello così appassionatamente da cercar sempre di fargli piacere”) . Dalla madre e dalla sorella Federico aveva imparato ad amare l’arte, la musica, la cultura francese : egli in francese, e non in tedesco, abitualmente si esprimeva ( e continuerà ad esprimersi per tutta la vita: quello che per i nazionalisti d’oltr’alpe è stato il “vindice delle libertà tedesche”, amerà pochissimo la lingua tedesca !) ; di conseguenza era portato a considerare il padre come un rozzo tiranno . Questi, da parte sua, s’infuriava quando vedeva il figlio con libri francesi e ancor più quando lo scopriva a suonare il flauto . Strumento, questo, che la madre, con uno dei suoi soliti sotterfugi, gli aveva fatto imparare, facendo venire di nascosto dalla Corte di Sassonia un rinomato maestro. E si racconta – e l’aneddoto merita di essere riportato perché illustra l’atmosfera che si era creata tra madre e figlio, da una parte, e padre, dall’altra – che una volta, udendo il re avvicinarsi, Quantz, il maestro venuto dalla Sassonia, si nascose in un armadio e Federico rapidamente cambiò l’abito francese con un cappotto militare, però senza riuscire o dimenticandosi di nascondere i volumi francesi : il re li vide e ordinò ai domestici di portarli a un libraio ( meglio venderli che bruciarli !). Ma i domestici parteggiavano, non per il burbero padrone, ma per il raffinato padroncino : si guardarono bene dall’eseguire l’ordine ricevuto, si limitarono a nascondere i libri e in breve li restituirono al principe ; il quale continuò imperterrito nelle sue letture proibite e nei deliziosi duetti con l’amabile sorella Guglielmina : lui suonava il flauto, lei, il liuto . Il re fece del suo meglio, con rabbia e con affetto, per fare del ragazzo un guerriero . Lo condusse con sé a battute di caccia, gli ordinò di vivere all’aperto, lo avvezzò al pericolo e al cavalcare rischioso, lo costrinse a vivere di un tozzo di pane e di poco sonno, gli affidò il comando di un reggimento, gli insegnò ad addestrare i suoi uomini, a montare una batteria e a sparare il cannone . Ma i risultati furono deludenti : il ragazzo imparava, sì, perché era intelligente, ma era svogliato, non metteva in quel che faceva la passione, l’entusiasmo . E così la tensione tra padre figlio cresceva . Guglielmina nelle sue Memorie scriverà: “L’ira del re contro mio fratello e me stessa giunse a un culmine tale che, a eccezione delle ore dei pasti, eravamo banditi dalla sua presenza” . Una volta il re “gettò – è sempre Guglielmina che racconta – il suo piatto in testa a mio fratello, che sarebbe rimasto colpito se non si fosse piegato da una parte ; un’altra, lo scagliò contro di me, che mi sottrassi fortunatamente ; quindi torrenti di contumelie seguirono…mentre mio fratello e io gli passavamo accanto per uscire dalla camera, egli ci colpì con la sua stampella . Non gli capitò mai di vedere mio fratello senza minacciarlo col bastone” . A Potsdam, nella primavera del 1730, se dobbiamo credere a quanto Federico riferì a Guglielmina, il re tentò addirittura di ucciderlo : “Mi mandò a chiamare una mattina . Quando entrai nella camera, mi afferrò per i capelli e mi gettò per terra. Dopo avermi battuto con pugni, mi trascinò alla finestra e mi legò alla gola la corda della tenda . Ebbi per fortuna il tempo di sollevarmi e di afferrargli le mani, ma mentre egli mi serrava con tutta la sua forza la corda alla gola, sentii d’essere sul punto di venire strangolato, e urlai invocando aiuto . Un paggio si precipitò in mio soccorso, e dovette usare la forza per liberarmi” .

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Federico, giunto ai diciotto anni, decise di sottrarsi all’oppressiva autorità paterna fuggendo in Inghilterra, alla corte dello zio Giorgio II . Egli mise a parte del suo progetto un giovane ufficiale, il tenente venticinquenne Giovanni Hermann Von Katte ( figlio e nipote di due alti e influenti ufficiali ) . Katte era colto, educato e brillante ; e devotissimo al principe. Dapprima cercò di dissuadere Federico, poi, in un drammatico colloquio che ebbero una notte nel bosco di Potsdam, gli giurò che non lo avrebbe mai abbandonato . Nel progetto di fuga venne anche coinvolto un paggio, Keith . Questi, però, a un certo punto si lasciò prendere dalla paura e rivelò tutto . Il furore del re non ha limiti : egli ( è il 12-8-1730 ) fa trasportare Federico alla fortezza di Kustrin ; quella di Spandau, troppo vicina a Berlino, non essendo giudicata abbastanza sicura : “E’ molto furbo –scrive il re – ed userà mille astuzie per evadere” . Nella fortezza Federico viene assoggettato a una restrizione durissima comportante un isolamento completo . E’ lo stesso padre a stabilire minuziosamente le regole della carcerazione : il principe va vestito di un abito bruno da prigioniero ; alle sette di sera va privato della luce ; tre volte al giorno la porta della sua cella può essere aperta, ma per soli quattro minuti ; i servi senza pronunciare parola devono posargli davanti il cibo tagliato preventivamente a pezzettini ( in quanto al prigioniero non vanno date, evidentemente per timore di un suo gesto disperato, le posate ) . Viene nominata una Commissione d’inchiesta ; la quale come primo suo atto sottopone a Federico 185 domande vergate dallo stesso re . Questi mira chiaramente ad ottenere dal figlio una spontanea rinuncia ai diritti successori, facendogli balenare la minaccia di un’esecuzione capitale .Una domanda è in tal senso espli= cita :“Poiché, violando il vostro onore, vi siete reso indegno di succedere al trono, volete rinunciare alla successione con un’abdicazione che sarà confermata da tutto il Romano Impero, per salvare la vostra vita ?” . Il giovane principe non perde la testa, non si piega, e alla domanda evasivamente risponde : “Io non annetto molto valore alla vita . Ma la Maestà Vostra non vorrà usare così poca misericordia verso di me” . Peraltro ammette di aver mancato e chiede perdono . La Commissione prende atto della confessione del principe, ma anche dei gravi torti e delle provocazioni del re . I Paesi Bassi, la Svezia, l’Inghilterra, l’Elettore di Sassonia e perfino l’Imperatore intervengono a Berlino per evitare una tragedia . L’affare non può oltre protrarsi : il 21 Settembre il “colonnello Federico” viene sottoposto a Consiglio di guerra per “tentativo di diserzione” unitamente al paggio Keith ( che però è riuscito a fuggire in Inghilterra ) e al tenente Katte . Il Consiglio il 27 Settembre decide : condanna a morte Keith e alla prigione perpetua Katte . Quanto al principe, il Consiglio è unanime : dichiara che i suoi membri, come vassalli e sudditi, sono incompetenti a giudicare sul figlio e sulla famiglia del re . Federico Guglielmo impreca contro la “viltà” dei giudici ( che invece hanno dimostrato coraggio e senso dell’onore andando contro gli evidenti desideri del loro sovrano ) ; ordina che il Consiglio si riunisca di nuovo e “giudichi altrimenti” . Il Consiglio, riconvocato, non si sposta di un millimetro dalla sua precedente decisione . Allora il re, che non osa modificare la sentenza del Consiglio per quel che riguarda il figlio, la modifica però per quel che riguarda Katte : condanna questi alla pena capitale aggiungendo alla sua decisione questa “istruzione” caratteristicamente “prussiana” : “Informando Katte della sua condanna, il Consiglio faccia anche presente che Sua maestà è molto afflitto, ma che è meglio vederlo morire piuttosto che vedere la giustizia abbandonare completamente il mondo” . Il 6 Novembre, alle cinque del mattino, Federico viene svegliato da due ufficiali : essi gli annunciano che Katte sta per essere giustiziato e ch’egli deve essere testimone dell’esecuzione . “Quali orribili notizie mi portate !” – esclama il giovane – “Signore Gesù : prendete piuttosto la mia vita !” . Già davanti ai giudici Federico aveva dichiarato risolutamente e fermamente di assumersi la responsabilità degli errori di Katte . Lo ripete anche ora, si scioglie in lacrime, si dichiara disposto a rinunciare alla successione per salvare l’amico. A nulla serve . Scoccano le sette, l’ora dell’esecuzione . Federico, in ottemperanza ad un preciso ordine del re, viene condotto alla finestra della cella . Vede l’amico che, ricevuta la comunione, in piedi, calmo e coraggioso, ascolta, in mezzo ai soldati, la lettura della sentenza . Gli manda un bacio, gli grida di perdonarlo . Katte posa il dito sulle labbra, s’inchina rispettosamente e risponde che non ha nulla da perdonare . Poi, si sottomette al colpo fatale . Federico cade svenuto . Quando rinviene, delira ; e nel delirio vede Katte in piedi davanti a lui .

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Una fibra meno forte sarebbe stata stroncata dalla “cura da cavallo” ( il processo, la prigione , l’uccisione del miglior amico), che il re aveva prescritta, per raddrizzare e rafforzare il carattere del suo erede . Federico invece reagisce e reagisce bene : si può dire che, dal momento del suo imprigionamento, inizia in lui una lenta ma radicale evoluzione, che a poco a poco farà emergere e predominare in lui l’aspetto tedesco e hohenzollern della sua natura : la concretezza, l’attitudine ad una visione realistica e chiara delle cose, il coraggio, il senso del dovere verso il proprio Casato e i propri sudditi. Certo, accanto a tale aspetto della personalità, rimarrà quello, diciamo così, artistico- filosofico : Federico continuerà a scrivere poesie, a suonare il flauto, a tenere brillanti conversazioni con Voltaire e altri “spiriti illuminati” ; ma tale secondo aspetto si ridurrà sempre di più, così come si ridurrà sempre più la stima ch’egli tributerà ai “filosofi”, a cui sempre più sarà portato a preferire i soldati e gli uomini d’azione . Tale evoluzione, però, non avviene tutta d’un colpo . Appena riavutosi dallo choc dell’esecuzione di Katte, Federico si convince solo che, se vuole uscire dalla penosissima situazione in cui si trova, deve fingere d’essere cambiato, di essere diventato come il padre lo vuole . E, per raggiungere tale scopo, mette in opera tutti gli artifici, che un cervello fecondo può escogitare e un attore senza scrupoli inscenare . Fa ampia contrizione per il passato e promette un completo ravvedimento per l’avvenire . Manda tante lettere quanto il padre consente a riceverne e tutte ripetono lo stesso ritornello : ch’egli è in realtà un uomo nuovo, un secondo Federico Guglielmo, che adora tutto ciò che aveva bruciato e brucia tutto ciò che aveva adorato . Insomma Federico, da ribelle, si trasforma in ipocrita ( si, però un ipocrita che a poco a poco finirà per credere in quei valori a cui prima solo per ipocrisia aderiva ) . Il furbo re non si lascia ingannare ; però a poco a poco allenta la severità della prigionia . Già una ventina di giorni dopo l’esecuzione di Katte, concede al figlio ribelle di lasciare durante il giorno la sua prigione per partecipare alle sedute della “Camera della Guerra e dei Domini” locale : vuole ch’egli impari il funzionamento della macchina amministrativa e i problemi che l’amministrazione di una provincia pone alla sagacia dei suoi governanti ( i problemi che è necessario superare per promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, per ottenere una sempre più equa e redditizia tassazione….) . Peraltro Federico partecipa alle sedute della Camera come semplice “consigliere aggiunto” , cioè in posizione sostanzialmente subordinata, e conserva il suo status di recluso . Tutti i libri gli sono tolti, ad eccezione della Bibbia e del V ero Cristianesimo ( un libro di edificazione morale, molto apprezzato in quel tempo ) . Geometria e arte delle fortificazioni, classificate tra le distrazioni, gli sono proibite ; e proibiti naturalmente gli sono il gioco, la musica, la danza, gli abiti estivi e i pasti fuori cella . Tre nobili sono incaricati della sua sorveglianza , con l’assoluto divieto di conversare con lui su argomenti che non siano “la parola di Dio, la costituzione del Paese, le industrie, la polizia, l’agricoltura, i conti, i contratti d’affitto e i processi” . Federico è costretto da tali severe limitazioni a concentrare il suo interesse sui problemi (spesso complicati ) che l' attività amministrativa del Paese incontra e tale interesse, prima dettato dalla necessità, a poco a poco si alimenta della curiosità e trasforma Federico in un attento e diligente partecipe delle sedute della Camera . Informato dei progressi del ribelle, il padre severo un bel giorno ( precisamente il 15-8-1731 - dunque quasi 10 mesi dopo l’esecuzione di Katte ) si reca personalmente a Kustrin per guardarlo, com’egli dice, “nel bianco degli occhi” . Lo fa venire alla sua presenza e in pubblico gli infligge un severo rimprovero, non scevro da rude affetto : Federico si umilia, bacia i piedi del padre, gli chiede perdono. Questo l’ottiene, ma non ottiene, dal sempre sospettoso genitore, la libertà totale : solo di un suo ampliamento potrà beneficiare : egli ora potrà recarsi a desinare in città due volte alla settimana invitando due persone ( non di sesso femminile ) . La vita all’aria aperta nella campagna, il diretto contatto con la viva realtà del Paese , accentuano nel principe la sua positiva trasformazione : sia nel fisico, che diventa più robusto, sia nella personalità, che diventa sempre più sensibile ai doveri, che la sua alta posizione gli impone verso i futuri sudditi e verso il suo Casato . Quando egli aveva cominciato ad assistere ai lavori della Camera, le sue conoscenze teoriche e pratiche, circa l’amministrazione dello Stato, circa la storia e le future prospettive della sua dinastia e del regno prussiano, erano nulle . “Il principe – scriveva, con evidente meraviglia e contenuta riprovazione, il direttore della camera – conosce alla perfezione la Poetica di Aristotile, ma non sa se i suoi antenati hanno acquistato Magdeburgo giocando a carte o in altro modo” . Ma ora – grazie anche all’ottima influenza del presidente e del direttore della Camera, di cui è costretto ad ammirare la competenza, la probità, il senso di servizio verso il Re e la Comunità – il suo orizzonte si allarga . Da quell’angolo di provincia, la Monarchia comincia ad apparirgli nel suo vero aspetto : non già come il dominio di un padrone irascibile che conviene placare con l’astuto inganno, ma come una possente istituzione, costruita sul lavoro e il sacrificio di intere generazioni, con il compito di guidare e proteggere i sudditi, di aumentarne il benessere e la cultura . E tutto questo tenendo conto con realismo dell’estrema complessità del tessuto sociale , ché lo Stato non è un’astrazione, come nei libri dei filosofi e dei poeti , ma una realtà fatta, di uomini, donne , nobili, contadini, soldati, borghesi, artigiani, ciascuno con idee e pregiudizi propri ; di terre, su cui la Corona e i privati hanno diritti dal contenuto svariatissimo ; di case, boschi, bestiame, di industrie e di commerci : tutto un mondo svariato e discorde, che invece si deve cercare, per il bene comune, di far marciare ordinato e concorde. E tutto ciò guardandosi sempre le spalle dai vicini, perché ciascun vicino è un potenziale nemico, pronto ad approfittare di un passo falso per trasformarlo in catastrofe. Federico comincia anche ad apprezzare il padre : ha infatti modo di vedere i magnifici risultati che la sua saggia opera – di accoglienza dei profughi, di ripopolamento, di incentivi alla produzione – ha prodotto : una regione, che la guerra dei trent’anni aveva lasciata quasi deserta, era ridiventata fiorente . Il re è informato dai suoi fiduciari del sempre maggiore e competente interessamento alla cosa pubblica del principe ; direttamente da questi riceve delle relazioni contenenti proposte di miglioramenti, ch’egli trova giuste e sensate : tutto ciò a poco a poco rende, se non idilliaci, sereni i rapporti tra il re e il suo erede. A renderli però di nuovo tesi è la decisione , unilateralmente presa dal padre, di far sposare il figlio con una principessa austriaca, la principessa di Bevern . In una lettera del 4 febbraio 1732 il re annuncia al figlio tale sua decisione, ammette che la principessa non si distingue per bellezza, ma seccamente conclude : “E’ una donna che ha timor di Dio e questo basta” . Oscure minacce contro i figli disobbedienti accompagnano la lettera . E’ giocoforza per Federico sottomettersi alla ( tirannica ) volontà del padre ; e a questi risponde con un’esibizione di assoluta obbedienza : “La principessa può essere come vuole ; io agirò sempre secondo gli ordini del mio graziosissimo padre” . Quando il re legge questa risposta, esclama : “Questo è il più bel giorno della mia vita” ; chiama il duca di Bevern, che è nella stanza accanto, e i due padri si abbracciano piangendo . Anche Federico piange, ma di disperazione : il suo ideale è una donna bella, colta e soprattutto piena come lui di esprit de finesse : legare la sua vita ad una principessa che, come gli veniva descritta, era molto religiosa ( ossia bigotta ),modesta e casalinga ( ossia non charmant ) e per di più tutt’altro che bella, è per lui una prospettiva tremenda . “La ripudierò appena sarò il padrone – dice agli amici – Sono forse della stoffa di cui si fanno i buoni mariti ? Amo il bel sesso e il mio amore è incostante : mi dò ai piaceri e subito dopo li detesto . Manterrò la mia parola : mi sposerò, ma questo è tutto” . Lo addolciscono un po’, il denaro che la Corte austriaca gli fa scivolare nelle tasche ( e che egli spende in gran parte per aiutare, la sorella Guglielmina, che, sposata a un principe povero, soffre di penuria di denaro, e le persone ch’egli, con il suo sfortunato tentativo di fuga, ha trascinato nella disgrazia ) e la prospettiva di ottenere, insieme al matrimonio, la completa libertà . E infatti col matrimonio (che si celebra il 12-6-1733 ) ogni restrizione alla sua libertà cade ed egli può andare a vivere, circondato da una sua personale corte, nel castello di Rheinsberg ( sito nelle vicinanze della città di Ruppin ) . A Rheinsberg, Federico trascorre gli anni più felici della sua vita ; circondato da artisti ( pittori, musicisti, cantanti…), da “filosofi” e da ufficiali colti . Ed è proprio lì, nel castello fatato che si è fatto costruire come tempio delle Muse, ch’egli inizia la sua famosa corrispondenza con Voltaire . Il principe e lo scrittore già famosissimo, gareggiano in reciproche cortesie, elogi e complimenti . La notizia di questa “amichevole” corrispondenza, tra un principe destinato al trono e un filosofo, si diffonde subito in Europa e, se giova a Voltaire alzando ancor più la sua vasta fama, non giova meno a Federico . Egli, certo, è mosso a tale corrispondenza dalla sua vivace curiosità intellettuale ; ma anche dalla giusta intuizione dell’importanza crescente che, nella nuova società che si va formando, assumono i letterati : legandosi d’amicizia con Voltaire egli si lega a tutti loro ; e loro infatti lo innalzano alle stelle giungendo a riferirsi a lui, nell’enfatico linguaggio loro abituale, come alla “speranza del genere umano”, ne preparano il regno e gli creano attorno un’atmosfera di immenso prestigio. E i rapporti di Federico con la moglie ? Ahimè , egli, la moglie, non riesce e non riuscirà mai ad amarla ( anche se col tempo prenderà ad apprezzarla ) . Lei, invece, almeno all'inizio, é, del geniale consorte, innamoratissima ; come risulta da una lettera in cui descrive alla madre la vita a Rheinsberg : "Se si vuole cercare l’arte, la vera e giusta filosofia, lo spirito, è qui che si deve ve= nire ; si trova tutto alla perfezione, il padrone essendo in testa . Non ho mai visto lavorare, com’egli lavora : dalle sei del mattino fino ad un’ora si applica alla lettura, alla filosofia, a tutte le belle cose . Poi pranziamo dall’una e mezza alle tre ; in seguito, beviamo il caffè fino alle quattro, ed egli comincia nuovamente ad applicarsi fino alle sette . Poi la musica fino alle nove . Allora, egli scrive, poi viene al gioco e ceniamo ordinariamente alle dieci e mezza o alle undici . Si può dire veramente che è il più grande principe del nostro tempo . E’ sapiente, ha tanto spirito, è giusto, caritatevole, generoso, temperante. In breve è la Fenice” . Fu quella la sola epoca in cui vi fu una certa intimità fra Federico e sua moglie. Nel settembre 1736 sembrò anche che questa aspettasse l’erede ; ma le speranze in tal senso presto svanirono e il matrimonio risulterà sterile . Moglie e marito finiranno per vivere una vita autonoma, senza recriminazioni, con tanta cortesia, ma senza vero affetto. I rapporti di Federico col padre, invece, col tempo si addolcirono ( per quanto lo potevano permettere i loro caratteri, non certo portati alle effusioni sentimentali ) . E, quando il padre stette male e apparve chiaro che stava morendo, Federico si recò, senza essere sollecitato, a Potsdam per assisterlo . Giungendo a Potsdam (era il 28-5-1740 ) egli trovò il padre, che nella sua poltrona aveva ancora l’energia di assistere ad una cerimonia presso il castello . Il padre lo accolse affettuosamente e, chiusosi con lui nella sua stanza, gli espose con perfetta chiarezza la situazione del regno . Come sempre gli raccomandò di diffidare di tutti ( specialmente del cognato, il re Giorgio II !) e di mantenere forte l’esercito. Il giorno seguente, il re si fece rileggere le disposizioni testamentarie e quelle per i funerali, che aveva stabilito minutamente e scritte da sette anni . Il 31, prima dell’alba, fece chiamare il principe ereditario, i generali e i capitani del reggimento reale, poi si fece spingere sulla poltrona a rotelle fino all’appartamento della regina e la svegliò dicendo : “Alzati, sto per morire” . E in effetti, poche ore dopo, alle 15, dopo essersi congedato dalla famiglia e dai generali, spirò . Nei suoi ultimi momenti aveva parlato del figlio con grande benevolenza e soddisfazione . “Non sono dunque fortunato – aveva domandato ai generali adunati al suo capezzale – a lasciare un tal figlio dietro di me ?” . Forse Federico comprese allora il bene che il rude padre gli aveva voluto ; e comprese anche che un monarca per far veramente del bene deve avere un po’ di ferro nelle vene .

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E’ a tutti noto come Federico, appena divenuto re, approfittò della crisi in cui la morte di Carlo VI aveva lasciata l’Austria, per occupare la Slesia ; iniziando così una lunga, terribile serie di guerre che terminerà praticamente solo con la fine di quella dei sette anni . Non si deve credere, però, che i numerosi e gravosissimi impegni, civili e militari, che vennero così a sommarsi e a gravare sul nuovo re, lo portassero a sacrificare i suoi interessi culturali . Anche quando era pressato dalle più complicate pratiche amministrative o minacciato dai più gravi pericoli della guerra, egli trovava il tempo e la voglia di sprofondarsi nella lettura di qualche grande poeta e filosofo o di concentrarsi nella industriosa compilazione di versi graziosi o patetici ; e ai suoi ufficiali e soldati poteva capitare di udire il suono sereno e armonioso del suo flauto alzarsi nel campo, in surreale contrasto con la tensione di una vigilia di battaglia . Il nuovo re non rinunciò neanche a quella corte di letterati, filosofi, artisti eminenti, che già lo aveva allietato a Rheinsberg . E, quando non era sul campo di battaglia, riservava solo rare apparizioni alla sua reggia di Berlino e la maggior parte del tempo abitava in uno dei tanti castelli, di solito in quello di Sanssouci, che si era fatto erigere secondo il suo gusto classicheggiante per farne altrettanti templi di Apollo e delle Muse . E lì, novello re Artù, presiedeva tavole rotonde (non di guerrieri, ma ) delle più brillanti intelligenze d’Europa, in cui si toccavano tutti i campi dello scibile umano, con spirito intelligente e dissacratore, ma sempre con eleganza e senza pedanteria, anche se con una eccessiva indulgenza al gioco pungente dei bons mots , delle arguzie brillanti, delle crudeli maldicenze . Ma, al di là dell’apparenza delle frasi cortesi, che la politica o più semplicemente il dovere di ospitalità imponevano, qual’era la vera considerazione in cui il re teneva tali suoi ospiti ? li considerava davvero suoi amici, compagni o addirittura suoi maestri ( come talvolta si lasciava andare a dire ) ? La risposta a tale domanda non può essere data con sicurezza, data la difficoltà che trova lo storico a penetrare nell’animo di Federico ( un uomo che Carlyle definì “garbatamente inespugnabile alle indiscrezioni della curiosità umana” e, ancora, con “l’arte di portare garbatamente in mezzo ai suoi simili un mantello di oscurità” ) . Però vari elementi – la conoscenza che Federico aveva della pochezza morale di molti suoi ospiti ( della venalità di Voltaire, della millanteria di Algarotti, dell’avventurismo di Lamettrie…), il giudizio severo ch’egli non esitò a dare su alcuni di loro ( su Voltaire scrisse a un amico : “Il tuo pitocco berrà fino alla feccia del suo insaziabile desiderio di arricchire : avrà tremila talleri . E’ pagare ben caro per un giullare : mai un buffone di corte ebbe tale paga prima d’ora”) -, tutti questi elementi , si ripete, ci portano ad escludere che il grande Aristocratico potesse veramente considerare come amici, compagni e addirittura maestri tali suoi ospiti : erano semplicemente persone la cui frequentazione, da una parte, gli era utile politicamente (nel senso più sopra chiarito ) e, dall’altra, gli procurava ( a un livello di poco superiore a quello dei buffoni di corte ) quel relax di cui aveva assolutamente bisogno dopo la sua stressante attività di governo . E, del resto, non risulta che Federico abbia mai favorito l’ascesa politica o militare di chi frequentava i suoi circoli culturali . Chi di loro lo sperò, rimase deluso . In buona sostanza il mondo di Sanssouci era il mondo dell’apparenza ; il vero centro di gravità di Federico era altrove : era là dove egli passava ore di duro lavoro, là (soprattutto ! ) dove la sua vita era esposta a pericoli gravi e lui doveva assumersi la terribile responsabilità di decisioni ricadenti su migliaia di uomini . E se mai Federico ebbe degli amici, essi vanno ricercati tra gli ufficiali prussiani come Keyserlink, Prothsenburg, Winterfeld, Fouqué, che con lui condividevano i rischi e le responsabilità sul campo di battaglia. Ma questo uomo per molti versi così enigmatico, così tortuoso, così calcolatore, fu veramente capace di affetti profondi ? Proprio il carattere enigmatico del personaggio, la cura che ebbe a nascondere la sua vera anima, rendono difficile dare a tale domanda una risposta sicura . Ma, a volerla tentare, si dovrebbe dire che Federico fu capace di un forte senso dell’amicizia ( se non altro lo strazio da lui provato alla morte di Katte lo dimostrerebbe ), di un tenero affetto verso le sorelle e la madre (alla morte di questa cadde per vari giorni in uno stato di vera e propria depressione ), di un attaccamento quasi paterno verso alcuni suoi servitori …e i suoi cani . E verso la moglie che cosa provò ? Niente più che un cortese rispetto . E, dopo la parentesi di Rheisberg, i rapporti con lei si ridussero alle rarissime apparizioni che insieme a lei faceva in pubblico nella reggia di Berlino diffondendo (dicono coloro che vi assistettero ) reverenza e… freddezza .

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Volendo meglio approfondire il carattere di Federico si deve dire che in lui vi era come una duplice natura . Una natura (ereditata dalla madre ) dotata di una ricca, sensibile immaginazione, di un “istinto delle combinazioni” complesso e sottile – un istinto che, nel campo politico e militare, lo portava ad escogitare ed impiegare i mezzi più vari e nuovi, a percepire quasi telepaticamente certe situazioni ponendolo così in grado di fronteggiarle tempestivamente ; mentre, nel campo personale, lo spingeva verso la letteratura, la poesia, la musica . Una natura (ereditata dal padre ) caratterizzata da un vivo senso della realtà ( la realtà così com’è e non come ci piacerebbe che fosse ) – senso realistico che di lui fece l’uomo più freddo, calcolatore, misurato del secolo : nessuno più di lui concepì la politica quale “arte delle possibilità concrete” : la sua mente fervida edificava innumerevoli progetti, studiava tutte le eventualità e tutte le combinazioni, ma il suo senso realistico sacrificava freddamente e impietosamente tutti i progetti e tutte le combinazioni che non si accordavano con la realtà “così com’era” . Le qualità positive , di cui ora abbiamo fatta menzione ( ricchezza dell’immaginazione e senso della realtà ) erano poi integrate da un sentimento profondo del dovere, da una ferrea autodisciplina, da un coraggio freddo e lucido . Naturalmente non mancavano nel carattere di Federico gli aspetti negativi , che il lettore attento e perspicace avrà già colto da quanto già abbiamo detto sulla sua vita e che in sintesi possiamo individuare, nel cinismo, nell’insincerità, nella brutalità con cui spesso trattava i suoi simili . Ma forse, più che le nostre astratte valutazioni, aiuteranno il lettore a meglio entrare nella personalità di Federico gli aneddoti, i flash, le citazioni che seguono. A proposito della forza di carattere e dell’autodisciplina di Federico – - Federico dopo la battaglia di Kolin (da lui imprudentemente provocata e rovinosamente perduta) si sente tanto abbattuto da affidare la direzione della ritirata al prudente e metodico fratello Enrico ; ma non passa molto tempo che riprende tutto il suo coraggio e scrive a Montz von Dessau : “Il mio cuore è spezzato, tuttavia non sono prostrato e alla prima occasione cercherò di rifarmi di questo colpo” . - In altra occasione Federico scrive : “Brontolare e lamentarsi significa opporsi alle leggi dell’universo : una sciagura più o meno non muta niente nell’ordine del mondo….chi non sa fronteggiare la sventura, non è degno della felicità” . - A chi gli fa presente i rischi di una situazione risponde : “Si fanno grandi cose solo quando si corrono grandi rischi". A proposito del senso del dovere che animava Federico – - Nella disastrosa battaglia di Kunersdorf, come già ha fatto in quella di Kolin, Federico si getta nel fitto del combattimento per coprire la ritirata ed evitare il peggio : due cavalli sono uccisi sotto di lui, una pallottola rimbalza sulla sua uniforme e per poco non è catturato dai cosacchi . Respinge però ogni preghiera di ritirarsi dal fuoco con le parole : “Io qui devo fare il mio dovere come qualsiasi altro” . - E’ quello stesso senso del dovere che porta Federico : a dividere con i suoi soldati, con naturalezza e semplicità, tutti gli strapazzi della vita al fronte ( l’umidità, il freddo, le notti insonni, il dormire sulla paglia…) , a costringere stoicamente i suoi piedi artritici negli stivaloni militari , a continuare in quelle ispezioni nelle province ch’egli ritiene essenziali per il loro buon governo, anche quando, negli ultimi anni della sua vita, la gotta e i reumatismi non gli danno pace . - A proposito di tali ispezioni si narra che egli, ancorché costretto da settimane a letto, esattamente il giorno prima dell’inizio del viaggio d’ispezione trovasse la forza di alzarsi e poi, alzatosi, effettivamente si sentisse meglio e spiegasse con sereno stoicismo ai sbigottiti atten= denti : ” I miei compiti di re esigono impegno e attività, il mio corpo e la mia mente devono adattarsi a questi miei doveri”. A proposito del carattere autoritario di Federico – - Un alto funzionario dell’apparato giudiziario, che ha deciso un caso diversamente da quanto Federico si aspettava, deve leggere a margine della pratica questo appunto, scritto dallo stesso re :“Siete un uomo molto onesto, ma un grande asino !” . - Federico riceve un rapporto in cui un ministro velatamente critica la politica dirigistica adottata da lui in economia . Fuori di sé dalla collera, vi scrive in calce :”Sono sorpreso dalla relazione impertinente che mi avete inviato . Scuso i ministri e la loro ignoranza, ma la malizia e la corruzione di chi l’ha concepita devono ricevere una punizione esemplare ; di solito non prendo delle canaglie a mio servizio”. - Il carattere autoritario, per non dire tirannico, di Federico è ancora bene illustrato dal suo comportamento nell’affare del mugnaio Arnold ( affare che ben erroneamente viene invece spesso portato a esempio di un suo preteso senso di giustizia ) . Il mugnaio Arnold fa causa al proprietario del terreno in cui si trova il suo mulino : non è giusto che gli paghi il canone pattuito per il mulino, dal momento che un vicino, costruendo un laghetto, gli fa mancare l’acqua necessaria per il suo funzionamento. In primo e secondo grado i giudici gli dan torto ( l’acqua, sia pure in misura ridotta, arriva !) e ordinano che si venda il mulino per pagare i canoni lasciati insoluti dal mugnaio. Questi è però coriaceo : forse che a Berlino non c’è un re che tutela la povera gente ? Il mugnaio ricorre a Federico II . Il re non fa mancare il suo interessamento e, avuto da una Commissione un parere favorevole al mugnaio, deferisce la sua causa alla Corte Suprema di Berlino . Questa studia attentamente la pratica, ma, senza lasciarsi impressionare dal precedente parere della Commissione, anche lei, come i giudici che l’hanno preceduta, dà torto al mugnaio . A questo punto per Federico la misura è colma : ordina che il gran cancelliere Von Furst si presenti davanti a lui insieme ai tre consiglieri che hanno emessa la sentenza : ed ecco quel che accadde durante l’udienza reale, così come fu annotato da uno dei consiglieri stessi : “Verso le 14 giungemmo a palazzo con il Gran Cancelliere Von Furst, nella sua carrozza . Fummo subito condotti dal re . Sedeva al centro di una stanza, in modo da poterci fissare in volto, e dava le spalle al fuoco che ardeva nel camino . Portava un cappello malandato della foggia di quelli dei predicatori e indossava una sopravveste di panno o di velluto . Non era pettinato . Davanti a lui stavano tre banchetti coperti di un panno verde, e su uno di essi aveva appoggiato i piedi . Una mano, che pareva gli dolesse molto, era infilata in una sorta di manicotto, nell’altra stringeva la sentenza del caso Arnold . Era seduto in poltrona e aveva alla sua sinistra un tavolo su cui stavano numerose carte e due tabacchiere dorate riccamente composte di brillanti da cui, di tanto in tanto, prendeva una presa di tabacco . Nella stanza c’era uno dei consiglieri segreti di gabinetto, che si stava preparando a scrivere . Il re ci fissò e disse “avvicinatevi” . Noi avanzammo ancora di un passo e ci trovammo a non più di due passi da lui . Chiese a Friedel, Graun e me : “Siete voi quelli che hanno redatto la sentenza del caso Arnold ?” . Rispondemmo con un inchino di si” . Federico iniziò a interrogare i tre consiglieri e chiese loro, apparentemente rilassato : “Se si intende emettere una sentenza contro un contadino cui si è già tolto tutto quello che gli permetteva di sfamarsi e pagare i suoi tributi, è lecito farlo ?!”. Cosa potevano rispondere i tre poveri consiglieri a questa insidiosa domanda se non “no” ?! Federico domandò ancora : “Si può togliere il mulino a un mugnaio che non ha più acqua e quindi non può più lavorare e nemmeno guadagnare nulla, perché non ha pagato il canone dovuto ? Allo= ra ? E’ giusto forse ?!” . I tre consiglieri impallidirono a questa seconda domanda pronunciata con voce tagliente e risposero per la seconda volta “no” . A quel punto Federico, che fino a quel momento aveva ignorato il Gran Cancelliere Von Furst, levò minacciosamente il suo bastone ricurvo e gli comandò : “Sparite ! Il vostro posto l’avete già perduto” . In breve : il re ordina al ministro Von Zedlitz di punire i tre consiglieri. Il ministro legge attentamente gli atti e, convinto che i consiglieri non hanno fatto che il loro dovere, coraggiosamente scrive al re che si rifiuta di condannarli . La risposta di Federico : “Se voi non volete pronunciarvi, lo farò io, e la mia sentenza è questa : questi vigliacchi, intendo i funzionari giudiziari, vengono sospesi dal servizio e condannati alla prigionia in una fortezza, e dovranno risarcire il valore del mulino nonché tutti i danni subiti dal mugnaio Arnold” . La “sentenza” di Federico ebbe un immenso scalpore : tutti gli spiriti “progressisti” del continente lo acclamarono . A Parigi comparvero dei manifesti, che mostravano il re di Prussia reggere tra le mani una bilancia, che pendeva a favore del popolo. Si, tutto bene, ma la sentenza di Federico era…ingiusta . Non più di nove mesi dopo averla pronunciata, egli stesso lo riconobbe e, quasi a volersi scusare, disse a Neumann, uno degli ussari addetti alla sua persona, di essere stato costretto a dare una lezione intimidatoria affinché i potenti non opprimessero i deboli . “Ovviamente – aggiunse – stavolta sono stato ingannato . Il debole aveva torto. Ma se ritrattassi la mia parola, le vessazioni si inasprirebbero ancora . E’ duro, è ingiusto, ma ora non si può fare diversamente : sono stato troppo precipitoso . Ah, questo Arnold, questo maledetto briccone !” . E Federico non mutò la sua “sentenza” . Fu solo chi gli succedette sul trono a riabilitare i poveri consiglieri ingiustamente condannati . Ancora degli aneddoti illustrativi della personalità di Federico e più precisamente del suo spirito realistico e concreto - Quando reduce dalla guerra dei sette anni una delegazione viene a congratularsi con lui, Federico interrompe bruscamente l’oratore ufficiale : “Stia zitto e mi lasci parlare . Ha una matita ? Allora scriva : i signori debbono fare una lista di quanta segala per il pane, quante sementi, quanti cavalli, buoi e vacche hanno bisogno immediatamente per i loro distretti . Ci pensino accuratamente e ritornino domani” . - Come già accennato, Federico riteneva suo dovere procedere a frequenti ispezioni nelle province del suo regno . Un funzionario, che ebbe ad accompagnarlo in una di queste ispezioni, ci ha trasmesso un resoconto delle conversazioni che ebbe a tenere col re durante il viaggio . Eccone uno stralcio : “Avete più bestiame del vostro predecessore ?” “Si, Maestà . In questa grangia ho aumentato di quarantotto il numero delle vacche, e in tutte le altre di settanta” “Bene ! nella regione non avete peste bovina, vero ?” “ No, maestà” . “Basta facciate molto uso di salgemma e la peste bovina non ritornerà” “Si, Maestà, ne faccio uso . Ma il sale da cucina fa quasi lo stesso servizio” “No, vi sbagliate . Non dovete rompere il salgemma in piccoli pezzi, ma appenderlo in modo che il bestiame possa leccarlo” “Si, sarà fatto” “Ci sono altre migliorie da fare nella regione ?” “Oh, si , Maestà ! Ecco, il lago di Kremm : se l’acqua venisse deviata, otterreste 1800 iugeri di prato che potrebbero venir assegnati ai coloni, e poi tutta la regione diverrebbe navigabile e questo gioverebbe moltissimo alla cittadina di Fehrbellin a alla città di Ruppin” . “Si, parlatene al mio consigliere segreto Michaelis . Lui sa cosa fare….” “Sarà fatto, Maestà” “Anche il generale Von Ziethen ha beneficiato della bonifica delle paludi ?” “Oh, si . Ha costruito la fattoria che vedete sulla destra e vi ha aggiunto un caseificio, e non avrebbe potuto se le paludi non fossero state prosciugate” “Mi fa piacere….Come si chiama il funzionario di Ruppin ?” “Home” “Da quanto tempo è lì ?” “Dalla festa della Santissima Trinità” “Dalla festa della Santissima Trinità…e prima cos’era ?” “Canonico” “Canonico? Canonico? Perché diavolo un canonico ha deciso di fare il funzionario ?” “Maestà, è un uomo giovane, che ha dei mezzi e che considera un onore essere al Vostro servizio” “E perché il vecchio non è rimasto ?” “E’ morto” “Ma la vedova avrebbe potuto conservare la carica !” “E’ caduta in povertà !” “Perché, come tutte le donne, non sapeva amministrare i suoi beni ?” “Maestà, perdonatemi, ma era una buona amministratrice . Soltanto che le numerose disgrazie che l’hanno colpita, l’hanno rovinata . Quelle possono ridurre in miseria anche il migliore degli amministratori . Io stesso due anni fa ho avuto una moria fra il bestiame e lo Stato non mi ha concesso nessuna riduzione fiscale . Anch’io non riesco a risalire la china” “Figlio mio, oggi ho qualcosa che non va all’orecchio sinistro : non ci sento bene” “Già, il guaio è che anche il consigliere segreto Michaelis ha proprio il Vostro stesso problema…..” Il funzionario – che parla stando a cavallo, mentre il re è in carrozza – a questo punto rimane un po’ indietro, teme che il re possa essersene avuto a male per quest’osservazione . Federico invece si sporge dal finestrino cercandolo con lo sguardo . “Su, Fromme, cosa aspettate ! Rimanete accanto alla carrozza ! Ma badate di non essere inopportuno ! Se parlate a voce alta, vi intenderò benissimo” .

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Giunto al tramonto della vita, Federico poteva dirsi soddisfatto. Aveva, in lunghe guerre, tenuto testa all’Europa contro di lui coalizzata ed era riuscito a far riconoscere la Prussia come grande potenza . Dismessa l’armatura del guerriero, ma con la stessa grinta ed energia dimostrata quando l’indossava, aveva provveduto alla ricostruzione dello Stato ( al rétablissement – come diceva egli alla francese ). Si trattava, di risanare le ferite arrecate dalle crudeli guerre che aveva dovuto combattere, di riportare il regno alla floridezza di cui godeva quando lo aveva ereditato dal padre . Ed egli era riuscito a compiere quest’impresa, che appariva gigantesca, in tempi record : in circa tre anni e mezzo era riuscito ad eliminare le devastazioni che la guerra aveva causato ai suoi territori ( poteva vantarsi di aver ricostruito ben 21000 edifici ! ), in una dozzina d’anni li aveva ripopolati (favorendo con opportuni incentivi l’immigrazione, bonificando paludi e acquitrini…) . Ora poteva fare il bilancio del suo lungo regno e trovarlo largamente positivo . Alla morte del padre la Prussia era uno Stato con una superficie di 2300 miglia quadrate e una popolazione di circa 2.500.000 abitanti . Trentasette anni dopo, la sua superficie aveva raggiunto le 3600 miglia quadrate e la sua popolazione stava per superare la soglia dei 5.000.000 ; le entrate annue erano raddoppiate e l’esercito quasi triplicato . Avrebbe ben potuto, il gran re, riposarsi, e tutti lo avrebbero ritenuto un ben meritato riposo ! Egli invece, anche quando la gotta e la idropisia lo resero in fin di vita, non desistette dal lavorare . Voleva morire al suo posto di combattimento – come già i suoi avi : come il bisnonno, il Grande Elettore, che due giorni prima di morire aveva voluto presiedere un consiglio privato ; come suo padre, che pur torturato dall’idropisia, aveva voluto trascorrere con lui gli ultimi giorni a conferire delle cose del regno . Il 15 agosto 1785 ( il terz’ultimo giorno di vita, che Dio gli avrebbe concesso ) Federico II si destò verso mezzogiorno . La sua voce era flebile, ma iniziò immediatamente la dettatura degli ordini di servizio e delle varie missive . Dettò istruzioni dettagliatissime per le prossime manovre . Inviò un ordine di gabinetto al presidente della Camera di Konigsberg : “Apprendo che verso Tilsit c’è ancora una vasta palude da bonificare . Quel terreno dovrà appartenere alla mia amministrazione . I contadini che vi verranno insediati dovranno tutti essere proprietari dei loro poderi, non debbono essere degli schiavi !” . L’ultima lettera di carattere personale fu quella indirizzata alla moglie, la regina Elisabetta Cristina : “Gentilissima dama, Vi sono molto obbligato per gli auguri che vi degnate di esprimermi, ma oggi sono stato colpito da una febbre violenta che mi impedisce di rispondervi per esteso” . L’indomani, 16 agosto (il penultimo giorno che gli sarebbe stato concesso di vivere !), il re lottò invano per dare la parola d’ordine ai suoi generali in lacrime : ormai non riusciva a parlare in maniera intelligibile . Passò tutta la giornata seduto sulla sua poltrona, attorniato da servitori, ministri, generali, medici . La moglie, che non era informata delle sue gravissime condizioni, stava nel frattempo dando un ricevimento nel palazzo di Schonhausen ! Alla sera s’addormentò e dichiarò che si sarebbe alzato verso le quattro . Circa a mezzanotte volle il suo cane favorito e ordinò di coprirlo con un piumino . Due ore dopo ( ore due del 17-8-1785 ) spirava nelle braccia del fedele servitore Strutzky . Egli avrebbe voluto essere sepolto nella terrazza di Sanssouci , ma ora con comandava più : il suo successore, il nipote Federico Gugliemo, ordinò che la sua tomba fosse accanto a quella del padre, a Potsdam .

Oroscopo di Federico II

24 . 01 . 1712 11h 30m LMT 10h 36m GMT Berlino Germania Ascendente, Toro Sole in Aquario

La carta del cielo di Federico indica che il grande re di Prussia nasce con il sole nell’aquario ma l’ascendente nel Toro . E’ questa in definitiva una felice combinazione perché la concretezza del Toro ( segno di terra ) imbriglia e frena la ( cattiva ) tendenza degli acquariani a costruire castelli in aria e progetti utopici. E infatti nella personalità di Federico, accanto al re-filosofo, che ama intrattenersi con i suoi amici a Sans-Souci parlando – peraltro con riconosciuta e apprezzata acutezza di giudizio (merito di Venere in sestile con Mercurio ! ) e ampiezza di vedute (merito di Urano in trigono con Nettuno !) – di astratti problemi di metafisica, ci sarà sempre l’amministratore efficiente dello Stato capace di immergersi nei più aridi calcoli di economia e di strategia e di dare prova di quella concretezza che, ad esempio, lo porta ad interrompere l’oratore ufficiale di una delegazione venuta a congratularsi con lui, reduce vittorioso dalla guerra dei sette anni, con queste brusche parole : “Stia zitto e mi lasci parlare . Ha una matita ? Allora scriva : i signori debbono fare una lista di quanta segala per il pane, quante sementi, quanti cavalli, buoi e vacche hanno bisogno immediatamente per i loro distretti. Ci pensino accuratamente e ritornino domani” . All’aspetto taurino della sua personalità, Federico deve ancora la pazienza con cui riesce a sopportare un destino particolarmente avverso ( nella sua carta c’è il Sole opposto a Saturno : il segno delle persone che debbono lottare contro un ambiente ostile : nel caso di Federico, prima, l’ambiente familiare reso opprimente da un padre dispotico, poi l’ambiente internazionale caratterizzato dal rinnovarsi di continue coalizioni di stati nemici ) . Nella sua vita Federico potrà anche, sotto i colpi di un’avversa fortuna, cedere momentaneamente alla disperazione, ma per subito dopo riprendersi e continuare a lottare : dopo la battaglia di Kolin ( da lui imprudentemente provocata e rovinosamente perduta ) si sente perduto, tanto da affidare la direzione della ritirata al prudente e metodico fratello Enrico, ma non passa molto che riprende tutto il suo coraggio e scrive a Moritz von Dessau : “Il mio cuore è spezzato, tuttavia non sono prostrato e alla prima occasione cercherò di rifarmi di questo colpo” . E’ ancora Federico che in altra occasione scrive : “Brontolare o lamentarsi significa opporsi alle leggi dell’universo ; una sciagura più o meno non muta niente nell’ordine del mondo…Chi non sa fronteggiare la sventura, non è degno della felicità” . Ma ciò che aiuta Federico a sopportare i colpi dell’avversa sorte, non è solo la tenacia di cui è debitore al suo ascendente nel Toro ( e alla congiunzione tra il suo Urano e il suo Plutone !), ma anche il senso del dovere derivantigli da vari “aspetti” positivi ( soprattutto da un Saturno in trigono con Venere !) . Un senso del dovere che lo porta a dividere con i suoi soldati, con naturalezza e semplicità, tutti gli strapazzi della vita al fronte, i miseri accampamenti di paglia, l’umidità, il freddo, le notti insonni, a costringere stoicamente i suoi piedi artritici negli stivaloni militari, a rischiare la vita cavalcando in ogni importante battaglia sotto il fuoco nemico . Nella battaglia di Kunersdorf, come già aveva fatto in quella di Kolin, si getta nel fitto del combattimento per cercare di coprire la ritirata ed evitare il peggio e respinge ogni preghiera di ritirarsi dal fuoco con le parole: “Io qui devo fare il mio dovere come qualsiasi altro” . Due cavalli sono uccisi sotto di lui, una pallottola rimbalza sulla sua uniforme e per poco non è catturato dai cosacchi . Ma domanderà a questo punto il lettore : “E Marte ? non acquista rilievo il pianeta della guerra nell’oroscopo di chi viene considerato uno dei più grandi condottieri militari dell’Occidente ?” . Certo,si, Marte nell’oroscopo di Federico si fa sentire, ma a dir il vero non sempre in maniera armoniosa e felice . E se Federico deve probabilmente a questo pianeta l’ardimento e la capacità di decisione che portarono a tante brillanti sue vittorie ( è di Federico il motto, “Si fanno grandi cose solo quando si corrono grandi rischi”) è sempre a un Marte ( ma male aspettato dalla Luna !) che Federico deve molte decisioni troppo precipitose e imprudenti che gli causarono non poche disastrose sconfitte (sconfitte che furono, sì, superate per il suo coraggio e la sua tenacia, ma anche per lo splendido senso dell’onore e la fedeltà di cui seppero dar prova gli ufficiali e i funzionari prussiani ).

Federico II di Prussia : analisi grafologica di P. Moretti

Volendo anticipare in sintesi l’analisi grafologica di P. Moretti si può dire che Federico era una persona portata al comando e del tutto degna di esercitarlo. Prima di tutto per la sua intelligenza; che il Grafologo definisce “quantitativamente superiore (grafia larga di di lettere) ; qualitativamente originale in modo spiccato ( grafia disuguale metodicamente )”. La “originalità” del soggetto – ci dice il Grafologo (ignaro di chi esso sia) - si rivela e consiste soprattutto nella sua capacità di escogitare nuove soluzioni e di trovare nuove strade per superare un ostacolo ; ciò che lo rende un interlocutore temibile al tavolo delle trattative : perciò “trattando col soggetto – avverte il Grafologo – bisogna essere molto accorti, perché, quando uno meno se lo aspetta, il soggetto esce in ritrovati nuovi oppure in forma nuova, con i quali incastra l’avversario e lo induce a cedere le armi nella discussione” . E questo anche perché “riesce ad avere – è sempre il grafologo che parla – una esposizione quasi inarrivabile per la scorrevolezza della parola e del pensiero, per la chiarezza dei concetti e dell’espressione, per la nitidezza dell’argomentazione” . Ma l’intelligenza certo non basta da sola a fare un buon governante . Occorrono la capacità di ponderazione, la capacità di mantenere la calma anche nei momenti più difficili, la capacità di antivedere i pericoli e di scansarli. La scrittura rivela tali qualità in Federico ? Sì, certo ; ci dice il Grafologo : “Si può dire che il soggetto abbia l’abitudine della ponderazione e della calma” ; e ancora : il soggetto sa prendere tutte le precauzioni necessarie “ per non andare incontro a sorprese, che egli antivede e che quindi scongiura” . In buona sostanza Federico ha tutte le doti per comandare e tra queste, anche….la consapevolezza di ciò. Non c’è quindi da meravigliarsi che la sua grafia denunci che “tende al comando”, “tende a farsi avanti e ad avere l’indipendenza con l’intento di conquistare gli altri” . Ma Federico ha le doti, non solo per dominare nel mondo politico, ma anche in quello letterario, filosofico, artistico. L’originalità e la finezza dell’argomentare, che lo fanno prevalere al tavolo delle trattative, gli assicurano consenso e ammirazione anche nei salotti . Tanto più che, tra le altre doti, Federico è un “intenditore d’arte” : il soggetto – ci ragguaglia il Grafologo – ha “disposizione per la critica moderata, per tutte le belle arti e sa penetrare la situazione degli artisti nell’esercizio dell’arte e fuori di essa” . E l’amore ? Federico era un frigido ? Non frigido, ma dotato di senso raffinato anche nell’amore, lo dipinge l’analisi grafologica : “Quanto a sensualità il soggetto tende alla facilità dell’intenerimento sessuale, ma tende nello stesso tempo a scegliersi l’esca” . Enrico IV di Francia

Biografia di Enrico IV

Colui che diverrà Enrico IV di Francia nacque il 13-12-1553 a Pau, la capitale del Bearn (una regione ai piedi dei Pirenei ) . Il nonno materno, Enrico d’Albret, re di Navarra, visconte con potere sovrano del Bearn oltre che signore di altre numerose terre , appena nato lo sollevò e, come rozza profilassi contro un morbo che affliggeva allora il Bearn, gli pose sulle labbra dell’aglio e gli fece odorare del vino ; e avendo il bambino subito tale rude trattamento senza dar segni di insofferenza, da ciò trasse, orgoglioso e felice, l’auspicio, di cui la storia dimostrerà la verità, che il nuovo nato si sarebbe dimostrato nella vita gagliardo e di buon carattere . E, di un erede gagliardo egli ben sentiva il bisogno : infatti pur potendosi onorare del titolo prestigioso di re di Navarra, di questa regione, posta a cavallo dei Pirenei, egli in realtà possedeva solo i suoi pochi lembi ( sassosi! ) in territorio francese : tutta la Navarra spagnola era stata conquistata nel 1512 dal re Ferdinando d’Aragona . Il padre Giovanni, di natura mite, modesta e dolce, non aveva saputo opporre, alla sfacciata usurpazione, che delle formali proteste . Lui, il nonno del nuovo nato, era di tutt’altro carattere e pur tra molti difetti – la moglie, che non l’amava, lo definiva “sensuale, materiale, egoista, scettico e addirittura cinico” – aveva coraggio e testardaggine . Ma né questa né quella virtù (ancorchè tanto favorevoli al successo mondano ) e neanche il legame che aveva stretto con la casa regnante dei Valois, sposando margherita di Angouleme, sorella del re Francesco I, erano bastati a coronare di successo i vari tentativi da lui fatti per riconquistare la parte usurpata del suo regno. Ecco perché con tanta ansia aveva aspettato un nipote maschio : sperava che a questi sarebbe riuscita l’impresa a lui fallita . E ciò sperava anche la figlia Giovanna, madre del neonato ; la quale era come lui coraggiosa ed energica ( anche se sapeva addolcire e per così dire insaporire tali doti con una grazia e una capacità di approfondimento, a lui sconosciute ; e che doveva alla madre, e nonna del neonato – la dolce, pia, sensibile Margherita, tanto bella e tanto colta da essere cantata come la quarta delle Grazie e la decima delle Muse ) . Sposo di Giovanna e padre del neonato era Antonio di Borbone . Questi, pur essendo imparentato con le famiglie francesi di più alta nobiltà ( i Guisa, i Nevers, i Montpensier…) e pur essendo un Grande di Francia, con diritto, come tale, di sedere nel Consiglio del re, doveva essere considerato, ben s’intende col metro dell’alta nobiltà di allora, “povero” ( essendo i suoi possedimenti non ricchi e, per di più, tra di loro separati ) ; però ricopriva lo stesso nel regno francese una grande e prestigiosa posizione in quanto era il primo principe del sangue, cioè il primo principe destinato ad ascendere al trono dopo i “figli di Francia” – termine questo con cui si indicavano i figli maschi e legittimi del re, che all’epoca erano quattro – i quattro figli di Enrico II e di Caterina dei Medici : Francesco, Carlo, Enrico, Ercole Francesco (duca d’Alencon ). Il matrimonio tra Giovanna d’Albret e Antonio di Borbone era stato dettato dalla politica : infatti, la casa reale di Francia temeva che gli Absburgo riuscissero a estendere la loro influenza sul regno di Navarra e a porre così piede oltre i Pirenei ; e, pertanto, cercava in tutti i modi di legare a sè con matrimoni la Casa che, sulla Navarra, regnava . Tuttavia tale matrimonio, anche se, come si suol dire, “d’interesse”, non fu all’inizio infe= lice. Antonio era avvenente, bonario, coraggioso, ma un po’ leggero e incostante : si integrava quindi bene e armoniosamente con il carattere “forte” e deciso di Giovanna. Se più tardi tale unione, all’inizio così promettente, si sfasciò, ciò fu dovuto, sì, ai numerosi tradimenti di Antonio, ma soprattutto alle divergenze in materia religiosa che opposero questi (cattolico ) a Giovanna ( aderente invece alla religione riformata ). Com’è noto la “religione riformata”, come predicata da Calvino in Ginevra, si era diffusa rapidamente in Francia ; e i suoi seguaci – pur essendo una minoranza ( si calcola, il 10 per cento ) della popolazione francese, essendo però una minoranza attiva, colta, laboriosa, dinamica – vennero a formare un partito potente ( il partito degli ugonotti ), in grado di opporsi validamente a quello cattolico . Fu a tale partito degli ugonotti che Antonio di Borbone ritenne a un certo momento di aderire ; e la sua conversione al calvinismo fu seguita dalla moglie. Ma mentre la conversione di questa divenne col tempo sempre più convinta, quella di Antonio, verosimilmente mai troppo sentita, col tempo venne meno : egli abiurò a quella, che ormai era per Giovanna la vera e sola religione, e ritornò al Cattolicesimo . Nulla più della religione è capace di suscitare l’amore e di accendere l’odio ; e ciò si dimostrò vero anche per qual che riguarda i due coniugi un tempo felici . Le liti accesissime per convincere l’uno a passare nel campo e nella religione dell’altro, a poco a poco degenerarono in un odio così forte e feroce, che Antonio cercò di tendere agguati alla moglie per ucciderla (o almeno questa lo sospettò - ciò che dice lo stesso il punto a cui erano giunti i loro sentimenti e i loro rapporti ) . Non va neanche detto che i due si separarono . Giovanna si ritirò nel Bearn, dove divenne punto di riferimento e leader degli ugonotti ( non solo locali ) . Antonio, che conduceva vita da soldato, partecipò alle guerre fratricide che insanguinavano allora la Francia e morì per una ferita da archibugio buscatasi durante un assedio . Ma le discordie, di cui ora abbiamo parlato, avvennero parecchi anni dopo quella nascita di Enrico da cui abbiamo prese le mosse . Dobbiamo quindi riprendere il filo del nostro discorso e parlare dell’infanzia e della giovinezza del futuro re di Francia .

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Enrico IV, passa i suoi primissimi anni di vita nel Bearn, affidato alle cure di una parente ( il nonno è morto due anni dopo la sua nascita!) . Vita, il più del tempo, all’aria aperta a contatto di una natura aspra e selvaggia . Vita in completa promiscuità con domestici, valletti, palafrenieri, cani da caccia, cavalli, muli , tra tenerezze e complicità di servi, scherzi grossolani e linguaggio rozzo di domestici : la vita che conducono tutti i bambini di alto lignaggio quando non sono a Corte . Lo si fa studiare ; ma poco . Perché in tal senso aveva dato istruzioni il nonno d’Albret, timoroso che rinascessero nel nipote quei gusti letterari che aveva tanto disprezzato nella moglie ; perché così desiderava anche la madre, che voleva fare del figlio un uomo retto e coraggioso capace di riconquistare al suo Casato i territori usurpatigli e non un letterato . Con tutto ciò, l’essenziale ( di storia, di matematica, di francese, di latino e anche id greco ) gli fu insegnato e noi saremmo in errore se pensassimo ad Enrico come ad una persona incolta ed ignorante : al contrario egli nella maturità, già lontano dagli studi giovanili, era capace di rettificare e completare una citazione la= tina . Ci ragguaglia un cortigiano : “Non si poteva storpiare il latino davanti al re : egli subito se ne accorgeva” . A circa otto anni ( siamo nel 1561 ) Enrico viene portato a Corte , un po’ come ospite, un po’ come ostaggio . E a Corte egli ha come compagni di gioco i figli del re e i rampolli della più alta nobiltà . Con cui tratta familiarmente, senza nessuna formalità ; come ci dimostra il seguente aneddoto riportato ( con un tono un po’ scandalizzato ) dall’ambasciatore di Spagna . Riferisce dunque l’ambasciatore al suo signore, che un giorno Caterina dei Medici e il cardinale di Ferrara erano intenti a parlare tra di loro quando videro con sbigottimento la porta d’improvviso spalancarsi per fare passare una ben strana ( e irriverente!) processione : in testa c’era Enrico di Navarra mascherato da cardinale, seguivano il secondogenito del re, Carlo (il futuro re di Francia!) vestito da vescovo e altri bambini travestiti da monaci, abati, sacerdoti . Il cardinale naturalmente si indignò di fronte alla sacrilega messinscena .E Caterina fu naturalmente costretta a scusare il comportamento dei monelli . Ma quali sono i rapporti tra Caterina e colui che è destinato a subentrare nel trono ai suoi figli ? Dobbiamo pensarli non cattivi, almeno formalmente ; dal momento che Enrico parlerà nella sua maturità di Caterina con grande comprensione e la difenderà dai suoi detrattori – cosa che difficilmente avrebbe fatta se, bambino, avesse da lei subito, non si dice dei maltrattamenti, ma anche dei semplici sgarbi . E tuttavia c’è chi dice che Caterina nutrisse verso il suo piccolo ospite un vero e proprio odio . E questo in seguito ad una predizione fattale dal famoso scienziato e occultista Nostradamus nel corso di una “seduta” da lei voluta . Ecco come viene narrato il suo svolgimento . In una camera buia, al centro di un cerchio sta la regina . Di fronte a lei, sul muro, uno specchio . Nostradamus, che è ebreo e versato nella Cabala, ha segnato ai quattro angoli i nomi di Dio in ebraico . Ora egli salmodia alcune formule magiche e, portento! prende forma nello specchio la figura del primogenito della regina, Francesco . Questi fa un giro . Nostradamus avverte che ogni giro indicherà un anno di regno . Quindi siccome Francesco ha già regnato un anno, ciò significa che sta per morire . L’immagine di Francesco scompare, nello specchio si delinea ora la figura del secondogenito Carlo . Questa volta i giri sono quattordici , a significare che Carlo regnerà quattordici anni . Quindi è la volta del terzogenito, Enrico : i giri sono quindici : lui siederà sul trono quindici anni . Ora Caterina si attende che compaia la figura del suo quarto figlio . Ma al suo posto nello specchio fatale appare il volto di Enrico di Navarra : i giri per lui sono ben ventidue . Dunque quel bambino , che la Medici ospita, sarà l’usurpatore del trono dei suoi figli e regnerà per ben ventidue anni ! La storia ci dice che così effettivamente fu ; ma non ci assicura che così fu veramente predetto .

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Il tempo dei giochi infantili per Enrico termina presto ; la madre, succeduta nella patria potestà al padre morto nel 1562, con una astuzia si riprende il figlio, sottraendolo alla dorata cattività nella Corte, e se lo porta nel Bearn . Siamo nel 1563, Enrico ha solo tredici anni . La sua educazione deve proseguire ,e in effetti prosegue, veramente spartana : mangiare poco, dormire su un duro giaciglio, alzarsi presto e coricarsi tardi, continue esercitazioni fatte nei giorni più freddi dell’inverno e durante i più terribili temporali . Non vengono risparmiate le pene corporali : nessun re francese è stato più frustato di Enrico IV . Ma la guerra – la terribile guerra civile tra ugonotti e cattolici – incalza . Anche chi ha soli 15 anni come Enrico, deve parteciparvi . E Giovanna ( siamo nel 1568 ) porta il figlio a La Rochelle e consegnandogli la prima armatura davanti alle truppe – che vedono in questo principe del sangue, erede certo del trono di Navarra e possibile erede di quello di Francia, il loro capo naturale – gli dice : “Tutta l’Europa ha gli occhi fissi su di voi ; voi cessate di essere un infante . Andate ad apprendere, sotto Condè, a comandare” . E sotto il Condè, prima, e poi, alla sua morte, sotto il Coligny, Enrico compie il suo apprendistato militare . Viene ammesso ai consigli di guerra e gli si permette di esprimere il suo parere (che, purtroppo, non sempre è seguito!) . Partecipa ai combattimenti, in prima fila ed esponendosi al rischio di essere ucciso . E col suo comportamento coraggioso si conquista l’ammirazione delle truppe e viene ad esercitare su di esse un ascendente, che solo Napoleone in seguito saprà eguagliare. Egli ha quella naturale capacità di sollevare il morale dei deboli e di esaltare il coraggio dei valorosi, quel senso del comando, nello stesso tempo rigido e familiare, quell’allegrezza capace di mantenersi tale anche nei più difficili momenti, che fanno il grande condottiero . Ma fortunatamente anche le guerre hanno una fine o almeno una tregua ; tregua che i regnanti cercano di rinsaldare intrecciando legami matrimoniali tra gli ex-contendenti . Ed è proprio con tale scopo e con tale speranza che la regina di Navarra e la regina di Francia decidono di sposare Enrico con Margherita, la sorella del re . Margherita di Valois non è forse “bellissima” come la descrive ad Enrico sua sorella Caterina – resa parziale da un grazioso cagnolino che la futura cognata accortamente le ha regalato ; ma è certamente dotata di fascino : quando parla, quando si muove, la sua grazia, il suo garbo destano nelle donne l’ammirazione e negli uomini sentimenti non meno vivi anche se più terreni e non molto rispettosi dei Divini Comandamenti . E’ elegante, meticolosamente truccata, profumata, depilata : è insomma, oggi diremmo, molto sexy . E, pur non essendo accorta e avveduta come la madre, non è per nulla un’oca : scriverà delle M emorie che riscuoteranno l’apprezzamento di un intenditore come Richelieu . Margherita, come Enrico, è facile agli innamoramenti, e, quando le propongono il matrimonio, il suo cuore è tutto preso dal bello, raffinato, coraggioso, Enrico di Guisa . Ma i fratelli e la madre hanno modi assai efficaci per convincerla (“mi hanno assicurato – scrive l’ambasciatore spagnolo – che la regina ha presa a schiaffi la figlia e che altrettanto ha fatto il re, picchiandola al punto da farla svenire”) e la povera, gentile, influenzabile Margherita alla fine consente alle nozze . O almeno consente di partecipare alla cerimonia nuziale, perché, a dir il vero, il fatidico “si” al prete celebrante il matrimonio, non uscirà mai dalle sue labbra ( e questo sarà il motivo che porterà - già Enrico regnante sulla Francia e desideroso di un nuovo, più importante legame - all’annullamento del vincolo ) . Quando le verrà rivolta la rituale domanda, essa (poverina!) si guarderà intorno come per cercare soccorso . Sarà un colpetto leggero e rabbioso del fratello, il re Carlo IX, a forzarla a chinare il capo ; e l’accomodante cardinale celebrante le nozze fingerà di vedere in ciò una manifestazione di consenso e darà la sua benedizione ( tra il sollievo dei presenti, che già temevano una drammatica conclusione della giornata con la fuga della sposa!) . Quanto a Enrico egli non crea nessuna difficoltà e nessun problema alla madre : egli è molto pratico, per nulla sentimentale : “questa o quella per me pari sono” , tanto, ben sa dove cogliere il suo piacere anche fuori dal letto coniugale . Ma la regina di Navarra non vedrà le nozze del figlio : poco dopo la conclusione delle (estenuanti!) trattative, da lei condotte con quella abile e per nulla malleabile negoziatrice che è Caterina dei Medici, muore . Probabilmente per la stanchezza e l’esaurimento del suo fisico troppo provato . Ma non sono pochi gli ugonotti che attribuiscono la sua improvvisa scomparsa al “veleno italiano” : non è forse vero che la povera regina di Navarra poco prima di morire ha comprato dei guanti da un mercante (fiorentino come la Medici ) ? non è forse vero che tali guanti potevano essere resi letali da un veleno abilmente e criminosamente, su di essi, cosparso ? Molti ugonotti a tali domande rispondono di si . E, questo, è uno dei tanti sospetti che avvelenano l’aria di Parigi quando il re di Navarra (succeduto nel trono alla madre), vestito a lutto, vi entra, accompagnato dal principe di Condè, dall’ammiraglio Coligny e da millecinquecento gentiluomini di fede ugonotta . E purtroppo erano sospetti che, prima, l’attentato al Coligny, poi, le stragi di San Bartolomeo dovevano dimostrare fondati . Si discute tra gli storici se le stragi di tale notte ( o, meglio, iniziate in tale notte, perché proseguirono poi per giorni, diffondendosi da Parigi a tutta la Francia ) erano state da lungo tempo programmate o se invece erano state il frutto di un' improvvisa decisione, dettata alla Corte e alla fazione dei Guisa, dal timore che gli ugonotti meditassero una sanguinosa rappresaglia contro i cattolici, per vendicarsi dell' attentato contro il loro capo, il Coligny . Certo è che Margherita di Valois, la novella sposa di Enrico, era, dei progetti della Corte, totalmente tenuta all’oscuro : nessuno si fidava della sventatella. Solo qualche ora prima dei tragici fatti lei ne ebbe un qualche (pauroso!) sentore . Ecco come nelle sue Memorie ce ne dà il perché . “Mi trovavo dalla regina – racconta Margherita – ed ero seduta su un cofano accanto a mia sorella che vedevo molto triste . La regina, che stava parlando con altri, mi vide e mi disse di andare a dormire . Stavo per farle la riverenza quando mia sorella mi prese per il braccio e mi trattenne piangendo . “Mio Dio, sorella –disse – non andate” . Io mi spaventai moltissimo” . Ma la regina ripete l’ordine e Margherita si ritira nel suo appartamentino . “Appena entrai nel mio salottino – prosegue il racconto – mi misi a pregare Dio di prendermi sotto la Sua protezione e di salvarmi , non sapevo da cosa o da chi . Mio marito, che già si era messo a letto, mi chiamò perché mi coricassi . Ubbidii e trovai il letto circondato da trenta o quaranta ugonotti che non conoscevo (…) Per tutta la notte questi non fecero che parlare dell’incidente capitato all’ammiraglio, decidendo che l’indomani avrebbero chiesto al re la punizione di Guisa e che, se fosse stata negata giustizia, se la sarebbero fatta da loro. Io, che avevo nel cuore le lacrime di mia sorella, non riuscivo a dormire per l’agitazione che lei mi aveva messo addosso…” . Le ore passano e all’albeggiare Enrico si alza ; è inquieto, loquace, dice che attenderà il risveglio del re Carlo e gli chiederà udienza ; ma mentre sta così parlando, la terribile carneficina già da parecchie ore è cominciata . Il re, quando Enrico si reca da lui, lo trattiene, per evitargli la morte, nel suo appartamento . E così il re di Navarra sarà uno dei pochi ugonotti ad aver, in Parigi, salva la vita . Sì, la vita salva ; ma la vita, se non di un recluso, di un “sorvegliato speciale” : il re di Navarra viene ad essere un ostaggio troppo prezioso perché la Corte gli possa permettere di allontanarsi da Parigi . In quei giorni, che sono di pericolo e di umiliazione, Enrico troverà un’amica e un’alleata nella moglie . E’ il momento dunque di parlare dei rapporti di Enrico con questa . I due novelli sposi non provano nessuna attrazione reciproca ; è dubbio anche se si frequentino sessualmente (anche se sembra di si – ma , certamente, non per amore e neanche per una vera attrazione sessuale, ma solo perché….sono giovani e sensuali : proprio così Margherita spiegherà i loro abbracci al tribunale chiamato ad indagare sulla validità del matrimonio : “Eravamo entrambi giovani il giorno delle nozze ed entrambi così inclini alla sensualità che sarebbe stato veramente impossibile trattenersi”). Certo è che i due sposi in una cosa si trovarono subito d’accordo : nel lasciarsi un’illimitata, reciproca libertà sessuale : entrambi ebbero numerosi amanti, che nessuno dei due si preoccupò di nascondere all’altro : la loro fu una “coppia aperta” ante litteram . Ma se tra Enrico e Margherita non vi fu amore, vi fu, si ripete, una solida e buona amicizia . Quando Enrico riuscirà a fuggire da Parigi e a raggiungere il suo regno, non avrà nessuna difficoltà ad accogliere presso di sé Margherita (anche se chiaccheratissima, e a ragione : la Valois contò un’innumerevole serie di amanti ) . E, se è vero che Enrico, d’accordo col suo re omonimo (Enrico III ), fratello di Margherita, sarà costretto dalla vita scandalosa di questa a relegarla in un castello, è anche vero che, diventato re di Francia, ancorché ormai libero da ogni vincolo morale e giuridico verso la Valois, non si opporrà che questa rientri a Parigi e ritorni a frequentare la Corte . Dove Margherita avrà una posizione di prestigio e di rispetto : la nuova moglie di Enrico, Maria dei medici, non solo non si rifiuterà di frequentarla, ma la tratterà da amica e arriverà al punto di chiederle pareri sull’educazione del delfino . Grata al suo ex marito e alla sua nuova moglie della loro familiarità, Margherita, che non aveva avuto figli, tratterà come tale il Delfino : lo vizierà, per lui non baderà a spese : un giorno, portandolo con sé alla fiera di Saint Germain, gli comprerà una spilla del valore di ben trentamila scudi. Un cortigiano racconta di averla vista, una mattina, giocare per terra col bimbo davanti al letto dei genitori . Ma torniamo a parlare della situazione di Enrico subito dopo la strage di San Bartolomeo . Egli ha abiurato dalla religione riformata e si è riconvertito al cattolicesimo : per aver salva la vita? Probabile - sennonché egli non si limita ad aderire alla religione cattolica : egli milita anche nelle file del partito cattolico e addirittura prende misure ostili e combatte contro i suoi antichi compagni di fede e di lotta . Con un editto ristabilisce il cattolicesimo nel Bearn ; con una lettera invita la città di La Rochelle ad arrendersi all’esercito cattolico . Di più, partecipa di persona all’assedio di questa città ; e c’è chi assicura di averlo “visto tirare spesso e volentieri con un archibugio a miccia” contro gli assediati. E “naturalmente” non ha nessuna remora a frequentare amichevolmente i massacratori dei suoi camerati, o, meglio sarebbe dire, ex-camerati . Egli si dimostra particolarmente amico con Enrico di Guisa ( uno degli organizzatori della strage di San Bartolomeo!) ; tanto che un contemporaneo può scrivere : “Questi due principi dormivano, mangiavano e facevano insieme le loro feste in maschera, balletti e caroselli (…) Egli ( il duca di Guisa ) aveva una grande familiarità con il re di Navarra, che chiamava suo signore, mentre il re lo chiamava suo compare” . Raramente si è visto qualcuno voltar gabbana così disinvoltamente ! Come reagiscono gli ugonotti a tanta “disinvoltura” del re di Navarra ? Con immutata fede nella sua lealtà . I suoi “tradimenti” sono spiegati con la coercizione fattagli da chi lo tiene prigioniero e si continua a vedere in lui l’ugonotto, “il compagno buono e coraggioso” dei tempi delle lotte contro i cattolici . Due soldati guasconi, combattenti a La Rochelle in campi opposti, si parlano ; e il protestante domanda al cattolico : “Come sta Enrico, il nostro compagno buono e coraggioso ?” .

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Ma la verità è che , se non la divisa cattolica, la prigionia (ancorché dorata ) in cui si trova astretto, pesa molto su Enrico. Egli tenta a più riprese la fuga e, nel 1576, questa finalmente gli rie= sce . Raggiunge il Bearn e da qui ha inizio la sua ascesa lunga e tribolata al trono di Francia . Dopo vent’anni – vent’anni sempre in movimento, sempre con le armi in pugno - finalmente la meta ambita , la corona di Francia, è raggiunta : nel febbario 1594 è incoronato, nel marzo sempre del 1594 Parigi gli apre le porte, nel settembre 1595 il Papa gli dà l’assoluzione .A questo punto, per rendere definitivamente stabile e sicuro il trono su cui si è assiso, gli occorre solo un’erede : infatti la sua unione con Margherita di Valois è stata sterile . Prima cosa quindi, ottenere l’annullamento del matrimonio con la Valois . Non è un problema : si paga il giusto prezzo alla giudiziosa consorte a che dica al tribunale ecclesiastico le cose che debbono essere dette ( e che del resto sono cose vere : il vizio del consenso senza dubbio c’era stato ed eclatante!) e l’annullamento è ottenuto . Seconda cosa, trovare una nuova moglie : e a ciò ci debbono pensare i ministri. Ma mentre questi si danno il loro bel d’affare per trovare una moglie al re, l’occhio di questi, ondivago come sempre, è caduto su una sedicenne astuta e provocante, Henriette d’Entreguez . La quale, ben consigliata dal parentado, prima, si rifiuta sdegnata allo spasimante quasi cinquantenne (Enrico è nato nel 1553 e il suo incontro con Henriette è del 1599) ; poi, si dichiara disposta a rinunciare alla sua illibatezza …..se le vengono dati centomila scudi . Il re, smanioso, batte cassa dal suo ministro, l’austero Sully ; ma questi , di solito comprensivo verso i capricci del suo re, questa volta punta i piedi : centomila scudi ?impossibile ! i forzieri sono quasi vuoti e quel poco che c’è serve a rinnovare l’alleanza con gli svizzeri . Il re, però , per la bella sedicenne, ha veramente persa la testa e il ministro deve cedere . Non senza prendersi il piacere maligno di disporre accuratamente sul tavolo, davanti al re, i centomila scudi . “Perdio! – è costretto a riconoscere Enrico contemplando tutta quella esposizione d’oro – ecco una notte ben pagata” . Paga dunque ; però…non ottenendo ancora quel che sperava. Henriette avanza una nuova pretesa : vuole che il re le rilasci una dichiarazione scritta in cui si impegna a sposarla se entro una certa data gli darà un figlio maschio . Il re, ormai del tutto rincitrullito dalle grazie della bella Henriette, accondiscende anche a tale richiesta ( e se ne pentirà amaramente!) e solo allora la piccola peste gli si concede .

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Mentre il re perde la testa dietro la scaltrita sedicenne, Sully , il suo fedele ministro, usa al meglio la sua per concludere felicemente con la ricca Casa dei Medici l’accordo per il matrimonio tra la nipote del granduca, Maria, e il suo re . Alla fine l’accordo è raggiunto e il Sully lo annuncia fieramente a Enrico . Il quale però non manifesta la gioia, che ci si sarebbe aspettati da lui all’idea della ricca dote che sta per arrivargli, ma, preso da febbrile agitazione, cammina avanti e indietro, nervosamente rosicchiandosi le unghie ( è questo uno dei suoi minori difetti!) : Henriette, la bella fanciulla che ha impalmato, attende un figlio e …se fosse maschio ? Ma la proposta di matrimonio con la Medici è troppo allettante e conveniente : Enrico cancella dalla mente la fatale promessa e, accada quel che accada, decide per la firma del contratto di matrimonio . Quando si fa coraggio e ne dà notizia a Henriette ( che vive al Louvre, trattata come una regina ) la reazione di questa è (naturalmente!) astiosa : “Quando verrà dunque al vostra grassa banchiera ?” . “Quando avrò sgombrata la mia corte da tutte le puttane” – risponde il re irritato . Ed è questo solo uno dei tanti litigi di cui fu intessuta la tempestosa unione tra Enrico e la sua bizzosa amante ! Le cose però sembrano aggiustarsi : il figlio, che Henriette dà alla luce, muore subito : il re si può ritenere liberato dalla sua promessa . E con animo più sereno può recarsi ad incontrare la “italiana”, Maria dei Medici , che è a lui già legata da un matrimonio per procura e che, già sbarcata sul suolo francese, si muove col suo seguito per la strada di Parigi . La prima impressione non è positiva : quando il re la vede (a Lione, nel Dicembre 1600 ) lo si sente mormorare : “mi hanno ingannato, non è affatto bella!” . Ma certe volte la vista è un senso che inganna , e il re, dopo aver evidentemente esercitato durante la notte altri sensi oltre questo, la mattina seguente è in grado di rettificare il suo precedente giudizio : “Mia moglie ed io siamo stati entrambi molto sorpresi, io di averla trovata più bella e aggraziata di quanto non avessi creduto, e lei, mi sembra, di avermi trovato più giovane di quanto non avesse pensato e di quanto potesse supporre, vedendo la mia barba bianca". E, dopo aver detto ciò, si vanta davanti alla regina che arrossisce, ma approva ridendo, di "aver ingaggiato la battaglia in tre riprese". Ma se al re la placida e rotondetta Maria non dispiace ; non per questo cessa di piacergli la pepata e snella Henriette : in fondo un pasto per essere completo necessita di cibi di vario sapore ! Ma come tenersi tutte e due le donne e tutte e due nella stessa casa ? Enrico trova, all’apparentemente insolubile problema, una soluzione – una soluzione del tutto degna di lui . Maria si è appena sistemata nel suo appartamento del Louvre, ch’egli le si presenta davanti insieme alla giovane Henriette : “Questa giovane è la mia amante – dice placidamente alla stupefatta moglie –e vuole oggi essere vostra umile serva” . E poiché la ”serva” abbozza una vaga riverenza molto lontana da quella profonda di Corte, alla quale la regina ha diritto, il re mette bruscamente la mano sulle sue spalle, e la forza a inginocchiarsi e a baciare, come vuole l’etichetta, il bordo del vestito della regina . Così il menage a tre è felicemente instaurato . E, per rendere ancor più chiaro il ruolo di gallo nel pollaio che si riserva, Enrico, mentre le due donne, superato il primo momento di imbarazzo, si mettono a parlare, fa ostentatamente, sotto i loro occhi, una corte serrata a una damigella d’onore di Maria . E qualche giorno dopo dirà loro, che “non l’aveva trovata vergine” . Non è da credere che Maria si rassegni sempre docilmente ai tradimenti dell’augusto consorte : le baruffe tra i due coniugi ( sempre originate dalla disinvolta concezione della fedeltà coniugale che il re ha ) sono frequentissime . E non raramente il re ne porta i segni quando si alza dal talamo coniugale : le unghie di Maria sono forti e appuntite . Molto spesso Sully, il fedele ministro, quando entra nella camera da letto del suo re per parlargli di importanti affari di stato ( libertà questa che gli permette un’antica confidenza col sovrano ), ha l’imbarazzo di trovare i due reali sposi in lite rabbiosa e allora deve intromettersi per cercare di placarli, ascoltando le rimostranze dell’uno e i rimproveri dell’altra, gettandosi talvolta anche in ginocchio per pregarli di far tra di loro la pace . Peraltro il re, a parte le sue infedeltà, è un buon marito o, almeno, un marito premuroso : scrive alla moglie lettere affettuose, le chiede consigli, si preoccupa della sua salute . Quando trova Maria inquieta per il suo prossimo parto, la tranquillizza promettendole : “Non temete, sarò una delle vostre levatrici” . Ed effettivamente durante tutto il tempo in cui Maria è “in travaglio” non l’abbandona un istante ; e la sua non è una presenza passiva, ma sorveglia che tutto proceda bene e conforta e dà consigli alla partoriente : le dice : “Mia cara fate tutto ciò che la vostra levatrice vi dice . Gridate, affinché la gola non vi si gonfi” . E quando la levatrice scopre il neonato mostrandogliene il sesso, egli si avvicina alla moglie commosso : “Madame rallegratevi, avete sofferto molto, ma Dio ci ha dato quel che desideravamo : abbiamo un bel figlio maschio!”. E la levatrice racconterà che nel dire questo “il suo viso è inondato di lacrime grosse come piselli” . L’affetto del re per la consorte balza fuori anche da numerosi aneddoti, che sulla sua vita si raccontano . Tra i tanti ci piace riportare ( anche per le note di comicità che contiene ) quello relativo ad un infortunio capitato alla coppia reale al ritorno da una passeggiata . Dovendo attraversare la Senna in un punto in cui manca un ponte, la carrozza reale va imbarcata su un grosso traghetto a fune . Però destino vuole che un cavallo, salendo sul traghetto, cada, e che, con la sua caduta, sbilanci violentemente la carrozza : la regina e la principessa Conti vengono proiettate in acqua . Il re, uscito a fatica dalla malconcia vettura, subito si preoccupa di sua moglie : “Salvate la regina” grida e si tuffa nel fiume, sempre senza smettere di gridare e di incitare al salvataggio della reale consorte . Questa, che non sa nuotare, in effetti è andata a fondo : fortunatamente un gentiluomo di corte riesce ad afferrarla per i capelli quando riaffiora e aiutato dal re la trae a riva . Più sfortunata della sua regina è la principessa Conti : qualcuno vedendo agitarsi fuori dell’acqua un suo braccio e scambiandolo per quello della regina, la tira a sé ; ma quando si accorge dell’errore, senza tanti complimenti la lascia andare a fondo, per andare alla ricerca e in aiuto della graziosissima persona della consorte del re . Fortunatamente la principessa, nonostante tale comportamento, a dir poco disinvolto, si salva . E i passeggeri della carrozza ormai inutilizzabile, tutti salvi ma bagnati fradici, si dirigono a piedi in direzione di Parigi . L’avventura però non fa perdere il suo buon umore a Enrico ; il quale dichiara ridendo che questo modo di “fare la cura delle acque” l’ha guarito di un mal di denti che lo tormentava : “Non ho mai trovato un rimedio migliore !……Del resto – aggiunge – avendo mangiato troppo salato a pranzo, ci hanno dato da bere…” .

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Se Enrico non è un marito ideale, è però un padre attento e tenero . Egli adora i suoi figli . E li alleva tutti insieme, senza distinguere tra figli legittimi e figli bastardi, figli di questa e figli di quella favorita : a un certo punto si troveranno a vivere insieme, affratellati dallo stesso sangue reale che viene loro dall’identico padre, i figli di ben cinque donne : il “gregge di Saint-Germain” – così si riferirà alla strana compagnia la regina, con dispetto misto a ironia . Su questo strano gregge il re veglia equanime, imparziale e soprattutto affettuoso . E trema quando una “pecorella” sta male . “Sono molto preoccupato – scrive nel 1608 – perché i miei figli sono tutti malati : mia figlia De Verneuil ha il morbillo (…) Mio figlio Orleans ha una febbre continua” . E conclude sospirando : “Giudicate voi se con tutto ciò non devo essere in pena” . Ma chi ama , castiga . Ed Enrico non esita, per educare i figli, a far uso di severe pene corporali ; anche con il Delfino . Un giorno, per aver schiacciato crudelmente la testa di un passero, il futuro Luigi XIII viene frusta= to . La regina protesta : la punizione é eccessiva . “Madame – le risponde il re –pregate Dio che io viva, perché maltratterà voi, quando non ci sarò più io” ( e in ciò si dimostra buon profeta : Luigi XIII tratterà la madre con grande durezza, anche se con qualche buon motivo ) . “Ah ! –insiste la moglie – non trattereste così i vostri bastardi !” . “Quanto ai miei bastardi – le replica il re – mio figlio li potrà frustare se faranno gli sciocchi : ma lui non avrà nessuno che lo frusti” . Ma il volto arcigno poco si addice a Enrico ; ed egli ama giocare con i figli come un qualsiasi papà borghese . Un giorno l’ambasciatore di Spagna , in tenuta di gala, entra nella camera in cui deve avere udienza dal re, e che vede ? il re che cammina a quattro zampe portando il Delfino a cavalcioni, mentre la regina si gode la scena . Il re non si scompone : “Avete figli, signor ambasciatore?”. “Si, sire” . “In questo caso – dice Enrico, riprendendo i suoi esercizi equestri – comprenderete se finisco il giro della stanza” . Molto gustose sono le scenette di vita familiare che il medico degli infanti reali registra nel suo diario . Ad esempio, in data 2 settembre 1604, egli annota : “Il re porta il Delfino a svegliare la regina ; gli mostra i giardini, i canali e le carpe, dà a queste un po’ di pane”. E in data posteriore di due giorni : “Alle cinque, il re ritorna dalla caccia . Il Delfino corre a braccia aperte incontro al re che arrossisce di gioia e di piacere ; lo bacia e lo abbraccia a lungo (…) lo conduce nel suo studio, lo porta a passeggio” . Un giorno il Delfino entra nella camera dei genitori con un tamburo a bandoliera e il cappello in testa . Ed ecco quel che accade, nelle parole del nostro attento diarista :“Toglietevi il cappello” – gli intima scherzosamente Enrico . Il bambino non vuole toglierselo , il re glielo toglie a forza ed egli ne è contrariato ; poi il re gli porta via il tamburo e le bacchette : ancora peggio ! “Il mio cappello, il mio tamburo, le mie bacchette !” . Il re – è sempre il medico che racconta – per fargli dispetto, si mette il cappello in testa . “Rivoglio il mio cappello !” . Il re glielo sbatte sulla testa, eccolo in collera . Il re lo prende per i pugni e li solleva in aria come per stendere le sue piccole braccia in croce . “Ehi! Mi fate male ! Ehi, il mio tamburo ! Ehi, il mio cappello !” . “La regina gli restituisce il cappello, poi le bacchette . Fu - conclude ,divertito, il diarista – una piccola tragedia” . Enrico non ha ritegno a mischiare i figli nella propria vita intima . Un mattino, mette il Delfino tutto nudo nel proprio letto, fra sé e la regina, per dargli de visu una sorta di lezione di educazione sessuale. Il bambino vede e poi…riferisce . Così che il sapido narratore delle scene precedenti può annotare nel suo diario che il Delfino va dicendo che “papà l’aveva molto più lungo del suo” e che era “lungo così” , facendo segno a metà dell’avambraccio .

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Enrico ebbe una vita sentimentale estremamente vivace : oltre alle due mogli (Margherita e Maria ), oltre alle quattro “amanti” con cui allacciò legami durevoli e significativi (Corisande, Gabrielle, Henriette, Charlotte ) ebbe un’infinità di amorazzi con donne della più diversa estrazione sociale ( contadine, borghesi, aristocratiche..) . Meritò quindi senza dubbio l’appellativo di vert-galant (parola intraducibile, che può rendersi approssimativamente con “libertino”, “sempre-pronto” ) di cui i suoi sudditi, con ironia mista ad orgoglio, lo gratificarono . Ciò però non significa che il libertino Enrico fosse anche un gran seduttore e un grande amatore . Tali qualità , che noi saremmo portati ad attribuire a chi ebbe così tante donne, gli sono invece negate da Enrico dal Tallemant , il quale di lui scrive : “Questo principe ha avuto una notevole quantità di amanti, ma non era poi un grande amatore, infatti veniva sempre tradito dalle donne . Si diceva ridendo che le sue armi erano spuntate . La signora di Verneuil lo chiamò un giorno “capitano buone intenzioni”…..” Del resto che, almeno negli ultimi anni, le prestazioni sessuali del re lasciassero a desiderare e ch’egli fosse costretto, per rafforzarle, a ricorrere a degli afrodisiaci, risulta chiaramente dalle seguenti righe da lui vergate all’indirizzo di una sua amante ( di Henriette, per la storia) : “Mia capretta – scrive l’incorreggibile libertino – ho preso una medicina per essere più gagliardo, per potervi accontentare . E’ la mia più grande preoccupazione, perché io non voglio altro che piacervi e rafforzare il vostro amore (….) . Vi vedrò prima che voi partiate da Parigi, e vi amerò, non come si deve, ma come potrò”. La verità è che Enrico è un uomo invecchiato anzi tempo : l’ambasciatore di Venezia scrive di lui nel 1600 : “Il re ha tanti capelli bianchi, che a quarantotto anni ne dimostra sessanta, segno delle prove e delle fatiche subite” . E la sua salute – mai troppo buona (dato che anche in età giovanile soffriva di febbri improvvise, che lo tenevano immobilizzato per giorni ) – negli ultimi anni di vita peggiora : nel 1597 ha una grave crisi di fegato ; negli anni successivi, febbri debilitanti lo assalgono portandolo in punto di morte ; nel 1596 ha un attacco di gotta . Dal 1596 in poi il suo stato di salute si aggrava ancora : soffre di emicranie, di dissenteria, la milza gli provoca un “umore melanconico” ed è “sempre molto stanco” . L’insonnia lo tiene sveglio per intere notti, durante le quali i gentiluomini di camera, per dargli sollievo, si avvicendano nella lettura . “Sono otto giorni – scrive nell’aprile a Henriette – che non dormo e il sangue è così caldo che sono continuamente inquieto” . Inutile dire che il re soffre le pene e le malattie dei libertini : una blenorragia gli fa per lungo tempo temere una impotentia generandi , e non meglio precisate , ma verosimilmente di origine sessuale , “infiammazioni urinarie” lo perseguitano . Eppure quel re così malandato di salute, non manca di energia ; tutt’altro ! Non riesce mai a star fermo . Anche gli affari del regno li discute camminando lungo le gallerie del Louvre e delle Tuilleries . E ha sempre fretta : “Sbrigatevi, sbrigatevi” ( “Hatez, hatez” ) sono le parole con cui continuamente incita i suoi servitori e i suoi ministri . Personalmente dorme pochissimo, qualche ora solamente per giorno e a degli orari disordinati . Semplicemente quando il sonno lo sorprende si va a “rinfrancare un’ora in letto” . Il medico dei regali infanti, che tante notizie preziose ci dà sulla vita di Corte, ci racconta che il re, quando veniva a trovare i figli a Sanit- Germain, domandava qualche volta al Delfino di lasciarlo coricare nel suo letto : “Egli vi si addormentava profondamente, per poco dopo rialzarsi fresco e riposato” . Inutile dire che questo uomo dinamico è anche uno sportivo . Apprendiamo dal Sully che le “ sue ordinarie occupazioni sono i violenti e faticosi esercizi” come il montare a cavallo, esercitarsi con la spada, l’archibugio, la picca, l’alabarda, saltare, nuotare, correre, danzare ( e qui il Sully aggiunge malignamente “soprattutto quando lo guardano delle belle ragazze”), praticare tutti i tipi di caccia soprattutto i più penosi e rischiosi, come quelli dell’orso, del lupo, del cinghiale . Enrico, come tutti gli sportivi, ama la vita all’aria aperta, ama i campi e i giardini . Suole ripetere : “Io mi trovo meglio in campagna che in città” E, siccome le sue funzioni lo costringono a vivere in questa e non in quella, egli cerca di crearsi di quella almeno l’illusione . Sotto il suo regno tutte le residenze reali, le Tuilleries, Saint-Germain, Fontainebleau e Monceaux, si abbelliscono di verde, di fiori, di fontane e di giochi d’acqua . In Parigi vengono creati – ed è una grande novità – degli spazi fioriti e verdeggianti ingentiliti da fontane e vasche d’acqua . In tutta la Francia, lungo le strade, i crocicchi e le piazze, si piantano – ed è anch’essa una novità destinata a perpetuarsi – degli olmi e dei platani . Ma poteva adattarsi all’etichetta di Corte un uomo così amante della vita libera e semplice ? No, non lo poteva ; e in effetti sotto il suo regno il fastoso cerimoniale, che i Valois avevano introdotto a Corte, anche se non fu abolito, fu grandemente ridotto. Il lever du rois , la cerimonia più importante della Corte, che sotto Enrico III di Valois aveva assunto forme simili all’adorazione (con i gentiluomini genuflessi davanti al re ! ), sotto Enrico IV di Borbone praticamente viene omesso . I parenti entrano liberamente nella camera del re mentre egli vi dorme con la moglie . Sully, se vuol dire qualcosa al suo re, entra, solleva le cortine del letto e si mette a discutere di quel che gli preme . Regna al Louvre, tra il re e i suoi cortigiani, un cameratismo franco e gioviale . Ciascuno può avvicinarsi e interpellare il re con la più grande libertà . Sul punto è totale la differenza di stile tra il Bearnese e suo nipote Luigi XIV : alla Corte di questi un gentiluomo potrà soggiornare anche per anni senza che il re si degni neanche di notarlo ! Il Bearnese invece familiarizza con tutti . E' la sua natura . Egli é affabile, sorridente, pieno di gaiezza e di buon umore : "di dolce natura” – lo definisce l’ambasciatore veneziano. Ma, come ricorda uno dei suoi cortigiani, tali gentili familiarità, non impedivano che un’ora dopo egli facesse sentire, a coloro che aveva di esse favorito, “ch’egli era il padrone” (“qu’il estoit le maitre”) . Perché, nonostante tali amichevoli modi di fare, egli restava re al cento per cento (“très rois”) e nei riguardi di chi lo scontentava sapeva usare un tono imperioso e mostrare dell’alterigia (“de la hauteur”)

xxxxxxxxxxxxxxxx Ma anche quel re allegro e alla mano aveva i suoi nemici . E quel che permetterà loro alla fine di nuocergli, sarà indirettamente connesso a un affaire de coeur, in cui quell’impenitente dongiovanni si lascerà invischiare alla tenera età di cinquantasei anni . Il dardo di Cupido scocca mentre il re attraversa la galleria del Louvre ( primi mesi del 1609 ). Nella galleria, delle giovani di nobile famiglia stanno provando una danza . L’occhio del re ( sempre attento quando si trova di fronte a certi spettacoli ) cade su una delle ragazze : è bionda, bellissima e sembra quasi che voglia dirigere proprio verso il suo cuore il giavellotto di cui per finzione scenica è armata . Ha solo 14 anni ; ma che conta ? La notte seguente il re coricato accanto a Maria non riesce a prendere sonno , l’immagine della fanciulla lo tormenta : la vuole, l’avrà. All’alba chiama a sé il fidanzato della fanciulla e lo convince a rinunciare a lei ; poi completa il suo piano : fa sposare la ragazza, che ha in lui suscitato così violenta passione, a suo nipote, il principe di Condè, che notoriamente predilige i ragazzi alle ragazze e quindi non dovrebbe creare ostacoli al suo amore . Sennonché succede l’imprevedibile : il Condè, forse perché la bellezza della ragazza impalmata l’ha convinto dell’innaturalezza dei suoi gusti, rifiuta di dividerla col re . E fugge con lei nelle Fiandre ; ottenendo asilo dall’arciduca Carlo, che ne è il governatore in nome del re Cattolico di Spagna . Ma il focoso V ert-galant non si arrende facilmente : dichiarerà finalmente agli Asburgo quella guerra che da lungo tempo sta meditando, marcerà sulle Fiandre e…si riprenderà la donzella delle sue brame . Il casus belli ( che non può mai mancare per giustificare, davanti a Dio e agli uomini, un’aggressione ) è dato dalla successione di un piccolissimo e insignificante staterello tedesco ; successione che si contendono, da una parte, gli elettori del Brandeburgo e di Neuburg, di fede protestante ma nonostante questo appoggiati dalla cattolica Francia, dall’altra, l’elettore di Sassonia, di fede cattolica e sostenuto dall’imperatore asburgico . Ma com’è possibile che un re cattolico, come almeno a parole si dice Enrico IV, muova guerra a un altro re cattolico, in difesa degli interessi di due stati protestanti ? com’è possibile che gli ugonotti, persa la guerra in Francia, abbiano ora la loro rivincita in Europa grazie alle armi francesi ? La cosa muove ad indignazione non pochi dei sudditi cattolici del re di Francia : si viene così formando il “terreno di cultura” adatto per il ripetersi del gesto assassino, che diede la morte a Enrico di Valois colpevole, come ora Enrico di Borbone, di non avere a cuore l’interesse cattolico . E’ venerdì 14 maggio 1610 ; giorno che gli astrologi hanno predetto infausto per il re . Questi è in preda alla malinconia : strani e tristi presentimenti lo tormentano . Il capitano delle guardie, vedendolo così abbattuto, gli dà un rispettoso ma fatale consiglio : “Vedo che Vostra maestà è triste e pensierosa : forse farebbe meglio a prendere un po’ d’aria” . “Bene – dice il re – fate preparare la mia carrozza . Andrò all’arsenale a trovare il duca di Sully che è indisposto e oggi fa il bagno” ( il bagno, infatti, in quel tempo, era considerato come un mezzo curativo da usarsi, come tutte le medicine, con parsimonia e solo quando si stava veramente male !) . Poi il re si reca in camera ; e lì trova un biglietto : “Sire, non uscite stasera !” . Contro ogni logica, invece di prostrarlo, questo avvertimento gli restituisce energia e coraggio . Dopo tutto è stato altre volte minacciato, ha subito già due attentati e non gli è mai successo nulla : la sua buona stella l’ha sempre protetto : possibile che ora l’abbandoni ? Va a salutare la regina e qui i dubbi lo riprendono e le domanda : “Mia cara devo andare o no ?” . Poi’, nonostante che la consorte, sempre più allarmata dal suo strano comportamento, voglia convincerlo a restare, si dirige verso la carrozza . Vi sale rifiutando la scorta militare : l’accompagneranno solo quattro gentiluomini . Un quarto d’ora più tardi – così racconteranno a Maria – la carrozza deve fermarsi per un ingombro . Nei pressi c’è un gigante vestito di verde, un uomo venuto da Angouleme, un fanatico cattolico di nome Jean–Francois Ravaillac . Egli coglie l’occasione che il Cielo (secondo lui !) gli porge, salta sulla carrozza e affonda due volte il coltello nel corpo di Enrico : uno dei colpi raggiunge la carotide . “Sono ferito…non è nulla” – geme il re. Invece vivrà appena il tempo di giungere al Louvre . Quando Maria vede il corpo esamine del consorte, si dispera :“Il re è morto” – urla – il re è morto” . Ma il cancelliere Sillery la corregge : “Vostra Maestà mi perdoni, ma in Francia i re non muoiono”. E, indicando il Delfino :”Ecco il re, signora” .

Oroscopo di Enrico IV

13 . 12 . 1553 01h 30m LMT 01h 32m GMT Pau Francia Ascendente, Cancro Sole in Capricorno

Ecco com il grande astrologo Barbault descrive il carattere di Enrico IV* : Angolarità ravvicinata di Marte (FC), peraltro in esaltazione, e distanziata di Giove ( AS ) che riceve anche un aspetto valorizzatore del Sole e di Mercurio, Bilancia all’ascendente e Venere in trigono con l’MC ; la luna in Ariete è vicina al Discendente . Esiste una continuità di tendenze fra la dominante marziana e la co-dominante giovenale in modo che il carattere di Enrico IV – malgrado l’apporto del Capricorno e della Bilancia – è fatto tutto di un pezzo : è un bilio-sanguigno nel temperamento, un collerico nel carattere e un primario, accentuato dall’angolarità della Luna in Ariete ; in una frase, un uomo in carne ed ossa ! Dal suo aspetto fisico s’indovina facilmente che è un tipo Marte-Giove . E’ dotato di una costituzione vigorosa : l’ Ercole francese , diranno di lui i contemporanei . Nella sua persona non vi è alcun segno di maestà : un rude guerriero, ecco l’impressione offerta da quel volto magro, che si prolunga in una barba brizzolata, illuminato da due occhi ironici e dominato da un lungo naso sensuale . L’abbigliamento va bene con la fisionomia : cappello a larga tesa ( per proteggersi dal sole e dalla pioggia ) , deformato dall’uso e rovesciato spavaldamente all’indietro ; corsetti sporchi, segnati dall’impronta della corazza ; stivali consumati, vesti logore . Quale contrasto con la raffinatezza Venere-Luna-Leone di Enrico III ! Quanto al carattere, egli è come appare : prima di tutto “aveva la passione della guerra , amava le cavalcate, l’urto violento che consacra il trionfo della forza fisica e la tattica di coordinare i movimenti per garantirsi la sorpresa e la vittoria . Si compiaceva del rischio e dei pericoli . In queste occasioni era animato da una vita intensa ; era più fremente, più beffardo che mai ; il suo sguardo emanava lampi di una luce singolare, la sua eloquenza brillava senza sforzo e spingeva gli incerti verso questo banchetto : la battaglia” ; “…la chiarezza delle vedute, la presenza di spirito e la rapidità di decisione di Enrico si accompagnavano alla febbre di lotta e non lo facevano deflettere, qualunque fosse la rudezza della prova” . Con questo carattere Marte-Giove egli era fatto per la carriera di capo-banda e dava libero corso agli affetti e ai sentimenti . Fino al momento di salire al trono farà vita di campagna, correrà dietro alle operazioni campali e alle ragazze, alle avventure e a quella vita pericolosa, e rozza fino all’estrema grossolanità, che gli darà un’impronta definitiva (Marte con tonalità capricorniana ) . Saprà dimostrare il suo genio nel plasmare gli uomini e si farà la reputazione di grande capitano dell’epoca . Bisogna anche mettere sul conto di Marte ( assistito da Giove ) – un Marte che dispone contemporaneamente della Luna in Ariete, di Venere nello Scorpione e, per esaltazione, del Sole e di Mercurio in Capricorno ! – il temperamento, passionale, imperioso e bollente del Vert-Galant : un donnaiolo di umore gaio, così incapace di vivere senza amori da non sentir più né la fame né la sete . Molto note sono le sue avventure con Fosseuse, Corisande, Gabrielle d’Estrées, Henriette d’Entragues, Mlle de Bueil e Charlotte de Montmorency, la famosa ragazzina di quindici anni che fu il suo “demone di mezzogiorno” . Ma, al di sopra di tutte queste manifestazioni, la definizione chiave di questo Marte-Capricorno è forse la seguente : una rude volontà. Una volontà che Giove assiste e sostiene. La personalità giovenale è facilmente identificabile nel gentiluomo di campagna, pieno di sete di vivere e di buon umore, gioviale, socievole, esuberante, sempre in movimento, in anderivieni, chiacchierone, motteggiatore, vivo e giovanile nei modi, padre sensibile e affettuoso che gioca con i figli e porta la corona con semplicità . Questo giovenale a sfondo capricorniano appare nel re campagnolo da tenore di vita modesto, disdegnoso dell’etichetta e molto vicino all’idea patriarcale della monarchia . Così appare anche nelle manifestazioni concrete dell’intelligenza e fa mostra di un realismo abile e astuto. Farà una conoscenza personale, diretta e vissuta del proprio regno, spesso rinnovandola con vari sopralluoghi . Questo primario non entra affatto nei dettagli delle cose: prende le decisioni con una prontezza sconcertante e generalmente felice . Non è uomo di dottrina e tanto meno è ligio al protocollo : le riunioni di consiglio non sono altro che passeggiate in una galleria, conversazioni in un giardino con Sully, o con Villeroy, Sillery o altri….”Riceveva non solo al Louvre ma dovunque si trovasse, con gli amici e perfino con l’amante . Aveva la risposta pronta e scherzava volentieri ; parlava innanzi tutto della caccia, dei suoi amori, di guerra e di costruzioni, poi costringeva l’interlocutore a discuterne con altrettanta disinvoltura . Era molto familiare ma si adirava con facilità e lanciava frecciate pungenti che andavano a segno . Dopodiché, guariva le ferite dell’amor proprio con qualche amabile battuta e riprendeva a conversare sugli argomenti molto generici del gioco e della caccia al fine di lasciar meditare con agio l’interlocutore circa i suoi propositi” . Nonostante la mentalità duttile e varia, adattabile alle circostanze e agli interlocutori, egli ebbe soprattutto, e in modo spiccato, il gusto per il comando : consultava il proprio Consiglio nel modo da lui preferito : quando e come voleva . Questo Marte-Giove-Capricorno nutrì il concetto più elevato e più nobile della funzione monarchica ; seppe comandare e rinsaldare la monarchia assoluta. Attraverso la nota Bilancia realizzò, in modo graduale, dolce e prudente, il suo costante ideale di essere padrone onnipotente del regno . Possiamo facilmente notare le apparenti discordanze dei vari elementi del tema : la bravura con Marte e la leggerezza con Venere e Bilancia ; la passione per la guerra, col primo, e la grande opera pacifica, con le seconde (Editto di Nantes e trattato di Vervins ) ; l'atteggiamento primario dell’ uomo di tutti i giorni con Marte-Giove-Luna e, col capricorno, la fedeltà nell'opera di grande politico . L'autore di questo tema riuscì a fare una sintesi pienamente riuscita di quest'ampia costellazione di tendenze .

• Le note astrologiche su Enrico IV del Barbault sono state tratte dal suo Trattato pratico di astrologia (edito da Astrolabio ) .

Enrico IV : analisi grafologica di P. Moretti.

Il giudizio che il Moretti dà dopo l’esame della scrittura ( di Enrico IV, ma che, come detto in prefazione, ignorava essere di Enrico IV ) è sostanzialmente negativo . Negativo, non sull’intelligenza, non sulle doti di statista o, se vogliamo, di “arrampicatore sociale” di Enrico IV, ma sulla sua personalità morale . Ma andiamo per ordine. L’intelligenza del soggetto esaminato , risulta al Grafologo “quantitativamente sopra la media ; qualitativamente di non poca originalità” . Inaspettatamente rivela anche una propensione di Enrico IV per l’arte . Ma il soggetto ha una carica di forte aggressività verso gli altri (con le parole del Moretti : “Il carattere del soggetto è fortemente fondato su di un temperamento di contraddizione") e anche tali sue attitudini (artistiche ) sono condizionate e, per così dire , distorte da tale suo carattere ; e così egli “riesce bene per una letteratura” , ma per una “letteratura polemizzante”, “riesce bene per una oratoria” , ma per una “oratoria arrogante”, e (naturalmente!) – stiamo citando sempre il Moretti –“ riuscirebbe per una letteratura satirica , sadica, e per lo stesso motivo tende a gustare rappresentazioni, in cui vi sia abbondanza di passioni in cozzo tra loro, di fatti tragici e, dedicandovisi, riuscirebbe a scrivere drammi e tragedie, nei quali trionfi il sadismo” . Il carattere di Enrico IV , quale risulta dalla sua scrittura, è infatti quello di un sadico ( è di quelle persone che “sorridono di un sorriso soddisfatto – dice il Moretti – quando un loro avversario è preso nelle branche della disgrazia” ). Sadismo che rivela anche nei rapporti sessuali in quanto egli “tende ad una sessualità che ha la spinta a godere di essa e , dopo di averne goduto, a sentire fastidio e a vendicarsi di tale fastidio con la persona che ha servito da esca per la sua sensualità” : insomma ha una carica distruttiva verso la donna con cui ha avuto il rapporto sessuale . Ma Enrico IV ha almeno doti di statista ? Sul punto il Moretti è possibilista e ritiene che l’autore della scrittura ( che, si ripete, il Moretti ignorava essere Enrico IV ) “potrebbe riuscire come statista, sebbene la facoltà per questo sia inceppata da tendenze opposte”. Certo Enrico IV ha le qualità, e molte, se non dello statista, dell’arrampicatore sociale e del politicante ; e infatti il Grafologo rileva nella sua scrittura una forte tendenza alla doppiezza e al compromesso : egli “promette, nega sulla stessa cosa con una facilità sbalorditiva e tende a ridere sopra le sue affermazioni e negazioni” e “ tende a mostrarsi remissivo se la remissività gli è necessaria” . Conclusione del Moretti : “E’ un tipo, insomma, sintetizzando, che ha qualche buona qualità, la quale , trascinata nel fango dalla vigliaccheria, dalla prepotenza, dall’istinto sadico, viene a farsi complice della stessa vigliaccheria, della stessa prepotenza e dello stesso istinto sadico” . Caterina dei Medici

Biografia di Caterina dei Medici

Caterina Maria Romola Medici nacque il 13 aprile 1519 a Firenze. Suo padre era Lorenzo dei Medici, figlio di Piero dei Medici (detto lo sfortunato, perché era stato cacciato da Firenze) il quale, a sua volta, era figlio di Lorenzo dei Medici (detto il Magnifico, per la sua ricchezza, la sua potenza, per le doti che fecero della sua personalità una delle più interessanti del Rinascimento italiano). La madre era una francese, Maddalena de La Tour d’Auvergne, della più alta nobiltà ( e infatti era imparentata con i Borboni, ch’ erano principi di sangue reale). Nobili, invece, certamente i Medici non erano : l’antenato, che aveva dato il nome al loro Casato, era un medico ( e forse neanche un medico, ma solo un farmacista, come sembrerebbero indicare le “palle”, ossia le pillole, che campeggiavano nel loro blasone) e i suoi discendenti avevano fatto fortuna trafficando col vil danaro : erano stati ed erano dei banchieri. Banchieri divenuti col tempo sempre più potenti grazie alla loro indubbia abilità negli affari, naturalmente, ma anche grazie alla astuta politica di allearsi con il “partito democratico” della loro città. Politica questa inaugurata da Silvestro dei Medici, il quale unendo il suo danaro alla demagogia di un tribuno, Michele di Lando, aveva fatto degli artigiani e degli operai di Firenze un blocco capace di prevalere e opprimere le grandi famiglie: queste a poco a poco erano state eliminate, così che , alla fine del XIV secolo , solo era rimasto a signoreggiare in Firenze (dietro il velo di un ipocrito e astuto ossequio alle istituzioni repubblicane e alla democrazia) il casato dei medici (osteggiato, ma non limitato da quello degli Strozzi). E i Medici, primi in Firenze, erano primi anche in tutta Europa : la loro influenza e il loro potere si faceva sentire a Londra, come a Parigi, come a Bruges, come a Vienna, come a Roma. I re avevano bisogno dei soldi dei Medici per armare i loro eserciti ; e di conseguenza, a seconda che i Medici prestassero o esigessero i loro fiorini , una monarchia perdeva o acquistava una provincia. Il re di Francia, Luigi XI, che non era uno sciocco, seppe ben valutare la potenza che il danaro, ai Medici, conferiva e volendo legare la loro casata al suo regno, attribuì a Piero il Gottoso (figlio di Cosimo e padre di Lorenzo il Magnifico) il privilegio di ostentare nel proprio blasone, tre gigli : i gigli capetingi uniti alle “palle” medicee , dovevano significare la particolare intesa tra la potente Casata dei banchieri e la nobile e, più che nobile, sacra Casata dei re di Francia – ed in effetti tale intesa ci fù (salvo brevissime parentesi) e durò fino all’estinguersi della Famiglia Medici nel XVIII secolo ( e di tale intesa ne è ancor traccia il giglio che continua a campeggiare nel gonfalone del Comune fiorentino). Di questa particolare intesa tra Monarchia francese e Casa dei Medici una delle massime espressioni fu il matrimonio tra Caterina, la neonata con cui abbiamo iniziato il nostro discorso, ed Enrico di Valois , il figlio cadetto di Francesco I, re di Francia.

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L’idea del matrimonio era partita da Francesco I ed era stata subito accettata dal papa Clemente VII. Questi, essendo figlio naturale di Giuliano (il fratello di Lorenzo il Magnifico, rimasto ucciso nella celebre congiura ordita dal papa Sisto IV) era cugino della nostra Caterina ( anche se amava presentarsi come suo zio) e per la sua anzianità e soprattutto per il prestigio che la tiara papale gli conferiva, era considerato il capo della Casa dei Medici. Era senza dubbio una “anima persa” (tra l’altro si sospetta che si sia aperto la strada al soglio pontificio facendo assassinare il mite e giusto Adriano VI) ma era, o almeno si riteneva, un buon politico; e aveva ritenuto il matrimonio, che il re francese gli proponeva, politicamente vantaggioso a sé e alla sua Casata. Il matrimonio fu celebrato in Marsiglia nell’ottobre 1533. Entrambi i nubendi erano giovanissimi, quattordicenni. Ed entrambi pervenivano al matrimonio dopo una vita dura e non scevra di pericoli. Caterina era rimasta orfana di entrambi i genitori in tenerissima età, addirittura poche settimane dopo la nascita: la madre era morta di febbre puerperale e il padre, sembra, di "mal francese"” Un po’ era stata allevata (dagli zii) a Roma e un po’ a Firenze. E proprio in Firenze per sua sfortuna si trovava quando vi scoppiò una furibonda rivolta contro il potere mediceo (in quel momento esercitato, per delega. diciamo così, di Clemente VII, da un cardinale incapace): il popolo forzò le porte e irruppe nel palazzo dei Medici : gli zii di Caterina riuscirono a fuggire (per un’uscita segreta), Caterina no e fu presa in ostaggio dai rivoltosi. E, fino che la pace non fu finalmente fatta, dovette stare reclusa in un convento, correndo non lieve rischio di morire ammazzata (dato che, quando l’esercito aizzato da Clemente VII cinse d’assedio Firenze, non poche voci si levarono tra gli assediati inferociti a proporre, cristianamente, di appenderla al di fuori delle mura a ricevere, per prima, i colpi degli assedianti). Anche Enrico aveva dovuto subire la dura esperienza della reclusione. Infatti il padre, Francesco I, dopo la sconfitta di Pavia preso prigioniero, era riuscito a riguadagnare la libertà e il governo del suo regno, solo a patto di farsi sostituire , nella reclusione in Spagna, dai suoi due figli, il delfino Francesco e (appunto!) il cadetto Enrico. E la reclusione , che i due giovani avevano dovuto soffrire nella Corte spagnola, non era stata per nulla “dorata” : nutriti a fagioli e garbanzos (ceci), erano tenuti in una cella rischiarata solo da una piccola finestra, senza poter vedere, praticamente, altri che i loro carcerieri e la sorella dell’imperatore (la dolce Eleonora, che veniva di tanto in tanto a trovarli per portar loro qualche dolcetto e un po’ di compagnia) . Ed essi, i due poveri giovani, furono così segnati dalla crudele e traumatizzante esperienza da residuarne per tutta la vita un carattere introverso e notevoli difficoltà nella comunicazione e nella parola. Caterina ed Enrico, i nubendi così colpiti dal destino, ebbero modo di vedersi solo a Marsiglia, pochi giorni prima della cerimonia matrimoniale. Enrico era un bel giovanotto, atletico e prestante : quando Caterina lo vide, subito se ne innamorò appassionatamente ( e mantenne tale amore inalterato per tutta la vita!). Né bella né prestante, invece, poteva dirsi Caterina : aveva, sì , una certa grazia nel muoversi, ma il fisico era tracagnotto, il viso paffutello, gli occhi sporgenti, le labbra troppo grosse . Enrico, quando gliela presentarono, torse lo sguardo : quanto diversa la sposa, che il destino gli aveva assegnato, da Diana di Poitier, la bionda vedova, che, pur essendo già avanti negli anni (ne aveva circa 20 più di lui), sapeva conservare intatto il suo fascino e le sue grazie e (nonostante che virtuosamente gli si rifiutasse) occupava tutto intero il suo cuore, impedendo di entrarvi a qualsiasi altra donna (anche più dotata della…..insignificante fiorentina)! Ma i sentimenti di Enrico contavano assai poco di fronte alla ragion di Stato e ai vantaggi reciproci che Casa dei Medici e Monarchia francese si ripromettevano di trarre…dall’affare. Il contratto matrimoniale fu firmato, i fidanzati si scambiarono sacri giuramenti di reciproco amore e fedeltà davanti al cardinale di Borbone e, dopo un sontuoso banchetto, furono condotti al letto matrimoniale (un letto di una ricchezza sbalorditiva : si calcola che i broccati d’oro e le pietre di cui erano tempestati, avessero il valore attuale di…..una portaerei). Il giovanissimo sposo (stanco degli impegni della giornata) avrebbe preferito dormire, in quel letto, anzi che farci l’amore con la bruttina italiana . Ma per ragioni di Stato il matrimonio doveva consumarsi subito (Clemente VII non intendeva andarsene se non con la sicurezza che il matrimonio aveva quella irrevocabilità che solo la consumazione poteva conferirgli!) . Pertanto il re francese – che senza dubbio aveva notato una certa freddezza del figlio – gli ingiunse di tenere alta , in quella stessa notte, la fama di galanteria universalmente riconosciuta ai principi francesi. E , di ciò non contento, non volle andarsene dalla camera nuziale – così riferisce l’ambasciatore, don Antonio Sacco – finchè non vide i giovani “giostrare e che entrambi furono validi nella gara”. Ciò non deve stupire: erano quelli tempi particolarmente disinibiti. Mentre le nozze si consumavano, gli invitati, francesi e fiorentini, gareggiavano in dissolutezze. Una celebre cortigiana marsigliese, di una bellezza scultorea, era stata invitata per rallegrar la festa: quando questa raggiunse il suo acme, la bella si spogliò, bagnò i suoi seni entro coppe di vino e li offrì ai baci degli ammiratori. Le altre signore trovarono splendida l’idea, si affrettarono ad imitarla e la festa si trasformò in un’orgia. Neanche ciò deve stupire: tali erano i costumi di quei tempi!

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Caterina, che era coltissima (in quanto si intendeva, non solo di arte e di lettere, ma di matematica, geografia, scienze) si trovò perfettamente a suo agio in quella Corte francese , in cui si elaborava e si raccoglieva quanto di meglio, di vivo, di bello creavano il Rinascimento e l’umanesimo. E, quel che più contava per la sua serenità, seppe con diplomazia e intuito psicologico (non erano queste le doti che avevano fatti grandi i Medici ?!) instaurare ottimi rapporti con i cognati e con gli altri parenti del marito , in particolare con la bella, colta, affascinante sua zia, la celebratissima, dai poeti e dagli artisti, “Margherita delle Margherite”. E non si creda che i rapporti di Caterina con i suoi cognati si limitino a banali conversari : essi sanno assumere anche un certo spessore culturale. Come quando Caterina, i cognati e lo stesso marito Enrico decidono ( con l’entusiastica approvazione del re) di fare insieme una raccolta di novelle a imitazione del celebre Heptameron di Margherita ; come quando Caterina, sempre con Enrico e i cognati, decide di porre in musica i salmi tradotti dal celebre poeta Marot : Enrico sceglie di musicare il salmo “Felice è colui che serve Dio volentieri” e Caterina sceglie il salmo “Verso l’Eterno, Padre degli oppressi, io me ne andrò”. Se i rapporti con i cognati e gli altri parenti del marito sono improntati a schietta, allegra e simpatica amicizia, quelli verso il re Francesco sono ispirati a una sincera, sconfinata ammirazione e a docile sottomissione (l’occhio acuto dell’ambasciatore veneziano nota: “Lei è ubbidiente e ciò costituisce la sua forza”). E del resto come potrebbe essere altrimenti ? come potrebbe lei, che tanto appassionatamente ama il suo sposo, non amare chi a questi diede la vita e che essendo padre di questi è diventato anche padre suo ?! lo ama , sì, anzi di più, lo venera, dato che in lui vede, non solo il padre del suo sposo, il suo padre, ma anche un re, il suo re. E Francesco , il re, apprezza , stima e vuole bene alla piccola fiorentina; e questo perché, non solo riconosce in lei una perfetta sottomissione alla sua autorità, una totale e disinteressata fedeltà alla casa reale che l’ha accolta ( e il re riconosce il vero: nessuno, neanche chi ha il sangue dei Valois, sarà dei Valois e delle loro prerogative più strenuo difensore di Caterina!) , ma anche perché in lei intuisce un’intelligenza politica particolarmente fine, capace pertanto di integrare le lacune che teme in Enrico. Inoltre Francesco ama la danza e la caccia e Caterina, anche lei, ama danzare e cacciare. Il Brantome afferma che nella danza “Ella (Caterina) manifestava bellissima grazia e maestosità “ e che anche “amava moltissimo la caccia”. E fu proprio per poter seguire il sovrano anche nelle battute di caccia più difficili e pericolose che Caterina introdusse in Francia una nuova maniera di montare a cavallo per le donne : il cavalcare all’amazzone. Un’autentica rivoluzione, dal momento che sino ad allora le dame si sistemavano su un sedile posto sul cavallo, il cosiddetto “sambue” , le gambe penzolanti dallo stesso lato e poggianti su un’assicella : ed è evidente che , in una tale instabile posizione, a loro risultava precluso, non solo il galoppo , ma anche il trotto. E – già che abbiamo finito per toccare l’importante argomento delle “novità” introdotte in Francia da Caterina (e dal suo seguito di italiani) – va anche detto che la nuova moda di cavalcare ne trascinò un’altra, non meno rivoluzionaria, nel vestire. Infatti, dal momento che , nel montare a cavallo all’amazzone, le gonne delle donne si sollevavano mostrando oltre ogni decenza le loro natiche nude, le cavallerizze furono costrette ad adottare un indumento simile ai calzoni degli uomini : misero (sia pure sotto le loro gonne) dei calzoncini : le “culottes” (che poi si trasformarono nelle attuali mutandine). Ciò che all’inizio non mancò di suscitare grave riprovazione soprattutto nella Chiesa (non era proprio quella di aver vestito come un uomo, una delle accuse che portarono Giovanna d’Arco al rogo ?!). Ma l’arrivo in Francia di Caterina e del suo seguito di italiani, non innovò solo nel modo di cavalcare e di vestire : influì moltissimo anche sul galateo e sulla culinaria francese. Furono gli italiani a insegnare ai francesi a comportarsi con eleganza a tavola : finite le abbuffate rabelaisiane : un festino deve essere una cerimonia, uno spettacolo, un rito ; e in esso anche alcune regole di igiene vanno rispettate : le mani vanno lavate prima di pranzo, non ci si soffia il naso nella tovaglia comune, non si mangia con le mani (ma si usano coltello e forchetta) E come l’arrivo degli italiani cambia il modo di mangiare, così anche cambia quel che si mangia. Sono i cuochi italiani a convincere i francesi a gustare separatamente i piatti dolci e i piatti salati (prima in Francia, come in tutta Europa, si mangiava la carne insieme alla frutta zuccherata1). Sono i pasticcieri italiani ad abituare i palati dei francesi a nuove e inusitate delicatezze e il loro occhio alla composizione originale e artistica dei dolciumi (questi prima ancora di deliziare il palato devono estasiare l’occhio!). Certo gli allievi (i francesi) ben presto supereranno i loro maestri (gli italiani); ma questo capita ed è bene che capiti : quel che importa è che la fiaccola della civiltà continui ad avanzare nel tempo.

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Caterina ben accetta dalla famiglia reale, non lo fu per niente dalla generalità del popolo francese. Quel che in lei non piaceva, non era tanto che fosse straniera (era cosa normale che i membri della casa reale sposassero donne di paesi stranieri), quanto che fosse una plebea, la figlia di un mercante : come poteva tollerarsi che il sacro sangue dei capetingi fosse inquinato da quello di una famiglia, che aveva fatto le sue fortune trafficando col vil danaro! A ciò si aggiungeva il fatto che gli anni passavano senza che dall’unione di Caterina e di Enrico nascessero figli ( e ciò preoccupava, dato che il delfino poteva anche prematuramente morire e allora sarebbe toccato proprio ad Enrico di assicurare la discendenza e la continuità dinastica). Per alcuni anni si attribuì la sterilità della coppia a “colpa” del marito affetto da ipospadia : questo difetto, che non gli impediva di darsi ai suoi esercizi amorosi, ben poteva – così si sospettava – renderlo incapace a generare. Ma nel 1537 accadde un fatto che rivelò infondato tale sospetto: Enrico (durante la campagna per la conquista del ducato di Milano), evidentemente dimentico per una notte di Diana, la sua musa ispiratrice, fece un figlio ( e più precisamente una figlia) con una florida fanciulla di Moncalieri : questa era – o almeno fu ritenuta – la prova evidente che la sterilità della coppia era dovuta, non a lui, ma alla moglie. La situazione di Caterina alla Corte si fece allora molto difficile, e tanto più difficile in quanto l’anno prima (1536) il primogenito del re, il delfino Francesco era deceduto (in circostanze misteriose – ciò che non impedì di trovare il capro espiatorio della sua morte in un valletto che al principe, tutto sudato per una combattuta partita a pallacorda, aveva offerto quell’acqua ghiacciata che ne aveva determinata la morte : tutto andò come da copione : il valletto sotto tortura confessò di aver agito per conto del re di Spagna : squartato nella pubblica piazza , la folla inferocita si impossessò delle sue membra ancora calde per farne scempio – ciò mentre Margherita, la dolce, la gentile “Margherita delle Margherite” in prima fila assisteva allo spettacolo!). Dopo la morte del Delfino la maggior parte della Corte sempre più apertamente prese a reclamare il ripudio di Caterina : la successione dinastica doveva ad ogni costo essere assicurata! A favore di Caterina parlavano solo due donne ( ma potentissime1) : l’amante del re, madame d’Etemper, e l’amante del nuovo delfino, Diana di Poitier : la prima, perché temeva che, una volta ripudiata Caterina, Enrico sposasse Diana, la seconda, perché temeva che Enrico, dopo il ripudio, bon gré mal grè finisse per sposare una Guisa, che certamente sarebbe stata meno malleabile di quella paffutella Caterina che – ecco l’arte sopraffina dei Medici! – cercava di rendersele utile in mille modi ( ad esempio, riferendole quel che avveniva nel segreto del Consiglio reale, a cui Diana non aveva titolo per partecipare , mentre lo aveva Caterina come moglie del delfino). A tali giochi ed equilibri politici era legato il destino di Caterina : come dire che era legato a un filo sottile, che ad ogni momento poteva spezzarsi. Conscia della precarietà della sua situazione, Caterina vuole giocar il tutto per tutto e va a gettarsi ai piedi del re : sia lui a decidere la sua sorte. Drammatico e sconvolgente è il colloquio tra la nuora e il suocero. La prima si prosterna davanti al secondo, si dice colpevole, pronta con grande umiltà ad accettare per il bene della Dinastia ogni sua decisione, anche quella della sua clausura in un convento . Francesco è commosso, la solleva e l’abbraccia : “Figlia mia, Dio ha voluto che Voi foste la mia nuora e la moglie del Delfino, io non voglio diversamente”. I figli? Essi sarebbero col tempo venuti, lei ed Enrico erano ancora tanto giovani! Così Caterina evita (almeno per il momento) il ripudio. Ma la soluzione radicale del suo problema le viene dalla sapienza del medico di Corte, il celebre Ferrel. Questi, sottoposto l’apparato riproduttivo della delfina ad un accurato esame, individua , nella sua conformazione, un’anomalia, che, aggiunta a quella dell’apparato genitale del marito (questi aveva, come dice il Brantome, le vit tort ) impedisce al seme regale di raggiungere la destinazione, che la natura esige (per creare una nuova vita) Però l’inconveniente può essere superato: basta che i regali coniugi adottino nei loro amplessi certe posizioni (difficili, ma pur sempre alla portata dell’atletico Enrico) che avrebbero finito per compensare le loro diverse anomalie – posizioni che l’acuto e sapiente medico dettagliatamente illustra. Enrico e Caterina seguirono i consigli dati loro con la devozione del fedele cortigiano e con la sapienza del medico esperto ; e Caterina finalmente, nel maggio 1543, dopo ben 10 anni di sterilità, rimase incinta. Da allora essa rivelò una fecondità sorprendente e, quasi a voler ricuperare il tempo perduto, diede alla luce ben dieci figli (calcolato il delfino). Di essi però riuscirono a diventare adulti solo sette: gli altri morirono in tenerissima età ed uno, a cui pur si volle dare un nome, fu estratto già cadavere dal ventre materno. E anche i sette, che riuscirono a diventare adulti, rivelarono, sì, un ingegno originale (anche se non molto equilibrato e quasi patologico), ma, chi più chi meno, soffrirono di una cattiva salute e morirono quasi tutti giovanissimi : fu questa l’eredità loro lasciata dai Medici, razza questa che si adornava di splendide doti intellettuali, ma che in sé anche portava gravi tare fisiche, che destinavano la maggior parte dei suoi membri a una prematura morte. I nomi dei sette figli di Caterina rivelatisi vivi e vitali ? Eccoli, in ordine di nascita. Francesco, nato il 19-1-1544, regnerà col nome di Francesco II. Elisabetta, nata il 2-4-1545, diventerà regina di Spagna. Claudia, nata il 12-1-1547, sposerà il duca di Lorena. Carlo Massimiliano, nato il 27-6-1550, regnerà col titolo di Carlo IX. Edoardo Alessandro, nato nel 1551, regnerà col titolo di Enrico III (così mutato il suo originario nome). Margherita, nata il 14-5-1558, sposerà Enrico di Navarra e sarà conosciuta come la regina Margot. Ercole, nato il 18-3-1553, essendo rimasto quasi nano e avendo voluto cambiare un nome che lo esponeva al ridicolo, è conosciuto come Francesco, duca d’Alencon. Così la bella razza dei Valois fu servita ( o come alcuni sostengono, rovinata) dalla figlia dei mercanti fiorentini

XXXXXXXXXXXXXXXX Di questa sequela di nascite che allietò la casa reale di Francia, il merito principale fu stranamente di Diana di Poitier. Questa, dopo otto anni di virtuosi rifiuti, aveva finalmente permesso a Enrico di entrare nel suo letto e ne era diventata ufficialmente l’amante. Però un’amante che non nutriva nessuna gelosia verso la legittima consorte (tanto si riteneva a questa superiore per bellezza e intelligenza !), e che, preoccupata di assicurare al regno la continuità dinastica, spesso addirittura rifiutava l’amplesso del bramoso Enrico per indirizzarlo al letto di Caterina, di colei cioè che avrebbe dovuto sentire come sua rivale: “E’ necessario, siete il delfino, dovete dare degli eredi alla regina”. Per cui si può dire – con il Michelet – che “quando Enrico II aveva rapporti con la moglie, era solo perché Diana l’aveva preteso e voluto”. E Caterina come reagiva a questa strana situazione ? faceva scenate rimproverando a Enrico il tradimento e a Diana la scostumatezza? Nulla di tutto questo. Con Enrico, mai Caterina si sarebbe permessa di trascendere in comportamenti men che rispettosi: Enrico, per lei, non era solo il marito, era il figlio del re, destinato ad essere re egli stesso : per lei era sacro : come poteva pensare di mancargli di rispetto ?! Riteneva anzi un grande onore e una grande fortuna, per lei, una progenie di mercanti, il poter godere degli amplessi (ancorchè frettolosi) di un amante di figura così bella e di sangue così nobile. Tra Caterina e Diana non mancarono invece i momenti di attrito; ma non risulta che trascendessero in violente scenate : entrambe le donne erano “animali a sangue freddo”, troppo razionali per abbandonarsi a chiassate. Il livello a cui poteva giungere uno scontro tra di loro è ben illustrato dal seguente episodio : una sera Caterina è intenta alla lettura, entra Diana e le domanda cosa legge. “Leggo le storie di questo regno, madame” le risponde Caterina soavemente “ e direi che in ogni tempo le puttane hanno diretto gli affari dei re”. Che risponde Diana a sentirsi dare della “puttana” ? Niente, incassa senza batter ciglio. Non si governa – e sia Diana che Caterina avevano il destino di governare – se non si sa mantenere il controllo dei propri nervi ! Nel complesso , però, i rapporti tra Caterina e Diana furono buoni ( e addirittura di collaborazione nella politica : entrambe parteggiavano per i Guisa e la fazione cattolica). Quando Caterina, durante una delle tante guerre del regno francese contro Carlo V, si ammalò gravemente (1552) , Enrico lasciò la truppa e accorse con l’amante al capezzale dell’inferma; e tutti i presenti poterono testimoniare della tenerezza che il sovrano riversava verso la moglie e delle cure commoventi che giorno e notte le prodigava la sua favorita. Qual’era il segreto di così soddisfacente armonia nello strano triangolo amoroso ? Il buon carattere di Enrico, senza dubbio ; l’intelligenza di Diana, senza dubbio ; ma anche e soprattutto l’intelligente umiltà e sottomissione che sapeva dimostrare Caterina Perché sottomessa e addirittura sacrificata Caterina lo era davvero. Quando, dopo cena, Diana e il re si incontravano, talvolta era presente anche la regina. Ma i due amanti non la sopportavano a lungo : a un certo punto Enrico, fingendosi preoccupato per la salute della moglie, la pregava di andare a riposare. E Caterina obbediva : unico indizio di quel che le ribolliva in petto era dato – a dire dei testimoni di queste scenette del triangolo amoroso – dai calcetti, che essa dava ai mobili che, uscendo, trovava a portata dei suoi piedi. E l’invadenza della favorita del re, non si manifestava solo nell’accaparrarsi l’affetto di questo : Diana si comportava verso i figli di Caterina come se fossero i suoi figli ( e in un certo senso lo erano : non era a lei che dovevano la loro nascita ?!). Appena nati, venivano sottratti alla madre, a Caterina, ed era Diana (e non Caterina) a scegliere, prima, le loro balie, poi, i loro precettori. Ed era ancora Diana ( e non Caterina) che quando erano cresciuti, li presentava a Corte e li introduceva nelle costumanze di questa ( e del resto in tale materia, Diana era un’insuperabile maestra : nessuno più di lei sapeva il corretto modo di porgere un saluto, l’esatto ordine delle precedenze da rispettare…).

XXXXXXXXXXXXXX L’evento che, sia pur dolorosissimo, cambiò la vita di Caterina ponendola al centro della Corte, fu la morte del marito. Avvenne nel giugno 1559. In quell’anno erano stati indetti alla Corte francese grandi festeggiamenti per celebrare un duplice matrimonio : quello tra Filippo II di Spagna ed Elisabetta (figlia del re) e quello tra Filiberto di Savoia e Margherita (sorella del re). E il clou di tali festeggiamenti doveva essere rappresentato da dei tornei, che avrebbero visto scontrarsi e combattersi (anche a rischio, non solo dell’incolumità, ma della stessa vita) il fiore della nobiltà francese, spagnola e savoiarda – anche il re vi avrebbe partecipato. Ad assistere a tali tornei si recò anche Caterina, ma senza gioia, anzi con una viva apprensione. Infatti un celebre astrologo italiano, il Simeone, le aveva predetto che il marito avrebbe perso la vita, a quarantanni , nel corso di un duello, per una ferita che lo avrebbe accecato. E tale nefasta predizione sembrava trovare conferma in una centuria del celebre Nostradamus che suonava: Le lion jeune le vieux surmonterà En champ bellique par singulier duelle Dans cage d’or les jeux lui créverà Deux classes une, puis mourir, mort cruelle. E ciò che era scritto nelle stelle, purtroppo avvenne : nel corso di un duello con un amico, il capitano delle guardie scozzesi, Montgomery (che, anch’egli in preda a cupi presentimenti, invano aveva pregato il re di dispensarlo dall’incrociare con lui la lancia), Enrico fu ferito a un occhio e , dopo un’atroce agonia di più giorni ,morì. Caterina alla morte del marito adottò un lutto strettissimo, che non abbandonò più per tutto il resto della sua vita : non indossò più abiti di seta e sempre si vestì di nero. Insieme alle spoglie mortali di Enrico, di quell’uomo, di quel re, che tanto appassionatamente aveva amato, essa seppellì la sua vita sessuale e sentimentale : non si risposò, non ebbe amanti. Tante cose in lei si possono criticare ma non l’amore coniugale ( e quello materno) !

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Con l’assunzione al trono del figlio primogenito, Francesco, Caterina, come madre del re ( e di un re così a lei sottomesso) , fu posta al centro della Corte e della politica francese. E tale posizione centrale lei la mantenne anche quando salirono al trono i suoi due altri figli ; per cui si può dire che, praticamente, fino alla fine della sua vita (quindi per un lunghissimo tempo : circa 30 anni) lei fu veramente la “regina nera” di Francia. Tutti si aspettavano che, dall’alta posizione raggiunta, lei prendesse le vendette su Diana, che per così lungo tempo l’aveva emarginata. Non fu così: Caterina, con grande generosità – e probabilmente anche per rispetto ad una promessa fatta all’amato Enrico – non nocque in nulla all’ex amante del marito : Diana potè conservare i gioielli, i castelli, i titoli, insomma tutto quello che aveva acquistato al tempo in cui dominava il cuore del re e la Francia : morì serenamente nel 1556 nello splendido ritiro del suo castello di Ariet. Molto più travagliata fu la vita di Caterina ; che dovette correre gravi rischi e sostenere durissime lotte , mentre il bel regno di Francia era colpito da gravi e terribili sconvolgimenti e lutti ( le lotte accanite tra protestanti e cattolici, le stragi reciproche, la terribile notte di San Bartolomeo…..). Caterina sopportò tutte le traversie con grande coraggio ; quel coraggio che le veniva dalla sua incrollabile fede (non nel cristianesimo, ma) nell’astrologia. Caterina fin dall’infanzia aveva subito il fascino delle cosiddette “scienze occulte”. Del resto tutti, nel XVI secolo, in Italia, erano dediti, chi con più chi con meno convinzione, alla magia e all’occultismo. Nella Chiesa stessa, alti prelati, facevano ricorso ai più sacri riti religiosi interpretandoli in senso magico, quasi fossero filtri o talismani. Da parte sua Caterina non poteva vivere lontana dai suoi astrologi, i due fratelli Ruggeri, Cosimo e Lorenzo (figli di quel Ruggeri il Vecchio, che era stato medico-astrologo - un tempo le due arti si combinavano - dei genitori di Caterina). Ora i suoi astrologi, quando ancora Enrico non era il delfino e sembrava improbabile che mai salisse al trono, erano giunti alla conclusione, studiando il corso degli astri, ch’essa avrebbe regnato tramite i suoi tre figli e che la morte non l’avrebbe raggiunta finchè si fosse tenuta lontana da Saint Germain. Quindi Caterina, che vedeva col tempo sempre più avverarsi la predizione, non si lasciò mai sgomentare dagli attacchi e dalle minacce che la dinastia dei Valois subiva, ora da parte cattolica ora da parte protestante : forse che non era al sicuro fino a che si teneva lontana da Saint Germain ?! Senonchè essa proprio nei pressi di Saint Germain un giorno ebbe, per vie tortuose, le vie tortuose che spesso percorre il nostro destino per compiersi, a trovarsi , e in quel giorno morì. Ecco come accadde che le stelle giocarono Caterina. A fine dell’anno 1588 Caterina cadde malata, pare in seguito ad una infreddatura. Questo mentre tutt’intorno a lei il potere dei Valois si sgretolava. Nella cattolica Parigi , la popolazione in rivolta, a causa dell’assassinio dei Guisa perpetrato da Enrico II (l’ultimo figlio di Caterina destinato a regnare), riempiva le chiese : penitenti a piedi nudi percorrevano le strade elevando preci al cielo per l’estinzione dell’eretica casa regnante : alcuni, presi da furore, gettavano i ceri a terra e li calpestavano gridando : “ Così perisca la razza dei Valois”. Enrico III era ancora re; ma , dopo essersi resi nemici, i cattolici, i protestanti, il papa, Fippo II, era, sì, re, ma , come Caterina con lucidità gli aveva gridato in faccia , era “re di niente”. La stessa Caterina era ormai assistita solo dai suoi servitori italiani ; tutti quelli francesi o erano stati cacciati o avevano preferito emigrare al seguito di qualche potente, che sembrava loro vincente nell’aspra lotta, che in Francia si era scatenata. Il mattino del 5-1-89 Caterina si sentì tanto male da voler fare testamento. Poi chiese il suo confessore. Come tanti altri, questi se ne era andato. Le condussero allora un prete che lei non conosceva. Confessatasi, gli domandò chi fosse, qual’era il suo nome. Giuliano di Saint Germain, rispose il prete. A sentire tale nome, Caterina sospirò e senza apparente commozione disse : “Allora sono perduta” : ricordava la profezia che i suoi astrologi le avevano fatta. Le sue condizioni immediatamente si aggravarono e lei si spense alle due del pomeriggio.

Caterina dei Medici : oroscopo

13.04 .1519 05h 04m LMT 04h 19m GMT Firenze Italia Ascendente in Toro Sole in Toro

Ecco come il grande astrologo Barbault descrive la personalità di Caterina : Angolarità ravvicinata di Saturno-Capricorno ( MC ), di Marte-Cancro ( FC ) e di Sole-Venere nel Toro ( As ) . La combinazione Saturno-Marte sul fondo Toro costituisce , nel suo complesso, la dominante di Caterina . Fisicamente si tratta di una natura sana e forte, provvista di una salute di ferro, di uno spirito robusto quanto il corpo e di una resistenza fisica pari alla sua invincibile pazienza morale . Infaticabile, nata per lavorare, è già in piedi di buon’ora, sempre assidua negli affari, mai scoraggiata, sempre in movimento ; a cinqunt’anni, malgrado la pinguetudine, sarà sempre molto attiva e resistente a tutto . Moralmente è una donna dotata di genio realista e concreto, combattiva, dominatrice, riflessiva, temporeggiatrice, abile nell’usare le armi della dissimulazione e della furbizia per soddisfare l’unica passione di tutta la sua vita : la politica, il potere . E, al di sopra di tutto, un’ostinata pazienza . Il suo motto : “pazienza, pazienza, e tutto andrà bene”. La sua vita sarà un continuo esercizio di pazienza . Per oltre venticinque anni, sotto il regno di Diana della quale è ferocemente gelosa, vive piena di discrezione e di sottomissione, afflitta da una sterilità che si prolunga da più di dieci anni . Di conseguenza, costretta a non essere altro che una cavalla reale, la sposa-serva di Enrico II, regina Cenerentola, si rassegna in silenzio mordendo il freno . Divenuta governatrice di Francia, la sua grandezza “sarà quella di durare ventisette anni, quasi sempre cedendo, ma senza mai sacrificare l’unità territoriale, né il principio dell’autorità monarchica . Il suo successore riceverà una Francia spossata ma non mutilata ; divisa, ma non separata . Enrico II lascia alla vedova uno Stato ansimante . La continuità del clima politico che si manifesta nel trapasso dei poteri dal re alla regina è maggiormente comprensibile se si osserva che essi sono nati a tredici giorni di distanza e in ore vicine. Presentano quindi una costellazione abbastanza simile : Saturno-MC opposto a Marte-FC e ambedue quadrati con Giove . In questa successione sta la difficoltà del potere ; ma Caterina è meglio armata per difendersi : mentre la triplice congiunzione Sole-Luna-Venere di Enrico non migliora la dissonanza, quella Sole-Venere di Caterina se ne discosta e si appoggia sull’AS per rinforzarlo . Questa donna, straniera, vedova e madre di molti bambini in tenera età, manovra abilmente, riesce a farsi avanti in silenzio e finisce per assumere il potere . Essa s’installerà alle leve di comando per conservare un’autorità difficile quanto discussa, ma sempre gelosamente disputata . E’ chiaro che con la dissonanza Saturno-Marte-Giove il suo regno non avrebbe potuto essere che quello delle fazioni e della guerra civile . Marte-Cancro in IV è l’espressione tipica di un dissidio interno, nel proprio paese ; sta inoltre ad indicare che i più pericolosi ostacoli Caterina li troverà nella propria famiglia . Tuttavia la dominante Toro, rinforzata dalla congiunzione Luna-Giove in Bilancia, le conferiscono una natura decisamente pacifica, prodiga d’idee instancabilmente conciliatrici ; per giocare il ruolo di arbitro, ricercherà compromessi che le consentano di mantenersi nel giusto mezzo e di far coesistere le due religioni rivali : cattolici e ugonotti . Una volta di fronte ai due partiti esasperati, il suo motto sarà sempre “la pace civile attraverso la pace religiosa derivante dall’arbitraggio reale” e “due religioni sotto una sola legge e un solo re” . I suoi errori deriveranno dalla contraddizione che scaturisce dall’opposizione di Saturno-Capricorno in X ( il potere ) a Marte-Cancro in IV ( la famiglia ) : non perdere il comando e custodire i figli . L’errore della notte di San Bartolomeo nascerà dal tentativo di recuperare Carlo IX che sta per sfuggirle . Una politica impotente, vista la dissonanza del tema, era scontata ; e così un’opera negativa, difensiva . Essa trascorrerà la sua vita a strappare alla morte una Francia piena di dispute e di divisioni, ma senza mai disperarsi per le sorti della salute pubblica in alcun momento dell’incessante lotta . Farà l’impossibile, per preservare il potere dalla servitù e il regno dallo smembramento, contro la teocrazia romana e l’egemonia spagnola, e consentirà così ad Enrico IV di salvare il paese . Sarà il baluardo ( immagine ideale per Saturno-Toro ) dello Stato, di uno Stato che si sfascia e si decompone . Alla fine, al termine di una lunga esistenza, piena di peripezie, odiata e detestata, padrona, serva o semplice comparsa del potere, viene spodestata, anzi praticamente cacciata via, da Enrico III, e assiste così al crollo della propria opera .

Maria Teresa d’Austria

Biografia

Carlo VI, il padre di Maria Teresa, aveva ricevuto dalla natura, secondo Federico il Grande, “tutte le qualità che fanno un buon cittadino, ma nessuna di quelle che fanno un grand’uomo . Era generoso, ma senza discernimento, di spirito limitato e senza acume, aveva penetrazione, ma senza genialità . Era un buon padre e un buon marito, ma bigotto e superstizioso come tutti i principi della Casa d’Austria” . E’ questo un giudizio che lo storico di massima può condividere ; anche se risente un po’ dell’astio, di chi lo formulò, verso la Casa, che per lunghi anni si era opposta alle sue ambizioni . Limitato, Carlo VI, lo era senza dubbio ; e lo rivela il culto maniacale che aveva dell’etichetta : anche in punto di morte, proprio quando gli stavano somministrando l’estrema unzione e il suo animo avrebbe dovuto elevarsi al di sopra di ogni terrena meschinità, non si poté trattenere dall’osservare, seccato, che erano state accese solo due candele, anziché le quattro che gli spettavano . Ma, sia pure in misura più ridotta, egli aveva molte delle virtù, che rifulsero poi nella sua grande figlia e delle qualità che la adornarono . Come sarà la figlia, egli era coraggioso e testardo quando si trattava di difendere quello che riteneva un suo diritto offeso . E lo dimostrò specie nella gioventù, quando dovette lottare duramente per il trono di Spagna ( dato che, prima della Corona d’Austria, che ricevette alla morte del fratello Giuseppe, aveva avuto in sorte quella di Spagna ). Quando sbarcò nella penisola iberica, le cose andavano così male per il suo partito e per i suoi alleati inglesi, che questi già avevano deciso di rimpatriare : fu la sua energica risoluzione “di restare e morire con i suoi bravi catalani” a farli tornare sulla loro decisione . E quando si trovò assediato in Barcellona da un esercito soverchiante e la situazione era così disperata che il Walpole, che ne fu testimone, lasciò scritto “non si vedeva la minima speranza di poter salvare la città e nemmeno la persona del re” , fu ancora il suo testardo coraggio a impedire la capitolazione e ad assicurare così, all’arrivo dei rinforzi, la vittoria . Ma in Carlo VI noi ritroviamo, non solo le virtù che resero grande la figlia, ma anche le qualità che ce la rendono simpatica . Come la figlia, anzi ancor più di lei, egli amava la musica . Non solo suonava il pianoforte, così viene riferito, “con la maestria di un professore” , ma spesso saliva sul podio per dirigere personalmente le opere composte dagli artisti di Corte . Era poi, come lo sarà la figlia, dotato di un fine senso dell’umorismo ; che dimostrò, cosa non facile, anche in punto di morte : sentendo che i medici non riuscivano a mettersi d’accordo sulla natura del male, che stava portandolo alla tomba, sbottò : “Basta con le discussioni ! Alla mia morte aprirete il mio corpo e vi metterete d’accordo” . Quando era ancora re di Spagna , sposò Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfbuttel . Fu un matrimonio felice . Lui era un tipo un po’ lento nelle decisioni, con tendenza alla malinconia , lei era una donna, non solo “intelligentissima e decisa”, come la definì uno scrittore del tempo, ma di grande bellezza, grazia e fascino ( quella stessa grazia e quello stesso fascino che si ritroveranno in Maria Teresa ) : i due caratteri erano fatti per integrarsi armoniosamente . E infatti lui si innamorò subito di lei e, appena la vide, non potè fare a meno di esclamare : “Non avrei mai sognato che poteste essere tanto bella !” . Riferisce una persona addentro ai segreti della Corte : “Il re ama così teneramente la regina, che non può rassegnarsi a perderla di vista . Appena ha un momento di libertà, si affretta a passarlo con lei . Sembra capace di attaccarsi a una donna né più né meno che suo padre Leopoldo I” . Tanto trasporto amoroso per la consorte, non gli impedì però di continuare in una sua liaison amorosa con una contessa . Ma in quei tempi nessuno si scandalizzava che il re avesse, oltre alla regina consorte, una “favorita” . E noi moderni saremmo ipocriti se ce ne scandalizzassimo .

xxxxxxxxxxxxxxxxxx Quando il 13 maggio 1717, nel palazzo reale di Vienna, nacque Maria Teresa, generale fu…la delusione . Infatti la nascita di una bambina veniva a complicare la successione al trono . Dato che, è vero, l’imperatore Carlo VI aveva previdentemente regolato questa, stabilendo con un suo decreto ( conosciuto dagli storici come la “prammatica sanzione” ) che, in mancanza di figli maschi, salisse al trono la maggiore delle figlie ; però è anche vero, che tale decreto (tale prammatica sanzione ) era di dubbia legittimità e che quindi era prevedibile che vi sarebbero state delle contestazioni e addirittura delle guerre, se mai si fosse stati costretti, in mancanza di eredi maschi, a farne applicazione . Ma perché ciò avrebbe dovuto avvenire ? La coppia reale era ancora tanto giovane ed era ben d’aspettarsi che, dopo la femminuccia, le nascesse il desiderato maschietto ! E, proprio nella ragionevole aspettativa di un erede maschio, Maria Teresa non fu preparata ad assumere le gravose responsabilità del regnare, ma ebbe semplicemente l’educazione che, a una qualsiasi principessa, in quei tempi si riservava . I gesuiti, a cui la sua educazione fu, secondo la tradizione, affidata, si preoccuparono soprattutto di farne una figlia devota della Chiesa Cattolica ( in ciò ottenendo pieno successo !) : le sue letture furono per lo più limitate alle cosiddette opere edificanti ( solo quando diventò con gli anni sempre più probabile la sua ascesa al trono, le si permise di accostarsi a letture di maggior livello : soprattutto autori francesi e italiani ) . Particolare attenzione, invece, fu attribuita alla sua educazione artistica . Le furono insegnati il disegno e la musica . Soprattutto per quest’ultima Maria Teresa rivelò predisposizione : aveva una voce bella e duttile : cantava arie italiane accompagnandosi al pianoforte e, in spettacoli di Corte, ebbe occasione di esibirsi in parti di opere liriche e di oratori . Con la sorella Anna anche recitò ( e con successo !) delle parti nelle commedie che gli artisti di Corte scrivevano ; e il più famoso di questi, il Metastasio, poté dire che durante le prove le arciduchesse si mostravano “più attente, più grate e – pur senza minimamente degradarsi – infinitamente più gentili di tutti coloro che ho fin qui veduto”. Poteva farsi miglior complimento a una principessa i cui capricci tutti sarebbero stati pronti a perdonare e a ritenere legittimi ? E Maria Teresa, come nella gioventù si dimostra rispettosa dei suoi precettori, così nella sua maturità verso di essi si dimostrerà grata . Elogerà i gesuiti, nel tempo in cui contro di loro sembrava abbattersi una condanna e una critica universali , dicendo di aver da loro appreso “sempre e soltanto cose edificanti” . Dimostrerà la sua gratitudine verso la sua precettrice, contessa Charlotte, disponendo che il suo sarcofago fosse posto accanto al suo e a quello del suo amato consorte nella Cripta dei Cappuccini .

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Maria Teresa conobbe quello che sarebbe stato il suo unico e grande amore, a sette anni. Lui si chiamava Francesco Stefano di Lorena, aveva, al momento del loro primo incontro, 15 anni ed apparteneva a una famiglia legata da vincoli di sangue e di amicizia con gli Absburgo . Suo nonno nel 1683 aveva comandate le truppe imperiali nella battaglia che liberò Vienna dal pericolo turco , e suo padre era stato compagno di infanzia di Carlo VI, il padre di Maria Teresa . La speranza dei Lorena era che Francesco Stefano sposasse Maria Teresa . Per questo era stato spedito alla Corte degli Absburgo . Francesco Stefano era un giovane di bell’aspetto, brillante, dotato di una notevolissima capacità relazionale ( col tempo riuscirà - anche perché affiliato, come molti aristocratici del tempo, alla massoneria – a tessere una ramificata rete di importanti conoscenze, che sfrutterà da ottimo uomo d’affari per accumulare un ingentissimo patrimonio ) . Quando Maria Teresa lo vide, subito se ne infatuò ( aveva, come si è detto, solo 7 anni !). E tale infantile infatuazione si trasformò in un tenero e profondo amore man mano che gli anni la maturavano come donna . L’ambasciatore inglese presso la Corte di Vienna poteva riferire al suo Governo che la principessa Maria Teresa “nonostante l’animo forte e risoluto, coltiva un tenero amore per il duca di Lorena . Di notte lo vede in sogno e di giorno intrattiene le sue dame di Corte parlando soltanto di lui, tanto che non è verosimile che possa mai dimenticare l’uomo che ritiene nato per lei”. Vi furono dei momenti in cui sembrò che il sogno d’amore della principessa dovesse essere sacrificato sull’altare dell’alta politica ; ma alla fine Carlo VI si decise ad accordare la mano della figlia al giovane lorenese ; questo, sia per le preghiere di Maria Teresa sia ( soprattutto !) per le pressioni dell’Inghilterra ( che preferiva un legame tra la Casa d’Austria e i Lorena – legame che non avrebbe influito su quell’equilibrio della balance of power a cui l’Inghilterra sommamente teneva – ad altro legame con altre Case più potenti e prestigiose, come quelle di Baviera, di Prussia, di Francia, che , tale equilibrio, invece avrebbe pericolosamente alterato ). Fu quello di Maria Teresa e Francesco di Lorena un matrimonio felice . Lei ebbe sempre verso di lui un tenero e profondo amore con una venatura di materna protezione (“Adieu, topino, vi abbraccio con tutto il cuore e abbiate riguardo di voi . Adieu caro viso…” – così Maria Teresa si esprime in una sua lettera all’amato ). Lui senza dubbio corrispose al suo amore, ma in età matura non si astenne dall’intrattenere relazioni sentimentali con altre donne . Maria Teresa sapeva ciò e con buon senso….taceva : un amore vero sa non essere esclusivista . E la moglie innamorata seppe anche comportarsi con grandezza d’animo e generosità verso chi amava l’uomo, che lei stessa amava . Quando Francesco morì, la sua amante, la principessa Auersperg ebbe il suo posto nel corteo funebre . A un certo punto si vide Maria Teresa dirigersi verso di lei . Tutti si aspettavano una scena drammatica ; invece la regina strinse affettuosamente la mano alla principessa dicendo : “Mia cara, che gran perdita abbiam subito” . Anche se Maria Teresa amò appassionatamente suo marito, quando si rese conto dei limiti della sua personalità ( egli era un ottimo uomo d’affari, ma un mediocre politico e un pessimo generale ) lo relegò a un ruolo puramente decorativo (brigò, sì , con successo, perché ottenesse il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero, ma questo titolo ormai aveva solo un valore onorifico, non dava reali poteri a chi lo deteneva ) . Di ciò non sembra che Francesco soffrisse . Si narra che una volta alcune dame di Corte si avvicinassero a lui, che se ne stava tranquillamente seduto in un canto ( forse aspettando che Maria Teresa si liberasse da un impegno ), e gli rivolsero la parola . Lui le pregò di sedersi ed, essendosi le dame schernite dicendo che mai si sarebbero permesse di star sedute davanti all’imperatore, egli disse sorridendo : “Non badate a me ; io non sono che un marito : quelli che contano, qui a Corte, sono la regina e i suoi figli “.

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La giovane donna che il 20 ottobre 1740, a poche ore dalla morte del padre, nella sala del trono, saliva, alla presenza dei ministri e del marito, i gradini dell’imperial seggio, era l’espressione stessa della maestà regale : i lineamenti regolari, l’alta e robusta figura, le davano l’aspetto di un’aulica statua . “Così ricca di doti – mormorò un ministro al suo vicino – peccato che non sia un uomo !” . Maria Teresa sentì e con voce forte e ferma disse : “Se non sono che una regina, ho tuttavia l’animo d’un re” . Ma, nonostante tale mostra di fermezza, quali tristi pensieri Maria Teresa doveva tener celati nel suo cuore ! La sua aspirazione sarebbe stata semplicemente la vita di quelle spose tedesche, di quelle brave madri, la cui esistenza non era che una successione di nascite, di battesimi, di matrimoni, prima dei figli, poi dei nipoti . Ed ecco che, invece, si trovava gravata dall’enorme responsabilità di regnare . Senza poter contare sull’aiuto di nessuno : non del marito, che aveva già data cattiva prova in precedenti incarichi affidatigli, e non dei ministri, che erano persone fedeli, ma incompetenti ( ahimè, Eugenio di Savoia, il grande Eugenio, era morto pochi mesi prima e aveva lasciato il vuoto ) . . E doveva, lei, giunta quasi inesperta al trono, reggere lo scettro in una situazione difficilissima . Lo Stato che doveva governare, la monarchia absburgica, era costituito da una pluralità di popoli, che nulla avevano in comune gli uni con gli altri . Gli Austriaci parlavano dei Boemi e degli Ungheresi come di stranieri . I Boemi e gli Ungheresi - questi di discendenza mongolica , quelli di etnia slava - non si sentivano legati da nessun vincolo di affinità né tra di loro né tanto meno con i Tedeschi dell’Austria . In Toscana, in Lombardia e sulle rive dell’Adriatico vivevano gli Italiani, incapaci di farsi capire sia dai Boemi, sia dagli Ungheresi, sia dai Tedeschi . L’unico legame tra tutti quei popoli tanto diversi era la sudditanza allo stesso potere regio ; sennonché alla morte di Carlo VI, in seno a ciascuno di essi sorsero personalità ribelli, che negavano la validità della prammatica sanzione e la legittimità di Maria Teresa a regnare . Nella stessa Vienna l’ambasciatore di Venezia poteva registrare voci secondo cui “il governo di una donna non era compatibile con la dignità dello Stato” . Pertanto tutto l’impero sembrava sul punto di crollare e dissolversi . La situazione si aggravò ancor più dopo la sconfitta, a Mollwitz, dell’imperiale esercito ad opera del nuovo re di Prussia, Federico II . Tale disastrosa sconfitta sembrò denotare un’irrimediabile decadenza dello Stato absburgico e incoraggiò Francia, Spagna, Baviera e Sassonia ad aggredirlo per spartirsene le spoglie . Il primo ministro di Luigi XV, l’astuto e abile cardinale Fleury, poteva addirittura dichiarare : “Gli Absburgo ormai non esistono più” . Non teneva conto, però, la vecchia volpe della politica, della giovane donna che da poco tempo reggeva le sorti di quel Casato . Essa – e fu il suo grande merito politico – capì subito dov’era il punto, qual’era il popolo su cui la monarchia absburgica poteva puntellarsi per reagire all’avversa fortuna : era il valoroso e cavalleresco popolo ungherese . Infatti, se era vero che gli abitanti dell’Ungheria non sentivano nessuna affinità con quelli dell’Austria ( ché, anzi, tra i due popoli in passato c’erano state parecchie rivalità e guerre !), era anche vero, che la monarchia absburgica era stato l’unico potente baluardo contro l’onda montante della mezzaluna e che, caduto questo baluardo, il primo ad essere esposto all’aggressione del sultano sarebbe stato proprio il popolo ungherese . Si trattava di far prevalere in questo popolo, sui risentimenti del cuore, i dettati della ragione . Occorrevano a ciò, diplomazia, savoir faire e fascino : tutte doti che Maria Teresa aveva in sommo grado . Essa decise un viaggio in Ungheria ( per riceverne la corona – che era separata da quella austriaca e da quella boema : insomma un Absburgo per entrare nel possesso pieno dei suoi domini doveva essere incoronato tre volte : in Austria, in Ungheria, in Boemia ) . E fin dall’inizio del suo viaggio Maria Teresa badò a colpire e a blandire l’animo degli Ungheresi : il battello che la trasportava sul Danubio era drappeggiato con i colori nazionali dell’Ungheria . Alla frontiera la regina fu accolta da una delegazione che l’acclamò con le parole ( studiate e soppesate dai membri della Dieta ungherese ) di “Lunga vita alla nostra Signora e Re !” : gli Ungheresi erano troppo fieri per sottomettersi a una regina . Accomodante Maria Teresa rispose all’acclamazione con le parole : “Io sarò per l’Ungheria un padre e una madre” . Il giorno dell’incoronazione fu cruciale e decisivo per la giovane regina : essa sapeva che, se durante la cerimonia fosse stata brutta, maldestra, mal vestita o anche solo mediocre cavallerizza, si sarebbe giocata, con l’affetto e la stima dei suoi sudditi ungheresi, anche ogni speranza di ottenere da loro i sperati aiuti . Quando, giunta ai piedi della celebre collina dell’incoronazione, le fu presentato lo stallone nero, il più bello delle scuderie reali, perché montandolo salisse in cima alla collina come voleva la tradizione, essa sentì tutti gli occhi di quel popolo di prodi e abili cavallerizzi su di lei : se si fosse dimostrata maldestra ed esitante cavallerizza, nessuno l’avrebbe perdonata . Ma, la giovane e bella regina, fu superba : senza alcun timore balzò in sella e lanciò al galoppo la sua cavalcatura fino al sommo della collina . Là giunta, si erse, splendida nella persona, e, tratta la spada, segnò i quattro punti cardinali come simbolica promessa che avrebbe difesa quella terra che l’ospitava da qualunque parte del globo terraqueo l’aggressore fosse venuto . Immenso fu l’entusiasmo degli ungheresi e di tutti coloro che assistettero alla scena . L’ambasciatore d’Inghilterra ebbe a scrivere . “La regina era affascinante : salì al galoppo la collina e sfidò con la spada i quattro angoli del mondo con tanta grazia che si vide chiaramente come ella non avrebbe mai avuto bisogno di farne uso per vincere coloro che l’avvicinassero” . Ma l’ammirazione del proprio popolo è una cosa ( bella, importante ma insufficiente ), la lealtà del suddito, convinto dal suo cuore e dal suo cervello a mettere in gioco la sua vita per l’onore e la salvezza del suo re, è un’altra cosa ( la cosa veramente essenziale!) . I mesi invece passavano senza che il numero dei volontari ungheresi arruolati sotto le bandiere della giovane regina superasse le poche centinaia di uomini : ne occorrevano, invece, delle migliaia e con urgenza ! Maria Teresa ritornò dai suoi ungheresi per fare appello alla loro lealtà e ottenere i necessari rinforzi. Parlò davanti alla Dieta ; e la seduta in cui parlò fu oltremodo agitata e tumultuosa : certi membri dell’assemblea, che non l’amavano, la tormentarono con domande imbarazzanti ; si udirono anche grida sfrontate e ribelli come “Il diavolo si porti la regina !” “La regina farebbe meglio a rivolgersi a Satana anziché agli ungheresi” . Maria Teresa non si lasciò impressionare : parlando nella difficile lingua ungherese ( ciò che già bastava a conciliarle le simpatie dei suoi interlocutori ) cercò di dare risposte convincenti a domande imbarazzanti ; si dimostrò serena e impavida nonostante le grida ingiuriose e al momento giusto e nel modo giusto seppe far leva sullo spirito cavalleresco dei suoi interlocutori . Secondo la tradizione a un certo punto avrebbe preso in braccio il suo ultimo nato per mostrarlo e fare così appello alla compassione dei suoi “valorosi ungheresi” ; al che, in piedi sui loro scranni, brandendo le spade, questi, superata ogni divisione e perplessità, avrebbero gridato “Moriamur pro rege nostro Maria Theresia” . La scena forse non è storicamente vera ; certo è che il viaggio in Ungheria ebbe esito felice e lo ebbe grazie all’abilità e al fascino di Maria Teresa . Da quel momento il punto più buio della crisi fu passato e cominciò per la Casa degli Absburgo la riscossa . Maria Teresa lascerà alla sua morte la monarchia più grande, più forte, più rispettata di com’era quando, poco più che adolescente, ne aveva prese le redini .

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Maria Teresa era una persona estremamente attiva . L’ambasciatore prussiano ci dà questo quadro della sua vita : “La regina ama il piacere, ma non lascia mai ch’esso prenda il sopravvento sul dovere . Un tempo era appassionata per la danza e assisteva a molti balli mascherati, ma ora vi ha quasi completamente rinunciato . E così dicasi del canto e della spinetta, che suonava in modo eccellente . Le sue distrazioni abituali si limitano ora a lunghe passeggiate a piedi o cavallo (…) . Percorre il paese in lungo e in largo fermandosi talvolta a bere una tazza di caffè o a consumare uno spuntino con amici, spesso alla Richterhaus di Linz, al Jammerpepi di Baden o al Piper nel Prater. Talvolta la regina fa a piedi camminate di tre o quattro ore in campagna, ma raramente va alla caccia alla volpe e solo per compiacere al marito” . La descrizione fin qui fatta nella sua lettera dall’ambasciatore prussiano potrebbe suggerirci l’idea che Maria Teresa avesse ampi spazi di tempo libero, ma così non era e ce ne rendiamo conto proseguendo nella sua lettura . “La regina – continua infatti la lettera – conduce una vita molto regolare . D’inverno si alza alle sei, d’estate alle quattro o tutt’al più alle cinque . Dedica tutta la mattinata alle lettura dei dispacci, alla firma dei documenti e ai colloqui con i suoi ministri . Alle tredici fa colazione, poi, si riposa, mai più di mezz’ora . Mangia spesso da sola per guadagnare tempo, e ciò tanto d’estate che d’inverno ; quindi si affretta a fare una passeggiatina a piedi, durante la quale esamina documenti importanti e dà un’occhiata ai dispacci . Dalle sette alle otto e mezzo di sera si prende qualche distrazione ; poi, dopo una cena leggera, che spesso si riduce a una tazza di brodo, fa una seconda breve passeggiata prima di andare a letto . La regina non si preoccupa mai della propria salute, fidando nella sua vigoria e nella sua forza di resistenza . Ha il sangue molto caldo e sta spesso seduta, anche in pieno inverno, vicino a una finestra spalancata ; generalmente le stanze sono sempre aperte a tutti i venti, con somma disperazione di coloro che le stanno attorno . Il suo medico le ha rivolto, a questo proposito, severi rimproveri, ma ella si limita a ridergli in faccia : la si è vista talvolta all’opera poche ore prima di mettere al mondo un figlio e il popolo ha avuto appena notizia dei suoi parti, che già la vede percorrere le strade in carrozza o lavorare nel suo gabinetto” .

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Una qualità di Maria Teresa molto apprezzabile e molto rara nei governanti era la naturalezza e la spontaneità nel comportarsi ; staremmo per dire la sua “democraticità”, se non stessimo parlando di una sovrana che…..avrebbe inorridito solo a tale parola . Per dare al lettore un’idea di ciò, la cosa migliore ci pare sia il riportare di seguito tre ( famosi ) aneddoti sulla sua vita . Durante una delle loro lunghe passeggiate nei dintorni di Vienna, Maria Teresa e Francesco si lasciarono tentare da alcuni grappoli d’uva . Mentre tranquillamente se li stavano mangiando, comparve il proprietario della vigna, il quale, non riconoscendoli, li aggredì : “Chi vi ha permesso di prendere la mia uva ?! Per punizione mi darete cinque gulden “. Ben volentieri Francesco e Maria Teresa li avrebbero dati, pur di mettere a tacere l’antipatica vicenda, ma con costernazione si accorsero di non avere in tasca neppure un soldo . Proposero al proprietario di aver pazienza, che immancabilmente l’indomani glieli avrebbero fatti avere . “Niente affatto – replicò il proprietario – Se non potete pagare, farete ventiquatt’ore di prigione “. E rinchiuse la coppia reale in una specie di magazzino per affumicare i prosciutti . Le ore passavano e a palazzo reale cominciarono a preoccuparsi della misteriosa sparizione dell’imperatore e dell’imperatrice . Poliziotti vennero sguinzagliati e alla fine le loro Maestà furono trovate, avvilite dalla lunga segregazione e preoccupate del ridicolo che su di loro avrebbe attirato ( quante risate si sarebbero fatte nelle birrerie di Vienna ! l’imperatore e l’imperatrice colti in flagrante furto ! ) . Ma l’abile Maria Teresa seppe evitare le conseguenze negative che all’immagine della Monarchia, dall’episodio, avrebbero potuto derivare . Si guardò bene dal punire il proprietario ; anzi, proclamando che non aveva fatto che il suo dovere, gli concesse per la vigna un’esenzione di tasse . E l’astuta regina non si fermò lì . Fece innalzare, sul posto stesso dove era stata arrestata, una lapide che diceva : “Ciascuno faccia il suo dovere” . E i bravi viennesi presero l’abitudine di raccogliersi ogni anno intorno a tale monumento, non per deridere la loro sovrana, ma per festeggiarne in allegria la saggezza e il senso di giustizia . Il secondo aneddoto è interessante anche perché coglie un grande compositore in un aspetto curioso della sua fanciullezza . Durante la costruzione del palazzo di Schonbrun, Maria Teresa andava quasi ogni giorno a rendersi conto dello stato dei lavori . Un giorno vide una banda di ragazzi che, con a capo un biondino, eseguivano ogni sorta di acrobazie sull’impalcatura più alta . Spaventata, fece chiamare il biondino, gli fece una solenne ramanzina e gli promise : ”Smetti quel gioco e domenica prossima ti darò un gulden nuovo di zecca” . L’indomani, tornata sul posto, la regina vide con inquietudine e stizza che il biondino e i suoi discoli compagni continuavano imperterriti nei loro giochi pericolosi : esplosione di collera imperiale e ordine alla guardia di somministrare al ragazzino biondo una severa correzione : “Gli avevo promesso un gulden fiammante se si fosse comportato bene , lo avrete voi per punirlo come si merita : dategli un gulden di sculaccioni” . E la regina si assicurò che il suo ordine avesse esecuzione . Passarono parecchi anni . Un giorno la musica sentita in un concerto tanto entusiasmò la regina che volle conoscerne il compositore . Appena lo vide, lo fissò attentamente : “Ma dove vi ho già visto ?” ”Sono, Maestà, quel ragazzo a cui a Schonbrunn ordinaste di dare un gulden di sculaccioni”. “Ah, si –disse la regina – debbo constatare che valeva la pena di spendere un gulden per impedirvi di rompervi l’osso del collo” ; e donò, al compositore della musica a lei così piaciuta, quasi a farsi perdonare la severa sculacciata, una tabacchiera piena di gulden . E Hayden – ché proprio il grande Hayden era il compositore di cui stiamo parlando – amava mostrare tale tabacchiera agli amici, narrandone la divertente storia . Quel senso materno, che già si rivela nell’ aneddoto che abbiamo or ora finito di narrare, ancor più si evidenzia in quello che passiamo subito a esporre . Un giorno, mentre la regina passeggiava portandosi dietro il piccolo Giuseppe ancora non svezzato, incontrò una mendicante, vestita di cenci, che dava alla sua scheletrica creatura un seno inaridito dalle privazioni . Commossa, la regina si fece dare il marmocchio tra le braccia e gli diede il suo seno da poppare . Ciò provocò la gelosia di Giuseppe, che si mise a tirarla per le vesti . Ma lei lo zittì allegramente : “Sta zitto, tu, piccolo : ce ne sarà anche per te” . Un’osservazione conclusiva sui tre episodi narrati : a noi, abituati a vedere i nostri governanti muoversi tra la gente circondati da guardie circospette, non viene invidia dei tempi in cui nella nostra Europa, re e principi potevano scendere tra la folla senza spiegamenti di forze, perché resi sicuri dall’amore o almeno dal rispetto dei loro sudditi ?

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Una critica che mossero i contemporanei e ancor oggi muovono gli storici alla grande regina, è di aver avuta un’eccessiva pruderie . Un visitatore del suo regno poteva riferire : “La regina, che è virtuosissima, moglie fedele e mai sfiorata da un pensiero impuro, non ammette facilmente le debolezze altrui . Disapprova radicalmente il vizio in qualsiasi grado” . Per combatterlo Maria Teresa istituì, nel 1757, una “Commissione dei buoni costumi” e una polizia speciale . E a dir il vero non mancavano buoni motivi per tali misure : la corruzione dei costumi era a Vienna veramente preoccupante . Un’aristocratica inglese, lady Montagu, poteva farne questo quadro : “I mariti guardano con occhio compiacente gli amanti delle loro mogli, trattandoli come delegati incaricati di risparmiare loro la parte sgradevole del mestiere ; ciò non vuol dire che la loro fatica personale ne risulti alleggerita, perché costoro esplicano di solito la loro funzione di delegati presso molte altre dame . In una parola, l’usanza vuole che ciascuna donna abbia due mariti : uno, del quale porta il nome e, l’altro, che compie i doveri del suo stato . La cosa è tanto naturale ed ammessa, che, l’invitare una signora senza la compagnia dei due uomini che ne condividono l’esistenza, significherebbe infliggerle un vero affronto pubblico . Questi duplici legami durano spesso vent’anni e riducono talvolta sul lastrico la famiglia dell’amante . E’ di cattivo gusto per un uomo non avere qualche relazione di tal natura e per una donna non procurarsene una, appena sposata . Un amante fa parte del corredo indispensabile di una signora di qualità . Il primo atto del contratto consiste nello stabilire una rendita che resta di proprietà della donna, anche in caso d’infedeltà dell’amante . Conosco parecchie persone appartenenti all’alta società, le cui pensioni extra-coniugali sono altrettanto note quanto le loro rendite personali . Nessuno vi trova a ridire , al contrario, si sospetterebbe subito della loro moralità, se si pensasse che si diano per niente” . Forse le parole della Lady risentono un po’ del gusto di fare sensazione e scandalismo ; però indubbiamente la corruzione a Vienna era molta ( anche se inferiore a quella di Parigi !) . Il male fu che Maria Teresa, nel combatterla, ci mise troppa passione ( forse perché si faceva sentire in lei l’amor proprio ferito dai tradimenti di Francesco ? le male lingue lo sostenevano ) ; e ciò la portò ad adottare dei provvedimenti poco conformi a quel buon senso di cui, in altre occasioni, dette prova . Qualsiasi donna incontrata sola per strada dopo il tramonto rischiava l’arresto e l’interrogatorio ; le più innocenti riunioni potevano essere turbate dall’irruzione della polizia e accadde anche che stranieri, sospettati di rapporti con delle viennesi, venissero espulsi . E le punizioni erano severe . Una volta le indagini della polizia portarono alla scoperta di un circolo i cui frequentatori, molti dei quali appartenenti alla più alta società, si accoppiavano per sorteggio : furono, per punizione, esposti incatenati a una delle porte della città, in balia degli scherni dei passanti . Unico loro nutrimento era quello che la carità pubblica loro portava . Sennonché tanta fu la simpatia e la premura della popolazione per i condannati …che si dovette rinunciare per il futuro a un tale genere di punizione (controproducente !). Nonostante tali draconiane misure, il vizio (naturalmente !) non fu vinto ; si occultò soltanto : spesso nelle cantine, dietro le porte sprangate vigilate da uomini armati e il cui ingresso era subordinato alla cautela di parole d’ordine (mentre c’erano passaggi sotterranei per rendere possibile la fuga in caso d’allarme ) . Più saviamente, ritengono gli storici, la regina si sarebbe comportata se, per combattere il vizio, si fosse limitata ad offrire ai sudditi l’esempio della sua vita di moglie fedele e di madre affettuosa .

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Un’altra critica, che viene mossa a Maria Teresa, riguarda il suo (feroce ) antisemitismo . Nel 1777 – in seguito ad una petizione indirizzatele per l’assegnazione ad un ebreo di una carica importante ( petizione in cui essa evidentemente vide l’indice di una pericolosa influenza acquistata dalla comunità ebrea nella società viennese ) – emanò un editto, in cui vietava agli ebrei di abitare a Vienna senza una speciale autorizzazione e dichiarava : “Non conosco piaga maggiore di questa razza bugiarda, usuraia, assetata di denaro, che trascina il mio popolo alla mendicità .Gli ebrei devono essere evitati e tenuti alla larga il più possibile” . Anni prima, nel 1744, aveva avuto addirittura in progetto l’espulsione degli ebrei ( progetto da cui desistette per la paura di rafforzare, con l’esodo di Israele, la nemica Prussia, e anche per le pressioni di Olanda e Inghilterra ) ; e quando un autorevole israelita aveva chiesto udienza per perorare la causa del suo popolo, solo dopo molte esitazioni era stato ricevuto e la regina aveva preteso che un paravento fosse interposto tra lei e il rappresentante della “razza maledetta” . Tale furore antisemita della sovrana non impedì a molti usurai ebrei di continuare a fare buoni affari in Vienna e, addirittura, di offrire i loro servigi…alla Monarchia .

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Maria Teresa fu senza dubbio una delle donne più prolifiche . Sposata a diciannove anni, a trentanove partorì l’ultimo figlio, che era….il sedicesimo . Tanta prolificità non fu subita, ma desiderata da Maria Teresa ; che, riferendosi ai figli, era solita dire : “non se ne ha mai abbastanza ; sotto questo aspetto sono insaziabile” . E come l’imperatrice, ancorché quasi ogni anno gravida di una nuova vita, riuscì ciò nonostante a reggere con energia ed efficienza le sorti del suo grande impero ; così la madre, ancorché gravata dalla responsabilità di un impero, seppe con affetto e dedizione prendersi cura dei suoi figli . Interessandosi anche, anzi soprattutto, della loro educazione . “Nonostante l’età, le malattie e la necessità di provvedere agli affari di governo, l’educazione dei figli è sempre stata la mia preoccupazione maggiore, quella a cui ho tenuto di più” – poteva dichiarare senza tema di smentite Maria Teresa . E l’ambasciatore prussiano riferiva al suo signore : “La regina è una madre affettuosa e severa” . Dai suoi figli Maria Teresa ebbe molte gioie senza dubbio, ma anche moltissimi dolori e preoccupazioni . La morte del figlio Carlo, strappatole dal vaiolo quand’era già giovinetto, le straziò il cuore . Scrisse nell’occasione di tale morte ad un’amica : “Prega per me, ne ho proprio bisogno, perché Iddio mi sta sottoponendo a una prova terribile” . Sempre il vaiolo – che ben a ragione Maria Teresa definiva “il nemico ereditario della famiglia imperiale” – colpì, sfigurandola, la più graziosa ( e la più vanesia ) delle sue figlie, Elisabetta . Si racconta che la povera principessa sentendosi affetta della terribile malattia, si facesse dare uno specchio per contemplarvi un’ultima volta la sua bellezza condannata . Con che strazio Maria Teresa, la madre, dovette sapere di questa scena o addirittura assistervi ! E, oltre ai dolori, c’erano le preoccupazioni . Sono note quelle che le diede la sventatezza di Maria Antonietta . Ma ancor più gravi furono quelle che le provennero da Giuseppe, il figlio destinato a succederle . Giuseppe, infatti, accanto a qualche bella virtù, aveva anche gravi difetti : era ostinato, presuntuoso, eccessivamente portato , verso i suoi simili, alla critica e a giudicarli con cinismo e senza nessuna benevolenza . La madre, visti vani i tentativi di correggerlo con le buone, non esitò a ricorrere, seppure con ripugnanza, anche alla frusta . “Un giorno (l’imperatrice ) ha voluto che ( l’erede al trono ) fosse frustato” – riferisce, il sempre ben informato, ambasciatore prussiano ; e continua : “Le si è fatto notare che non esisteva precedente alcuno di un arciduca nei confronti del quale fosse stata impiegata la frusta . “Lo credo – ha replicato lei – Ma non si è neanche mai data una situazione simile” , cioè un ragazzo così riottoso e disubbidiente” . ( Ma la tradizione vuole che Maria Teresa, dopo tale severa e umiliante punizione, si recasse nella stanza da letto del bambino per consolarlo e rabbonirlo con uno zuccherino ) . E quando Giuseppe diviene adulto e coreggente dell’impero, non per questo la madre cessa di seguirlo e di correggerlo con istruzioni, ammonimenti e consigli . Giuseppe, tutto preso dalle idee illuministiche, si atteggia a filantropo ; e lei gli muove l’accusa di praticare, non il vero amore del prossimo insegnato dalla Santa Religione, ma “la civetteria dello spirito” e di far uso di concetti libreschi senza il dovuto approfondimento . Giuseppe torna entusiasta da un suo viaggio in Francia ; e Maria Teresa lo mette in guardia dalle idee "progressiste" che in tale regno allignano anche a Corte. “Uno Stato non può esistere senza una religione dominante” - gli scrive . E ancora : “La tolleranza e l’agnosticismo sono strumenti buoni soltanto a mettere tutto in dubbio, a far sì che nulla abbia consistenza” . E con disprezzo si riferisce ai “filosofi” di Francia come a “quei lacchè che seguono i loro interessi e le loro passioni” distruggendo tutto . Giuseppe professa la sua ammirazione per Federico II, e Maria Teresa fa di questo una critica spietata . “So bene – gli scrive – che alcuni considerano Federico un Salomone, ma chi lo ha seguito attentamente fin dagli inizi, sa che è un uomo meschino e un autentico ciarlatano” . Anche la pretesa filantropia di Federico è – per Maria Teresa – solo una maschera ipocrita ; in realtà Federico è un misantropo che non si fida di nessuno e di cui nessuno ha fiducia . “Questo eroe, che fa tanto parlare di sé, questo conquistatore, ha forse un amico ?” – domanda la madre al figlio , che vede in pericolo di diventare, anche lui come Federico, un misantropo ( e l’occhio amorevole della madre vede giusto : Giuseppe, proprio come Federico, diventerà un misantropo !) . Giuseppe scrive una lettera a un collaboratore, biasimandone con toni eccessivi e impietosi la condotta ; e Maria Teresa severamente lo redarguisce : “Quello che più mi preoccupa è il fatto che voi non avete scritto questa lettera sferzante sotto l’impulso della collera, ma dopo ventiquattro ore di profonda riflessione, immergendo così di proposito il pugnale nel cuore di coloro che vorrebbero essere vostri leali servitori . Non è un imperatone né un coreggente che ha scritto una lettera così offensiva : essa è scaturita dal cuore stesso di mio figlio . E questo mi spaventa per l’avvenire della monarchia e per il vostro” . Si potrebbero continuare le citazioni ( traendole, non solo dalle lettere scritte a Giuseppe, ma anche da quelle, numerosissime, scritte agli altri figli ), ma quelle già fatte credo che bastino a darci l’idea di un’imperatrice, non solo coraggiosa ed energica, ma anche molto saggia e dotata di una profonda intuizione psicologica .

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Il 18 Agosto 1765 l’imperatore Francesco I improvvisamente morì, stroncato da un infarto . Fu un colpo durissimo per Maria Teresa . Pianse tutta la notte . La mattina dopo, si fece tagliare i lunghi capelli, distribuì tra le cameriere la maggior parte dei suoi abiti ormai diventati inadatti al perpetuo lutto che intendeva portare, e indossò quell’abito vedovile, con la cuffia legata stretta sotto il mento, che non smise fino alla morte ( che sarebbe avvenuta quindici anni dopo ) . Dell’enorme patrimonio privato lasciato da Francesco I, circa un terzo fu destinato alla costituzione di un “Fondo per la famiglia” , la cui funzione doveva esser di “dotare di appannaggi conformi al loro stato” i membri della Casa d’Absburgo (il cui mantenimento così non sarebbe più venuto a gravare sul bilancio dello Stato ) . Tale fondo fu amministrato con oculatezza da Maria Teresa ( che riuscì a incrementarne l’ammontare) ; ed esisteva ancora alla fine della monarchia, quando fu requisito dalla neonata Repubblica austriaca . Un mese dopo la morte del marito, Maria Teresa nominò coreggente il figlio Giuseppe ( che assunse anche il titolo, lasciato vacante dal padre, di imperatore del Sacro Romano Impero ) . Fu quella , tra Maria Teresa e Giuseppe, una collaborazione, per entrambi, sofferta e stressante . “Continuiamo a pranzare insieme solo per conservare le apparenze” – confessò nel 1771 Maria Teresa ad un’amica - L’atmosfera si fa ogni giorno più pesante e non mancano le ripicche” . Tuttavia l’energica ( e autoritaria ) sovrana, nonostante la indocilità del figlio, seppe tenere le redini dello Stato nelle sue mani fino alla sua morte . Questa sopravvenne nel Novembre 1780, quando aveva appena sessantatre anni . Mentre era a bordo di una carrozza scoperta, era stata sorpresa da un piovasco . L’infreddatura che ne seguì, degenerò fatalmente portandola in poco tempo (una ventina di giorni ) in fin di vita . Resasi conto della prossima fine, l’unico timore che ebbe l’imperatrice fu di essere colta, nell’estremo istante, da qualche debolezza indegna di una nobile regina . “Mi sento – diceva – inquieta ; ma in realtà non temo la morte . Possa il cielo sorreggere fino alla fine il mio coraggio !”. In quello che sarebbe stato il suo ultimo giorno in questa terra, guardando dalla finestra vide che pioveva : “Brutto giorno, per intraprendere un lungo viaggio !” – mormorò . Anche nelle ultime ore di vita, non poté stare inattiva ma si prodigò per dare al figlio avvertimenti e consigli . Questi, vedendo il suo sfinimento e la difficoltà che aveva a respirare, la esortò : “Ora, mamma, tentate di dormire un poco” . “Come ! – lei replicò con impazienza – mi rimangono poche ore da vivere e volete che le trascorra dormendo ?” . A un certo momento ( e sarebbe stato l’ultimo momento della sua vita ), si alzò dalla poltrona per andare verso il letto . Il respiro le mancò e gridò a Giuseppe : “Apri le finestre” . “Ma sono spalancate, mamma – egli le disse . Allora Maria Teresa, alzate le mani al Cielo, gridò : “Signore, io vengo a Te”. Quando le sue braccia ricaddero, era morta . Ora riposa accanto all’amato consorte, nella cripta dei Cappuccini, in quella che fu la capitale del grande impero da lei retto ; e lì aspetta di risorgere nel giorno del Giudizio . Maria Teresa d’Austria : oroscopo

15 . 05 . 1717 07h 00m LMT 05h 54m GMT Vienna Austria Ascendente , Cancro Sole in Toro

Dominante del tema di Maria Teresa è senza dubbio il segno del Cancro . Esso si trova infatti all’Ascendente e vede il suo influsso rafforzato dalla vicinanza di Giove e della Luna ( pianeti che con lui hanno una sorta di affinità : in termini più tecnici e precisi, Giove è in “esaltazione” nel Cancro e la Luna vi ha il suo “domicilio”) . E’ il Cancro, quindi, che ci dà la chiave per comprendere la personalità di Maria Teresa ; e questa chiave è , maternità . Tutte le donne nate nel cancro hanno un forte senso materno ( non per nulla il grande Klocker così sintetizza le caratteristiche del Cancro : “Segno d’estate, cardinale, d’acqua, affine alla luna, fertile , musicale” ) . E Maria Teresa sarà, sì, una regina, sarà, sì, una sposa, ma sarà una regina che vorrà essere una madre per il suo popolo ( Maria Teresa che, alla delegazione ungherese venuta a omaggiarla, dice : “Io sarò per l’Ungheria un padre e una madre”) e una sposa che tratterà il marito come un figlio ( si ricorda il lettore con quanto senso materno Maria Teresa scrive al suo Francesco di Lorena ? “Adieu topolino, vi abbraccio con tutto il cuore e abbiate cura di di voi…”). E non c’è da stupirsi se Maria Teresa, sempre in perfetta sintonia col segno “fertile” che la “domina”, avrà una numerosissima figliolanza e, ai figli riferendosi, dirà : “Non se ne ha mai abbastanza : sotto questo aspetto sono insaziabile” . Ma Maria Teresa, non fu solo madre per il suo popolo, fu anche ( quel che, in definitiva, più conta ) una “buona” madre : il cielo di nascita, infatti, le aveva fornito tutte le doti per ben governare . Era intelligente : Sole congiunto a Mercurio – il Sementovsky insegna nel suo famoso trattato che, chi è, da tale aspetto segnato, può “vantare concezioni chiare ed approfondite, una facoltà di giudizi spassionati, doti di un’intelligenza costruttiva in genere” . Aveva, dinamismo, inventiva, spirito organizzativo : Sole in trigono con Urano – il Sementtovsky così parla dei segnati da tale aspetto : “Si tratta d’individui che in un modo o nell’altro possono considerarsi eccezionali . Sorprende soprattutto il dinamismo che ne caratterizza tanto il volere quanto l’agire” ; e ancora . “Si dovrà ( per essi ) quasi sempre presumere un grande talento organizzativo” . Aveva eccellenti doti diplomatiche : cuspide della quinta “casa” in Bilancia – al cui proposito il Sementovsky chiosa : “Sensibilità, tatto e fascino procurano al soggetto numerose simpatie ; può essere circondato da una schiera di ammiratori” ( i magnati ungheresi che, sguainate le spade, gridano “Moriamur pro rege nostro Maria Theresia” !) . Tale positivo influsso della Bilancia è poi rafforzato dal Sole nel Toro : il Toro, infatti, ha come sua dolce signora Venere e, quindi, i nati sotto il suo influsso hanno il dono di farsi amare e l’arte della diplomazia . Sempre al Toro, Maria Teresa dovrà un’altra dote preziosa per un governante : la pazienza ; quella pazienza che permise a Maria Teresa di sopportare senza abbattersi i numerosi rovesci che la colpirono specie all’inizio del suo regno ! . Certo ogni quadro ha le sue ombre, e anche Maria Teresa ha i suoi difetti : il più grave è un’intolleranza che può giungere fino al fanatismo . Difetto, questo, che nella carta del cielo è denunciato soprattutto da Luna opposta a Marte – aspetto a cui il Sementovsky ricollega lapidariamente questo significato : “Fanatismo religioso o politico” : è quello di cui dà mostra Maria Teresa accettando di parlare al rappresentante della Comunità ebraica solo attraverso un paravento, accanendosi oltre ogni ragionevole misura nell’individuare e punire i devianti dalla morale corrente . E la vita sentimentale di Maria Teresa ? domanderà il lettore : che dice su di essa la carta del cielo ? Nulla di buono . Il Capricorno alla cuspide della casa settima ( la casa che informa l’astrologo sui rapporti col coniuge) impietosamente sentenzia : “Matrimonio monotono” . Monotono per Maria Teresa, che ciò nonostante sopporta e rimane fedele, e monotono anche per Francesco di Lorena, che, invece, finisce….per cercarsi diversivi fuori del talamo coniugale . Per cui non c’è da stupirsi della presenza di un Saturno in Bilancia e in casa quinta, aspetto che (come insegna Sementovsky) significa : “Delusioni in amore” . Eh, sì, anche le regine…piangono per amore !!! Sezione Seconda : Vita di nove grandi personalità spirituali

Sri Aurobindo

Aurobindo Ghose nacque a Calcutta il 15.08.1872 alle 4,30 del mattino, terzogenito di sei figli . La sua famiglia era di gloriose tradizioni : “Tutti i Ghose – poteva vantarsi in una lettera un suo fratello - discendono dal Panjab, ai confini con l’Afghan . Il nome significa fama ; e infatti essi erano una casta di prodi guerrieri . Ma la nostra famiglia – continua il fratello – disgraziatamente è decaduta ; il palazzo di famiglia, un nobile edificio non molto lontano da Calcutta è completamente in rovina”. Il padre di Aurobindo era un carattere forte e volitivo : laureatosi in medicina aveva saputo conquistare una posizione preminente nella società, perché non si limitava all’esercizio della professione medica, ma era presente in ogni iniziativa che fosse a vantaggio della popolazione ( costruzione di ospedali, di scuole, di strade….) . La madre, Swarnalata Bose, era invece malata di nervi, un’isterica (probabilmente nella famiglia materna esisteva una tara ereditaria : uno zio di Aurobindo era pazzo e una zia, isterica come la madre ) . Ancora bambino ( sette anni ) Aurobindo viene mandato in Inghilterra perché faccia gli studi necessari per far carriera in un domani nei ranghi dell’amministrazione britannica. In Inghilterra si rivela uno studente brillante e poliglotta ( conosce l’italiano, il francese, il tedesco, e anche un po’ di spagnolo – oltre naturalmente all’inglese ) e un raffinato poeta : si paga le spese di permanenza a Cambridge con una borsa di studio, vince il premio Rawley per i migliori giambici greci e latini . Peraltro vive in ristrettezze economiche e soffre per il senso di superiorità che l’orgogliosa nazione inglese nutre verso “quei poveri pagani d’indiani” ; per reazione egli manifesta la sua simpatia per il movimento indipendentista irlandese, entra nell’Indian Majilis, un’organizzazione di studenti indiani impegnati in un discorso politico, e, prima di lasciare l’Inghilterra, giunge ad iscriversi ad una società segreta, Lotus and Dagger , che ha per scopo la liberazione dell’India . Il suo ritorno in patria coincide con la morte del padre ; morte da lui indirettamente causata : il piroscafo, su cui egli deve imbarcarsi e su cui invece per una “fortunata coincidenza” non si imbarca, fa naufragio : il padre viene avvisato che il figlio si è salvato, ma, il trauma psicologico subito, lo porta alla tomba . Quanto alla madre, il suo stato di salute è così grave, che non è neanche in grado di riconoscere il figlio quando le si presenta davanti .

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In patria Aurobindo deve farsi carico del mantenimento, oltre che della madre, di una sorella e di un fratello ; fortunatamente il Maraja, che lo stima, gli procura un posto al Borodi College, come insegnante di francese . Non si può dire, però, che svolgesse con grande dedizione i suoi compiti professionali . Egli stesso lo ammette : “ Io non ero un professore così coscienzioso come mio fratello . Non avevo l’abitudine di seguire il testo ; e qualche volta le mie spiegazioni non coincidevano con esso” . Una volta, a lui che faceva una lezione su La vita di Nelson di Sothey, gli studenti fecero notare che quello che diceva non c’era per niente nel testo . “Non ho letto il libro – replicò – e, in ogni caso, sono tutte sciocchezze” . Ma se trascura l’insegnamento non è certo per darsi a frivolezze o alla vita mondana . Anzi da questa rifugge, tanto da meritarsi i rimproveri degli amici ; a cui però seccamente risponde che “in tale vita non vede alcuna soddisfazione, né risultato ! ” . Egli è in realtà uno studioso ( capace di stare sui libri fino a tarda notte ) e un raffinato scrittore ( fa traduzioni, scrive poemi epici e poesie ) . Nella scelta dei libri preferisce la letteratura, specialmente la poesia, la storia e anche scritti politici . Non è invece attratto verso la filosofia , specie quella occidentale . La spiritualità indiana l’apprende dalla lettura dei discorsi di Ramkrishna e dalle opere di Vivekananda . Non parlava mai di sé e in genere era parco di parole, preferiva ascoltare e meditare . Se qualcuno gli poneva una questione rispondeva “si” o “no”, senza andare oltre . Un collega così lo descrive : “Egli era molto semplice nel modo di vivere . Non era affatto di gusti delicati . Non si preoccupava per il cibo o i vestiti, perché non ci dava alcuna importanza . Non dormiva sul materasso, ma su un letto di fibre di cocco su cui stendeva un stuoia . Un’altra cosa, che notavo in lui, era l’assenza totale di attaccamento al denaro . Magari arrivava a casa con lo stipendio di tre mesi nella borsa e lo vuotava in un vassoio sul tavolo . Non si preoccupava affatto di tenere il denaro al sicuro, in una cassetta chiusa a chiave . Né teneva il conto di ciò che spendeva” . Con tutto ciò non era affatto uno scialacquatore anzi “ non spendeva un pil nella maniera sbagliata” . Rivelatore di quell’incipiente abbandono a Dio, che costituirà uno dei punti centrali della sua filosofia, è il seguente dialogo che Aurobindo ha con un collega che gli domanda il perché di tanta trascuratezza nel custodire il denaro . “ A tale domanda – riferisce il collega –egli rise e poi disse : Beh! È una prova che siamo tra gente onesta . – Ma voi non tenete mai un conto che possa dar la testimonianza dell’onestà della gente, che avete attorno – replicai . Al che con faccia serena rispo= se : E’ Dio che tiene i conti per me . Ad ogni scadenza non mi lascia un debito ; e allora perché dovrei preoccuparmi ?” . Quest’uomo, schivo, introspettivo, austero, inaspettatamente si sposa : egli ha 29 anni, la sposa, di nome Mrilanini Devi Bose, ne ha tredici . Mrilanini è seria, d’intelligenza probabilmente superiore alla media, ma ….non all’altezza di un Aurobindo . Mrilanini vivrà prevalentemente separata da suo marito . Suo fratello scriverà che “essa ha sempre sopportato serenamente questa separazione perché si rendeva conto che, quantunque fosse molto stimata da suo marito, non poteva essergli d’aiuto con continue richieste di compagnia” . Morì nel 1918 ad appena 30 anni . Non sembra che mai Aurobindo avesse con lei rapporti sessuali : certo non ebbero figli .

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Dopo sei anni che è tornato dall’Inghilterra, Aurobindo decide di aderire ai gruppi che mirano alla liberazione dell’India attraverso una lotta violenta, che assume soprattutto la forma di azioni terroristiche ( bombe nei treni, attentati alle personalità più in vista dell’amministrazione britannica….) . Apertamente Aurobido si limita a dirigere dei giornali ( accesamente ) rivoluzionari ; segretamente finanzia il terrorismo ( sia che si tratti di acquistare armi ed esplosivi, sia che si tratti di pagare la permanenza all’estero di quei terroristi che vi si recano per imparare la guerriglia e l’uso delle armi) e ne favorisce in ogni modo possibile l’azione . Dunque Aurobindo è un violento ? Si, certamente egli è un violento, ma anche un mistico ( come lo furono moltissimi indiani che si ribellarono all’Inghilterra con le armi in pugno ) . Egli crede nella forza ( nella Shakti ) : “Se non abbiamo la Forza, siamo come uomini in sogno, che hanno le mani ma non possono colpire, hanno i piedi ma non possono camminare” . Ma crede anche che ogni Forza derivi da Dio : “Per ottenere il vigore, di cui abbiamo bisogno, dobbiamo pregare la Madre della Forza . Essa chiede un culto, ma non per Lei, ma per poter venirci in aiuto e donarsi a noi . Questa non è un’idea fantastica, né una superstizione ma la legge ordinaria dell’Universo . Gli Dei non restano sordi alle preghiere dei loro devoti ; e l’Eterno non è insensibile alle suppliche . Ciò che è vero per l’Eterno è vero anche per Colei che deriva da Lui” . Questa Forza all’inizio Aurobindo la manifesterà nella lotta armata allo straniero oppressore del suo popolo ; giunto ad un ulteriore grado di evoluzione egli la manifesterà in maniera più sottile e più efficace che la lotta armata . Ma mai Aurobindo rinnegherà il culto della Forza, della Shakti ; mai avrà nulla a che fare con i pacifisti alla Luther King .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Ed è proprio la ricerca della Forza, che spinge Aurobindo a praticare lo yoga : “M’accorsi che lo yoga dava un potere ; e pensai : perché, per diavolo, non dovrei acquistare quel potere e usarlo per liberare la Nazione ?”. Si mette dunque a praticare lo yoga e il progresso in questa disciplina lo porterà a conoscere un maestro e, con l’aiuto di questi, all’esperienza del Bhraman impersonale . Ma sentiamo il racconto che di tale sviluppo fa lo stesso Aurobindo : “ Dopo quattro anni di pranayama e altri esercizi yogici per mio conto, senz’altro risultato che una maggiore salute e un aumento di energia, qualche fenomeno psicofisico, una gran vena poetica e letteraria e un potere limitato di “vista sottile”, ebbi un completo arresto e non sapevo che fare . Fu allora che decisi di incontrare un uomo, senza fama, che io non conoscevo, un bakti yogi, con una mente limitata, ma con una buona esperienza e poteri evocativi . Noi sedemmo assieme e io seguii con assoluta fedeltà quello che egli mi diceva di fare, neppure io capendo all’inizio dov’egli mi stesse portando, o dove io stessi andando . Il mio maestro si chiamava Vishnu Bhasker Lila . “Siedi – mi disse – guarda e vedrai che i tuoi pensieri entrano in te dall’esterno . Prima che entrino, rigettali indietro – . Io sedetti e guardai e vidi, con mia meraviglia, che era così : vedevo e sentivo concretamente i pensieri avvicinarsi, come per entrare attraverso e sopra la testa ; e fui capace di ricacciarli indietro concretamente, prima che entrassero dentro . In tre giorni, realmente in uno, la mia mente divenne piena di un eterno silenzio” . Questa esperienza, continua Aurobindo, mi fece vedere “con meravigliosa intensità il mondo, come un gioco cinematografico di forme, nell’impersonale universalità dell’assoluto ” . Non si deve credere però che tali esperienze di carattere mistico, portino Aurobindo a ritirarsi dal mondo e in particolare dalla lotta politica . Anzi servono a infondergli in tale lotta una sempre maggiore energia : egli diventa uno dei più prestigiosi capi della rivoluzione indiana . A Nagpur viene portato, inghirlandato di fiori, in trionfo, su un carro trainato da quattro cavalli , fino al tempio di Mamaleli, seguito da 40 torce e da un complesso musicale . E nella lotta rivoluzionaria Aurobindo persevera anche quando Lele, il suo maestro spirituale, venutone a conoscenza, lo mette in guardia : “L’impulso che alla lotta lo conduce può essere asurico, demoniaco . Egli non si prende nessuna responsabilità delle conseguenze, se lui continua nella lotta violenta” . Aurobindo non raccoglie l’avvertimento e di fatto cessa ogni rapporto con Lele : come d’ora in poi Aurobindo riconoscerà solo la sua voce interiore . Sarà però questa voce interiore che in un momento traumatico della sua vita gli comanderà di abbandonare la lotta violenta ; ed allora egli ubbidirà . E con ciò veniamo a parlare dell’anno passato in prigione da Aurobindo .

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Il movimento rivoluzionario aveva deciso di iniziare un’azione di guerriglia mirante a sollevare un moto popolare : si fecero deragliare dei treni, si gettarono bombe nelle case (….) . Nell’Aprile 1908 due compagni di lotta di Aurobindo furono incaricati di far fuori un magistrato inglese, reo di eccessiva severità verso alcuni componenti del movimento . L’attentato ha luogo, ma i terroristi confondono la carrozza e la bomba fa due vittime innocenti : una signora e sua figlia . La reazione della polizia è immediata e tra gli arrestati vi è anche Aurobindo . Questi è al trentaseiesimo anno d’età, rimarrà in prigione esattamente un anno e un giorno e ne uscirà cambiato nelle idee e deciso ad abbandonare la politica attiva . Ma vediamo come lo stesso Aurobindo spiega questa sua metamorfosi in un discorso, diventato famoso, da lui fatto, appena uscito di prigione, alla Rakshini Sabha ( "Società per la protezione della Religione") . Aurobindo racconta ai suoi amici e simpatizzanti raccolti davanti a lui per festeggiarne la liberazione, come i primi giorni in cui si trovò in carcere, fu preda della disperazione ; poi, a un certo punto, si fece silenzio in lui e in questo silenzio sentì la parola di Dio, di Krshna : “Mi sembrò che Egli….mi dicesse : - I legami, che tu non avevi la forza di rompere, li ho rotti Io per te, perché non è mia volontà e non è mai stata mia intenzione che questo continuasse . Devo farti fare un’altra cosa ed è per questo che ti ho portato qui, per insegnarti ciò che non avresti mai imparato da solo ed esercitarti per il mio lavoro . E poi mi mise in mano la Gita . La Sua forza entrò in me, ed io fui in grado di compiere la sadhana della Gita . Non si trattava solo di capire intellettualmente, ma di avere l’esperienza interiore di ciò che Krshna chiede ad Arjuna e di ciò che Egli chiede a coloro che aspirano a compiere il Suo lavoro : di essere liberi da ogni repulsione e desiderio, di fare il lavoro per Lui, senza aspettare i frutti, di rinunciare alla propria singola volontà e diventare un passivo e fedele strumento nelle sue mani . Poi – continua sempre a raccontare Aurobindo – questa fu la seconda cosa, che Egli mi mostrò : mi fece capire la verità centrale della Religione indù . Egli rivolse i cuori dei miei carcerieri verso di me ed essi parlarono all’inglese a capo della prigione : - Egli soffre nella sua segregazione : lasciatelo passeggiare, fuori della sua cella, almeno per mezz’ora, la mattina e la sera - . Così fu fatto, e fu proprio in questi momenti di passeggio, che la Sua forza di nuovo entrò in me , Io guardavo la prigione, che mi isolava dagli uomini : no, non ero rinchiuso dalle sue alte mura : era Vasudeva che mi cingeva . Camminavo sotto i rami dell’albero, che era di fronte alla mia cella : ma non era più l’albero, lo capivo, era Vasudeva, era Krshna, che mi assisteva e proteggeva con la sua ombra . Io guardavo le sbarre della mia cella, l’inferriata che faceva il suo dovere di porta : di nuovo era Vasudeva (….) .Quando incominciò la fase istruttoria e noi fummo portati davanti al magistrato, io ebbi le stesse percezioni . Egli mi disse : - Quando fosti portato in prigione, non venne meno il tuo cuore, non mi gridasti : Dov’è la tua protezione ? Guarda, ora, il magistrato, guarda il consiglio d’accusa – Io guardai : e non era più il magistrato, che vedevo, era Vasudeva, era Narajana che sedeva lì sul seggio . Io guardai il consiglio d’accusa : ma non era più il consiglio d’accusa, che vedevo : era Krshna che sedeva lì, era il mio Amico, che sedeva lì e sorrideva . – Hai ancora timore? – Egli mi disse – Io sono in ogni uomo e governo le loro azioni e le loro parole . La mia protezione è ancora con te e tu non devi temere . Questa causa, che è intentata contro di te, lasciala nelle mie mani . Non ti riguarda . Non è per il tuo giudizio, che Io ti ho portato qui, ma per qualcos’altro . Il processo stesso è solo un pretesto per il mio lavoro e niente più “.

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Dunque Aurobindo esce dal carcere cambiato da una profonda esperienza spirituale : niente più politica attiva . Sì, ma questo il Governo inglese non lo sa, la polizia sempre lo sorveglia e un giorno Aurobindo viene informato che lo si vuole arrestare di nuovo . Decide allora di lasciare il territorio sotto giurisdizione inglese e dopo varie peripezie approda ( con un nome e un passaporto falso ) a Pondicherri ( colonia sotto la giurisdizione francese ) . Lo raggiungono quattro giovani che erano stati suoi collaboratori a Calcutta . I primi quattro anni di Aurobindo nella città, che lo vedrà venerato maestro e ne accoglierà la tomba, sono durissimi . Egli non si preoccupa di cercare lavoro, di trovare una sistemazione economica : al suo mantenimento si è impegnato a provvedere un suo discepolo, che fa l’imprenditore, Motilal Roy : sennonché l’impresa di questi ha alterne fortune e le rimesse in denaro sono tutt’altro che regolari . Così che nell’Agosto 1913 Aurobindo ad un amico scrive : “Presentemente sono al sommo delle difficoltà : indebitato, senza soldi per il domani, isolato qui a Pondicherri , e tutti quelli che potrebbero aiutarmi sono in temporanee o permanenti difficoltà, o assenti, o fuori comunicazione” . Da più parti viene sollecitato a tornare alla guida del movimento rivoluzionario ; ma egli sempre rifiuta . Ma – ancorché convinto ormai che la risposta più efficace ai mali dell’India non possa essere la lotta armata – non assume verso coloro che la praticano un atteggiamento di condanna ; anzi. E così ad esempio non ha difficoltà ad indirizzare dei rivoluzionari, che volevano imparare a costruire delle bombe, da un artigiano di sicura competenza . Tra i suoi stessi discepoli, poi, non sono pochi quelli che, alla lotta armata, aderiscono : ad esempio, quando nel dicembre 1912 viene fatta scoppiare una bomba assai potente contro il corteo che accompagna l’entrata del viceré delle indie in Nuova Delhi, tra gli esecutori dell’atto terroristico vi è Rashehery Bore, che è un suo fedelissimo . Ed è interessante leggere la lettera che, a commento di tale episodio terroristico, Aurobindo , a un altro suo discepolo, il Roy, scrive ( in linguaggio cifrato per sfuggire all’attenzione della polizia : yoga tantrico = attività rivoluzionaria , cimitero = Nuova Delhi , sepolcro dei potenti imperi del passato e prossima tomba dell’impero britannico in India ) . “A proposito dello yoga tantrico – scrive Aurobindo – il vostro esperimento nel cimitero è stato un po’ azzardato, ma sembra che sia stato eseguito in modo efficiente e con intelligenza ed il risultato è giustamente soddisfacente” .

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Una svolta nella vita di Aurobindo è determinata dal suo incontro con . E’ questa un donna eccezionale : un carattere forte, una spiritualità vivissima . Da giovinetta le capitava di vedere in sogno un uomo negli atteggiamenti del Dio Krshna : quando arriva a Pondicherri subito riconosce in Aurobindo il Krshna delle sue visioni . Mirra diventa discepola e, più che discepola, l’alter ego di Aurobindo : essa porta pulizia, efficienza ed organizzazione nella vita della comunità che si sta formando attorno a questi , soprattutto determina in essa un nuovo clima . “Essa installò – scrive un discepolo di questi – nel suo alto piedistallo di maestro e di signore dello yoga . Prima Aurobindo era un amico e compagno, naturalmente il "profeta del nazionalismo” e il "leader della rivoluzione”, magari anche il grande “guru dello yoga” ; ma i giovani, che erano con lui, non avevano mai espressi, nell’atteggiamento esteriore, la venerazione e il rispetto, che gli portavano . La Madre ( così i discepoli di Aurobindo si riferiscono a Mirra Alfassa –n.d.r. ) insegnò loro, col comportamento, le parole e il suo atteggiamento, che cosa significasse essere “discepoli” di un “Maestro” e come dovessero disporre la mente e il cuore, per ricevere da Sua grazia” . Non si deve pensare a questo punto ad Aurobindo come ad un essere cristallizzato ( al momento dei fatti, a cui la lettera si riferisce, 1920 ) in una perfezione ormai raggiunta : nonostante l’esaltante esperienza spirituale avuta in carcere, nonostante il culto di cui è oggetto, Aurobindo nel 1920 è un essere eccezionalissimo, ma non perfetto : solo nel 1924 smette interamente il vino, solo nel 26 cessa completamente di fumare . Certo quelli ora citati sono piccolissimi difetti, ma che ( insieme all’uso di un passaporto falso per espatriare : Gandhi avrebbe mai mentito per salvare la vita ?!) ci dicono come Aurobindo avesse ancora necessità di seguire una sadhana . E infatti la segue, rigorosissima . Dal 1926 si ritira nella solitudine della sua stanza, resta in rapporto con i discepoli soltanto per corrispondenza e appare pubblicamente ( Darshan ) solo tre volte all’anno . E’ Mirra Alfassa che si fa carico del mènage della casa, assume la guida dell’, coordina la meditazione, mantiene il contatto personale con i discepoli .

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Poi, il 24 Marzo 1926, si verifica nella persona di Sri Aurobindo un evento spirituale difficile a comprendersi per chi come noi è un analfabeta nel mondo dello spirito, ma a cui sia Aurobindo, sia la Mirra sia i discepoli hanno sempre attribuito un’eccezionale importanza . Noi possiamo tentare di coglierne l’essenza paragonandolo alla discesa dello Spirito Santo nei discepoli del Cristo . Ecco comunque come vi si riferisce un discepolo di Aurobindo : “Il sentimento che la discesa della Coscienza Suprema avrebbe avuto o stava per aver luogo crebbe nella mente dei discepoli, sia come risultato di alcune indicative esperienze personali, sia per l’atmosfera generale (….) . Finalmente il gran giorno arrivò (….) . La Madre sparse la voce che tutti i discepoli si radunassero il più presto possibile nella veranda dove si teneva normalmente la meditazione (….) . Ci fu un grande silenzio nell’aria dopo che i discepoli furono radunati . Molti videro un flusso oceanico di Luce scendere dall’alto . Ciascun presente sentì una specie di pressione sopra la testa . (Entrano Sri Aurobindo e la Madre ). Silenzio assoluto, un silenzio vivo : non solo vivo, ma palpitante di divinità. La meditazione durò circa 45 minuti . Poi i discepoli, uno per uno, si inchinarono alla madre . Ogni qualvolta un discepolo si inchinava alla Madre la destra di Sri Aurobindo si alzava dietro la Madre, come per benedire attraverso di lei . Dopo la benedizione, nello stesso silenzio, proseguì per breve tempo la meditazione . Tra la meditazione e la benedizione molti ebbero particolari esperienze . Quando tutto fu finito, parve ad essi di svegliarsi come d un sogno divino” . Siamo, come detto, nel 1926 ;. il 24 Novembre 1950 Sri Aurobindo è costretto a letto per uremia . Ai discepoli medici, che sono accorsi al suo capezzale, non si permette di intervenire né con l’operazione chirurgica né con gli altri rimedi suggeriti dalla medicina occidentale . I discepoli pregano il maestro – che aveva dato prova in altre occasioni di poteri taumaturgici – di guarire se stesso : egli rifiuta . Aurobindo muore o, come preferiscono dire i suoi discepoli, ha il Samadhi , il 5-12-1950 . Gandhi

Gandhi: biografia

Mohandas Karamahand Gandhi nacque il 2 Ottobre 1869 sulla costa nord orientale dell’India, in un piccolo principato, Porbandar, di cui parecchi membri della sua famiglia erano stati Primi Ministri . Tra questi suo padre, Karamchand : un uomo leale, integro, generoso, dai modi cortesi nonostante un temperamento irascibile . Il figlio Mohandas ne parlerà sempre con grande rispetto ( solo rimproverandogli una certa tendenza per i piaceri della carne, perché, vedovo, si era sposato per la quarta volta a quarant’anni passati ) . Ma l’influenza che più si imprimerà nella sua giovane anima, fu quella della madre, Putlibai : una donna semplice ma saggia, di cui si cercava il consiglio anche, così si dice, per gli affari di Stato ; una donna che – come tutta la famiglia d’osservanza Visnhuita – ogni giorno si recava al tempio, portandosi dietro i figli, e poi, il nome di Rama sulle labbra, si dedicava con alacrità e diligenza alle occupazioni domestiche . Dunque il giovane Mohandas fu allevato in un ambiente fortemente religioso ; però, come per molti suoi giovani coetanei, la sua fede entrò in crisi quando incominciò a frequentare la scuola. L’insegnamento ( in lingua inglese ) in questa impartito mirava a inculcare nelle giovani menti degli scolari il dogma della superiorità assoluta di tutto ciò che veniva dall’Inghilterra : si decantava la potenza politica e militare di questa, se ne vantavano l’alta civiltà e le conquiste scientifiche , la mirabile sua organizzazione sociale ; e in contrapposto si evidenziavano le deficienze passate e presenti dell’India . Ne risultava nei giovani allievi un sordo rancore contro i loro colonizzatori, congiunto alla convinzione che solo imitandone le idee e i costumi sarebbero riusciti a liberarsene . Come i suoi compagni, Mohandas sogna di scrollare il giogo : “Io – scriverà – desideravo diventare forte e audace, io volevo la stessa cosa per i miei compatrioti in modo da poter battere l’Inghilterra e liberare l’India” . Ma che cos’è che rende così forti gli inglesi ? La carne ! Diceva un sonetto alla moda di un poeta Jujrati: Vedete com’è forte il britanno e sottomette schiavo l’Indù ; s’egli non fosse di carne mangiatore egli non avrebbe tanto cuore . Per accrescere le sue energie e poter così battere gli inglesi, Mohandas decide di diventare carnivoro. Di nascosto – chè la sua famiglia, come tutte quelle indù, è strettamente vegetariana – si procura, insieme ad un suo compagno, un pezzo di capretto . Al primo boccone, vomita di disgusto . La notte seguente – racconterà poi – fu “spaventosa…mi sembrava che una capra belasse dentro di me” . Si fa forza, e per un anno continua nella “cura” . Poi, la dissimulazione a cui ciò lo costringe, gli riesce intollerabile e decide di attendere, per continuare nella dieta, d’essere libero da ogni tutela. Le vicende della vita, però, disporranno diversamente : egli persevererà nel vegetarianismo fino alla morte . Mohandas ha sedici anni quando muore suo padre. Due anni più tardi parte per l’Inghilterra per studiarvi legge e poter esercitare al suo ritorno il fruttuoso mestiere di vakil ( avvocato ). Parte disubbidendo all’ordine della su casta ( che lo scomunica ), ma con il consenso della madre ; che, però, pretende da lui il giuramento solenne che in terra inglese si asterrà, dalla carne, dall’alcool e dalle donne . Parte lasciando in India, Kasturbai – la giovinetta che ha sposato in giovanissima età, tredici anni ( secondo un uso ch’egli più tardi combatterà con forza ) – e un bimbo ancora in fasce .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Mantenere il giuramento ( niente vino, né donne, né carne ) che la madre gli aveva fatto fare, alla partenza per l’Inghilterra, non era facile per Gandhi . Non bere alcolici, nulla gli costava . Essere fedele alla giovane moglie lasciata in India, neanche : in definitiva le donne gli facevano paura ! Ma non mangiare carne, com’era possibile in un paese carnivoro come l’Inghilterra del tempo ?! Egli rischiava di morire di fame, rifiutando ogni piatto in cui comunque ve ne fosse ! Con tutto ciò non gli passò neanche per la mente d’infrangere il suo voto : egli aveva dato la sua parola, e doveva mantenerla , costasse quel che costasse . Fortunatamente la provvidenza vegliava su di lui : mentre un giorno, affamato, girava per le vie di Londra, gli apparve l’insegna di un ristorante vegetariano : era la salvezza ! A contatto con l’ambiente di quel ristorante e con l’aiuto di qualche buon libro, Gandhi si convinse delle virtù del vegetarianismo . E da allora ne diventò un fervente apostolo . Gandhi si era recato in Inghilterra, non solo per imparare il diritto, ma anche per “occidentalizzarsi”; ed egli narra che, appena giunto a Londra, “intraprese questo compito sovrumano : trasformarsi in un gentiluomo” . Un cappello di seta, un abito comprato a Bond Street, delle lezioni di danza, di violino, di eloquenza…. Al termine di tre mesi, però, si rende conto che quel treno di vita viene a pesare troppo sul bilancio della sua famiglia ; e, con uno di quei bruschi ripensamenti che saranno la sua caratteristica fino alla maturità, adotta modi di vivere estremamente morigerati e parsimoniosi giungendo, per risparmiare, persino a prepararsi da sé, nella stanzetta che ha in affitto, il frugale cibo di cui si nutre . La fisima di adeguarsi alle “buone maniere” della società occidentale rimarrà, però, ancora a lungo in lui . Quando tornerà in India, arrederà la sua casa con mobili occidentali e costringerà moglie e figli a mangiare con coltello e forchetta ; quando condurrà la famiglia in Sudafrica, pretenderà che si vesta col costume parsi, che subito dopo quello europeo, era considerato il più “moderno” . Mentre la gioventù indiana cercava di copiare l’Occidente, in questo era nato un Movimento che non nascondeva la sua ammirazione per la civiltà orientale, specie quella indù : il Movimento Teosofico. Gandhi, durante il suo soggiorno inglese, entrò in contatto con questo Movimento, lesse La luce dell’Asia il libro in cui Sir Edwin Arnold racconta l’epopea spirituale del Buddha, lesse soprattutto ( sempre in una traduzione inglese) la , il testo fondamentale dell’Induismo, che doveva diventare più tardi la sua consolazione quotidiana: insomma in Inghilterra e grazie agli inglesi, Gandhi riscoprì l’Induismo della sua infanzia . Questo valse a liberarlo dal sentimento di inferiorità con cui gli indiani – dallo stato di soggezione politica in cui si trovavano allora – erano portati a guardare alla loro cultura, sacra e profana .

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Terminato il triennio di studi e ottenuta l’abilitazione alla professione forense, Gandhi, nel giugno del 1891, riparte per l’India. Il suo animo non è tranquillo : “La tempesta (incontrata durante la navigazione ) – racconterà – era un simbolo della tempesta che si agitava in me . Mi aspettavo anzitutto di avere delle gravi discussioni con quelli della mia casta. Poi vi era la grave difficoltà di iniziare la professione di avvocato” . Giunto in India, prima di tornare nella città natale, compie un pellegrinaggio per purificarsi con un bagno nelle acque sacre del fiume Godavari e tentare di placare i risentimenti, che il suo viaggio al di là del mare, ha provocato nella sua casta . Questa, però, non gli toglie la scomunica . Gandhi non protesta né mostra rancore ; collabora anzi nel boicottaggio ai suoi danni . Tale atteggiamento a poco a poco gli riconcilierà i membri della sua casta . molti di loro diventeranno ferventi sostenitori dei suoi movimenti sociali e politici . Difficoltà ancora più gravi attendevano Gandhi nell’esercizio della professione di avvocato . Gli studi giuridici in Inghilterra non avevano incluso la legge indù e musulmana ; e ciò lo poneva in condizioni di inferiorità rispetto ai suoi esperti colleghi del Foro .Inoltre era terribilmente timido : anche nelle riunioni private trovava difficoltà a esprimersi . La sua prima causa confermò i suoi timori di essere inferiore ai compiti che la professione gli imponeva : quando si trattò di interrogare il primo teste non riuscì a fare ordine nei propri pensieri, ricadde nella sedia e restituì la parcella alla cliente . Non senza un certo sollievo egli si rese però conto di essere particolarmente abile nella stesura di memoriali e petizioni, e di potersi in tal modo guadagnare la vita . Ma la situazione era frustrante e – quando una impresa di navigazione indiana gli propose di tutelare i suoi interessi in una grossa causa ch’essa aveva davanti al tribunale del Sudafrica – Gandhi accettò . Era il Maggio del 1893 quando egli sbarcò a Durban : un nuovo capitolo della sua intensa vita iniziava .

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Se in India, nella sua patria, Gandhi aveva persa la fiducia in se stesso ; in Sudafrica la riacquistò . In questo vasto paese viveva una comunità di circa centomila indiani ; per lo più dediti ad umilissimi mestieri e semianalfabeti ; la sua classe dirigente era fatta di commercianti i cui interessi culturali non andavano oltre il listino borsa-valori dei quotidiani . Gli indiani erano costretti a subire continue umiliazioni da parte degli Europei ; umiliazioni ch’essi avevano imparato a ricevere come una naturale contropartita dei loro guadagni . Gandhi, invece, subito fieramente, ad esse, si ribella . Quando il presidente del tribunale di Durban, a cui, appena giunto si era presentato, gli ordina di togliersi in sua presenza il turbante, egli si rifiuta ; e all’uscita dall’aula scrive una lettera alla stampa locale . Quando nel viaggio da Durban a Pretoria, giunto alla stazione di Maritzburg, viene con prepotenza cacciato dal vagone di prima classe in cui viaggiava e gli viene ordinato di portarsi nel bagagliaio, egli rifiuta e preferisce scendere e passare la notte nella gelida stazione . Quando, nel prosieguo di quel tormentato e drammatico viaggio, il conducente della diligenza pretende che abbandoni il suo posto in carrozza e stia nel predellino, egli rifiuta e continua in tale rifiuto nonostante che il conducente gli si avventi contro ripetutamente colpendolo . Il triste spettacolo dei suoi connazionali che, privi della necessaria cultura, neanche sono in grado di far valere gli scarsi diritti loro concessi, galvanizza Gandhi . Egli – che a Bombay non aveva avuto neanche il coraggio di interrogare un teste – appena giunto a Pretoria convoca gli indiani residenti per un esame in comune “della loro condizione nel Transvaal” . La riunione ha successo, la Comunità indiana ha trovato il suo leader .

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Quelli che Gandhi passerà in Sudafrica saranno durissimi anni di lotta politica ; ma di una lotta sempre condotta, da parte sua, con lealtà ed equilibrio . Egli non accetterà mai il diffuso punto di vista secondo il quale in politica si deve sempre difendere il proprio partito, a torto o a ragione . Egli saprà, quando ne sarà il caso, riconoscere anche pubblicamente i torti e i difetti dei propri connazionali ; e sempre si asterrà dal drammatizzare e dall’esagerare le ingiustizie da essi subite . Eguale equilibrio ed eguale onestà Gandhi dimostrerà nell’esercizio della professione legale . Giunto in Sudafrica gli era stato assegnato il modesto incarico di far da tramite tra il cliente, la ditta Abdullah, e i suoi legali : in buona sostanza doveva, consultando i registri e gli altri incartamenti della ditta, dare a questi legali le informazioni “in fatto”, a loro necessarie per costruire la difesa . Quello che ad altri sarebbe potuto sembrare un affronto, a lui parve una grande occasione . E lo fu davvero ; in quanto gli permise di acquisire preziose conoscenze in materia di tenuta di libri contabili e di prassi commerciale e, soprattutto, di imparare, a contatto con un grande studio legale, come si gestisce una causa . La controversia fu vinta, soprattutto per la sua diligenza nel ricercare ed esporre chiaramente i fatti di causa . E ciò lo convinse che la professione legale non consiste in sfoggi di eloquenza e in dotte citazioni di opere giuridiche ; che quelli che contano in una causa sono, per tre quarti, i fatti e solo. per il residuo quarto, le argomentazioni giuridiche ; che, infine, “quando si rimane fedeli alla verità, la legge viene in nostro aiuto naturalmente” . Ottenuta per il suo cliente una sentenza favorevole, egli riuscì a convincerlo a non chiederne l’immediata esecuzione, ciò che avrebbe rappresentato per il suo avversario la rovina, ma a concedergli un pagamento rateale . “Avevo imparato – dirà poi – il vero esercizio della legge . Avevo imparato a individuare il lato migliore della natura umana e a penetrare nel cuore degli uomini . Mi ero reso conto che la vera funzione di un avvocato era quella di conciliare le parti in disaccordo"”. A partire da quel momento egli si adoperò costantemente per una bonaria composizione delle controversie, al di fuori dei tribunali : i clienti ci guadagnarono e “io –ebbe a ricordare – non perdetti nulla, neppure denaro e senza dubbio non l’anima mia” . Gandhi non riteneva un obbligo professionale difendere un cliente nel torto ; al contrario riteneva che, nel caso, fosse dovere dell’avvocato convincere il cliente, nel suo stesso superiore interesse, a non persistere nell’ingiustizia . Parsi Rustomji, ricco mercante di Durban e suo intimo amico, avendogli lo Stato contestato l’evasione dei diritti doganali, si recò da lui per averne tutela . Gandhi, non solo non volle difenderlo, ma lo convinse a confessare al Fisco tutti i suoi misfatti tributari, pagando le relative tasse, soprattasse e penali . Il commerciante, pentito, fece incorniciare e appendere in casa la sua confessione, a edificazione dei suoi discendenti .

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Gli anni passano, Gandhi è diventato un uomo politico influente e un avvocato estremamente capace, di cui le più grosse ditte musulmane pagano lautamente i servizi . Egli si è comprata una graziosa casetta nei quartieri alti di Durban, l’ha ammobiliata con cura, ha dei servitori, si veste con ricercatezza . Egli giustifica tale suo ricco treno di vita con motivi di prestigio : per poter tutelare bene la Comunità dei suoi connazionali egli deve avere le necessarie conoscenze nell’ambiente degli europei, e quest’ambiente è più facile che si apra ad un avvocato, ricco e ben vestito, che ad un avvocato povero e pezzente . Però questa è una giustificazione che, ogni giorno che passa , sempre meno lo soddisfa . L’idea della rinuncia, come scopo supremo di ogni vera Religione, lo conquista sempre più . Un giorno, tra le risate dei colleghi, Gandhi si presenta in tribunale con il colletto della camicia gocciolante d’amido : non è stata l’opera di una lavandaia distratta, ma il primo dei numerosi “esperimenti di semplificazione della vita” che il prestigioso avvocato tenterà . Ed eccolo un giorno improvvisarsi cuoco, un altro fornaio, un altro ancora ostetrico ( per portare alla vita il suo ultimo figlio ) . Egli diventa il medico e il farmacista della sua famiglia, che cura con metodi naturali ( idroterapia, fangoterapia….) da lui studiati sui libri di Khune e Salt . Nel 1904, mentre sale sul treno che dovrà portarlo da Johannesbur a Durban, il suo amico giornalista Polak gli dà un libro da leggere : si tratta di Fino all’ultimo di Ruskin . In questo libro il grande autore russo condanna l’industrializzazione e fa l’apologia di una vita semplice basata sul lavoro manuale . Gandhi, che senza chiudere occhio ha divorato il libro nella notte, all’alba è deciso a metterne in pratica i principi : e in effeti costituirà una fattoria in cui ciascun abitante “lavorando sodo, deve guadagnarsi la vita con un compenso eguale per tutti,”; lui, inoltre, “ nel tempo libero” si occuperà della stampa del portavoce della Comunità indiana ,’ Indian opinion” ( da lui stesso fondato ) . Il celebre avvocato – che in tale fattoria ha fissata la sua residenza, pur continuando per il momento a recarsi ogni giorno nel suo studio di Durban – medita di ritirarsi a poco a poco dalla professione e di guadagnarsi la vita, come gli altri residenti nella fattoria, con un lavoro manuale . Intanto adotta un regime alimentare sempre più ridotto : un po’ di latte, dei frutti, delle noci, qualche legume . Egli si rende conto che godere del superfluo è rubare ai poveri e vuole seguire l’esempio del fedecommessario che “pur avendo l’amministrazione di beni considerevoli, si guarda bene di considerarne la più piccola parte come di sua proprietà” . Tutto appartiene a Dio e Dio provvede a tutto : egli rifiuta la polizza che un agente di assicurazione gli ha proposto : la provvidenza d’ora in poi veglierà su di lui, su sua moglie e sui suoi figli .

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Gandhi da giovinetto aveva letto un opuscolo che faceva l’apologia della monogamia ; egli se n’era entusiasmato e aveva posto tra i suoi ideali la fedeltà ad un’unica donna, a quella che sarebbe stata sua moglie . E l’osservanza di tale ideale, poi, gli riuscì tanto più facile in quanto divenne “appassionatamente innamorato “ della donna che il destino gli aveva fatto sposare, Kasturbai . Dirà nell’ Autobiografia , da lui scritta in età matura : “Nessun’altra donna mi attrasse mai come mi aveva attratto lei ( Kasturbai ) . Ero un marito troppo fedele, e troppo fedele rimasi al voto pronunciato dinanzi a mia madre, per rimanere schiavo d’una qualsiasi altra donna” . Con tutto ciò Gandhi nell’ Autobiografia confida al lettore alcuni casi in cui la sua fedeltà matrimoniale fu messa in serio pericolo, anche se “per grazia di Dio” non venne mai infranta . Una volta un suo compagno lo condusse in un bordello. “In questa tana del vizio – si legge nell’ Autobiografia rimasi cieco e muto. Mi misi a sedere sul letto accanto alla donna, ma avevo la lingua paralizzata : lei naturalmente perse la pazienza e mi mise alla porta con insolenze e insulti” . Un’altra volta, in occasione del primo viaggio in Sudafrica, il comandante della nave, durante la sosta in un porto, lo condusse nel “quartiere delle negre” . Ne uscii – racconta Gandhi sempre nella Autobiografia – esattamente come vi ero entrato” . Evidentemente il voto fatto alla madre e l’ideale monogamico avevano posto in lui così profonde radici da venire a costituire un vero e proprio “blocco psicologico” a rapporti con una donna che non fosse sua moglie . Per cui si può dire che tutti i “peccati”, per cui così severamente e amaramente Gandhi si rimprovera nella sua Autobiografia , furono pur sempre commessi nell’ambito del matrimonio : per un certo periodo della sua vita Gandhi amò troppo appassionatamente sua moglie : ecco tutto . Comunque si trattò di un breve periodo . Egli nelle dure lotte, che dovette ingaggiare in Sudafrica per la difesa dei suoi connazionali, si rese conto che si sarebbe trovato impari al compito se fosse stato preso dai pressanti doveri che un padre ha verso una numerosa figliolanza . E siccome allora , come sempre in seguito, fu contrario ad ogni sistema di controllo delle nascite che non si basasse sull’autodisciplina dei coniugi, decise di vivere con la moglie castamente . La consultò sul punto e ne ebbe da lei un generoso consenso . E tuttavia - confessa egli con la sua solita sincerità , nella Autobiografia – “anche dopo che la mia coscienza si era destata, fallii due volte . Fallii perché il motivo che generava lo sforzo non era tra i più nobili. Il mio principale scopo era di non avere più figli” . Solo quando la sua fede in Dio diventò più vigorosa, non cadde più nei piaceri della carne , “perché – spiega egli, sempre nell’ Autobiografia – ogni attaccamento ai sensi nell’uomo naturalmente e senza sforzo scompare quando egli ha conosciuto il Supremo” . In Satyagraha , Gandhi poi insegnerà che l’energia vitale accumulata con l’astinenza sessuale – completa o interrotta solamente per il sincero desiderio di avere un figlio – è “il più ricco capitale che un uomo può possedere . Ogni potere deriva dalla preservazione e dalla sublimazione della vitalità che è all’origine della procreazione….Colui che è capace di conservarla, ne ricava una forza senza cessa rinnovata e la tramuta in un’energia creatrice dell’ordine più alto, ma colui che la disperde, diventa vile ed effeminato” .

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Vile certo non era Gandhi né lo erano gli altri suoi connazionali del Sudafrica . Quando l’Impero britannico si era trovato in guerra – prima, con i Boeri, poi, con gli Zulù – furono numerosissimi i membri della Comunità indiana, Gandhi in testa, che si arruolarono volontari per un senso di lealismo ( ahimè, quanto male poi ripagato !) verso l’Impero . Il loro compito era di portaferiti ( dato che l’orgogliosa autorità militare inglese rifiutò una forma più impegnata di loro partecipazione alla guerra ) e dovevano limitarsi ad agire al di là della linea del fuoco, ma spessissimo, con grande ardimento, avevano oltrepassata tale linea per riuscire a portare un più efficace soccorso . E con tutto ciò, tale forte e coraggiosa Comunità, sopportò i soprusi dei Governi sudafricani senza reagire con un gesto di violenza .Ma non fu viltà, fu Satyagraha : fermezza nella verità ( Satya = verità ; agraha = fermezza ) . Il concetto di Satyagraha nacque nel corso di un movimento di protesta contro un provvedimento oppressivo del Governo del Transvaal ; e su tale vicenda sarà bene soffermarci un attimo per il suo carattere emblematico . Il Governo del Transvaal nell’Aprile del 1906 aveva emesso un’ordinanza che prevedeva per gli asiatici l’obbligo di iscrizione in pubblici registri di residenza ( il che era piuttosto giusto ); iscrizione accompagnata ( il che era un deliberato affronto ) da umilianti misure di polizia . Gandhi convoca in un teatro di Johannesburg una riunione di suoi connazionali . Egli parla a loro impavido : “Non rimane che una via aperta agli uomini come me, morire ma non sottomettersi alla legge . La cosa è molto improbabile, ma anche se tutti titubassero lasciandomi solo ad affrontare il pericolo, sono certo che non verrei meno al giuramento” . Poi rappresenta lealmente ai presenti i pericoli che correrebbero se volessero a lui associarsi : confisca delle proprietà, imprigionamento, inedia, fustigazione, persino la morte . Nessuno si tira indietro: la riunione si conclude con il giuramento solenne di “tutti i presenti, in piedi con la mano alzata e con Dio come testimone, di non sottomettersi alla ( iniqua ) ordinanza” . Si trattava ora di definire i principi su cui impostare la lotta per ottenere, di tale ordinanza, la revoca. La “resistenza passiva” era già nota e praticata nel mondo civilizzato ; ultimamente con grande efficacia l’avevano usata le suffragette inglesi . Quando una minoranza non è abbastanza forte per impedire con il voto o con le armi una data legge, provoca l’intervento della polizia con un’aperta disubbidienza, contando sulla commozione dell’opinione pubblica alla vista della forza esercitata, con inevitabili episodi di brutalità, verso persone inermi . Però, salvo pochissime e luminose eccezioni ( quella di Socrate nell’antica Grecia, quella di Doukhohis, citata da Tolstoi ) chi finora era ricorso alla “resistenza passiva” , lo aveva fatto solo perché, pur odiando l’avversario, non aveva speranza di vincerlo con le armi : la resistenza passiva, così come era stata finora esercitata, meritava insomma di essere definita l’arma dei deboli, se non dei vili e degli ipocriti . La lotta a cui invece Gandhi chiamava i suoi connazionali implicava, non solo il rifiuto di una violenza fisica ed esteriore, ma anche del minimo pensiero di odio contro gli avversari . Lungi dall’essere l’arma dei deboli, era l’arma dei forti ; perché forti bisogna esserlo davvero per sapere superare ogni senso di odio verso una persona che ingiustamente ci opprime . Per questo Gandhi non aveva voluto riferirsi a tale metodo di lotta col termine riduttivo di “resistenza passiva”, ma di Satyagraha : fermezza nella verità . E fermi furono veramente nella loro lotta gli indiani del Sudafrica . Sia gloria a loro ! Botha, il presidente del Transvaal, invia a una loro riunione Wuillia Hoska, un liberale, amico anche di Gandhi, per tentare di ridurli alla “ragionevolezza” . “Mi trovo qui – annuncia Hoska – “su richiesta del generale Botha . Egli vi rispetta e si rende conto dei vostri sentimenti, ma dice di non potere fare nulla . Tutti gli europei del Transvaal chiedono questa legge . Gli indiani sanno perfettamente bene quanto è potente il Governo del Transvaal ; resistere al Governo significherebbe battere la testa contro un muro . Mi auguro che la vostra Comunità non voglia andare incontro alla rovina con una vana opposizione “. Tocca a Gandhi tradurre il discorso, ma la risposta la dà con eloquenza, per tutti i presenti, un umile commerciante, Muhammad Kachalia, che mai fino ad allora si è interessato di politica : “Ho ascoltato – dice – il discorso del signor Hoska . Sappiamo quanto è potente il Governo del Transvaal . Ma esso non può fare nulla di più che applicare la legge. Ci getterà in prigione, confischerà le nostre proprietà, ci deporterà, ci impiccherà . Noi sopporteremo tutto ciò di buon animo, ma non possiamo semplicemente rassegnarci a questo provvedimento” . E poi, puntando le dita alla gola, tuona : “Giuro in nome di Dio che mi lascerò impiccare ma non mi sottometterò a questa legge, e mi auguro che tutti i presenti facciano altrettanto” . Gandhi è uno dei primi ad essere arrestato . Davanti alla Corte, imbarazzata di dover perseguire uno dei più stimati tra gli avvocati, che davanti ad essa abbiano difeso, Gandhi senza iattanza si riconosce colpevole e, quasi a sollevare i suoi giudici da una penosa decisione, chiede per sé il massimo della pena. Gli vengono inflitti due mesi di carcere semplice . La sua condanna, lungi dall’intimidire, fa nascere tra i suoi connazionali una nobile emulazione nel seguirlo nell’ Hotel re Edoardo ; così come viene chiamato da Gandhi il carcere, per sdrammatizzare la sua permanenza in esso . Il generale Smuts, ministro degli affari esteri nel Gabinetto di Pretoria, si fa portare nel suo ufficio l’avvocato ribelle : perché non mettersi d’accordo ? Gli indiani facciano di loro iniziativa la registrazione e la legge che la impone sarà tolta dal codice E’ un accordo onorevole : Gandhi lo ritiene accettabile . “Dove devo andare ?” domanda alla fine del colloquio . Il generale ride e risponde : “Sto per telefonare alle autorità della prigione di liberare gli altri prigionieri” . Le critiche a Gandhi sono numerose : chi assicura che il Governo manterrà le sue promesse ? Gandhi spiega che rientra nei doveri di un Satyagrahi dar fiducia ai suoi avversari . Ahimé è una fiducia mal riposta : gli indiani si iscrivono, ma il Governo non abroga la legge . Si riprende la lotta, Gandhi viene di nuovo arrestato e questa volta condannato ai lavori forzati . Viene messo in cella in compagnia della peggiore teppaglia, in compagnia di criminali Kaffir “minacciosi, corrotti, libidinosi” . Al giorno scava sotto la sorveglianza di brutali guardiani, le mani coperte di vesciche, la terra . La sera e la Domenica medita sulle opere di Ruskin, di Thoreau e di altri autori che gli è possibile procurarsi in prigionia . E’ in queste asperità che la sua personalità assume quella ferrea forza che la caratterizzerà in avvenire ! La lotta contro il Governo del Transvaaal continuerà a lungo, anche dopo che Gandhi sarà uscito dal carcere . Com’è umano, molti degli indiani del Sudafrica a poco a poco si rassegneranno alla sconfitta da parte di un Governo forte e brutale . Però un piccolo drappello di Satyagrahi e Gandhi, persisteranno e, alla fine, l’opinione pubblica internazionale, commossa da tale impavido coraggio, costringerà il Governo sudafricano a cedere .

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Il 18 Luglio 1914, festeggiato trionfalmente, Gandhi lascia definitivamente il Sudafrica : torna in patria . Vi torna circondato da vasta fama come eroico difensore dei diritti della popolazione indiana in terra straniera . Vi torna perché pensa di essere lì più utile alla Madre India . Ma qual è il suo programma politico ? quello di cacciare gli inglesi ? no, assolutamente : ché non sono gli inglesi che asserviscono l'India, ma la loro civiltà . E' di questa, dunque -–spiegherà Gandhi in un suo libro diventato famoso, Hind Swarà ( Swaraj = indipendenza ) - che bisogna liberarsi ; di questa “civiltà satanica….che non tiene conto né della morale né della religione” , che riduce gli operai a una “condizione peggiore di quella delle bestie” , che fa degli stessi europei dei poveri esseri “mezzi-matti” , affetti da “malattie immaginarie”, privi di forza e di coraggio , dediti a droghe ed eccitanti per darsi un illusorio surrogato di questo e di quella . “Gli inglesi – sostiene arditamente Gandhi nel suo libro – non hanno preso l’India, ma noi gliela abbiamo donata” accettando la loro civiltà . E ora l’India geme “sotto il piede orrendo di questo mostro” . Mostro tanto più temibile in quanto lo si fa oggetto di una cieca ammirazione ; di un’ammirazione non giustificata : ché la situazione dell’Inghilterra è “pietosa”; il suo parlamento non è che una “prostituta”; i suoi uomini di legge e di medicina, dei “nidi di vipere” , colpevoli di rovinare il corpo e l’anima ; i suoi ospedali – con le loro medicine che ( apparentemente ) leniscono il dolore, ma che in realtà servono solo ad affievolire la volontà e quindi a far degenerare l’uomo – delle istituzioni “per propagare il peccato”; e identico appunto può muoversi anche alle sue industrie e alle sue ferrovie : tutte cose che in definitiva, non rendono più forte, ma più schiavo e miserevolmente debole l’uomo . Torniamo, quindi – ecco l’ardito programma che addita Gandhi ai suoi connazionali – alla nostra “antica civiltà indiana” , alla vita semplice dei nostri villaggi, all’artigianato e in particolare alla tessitura a mano, ai prodotti swadeshi ( indigeni ) : una volta liberatici dai corruttori costumi europei, una volta ridiventati padroni del nostro mondo interiore, avremo la vera swaraj , chè swaraj significa appunto governo ( raj ) di se stessi ad opera di se stessi ( swa ) . Il coraggio certo non mancava a Gandhi ! e quasi saremmo tentati di parlare di fanatico, bigotto coraggio, se non sapessimo che a parlare così è un uomo, un uomo di legge, per tanti anni spregiudicatamente dissetatosi a tutte le fonti della cultura occidentale, un uomo che si è sempre reso estremamente disponibile ad ogni nuova conoscenza, ad ogni nuova esperienza spirituale e intellettuale . E allora si è portati a pensare che chi parla così è un Profeta, un Profeta da Dio misericordioso mandato a impedire, all’India e, sull’esempio dell’India, a tutta l’Umanità, d’imboccare una strada che porta alla rovina . Ma i messaggi dei profeti, anche se un sano istinto ci dice che sono giusti, non è facile osservarli ! Gandhi si rende ben presto conto che gli ideali da lui espressi in Hinh Swaraj non possono attrarre che una piccola elite , e col suo solito senso del limite e della realtà scrive nel numero del 26 gennaio 1921 di Young India : “Lavoro individualmente per l’autogoverno là ( cioè in Hind swaraj) descritto , ma oggi la mia attività pubblica è indubbiamente dedicata al conseguimento della swaraj parlamentare, in armonia con i desideri del popolo indiano . Non miro a distruggere le ferrovie e gli ospedali, anche se gradirei la loro naturale distruzione . Né sto mirando a una distruzione definitiva dei tribunali, pur considerando che ciò sia augurabile . Ancor meno sto cercando di distruggere tutti i macchinari e le industrie .Ciò richiederebbe maggiore semplicità e maggiori rinunce di quelle che il popolo è preparato a fare . La sola parte del programma che viene in questo momento attuata nella sua integrità è quella della non-violenza . Ma anch’essa non viene applicata nello spirito del libro ( di Hind Swaraj , cioè )”. Si noti come l’accento, da Gandhi, sia posto, non sulla liberazione dallo straniero, ma sulla non- violenza . E infatti il compito storico che Egli si assegna, non è di portare l’India all’indipendenza politica ( all’indipendenza ,cioè, con la i minuscola, contrapposta all’Indipendenza di cui aveva parlato in Hind Swaraj ) : è nell’ordine delle cose che a tale indipendenza l’India pervenga : come non può riuscire, un popolo di 250 milioni di persone, a scuotere il giogo di un esercito di meno di trecentomila soldati ( ché l’esercito inglese in India non superava tale cifra ) ?! Il difficile, quasi sovrumano compito che Gandhi si assegna è di portare l’India all’indipendenza mediante un’azione non-violenta . Non sono solo i fini che contano : i mezzi sono tanto importanti quanto i fini .! Ed ecco il Gandhi del 1922 che - proprio quando il movimento di disubbidienza civile da lui da lungo tempo preparato sta per concludersi vittoriosamente -, saputo di un barbaro linciaggio di 22 inglesi compiuto dalla plebaglia, nel timore di un diffondersi di altri atti di violenza , ne ordina la cessazione . Chandra Bose, uno dei leaders nazionalisti, dovrà al proposito ricordare molti anni dopo : “Mi trovavo con Deshbandu in quei giorni e constatai ch’era fuori di sé per l’ira e il dolore a causa dei ripetuti errori di Gandhi” . E identica a quella di Deshbandu, fu la reazione degli altri leaders nazionalisti : nessuno di loro riusciva a capacitarsi della decisione di far cessare un’azione politica proprio sul punto in cui sembrava felicemente concludersi . Essi erano tutte persone coraggiose, anzi coraggiosissime ; però non avevano il coraggio nella verità di Gandhi ! Il coraggio di seguire la verità, di dire la verità, senza lasciarsi condizionare da calcoli politici ! Quando il principe di Galles arriva a Bombay nel Novembre del 1921 si verificano gravi tumulti nel cui corso 58 persone rimangono uccise e 381 ferite . Gandhi in un messaggio alla popolazione di Bombay afferma che la “nostra” non-violenza era stata peggiore della violenza dei nostri avversari “poiché con la non-violenza sulle labbra abbiamo terrorizzato coloro le cui idee differivano dalle nostre …lo swaraj al quale ho assistito in questi ultimi due giorni, mi puzzava nelle narici” . Ritorniamo, facendo un passo indietro, nel 1916, Gandhi è , sì , famoso in India, ma, in fondo, è un “nuovo arrivato” . A questo “nuovo arrivato” si “fa l’onore” d’invitarlo all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università indù di Benares . Il “nuovo arrivato” sale sul palco degli oratori alla presenza della migliore società – vi sono maharajà, vi sono alti funzionari inglesi in abiti suntuosi, vi sono le loro mogli ingioiellate – e ( quale mancanza di fair play !) Gandhi si mette a rimproverare tutto quel loro sfoggio di ricchezza : “Ogni volta che sento parlare di un grande palazzo sorto in una qualche città dell’India, si tratti dell’India britannica o si tratti dell’India governata dai nostri grandi capi, divengo subito geloso e dico : -Oh, è denaro che proviene dai contadini” . , che preside l’augusta cerimonia, irritata, gli grida : “Vi prego, tacete” . Un anziano funzionario inglese bofonchia :”Dobbiamo impedire a quest’uomo di dire simili scempiaggini” . Può darsi, signor funzionario, può darsi che “lo dobbiate”, ma non vi sarà facile con un uomo come Gandhi, un uomo che possiede la Swaraj ( con la esse maiuscola : la libertà, l’indipendenza dalle passioni, in primis dalla paura ) : lo mettete in carcere e tutto il mondo s’informa “Che cosa ha detto un uomo così sincero e leale, per essere messo in carcere ?”, lo portate al patibolo e tutto il mondo s’informa “Che cosa ha fatto un uomo così nobile per essere portato al patibolo ?” . Oh, che grosso rompicapo, eccellentissimo signor funzionario, sono gli uomini come Gandhi, per gli “uomini di potere” come Voi !

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In Gandhi la levatura del moralista non deve far dimenticare l’efficienza dell’organizzatore e del leader politico . Ci dà un’idea di quanto grande essa fosse, il racconto che William Shirer, un giornalista americano, fa ( in un bel libro dal titolo ) delle trattative svolte nel 1931 tra il leader indiano, in rappresentanza del Congresso, e Lord Irwin, in rappresentanza dell’Inghilterra . Ne stralciamo alcuni brani : “Quella riunione, come tutte la altre, era limitata agli uomini del Congresso e durò fino alle due del mattino . ( Da essa, Gandhi ) uscì sereno e sorridente, senza mostrare alcun segno di fatica, come se quasi undici ore di ininterrotti colloqui, con il viceré, prima, e con la gente, poi, fossero appartenuti a un’altra giornata . Se aveva sonno, non glielo si leggeva in viso e, invece di andare a letto, erano ormai passate le due, decise di mettersi a filare per un’ora, annunciando in tono scherzoso, prima di iniziare il silenzio ( Shirer si riferisce qui alla giornata di assoluto silenzio che ogni settimana Gandhi si imponeva –n.d.t. ), che doveva recuperare la sua parte quotidiana di duecento iarde di filo : quel giorno non ne aveva ancora trovato il tempo . Rimasi per qualche minuto a guardarlo filare e poi, stanco e assonnato com’ero, me ne andai (….). La mattina seguente Desai mi raccontò che Gandhi aveva filato per un’ora, preparando le sue duecento iarde di filo, aveva dormito per un’ora, alle quattro si era alzato per la preghiera mattutina e poi era uscito per la sua quotidiana passeggiata di quattro miglia . Cominciavo a rendermi conto di quanto fosse errato da parte di tutti noi parlare e scrivere di Gandhi come di un fragile vecchietto . Con il moto, la dieta e l’autodisciplina a sessantun anni quell’uomo aveva il fisico di un atleta . Ed era di ferro, anche di questo cominciavo soltanto allora a rendermi conto.(…) Martedì 3 Marzo, Gandhi si rifece del suo precedente giorno di silenzio, trascorrendo tutta la giornata al palazzo vicereale, a colloquio con Lord Irwin e i principali membri del governo . Dopo un intervallo per il pasto e le preghiere, vi ritornò la sera alle nove, sotto una pioggia battente e rimase a palazzo fino a mezzanotte . Si stava manifestando un aspetto di Gandhi che pochi, all’infuori dei suoi stretti collaboratori, conoscevano e che sbalordiva, non solo i giornalisti, ma anche il viceré e gli uomini più duri del consiglio inglese. Era la sorprendente capacità del Mahatma di cogliere i particolari . Non stava soltanto negoziando un accordo di carattere generale, ma contrattava con insistenza ogni minimo particolare. Quel suo modo di lavorare era decisamente troppo per il viceré, che per due volte durante la giornata delegò le trattative al suo segretario agli interni, da cui dipendeva la polizia, e in secondo tempo al segretario alle finanze (….) .Una volta di più un senso di oppressione scese sulla casa del dottor Ansari quando la riunione del Comitato si interruppe poco prima delle dieci di sera . Gandhi tuttavia pareva non condividere la generale tristezza. Quando uscì dalla riunione era pieno di vivacità come sempre e si fermò a scambiare qualche parola con me . “Non c’è ancora alcun accordo” disse . “E non ce ne saranno per questa sera” . Poi, scoppiando in una risata e battendomi una mano sulla spalla, aggiunse : “Bene, mio caro Mr. Shirer, ora può andare a casa e farsi una bella dormita” . Gandhi aveva il cuore di San Francesco e la volontà di un Napoleone Bonaparte : come questi normalmente non dormiva più di quattro ore, come questi era in grado di addormentarsi, recuperando così preziose energie, in qualsiasi circostanza in forza di un semplice suo ordine mentale : se voleva dormire, chiudeva gli occhi ed… era cosa fatta ; come Napoleone era dotato di uno spirito di osservazione e di una memoria gigantesche . La sua capacità di autodisciplina era semplicemente formidabile : dovendo essere sottoposto ad un’operazione chirurgica, per un’appendicite che minacciava di andare in peritonite, rifiutò ogni anestesia anche locale e, mentre il chirurgo operava, si intrattenne a parlare sorridendo con chi lo circondava . Questa grande Anima, questo Mahatma, fu ucciso da un pazzo indù il 30-1-1948 . Il mondo ancora lo piange .

Gandhi: oroscopo

2 . 10 1869 07h 45m LMT 03h 06m GMT

Ascendente,Scorpione Sole, in Bilancia

Certamente non mancano nella carta del cielo gli elementi che indicano in Gandhi la persona destinata ad emergere . Sia nella professione , Saturno in Sagittario e in casa II (= “Sicura posizione finanziaria dopo lunghe lotte” – Gandhi principe del Foro in Sudafrica dopo gli iniziali insuccessi in India ), sia, più in grande, nella vita sociale : Giove in Toro e in casa VIII ( = “ E’ in genere indice di posizione sociale influente” ), Luna in Leone e in casa X (= “ Individui che conquistano il mondo soprattutto grazie al proprio eccezionale fascino e la forza di attrazione addirittura magnetica che ne emana” ) . Ma sempre la carta del cielo indica anche le gravi sventure che andranno a colpire Gandhi ( i ripetuti imprigionamenti, la morte violenta, la depravazione del figlio maggiore…) : Sole in Bilancia e in casa XII ( = “Questa combinazione sembra essere una delle più sfavorevoli che si possano trovare in un tema di natività. Tragici rovesci minacciano sul piano sociale e professionale, culminando in un fallimento totale e irreparabile” – il fallimento per Gandhi non fu totale, ma certamente un parziale fallimento rappresentò per Lui la divisione dell’India in due Stati e la sanguinosa lotta tra indù e musulmani ). Ma torniamo alla predominante posizione sociale che ebbe Gandhi : fu meritata ? Certamente, sì : non mancano davvero nella carta del cielo del Mahatma gli elementi denotanti “buone qualità” : Mercurio all’Ascendente ( = “ Indice sicuro di intelligenza superiore “ ), Sole in trigono con Saturno ( = “Serietà, capacità di concentrazione, profondità di pensiero, diligenza e coscienziosità. Per lo più si tratta di persone spiritualmente elevate “) , Giove sestile Urano ( = “ Perspicacia, interesse per molti essenziali problemi della vita, specie per questioni sociali. Favorevole per la carriera nel campo didattico” ), Urano sestile con Plutone ( = “ Scoperte tecniche” – Gandhi che inventa un nuovo tipo di filatoio ). Però, con grande disappunto per un astrologo , che , come me , è stato sempre un ammiratore del Mahatma , nella carta del cielo non mancano neanche gli elementi negativi. Che però, a mio parere, non diminuiscono per nulla la grandezza di Gandhi : infatti gli aspetti, le posizioni degli astri nel cielo di nascita indicano solo le tendenze, le direttrici di marcia del neonato, ma non escludono che questi usando del libero arbitrio possa modificare le une e le altre . Specie quando, come Gandhi, è dotato da una notevole capacità di autocritica e di autoesame : Saturno trigono a Nettuno ( = “Spietata autocritica e autoanalisi” ), Luna in trigono con Saturno ( = “ Natura sotto continuo controllo della ragione. Elaborazione mentale delle esperienze vissute” ). Tanto premesso passiamo a esaminare gli elementi che rappresentano le “ macchie oscure “ della personalità di Gandhi . Venere in Scorpione e in casa I ( = “ Tutto ciò che ha attinenza con gli istinti sessuali occupa un posto di primaria importanza nella vita. A volte – e specie quando si tratta di persone spiritualmente elevate – questi istinti vengono domati e superati dopo aspre lotte “ ), Luna quadrata con Plutone ( = “ Vittima dei propri bassi istinti. Sete di vita e di piacere che si cerca di placare nel mondo del vizio e della dissolutezza” ). Gandhi stesso ebbe a confessare i suoi “peccati” in materia sessuale : la troppa assiduità con la moglie e addirittura un suo tentativo di frequentare prostitute – tentativo fallito sia per sue inibizioni ( Luna quadrata Venere = “ Pudore esagerato. Impedimenti psichici che in primo luogo rendono difficili i rapporti con l’altro sesso” ) sia per la sua stessa raffinatezza ( Luna trigona con Nettuno = “ Vita affettiva e sensuale estremamente raffinate” ). Ma noi sappiamo anche che Egli seppe vincere e domare la sua sessualità. E passiamo a un altro aspetto oscuro del carattere di Gandhi : Sole quadrato a Marte ( = Il soggetto è irascibile, perde facilmente la pazienza, difende con violenza il proprio punto di vista” ), Acquario in casa IV ( = “ Il soggetto spesso si lascia andare “) , Venere congiunto a Marte ( = può trattarsi di persone che “ sfogano i propri cattivi umori in eccessi di collera” ), Marte opposto a Giove ( = “ Intemperanza e mancanza di ritegno nei discorsi e nelle ,zioni”). Lo stesso Gandhi confessa ( nella sua Autobiografia ) diversi episodi ( uno schiaffo dato a un suo allievo, una lite in pubblico con la moglie…) che rivelano i difetti segnalati dalla carta del cielo ; però risulta che anche di tali difetti Egli seppe emendarsi. Gli elementi ( negativi ) finora indicati in fondo erano ben conosciuti dagli storici; quello segnalato dagli aspetti che veniamo subito a indicare sembra invece del tutto inconciliabile con la icona tradizionale di Gandhi : Nettuno in Ariete e in casa VI ( = “ Mentitore patologico” , ma anche – e va segnalato perché indice che l’occultamento della verità non viene fatto per basso tornaconto personale ma per la tutela di entità politiche – “ Missioni segrete per incarico di organizzazioni sovversive . partecipazione a congiure” – e, se non a congiure , a movimenti sovversivi dell’ordine costituito, Gandhi senza dubbio partecipò ), Mercurio in Scorpione e in casa XII ( = “ Natura bugiarda”),Venere opposta a Plutone ( = “ Concezione di vita negatrice dei suoi valori duraturi che con cinica indifferenza si pone di fronte alla civiltà e a tutto ciò che è stato creato della storia e dell’arte” – ricordi il lettore la corrosiva critica che Gandhi fa della civiltà moderna in Hind Swarà), Marte opposto a Nettuno ( “ Glorificazione della violenza tanto nelle parole quanto negli atti. Volontà distruttiva”). Chiaro che la interpretazione dei vari aspetti data dal Sementovski ( non si dimentichi che le parole tra virgolette sono sue ) e da Lui ricavata dall’analisi di più persone ( anche eccezionali ma non eccezionalissime come Gandhi ) va adattata a una personalità che , come quella di Gandhi, è ( e risulta da tutto il quadro astrologico ) di straordinaria levatura spirituale . Gandhi era un violento? Sì, ma nel senso che “portava la spada” di evangelica memoria : ogni Profeta finisce in un certo senso per far violenza alla società in cui vive. Certo i metodi di lotta di Gandhi erano “non-violenti”, ma erano sentiti come violenti ( ed obiettivamente lo erano : tanto che provocavano l’intervento della forza pubblica per ristabilire l’ordine ). Certamente i governanti del Sudafrica e dell’India concorderebbero con il ritratto astrologico di Gandhi-violento che sopra risulta. Ma da quanto detto sopra anche risulterebbe che Gandhi era un mentitore. Ora neanche gli avversari di Gandhi gli hanno mai attribuito un difetto di lealtà e veridicità. Allora l’astrologia sbaglia ? Io direi di no; solo che l’interpretazione del Sementovshy va leggermente rettificata: Gandhi era un uomo le cui vere idee erano radicalmente diverse da quelle delle persone con cui interloquiva ( Nettuno opposto al Sole = “ Un abisso incolmabile divide l’intimo mondo dei sentimenti e dei pensieri del soggetto dalle condizioni del suo immediato ambiente”) ; quindi è ben possibile che Egli, per non dare le “perle ai porci”, sia stato costretto continuamente a un’opera di autocontrollo per “velare” il suo vero sentire.

Gandhi : analisi grafologica del Moretti.

Il Moretti ritrova “ la principale tendenza psichica di Gandhi” nella “ volontà di soprastare”. “Soprastare” ( cioè, acquisire il potere per influire sulla società e sugli avvenimenti) perché, per quale scopo, si domanda il Moretti: per far del bene al prossimo e al suo stesso popolo ? Il Moretti lo esclude: infatti giudica “ la bontà di Gandhi mediocre in quanto ha soli 4/10” ( e a dir il vero neanche all’astrologo è dato rinvenire nella carta del cielo di Gandhi elementi che indichino per una sua particolare “bontà”) e ritiene la “tendenza al comando di Gandhi” solo all’apparenza dettata dall’altruismo ( per usare le parole precise del Moretti, Gandhi “ può avere una forma esterna d’altruismo e può essere da lui orpellata da questa forma” ) e in realtà scaturente da altri motivi ( che il Moretti non indica, ma che noi pensiamo di rinvenire nella fredda, non sentimentale, volontà di giovare al progresso dell’umanità). Comunque sia, se il target è l’acquisizione di un potere che permetta di influire sulla società ( così a noi piace “addolcire” la “tendenza a comandare” di cui parla il Moretti ), Gandhi ha l’intelligenza necessaria per raggiungerlo ? Ebbene il Moretti riconosce a Gandhi una “ profonda intelligenza” ( le sue parole: “la tendenza al comando di Gandhi ha a sua disposizione un’intelligenza profonda di 8/10”); però un’intelligenza “non attrezzata”, per così dire, per difendersi dagli inganni e dalle trappole altrui: infatti “ la sua critica ( cioè, la sua capacità critica di Gandhi ) o forza di ragionamento è , ritiene il Moretti , non poco sotto la mediocrità ( 3/ 10 )….per cui agli assalti repentini e inaspettati che non mancano mai a chi sta al comando, la sua forza ( cioè, la forza della sua intelligenza, ancorché “ profonda” ) s’intozza ed è sconfitta dalla scaltrezza”. Vero è che a tale deficienza “ Gandhi pone un riparo abbastanza valido con l’attitudine intellettiva alla psicologia per cui riesce a penetrare l’animo altrui tanto individuale come collettivo”. Però questo è rimedio insufficiente, onde Gandhi, secondo il Moretti, “ potrebbe dirsi un ideatore a tavolino”, piuttosto che un lottatore” in grado di raggiungere il potere. Ma la “fermezza”, la “ inflessibilità” del carattere di Gandhi? Esse, sì, anche per il Moretti esistono, ma forse che servono a realizzare la “tendenza al comando” di Gandhi ? No, risponde risolutamente il Moretti, esse servono solo “ a mantenerla irragionevole” ( l’ostinarsi di Gandhi su posizioni sbagliate o, comunque, giudicate dai più, “perdenti” , che abbiamo rilevato nell’analisi astrologica ? ). Nell’analisi astrologica ci eravamo imbattuti ( con una certa costernazione ) in una “ insincerità” di Gandhi : è questa una macchia che appare anche all’analisi grafologica ? Si, infatti per Moretti “ la sincerità oggettiva di Gandhi è sotto la mediocrità, per cui potrei chiamare Gandhi una spontaneità insincera, che ci costringe a considerarlo un commediante che fa da re e che si considera veramente tale anche fuori di scena. Onde Gandhi è commediante principalmente con se stesso, benché possa non credersi tale”. Ma , secondo noi, qui è piuttosto la grafologia ( come l’astrologia) che , essendo costruita sull’esame di persone “normali”, si trova in difficoltà a giungere a conclusioni accettabili quando si trova ad analizzare personalità decisamente fuori della norma. Senza dubbio vera, invece, perché confessata dallo stesso Gandhi, la su tendenza ad un forte “ intenerimento sessuale” che il Grafologo puntualmente rileva ( come già aveva rilevato l’Astrologo ). Gurdjieff

Biografia

George Ivanovitch Gurdjieff nacque nel 1877 ad Alessandropoli presso la frontiera persiana della Russia . Nonostante che la famiglia Gurdjieff non fosse ricca ( era stata ricca, sì , una volta, - ricca di molte greggi – ma un’epidemia di peste, provocando una moria delle pecore, l’aveva portata alla miseria e il padre si era ridotto a gestire una piccola bottega di falegnameria ),il piccolo George Ivanovitch visse in un ambiente sereno e intellettualmente vivo . Il padre, oltre al falegname, faceva l’ ashokh e in tale attività aveva raggiunto una grande reputazione in gran parte della Transcaucasia dell’Asia minore . Il nome di ashokh indica in Asia e nella penisola balcanica i bardi locali, che alcune volte improvvisano canzoni e storie, altre volte ripetono poemi e leggende popolari ( che risalgono alla notte dei tempi e che essi con una memoria ferrea tramandano inalterati, di generazione in generazione, senza cambiare una virgola – e si tratta spesso di poemi la cui recita richiede più sera= te !) . Il padre portava spesso il piccolo Ivanovitch sia alle serate che era chiamato ad allietare con i suoi canti sia ai tornei in cui, di tanto in tanto, si affrontavano poeti ashokh di vari paesi ( della Persia, della Turchia, del Caucaso, perfino di alcune regioni del Turkestan ) . Il piccolo Ivanovitch passò quindi i suoi primi anni in un’atmosfera di fiabe, di leggende e di tradizioni ; che rafforzò la sua naturale inclinazione per il meraviglioso, l’incomprensibile, il magico . E tuttavia se l’ambiente in cui si sviluppò era tale da risvegliare la fantasia, non era però tale da permettere a questa di diventare oziosa e confusa : il padre di Ivanovitch era , sì, un poeta, ma non un poeta bohemien . Tutt’altro, era una persona, non solo di grande rettitudine e onestà, ma di grande autocontrollo e autodisciplina e diede al figlio un’educazione spartana . Come il figlio raccontò da adulto ( per lodarlo e ringraziarlo ) egli usava per forgiarne il carattere il sistema della “persecuzione sistematica” . Spesso metteva nel letto del figlio un animale nauseabondo ( un lombrico, una rana, un topo…) per abituarlo a superare le naturali sensazioni di disgusto che sorgevano in lui ; spesso, tra la angosciata riprovazione della moglie, fattolo uscire presto dal letto, lo portava ad una fonte di acqua gelida, lo spruzzava ben bene e lo faceva correre nudo . E se il piccolo cercava di opporre resistenza, ancorché egli fosse molto buono e gli volesse molto bene, non esitava a castigarlo senza pietà . Una volta che il figlio si fece più grandicello, gli faceva imparare un mestiere e, una volta che questi se ne era impadronito, subito lo obbligava a impararne un altro ; e questo, come spiegherà poi il figlio ai suoi discepoli, non per far aumentare le sue chances di guadagno , ma per addestrare la sua volontà a superare le difficoltà . Il risultato dell’educazione, dura ma saggia, del padre fu la spiccata capacità – che così tanto caratterizzerà Gurdjieff – di sapersi trarre d’impaccio da ogni situazione, per quanto difficile, che la sua vita avventurosa gli verrà a porre .

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L’educazione paterna fu completata e integrata da quella che gli diede un prelato, l’arciprete militare di Kars. Padre Borsh, così questi si chiamava, notata la precocità intellettuale di Gurdjieff, convinse suo padre a toglierlo dalla scuola pubblica e a farlo studiare privatamente sotto la sua direzione . A padre Borsh, Gurdjieff dedica un intero capitolo del suo libro autobiografico Incontri con uomini straordinari, attribuendogli una fondamentale e benefica influenza nella formazione del suo carattere. E in effetti padre Borsh era una persona di grande levatura spirituale e intellettuale . Di adamantina onestà, austero, era capace di seri interessi scientifici, soprattutto per l’astronomia e la chimica, e , nello stesso tempo, di rivelarsi un raffinato musicista ( suonava il violino e componeva cantici, alcuni dei quali diventarono celebri in Russia ) . Il metodo ch’egli aveva ideato con il padre del giovane Ivanovitch per stimolarne l’intelligenza, ne dimostra la capacità e l’originalità di educatore . Era un metodo che a noi ricorda molto quello dei Maestri Zen e che Gurdjieff descrive così : “ Uno dei due poneva bruscamente all’altro una domanda, a prima vista assolutamente fuori luogo . L’altro, senza fretta, con la massima calma e la massima serietà, dava una risposta logica e plausibile . Per esempio, una sera che mi trovavo nella bottega, entrò all’improvviso ( padre Bursh ) e, senza darsi nemmeno il tempo di sedere, chiese a mio padre : “Dov’è Dio in questo momento ?” . Mio padre gli rispose gravemente : “In questo momento, Dio è a Sary-Kamys” . Sary-Kamys è una regione boscosa, situata al confine tra l’antica Russia e la Turchia, rinomata in tutta la Transcaucasia e l’Asia minore per l’altezza straordinaria dei suoi abeti . Poi il vecchio prete domandò : “E che cosa sta facendo Dio laggiù ?” . Mio padre rispose che laggiù Dio stava costruendo delle doppie scale in cima alle quali fissava la felicità, perché su queste scale potessero salire e scendere individui e nazioni intere . Domande e risposte si alternavano così, su un tono posato e tranquillo, come se uno di essi avesse chiesto : “ A quanto vanno le patate oggi ?” , e l’altro avesse risposto : “Quest’anno il raccolto è stato cattivo” . Avevano molto spesso conversazioni di questo genere, cosicché un estraneo probabilmente li avrebbe presi per vecchi rimbambiti e per poveri pazzi in libertà, il cui posto naturale sarebbe stato il manicomio . Soltanto molto tempo dopo – conclude Gurdjieff – dovevo capire la ricchezza di pensiero nascosta in simili dialoghi . Molte domande e molte risposte che, a quei tempi, mi sembravano prive di senso, più tardi, quando mi si posero dei problemi dello stesso ordine, presero ai miei occhi un significato profondo, e soltanto allora capii l’enorme importanza che esse avevano per i due vecchi”.

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Abbiamo visto come l’ambiente in cui cresceva Gurdjieff era di gente semplice ma tutt’altro che primitiva e rozza . Ora dobbiamo aggiungere che esso era, per quel che almeno riguarda la stragrande maggioranza delle persone ( fatta dunque la debita eccezione per la intellighentia del paese, costituita dal medico, dal farmacista, dagli alti ufficiali del reggimento locale….) profondamente religioso . Ciò che lo rendeva il terreno più adatto per il manifestarsi di fenomeni “soprannaturali”, che, peraltro, trovando subito una spiegazione in chiave, appunto, religiosa, neanche destavano soverchia impressione o curiosità…salvo che nel giovane Gurdjieff, che invece cercava di trovare una spiegazione più soddisfacente di quella data dall’intervento del diavolo o di Dio e dei Suoi Santi . Ma di che si trattava ? Gurdjieff nel suo libro autobiografico già citato ce ne dà alcuni esempi . Lasciamogli la parola . Un giorno, racconta Gurdjieff, “ero assorto nel mio lavoro quando improvvisamente risuonò un grido spaventoso . Saltai in piedi, convinto che fosse successo un incidente a uno dei bambini . Corsi e vidi la scena seguente : In mezzo a un cerchio tracciato per terra, un bambino singhiozzava facendo strani movimenti, mentre gli altri, che stavano a una certa distanza, ridevano e si facevano beffe di lui . Non ci capivo nulla . Chiesi che cosa stesse succedendo . Mi dissero che il bambino apparteneva alla setta degli Yazidi, che intorno a lui era stato tracciato un cerchio e che egli non avrebbe potuto uscirne finché non lo si fosse cancellato . Il bambino stava veramente tentando con tutte le sue forze di uscire dal cerchio incantato, ma aveva un bel dibattersi, non ci riusciva . Corsi verso di lui e cancellai rapidamente una parte del cerchio . Subito il bambino balzò via e fuggì a gambe levate” . Gurdjieffe, completamente sbalordito, chiede alla gente e gli viene spiegato che quella degli Yazidi è una setta di adoratori del diavolo i quali, o per un patto da loro fatto con belzebù o per punizione dei patti da loro fatti con belzebù, sono soggetti a questo fenomeno : se si traccia un cerchio intorno a loro, essi per quanti grandi sforzi facciano non possono uscirne : una forza strana, immensamente superiore alla loro, li trattiene prigionieri . La spiegazione non è molto soddisfacente per un intellettuale come Gurdjieff ; ma non molto più soddisfacente è quella che con sussiego gli dà un amico medico : “Si tratta di chiari esempi di isteria” – “Isteria ?” chiede ancora Gurdjieff. “Si, isteria” e l’amico medico si ingolfa in una lunga dissertazione su tale fenomeno nervoso . “Ma – continua a raccontare Gurdjieff – “di tutto ciò che mi disse capii soltanto che l’isteria era l’isteria . E questo lo sapevo già, per la buona ragione che nella biblioteca dell’ospedale militare di Kars non esisteva un solo libro di patologia nervosa o di psicologia che non avessi letto” . “Un altro fatto, non meno sconcertante, ebbe luogo a Kars – racconta ancora Gurdjieff nel suo interessante libro autobiografico - . Quell’anno in tutta la provincia, il caldo e la siccità erano stati spaventosi . Quasi tutto il raccolto era stato bruciato dal sole, c’era minaccia di carestia e il popolo cominciava ad agitarsi . Quella stessa estate, il patriarca di Antiochia aveva mandato in Russia un archimandrita con un’icona miracolosa . Egli andava di città in città con la sua icona e fra le tante città egli passò da Kars (….) . L’indomani dell’arrivo di questo archimandrita a Kars, si sparse la voce che tutti i preti avrebbero recitato davanti all’icona, fuori della città, una preghiera speciale per chiedere la pioggia . Infatti, a mezzogiorno in punto del giorno fissato, da tutte le chiese della città partirono processioni con stendardi e icone, per recarsi insieme nel posto designato (….) . Quel giorno il caldo era particolarmente intenso . Davanti a quasi tutta la popolazione il clero, con l’archimandrita in testa, celebrò un servizio solenne . Dopo di che tutta la processione si mise sulla via del ritorno in città . Fu allora che accadde uno di quegli avvenimenti che gli uomini contemporanei sono incapaci di spiegare : il cielo si coprì improvvisamente di nuvole, e i cittadini non erano ancora giunti alle porte della città, che una pioggia torrenziale si mise a cadere, al punto che tutti si bagnarono fino alle ossa. Per interpretare questo fenomeno – osserva Gurdjieff – si potrebbe naturalmente adoperare, come in tanti altri casi simili, la parola stereotipata di “coincidenza”, cara ai nostri “uomini di pensiero”, come essi vengono chiamati . Ma bisogna pur riconoscere che la coincidenza, questa volta, sarebbe stata un po’ grossa “ . Un altro episodio ancora, che Gurdjieff racconta, è questo : La vicina di casa da poco sposatasi era caduta in una grave malattia che sembrava doverla portare inevitabilmente alla tomba . Un giorno – così continua il racconto di Gurdjieff –“ la suocera della malata, venne a chiedere a mia madre il permesso di cogliere alcuni boccioli di rosa nel nostro giardino . Piangendo essa raccontò che nella notte la malata aveva visto in sogno Mariam-Ana –questo è il nome che i Tartari danno alla Vergine- ,che le aveva ordinato di cogliere dei boccioli di rosa, di far bollire gli stami nel latte, e di berlo . E la vecchia, per tranquillizzare la malata, voleva fare ciò che aveva chiesto . Mia madre, naturalmente, diede il suo consenso, e andò perfino ad aiutare la vecchia a cogliere i fiori. Che sorpresa per me quando, l’indomani mattina, andando al mercato, incontrai la vecchia tartara che usciva con la malata dalla chiesa di Sev-Jam, dove si trovava l’icona miracolosa della Vergine ! Una settimana più tardi vidi la nostra vicina lavare le finestre di casa sua . Va detto per inciso – così finisce ironicamente Gurdjieff il suo racconto – che il dottor Rezink spiegò che questa guarigione, che sembrava miracolosa, era dovuta semplicemente al caso” . xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Gurdjieff è una persona istruita – è stato in seminario ( avendo come compagno Stalin ) e ha studiato anche medicina – però invano cerca nei suoi libri la risposta agli interrogativi che in lui fanno nascere gli avvenimenti di carattere “soprannaturale” a cui ha la ventura di assistere e quelli che da persone di sicura fede gli vengono raccontati . Lascia allora la sua città e per venti anni viaggia attraverso le più remote contrade dell’Asia alla ricerca di persone che sappiano acquietare la sua fame di sapere ; alcune volte, da solo, altre volte, con spiriti come lui curiosi e inquieti ( principi, medici, sacerdoti, manovali…) con cui ha formata un’associazione ( sui generis ) di “ricercatori della verità” . Tornato in Occidente, delle Scuole e dei luoghi in cui aveva trovato la Conoscenza, che indubbiamente possedeva, parlerà pochissimo, e sempre in modo evasivo . Citerà alcuni monasteri tibetani, il Monte Athos, certe scuole persiane di Bukhara e del Turkestan orientale ; dirà ancora di aver conosciuto dervisci di diversi ordini …..ma non fornirà mai precisazioni . Poco si sa quindi di questo periodo della sua vita . Sembra assodato, però, ch’egli riuscisse a diventare precettore del Dalai Lama e che da lui fosse incaricato di svolgere mansioni di carattere finanziario e di provvedere all’armamento delle truppe ( ciò che, se vero, così come sembra essere, sarebbe la miglior prova dell’alto livello spirituale da lui raggiunto ; dato che in un paese, come il Tibet sacerdotale del tempo, ben difficilmente una persona avrebbe potuto raggiungere tanto potere temporale, se non avesse posseduto altrettanto potere spirituale ) . Sembra anche che diventasse il principale agente d’informazione russo nel Tibet ( ovviamente in funzione antagonista all’Inghilterra, l’altra potenza imperiale che, in quella regione dell’Asia, si voleva assicurare un’influenza : ciò che spiegherebbe le difficoltà che più tardi incontrò per stabilirsi a Londra, nonostante gli interventi di vari suoi amici presso Lloyd George ; così come la benevolenza verso di lui spiegata da Poincaré, che intervenne personalmente per autorizzarlo a stabilirsi in Francia , potrebbe essere spiegata da dei servizi da lui resi , come agente segreto, a tale Paese ). Certo è che più volte Gurdjieff in questo periodo ebbe a rischiare la vita e che più volte si trovò in situazioni finanziariamente disperate, da cui sapeva trarlo fuori solo il suo incredibile talento per gli affari e la sua straordinaria ingegnosità ( oltre ad una certa mancanza di scrupoli ch’egli, con disarmante sincerità, nel suo libro autobiografico già citato Incontri con uomini straordinari, non fa nulla per nascondere – del resto, nessuno meno di Gurdjieff si è mai preoccupato della propria reputazione !) . Di tale talento, di tale ingegnosità ( e di tale mancanza di scrupoli ) forse è opportuno portare la testimonianza di alcuni episodi ( tratti dal suo libro or ora citato ) . Gurdjieff, in un periodo in cui si trova a Roma, si accorge tristemente che i suoi denari stanno per finire e, seguendo un consiglio di due amici, si installa sul marciapiede come lustrascarpe . “All’inizio –così egli racconta – i miei affari non furono brillanti . Perciò, per aumentare le mie entrate, decisi di dare a questo mestiere un tocco nuovo, per niente banale . Ordinai una poltrona speciale, sotto la quale sistemai un fonografo Edison, invisibile ai passanti . Di fuori si vedeva soltanto un tubo di gomma munito di diffusori disposti in modo tale che quando una persona si sedeva sulla potrona, questi erano a portata delle sue orecchie . Non avevo che da avviare discretamente la macchina . In questo modo, mentre io gli lustravo le scarpe, il mio cliente poteva sentire la M arsigliese o la maestosa aria di un’opera . Inoltre fissai al braccio destro della poltrona una specie di vassoio sul quale posavo un bicchiere, una caraffa d’acqua, del vermuth e dei giornali illustrati . Grazie a questi accorgimenti, i miei affari andarono a gonfie vele : questa volta cominciarono a piovere le lire, e non più i centesimi” . Un’altra volta Gurdjieff arriva a Samarcanda dove avrebbero dovuto avergli spedito il denaro per proseguire il viaggio . Si reca all’ufficio postale, ma, di denari per lui, neanche l’ombra . A questo punto lasciamo alle sue parole il racconto di come si cavò d’impaccio : “Riflettei allora ai mezzi per procurarmi dei soldi . Decisi di fabbricare dei fiori artificiali, e andai immediatamente in un negozio per comprare della carta colorata ; ma, per strada, calcolai che con i miei cinquanta copechi ne avrei comprata ben poca : comprai soltanto della carta bianca molto sottile e alcuni timbri di colore all’anilina per colorare io stesso la mia carta bianca e confezionare così con poca spesa una grande quantità di fiori . Uscito dal negozio, andai nel giardino pubblico e sedetti su una panchina all’ombra degli alberi per riposare . Il mio Philos si accucciò accanto a me . Immerso nei miei pensieri, guardavo gli alberi dove i passeri volavano di ramo in ramo, nella quiete e nella frescura . Improvvisamente mi venne un’idea : perché non cercare di guadagnare denaro con i passeri ? Gli abitanti del porto, i sarti, amano molto i canarini e altri uccelli canori . In che cosa un passero sarebbe peggio di un canarino ? Nella strada che costeggiava il giardino pubblico c’era una stazione di carrozze da nolo, dove numerosi cocchieri si riposavano e sonnecchiavano sul loro sedile nella canicola meridiana .Ci andai e strappai dalla coda dei cavalli i crini che mi occorrevano per fabbricare dei lacci, che posai in vari posti . Per tutto il tempo Philos mi osservò con grandissima attenzione . Presto un passero fu preso al laccio . Lo staccai delicatamente e lo portai a casa . Chiesi delle forbici alla padrona di casa e cominciai col tagliare le ali del mio passero per dargli la forma di un canarino, poi lo colorai in modo fantastico con i miei colori all’anilina . Portai quindi questo passero nella vecchia Samarcanda, dove lo vendetti subito, facendolo passare per un canarino americano di una specie rara per cui chiesi due rubli . Con questo denaro comprai immediatamente alcune gabbie dipinte, molto semplici, e mi misi allora a vendere i miei passeri in gabbia . In due settimane, vendetti quasi ottanta di questi canarini americani (…..) Non mi arrischiai ( però ) a soggiornare a lungo a Samarcanda . Avevo paura che i miei passeri – con che cosa non va a scherzare il diavolo ? – prendessero la pioggia, o che a uno di loro venisse in mente di bagnarsi nella sua vaschetta, ciò che avrebbe potuto causare un grande scandalo, perché il mio canarino americano sarebbe ridiventato un orrendo passero spennato . Mi affrettai dunque a sloggiare alla chetichella” . Queste siccità finanziarie, chiamiamole così, erano ricorrenti : se ne verificò una anche a Istanbul dove Gurdjieff si era recato per studiare le danze dervisce . Sentiamo dal suo vivo racconto come ne sopravvisse : “Completamente preso dalla mia dervisciomania, non facevo più nulla di utile e non pensavo ad altro che a questa faccenda dei dervisci ; cosicché un giorno dovetti arrendermi all’evidenza : non avevo più un soldo in tasca . Dopo aver fatto questa constatazione, errai smarrito per due giorni interi, assalito da mille pensieri che mi ronzavano in testa come le mosche favorite dei muli spagnoli . Come procurarmi quella cosa spregevole che, per l’uomo contemporaneo, è quasi l’unico impulso di vita ? In preda a queste preoccupazioni, mi trovavo una mattina sul grande ponte che collega Pera e Istanbul . Appoggiato al parapetto, mi ero messo a riflettere sul significato e sul valore reale dei movimenti rotatori senza fine dei dervisci volteggianti, movimenti che a prima vista sembravano automatici, senza nessuna partecipazione della coscienza. Quando nelle vicinanze della banchina, tra le navi, vidi dei ragazzini che si tuffavano alla ricerca delle monete che i viaggiatori buttavano per loro . Molto interessato mi avvicinai e mi misi ad osservarli . Senza nessuna fretta, con molta abilità, questi ragazzi acchiappavano le monete lanciate qua e là intorno alle navi, non ne mancavano una . Li guardai a lungo ammirando la loro disinvoltura e la loro destrezza . Ce n’erano di tutte le età, dagli otto ai diciott’anni . Improvvisamente mi venne un’idea: perché non imparare anch’io questo mestiere ? Che cosa m’impediva di diventare abile come quei ragazzini ? E sin dall’indomani andai sulle rive del Corno d’Oro, un poco oltre l’Ammiragliato, per imparare a fare i tuffi . Per caso, nel periodo in cui mi esercitavo, trovai perfino un maestro , un greco espertissimo in materia, che veniva lì a fare il bagno . Egli mi insegnò di propria iniziativa alcuni segreti di quest’arte : gli altri glieli carpii a poco a poco, con l’astuzia che già mi era propria, davanti alla tazza di caffè che bevevamo dopo il bagno, in una taverna greca non lontana da lì – e vi lascio immaginare chi pagasse il caffè !” . In poco tempo Gurdjieff s’impadronì del nuovo mestiere e ancora una volta…risolse il problema del pane quotidiano .

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Nel 1914, all’età di 46 anni, Gurdjieff riappare in Occidente, a Pietroburgo . Dopo circa 20 anni di vagabondaggio spirituale, ormai senza preoccupazioni materiali perché è più che ricco , vuole trasmettere al pubblico un messaggio . E’ questo, però, un messaggio piuttosto sconcertante : pochissimi di noi sono degli Uomini ; la stragrande maggioranza non sono che delle macchine, e per di più delle macchine che assurdamente tendono sempre a rifare lo stesso percorso , in quanto essi si muovono ( meglio sarebbe dire, sono mossi ) in base ad associazioni di idee in loro indotte dall’esterno e che, appunto, tendono a ripetersi continuamente . Occorre rompere questo perverso meccanismo, occorre “svegliarsi” dall’ipnosi di cui siamo vittime. Occorre guadagnarsi con una durissima lotta un “Io” : quell’Io che ora non possiamo dire di avere, dato che, avere un “Io” e non esserne consapevoli, è come non averlo ( e di questo “Io” non siamo consapevoli in quanto continuamente ci identifichiamo con le idee, i sentimenti che ci vengono dall’esterno e che, per così dire, ci “aspirano”, ci “risucchiano” : io sono continuamente “aspirato” dal cibo che mangio, dalla sigaretta che fumo, dall’amore che faccio, dalla pioggia, da quel quadro, da questo libro…) . Gurdjieff non ama né blandire né illudere le persone : “Un uomo può smettere di essere soltanto una macchina . Ma in questo caso deve rendersi conto d’essere una macchina, soltanto una macchina e nient’altro, una macchina irresponsabile . Conosci te stesso . Un uomo è responsabile . Una macchina non lo è . Voi non siete ancora esseri responsabili” . E insiste, ancora, duramente : “L’illusione suprema dell’uomo è la sua convinzione di poter fare . Ma in verità nessuno fa niente, nessuno può far niente . E’ la prima cosa che bisogna comprendere . Tutto accade . Tutto ciò che avviene nella vita di un uomo, tutto ciò che viene da lui…..tutto ciò, accade . Accade esattamente nello stesso modo in cui cade la pioggia (….) . Accade, come la neve si scioglie, sotto i raggi del sole, come la polvere si alza nel vento . L’uomo è una macchina . Tutto ciò che fa, tutte le sue azioni, tutte le sue parole, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue convinzioni, le sue opinioni, le sue abitudini, sono i risultati di influenze esterne, di impressioni esterne (….) . Per fare , bisogna essere …perciò bisogna comprendere che cosa significa essere . Poi – insegna ancora Gurdjieff a chi ha il coraggio di continuare ad ascoltarlo – bisogna imparare a dire la verità . Anche questo vi sembra strano ? Non vi rendete conto che sia necessario imparare a dire la verità ! Siete convinti che basti desiderare o decidere di dirla ! Ma io vi dico che è relativamente raro che la gente pronunci deliberatamente una menzogna . Nella maggioranza dei casi la gente pensa di dire la verità . Dire la verità è la cosa più difficile del mondo . Bisogna studiare molto e molto a lungo per poter dire un giorno la verità . Il solo desiderio di dirla non basta. Per dire la verità, bisogna essere diventati capaci di conoscere che cos’è la verità e che cos’è la menzogna…soprattutto in se stessi….” .

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Gurdjeff, all’epoca della sua prima apparizione a Pietroburgo, si avvicinava, come abbiamo già detto, alla cinquantina ; però si intuiva in lui un vigore senza età, una calma e un coraggio fuori del comune . Appariva chiaro a chiunque, in pochi secondi – se voleva mostrare il suo vero volto ( poiché era in grado di “occultarsi” a volontà, sguardo, viso, corpo, gesti ) – ch’egli possedeva poteri di una particolare natura, ch’era portatore d’una energia incomparabile e che godeva d’una unità e d’una libertà interiore quasi assolute . Ecco come ci descrive il suo primo incontro con lui , Ouspensky – un giornalista e filosofo che diventerà suo discepolo e il principale espositore del suo Pensiero - : “Eravamo arrivati in un piccolo caffè, fuori dal centro di Mosca, in una strada brulicante di folla . Vidi un uomo non più giovane, di tipo orientale, con i baffi neri e gli occhi penetranti . Quella vista mi sbalordì, perché mi sembrava completamente fuori di posto in quell’ambiente e in quell’atmosfera . Ero ancora pieno delle impressioni del mio viaggio in oriente e quell’Uomo, che aveva il viso da rajà indù o da sceicco arabo, simile a quello che avevo veduto sotto un burnus bianco o sotto un turbante dorato, in quel piccolo caffè frequentato da bottegai e da commessi viaggiatori, produceva, con quel suo soprabito nero dal collo di velluto e quel cappello a bombetta, l’impressione inaspettata, bizzarra e quasi allarmante di un individuo camuffato malamente . Era uno spettacolo sconvolgente, come quando ci si trova davanti ad uno che non è affatto ciò che finge di essere, e con il quale bisogna comunque parlare e comportarsi come se non ci fossimo accorti di niente .Gurdjieff parlava un russo scorretto con un forte accento caucasico ; un accento che abbiamo l’abitudine di associare all’idea di qualunque cosa, eccetto che alle concezioni filosofiche, e che, in quel caso, accentuava ulteriormente la stranezza e il carattere sorprendente di quell’impressione .Non ricordo l’inizio della nostra conversazione : mi pare che parlassimo dell’India, dell’esoterismo e delle scuole di yoga. Compresi che Gurdjieff aveva viaggiato molto, che si era recato in zone di cui avevo sentito parlare e che avrei desiderato molto visitare . Non solo le mie domande non lo imbarazzavano, ma mi sembrava che mettesse nelle sue risposte più di quanto io gli chiedessi . Il suo modo di parlare mi piaceva : era nello stesso tempo, prudente e preciso (…. ) Mi parlò di ciò che faceva a Mosca (….) Mi spiegò che il suo lavoro era soprattutto di carattere psicologico (…)” .

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Il modo che Gurdjieff scelse per reclutare i suoi primi discepoli fu senza dubbio originale ( e, almeno a prima vista, un po’ ciarlatanesco ) . Mise sui giornali alcuni trafiletti annuncianti che un “indù” intendeva presentare presto un balletto fantastico intitolato La lotta dei maghi , che avrebbe rivelato per la prima volta le tecniche della magia orientale ed avrebbe fatto rivivere le più importanti ed antiche danze sacre dell’umanità . Attirati da quest’annuncio, molti si rivolgevano a lui . Si vedevano ricevere sulla terrazza di un bar da uno strano “indù” – un “indù” con tanto di pelliccia e cappello a bombetta . Gurddjieff, l’indù, se il suo interlocutore era uno dei tanti “occultisti” di professione, freddamente dichiarava che c’era un equivoco, che lui era soltanto un venditore di tappeti ; spiegava un bukhara , ne vantava i pregi e cercava di venderlo….Se però gli sembrava di vedere, in chi a lui si rivolgeva, un autentico desiderio di conoscenza, parlava seriamente : allora non discorreva più di balletti o di fachiri, ma del mezzo per riuscire ad acquistare un reale dominio sulla natura e, in primo luogo, sulla propria natura interiore e ,quindi, una vera libertà. In poco tempo una trentina di intellettuali, a Mosca e a Pietrogrado, colpiti dall’importanza di ciò che quell’uomo diceva, si raccolsero intorno a lui e si riconobbero suoi discepoli .

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Ma, non è passato molto tempo dal ritorno di Gurdjieff, che scoppia la rivoluzione . I disastri della guerra lo costringono, prima, a ritirarsi nel Caucaso, il suo luogo natale, e, poi, a lasciare ( con gran parte dell’ingente patrimonio acquisito durante le sue ventennali peregrinazioni ) la Russia . Prima, si rifugia a Costantinopoli, quindi, a Berlino , quindi ancora, a Londra, infine si stabilisce in Francia . Qui un editore francese, che sta liquidando la sua azienda, nel 1922 gli mette a disposizione un castello presso Fontainebleau, il castello di Avon . Gurdjieff ne fa la sede centrale di un Istituto per lo sviluppo armonioso dell’uomo . E subito escogita un metodo efficace per la propaganda di questo istituto e delle sue idee : i balletti, dei balletti da lui ideati, che egli presenta al pubblico in una tourneé di successo in vari paesi. L’interesse per essi nasceva, sia dalle strane musiche che li accompagnavano ( e che Gurdjieff diceva di aver trascritto a memoria, dopo averle ascoltate in vari monasteri e presso varie sette dell’Oriente ), sia, e soprattutto, dall’assoluto autocontrollo che la loro esecuzione implicava nei danzatori . Ecco ciò che un critico ( intelligente ) di Gurdajieff, Rom Landau, scrive al loro proposito : “Il loro scopo non è quello di permettere al danzatore di esprimere le sue emozioni soggettive, ma di insegnargli la collaborazione dei suoi tre centri ( emotivo, fisico, intellettuale ) . Mediante esercizi “oggettivi” ogni movimento, ogni passo, ogni ritmo è minuziosamente descritto . Ogni arto deve essere addestrato a compiere movimenti indipendenti, che non hanno la minima coordinazione con quelli degli altri arti .In altre parole le danze di Gurdjieff mirano a spezzare le convenzioni muscolari dei danzatori . E, creando movimenti indipendenti, Gurdjieff agisce anche contro le convenzioni mentali e sentimentali dei suoi allievi” . Non c’è quindi da meravigliarsi se un suo discepolo, Louis Pawels, che a tali danze partecipò, ebbe poi a dichiarare : “Uscivamo da quelle sedute ( le riunioni in cui si eseguivano le danze, n.d.r. ) fiaccati e stranamente liberati dal nostro io comune, resi straordinariamente permeabili a “qualcosa d’altro” e come pervasi da una libertà divina . Eravamo, per essere esatti, letteralmente disumanizzati . Conosco una donna che non riconosceva più il marito quando tornava da una di quelle sedute e, come se fosse abbandonata, come se fosse vedova, andava a piangere in camera sua, poi tornava indietro, e sbirciava dalla fessura della porta, aspettando che …il marito ritornasse”. Certamente , degli spettatori, molti ( la maggior parte ), assistendo ai balletti di Gurdjieff, si limitavano ad ammirare il loro lato spettacolare ( la perfetta sincronia dei movimenti dei danzatori, il fatto, ad esempio, che questi ad un cenno improvviso di Gurdjieff riuscissero subito ad immobilizzarsi, conservando l’equilibrio, nella posizione in cui li aveva trovati il suo ordine, così come se fossero sotto l’incantesimo di un potere ipnotico ) ; ma alcuni, più intelligenti, intuivano, al di là del lato spettacolare, una clamorosa forma di rivolta contro quella che in Occidente chiamiamo abusivamente la “persona umana” . Fu questa intuizione a spingere tanti spiriti elevati a soggiornare nel castello di Avon . Fu questa intuizione, e non una banale curiosità per le danze dervisce , che spinse ad incontrare Gurdjieff tante eminenti personalità della cultura . I romanzieri A. Huxley e A. Koestler, l’architetto funzionalistico Frank Lloyd Wright, J.B. Bennet, discepolo di Enstein, il dottor Wakei, che è stato uno dei migliori chirurghi di New York, Geogette Leblanc, J. Sharp, fondatore della rivista The New Stateman , tutti essi ebbero con Gurdjieff dei contatti che lasciarono tracce .

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Le danze e i “movimenti” erano soltanto un aspetto del “lavoro” che veniva compiuto nel castello di Avon . A queste danze, a questi “movimenti”, altre tecniche si aggiungevano, tutte intese essenzialmente a spezzare la personalità, l’io costruito dalla società, per permettere al vero “Io”, alla “essenza”, come la chiamava Gurdjieff, di emergere . Ecco una descrizione del “lavoro”, che in tale senso si compiva ad Avon, apparsa ( in concomitanza con la touneè dei balletti in America ) nella rivista new-yorchese, The century : “Poiché la via che conduce alla padronanza della propria personalità inferiore , passa attraverso l’osservazione e la conoscenza di sé, Gurdjieff fa in modo che ciascuno possa osservarsi continuamente in condizioni diverse . Perciò obbliga i suoi intellettuali a svolgere duri lavori manuali, perché possano osservarsi durante lo sforzo insolito . Se un muratore entrasse a far parte della colonia dei discepoli, probabilmente verrebbe invitato alla lettura, o costretto a non fare nulla, per potersi osservare in questa situazione insolita. Gurdjieff comincia con lo spezzare le vostre abitudini, cioè i più forti legami meccanici cui siete sottomessi . Dice che più l’abitudine è insignificante, più è difficile liberarsene . (…) Secondo Gurdjieff bisogna abbattere tutte le barriere personali . Se un uomo è orgoglioso, Gurdjieff lo umilia deliberatamente davanti a tutti gli altri allievi . Se ha qualche affetto o qualche avversione particolare, deve distruggerli . C’è per esempio un uomo, all’Istituto, che, quando vi era entrato non poteva sopportare la vista del sangue : fu subito incaricato di uccidere gli animali destinati alla cucina (…..) I pensionati si svegliano alle otto o alle nove . E’ un’ora piuttosto tarda, per una vita monacale, ma bisogna ricordare che si sono addormentati alle quattro o alle cinque del mattino. Secondo Gurdjieff, delle sette od otto ore di sonno abituali per un uomo normale, almeno la metà è sprecata nel pre-sonno, mentre, invece, il solo periodo che conta è quello del sonno profondo .Ed è possibile ottenere subito questo se ci si corica al momento estremo della stanchezza . Restereste sbalorditi – continua l’articolista del The Century – nel vedere la nudità delle camere . I letti sono duri giacigli con due o tre coperte grossolane . C’è qualche fuoco acceso, ma i camini sono quasi inutilizzabili e il combustibile scarseggia . Nei corridoi, qualche volta, ci sono uno o due bracieri accesi, ma il Priorato resta umido e freddo anche nei mesi più duri dell’anno . Qualche volta c’è un tappeto sul pavimento ; due sedie barcollanti e un pezzo di specchio completano di solito l’arredamento della stanza . All’istituto non si cercano le comodità . I pensionati –stiamo citando sempre dall’articolo del TheCentury – scendono ancora insonnoliti, per mettersi al lavoro . Possono essere incaricati di pulire le stalle o il pollaio . Oppure di tagliare gli alberi, o riparare una fontana . Uno di loro può essere scelto per fare lo sguattero o il cameriere del refettorio . Le donne hanno un loro refettorio, e vi lavorano a turno . Bisogna notare che, ad eccezione di alcune coppie sposate con figli, esiste una rigorosa separazione tra i sessi, all’Istituto . Gli uomini e le donne s’incontrano soltanto alle sedute di danza e durante certi lavori . Mentre i nostri amici stanno lavorando, se alzano gli occhi all’improvviso, possono trovarsi davanti Gurdjieff che fa il suo giro di ispezione, con il suo cappello caucasico privo di tesa, la sua pelliccia nera, i suoi vestiti vecchi, una sigaretta tra le labbra . “Skorry ! Queeker! Queeker !” ( “Più in fretta! Più in fretta!” –n.d.r. ) dice nel suo russo e nel suo inglese approssimativi . “ Lavorate bene, diventate migliori . Cominciate a pensare meglio . Benissimo” . Oppure si mette lui stesso all’opera, mostrando come deve essere eseguito quel lavoro (….) Certe volte Gurdjieff ordina a qualche allievo di digiunare . In questo caso, questi continuerà a lavorare, ma non prenderà cibo durante tutto il tempo ( giorni o settimane ) che Gurdjieff considererà necessario . Dopo il pranzo, un breve riposo, poi si riprende il lavoro fino a sera”. La descrizione della vita ad Avon fatta dalla rivista The Century sembra fedele. Si dice anche che, alcuni frequentatori del castello, siano andati incontro a crisi gravissime che sconvolsero il loro equilibrio mentale ;che altri dal castello fuggirono, ricordandosi delle esperienze in esso vissute con terrore, come se si fossero trovati sull’orlo di un abisso. Ma si dice altresì che chi seppe resistere alla prova e persistere nel “lavoro” indicatogli da Gurdjieff, acquisisse un’incomparabile sicurezza e un nuovo senso dell’esistenza .

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Le maniere di Gurdjieff non erano delicate . Ecco la descrizione di una “seduta” ad Avon fatta da persona che vi aveva assistito ( descrizione che –se pur ispirata chiaramente a malevolenza – va considerata fondamentalmente veritiera ) : “Lui entra, finalmente . La poltrona che era rimasta vuota, accoglie ora la sua corpulenza .”Ho contato” – dice uno – come mi ha detto lei . Questo mi aiuta molto : uno, cento, due, novantanove, tre, novantotto…Mi aiuta molto” . “ A far cosa ? “ .”A mantenere la mia sensazione del braccio” . Un grugnito. L’altro continua : “Ho addirittura complicato il mio conteggio . Più è difficile, più ho la testa occupata ; qualche volta riesco ad avere un’ottima sensazione di tutto il mio corpo” . Qui tutti si aspettano di tutto. Felicitazioni ( rare ), ingiurie ( frequenti ), sarcasmi ( numerosissimi ) . “Quanto tempo lei fa questo ?” domanda Gurdjieff . “Quindici giorni” . “Basta, basta come così -dice Gurdjieff – Lei non più fare conti, già meccanizzazione fare, già dormire . Conto modo nuovo, capire ?” E’ evidente , chi non lo capisce ? quando una cosa diventa facile, non c’è più gusto . Il motore non deve mai rombare in modo uniforme . “Avanti, avanti” – dice Gurdjieff . Esitazioni nell’assemblea. Il silenzio s’addensa .Chi ha qualcosa da dire ? Una piccola signora, dal cappello verde, troppo sensibile, non riesce a sopportare quel silenzio . Dice una cosa qualunque, inventata certamente in buona fede . Dice che “lavorando” ha sentita una bolla nel petto che saliva, scendeva, poi si fissava nel plesso solare . Distensione tra i “lavoratori” : ogni tanto si ha diritto a far baldoria per cinque minuti . E il divertimento non manca .“Lei idiota, lei isterica, lei, come dire in francese?”- Gurdjieffe si volge verso il pubblico, con un bel sorriso : “Crazy ?…Toccata? Toccata!” La signora dal cappello verde assapora l’umiliazione. Tutto ciò che viene dall’Amato è bene . Arrossisce , balbetta . “Lei casa di matti subito, eh ?” . “Si, signor Gurdjieff” – dice umilmente la signora dal cappello verde, che senza dubbio si sente meglio, che ha sentito in cuore quel calore che la spingerà a “lavorare” con un entusiasmo ancor più grande” .

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Tra le testimonianze su Gurdjieff ce n’è una ( di carattere piccante ) sul suo potere di ricordare la “donna alla donna”, che merita di essere riportata . Chi riferisce si trovava in un ristorante di New York, in compagnia di una sua amica, una giovane scrittrice ( sembra del tipo “femminista” ). Nella stessa sala si trovava per caso anche il Gurdjieff . Ed ecco il racconto : “Le indicai Gurdjieff, che era seduto ad una tavola vicina, e le chiesi se lo conosceva . “No, chi è ?” – rispose lei guardandolo . Gurdjieff colse il suo sguardo e subito lo vedemmo aspirare ed espirare in un modo particolare . Sono troppo abituato a questo genere di trucchi per non capire subito che Gurdjieff stava servendosi di un metodo orientale . Qualche attimo dopo, mi accorsi che la mia amica impallidiva e sembrava sul punto di svenire. E’ una donna che di solito sa controllarsi perfettamente, e il suo atteggiamento mi sorprese. Dopo un istante si riprese, e le chiesi che cosa le fosse successo . “Quell’uomo è fantastico” – mormorò . “E’ successa una cosa spaventosa” – aggiunse . Poi, all’improvviso, si mise a ridere, della sua risata cordiale : “Dovrei vergognarmi, ma non importa, le dirò cos’è successo . Ho guardato il suo “amico”, e lui ha sorpreso il mio sguardo . Allora egli mi ha fissata in modo freddo ed io mi sono sentita toccata al centro del mio sesso, in modo tale da avere l’orgasmo . E’ ignobile !” .

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Nel 1934, al ritorno di una tournée in America, fatta per presentare i suoi balletti, Gurdjieff ha un tremendo incidente al volante d’una delle grosse automobili con cui ama tanto “giuocare” . Rimane tre giorni in stato di coma ; ma subito dopo si riprende e addirittura appare ringiovanito, quasi che lo choc fisico, invece di ledere il suo organismo, lo abbia galvanizzato . Decide però di abbandonare la direzione dell’Istituto e chiude il castello di Avon . Riceve a casa sua, un appartamento nei pressi dell’Etoile, e scrive moltissimo . La mattina lo si può vedere, al Café de la Paix , con i suoi grandi baffi bianchi, con il suo berretto di pelliccia, mentre beve il caffè e mangia dei formaggini che estrae dalla tasca, circondato dalle premure dei camerieri a cui dà mance principesche . Intanto si sono formati, specie in Francia e negli Stati Uniti, gruppi di persone che si riconoscono nel suo Pensiero . Questi gruppi, sempre più numerosi e sempre più attivi, necessitano di direttive e di un Insegnamento ; e Gurdjieff si assume questo compito. Non mancano nel Movimento gli scandali, i malintesi, i deviazionismi : ma tutte queste cose sembrano lasciarlo indifferente, quando addirittura non sembrano divertirlo . Nel Novembre del 1949, al termine del suo ottantaquattresimo anno, viene colpito da una non ben definita malattia : probabilmente si tratta solamente di stanchezza, di stanchezza di vivere . Viene portato all’ospedale e in brevissimo tempo giunge la fine . Gurdjieff, prima di morire, guarda, dal suo letto, senza parlare, i sui intimi, coloro che dovrebbero continuare, dopo di lui, a propagare il suo Insegnamento in Francia, in America e in altri paesi : avrebbero avuto probabilmente allievi sempre più numerosi, mezzi materiali sempre più cospicui. Lo sguardo di Gurdjieff è tranquillo. “Vi lascio in buone acque” –dice . Poi sprofonda tra i guanciali e arrovescia gli cocchi . Certo Gurdjieff non aveva l’adamantina purezza di altri Maestri - di un Gandhi, ad esempio - ; certo, volendo, si potrebbe trovare da criticare su certi lati della sua personalità . Ma è anche certo che questa fu del tutto eccezionale e che ci autorizza a ripetere per lui quel che Amleto dice di suo padre, il defunto re di Danimarca : He was a man . Take him all in all . I shall not look upon his like again . ( Era un uomo . A prenderlo nella sua interezza . Non leverò mai più lo sguardo su alcuno che gli somigli – Amleto , atto I, scena II ).

Gurdjieff : oroscopo

13 . 01 . 1877 00h 45m LMT 21h 50m GMT

Alexandropolis Russia

Ascendente, Bilancia Sole, in Capricorno

Abbiamo vista nella biografia che Gurdhjieff fece diversi viaggi nella sua vita. Viaggi che , almeno all’inizio, motivati dalla sete di sapere, avevano anche finito per mettere Gurdjieff in rapporti con potentati politici – rapporti la cui natura è sempre rimasta un po’ misteriosa; ed ecco nella sua carta del cielo : Luna in Capricorno e in casa III ( = “ Il soggetto svolge un’attività poco trasparente che l’induce a viaggiare continuamente : per lo più si tratta di missioni segrete d’indole politica” ). Presumibilmente Gurdjieff partecipò attivamente alla lotta contro le forze sovversive; e se così è, proprio nel settore politico della sua vita e della sua attività troverebbe la migliore spiegazione quella che è la “ macchia oscura” della sua personalità – macchia che ci fanno risultare : Marte quadrato con Urano ( = “ Fanatismo e intolleranza. Modi di fare privi d’ogni scrupolo, specie quando si tratta di usare la violenza per dimostrare agli altri di essere un uomo forte” ), Marte opposto a Plutone ( = “Glorificazione della violenza tanto nelle parole quanto negli atti”) , Urano quadrato Plutone ( = “ Ostilità fanatica alimentata da motivi d’ordine politico o sociale”). Certo Gurdjieff neanche nell’insegnamento si mostrava “tenero” : non amava essere contraddetto ( sempre Urano quadrato Plutone , anche = “ Questi individui non appena si sentono contraddire danno in escandescenze” ) e dava prova di una pesante ironia ( sempre Marte opposto a Plutone , anche = “Scetticismo e ironia “ ) . Abbiamo visto nella biografia che Gurdhjieff era riuscito ad accumulare una discreta fortuna, poi per varie vicende volatilizzatisi; anche questo risulta dalla carta del cielo : Marte in Scorpione e in casa II ( = “ Questi individui finiscono per accumulare ingenti ricchezze. Non sanno tuttavia amministrare i propri beni. Speculazioni in grande stile che comportano gravi perdite “ ) , Urano in Sagittario e in casa II ( = “ E’ spesso indice di prodigalità”) . Fino ad adesso abbiamo visti gli elementi che ci porterebbero a pensare a Gurdhjieff più che altro come a un avventuriero. Ma che tale non fosse e , anzi, fosse animato da alti ideali e da sincero amore per l’umanità, risulta invece da : Venere congiunta a Giove ( = “ Armonia interna. Vita affettiva raffinata e nobile concezione di vita. Possibilità di acquistare una vasta cultura spirituale. Trattamento generoso e amorevole dei propri simili “), Sole trigono Plutone ( = “ La concezione di vita del soggetto fondata sulla ricca esperienza e su un sapere intimamente elaborato è conforme allo spirito dell’epoca e nel medesimo tempo apre prospettive per l’avvenire. Coraggiosa difesa delle proprie idee rivoluzionarie. Dinamismo creativo” ) , Plutone in Toro e in casa VII ( = “ Queste persone sono animate dal desiderio di conciliare le conquiste e i valori del passato con le esigenze del tempo presente” ) , Nettuno in Toro e in casa VII ( = “ Può essere indizio di aspirazioni romantiche protese verso la rivalutazione di valori tradizionali”), Giove trigono Urano ( = “ Forza di attrazione e idealismo suscettibili di far adunare intorno al soggetto un notevole seguito; egli può inoltre svolgere un’attività feconda nel campo pedagogico e operare in nome di una missione etica, aprendo la via a decisive riforme d’ordine morale e sociale “ ). Quasi inevitabile che Gurdhjieff, date le sue idee rivoluzionarie , incontrasse una dura ostilità capace di esprimersi anche con vere e proprie diffamazioni ( sempre Nettuno in Toro e in casa VII nel significato = “ Non è improbabile che il soggetto nel realizzare i propri intenti cada vittime di oscure mene. Non deve fidarsi incondizionatamente di nessun collaboratore” ). Ignazio di Loyola

Il fondatore della Compagnia di Gesù nacque, ultimo di una numerosissima figliolanza, nel 1491 ( secondo alcuni, secondo altri nel 1494 ). Nacque da una famiglia nobile, ancorché decaduta, in una provincia della regione basca – nella Spagna fiera e orgogliosa di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona: la Spagna che aveva trovata in sé la forza di espellere il corpo a sé estraneo dei “mori”, per riconquistare così la sua piena unità religiosa e culturale. Ignazio ancor bambino rimane orfano della madre. Anche il padre gli viene prematuramente a mancare, ma non prima di averlo indirizzato alla carriera di corte e delle armi. Ignazio inizia tale carriera al servizio ( come paggio ) di Juan Velasquez de Cuellar, un lontano parente che ricopre presso il re la prestigiosa carica di contador major ( tesoriere capo ); e la prosegue al servizio ( come soldato ) del viceré di Navarra. Il futuro santo passa quindi i primi anni della sua vita in ambienti di corte ( acquisendo nella frequentazione della raffinata, anche se severa, aristocrazia spagnola, quel costume di squisita cortesia, di affabilità, di delicatezza, che tanto colpirà chi avrà a trattare con lui nelle vesti di Generale della potente Compagnia di Gesù ). Come cortigiano egli partecipa senza dubbio a balli e tornei; sì, ma a parte ciò, quale vita conduce? commette delle sregolatezze, si macchia di gravi mancanze morali? Ben poco di certo si sa sul punto. Ignazio, giunto alla maturità, si limiterà a dire che “fino all’età di 26 anni era stato un uomo preso dalle vanità del mondo e che principalmente si compiaceva nell’esercizio delle armi con un grande e vano desiderio di guadagnare la gloria”. Avrà anche a confessare, contrito, a un discepolo che una volta aveva commesso un furto e, cosa più grave, aveva lasciato, senza minimamente intervenire, che per esso venisse punito un innocente. Quest’episodio, però, attiene probabilmente alla prima infanzia. Volendoci invece riferire a un’età, sì, giovanile, ma in cui già il carattere del futuro uomo si è formato e si può valutare, si può solo dire ( ed è cosa questa storicamente accertata ) che nel 1515 ( quindi avendo egli già più di 20 anni ) fu sottoposto a processo per un qualche eccesso. Di che cosa si trattava? Non si sa: alcuni pensano al rapimento di una donna, altri al rapimento e alla bastonatura di un avversario del clan dei Loyola. Di sicuro c’è che il processo fu insabbiato e questo potrebbe significare che Ignazio godeva di alte protezioni ma indica anche che il delitto addebitatogli non era particolarmente grave: si può sicuramente escludere che si trattasse di un omicidio. Questo processo e il fatto, riferito da un biografo a lui vicino nel tempo ,ch’egli era solito pregare la Santa vergine prima di ogni duello, fanno pensare a un giovane troppo rissoso, troppo pronto a sguainare la spada, insomma a un giovane ambizioso e ribollente di energie – energie che avrebbero potuto portarlo a fare sia un gran bene che un gran male. Per fortuna dell’anima sua, quando egli era ancora sulla trentina degli anni, intervenne nella sua vita un fatto, un fatto doloroso e drammatico, che lo stornò con decisione dalle vie del male per volgerlo a quelle che l’avrebbero condotto ad essere uno dei più grandi santi della Cristianità – e con ciò veniamo a parlare del ferimento occorsogli a Pamplona. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Pamplona, come tutti sanno, è una città della Navarra. Regione questa, allora, teatro di accaniti combattimenti tra l’esercito spagnolo e quello francese ( che voleva riconquistarla per il re di Navarra – legato alla dinastia dei Valois – a cui, un pò con l’astuzia e un pò con la forza, re Ferdinando D’aragona l’aveva pochi anni prima sottratta ), La città di Pamplona era stata investita da un esercito francese numeroso e soprattutto munito di un’efficace artiglieria. E la guarnigione spagnola, abbandonata la città, indifendibile, al nemico, si era ritirata nella cittadella. Per accorgersi, però, che anche questa non poteva essere difesa, dato che i suoi bastioni erano incompiuti e scarseggiavano le munizioni e le vettovaglie. Si riunisce un consiglio di guerra: tutti gli ufficiali sono d’accordo nel dichiarare che la resistenza è senza scopo e la resa inevitabile. Tutti fuorché il più giovane tra loro, Ignazio: egli fa appello al sentimento cavalleresco e proclama dovere di tutti andare a morte certa piuttosto che deporre vergognosamente le armi. Il suo entusiasmo trascina gli altri: si decide la resistenza. Ignazio si porta nel punto più pericoloso ed esposto della fortezza. Quando i francesi ( vittoriosi ) entrano nella cittadella lo trovano in un lago di sangue e con una gamba fracassata da una palla di cannone. Cavallerescamente lo curano ( anche se, come vedremo, maldestramente ) e lo fanno scortare fino al castello dei Loyola. Giunto l’infermo a questo ( con un viaggio dolorosissimo: non esistevano a quel tempo mezzi di trasporto molleggiati e continui erano gli scossoni che il grande invalido doveva sopportare!), i medici chiamati al suo capezzale si accorgono che le ossa infrante sono state malamente connesse ( dai maldestri medici militari dell’esercito francese ): quindi bisogna sconnetterle. Lo si fa, ma anche la nuova operazione non giova, perché le ossa si ricompongono un’altra volta falsamente e un osso sporge dal ginocchio. E’ questo solo un difetto estetico; ma intollerabile per un giovane ambizioso come Ignazio ( egli non vuole rendersi ridicolo o, peggio, ripugnante, quando nei tornei passerà in parata davanti alle belle dame: ben si sa, in una persona a cavallo è il ginocchio che più balza all’occhio!): egli ordina ai medici di eliminare il difetto: l’osso viene messo a nudo e segato: un vero macello! e tutto senza anestesia. Ma Ignazio tutto stoicamente sopporta, senza emettere un grido, un lamento, solo limitandosi a stringere i pugni. E non è finita: dopo qualche tempo ci si accorge che la gamba ferita è rimasta più corta di quella sana. E Ignazio si sottopone ancora a una tortura : quella di ripetuti stiramenti ( fatti con l’applicazione di pesi o con corde e pulegge ) della gamba malata nel tentativo di correggerne il difetto ( tentativo che riuscirà solo a metà: tutta la vita egli conserverà una leggera claudicazione che, più tardi, a Roma, correggerà portando una scarpa con suola alta ). Finiti i dolori dei vari interventi chirurgici, ecco incombere sul convalescente Ignazio, pesanti come il piombo, le ore interminabili della noia. Per colmarle egli chiede gli si porti l’ Adamis de Gaula , un libro di gesta cavalleresche molto in voga nelle corti del tempo. Ma i parenti di Ignazio sono nobili di provincia: tutta la loro biblioteca consiste in due libri, la Vita Christi e la Legenda Aurea – dal contenuto intuitivo il primo, consistente in una raccolta di vite di santi, il secondo. Sotto la pressione di un vuoto interiore insopportabile, Ignazio si accontenta e comincia a leggerli. Ma più volte…li mette da parte: tutte quelle “penitenze”, “macerazioni”, “opere di umiltà” di cui sono pieni, gli provocano una violenta avversione. Poi, a poco a poco, l’animo del combattente idealista e generoso che è in lui, viene attratto da alcuni aspetti eroici presenti nelle vite dei santi: San Domenico, che offre ad una madre di farsi vendere come schiavo per procurarle il denaro necessario per il riscatto del figlio; San Francesco, che impavido si reca nel campo del feroce Solimano per svergognarlo con una dimostrazione del coraggio cristiano, non compiono essi gesta degne dei più grandi cavalieri? e i premi che essi hanno, con tali gesta, conseguiti – l’essere stati ammessi alla visione della Regina del Cielo, l’essere stati serviti da schiere di angeli – non sono superiori a quelli che può sperare di ottenere un cavaliere vincendo un torneo o dando mostra di valore in battaglia? forse che il sorriso della più bella dama, della stessa regina di Spagna, tiene il confronto col sorriso della regina del Cielo, adorna di tutte le grazie, fornita di tutte le potenze ?! L’ambiziosissimo Ignazio sempre più si rende conto di quanto più vantaggioso e nobile sia per lui servire il Re dei Cieli anziché qualche re della terra, per grande e potente ch’esso sia. E il pensiero di dedicarsi interamente a Dio lo esalta e lo attrae sempre di più. Esaltazioni dovute alla malattia, esaltazioni di un soldato ingenuo e ignorante – dirà l’uomo colto dei nostri tempi con un sorriso di superiorità. Che può replicare il credente a tale spregiativa osservazione?! In primo luogo, che l’ingenuità e anche l’ignoranza possono essere anche considerate come positive, se sono qualità di un’anima che, vergine di vano sapere e di malizie mondane, sa aprirsi, con freschezza e senza pregiudizi, a inusitate esperienze. In secondo luogo, che Ignazio si esalta, sì, ma ha anche la capacità di porre distanza tra sé e lo stato di esaltazione che vuole possederlo: egli – e questa sarà la caratteristica di tutta la sua vita spirituale – guarda con diffidenza agli impulsi che insorgono nel suo animo: essi non nascono da soli, qualcuno li fa nascere e li ispira: chi? Ecco che Ignazio procede, per scoprirlo, ad una scrupolosa a attenta auto-analisi. E così egli può notare due cose: che il pensiero di dedicarsi a Dio causa in lui stati d’animo caratterizzati da un’intensa felicità; che, però, quasi immancabilmente, tali stati di felicità sono seguiti da stati di depressione. A questo punto va oltre, scava oltre dentro di sé, e scopre che gli stati depressivi nascono in lui come di rimbalzo dalla rinuncia ai piaceri dei sensi, al peccato ( che il servizio Dio inevitabilmente implicherebbe): è come se tali stati depressivi fossero fati nascere in lui da una forza che vuole ch’egli si dedichi al male e che rifugga dal Sommo Bene. Da ciò Ignazio deduce che nel suo animo ci sono come due eserciti, quello di Dio e quello dell’eterno nemico di Dio, che se ne contendono il possesso; non solo, ma che questa lotta, che si verifica nel microcosmo del suo cuore, si verifica anche nel macrocosmo: anche nell’universo i due eserciti, quello di Dio e quello di satana, si stanno dando battaglia. Ignazio è un cavaliere: non può rimanere neutrale, deve schierarsi con uno dei due.. E Ignazio decide di rinunciare a satana e alle sue opere e di diventare un cavaliere nell’esercito di Cristo Re. La generosa risoluzione di rinunciare ad ogni ambizione terrena, ad ogni concupiscenza carnale – fatta da un giovane nel pieno della vita, di una vita in cui si aprivano tentatrici prospettive di gloria e di ricchezza - riceve una straordinaria ricompensa: una notte, mentre è a letto ma sveglio, gli appare la Santa Vergine con in braccio il Bambino Gesù. Cosa anche questa indicativa della serietà della conversione di Ignazio, egli non attribuisce senz’altro alle forze del bene tale visione: potrebbe ben essere stata causata dal maligno. Solo il fatto, che, dal momento in cui ebbe tale visione, ogni tentazione della lussuria venne per sempre a cessare in lui ( ed era un giovane di 30 anni!) convinse Ignazio ch’essa proveniva dal Cielo e non dalle tenebre. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx A guarigione avvenuta, Ignazio lascia il castello avito – destinazione Gerusalemme: suo proposito infatti è di convertire gli infedeli che ora occupano la città santa o di subire il martirio. Ma non dobbiamo pensare che quello che parte per tanta impresa sia un novello San Francesco, umile, scalzo e con solo un saio indosso. No, Ignazio parte come un hidalgo che si muove per una qualche cavalleresca impresa: su un mulo, sì, ma armato, indossando le vesti sgargianti del cortigiano, accompagnato per un tratto da due servi e promettendo al fratello – che, al momento del commiato, lo invita a non deludere le speranze in lui riposte dal Casato – che si mostrerà degno dei suoi antenati e del nome dei Lyola. E, come un cavaliere, pronto a difendere l’onore della sua dama, Ignazio si comporta quando un “morisco” ( così erano chiamati spregiativamente gli arabi battezzati ) , incontrato per la strada, pretende negare la verginità di Maria: egli vuole sfidarlo, sennonché il “morisco” fiutando disgrazia scappa via in fretta e furia. L’uomo vecchio è duro a morire! E quando Ignazio inizia la sua nuova vita di questo “uomo vecchio” conserva in sé ancora moltissimo! Era prima un ambizioso e ancora egli è un ambizioso: l’unica differenza è che prima voleva diventare un grande cavaliere, ora vuole diventare un grande santo; era un rissoso e ancora egli è un rissoso: l’unica differenza è che, prima, era pronto a sfoderare la spada per qualche bella dama di corte, ora, lo è per la Santa Vergine del Paradiso Saranno le prove estreme a cui si sottoporrà a Manresa, che manderanno in frantumi la sua vecchia personalità, facendo sbocciare, dall’antico cavaliere, un santo. Manresa era una cittadina vicina a un famoso santuario – il santuario di Montserrat – in cui, subito dopo la partenza, Ignazio si era recato per una confessione generale dei suoi peccati. Fatta la confessione, Ignazio aveva sentito il bisogno di un ritiro spirituale prima di accingersi al lungo e pericolo viaggio per la Terra Santa; e aveva scelto, come luogo adatto a tale scopo, appunto la cittadina di Manresa. Lì, senza più armi, senza più vesti sgargianti, ma con indosso una semplice tunica da pellegrino di stoffa grezza, come calzari solo dei sandali, una zucca essiccata per fiasca, Ignazio si dà per un anno circa a severissime penitenze. Vive, l’antico cortigiano, gran parte del suo tempo in un’umida grotta, dormendo sul nudo terreno e avendo un sasso o un pezzo di legno come guanciale; nutrendosi di qualche radice e di qualche pezzo di pane nero e secco che ha mendicato in città. Ogni giorno si flagella a sangue e spesso si batte il petto con un sasso tanto da prodursi delle piaghe. Tali eccessi finiscono per minare la sua salute ( e per morto addirittura una volta lo danno i medici chiamati a curarlo da delle pie donne che, stremato, l’hanno raccolto ) e, peggio ancora, essi finiscono per indurre in lui un grave squilibrio psicologico: egli vive col continuo tormento di essersi dimenticato di confessare qualche peccato, e, più atterrito dal timore di Dio che attirato dal suo amore, perde il gusto di pregare ,giungendo, disperato, a pensare al suicidio. E’ sull’orlo di un abisso; a salvarlo da questo sarà la sua capacità di introspezione psicologica. Partendo dalla giusta intuizione che il male ( quell’indebolimento del suo fisico, che gli impediva di compiere le grandi gesta progettate per la maggior gloria di Dio, quella perdita dell’equilibrio interiore, che gli aveva tolta la gioia della preghiera rivolta a Dio ) non poteva venire che dal male, si mise a cercare la radice maligna delle sue eccessive penitenze ( e quindi delle sue infermità e quindi della perdita del suo equilibrio psicologico ) e la trovò in una fuorviata e malsana ambizione: egli era stato mosso alle sue penitenze, non dal desiderio di piacere a Dio, ma dalla volontà di emulare i grandi santi ( come in tempi posteriori avrà a raccontare al discepolo Gonzalez, egli aveva voluto fare quel che “avevano fatto San Francesco o San Domenico” ). Questa scoperta condurrà Ignazio a rifuggire , e per tutta la vita, da ogni eccesso nelle penitenze. Egli diventerà col tempo uno dei santi più equilibrati della storia, un “maestro degli affetti”, come lo celebrò Cocleo, il noto umanista avversario di Lutero. Un “maestro degli affetti” capace di rifiutarsi, considerandole come tentazioni del maligno, anche a quelle esperienze mistiche che lo assalissero intempestive, impedendogli di concentrasi nel lavoro ( in quel lavoro che egli espletava diuturnamente ad maiorem gloriam Dei ) – e questo in base alla ferma convinzione che Iddio non impedirebbe mai a un suo servo di compiere un’opera buona o di attuare un proposito veramente utile. Al termine del suo soggiorno a Manresa, la purificazione operata da Ignazio della sua personalità dai vizi che la deturpavano – anche da quelli che ingannevolmente si erano camuffati da virtù – ebbe il suo premio in una grande esperienza mistica: mentre era nei pressi del fiume Cardoner ( che costeggia Mansera) ) egli vide la Santissima Trinità, Cristo Signore, la Santissima Vergine. Li vide con gli occhi del corpo fisico o con quelli dello spirito? Dominus scit , solo Dio lo sa: con queste parole - già usate dall’apostolo Paolo richiesto della vera natura dell’estasi che, sulla via di Damasco, l’aveva elevato al terzo Cielo – rispondeva, con la sua solita circospezione, Ignazio a tale domanda. Certo è, invece, che l’esperienza mistica vissuta in riva al fiume Cardoner, fu per Ignazio di fondamentale importanza. E ciò in quanto ne ebbe arricchito, non solo l’anima ma anche la mente. Nel suo corso infatti egli attinse la comprensione profonda dei più grandi misteri della fede ( come Dio creò il mondo, come Gesù è nell’ostia consacrata, come la Divinità pur essendo “una” è anche “trina” ) – tanto che egli potrà dire in seguito che apprese più durante tale visione che durante tutti i lunghi anni passati nello studio della teologia. Da questa esperienza, com’egli ebbe poi a dire nacque insomma “un altro uomo”: un Ignazio, che non solo vuole servire Dio, ma sa anche servirLo con sapienza e profonda conoscenza delle cose umane e divine. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Verso fine febbraio del 1523 il “nuovo” Ignazio lascia Manresa per il progettato viaggio in Terra Santa – viaggio che compirà senza un soldo in tasca, rifiutando ogni donativo che superasse il fabbisogno giornaliero, solo fidando nella Divina Provvidenza. Giunto a Gerusalemme ( a quei tempi in mano ai Turchi ) dopo infinite peripezie e durissime privazioni ( spesso digiunando e dormendo all’addiaccio, una volta perfino cadendo, per la strada, esamine, stremato dalla fame e dalla fatica ), vorrebbe rimanervi per convertire gli “infedeli”. Ma il Superiore dei Francescani ( al cui Ordine è rimessa la custodia dei Luoghi Santi) gli impone di tornare ed egli ubbidisce. Tornato in Europa, Ignazio continua a sentir urgere in sé l’esigenza di approvechar a las animas , aiutandole a raggiungere la salvezza eterna: essendo andate deluse le speranze di un apostolato tra le popolazioni dell’Africa musulmana, egli predicherà a quelle dell’Europa cristiana. Sì, ma perché la predica abbia possibilità di successo tra le popolazioni del “civile” e colto Occidente, occorre che chi la fa sia “istruito” e in possesso di “titoli” accademici ( che gli diano la necessaria autorevolezza ). Ignazio pertanto decide di mettersi a studiare. Prima di tutto bisogna imparare la lingua dotta, il latino: di conseguenza noi lo vediamo, a Barcellona, frequentare una scuola di grammatica, avendo come condiscepoli degli irrequieti ragazzini ( lui ha 33 anni!) e cercando, volenteroso, di costringere la sua mente, poco addestrata allo studio, all’apprendimento delle declinazioni e delle comparazioni della lingua di Cicerone. Nel 1526, terminati gli studi di grammatica, si cimenta con la logica di Scoto, la fisica di Sant’Alberto Magno, la teologia di Pietro Lombardo. Inizia tali studi in Spagna, frequentando, prima, l’università di Alcalà, poi, quella di Salamanca; ma ben presto è costretto ad emigrare a Parigi: Perché? Perché egli non si limita a studiare, ma anche si dà alla predica nelle strade, coadiuvato da alcuni giovani che hanno subito il fascino del suo carisma ( ma che a Parigi poi non lo seguiranno). Ora siamo nell’epoca della Riforma, questo gruppetto di persone, laiche ma tutte indossanti un identico saio fatto di sacco così come se fosse una divisa, che spiegano le Sacre Scritture con tono ispirato, come può non far sorgere nell’autorità ecclesiastica il sospetto di una nuova setta luterana? E lo fa sorgere, infatti; e Ignazio con i suoi compagni é inquisito sotto l’accusa di eresia: gettato in sordide celle solo dopo parecchie settimane viene liberato: liberato, sì , ma con la proibizione di darsi alla predica. Ora Ignazio ha sopportato con la solita forza d’animo il carcere ( a un alto prelato che, visitandolo mentre vi è rinchiuso, si informa della sua salute e del suo morale, risponde con indomita energia: “Vi assicuro che a Salamanca non vi sono tanti ceppi e catene quanti vorrei portarne per amore di Dio”), ma non sopporta, ritenendolo ingiusto, il divieto di predicare. E, proprio per sottrarsi ad esso, decide di proseguire i suoi studi a Parigi ( città che ha fama di essere tra le più “liberali” ). Lì vi prende il diploma di “maestro in artibus ” ( una sorta di laurea in lettere ) e lì inizia i suoi studi per acquisire il dottorato in teologia ( applicandosi sulle opere della Scolastica e in particolare su quelle di San Tommaso – di cui sarà sempre un grande estimatore ). E’ un buon studente, Ignazio? Non tanto; e non già perché gli faccia difetto la buona volontà, ma perché gli manca la serenità necessaria per applicarsi sui libri. Infatti per vivere è costretto, di giorno, a mendicare ( mendicare per le strade, si vuol dire ) e, di notte, a dormire in una sorta di asilo per mendicanti e pellegrini ( l’Ospizio di San Giacomo ). Solo dopo parecchio tempo riesce a procurarsi delle sovvenzioni da dei mercanti delle Fiandre e ad assicurarsi così dei pasti più regolari e un alloggio più decente ( presso il collegio di Santa Barbara, di cui occuperà una stanza insieme ad altri studenti ). Vita durissima, dunque, quella di Ignazio, ma con la soddisfazione di vedere a poco a poco affiancarsi a lui, disposti a condividerne gli ideali, dei giovani – primi tra questi, i suoi compagni di camera, Pierre Favre e Francesco Saverio. Come riesce Ignazio a convertire questi giovani ( che, si badi, sono tutt’altro che degli ingenui e degli incolti: quasi tutti sono studenti e studenti di materie che, come la filosofia e la teologia, richiedono sagacia e spirito critico) ? qual’è il segreto del suo efficace apostolato? una particolare abilità dialettica? No, questa può servire a prevalere in una disputa accademica, ma non a trasformare in ardenti apostoli delle persone che possono essere, sì. anche religiose, ma di una religiosità quieta, addomesticata, che convive benone con la ricerca dei piaceri e degli onori mondani. Certo Ignazio dice delle parole per convincere quei giovani; ma sono parole dette da chi ha la capacità di penetrazione psicologica necessaria per leggere nel fondo dell’animo dell’interlocutore i problemi esistenziali che lo angustiano; sono parole sapienti, che di tali problemi sanno dare la soluzione. Uno dei compagni di camera di Ignazio, Pierre Favre, di umilissimi natali ( è di famiglia contadina) è riuscito a diventare uno studioso e un erudito di cui gli stessi professori, su punti controversi, chiedono il parere. Sì, ma l’occhio acuto di Ignazio scopre che, dietro a tutta questa sapienza, si nasconde uno spirito inquieto e tormentato: vede il pastorello dodicenne che, in mezzo al suo gregge, fa voto di perpetua castità e vede questo stesso pastorello, diventato stimato erudito, incapace a far fronte agli impulsi e alle tentazioni che gli vorrebbero far tradire tale voto. Ignazio diagnosticata la malattia sa anche indicarne la medicina: il Favre ritrova l’equilibrio e la serenità: sarà uno dei più validi collaboratori di Ignazio nella creazione e direzione della Compagnia. Cero Ignazio dice delle parole ( per trasformare un tiepido credente in un eroico combattente per la fede ); ma sono parole dette da chi ha dentro di sé il sacro fuoco, il fuoco dello Spirito Santo, sono parole che, come una torcia ne accende un’altra, sanno trasmettere tale sacro fuoco a chi le ascolta e sanno infiammarne il cuore (“sul popolo s’influisce più con l’ardore dello spirito e degli occhi che con scelte parole” –ammonirà sempre Ignazio ). Francesco Saverio, l’altro compagno di camera di Ignazio, è un giovane brillante, solo capace ( apparentemente ) di pensare ai divertimenti, ai soldi, alla carriera; ma una volta, mentre egli si infervora tutto parlando dei suoi ambiziosi progetti per l’avvenire, Ignazio lascia cadere, come soprappensiero, il famoso ammonimento del Vangelo di San Matteo: ”Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima sua?”. Dette da me, da una persona qualunque come me, tali parole suonerebbero stonate e addirittura ridicole ( in quel contesto ), ma dette da Ignazio! dette da lui si depositano nell’animo del giovane “superficiale”, per molestarlo come la pietruzza messa nell’ostrica perlifera, costringendolo così a quella riflessione che ne farà la perla della Compagnia di Gesù, ne farà un santo, San Francesco Saverio. Sì, le parole possono servire ( a convertire delle anime al bene, e, quando già fanno il bene, al meglio); ma solo se sono dette da chi ad esse fa seguire dei fatti ( conformi!). Ignazio predica il Vangelo, l’amore del prossimo; ma non si limita a ciò: egli con costanti, eroiche opere di carità dimostra d’amare davvero il suo prossimo, d’amarlo , davvero, più della sua stessa vita. Anche quando ancora è studente, Ignazio si reca negli ospedali e lì, non solo assiste i malati, ma provvede ai lavori più umili e ripugnanti: lava i pavimenti, le lenzuola lasciate sporche e infette, seppellisce i morti. Non lo trattengono né la ripugnanza per certe infermità né il timore del contagio; sentimenti che, comprensibili e umani, egli sa con un atto della sua ferrea volontà superare. La vista di quel malato lo disgusta? Reagisce precipitandosi ad abbracciare, prima lui, e, poi, tutti gli altri malati della corsia. Al termine di una misericordiosa visita ad un appestato lo assale l’angoscia parendogli di sentire nella mano che lo ha toccato un principio di dolore? Reagisce portando risolutamente la mano alla bocca: se c’è il contagio, sarà totale! Come può, un’anima che ha in sé della generosità, resistere al richiamo di un tale uomo, come non può accogliere il suo messaggio, anche se duro, anche se severo?! xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Col tempo tra Ignazio e sei dei giovani che gravitavano intorno a lui si determinò un particolare affiatamento e una particolare coesione ; e presero a riunirsi insieme con assiduità per intrattenersi su cose spirituali ed elaborare progetti per l’avvenire. Ben presto i sette ebbero il desiderio di sigillare con un voto, con un solenne giuramento la risoluzione di non più separarsi. Questo avvenne il 13 Agosto 1534 ( e a tale data molti fanno risalire la nascita della Compagnia di Gesù, anche se questa avvenne formalmente solo più tardi in seguito a un decreto papale – così come in seguito meglio vedremo ): il 15 Agosto 1534 i sette, decisi ad essere compagni in un entusiasmante avventura spirituale, dopo aver sentita la Santa messa ed essersi comunicati, fecero voto di castità e di povertà e solennemente si impegnarono a recarsi insieme in Terra Santa per convertirvi gli infedeli o, se tale viaggio risultasse, per una qualche ragione, impossibile, a recarsi a Roma per porsi al servizio del Papa. Il primo progetto ( quello dell’apostolato in Terra Santa) non avendo potuto realizzarsi per lo scoppio di una guerra tra i turchi e la cristianità, i sette, fedeli al secondo impegno assunto, si mossero da Venezia ( città in cui si erano recati per vedere se riuscivano a imbarcarsi per la Terra Santa ) alla volta di Roma, con l’intenzione di consacrarsi a quei compiti che la Chiesa avrebbe voluto loro rimettere. E fu proprio durante questo viaggio ( compiuto a piedi! ) che Ignazio, in una località detta La Storta – località distante solo una quindicina di chilometri da Roma – ebbe la famosa visione di Gesù insieme a Dio Padre. Giunti a Roma i sette compagni (si badi “compagni” e non altro - Ignazio é ancora primus inter pares : sarà eletto formalmente a capo della Compagnia solo in seguito) decidono di trasformare in congregazione il gruppo da loro formato e, in ricordo della visione de La Storta , di dare a tale congregazione il nome di Compagnia di Gesù ( questo è, almeno secondo la tradizione, la spiegazione del nome dato al nuovo Ordine ). Lo statuto ( la Formula Instituti ) di tale nuova congregazione fu elaborato ( da Ignazio ) nel 1539; ma, strano a dirsi, la bolla ( Regimini militantis Ecclesiae ) con cui il Papa l’approvava fu emessa solo il 27 Settembre 1540: ci volle alla Chiesa quasi un anno e mezzo, di tergiversazioni e di titubanze, per dare il suo placet all’ Ordine che ne sarebbe risultato il più strenuo difensore! Quam parva sapientia regitur mundus ! xxxxxxxxxxxxxxxxx Siamo nel 1556, il numero dei membri della Compagnia, che nel 1540 ( l’anno della sua nascita ufficiale ) era di dieci ora è già di circa mille. I gesuiti hanno rivelato un dinamismo travolgente: hanno aperto scuole, ospedali, ricoveri per prostitute ravvedute. Come veri soldati di Cristo Re – soldati disciplinati, coraggiosi, efficienti, intelligenti – sono pronti ad accorrere in qualsiasi posto la difesa della fede lo richieda: in Irlanda per sostenere la Cattolicità vacillante sotto la pressione di Enrico VIII, in Germania per recuperare all’ortodossia le popolazioni protestanti. Apprezzati per l loro acutezza e per la loro profondità di pensiero, sono ricercati sia quando da una cattedra si devono confutare con sapienza e abilità tesi eretiche, sia quando in un Concilio ( il Concilio di Trento ) si deve dar soluzione a delicati problemi teologici. La loro finezza nel risolvere delicati problemi morali, ne fa presto i confessori e i consiglieri spirituali di tutte le corti della Cattolicità. E ciò dà loro un potere enorme: in un’epoca in cui ogni decisione si concentra nella persona del Sovrano, aver modo di influire su questo (e lo si può facilmente nel segreto del confessionale ) significa avere nelle mani il destino di interi popoli; aver poi modo di apprendere ( per le confidenze che è facile carpire nel confessionale) le decisioni che stanno maturando nelle corti di tutta la cattolicità, significa far diventare il Papato ( a cui, tramite il Generale della Compagnia, giungono le relazioni dei vari confessori ) la potenza più informata del mondo e quindi quella meglio in grado di orientare la politica del mondo. Ma il fondatore di questa sempre più potente Compagnia di Gesù , dov’è, che cosa fa? Ignazio sta fermo a Roma; egli è stato nominato Generale ( il primo Generale della Compagnia di Gesù )e suo dovere è di coordinare e dirigere l’attività dei suoi discepoli (senza muoversi dal centro della ragnatela che questi stanno intessendo in tutto il mondo ). Ogni residuo di debolezza umana sembra cancellato in lui: il suo dominio sui sentimenti è diventato assoluto. Da vero “maestro degli affetti” egli sa essere nell’arco della stessa giornata, a seconda che gli interessi della Compagnia lo esigano, ora severo ora mite, ora rude ora gentile, ora taciturno ora affabile. Quanto più l’Ordine cresce, tanto più egli sembra sparire, lasciarsi inghiottire dall’impersonale disbrigo di pratiche amministrative. Egli ci tiene a passare inosservato ( non permette che i pittori lo ritraggano, dice poco sulla sua vita ); e quasi inosservato, senza creare nessun intoppo, nessuna difficoltà alla macchina burocratica che dirige, lascia il suo corpo per presentarsi al suo Creatore. E’ una sera del 30 Luglio 1556, un Giovedì. La giornata é stata particolarmente laboriosa giacché occorreva preparare la corrispondenza per Spagna, Portogallo, Brasile, India orientale, Giappone (dato che l’indomani il messaggero sarebbe venuto a ritirarla ). Lettere particolarmente delicate erano destinate ai re di Spagna e di Portogallo. E si era dovuto scrupolosamente calcolare l’effetto di ogni parola affinché Filippo si inducesse ad ordinare ai suoi vescovi fiamminghi di permettere lo stabilimento dell’Ordine nei Paesi Bassi e Giovanni III desse finalmente un congruo appoggio alla missione mandata da poco in Abissinia. Già da alcuni giorni Ignazio si era sentito poco bene; ma non per questo si era astenuto dal lavorare. Ancora nel pomeriggio era rimasto a lungo a tavolino , prima, per scrivere un’ultima lettera, poi, per studiare alcune pratiche. Ed ecco improvvisamente, mentre sta ancora lavorando, gli viene in bocca un gusto amaro e sente che deve morire. Chiama allora il suo segretario e gli chiede di correre in Vaticano per impetrare per lui la benedizione papale. Il segretario fa notare che vi é ancora una marea di lettere da preparare per l’indomani: “Vostra Paternità si sente proprio così male? Non si può rimandare a domani?”. Ignazio si rassegna: “Mi sarebbe piaciuto più oggi che domani; tuttavia fate quel che Vi par meglio”. La posta per la Spagna partirà in perfetto orario; ma Ignazio morirà – tra il Giovedì (30 Luglio ) e il Venerdì (31 Luglio 1556) – senza la benedizione papale, senza la Estrema Unzione! Prabhupada

Il fondatore del movimento Hare-Krishna , oggi conosciuto come Prabhupada, nacque come Abbhay Charande, il primo Settembre del 1896 a Calcutta, in India. Un astrologo chiamato dai genitori, secondo l’uso bengalese, per fare l’oroscopo del neonato, predisse che quando egli avrebbe raggiunto i settant’anni avrebbe attraversato l’oceano, sarebbe diventato una grande personalità spirituale e avrebbe fondato centotto templi. Nell’attesa di quel termine così lontano, il piccolo Abbhay cresceva nell’agiatezza assicurata alla famiglia dal commercio di stoffe del padre. Cresceva da buon vaisnava ( vaisnava si chiamano gli adoratori di Vishnu, per distinguersi dai scivaisti, adoratori di Shiva ), in un clima fortemente religioso; in particolare modo dedito, secondo la tradizione familiare, al culto di Krishna , il Dio che col suono del suo flauto affascina gli esseri distraendoli dal richiamo dei sensi materiali. Ogni mattina, accompagnato dai genitori o da un servo, si recava nel vicino tempio del Dio e lì adempiva alle due principali pratiche della sua religione: il canto del Maha-mantra ( Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Rama Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare ) e l’offerta del cibo alla Divinità. E’ infatti articolo di fede per i Devoti di Krishna che in questa epoca di estrema decadenza, ci si può salvare – non con esercizi di controllo della mente e del corpo, come quelli insegnati dal Raja-Yoga e dall’Hatha-Yoga – ma solo nutrendosi di cibo prima offerto a Dio ( e di conseguenza trasformato in Prasadam – cioè in “Misericordia di Dio” ) e cantando i santi nomi di Dio: a entrambe le pratiche attribuendosi un effetto purificatore; effetto che si produce, si badi, ex opere operato , per usare un termine della teologia cattolica: il Prasadam purifica, il Mantra purifica, indipendentemente dai pensieri e dai sentimenti di chi si ciba ( del Prasadam ) o recita ( il Mantra ). Una volta cresciuto, la madre avrebbe voluto farne un avvocato, ciò che per un indiano di quei tempi significava recarsi a studiare a Londra; ma il padre, da buon indù ortodosso, non volle sentire ragioni: se Abhai si fosse recato in Inghilterra avrebbe potuto essere influenzato dal modo di vivere europeo. “Comincerà a bere e ad andare a caccia di donne” obiettò:“Non voglio il suo denaro”. Così Abbhay fu avviato ad un’università indiana per conseguire la laurea in farmacia. Quando ancora frequentava l’università, fu sposato dal padre con la figlia di un commerciante amico. Però, secondo gli accordi presi dalle due famiglie, i due sposi continuarono a vivere separati: prima di mettere su casa con tutte le relative responsabilità, Abbhay doveva terminare gli studi. Dunque Abbhay, ancorché sposato, continuò a frequentare l’università: terminò il quarto anno, superò tutti gli esami del corso, ma quando ormai non aveva da far altro che conseguire il sudato premio di tanta fatica, la laurea...la rifiutò: era accaduto che egli era diventato un simpatizzante della causa nazionalista e un ammiratore di Gandhi. Ora, il grande santo e uomo politico indiano, che viveva con la semplicità di un sadhu e portava sempre con sé la Bhagavad-Gita ( il libro che riporta gli insegnamenti di Krishna ), riteneva deleterio il sistema scolastico allora esistente in India, in quanto – ispirato ad una cultura straniera, gestito da stranieri – poteva essere capace solo di trasformare gli indiani in schiavi e marionette dello straniero: invitava quindi gli studenti ad abbandonare i loro studi. Abbhay ritenne suo dovere rispondere a tale invito e sacrificò sull’altare della patria quattro anni di fatiche e di studi. Il padre, sebbene ne fosse contrariato, non deplorò questa decisione; ma, preoccupato del futuro del figlio, gli trovò un posto come direttore commerciale nell’azienda chimica di un suo amico. Incominciò così per Abbhay una vita da “uomo d’affari” e da “padre di famiglia”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Prabhupada – così ( e non più Abbhay ) chiameremo d’ora in poi il fondatore del’ISKCON, usando di un titolo onorifico che in realtà gli fu attribuito solo in età molto avanzata – non mantenne per molto il suo interesse per la politica; ben presto si rese conto che il vero problema per l’umanità era religioso e spirituale, non politico. A renderlo consapevole di ciò ( e a determinare una vera svolta nella sua vita ) fu l’incontro con Bhaktisiddanta Sarasvati Thakura, un guru della Gaudija Math; un’associazione questa che intendeva ristabilire nel suo rigore, senza nessuna compromissione col mondo moderno, la religione di Krshna, così come era stata insegnata e diffusa nel sedicesimo secolo da un santo bengalese, Sri Caitanya. L’incontro avvenne ( così sembra, qui i biografi di Prabhupada non sono concordi ) nel 1926. A questo incontro Prabhupada si recò cedendo alle insistenze di un amico e non senza esitazioni e titubanze: troppi sedicenti guru l’avevano deluso con la loro mancanza di cultura, superficialità, confusione di idee ! Ma, una volta ammesso col suo amico alla presenza di Bakthisiddhanta, subito sentì di trovarsi di fronte ad un essere eccezionale. “Siete due giovani educati. Perché non diffondete nel mondo il messaggio di Sri Caitanya?”. A questa domanda di Bakthisiddhanta, Prabhupada – che indossava l’abito di kadi bianco, che a quel tempo rendeva riconoscibili i nazionalisti indiani – rispose così come avrebbe risposto qualsiasi altro giovane “politicizzato” del suo tempo: “ Chi ascolterà il vostro messaggio di Caitanya? Siamo una nazione ridotta in schiavitù. Per prima cosa l’India dovrà ottenere la sua indipendenza. Come diffondere la cultura indiana se siamo ancora sotto il dominio britannico?”. Srila Bhaktisiddhanta, alla foga del giovane, replicò con calma che la vera soluzione del problema dell’esistenza non dipende da questa o quella forma di governo; che nessun sistema politico costruito dall’uomo poteva aiutare l’umanità; che la pace dell’anima si può ottenere solo aderendo agli insegnamenti, validi per ogni epoca e sotto qualsiasi regime, che Sri Krshna aveva trasmesso attraverso una catena ininterrotta di maestri autentici. Prabhupada fu impressionato dall’audacia e dal rigore logico delle tesi sostenute dal guru, che con tanto scetticismo era andato a visitare. Ritornò nei giorni seguenti nella sede della Gaudija Math per incontrare Bhaktisiddhanta e gli latri membri dell’associazione; sempre più convincendosi che la tradizione vaisnava – in cui era stato allevato, ma che, a contatto con l’ambiente universitario, aveva sempre più trascurato – conteneva degli autentici tesori di saggezza, solo attingendo ai quali l’umanità avrebbe trovata risposta ai suoi problemi. Con tutto ciò non divenne subito membro della Gaudija Math e discepolo di Bhaktisiddhanta. I legami che lo avvincevano alle cose mondane ( alla famiglia, alla professione…) erano tremendamente solidi: ci vollero molti dolori, prove, delusioni, perché riuscisse a romperli. Divenne discepolo di Bhaktisiddhanta solo nel 1932 e prese il sanniasa ( prendere il sanniasa significa rinunciare alla vita di famiglia ) solo ancora più tardi. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Con il passare degli anni Prabhupada sempre più sentiva crescere in lui l’esigenza di diffondere le idee che stava assorbendo nella sua frequentazione di Bhaktisiddhanta e della sua associazione. Egli cominciò a invitare a casa delle persone con cui leggere e commentare la Bhagavad-Gita ( il libro che contiene gli insegnamenti di Krishna ); poi, preso coraggio, si mise a scrivere un periodico, Back to Gothead ( Ritorno a Dio ), che di persona cercava di diffondere e distribuire. Ma tanto più Prabhupada si impegna nello scrivere e nel predicare, tanto più precipita la sua situazione negli affari e in famiglia. Le imprese commerciali da lui iniziate falliscono, lasciandolo in un mare di debiti. Come ciò non bastasse, dei servitori infedeli scassinano la sua fabbrica e lo derubano del denaro e di tutto ciò che ha del valore. Prabhupada vede in ciò un segno di Dio e si rammenta di quel che insegnano le sacre Scritture della sua religione: “Quando Krishna prova una particolare misericordia verso qualcuno, gradualmente gli porta via tutti i suoi beni materiali. Allora i suoi amici e i suoi parenti lo abbandonano, perché lo considerano un miserabile e un povero ed egli è costretto a rimettersi a Lui” E in effetti la situazione famigliare si fa tesa. Suo suocero si lamenta: “Perché stai sempre a parlare di Dio?”. La moglie non è cattiva, è religiosa come la maggior parte delle donne indiane, ma non ha la vocazione della missionaria. Quando il marito riunisce delle persone per parlare di religione e della Bhagavad-Gita , si ritira con i figli in un’altra stanza a prendere il tè. Prabhupada più volte le ha ripetuto che un vaisnava non deve prendere bevande eccittanti; più volte le ha detto “Devi scegliere o me o il tè. O se ne va il tè o me ne vado io”. La moglie ha sempre gettato le cose in scherzo: “Beh, allora dovrò lasciare mio marito”. Poi un giorno essa commette un grave errore: vende uno dei libri su cui il marito diuturnamente medita, lo Srimad-Bhagavatam , per comprarsi dei biscotti da tè. E’ la goccia che fa traboccare il vaso: quando Prabhupada torna a casa, cerca invano il suo libro e apprende l’accaduto, si decide: lascia la famiglia: perché lavorare, perché darsi tanto da fare per mantenere delle persone che in nulla condividono le sue idee?! Ciò gli sembra assurdo! E con un senso di profonda determinazione tronca col mondo in cui finora è vissuto. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Ora anni difficili si presentano per Prabhupada. Fin dall’infanzia aveva sempre avuto del buon cibo e degli abiti adatti, non aveva mai avuto il problema di trovare un tetto che lo riparasse nella notte: ora era quasi ridotto alla condizione di mendicante, costretto a chiedere ospitalità da un tempio all’altro, da una casa all’altra di persone pie e caritatevoli: nel freddo inverno di Delhi non ha neanche una giacca con cui coprirsi. Ma il suo pensiero dominante non è certo quello di procurarsi buoni cibi e vesti confortevoli; non è per questo che ha lasciato moglie e figli: egli vuole cambiare il mondo! “Signor Mitra – egli dice a un conoscente – non vede che il mondo intero aspetta una rivoluzione spirituale?”. Ed egli è ben intenzionato a lavorare per essa! Instancabile bussa alle porte di uomini facoltosi o potenti, presenta i suoi manoscritti, spiega la sua missione. Infine con i contributi di alcune persone pie riesce a riprendere la pubblicazione del suo Back to Gothead : egli lo scrive, egli cura i contatti col tipografo, egli, infine, di persona lo distribuisce: se ne parte alla mattina con un certo numero di copie della rivista, va a sedersi in qualche sala da tè e, quando qualcuno prende posto accanto a lui, gli chiede per favore di acquistarne una. Ma Dio non cessa di provarlo: siccome egli continua a uscire per distribuire il suo quindicinale anche nell’afa dell’estate di Nuova Delhi, quando la temperatura sale a 45 gradi, una volta ha un colpo di calore e sviene per strada. Un’altra volta viene incornato da una mucca e viene lasciato giacere, povero derelitto, ai margini della strada, senza che nessuno lo soccorra. E’ costretto a un certo punto a rifugiarsi in un tempio di Vrindavana, la cittadina che aveva dato i natali a Krishna, e a rinunciare alla pubblicazione della rivista. Ora Prabhupada si sente veramente sconfitto e, nella solitudine della sua cella nel tempio, verga i versi: “Tutti mi hanno abbandonato, vedendomi nel lastrico – moglie, parenti, amici, fratelli, tutti – Questa è miseria, ma mi fa ridere. Seduto qui, solo, rido”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Bhaktisidanta aveva più volte proposto con grande entusiasmo a Prabhupada di far conoscere in Occidente la filosofia della Bhagavad-Gita . Ma Prabhupada, tutto preso dai suoi doveri familiari, non si era mai sentito di corrispondere a tale richiesta. Ora, nella cella del suo tempio in Vrindavana, Prabhupada fece un sogno che lo colpì profondamente: Srila Bhaktisidanta gli appariva e gli faceva cenno di seguirlo. Che altro poteva significare il sogno se non che il suo maestro voleva ch’egli seguisse le sue istruzioni e andasse a predicare in Occidente?! Sì, ma, secondo la tradizione religiosa a cui aderiva, chi vuole iniziare un movimento di predica, prima deve accettare il sanniasa , cioè deve fare solenne rinuncia alla vita di famiglia. A questo Prabhupada non si sentiva portato. Fu solo dopo le insistenze dei suoi confratelli (“Abbhay, devi farlo. Senza accettare l’ordine di rinuncia nessuno può diventare un predicatore”), ch’egli si decise, “anche se – sono le sue parole – non ne provava grande desiderio”. Dopo una cerimonia formale di iniziazione, il suo nome diventò, Abbhay Caranaravinda Bhaktivedanta . La decisione presa fu dolorosa, ma liberò in lui grandi energie. Seguendo il consiglio di un libraio decise di mettersi a scrivere dei libri: questi gli avrebbero procurato in patria l’autorità e, quindi, gli aiuti necessari per andare in America e, una volta qui giunto, la loro vendita gli avrebbe permesso di procurarsi i mezzi necessari per l’attività di predica. Dimostra il coraggio di Prabhupada il fatto ch’egli decidesse di cominciare la sua attività di autore di libri con la traduzione e il commento dello Srimad Bhagavatam : questa – che è la più autorevole Scrittura vaisnava – consta infatti di ben diciottomila versi: Prabhupada calcolava che, per ultimare l’opera, avrebbe dovuto scrivere più di sessanta volumi; ed aveva già più di sessant’anni! Nel tempio, nella sua stanza, stava giorno e notte a scrivere, sotto la lampadina che pendeva dal soffitto. La macchina da scrivere posata su un baule, lui seduto per terra. Le pagine si accumulavano ed egli le teneva a posto con delle pietre. Ma guardando fuori della finestra vedeva l’altare e la statua di Krishna: quale luogo migliore per lavorare sullo Srimad-Bhagavatam ? Ma scrivere era solo metà della battaglia, l’altra metà era trovare un editore che accettasse di pubblicare. Dopo vari sforzi riuscì anche in questo; e pubblicò tre volumi che riscossero una certa attenzione dalla critica. A questo punto si sentì pronto a predicare in Occidente: aveva 69 anni ed era senza un soldo! xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Come procurarsi i soldi per il viaggio in America? Prabhupada si ricorda di Simata Moraji, una vedova, titolare di una compagnia di navigazione con sede a Bombay, che già lo ha aiutato con una generosa elargizione a pubblicare il secondo volume dello Srimad-Bhagavatam : va a Bombay, bussa alla porta della sua agenzia e parla col suo segretario: egli deve andare a predicare negli Stati Uniti e desidera un posto in una nave che vada in quel Paese. Il segretario riferisce alla sua padrona:” E’ tornato lo Swami di Vrindavana. Ha pubblicato i suoi libri con le vostre donazioni e ora vuole un biglietto per recarsi in America a predicarvi”. La signora Moraryi dice di no: “Lo Swami è troppo vecchio per andare negli Stati Uniti e concludere qualcosa. Resti qui a finirvi quello che ha iniziato”. Prabhupada non si dà per vinto e, ottenuto un colloquio diretto con la signora, le ripropone con forza la sua richiesta: “La prego, mi dia un biglietto”. La signora guarda quell’uomo, con i capelli già bianchi ma determinato, ed è commossa: “Swami, lei è così anziano….Sa quello che pensano i miei segretari? Dicono: “Swami andrà là a morire”. Prabhupada fa una smorfia come per smentire una sciocca diceria e insiste. “Va bene- si arrende la signora- si procuri i necessari moduli e provvederò al viaggio via mare”. Prabhupada esce e con un sorriso radioso passa davanti agli impiegati, prima scettici e ora stupefatti. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Prabhupada salì sul Jaladuta, il piroscafo assegnatogli dalla sua benefattrice, con una valigia, un ombrello e una scatola di cereali ( chissà cosa mangiavano gli americani? forse solo carne: allora egli sarebbe vissuto di patate lesse e dei cereali che si era portato!). A parte, con un altro piroscafo, aveva spedito alcuni bauli pieni di suoi libri. Era il 13 Agosto e mancavano pochi giorni all’anniversario di Sri Krishna. Questa coincidenza gli infondeva coraggio. E di questo egli aveva ben bisogno! Stava per rompere drammaticamente con la sua vita precedente, ed era vecchio. Stava andando in un paese sconosciuto, dove molto probabilmente non l’avrebbero ricevuto molto bene. Essere povero e sconosciuto in India era una cosa: anche in quest’era di estrema decadenza, in cui i suoi capi si allontanavano dalla sua cultura per imitare l’Occidente, era sempre l’India. Aveva potuto incontrarvi miliardari, governatori e il primo ministro semplicemente presentandosi alla porta e aspettando: un sannyasi vi era rispettato – lo Srimad- Bhagavatam vi era rispettato. Ma in America sarebbe stato diverso: sarebbe stato uno straniero, una nullità; là non c’era tradizione di Sadhu, né templi né asrama gratuiti. L’inizio del viaggio fu terribile. “Pioggia, mal di mare, vertigini, mal di testa, niente appetito e vomito” – annota nel suo diario Prabhupada. Poi in due giorni subisce due attacchi di cuore. Egli pensa che non sopravviverà a un terzo. Ma la notte del secondo giorno ha un sogno: Sri Krishna, nelle sue molteplici forme, sta remando in una barca e gli dice di non temere, di andare con lui. Ciò lo rassicura: e infatti il resto della traversata avviene con un oceano insolitamente calmo. Prabhupada annota: “Se l’atlantico avesse mostrato il suo solito volto forse non sarei sopravvissuto; ma Sri Krishna si è preso cura personalmente della nave”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx I primi mesi in America, Prabhupada li visse nella generosa ospitalità di connazionali immigrativi prima di lui. Essi, non solo lo sollevarono dalle spese di vitto e di alloggio, ma gli offrirono anche la possibilità di parlare di Krishna in varie sedi: al Lions Club di Butler, nella scuola di sanscrito del dottor Norman Brown, alla Yogi Societis del dottor Mishra. Ma Prabhupada non dava molta importanza a delle conferenze tenute un po’ qui, un po’ là: voleva avere una sede fissa, dove la gente potesse venire regolarmente, per prendere il prasadam e cantare Hare-Krishna insieme a lui e insieme a lui leggere la Bhagavad-Gita e lo Srimad- Bhagavatam . Inoltre il pubblico delle conferenze era formato di persone di solito già avanti negli anni e, comunque, ben inserite, con sostanziale loro soddisfazione, nella società, quindi tendenzialmente conservatrici; persone che venivano ad ascoltarlo solo per una mera curiosità intellettuale : che legame profondo si poteva costituire tra loro e un ribelle come Prabhupada, che aveva voltato le spalle alla moglie, ai figli, alla professione, a tutta la società in cui era nato e cresciuto?! Prabhupada aveva bisogno di un altro pubblico; e lo trovò nell’ambiente del Paradox . Era questo un ristorante ispirato alla filosofia di Georges Oshawa e alla dieta macrobiotica: il cibo, sano e buono; i prezzi modici; il tè gratis e quanto se ne voleva. Ma più che un ristorante il Paradox era un centro di interessi spirituali e culturali, un luogo di incontro che ricordava certi caffè del Greenwich Village e della Parigi degli anni venti. Vi si poteva passare l’intera giornata senza consumare nulla e nessuno diceva niente. Particolare importante, era frequentato soprattutto da persone i cui interessi volgevano verso le dottrine orientali. Questo spiega perché quando al Paradox arrivò la notizia che un nuovo swamji era giunto dall’India, molti dei suoi frequentatori si recassero ad ascoltarlo; presentandosi alle conferenze con i capelli lunghi e la barba formavano un netto contrasto con l’originario pubblico di gente “posata” e conservatrice. Un giorno uno del Paradox offrì allo swami di andare a stare nella sua soffitta: “Io debbo lasciare New York per la California, se vuoi ti lascio gratis la mia stanza; nell’appartamento c’è già un mio amico, David, ma è un bravo ragazzo”. Prabhupada accettò. Mentre si preparava a lasciare la sua residenza dei “quartieri alti”, un conoscente venne a metterlo in guardia: la Bowery – il quartiere in cui stava per trasferirsi – non era luogo adatto ad un gentiluomo, era il posto più corrotto del mondo. MPrabhupada fu irremovibile: il futuro dimostrò che la sua decisione di trasferirsi era dettata da un giusto istinto. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Effettivamente quello della Bowery era un gran brutto ambiente. Spesso quando Prabhupada usciva, vestito col suo abito colore zafferano, con l’inseparabile ombrello e un sacchetto per la spesa, trovava ammucchiati davanti alla sua porta dei vagabondi addormentati o privi di coscienza ed era costretto a scavalcarne i corpi. Qualche ubriaco, incapace di coordinare i suoi movimenti, andava a sbattergli contro, qualche derelitto gli mormorava qualcosa di incomprensibile o gli ridacchiava dietro. I più sobri si alzavano in piedi e si profondevano in ampi gesti di cortesia, facendogli strada. Lui passava in mezzo a loro, mostrando il suo apprezzamento per le loro buone maniere. Prabhupada adeguò con grande intuito psicologico la sua opera di proselitismo a tale ambiente. Inutile svolgere sottili argomentazioni teologiche a giovani usi passare la notte tra il fumo, le discussioni, le donne. Prima di tutto bisognava purificare le loro menti confuse; e per questo la tradizione religiosa, a cui Prabhupada aderiva, offriva due metodi infallibili: il canto del Mantra , Hare Krishna la distribuzione del Prasadam (cibo prima offerto a Dio ). La maggior parte dei frequentatori del Paradox e di consimili locali era musicista o amica di musicisti. Era insomma nel trip della musica : musica, allucinogeni, donne e meditazione spirituale. Ora gli inni religiosi vaisnava, quasi tutti imperniati sulla ripetizione del Mantra , presentano delle bellissime e commoventi melodie; e Prabhupada nelle sue conferenze, dopo poche parole, passava subito a cantarli, invitando il pubblico ad unirsi a lui col suono del tamburo e dei cembali. La gente della Boweri voleva della musica e lui le dava della musica, ma della musica trascendentale, che non la abbruttiva, ma la elevava e la purificava. Poco importa che molti giovani la cantassero e la suonassero con lo stesso spirito con cui cantavano e suonavano la musica jazz, folk e roc: il Mantra , secondo gli insegnamenti vaisnava, produceva la sua efficacia purificatrice indipendentemente dai pensieri, sentimenti, intenzioni di chi lo ripeteva. Finito il canto del Mantra , c’era la distribuzione del Prasadam . Prabhupada molta parte del suo tempo la passava davanti ai fornelli per cucinare dei cibi, indiani ma deliziosi e gustosi anche per il palato occidentale: dal , chapati, sabji …. Il Prasadam era offerto gratuitamente e Prabhupada invitava a mangiarne il più possibile. Nessuno poteva rimanere lì seduto a sbocconcellare dal piatto e mangiucchiare educatamente. Se lo Swamji vedeva che qualcuno non mangiava di gusto, lo chiamava e protestava: “Perché non mangi? Prendi Prasadam ”. E rideva. Tutto questo determinava una contagiosa atmosfera di allegria e di familiarità. Lo Swamji era veramente simpatico, il suo cibo ottimo, la sua musica fantastica: perché non frequentarlo? xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx A poco a poco si era venuto formando attorno a Prabhupada un gruppo di abituali frequentatori: giovani hippy che lo aiutavano nel preparare Prasadam , nel tenere in ordine i locali, nel battere a macchina e in quelle altre mille faccende che la diffusione dell’ISKCON richiedeva. Sì, perché Prabhupada aveva fondato un’associazione, l’ISKCON appunto; nome che significa, reso in italiano, “Associazione per la diffusione della coscienza di Krishna”. E quei giovani si possono considerare i primi membri di tale Associazione. Erano essi giovani generosi e volenterosi, portavano rispetto e ammirazione per Prabhupada, ma erano ben lungi dall’avere verso di lui quell’atteggiamento di assoluta obbedienza, dedizione, addirittura adorazione, che in India il chela ha verso il suo guru . Eppure se l’ISKCON voleva espandersi, superando i presumibili mille ostacoli che sul suo cammino le sarebbero stati posti, occorreva che in tali giovani si operasse un salto qualitativo, che li trasformasse da giovani ribelli e insofferenti di ogni autorità, in persone serie e mature, capaci di sacrificare le loro opinioni, le loro ubbie, i loro capricci per il raggiungimento di un fine che li trascendeva: da hippy dovevano trasformarsi in chela. Essere riuscito in ciò – nell’ambito di una civiltà che, come quella americana, enfatizza i valori della “libertà di pensiero” e della “democrazia” – dimostra la grandezza della personalità del fondatore dell’ISKCON. Ce ne renderemo conto meglio seguendo il racconto che, delle prime iniziazioni, ci è stato tramandato dai suoi stessi discepoli. Un giorno Swamji annunciò che presto ci sarebbero state le iniziazioni. “Cos’è l’iniziazione, Swamji” – chiese uno dei ragazzi; e Swamji rispose: “Ve lo dirò più avanti”. La notizia si sparse subito nella piccola comunità; e i suoi membri vi reagirono in modo diverso. Per alcuni l’iniziazione era una cosa seria, altri la consideravano una festa o uno spettacolo interessante. Wally spiegava a Howard: “E’ solo una formalità. Tu accetti Swamji come il tuo maestro spirituale”. Howard: “Ma questo che cosa comporta?”. Wally: “Beh, nessuno lo sa di preciso. In India è una pratica molto comune. Pensi di non volerlo come maestro spirituale?” Howard: “Non so. Sembrerebbe un buon maestro spirituale – qualunque cosa sia. Voglio dire, mi piace, come mi piacciono i suoi insegnamenti, perciò in un certo senso è già il mio maestro spirituale. Non riesco a capire che cosa potrebbe cambiare con l’iniziazione”. Wally: “Neanch’io. Penso che non cambierà nulla. E’ solo una formalità”. L’otto Settembre, l’anniversario dell’apparizione di Krisna, a conclusione della grande festa celebrativa, dopo aver parlato di vari argomenti filosofici e religiosi, Prabhupada con tutta semplicità disse: “E ora vi spiegherò che cosa significa iniziazione. Iniziazione significa che il maestro spirituale accetta di prendersi cura del discepolo e il discepolo accetta di adorare il maestro spirituale come Dio”. Fece una pausa. Nessuno fiatò. “Ci sono domande?” – non ce n’erano, perciò si alzò e se ne uscì. I giovani amici di Prabhupada erano rimasti esterrefatti: adorare lo Swamji come un Dio? “Non ci capisco più nulla” – disse Willy. “Nessuno ci capisce più nulla” – disse Howard. “Swamji ha appena buttato una bomba”. Non tutti i giovani amici dello Swamji si presentarono per ricevere l’iniziazione. E, di quelli che si presentarono, non tutti lo fecero con piena comprensione dell’impegno che andavano ad assumere: ci fu chi partecipò al rito per curiosità, chi per non scontentare il fidanzato che vi partecipava, chi per non dispiacere allo Swamji. Però molti si presentarono. Nel rito solenne la serietà si impose anche ai più superficiali; il carisma, la capacità educatrice del fondatore dell’ISKCON seppero col tempo trasformare i migliori in veri “vaisnava”: “devoti” ( così amano chiamarsi gli aderenti all’ISKCON ) seri, capaci di assumersi delle responsabilità, di prendere coraggiose iniziative. Così come gli hippy si trasformarono in chela , così il fondatore dell’ISKCON trasformò il nome di Swamji , con cui era stato fino ad allora chiamato, in quello, onorifico e con cui passerà alla Storia, di Prabhupada; nome che significa: “colui che ai suoi piedi ( pada ), quindi come discepoli, ha dei maestri ( prabhu )”.

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Siamo nel 19777, sono passati dodici anni da quando Prabhupada è giunto in America. L’ISKCON, rapidamente diffusasi, ha fatto sorgere i suoi templi si può dire in ogni paese. I libri di Prabhupada sono stampati a centinaia di migliaia e la loro vendita procura all’Associazione un sicuro e sempre maggiore reddito. Prabhupada ora viaggia in auto lussuosissime, abita in appartamenti faraonici, ha numerosissimi “servi” ( discepoli, cioè, che si disputano l’onore di servirlo: facendogli i massaggi, preparandogli Prasadam , guidandogli la macchina….). Ma più aumentano gli aderenti all’ISKCON, più anche aumentano i suoi nemici. Già un’organizzazione anti-sette, ha fatto oggetto dei suoi attacchi, tra gli altri movimenti pseudo- religiosi, anche quello Hare-Krishna ( con tale denominazione si riferisce l’uomo della strada al Movimento fondato da Prabhupada); già alcuni giovani “devoti di Krishna” sono stati strappati ai loro templi da squadre di sequestratori, su istigazione di genitori, che temevano i loro figli plagiati e sfruttati da guru senza scrupoli. Ora la Procura Generale di New-York è giunta a incriminare il presidente del tempio di tale città (col nome di tempio gli aderenti all’ISKCON indicano le loro sedi) sotto l’accusa di usare pressioni psicologiche, se non veri e propri “lavaggi del cervello” per trattenere nel tempio gli “illusi”, che vi sono voluti entrare per servire Krishna. Questo processo mette in discussione il diritto dei devoti adulti a rimanere nei templi contro la volontà dei genitori e sfida lo stesso diritto all’esistenza del Movimento. Bisogna reagire! Appena Prabhupada ne viene a conoscenza scrive ( dall’India, in cui momentaneamente si trova) per dare dettagliate istruzioni ai discepoli su come debbono impostare la difesa: “Per quanto riguarda la discussione sull’autenticità del nostro Movimento, potete usare i seguenti argomenti. La Bhagavad- Gita è stata pubblicata in innumerevoli edizioni. I nostri libri sono più antichi della Bibbia. In India ci sono milioni di templi di Krishna. Fate leggere i nostri libri a giudici e giurie e raccogliete le opinioni di grandi studiosi e professori. Quanto al secondo argomento, la giurisdizione dei genitori sopra i figli, vi dò qualche suggerimento. Forse i genitori sono contenti di vedere i loro figli che diventano hippy ? Perché non lo impedicsono? E sono d’accordo i genitori che i loro figli cadano nella droga o nella prostituzione? Perché non fanno qualcosa per impedire questo, piuttosto?”. In una riunione di “devoti di Krishna”, Prabhupada rimprovera i suoi discepoli: “Voi non capite come dovete far fronte all’attacco”. E infervorandosi prende in esame le varie accuse che sono state mosse all’ISKCON per mostrare come vadano controbattute: “Dicono che il nostro modo di vivere tende ad isolare i devoti dal mondo? Ebbene rispondete: è proprio così, non sopportiamo di stare vicino a voi. Nessun gentiluomo ama vivere porta a porta con un ruffiano. I corvi non amano stare con le anatre e i cigni reali, e i cigni reali non apprezzano la compagnia dei corvi. E’ una divisione naturale: ogni simile ama il suo simile”. E, sempre più combattivo, continua: “Dicono che laviamo il cervello ai nostri membri, ai giovani che vengono con noi? E voi rispondete: si, gli laviamo il cervello, glielo ripuliamo da tutta la spazzatura che vi si è accumulata, leviamo via la disonestà. Il vostro cervello è pieno di spazzatura – mangiare carne, sesso illecito, giuoco d’azzardo. Così, bisogna lavare il cervello. In realtà – continua, rivolgendosi idealmente ai suoi avversari, Prabhupada, la cui indignazione ha rotto ormai ogni freno - secondo la civiltà vedica, voi siete degli intoccabili. Ma noi siamo venuti per prendervi per mano. E allora lavatevi, prima dovere lavarvi. Secondo la civiltà vedica, il cane è intoccabile, ma voi lo considerate il vostro migliore amico. Perciò non bisogna toccarvi. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Dormite col cane, mangiate col cane, che cosa siete? Bisogna lavarvi e strigliarvi bene”. Alla fine Prabhupada, rasserenato, conclude: “In realtà i loro argomenti non sono gran cosa. E’ solo un piano di Krishna per farci diventare famosi. Tutto questo ci aiuterà a crescere e a espanderci”. La Corte di Appello di New York infatti dà ragione ai devoti . Non solo assolve il presidente del tempio , ma nella sua sentenza dichiara:: “Il movimento Hare-Krishna è una religione autentica le cui radici in India risalgono a migliaia di anni fa”. Prabhupada è al settimo cielo; lo si sente mormorare: “Krishna è sempre così meraviglioso. E’ la persona più meravigliosa , e può compiere qualsiasi meraviglia”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx A metà Maggio del 1977, Prabhupada, la cui salute dava da tempo preoccupazioni, si aggravò decisamente. Le mani e i piedi gli si gonfiarono. Al servitore che gli chiese spiegazioni, rispose seccato: “Perché mi infastidisci? E’ il mio corpo e io non ne sono disturbato”. Ma poi aggiunse: “Dal punto di vista materiale, non è un buon segno. Puoi preparare un testamento e io lo firmerò”. Andò a letto, ma improvvisamente, a metà della notte, suonò il campanello e, ai discepoli accorsi, disse: “I sintomi non sono affatto buoni. Voglio partire immediatamente per Vrindavana”. E’ infatti tradizione vaisnava che chi muore a Vrindavana, la patria di Krishna, non rinasca più e vada a dimorare eternamente nei paesi celesti. A Vrindavana, negli ultimi giorni della sua vita, Prabhupada – che con l’espandersi del Movimento, si era sempre più isolato nel suo ruolo di guru – ristabilì con i suoi discepoli quei rapporti confidenziali e da “amico ad amico” che aveva con loro intrattenuto nel lontano 1965, quando viveva in una soffitta del misero quartiere della Boweri. Li ammetteva nella sua stanza per tutto il tempo che volevano e, paziente, accettava le loro diete e le altre prescrizioni che gli davano per la sua salute. Mentre una volta aveva preferito rimanere solo mentre lavorava, ora incoraggiava i suoi discepoli a stargli vicino mentre, disteso nel letto, dettava il suo commento allo Srimad-Bhagavatam . Un discepolo gli leggeva a bassa voce il verso sanscrito, mentre un altro reggeva il microfono davanti alla sua bocca: la sua voce era appena percettibile, ma i suoi pensieri limpidi e la sua memoria pronta e forte. Spesso diceva ai discepoli che lo circondavano. “Non lasciatemi mai” e “Non posso vivere senza la vostra compagnia”. Una volta che venne sua sorella a trovarlo, le disse umilmente: “Probabilmente mi sono un po’ inorgoglito a causa della mi opulenza e del successo e adesso Dio ha ridotto in briciole il mio orgoglio. Se non hai più nemmeno il corpo, di che puoi essere orgoglioso?!” Un discepolo protestò: “Srila Prabhupada, tutto quello che hai fatto, l’hai fatto per Krishna”. “Può essere, ma in questo mondo si commettono offese anche senza rendersene conto”. Il discepolo protestò di nuovo: “Tu, la persona più amata da Krishna, come avresti potuto commettere qualche offesa?!”. “Ho un carattere un po’ focoso – insistette Prabhupada – usavo spesso parole come mascalzone e così via. Non ho mai voluto fare compromessi. In una mano la mazza e nell’altra un Bhagavatam , ecco come ho predicato”. Vennero a visitarlo dei suoi confratelli della Gaudja Matha e anche a loro chiese perdono: “Perdonate le mie offese, sono diventato orgoglioso per tutta la mia opulenza”. Il 14 Novembre 1977 alle ore 19,30, Srila Prabhupada lasciò il suo corpo mortale per tornare al suo Krishna. I suoi discepoli assicurano che anche negli ultimi momenti rimase raccolto, nobile e grave, maestro fino all’ultimo. Ramakrishna

Ramakrishna nacque a Karnarpukur, un piccolo villaggio del Bengala, ombreggiato da banani e manghi e circondato da stagni e risaie. La sua nascita fu annunciata ai suoi genitori, una pia copia di bramini, da sogni e visioni profetiche. Il padre, già sessantenne, si trovava in pellegrinaggio a Gaia – il luogo santo che conserva l’impronta di Vishnu – quando sognò il Dio che gli prediceva la nascita di un figlio in cui Egli si sarebbe incarnato. Tornato a casa, trovò la moglie tutta raggiante: era incinta e una visione avuta davanti al tempio di Shiva le aveva annunciato che lei avrebbe data la vita a un Dio. Colui che doveva essere venerato come una nuova incarnazione di Rama e di Krishna, nacque il 18 febbraio del 1836 ed ebbe il nome di Gadadhar (Portatore di scettro), uno dei tanti appellativi di Vishnu. Gadadhar crebbe, intelligente, precoce, dotato di una sorprendente memoria, pieno di salute e di vivacità; dimostrando predisposizione soprattutto per la pittura, il canto e l’arte in genere. A sei anni ebbe la sua prima estasi: camminava lungo un sentiero tra le risaie, tranquillamente mangiando il riso soffiato che portava in un paniere, quando, alzando gli occhi, vide uno stormo di gru bianche sullo sfondo di nubi scure che stavano rapidamente estendendosi nel cielo. La bellezza del contrasto gli fece perdere la coscienza: cadde svenuto. Più tardi raccontò di essere stato invaso da una gioia indicibile. L’entrata, all’età di nove anni, nella casta brahmana – come gliene dava privilegio il lignaggio – rinsaldò in lui la vocazione religiosa, che già aveva manifestato: leggeva le vite dei grandi santi indù, organizzava e recitava drammi sacri, passava lunghe ore nel tempio in adorazione delle Divinità. E, quando il fratello maggiore, Rankumar – trasferitori a Calcutta per sovvenire alle gravi difficoltà economiche in cui la famiglia era caduta per la prematura morte del padre – lo invitò a studiare e ad aiutarlo nella conduzione di una scuola di sanscrito da lui aperta, egli fermamente rifiutò; alle sue rimostranze rispondendo che il suo solo desiderio era di acquisire la saggezza capace di mettere la pace nel cuore. Tale decisione, non dettata da infingardaggine, ma dovuta ad una nobile aspirazione, piacque al Cielo, che preparò al giovane Gadadhar l’occasione che gli avrebbe permesso di darle piena soddisfazione. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx A quell’epoca viveva a Calcutta una ricca vedova, appartenente alla casta dei sudras ( l’ultima delle caste indiane, quella dei servi ). Si chiamava Rani Rasmani ed era apprezzata per la sua intelligenza, le sue varie attività di beneficenza e la sua devozione a Dio. Sostenuta nei suoi progetti dal cognato, Mathur Babu, Rani Rasmani aveva fatto costruire nel 1847 un tempio dedicato alla dea Kaly, nella sua forma di Bhavatarami: la Salvatrice dell’universo, che – come avrà a spiegare Ramakrishna – ha il potere di liberare i suoi eletti da ogni traccia di egoismo e di immergerli nell’assoluto, il Dio senza forma: l’Atmam- Brahman. Rani Ramani e Mathur Babu per far costruire il tempio avevano spesa una fortuna; ma, essendo dei sudras , non riuscivano a trovare un bramino che accettasse di esserne il prete: di vivervi e di celebrarvi le sacre funzioni. Chiesero anche al fratello maggiore di Gadadhar, Rankumar, e questi, dopo alcune esitazioni, finì per accettare. Rankumar volle con sé il fratello minore e Gadhadar si trasferì con lui nel tempio della Dea. Lo fece a malincuore perché non gli sembrava bene che un bramino officiasse nel tempio di un sudra . Ma il rispetto dimostrato per Rankumar da Rani Rasmani e da Mathur Babu, e soprattutto la solitudine santa del luogo, la sacra atmosfera del tempio e dei suoi dintorni, a poco a poco, vinsero i suoi scrupoli. E, quando, dopo un anno, il fratello morì, egli accettò di rimpiazzarlo; chiamando come suo aiuto il nipote Hriday ( che più tardi si dimostrerà di inestimabile aiuto per lo zio, assistendolo e provvedendo a lui nelle sue esperienze religiose, spesso pericolose quando si prolungavano ). xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Nel tempio di Kali ha inizio una pericolosa ma entusiasmante avventura spirituale per Ramakrishna ( con tale titolo – in realtà solo più tardi ricevuto – d’ora in poi a Gadadhar ci riferiremo ). Ha venti anni. E’ prete. E’ nella casa della Dea, degli Dei. Ogni giorno di più ne sente la misteriosa ma viva presenza. Gli parlano, si manifestano a lui con la concretezza degli uomini di carne ed ossa. Una sera, terminati i riti, egli non può dormire. A un tratto sente un passo leggero e un tintinnio di sonagli. Guarda: una giovane, bellissima fanciulla, con i capelli sciolti sulle spalle, con le caviglie ornate di anelli, sta salendo sul terrazzo. Giuntavi, si ferma a guardare il Gange, pensierosa e triste. E’ Sita, l’infelice moglie di Rama, che ha passate tante notti in attesa del suo amato sposo lontano. E queste visioni si ripetono. Egli ormai non vive che per esse: quando la Dea a lui si nasconde, la vita per lui perde ogni senso e subentra la disperazione: la disperazione dell’amante che è lontano dall’amata, una disperazione tanto più forte, quanto più grande è il sentimento d’amore che all’amata lo lega. Nel caso di Ramakrishna, una disperazione totale, lancinante, che gli impedisce anche di ragionare. Egli supplica la Dea di ritornare a benedirlo della sua presenza, la supplica piangendo come un bambino. Certe volte batte la testa al suolo e singhiozza così disperatamente che la gente crede ch’egli abbia veramente perduta la madre carnale. Un giorno, mentre è sommerso dal dolore al pensiero che la visione divina non si ripeterà più, si accorge di una grande spada che è appesa nel santuario. Deciso a finirla, si lancia come un folle per trafiggersi e in quel momento…la Madre Divina gli si rivela. Allora il tempio e tutte le altre cose svaniscono dai suoi occhi. Al loro posto un oceano di coscienza senza limiti, infinita, abbagliante. Tanto lontano quanto può giungere il suo sguardo, onde brillanti, sorgenti da tutti i lati, che si avventano su di lui con un terrificante fragore, come per inghiottirlo. Egli non può più respirare, cade svenuto. “Ciò che avveniva nel mondo esteriore – dirà ricordando tale esperienza – io l’ignoravo, ma in me un fiotto continuo di felicità ineffabile, del tutto sconosciuto, si riversava e io sentivo la presenza della madre Divina”. Sulle sue labbra, quando riprende conoscenza, una sola parola: “Madre”. Ma queste visioni erano reali o non erano piuttosto il frutto di una fantasia eccitata? Ramakrishna conosce anche il tormento del dubbio; ma per risolverlo a chi può rivolgersi se non alla Madre Divina? “Esisti Tu, Madre, o sei una finzione creata dal mio spirito, una visione poetica senza alcuna realtà? – Le domanda rotolandosi come un pazzo per terra. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Agli occhi del mondo il comportamento di Ramakrishna spesso non può non apparire sacrilego. Una volta, davanti all’altare, invece di offrire i fiori alla Dea, se ne adorna la testa. Un’altra volta, prende del cibo offerto alla Dea e lo dà ad un gatto affamato. Ramakrishna molti anni dopo spiegherà di essere stato condotto a tali gesti dalla percezione – che lo colpiva d’un tratto con i caratteri di un’assoluta evidenza – che la Divina Madre “era in ciascuna cosa, che ogni cosa è piena di Coscienza”. E un giovane assistente, che era presente all’episodio dei fiori, ebbe in effetti a confidare che, il viso dell’officiante, nel momento irraggiava tanta luce, ch’egli ebbe paura ad avvicinarsi a lui. E tuttavia si trattava di azioni, in sé e per sé, sacrileghe. Inoltre la tensione nervosa del giovane prete è al massimo. E alcuni suoi atti fanno temere una perdita dell’equilibrio mentale. Il Pantheon indù conosce come simbolo del perfetto servitore di Dio, Hanuma, il re delle scimmie che aiutò Rama quando mosse alla conquista di Ceylon. Ramakrishna si propone di imitarlo e sempre più finisce per identificarsi con lui: si mette a mangiare solo frutta e radici, i suoi movimenti sempre più somigliano a quelli di una scimmia. Fortunatamente una visione della madre Divina libera il giovane prete dall’incubo. Molti anni dopo lo stesso Ramakrishna, misurando l’abisso che, in questo periodo della sua vita aveva così rischiosamente costeggiato, si domanderà come ne aveva potuto sfuggire. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Rani Rasmani e Mathur Babu certamente erano impressionati dal comportamento, da definirsi almeno non ortodosso, del giovane prete. Ma tanto evidente era la sua sincerità, la sua purezza, tanta luce si rifletteva dal suo volto, ch’essi finirono per nutrire per lui l’affetto di due genitori per il figlio e il rispetto di un discepolo verso il Maestro ( un Maestro che, all’occasione, sapeva dimostrarsi severo: un giorno, durante la funzione del tempio, Rani Ramani prega distrattamente: Ramakrishna legge in lei i pensieri frivoli che la occupano e la schiaffeggia pubblicamente: generale indignazione degli assistenti, ma Rani Ramani china la testa e nobilmente ammette di aver ricevuta la giusta punizione dalla Madre Divina ). Tuttavia Rani Ramani e Mathur Babu – quando con la sensibilità che l’affetto crea, si accorgono che il loro protetto va verso il crollo nervoso – cercano di correre ai rimedi; e non trovano di meglio di fargli incontrare due giovani fanciulle nella speranza che una vita sessualmente “normale” gli riporti l’equilibrio. Ma quando le due fanciulle entrano nel tempio, con la recondita intenzione di sedurre il giovane prete, questi vede in loro una manifestazione della madre dell’Universo e cade in estasi mormorando il Suo nome. Anche la madre di Ramakrishna è preoccupata per lui e lo chiama a sé. Ramakrishna ubbidisce e ubbidisce anche quando la madre gli chiede di sposarsi: Ramakrishna ha 23 anni, la sposa, Sara Devi, ne ha cinque: naturalmente la loro convivenza verrà ritardata in attesa che la sposa raggiunga una maggiore età. Ma quando questo avverrà, la loro sarà un’unione di anime, il loro sarà un matrimonio mai consumato. Egli, alla sua sposa, fattasi oramai donna, spiegherà con sincerità che considera tutte le fanciulle come una manifestazione della Madre Divina e che questo è l’unico sentimento che lei gli ispira. Tuttavia aggiungerà, con grande senso di responsabilità verso la giovane donna che il destino ha a lui unita: “Se voi desiderate attirarmi nel mondo dell’Illusione, dal momento che sono il vostro sposo, condiscenderò a questa vostra volontà”. Questa offerta generosa troverà una risposta altrettanto generosa da parte di Sarada Devi: essa dirà che il suo dovere di sposa era di incoraggiare, e non di distogliere, il marito dai suoi nobili compiti e lascerà Ramakrishna pienamente libero di seguire la sua vocazione. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Quello che liberò il giovane prete dalla follia religiosa, che di lui si era impossessata, e lo fece ascendere a più purificate esperienze, fu un incontro provvidenziale che ebbe al suo ritorno al tempio dalla visita alla madre. Una Bramina, sui cinquant’anni ma ancora bella, drappeggiata nella veste arancione delle sanniasi , avendo come unico bagaglio due vestiti e alcuni libri, bussò un giorno alla porta del tempio. Appena che vide il prete di Kali, non poté trattenere le lacrime: “Figlio mio – disse – siete voi che cercavo da tanto tempo”. Raamkrishna le descrisse le sue esperienze, quelle sue visioni che la maggior parte delle persone consideravano sintomo di follia. E lei lo rassicurò: “Figlio mio, in questo mondo, ciascuno è folle. Gli uni vanno pazzi per i soldi, gli altri per le creature umane, gli altri per il lusso o la fama. Voi, voi siete folle di Dio”, La Bramina era un’adepta delle discipline tantriche. Mentre il Vedanta Advaita insegna che ciò che è al di fuori dell’Io non ha reale esistenza e, pertanto, consiglia di non assecondare gli impulsi che ci portano a godere del mondo esterno; il Tantrismo, non solo riconosce a questo mondo una reale esistenza, ma istruisce i suoi seguaci in tecniche che comportano, non una rinuncia agli istinti, ma una loro intensificazione ( dato che un istinto intensificato, assolutizzato, con ciò stesso si purifica, si dignifica: eleva l’uomo tanto quanto l’abbrutisce l’istinto normale, non purificato). Come si può comprendere, le tecniche tantriche sono estremamente pericolose e spesso portano chi le segue alla pazzia, alla morte o alla degenerazione morale. Proprio in tali tecniche la Bramina prese ad istruire Ramakrishna ; indicandogli con la autorità del maestro e l’apprensione della madre, i pericoli che esse presentano e i metodi che le Sacre Scritture comandano per evitarli. Con meraviglia notò il rapido apprendimento del suo allievo, la facilità e la sicurezza con cui egli percorreva gli ardui sentieri indicati dai Tantra. E giunse alla conclusione di trovarsi di fronte ad una Incarnazione di Dio ( un Avatar). Quando il giovane prete confidò a Mathur la convinzione, che nei suoi riguardi si era fatta la Bramina, Mathur scosse la testa: egli riconosceva l’eccezionale spiritualità del suo protetto, ma esitava a credere ch’egli fosse un Avatar, come Krishna e Rama. Tuttavia convocò i due più celebri teologi dell’epoca, Vaihnavcharan e Gauri, a che dessero sul punto il loro parere. Vennero i due pandit , tutti e due scortati da professori e devoti. Ed, esaminato Ramakrishna, concordarono con la Bramina: quel giovane prete, che tranquillamente stava in mezzo al circolo da loro formato sorridendo innocentemente e masticando spezie con la più grande semplicità, era un’Incarnazione di Dio. Vaishnavcharan solennemente proclamò che Ramakrishna aveva attinto il Mahabhava , segno certo di una rarissima manifestazione divina nell’uomo. Gli assistenti, che erano abituati a trattare così familiarmente con il giovane Officiante, a questa dichiarazione divennero muti dallo stupore. Ramakrishna, guardando Mathur, se ne uscì a gridare come un bimbo: “Quale sorpresa! Egli dice questo, anche lui. Io sono proprio contento di apprendere che dopo tutto io non sono malato”. A Gauri – che, richiesto da lui di dire che cosa l’aveva portato alla sua conclusione, aveva risposto “Il mio cuore ne ha avuta l’intuizione e le Scritture me l’hanno confermata” – egli si limitò a dire: ” Bene, siete voi che parlate così, ma, credetemi, io non ne sapevo nulla di tutto questo”. Nonostante tale autorevole verdetto, Ramakrishna restò quel che era sempre stato, il più semplice degli uomini; e, quando si parlava di lui come di un Avatar, mostrava fastidio. Egli desiderava rimanere uno scolaro tutta la sua vita e volentieri ai suoi allievi .ripeteva: “Più vivo e più mi istruisco”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx La permanenza della Bramina nel tempio durò tre anni: tre anni in cui lei insegnò a Ramakrishna tutto quello che sapeva. Ma la Madre Divina non permette ai suoi prediletti di riposarsi: Ramakrishna doveva passare oltre lo stadio delle visioni, dei rapimenti estatici del dualismo. Condurlo a tanto fu il compito di un grande maestro del Vedanta Advaita ( il Vedanta Advaita, lo abbiamo già visto, è quel sistema filosofico che nega la dualità: il mondo esterno e Dio concepito come persona – la Dea Kali, che Ramakrishna adorava con tanto trasporto – non hanno una reale esistenza ), Totapuri – così si chiamava questo maestro – arrivò al tempio della Dea verso la fine del 1864; e, resosi conto della grande elevazione spirituale del giovane prete che lo accolse, gli propose di iniziarlo alla dottrina della non-dualità (Advaita). Il prete di Kali accettò ( ma - sublime contraddizione – solo dopo averne chiesto il permesso a quella stessa Dea di cui si apprestava a realizzare la non-esistenza!). Ecco il racconto dell’iniziazione nelle parole di Ramakrishna stesso: ”L’uomo tutto nudo ( Totapuri) ) mi domandò di staccare il mio spirito da tutti gli oggetti e di fissarmi profondamente nell’Atman. Ma, a dispetto di tutti i miei sforzi, io non potevo traversare il mondo del nome e della forma e condurre il mio spirito allo stato incondizionato . Io non avevo nessuna difficoltà a staccare il mio spirito da tutti gli oggetti, salvo che dalla forma tanto familiare della Madre radiosa, essenza della pura conoscenza, che appariva davanti a me come una vivente realtà. Il suo sorriso incantatore mi sbarrava la strada dell’al-di-là. Io cercai a più riprese di concentrare il mio spirito sull’insegnamento dell’Advaita. Ma ciascuna volta la forma della Madre me lo impediva. Io dissi a Totapuri:”E’ impossibile, io non posso elevare il mio spirito allo stato incondizionato per trovarmi faccia a faccia con l’Atman”. “E’ necessario”, ordinò con autorità Totapuri”. Poi – stiamo proseguendo nella narrazione della grande esperienza mistica di Ramakrishna – il grande maestro dell’Advaita, visto un pezzo di vetro, lo prese, ne infossò la punta tra le sopracilia del suo allievo e gli ingiunse: ”Concentra il tuo spirito su questa punta”. Ramakrishna obbedì e, quando nuovamente gli si presentò l’immagine della Madre Divina, servendosi del suo pensiero come di una spada, la divise in due. Mentre, superato quest’ultimo ostacolo, il suo spirito si immergeva nella beatitudine del samadhi , il suo corpo rimaneva sulla terra, inerte, quasi come un cadavere, per tre giorni. Totapuri, egli stesso sorpreso da tale eccezionale risultato, gridò: ”E’ mai possibile che egli abbia ottenuto in un solo giorno ciò che a me è costato quarant’anni di sforzi?!”. Totapuri rimase nel tempio undici mesi; e in tale periodo insegnò, sì, ma anche imparò cose che arricchirono di molto la sua visione spirituale. Un giorno che con il suo giovane amico parlava del Vedanta, un inserviente venne a prendere, per accendersi la pipa, della brace dal fuoco sacro ( che sempre doveva essere tenuto acceso ). Totapuri, incollerito dal gesto sacrilego, si alzò e fece per picchiare il servo. Sri Ramakrishna, allora, si mise a ridere, dicendogli: “Che disonore! Voi mi stavate spiegando che l’unica realtà è Brahman e che il mondo è un’illusione e siete sul punto di picchiare un uomo in un accesso di collera!”. Totapuri, confuso, non seppe che rispondere: era infatti poco logico da parte sua irridere, come frutto di illusione, ai riti, alle danze, ai canti, che Ramakrishna faceva in onore della Dea e, poi, cadere vittima di questa stessa illusione commettendo un atto di violenza. Capitò, poi, che un attacco di dissenteria fiaccasse a Totapuri tanto le forze da impedirgli anche di meditare. Egli volle allora liberarsi di quel corpo, che gli sembrava essere ormai diventato un peso inutile per la sua anima, e decise di gettarlo nel Gange. Entrò dunque nel fiume per annegarsi, ma una forza più grande della sua lo costrinse a riguadagnare la riva. Ed, ecco, d’improvviso una grande luce lo avvolse ed egli vide, da tutti i lati, la presenza della Madre Divina: vide che Essa era in tutte le cose, anche nel Brahman che egli per tutta la vita aveva adorato: prima di lasciare il tempio egli volle prosternarsi con Ramakrishna davanti all’immagine della Dea. Così Questi ebbe più tardi a riassumere il senso delle esperienze religiose da lui fatte con Totapuri: “Quando io penso all’Essere Supremo mentre, in stato di assoluta quiete, nulla crea, nulla conserva, nulla distrugge, io a Lui mi riferisco come a Brahman. Quando invece io me lo rappresento, mentre, attivo, crea, preserva e distrugge, io lo chiamo Çakti o Maya o Prakriti, il Dio personale. Ma, la distinzione così stabilita tra i due aspetti, non significa una vera differenza. Il Dio personale e il Dio impersonale sono una sola e medesima cosa: come il latte e il suo biancore, il diamante e il suo splendore. E’ impossibile concepire l’uno senza l’altro. La Madre Divina e Brahman sono tutt’uno”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx La vita di Ramakrishna, come quella delle più grandi Anime, fu priva di avvenimenti esteriori di un qualche interesse: tutto si svolse nella sua interiorità: “Un buon camino – diceva Emerson – trasforma tutto in fumo”: nelle grandi Anime, ciò che può venire dall’esterno si trasforma tutto in pensiero, senza dar luogo a quelle avventure, battaglie, amori, che rendono così varia, per l’uomo mondano, la vita di coloro che elegge come suoi eroi. Ramakrishna praticamente passò tutta la sua vita nel tempio; a contatto con gli Dei, anche se mai dimentico degli uomini (“Madre – sarà la sua costante preghiera – non rendermi insensibile, non fare di me un asceta dal cuore duro, lasciami in contatto con gli uomini”). Morì di un cancro alla gola il 6 Agosto 1886. Tra i più atroci dolori (del suo corpo mortale ), il suo viso risplendeva di gioia : l’anima sua serena e gaudiosa, era staccata dal corpo e non toccata dalle sue sofferenze : né più né meno che si fosse trattato del corpo di un’altra persona. Narendra, il suo discepolo prediletto, volle chiedergli, prima che morisse, se veramente doveva considerarlo come un’incarnazione divina. A tale domanda Ramakrishna alzò la testa e con solennità dichiarò: “Colui che era Rama e Krishna, è ora in questo corpo Ramakrishna, ma non nel senso vedantico”. Ramana Maharishi

Si vuole che Shiva, sconfitto un demone, si scatenasse in una danza cosmica ( espressione della gioia suprema ). E proprio nel giorno a Shiva dedicato quale Nataraja, re della danza – e precisamente il 30-12-1879 – nacque in un piccolissimo paese dell’India, Tirucculi, quello che sarebbe stato poi celebrato, col nome di Ramana Maharishi, come una nuova Sua incarnazione. Al bambino nato in tale giorno fausto e auspicioso, i genitori ( una tranquilla copia borghese: lui, avvocato, lei, una casalinga soddisfatta ) diedero il nome di Venkataramana ( di cui Ramana è un’abbreviazione ). La vita era monotona e tranquilla a Tirucculi. Non c’erano distrazioni e le esigenze della popolazione erano molto modeste. In quest’ambiente sereno e pacifico Venkataramana passò i primi anni della sua vita; senza che nulla lasciasse presagire in Lui il grande saggio e mistico che sarebbe diventato. Era un bel ragazzo, temuto dai suoi compagni per la sua forza fisica, molto interessato agli sports ( eccelleva specie nel pugilato e nel nuoto) e assai poco…allo studio ( e con tutto ciò aveva una mente prontissima e una memoria prodigiosa: sentita una lezione, la poteva ripetere senza un’omissione ). Però a diciassette anni questo bel ragazzo così superficiale ( in apparenza ) ha un’esperienza mistica, che, nel giro di due o tre mesi, lo trasforma in un asceta. Questo il racconto che di tale esperienza ha fatto lo stesso Ramana Maharishi: “Fu all’improvviso. Sedevo tutto solo in una camera al primo piano della casa di mio zio. Era raro che mi ammalassi, e quel giorno la mia salute era perfetta, ma tutto ad un tratto fui colto da una violenta paura della morte. Non c’era nulla nel mio stato di salute che potesse giustificarla e non cercai di spiegarla né di scoprire se ce ne fosse un qualche motivo. Sentii soltanto “Sto per morire” e cominciai a pensare al da farsi. Non mi venne in mente di consultare un dottore o i miei famigliari o i miei amici: sentii che dovevo risolvere il problema da me, e subito. Lo shock della paura della morte volse verso l’interno la mia mente e dissi tra me, senza formulare effettivamente le parole: ”Ecco, è venuta la morte; ma che cosa significa? che cos’è che sta morendo? Il mio corpo muore”. E subito rappresentai la scena della mia morte. Mi adagiai con le membra rigidamente stese, come se fosse cominciato il rigor mortis , e imitai un cadavere per dare maggiore consistenza alla ricerca. Trattenni il respiro e tenni le labbra serrate, perché non potesse sfuggirne alcun suono, perché non potesse essere pronunciata né la parola io né alcuna altra parola. “Bene” dissi fra me, “questo corpo è morto. Sarà portato al forno crematorio e là bruciato e ridotto in cenere. Ma con la morte di questo corpo, io sono morto? il corpo è io ? E’ silenzioso e morto, ma io sento tutta la forza della mia personalità e perfino la voce di quell’ io , dentro di me, indipendentemente da esso. Così io sono lo Spirito che trascende il corpo. Il corpo muore, ma lo spirito che lo trascende, non può essere toccato dalla morte (…..). Tutto questo non era uno smorto pensiero: lampeggiava in me vivido (…..) quasi al di là del processo del pensiero. Io era qualcosa di molto reale, la sola cosa reale in quel mio stato (…..). Da quel momento in poi l’ Io o Sé concentrò l’attenzione su se stesso in maniera potente e affascinante. La paura della morte era svanita una volta per tutte”. Era il 29 Aprile del 1896: il ragazzo chiamato Ventakaramana era sbocciato in un saggio e in un santo; e questo senza seguire discipline e istruzioni ardue e prolungate! Nella sua vita si osservò un completo cambiamento. Le cose a cui prima aveva dato valore avevano perduto per lui ogni significato; mentre i valori spirituali, che fino ad allora aveva ignorato, divennero l’unico oggetto della sua attenzione. Lui, che era stato un giovane esuberante, ora preferiva star solo, assorto nella meditazione sull’ Io . Ogni giorno si recava al tempio, e, di fronte alle statue degli Dei e dei Santi, un empito di commozione lo invadeva e le lacrime gli scendevano dagli occhi. Trascurò la scuola, lo studio di quelle discipline e di quei concetti che gli sembravano ormai aridi e senza senso. I conflitti con i suoi parenti divennero inevitabili; ed egli, dopo pochi mesi di vani tentativi, si rese conto che era inutile, che ormai non poteva più adattarsi all’ambiente in cui finora era vissuto: con un sotterfugio si procurò i soldi per il viaggio e fuggì a Tiruvarmamela, una cittadina nelle vicinanze di Aranuncula, il monte sacro a Shiva, uno dei luoghi santi dell’India. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Giunto a Tiruvarmamela, Ramana andò ad abitare in un tempio. Lì stava seduto in una sala dimentico di tutto ciò che lo circondava. Non parlava e non si muoveva, profondamente assorto nell’Infinito. Questo, naturalmente, finì per attirare la ( malevola ) attenzione della gente; e alcuni giovinastri si misero a prenderlo in giro e a gettargli sassi. Per sfuggire alla persecuzione, Ramana si trasferì in una cripta in disuso, posta sotto la sala del tempio. Lì visse lunghi giorni, senza sapere quando il sole sorgeva e quando tramontava: immerso nella realtà senza tempo. Siccome nel luogo prosperavano, zanzare, formiche e parassiti di ogni genere, egli ne fu subito preda e le sue cosce si coprirono di piaghe da cui colavano sangue e pus. Ma a tutto ciò egli sembrava indifferente. Un giorno, attirato e incuriosito dalle grida dei giovinastri - che, timorosi di entrare nella cripta, non desistevano però dal gettare pietre nella graticciata che la copriva – un uomo vi entrò: all’inizio nulla vide, ma dopo un po’ scorse una figura umana. Era un giovane; che non si muoveva e non parlava ed era impossibile richiamare a quella che il mondo chiama “coscienza normale”. L’uomo chiese aiuto ad altre persone; e tutti insieme riuscirono a sollevare e a portare all’aperto il giovane asceta – che, immobile e muto, non sembrava accorgersi della loro presenza .Lo adagiarono davanti ad un santuario e gli diedero del cibo; imboccandolo, dato che egli continuava a non dar segno di essere conscio di quel che attorno a lui accadeva. La fama di quel giovane, chiaramente dedito al più estremo ascetismo, si sparse subito: le folle accorrevano per avere la benedizione della sua santa presenza; a poco a poco dei giovani, votati alla vita religiosa, si misero a servirlo, così come in India il chela (discepolo ) usa fare col suo guru (maestro ). Ricordando quel periodo, Ramana, però, negò sempre di essersi intenzionalmente dedicato a pratiche ascetiche: spiegò che egli semplicemente si trovava in uno stato in cui le cose, le necessità di questo mondo, più non lo toccavano: “Non mangiavo – sono le sue parole – e dicevano che digiunavo; non parlavo, e dicevano che ero un muni ( muni sono detti in India quegli asceti che fanno voto di silenzio ). xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Lentamente, mese dopo mese e questo nell’arco di più anni, Ramana riprese un contatto ( sempre più completo ) con il mondo esterno. E, ponendo fine alla sua permanenza, durata circa due anni, a Tiruvarmamela, si trasferì nella montagna di Aranuchula ( che non lascerà più fino alla morte ). Questa montagna, come si è detto, era ritenuto un luogo particolarmente sacro e parecchi saggi ed eremiti l’avevano scelta come loro dimora. Ramana a poco a poco cominciò a girarla e a prendere contatto con i vari sadhu , che vi si trovavano. Cominciò anche a leggere libri e a scrivere interpretazioni delle Sacre Scritture: da persona aliena dallo studio, qual’era prima, si trasformò in un grande erudito ( ma questo, si badi, senza che ciò gli costasse un qualche particolare sforzo: egli scorreva rapidamente le pagine di un libro e tanto bastava perché si impadronisse del suo contenuto e lo fissasse nella sua memoria a tal punto da potere, non solo ripeterlo, ma indicare il capitolo e il capoverso da cui traeva la citazione !). A poco a poco gli studiosi dei Libri Sacri e, più generalmente, le persone in difficoltà nella soluzione di un loro problema, dottrinale o esistenziale, presero a rivolgersi a lui per averne lumi e consigli. Per lungo tempo Ramana visse in una grotta posta in cima alla montagna, poi, aumentando le persone che venivano da lui, per non obbligarle ad un percorso impervio, si trasferì ai suoi piedi; e intorno a lui si formò un ashram , costituito da vari edifici e dotato di una sua organizzazione. Ed egli in quest’ ashram visse, sottomettendosi alle sue regole, come un qualsiasi altro residente. Una volta, quando era ormai avanti negli anni e le sue ginocchia erano rigide e deformi per i reumatismi, venne una comitiva di Europei. Una signora, che non era abituata a sedere a gambe incrociate, si appoggiò alla parete e allungò le gambe. Un assistente, forse non rendendosi conto di quanto sia penoso sedere a gambe incrociate per un occidentale, le disse di non stare così. La povera signora arrossì imbarazzata e tirò indietro le gambe. Ramana immediatamente sedette eretto e a gambe incrociate, nonostante i terribili dolori alle sue ginocchia; e, quando i suoi discepoli lo pregarono di desistere, disse: “Se questa è la regola devo ubbidire come chiunque altro. Se è mancanza di rispetto allungare le gambe, io sto mancando di rispetto a tutti qui in sala”. L’assistente, che tanto inopportunamente aveva rimproverata la signora occidentale, dovette in tutta fretta tornare da lei per pregarla di sedere come le era più comodo. Ramana non voleva accettare ghirlande di fiori o vitto speciale che non venissero offerti anche agli altri. Di grande cortesia non amava che la gente si alzasse quando entrava in una sala, ma faceva un piccolo gesto perché rimanesse seduta. Al contrario di quanto potrebbero far pensare le sue precedenti austerità, Ramana era tutt’altro che un asceta severo; al contrario era dotato di un grande senso dell’umorismo e la sua risata, simile a quella di un bimbo, era contagiosa e metteva in allegria tutti quelli che lo circondavano. Una donna del popolo, che era andata a visitarlo, ebbe a dire di lui: “Non capisco la sua filosofia, ma quando mi sorride, mi sento sicura, come un bambino in braccia alla mamma”. Sempre al contrario di quel che potrebbe far pensare la sua precedente vita ascetica (svoltasi nella più completa trascuratezza del corpo ), Ramana era, non solo pulito, ma appropriato nel vestire. E tale accuratezza metteva in tutte le cose che faceva , sia che correggesse bozze o rilegasse un libro sia che preparasse il cibo o intagliasse e lisciasse un cucchiaio di guscio di noce. E l’ ashram intorno a lui rispecchiava tali sue caratteristiche: tutto vi funzionava alla perfezione: gli orologi spaccavano il minuto, i calendari erano sempre aggiornati, nulla vi era di sprecato: lo scarto delle verdure era serbato per il bestiame, non gettato via. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx L’insegnamento di Ramana era profondamente pratico e adatto alla personalità di ciascun interlocutore. Egli non amava intrattenersi in astratti ragionamenti filosofici. Avendo una volta uno dei presenti ricordato che Buddha non amava rispondere a domande su Dio, egli approvò: “Infatti Buddha era più interessato a indirizzare il ricercatore alla realizzazione della beatitudine qui e ora che a discussioni accademiche su Dio e così via”. Un’altra volta, a chi lo interrogava sullo stato postumo dell’uomo, rispose: “Perché volete sapere che cosa sarete quando morrete, prima di sapere che cosa siete ora? Scoprite prima che cosa siete ora!”. E ancora, a chi lo interrogava su Dio: “Perché volete essere informato su Dio, prima di conoscere voi stessi? Scoprite prima che cosa siete!”. Molto spesso egli rimaneva in un imperturbabile silenzio di fronte a chi lo veniva a trovare; e questi, da ciò, era costretto a sua volta al raccoglimento e all’introspezione. E qualcosa in lui mutava. Un visitatore europeo così parla di un suo incontro con Ramana: “Giunto alla grotta, sedemmo davanti a Lui, ai suoi piedi, senza dire una parola. Restammo così per molto tempo e mi sentii sollevato fuori da me stesso. Per mezz’ora scrutai gli occhi di Maharishi, che non mutavano mai la loro espressione di profonda contemplazione. Cominciai a rendermi in qualche modo conto che il corpo è il tempio dello Spirito Santo; sentivo che il Suo corpo non era l’uomo: era lo strumento di Dio, semplicemente un cadavere seduto immobile da cui Dio raggiava in modo straordinario. Le mie sensazioni erano indescrivibili”. Si può ben dire che Ramana i suoi più efficaci insegnamenti li dette attraverso il silenzio. Ciò era del resto conforme ad una precisa tradizione. Forse che Lao Tze e i primi Saggi taoisti non dicevano che “Il Tao che può essere nominato non è il Tao” ? Ciò che significa che la conoscenza che può essere formulata con parole non è la vera conoscenza e che quel che il saggio può solo fare, non è di dirci la Verità, ma di propiziarci la sua conoscenza con la sua benefica influenza spirituale. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx E davvero raggiava da Ramana, il “Saggio di Aranucola”, una grande e benefica influenza spirituale. E questa attirava a Lui, non solo i ricercatori di verità, ma anche la gente semplice, i ragazzi e perfino gli animali. Ragazzini dal paese salivano all’ ashram , gli si sedevano vicino, gli giocavano intorno e se ne tornavano a casa ricolmi di felicità. Gli animali, anche quelli feroci, amavano e rispettavano Ramana. E Lui rispettava loro. Diceva: ”Non sappiamo quali anime possono occupare questi corpi, né per l’esaurimento di quale parte del loro karma essi cerchino la nostra compagnia”. Nell’ ashram c’era una cagna chiamata Kamala: quando essa partoriva riceveva lo stesso trattamento di una madre umana e ai cuccioli erano dedicate attenzioni come se fossero bambini. Alcuni giorni dopo il parto, Ramana ordinava a Kamala di accompagnare i nuovi arrivati a fare un giro per la montagna. E la cagna ubbidiva e li accompagnava come se fosse una guida umana, portandoli in tutti i luoghi importanti. Un altro cane straordinario era Karuppan, così chiamato perché era tutto nero. Era un animale ispirato da principi elevati. Quando lo si vide per la prima volta viveva tra gli arbusti, non lontano dal luogo in cui abitava Ramana. Era molto orgoglioso, stava sulle sue ed evitava la compagnia. Tutti gli abitanti dell’ ashram rispettavano questi suoi principi e gli lasciavano il cibo nelle vicinanze della tana per non disturbarlo. Un giorno, mentre Ramana saliva il monte, accompagnato da dei suoi discepoli, Karuppan apparve all’improvviso, gli tagliò la strada e cominciò a saltare e a dimenare la coda per dimostrare la sua gioia. Da quel giorno entrò a far parte della “famiglia di Ramana” ( come venivano scherzosamente chiamati gli abitanti dell’ashram ) . Era un cane coraggioso, svelto, intelligente e utile. Perse quell’atteggiamento di orgoglioso distacco che aveva prima e diventò giocherellone e amico di tutti. Se gli veniva ordinato di allontanarsi, ubbidiva subito, ma non sopportava un trattamento brusco: aveva un forte senso della dignità e dell’onore. Poi c’erano le scimmie. Dal momento in cui cominciò a vivere sul monte, Ramana le seguì con attenzione; comprendeva i loro gesti e le loro grida e conosceva le loro storie. Ai suoi occhi attenti divenne chiaro che le scimmie avevano una loro morale, una forma di governo, proprietà e codici di guerra e di pace. Ramana le guardava giocare e curava premurosamente quelle che erano invalide o ferite. Una volta egli disse: “Di regola, le scimmie scacciano i membri del loro gruppo se sono stati curati dagli uomini; ma nel caso di questo ashram hanno fatto un’eccezione. Quando vi sono dissidi e litigi, i due interessati vengono da me e io faccio da paciere”. Come si è detto Ramana era in buoni rapporti anche con gli animali feroci. Diceva. “Siamo stati noi a venire a casa loro; e non abbiamo diritto di disturbarli o di far loro del male. Loro non ci disturbano”. Una volta, mentre Ramana stava seduto sulle pendici del monte, un serpente gli strisciò sulle gambe. Egli non si mosse e non ebbe paura. Quando un discepolo gli chiese com’era, egli rise e disse: “Fresco e morbido”. Un’altra volta una discepola fu spaventata da un cobra. Ramana se ne accorse, si avvicinò al serpente, si fermò a guardarlo e lo seguì quando quello si voltò e si allontanò tra due rocce. A un certo punto il cobra trovò il passaggio bloccato, tornò indietro e, passando vicinissimo ai piedi di Ramana, si allontanò per un’altra strada. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Ramana, che di costituzione era così robusto, che da giovane non aveva mai avuto malattie, nella vecchiaia fu soggetto a gravi infermità: i reumatismi, non solo gli storpiarono le gambe, ma gli attaccarono la schiena e le spalle. Ed egli finì per dimostrare molti più anni di quelli che effettivamente aveva. Come mai, può domandare lo scettico, un uomo che si pretende conoscesse tante cose, avesse tanti poteri, non seppe vincere le sue malattie e assicurarsi la salute? A tale domanda, dettata dallo scetticismo, il credente risponde che Egli, non già “non seppe”, bensì “non volle” opporsi al male: solo bevendo un oceano di veleno, Shiva poté salvare il mondo dalla distruzione: solo accettando le sofferenze della malattia, Ramana poté – dicono i suoi discepoli - liberare molti di loro dalle conseguenze negative dei loro peccati ( in una sorta di “espiazione vicaria” simile a quella che i Cristiani attribuiscono a Gesù “morto sulla croce in espiazione dei nostri peccati”) E di questo fatto ( del fatto, cioè che Ramana si caricasse la croce dei mali, che avrebbero dovuto invece colpire i suoi discepoli) sono molte le prove che vengono portate. Si racconta, ad esempio, che un suo discepolo andò a sedersi nella sala d’udienza un giorno che aveva un forte dolore all’indice; non lo aveva detto a nessuno, ma con sua sorpresa vide Ramana prendere, a un certo punto, a massaggiare lo stesso dito della propria mano: e il dolore ( nel discepolo ) scomparve. Agli inizi del 1974 un piccolo nodulo apparve sotto il gomito del braccio sinistro di Ramana. Non fu considerato grave, ma il medico dell’ ashram lo asportò. Entro un mese si riformò più grosso e più doloroso e questa volta fu riconosciuto come un tumore maligno. Si propose l’amputazione del braccio; ma Ramana si rifiutò: “Non c’è ragione di allarmarsi. Il corpo stesso è una malattia: lasciate che abbia la sua fine naturale. Perché mutilarlo?!”. E ancora: “Il corpo è come una foglia di banano su cui siano stati serviti cibi deliziosi di ogni sorta. Dopo aver mangiato il cibo, prendiamo la foglia e la conserviamo?”. Secondo i medici i dolori dovevano essere atroci e si stupivano, quindi, che Egli non mostrasse di sentirli. Ma Ramana implicitamente spiegò il segreto della sua indifferenza al dolore a un discepolo, dicendo. “Prendono questo corpo per Bhagavan e gli attribuiscono le sofferenze. Peccato!”. Ramana lasciò il suo corpo mortale per vivere, senza più il suo impaccio, continuativamente in quella Suprema Felicità, che, in vita, poteva attingere solo nelle sue estasi, il 15 Aprile 1950. Steiner

Biografia

Rudolf Steiner, il fondatore dell’antroposofia, nacque il 27-2-1861 a Kriljevic, un piccolo paese dell'impero austro-ungarico. Suo padre era impiegato delle ferrovie; così che egli passò la sua giovinezza in quei piccoli paesi dell’impero in cui di volta in volta il padre veniva trasferito per ragioni di servizio - paesi in cui la vita scorreva lenta, forse anche un poco monotona, ma a contatto con la natura e serena. Steiner andava a scuola, faceva i compiti, lavorava il campicello della ferrovia, spesso faceva lunghe passeggiate, fermandosi ogni tanto a parlare con la gente semplice e cordiale del posto, per tornare poi a casa con un carico di fragole, lamponi e more ( che rappresentavano un’aggiunta importante alla cena familiare ) o con l’acqua frizzante e cristallina attinta ad una fonte. La famiglia era cattolica e il padre, pur atteggiandosi a libero pensatore, non impediva al piccolo Rudolf di fare il chierichetto: il ragazzo era fortemente preso dalla poesia e dalla profondità dei riti della religione cattolica, ma era urtato dall’incredulità nell’efficacia di questi che la sua anima intuitiva scopriva nel profondo del cuore degli officianti. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Fin dalla sua infanzia Steiner manifestò entusiasmo e intenso desiderio di apprendimento per ogni cognizione sia scientifica che artistica e letteraria. Un giorno, ancora bambino, vede nella camera del suo maestro un libro di geometria, lo chiede e l’ottiene in prestito: l’incontro con quei teoremi di Euclide, che costituiscono lo strazio per la maggioranza dei giovani, apre invece a lui nuovi orizzonti e lo riempie di entusiasmo: ”Al contatto con la geometria conobbi per la prima volta la gioia”, egli ebbe a dire ripercorrendo in tarda età i fatti più importanti della sua vita: “Il fatto che fosse possibile vivere con l’anima nell’elaborazione di forme percepite in modo puramente interiore, senza impressioni dei sensi esterni, mi dava somma soddisfazione; trovavo conforto allo stato d’animo risultato in me dal non ricevere risposta a tutte le domande. Poter afferrare una cosa puramente spirituale mi dava un senso di felicità interiore”. Quando, già cresciuto ma ancora studente nelle medie inferiori, sente nominare Immanuele Kant, mette da parte i soldi e si compera una copia della Critica della Ragion Pura , e, pur totalmente digiuno di filosofia, passa giorni interi a tentare di padroneggiare quelle astruse argomentazioni. E, poiché trova noiosissime le lezioni di storia, scuce le pagine della Critica e le nasconde dentro il libro di storia, per poterle leggere durante le lezioni. Se la cava egualmente anche in storia perché la studia direttamente dai testi originali e si merita un “eccellente”. Per sua natura è un autodidatta. Egli racconta che a scuola viveva come in sogno, ma che, non appena si metteva a leggere quello che sceglieva lui allora la sua mente si risvegliava e sperimentava un senso di “piena conoscenza”. E così come autodidatta impara: la stenografia, il greco, il latino, l ’arte di rilegare i libri e …. l’uso del telegrafo. Con tutto ciò anche nelle materie scolastiche riesce a dimostrarsi studente brillante e tanto apprezzato dai professori che questi gli affidano il compito di aiutare i suoi compagni; non solo quelli delle classi inferiori, ma anche quelli della sua stessa classe. Ciò gli dà modo anche di guadagnarsi qualche soldo; che gli viene bene, dato che la sua famiglia, non indigente, non è però tanto ricca da mantenerlo negli studi. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx L’indole di Rudolf Steiner sin dall’infanzia fu concentrata e grave. Una volontà inflessibile di conoscere, di rendersi conto della vera natura delle cose albergava in lui; ma ad essa era congiunta una simpatia intima, profonda, quasi dolorosa, una specie di tenerezza compassionevole per tutti gli esseri ed anche per la natura inanimata. Davanti ai suoi occhi calmi e penetranti, ogni persona era portata a far tacere ogni parola volgare e meschina: incuteva un naturale rispetto. Ma quei occhi, quali visioni mai avevano! Le anime umane davanti a loro diventavano trasparenti, rivelavano i loro timori, i loro desideri, i loro trasporti di odio o di amore: Rudolf Steiner era chiaroveggente. Il mondo spirituale si era svelato presto a Rudolf Steiner. Da ragazzo sedeva un giorno nella sala d’aspetto della stazione, quando d’un tratto la porta si aprì ed entrò una donna. Steiner notò una strana somiglianza con qualche persona di famiglia. La donna si fermò in mezzo alla sala e gli disse: “Aiutami per quanto ti è possibile. Ora e nella vita futura”. Poi si diresse verso la stufa e scomparve. Steiner decise di non raccontare nulla ai suoi: temeva di venir accusato di essere superstizioso. Il giorno dopo però s’accorse che suo padre era triste: venne poi a sapere che una sua parente si era suicidata proprio nel momento in cui egli aveva avuto quella strana visione. “Da allora – racconta Steiner – una vita dell’anima incominciò a svilupparsi in me e mi rese consapevole dell’esistenza di mondi dai quali, non soltanto gli alberi e i mondi parlano all’anima dell’uomo, ma anche gli esseri che vivono dietro a quelli. Da allora vissi insieme agli spiriti della natura che si possono osservare in una tale regione. Vissi con gli Esseri creati che sono dietro gli oggetti….e mi sottomisi alla loro influenza nel mondo spirituale”. Inutilmente però Steiner cercava di comunicare tali sue esperienze ad altri: “Una volta – racconta sempre Steiner – scrissi di questo lato della mia vita interiore ad uno degli insegnanti delle scuole tecniche, che mi era rimasto amico. Egli mi rispose con estrema amabilità, ma senza degnare di una parola quel che gli avevo scritto ( sul punto )”. E Steiner aggiunge: ”E così, a quel tempo la mia visione del mondo spirituale incontrava ovunque la stessa accoglienza. Gli altri non ne volevano sapere. Tutt’al più mi rispondevano talvolta accennando allo spiritismo, e allora ero io che non ne volevo sapere: quel modo di entrare in contatto con lo spirito mi ripugnava”. Fu proprio questo il principale problema che la vita pose a Steiner e che Steiner dovette cercare di risolvere: egli aveva qualcosa da dire, qualcosa di importante e doveva trovare la maniera di dirlo in modo da farsi ascoltare, in modo da sfuggire all’accusa di essere superstizioso, visionario o peggio. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Ma intanto quale solitudine doveva provare il giovane Steiner con tutte quelle esperienze, con tutte quelle visioni, con tutto quel mondo che si apriva al suo sguardo ma che con nessuno poteva condividere! Da tale solitudine però fu in parte sollevato da una conoscenza fortunata che fece nei suoi viaggi in treno per recarsi a scuola. Si trattava di un erborista, che ogni settimana dal paese si recava alla città per vendere le sue piante medicinali. Quell’uomo, un semplice popolano, non soltanto conosceva le specie, le famiglie e la vita delle piante nei loro minimi particolari, ma le loro virtù occulte. Si sarebbe detto ch’egli avesse passato la vita a conversare con le erbe e con i fiori, riuscendo a rubare loro ogni segreto. Il tono tranquillo, sicuro, freddamente scientifico delle sue rivelazioni suscitò l’ammirazione e la curiosità di Steiner. Divennero amici. Steiner spesso andava a trovarlo nella sua casa di campagna e si sentiva pienamente a suo agio in quell’atmosfera così semplice e pia: lì inoltre poteva parlare liberamente delle sue esperienze senza la paura di essere giudicato un originale o un pazzo! Edouard Schuré, il famoso romanziere che divenne un fedele seguace di Steiner, parlò più tardi di quest’uomo misterioso come del “Maestro”( per usare una parola ormai diffusa, del “Gourou” ) di Steiner e disse che era “una di quelle forti personalità che sono sulla terra per compiere una missione sotto la maschera di un’occupazione modesta”. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Una volta che Rudolf Steiner ebbe terminate le scuole medie, si pose al padre la questione: mandarlo al ginnasio oppure al politecnico? Il padre chiedeva consigli agli amici e molto discuteva sull’argomento: ma infine ,valutati i pro e i contro, convintosi che la strada migliore per il figlio era quella che lo avrebbe portato a diventare un ingegnere ferroviario, senza esitazione, optò per il politecnico. Steiner approvò poi il comportamento, cauto, prima, e risoluto, poi, del padre e insegnò ai suoi discepoli che “si può ascoltare volentieri ciò che gli altri dicono; ma si agisce poi secondo la propria volontà fortemente sentita”. Steiner, ancorché di carattere meditativo e pensieroso, non era misantropo: gli piaceva fare amicizia e frequentare delle persone; e anche se le sue opinioni si accordavano di rado con quelle dei suoi amici, ciò non ostacolava minimamente l’affettuosità dei loro rapporti. A Vienna, dove aveva sede il politecnico, Steiner si associò al Circolo tedesco della scuola, e ne fu eletto bibliotecario. Esercitò tale funzione con zelo e spirito di iniziativa ( tra l’altro riuscendo a procurarsi numerosi libri scrivendo lettere ai loro autori) e insomma in modo così soddisfacente che poi fu eletto anche presidente del Circolo. Steiner si rivelò anche studente preparato e intelligente; e senza dubbio avrebbe potuto diventare un ingegnere o un professore universitario. Però né l’una né l’altra professione lo attraevano: aveva troppa originalità e temperamento per rassegnarsi a una vita di routine. Di conseguenza, come molti giovani di talento, si trovò ad affrontare il mondo senza un’idea precisa di quello che avrebbe voluto fare; e questo mentre aveva un’estrema necessità di procurarsi di che vivere. Fortunatamente per lui il professore di letteratura, con cui condivideva la passione per Goethe, lo aiutò, trovandogli un posto di istruttore presso una famiglia, la famiglia Specht, e ottenendogli da un editore l’incarico di curare la pubblicazione delle opere scientifiche di Goethe. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx I Specht, la famiglia presso cui Steiner andò a fare l’istitutore, avevano quattro figli, l’ultimo dei quali, Otto, di dieci anni, ritardato mentale: era affetto da idrocefalia ( acqua nel cervello ) . Steiner si fece presto la convinzione che il problema non era fisico ma psichico: non era il corpo ma l’anima che doveva essere curata. Si doveva, prima di tutto, conquistarsi l’affetto del ragazzo e, poi, ridargli fiducia in se stesso. Tutto ciò significava uno sforzo notevole per Steiner: per esempio significava spendere due ore per preparare mezz’ora di lezione. Ma il successo fu strepitoso. Nel giro di due anni, Otto conseguì la licenza della scuola primaria e fu ammesso al ginnasio. In più l’idrocefalia regredì, rafforzando la convinzione di Steiner che la salute del corpo dipende da quella della mente. Steiner continuò nelle sue funzioni di istitutore per sei anni, fino a quando Otto fu sufficientemente sviluppato da non aver più bisogno di lui: divenne dottore, e morì durante la prima guerra mondiale. ( E sua madre, che gli era attaccatissima, morì subito dopo ). xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Quelle scientifiche non erano certo le opere più apprezzate di Goethe: era diffusa l’idea che esse null’altro fossero che il capriccio o l’aberrazione di un poeta geniale. Esse quindi erano considerate la parte meno importante dell’opera omnia del grande tedesco e fu per questo che la cura della loro pubblicazione venne affidata a uno studioso sconosciuto come Steiner. In realtà Goethe era stato uno scienziato ragguardevole: i suoi esperimenti erano stati precisi e ben impostati e le conclusioni che ne aveva tratto erano state per lo più corrette. A lui tra l’altro si deve la dimostrazione che anche l’uomo ha l’osso intermascellare ( quello, per intenderci, che negli animali contiene gli incisivi ); dimostrazione che ha dato un notevole contributo a favore della tesi dell’evoluzionismo ( e contro quella che, invece, vorrebbe l’uomo in qualche modo “diverso” da tutti gli animali inferiori ). Tuttavia Goethe come scienziato aveva un difetto imperdonabile per un’epoca in cui dominava il materialismo: aveva una concezione spiritualistica della natura: la considerava, non come un ammasso di materia morta, ma come qualcosa di vivente. Ma questa era anche la concezione di Steiner: Questi come Goethe aveva una mentalità scientifica ed era in grado di trarre godimento tanto dalla lettura di un testo di fisica o di matematica quanto da quella di un poema, ma come Goethe riteneva che la natura fosse “l’ornamento vivente di Dio”. Queste affinità, certamente, di per se stesse, già potrebbero spiegare perché Steiner svolse con vero entusiasmo il compito che l’editore gli aveva affidato ( non solo annotando ogni opera e facendola precedere da un’introduzione, ma anche scrivendo un libro per valorizzare l’aspetto scientifico di Goethe ), ma forse la vera chiave per comprendere tanto impegno, la dà quel che Steiner più tardi ebbe a risponde ad un allievo, che gli chiedeva perché fino ai quarant’anni non si fosse espresso sulla “materia occulta”. Ebbene a tale domanda Steiner rispose che egli sentiva di dovere ottenere una “posizione nel mondo” prima di far ciò. Sia come sia, in effetti la pubblicazione delle opere di Goethe fece diventare Steiner una “personalità” a Vienna: in Germania uno che cura la pubblicazione delle opere di Goethe ottiene subito ottime credenziali e non può più essere trattato come una nullità. Steiner fu ricercato da autorevoli circoli culturali, gli fu affidata la direzione di una rivista politica, il Deutsche Wochenscrift , e fu chiamato a Weimar dal Goethe-Schiller Archiv per curare l’edizione completa degli scritti scientifici di Goethe. Come direttore del Deutsche Wochenscrift fece conoscenza con alcuni leaders socialisti; ciò che a sua volta lo stimolò a studiare gli scritti di Marx e di Engels. Ma com’era prevedibile trovò il loro materialismo indigesto: “Io non riuscivo ad acquistare con tutto quel mondo un vero rapporto interiore. Il sentire dire che nella storia dell’umanità sono le forze economiche materiali quelle che sorreggono l’evoluzione e che l’elemento spirituale è solo una sovrastruttura ideale di questo fondamento “veramente reale”, mi dava una sofferenza personale. Io conoscevo la realtà dello spirito. Le affermazioni di quei socialisti teorici erano per me un voler chiudere gli occhi alla vera realtà” . xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Una spiccata caratteristica di Steiner fu la sua tendenza a valorizzare gli aspetti positivi delle personalità con cui veniva in contatto; trascurando, quasi come se non se ne accorgesse, i loro aspetti problematici e negativi. Non deve quindi meravigliare l’ammirazione e il rispetto che dimostrò – lui, che credeva, anzi percepiva, l’esistenza di un mondo spirituale – per un filosofo come Nietzsche, che invitava a “virilmente accontentarsi del mondo materiale, definendo la credenza in “altri mondi” una fuga e un delirio di persone troppo deboli per godere di quello che si offriva ai loro sensi. Steiner conobbe Nietzsche, prima, attraverso i suoi scritti e, poi, di persona, quando la sorella del grande Autore di Così parlò Zaratustra lo invitò nella casa in cui questi lentamente si spegneva. Ed ecco come ne parla: “Là, disteso sul divano, giaceva l’Ottenebrato, con la sua fonte mirabilmente bella di artista e di pensatore. Erano le prime ore del pomeriggio. Gli occhi, pur essendo spenti, apparivano ancora pervasi d’anima; ma di quanto li circondava non accoglievano più che un’immagine a cui era ormai negato l’accesso all’anima. Stavamo dinanzi a lui, ma Nietzsche non lo sapeva. Eppure si sarebbe ancora potuto credere che quel volto spiritualizzato fosse l’espressione di un’anima la quale nel corso del mattino avesse intensamente pensato e volesse ora riposare un momento”. “E a un tratto – continua Steiner – si presentò, alla mia, l’anima di Nietzsche, quasi librata sul suo capo, illimitatamente bella nella sua luce spirituale; liberamente aperta ai mondi spirituali nostalgicamente invocati, ma non trovati, prima dell’oscuramento (….) Prima di quel momento avevo letto Nietzsche scrittore ; ora avevo veduto quel Nietzsche che da remotissime sfere spirituali portava entro il suo corpo idee ancora tutte scintillanti di bellezza, sebbene avessero perduta per via la loro originaria forza luminosa. Un’anima, che da vite terrene precedenti portava una ricca messe d’oro e di luce, senza però essere mai riuscita a farla risplendere in questa vita. Io ammiravo quanto Nietzsche aveva scritto, ma ora, al di là della mia ammirazione, vedevo una chiara immagine raggiante”. Steiner dice di se stesso che “non fu mai portato a negare ammirazione e interesse a ciò che gli appariva grande, anche se il contenuto gli appariva contrario”. E non si può negare che dicesse il vero! xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Come già accennato, Steiner si recò a Weimar (nel 1890 ) per curarvi l’edizione delle opere scientifiche di Goethe ( per conto del Goethe-Schiller Archive ). E a Weimar conobbe Anna Eunike, la vedova con cui coabitò per lungo tempo, che sposò nel 1899 e da cui si separò quando conobbe Maria Von Sivers. Sembra che tale conoscenza fosse propiziata, da una parte, dalla necessità in cui si trovava Steiner di trovare una camera in affitto, e, dall’altra, dall’esigenza, che sentiva la signora Eunike, di un aiuto nell’educazione dei suoi cinque figli. Fatto sta che Steiner si trasferì in casa dell famiglia Eunike ( una parte dell’appartamento fu lasciata libera per lui ) e con questa famiglia strinse rapporti sempre più intimi e affettuosi; tanto che quando nel 1899 egli si trasferì a Berlino, anche gli Eunike vi si trasferirono sempre tenendolo presso di sé come affittuario. Poco tempo dopo il trasferimento a Berlino, Steiner sposò la vedova che aveva otto anni più di lui (e sembra che lo facesse per tacitare le malelingue che avrebbero potuto trovare da ridire nella presenza di un uomo ancor giovane in una famiglia con tante donne – le figlie della vedova si erano fatte ormai grandi ). Sui suoi rapporti con la famiglia Eunike, Steiner nella sua Autobiografia dice pochissimo e niente che possa rivelarcene l’intima natura; però che essi, finché durarono, fossero armonici e felici ci permette di arguirlo il racconto scritto che un operaio, certo Alwin Rudolf, fece di una sua visita in casa Eunike-Steiner. Vale la pena di soffermarci un poco su tale racconto, non solo perché ci apre uno squarcio sulla vita privata di Steiner, ma anche perché ci introduce su un’esperienza interessante ch’egli fece presso la scuola operaia di Berlino. Questa scuola cercava chi si assumesse il compito di tenere ( per un magrissimo compenso ) le lezioni di storia, e qualcuno le aveva fatto il nome di Steiner. Fu così che un giorno alla porta di questi bussò una delegazione della scuola, guidata dal menzionato Alwin. Furono – racconta questi – introdotti da una ragazza ( evidentemente una delle figlie di Anna ) in una grande stanza dove dominava un tavolo enorme. Nella stanza c’era una donna anziana e un uomo piccolo, mingherlino, vestito di scuro, con un paio di baffi cespuglioso e la cravatta alla lavalliere : Rudolf Steiner. L’accoglienza fu amichevole e cordiale e saltarono subito fuori dei pasticcini e la macchinetta del caffè. Delle donne, Alwin dice: “Non potrei proprio dire di loro che fossero delle “signore” perché erano in realtà due donne semplici, ma intelligenti e dalle idee chiare”. Mostravano rispetto per Steiner e non sembra che Alwin cogliesse qualche segno di una particolare intimità o affettuosità tra Anna e Steiner. In questa prima visita Alwin e i suoi compagni furono così impressionati dall’ospitalità e dalla cordialità di Steiner che dimenticarono di parlargli delle questioni di denaro . Alwin perciò dovette tornare a vedere se il dottor Steiner non si sarebbe sentito offeso dal compenso che la scuola era in grado di offrirgli ( e che era di soli otto marchi ). L’accoglienza fu stavolta ancora più amichevole: Steiner lo accolse stringendogli entrambe le mani. Di nuovo gli fu offerto del caffè e, quando Steiner disse che era stato scaldato con lo spirito, certamente aveva intenzione di usare un doppio senso. Infatti una delle figlie tirò fuori una bambola di pezza del dottor Steiner, e ne sollevò la gonna nera, dalla quale spuntò una bottiglia di brandy. La ragazza spiegò che “il suo corpo era tutto spirito”. La cordialità dell’accoglienza, la personalità di Steiner tanto impressionarono il bravo Alwin che….anche questa seconda volta si dimenticò di parlare del compenso. Ma di questo a Steiner importava ben poco: quel che gli interessava era di trovare un pubblico a cui esternare le sue concezioni. Quindi l’accordo con la scuola fu raggiunto senza difficoltà. Il primo giorno di lezione Steiner arrivò con due minuti di anticipo accompagnato dalle due “signore” che Alwin aveva conosciuto nelle precedenti visite. E si mise a parlare ai suoi scolari con entusiasmo, senza consultare appunti e, cosa inusitata per quei tempi in cui vigeva una concezione autoritaria dei rapporti tra maestro e allievi, sollecitando i suoi uditori alle domande e al dialogo. Fu un grande successo e nei giorni seguenti sempre aumentò l’affluenza alle lezioni. La situazione però era paradossale: la scuola si fondava su principi marxisti, lo Steiner insegnava, invece, una concezione spiritualistica della storia; la insegnava senza atteggiamenti polemici ( “un atteggiamento polemico contro il materialismo – dice Steiner – non avrebbe avuto senso; dovevo dal materialismo stesso far sorgere l’idealismo” ) ma la insegnava. All’inizio i leaders degli operai nulla ebbero da obiettare: nessuno se la sentiva di guardare in bocca al caval donato: Steiner si accontentava degli otto marchi e il suo corso era sempre affollato. Però col tempo furono costretti ad accorgersi che nutrivano una serpe in seno. Uno di essi, dopo aver assistito ad una lezione, protestò: “Non vogliamo libertà nel movimento proletario, vogliamo una ragionevole costrizione”. Ma gli allievi di Steinere gli rimaesro fedeli e, anzi, aumentarono sempre di più : da una cinquantina salirono ad oltre duecento. Le lezioni di Steiner, invece di terminare alle undici, andavano avanti fin oltre la mezzanotte. Steiner finalmente parlava alle masse e scopriva che, nonostante il suo astratto modo di esprimersi, era un oratore carismatico. Ci vollero quattro anni per i leaders del movimento socialista per riuscire a liberarsi di lui; ma allora Steiner aveva già trovato un pubblico più prezioso. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx La cura della pubblicazione delle opere scientifiche di Goethe, i libri scritti su Nietzsche e sullo stesso Goethe, oltre alla sua attività di conferenziere, avevano fatto di Steiner una personalità, la cui presenza era ambita da vari circoli culturali. Anche la Società Teosofica di Berlino gli chiese di fare una conferenza. Steiner parlò su Nietzsche ed ebbe l’impressione che “tra gli uditori ci fossero persone che avevano grande interesse per il mondo spirituale”. Pertanto, quando tornò dalla Società Teosofica per una seconda conferenza ( argomento: “La rivelazione segreta di Goethe” ), decise coraggiosamente di “esprimersi finalmente in termini direttamente ispirati al Mondo Spirituale, laddove sino a quel momento era stato costretto a non lasciarne trapelare se non un riflesso”. Fu un grande successo: Steiner aveva finalmente trovato il suo pubblico: un pubblico capace di apprezzare le sue idee filosofico-religiose: quelle stesse idee che per lunghissimi anni aveva dovuto tenere celate dentro di sé, in attesa di acquisire nel mondo dell’alta cultura quell’autorità che avrebbe reso impertinente nei suoi confronti l’accusa di cialtroneria e superficialità. Le conferenze presso la Società Teosofica continuarono e l’autorità di Steiner nell’ambito di tale Associazione crebbe tanto che gli fu proposto di diventarne il segretario. Steiner nei precedenti anni aveva avuto modo di conoscere le tesi della Società teosofica, e ne aveva dato un giudizio sostanzialmente negativo ( e addirittura “repellente” aveva trovato il libro del Sinnet, Buddismo esoterico – che, invece, era un po’ la Bibbia dei teosofi). Tale giudizio negativo nasceva – a parte una diversità di “stile”, una ben maggiore attitudine scientifica di Steiner – dal fatto, soprattutto, che la Società Teosofica si ispirava prevalentemente alla tradizione religioso- filosofica dell’Oriente, mentre lo Steiner – che pur all’inizio era stato ostile al Cristianesimo – a poco a poco era giunto a considerare la discesa del Cristo sulla terra l’evento centrale della storia umana ( anche se di questa discesa e del Cristo veniva a dare un’interpretazione diversa da quella ortodossa della Chiesa cattolica ). Erano molti, però, anche gli elementi comuni tra il pensiero di Steiner e quello della Società Teosofica ( reincarnazione, legge del Karma, conciliabilità di scienza e religione….); e d’altra parte la sezione tedesca della Società teosofica si era sempre distinta per una spiccata autonomia rispetto alla sede centrale di Londra. Steiner valutò i pro e i contro e, alla fine, saltò il fosso: accettò la proposta della Società Teosofica di Berlino di divenirne il segretario; a una condizione, però: che egli avrebbe insegnato soltanto quello che derivava dalla sua conoscenza diretta e dalla sua personale esperienza. La decisione ( coraggiosa, in quanto gli alienò le simpatie del mondo accademico e dotto della Germania e, come “teosofo”, lo declassò nel mondo della cultura ) si rivelò giusta: la Società Teosofica fu il canale tramite il quale le sue idee in poco tempo si propagarono per tutta l’Europa. E quando, dopo pochi anni di armonica convivenza, la direzione londinese della Società ( in primis, la Besant ) volle imporre un giovinetto indù, Krsnamurti, come un nuovo messia e Steiner a ciò si rifiutò risolutamente rompendo con essa, la maggior parte delle sedi germaniche lo seguirono. Ne nacque un nuovo movimento spiritualistico, che lo Steiner chiamò, con termine composto derivante dal greco, Antroposofia , cioè Conoscenza dell’uomo ( anthropos = uomo, sophia = conoscenza ). La metamorfosi era ora completamente compiuta: da apprezzato studioso di Goethe, Steiner si era trasformato nel capo carismatico di un grande movimento religioso. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Durante il tempo in cui Steiner era ancora membro della Società Teosofica, cominciò a mostrarsi assidua con una certa ostentazione alle sue conferenze una giovane piuttosto attraente, Maria Von Sivers. Maria Von Sivers, nata nella Polonia russa, da padre di nobile casato, aveva studiato recitazione a Parigi, presso la Comédie Francaise ed era in possesso di un’educazione cosmopolita che le permetteva di scrivere e parlare egualmente bene quattro lingue ( russo, francese, tedesco, inglese ). Quando approdò, per le vie misterose del destino, alla sede berlinese della Società Teosofica, incontrò in Steiner l'Uomo e l'Idea a cui dedicare tutta la sua vita. Secondo i biografi di Maria fu proprio dietro il suo impulso che Steiner si decise a dar vita a un nuovo movimento che rigenerasse l’umanità; di certo Essa, con il suo talento organizzativo e la sua attività infaticabile, diventò, nella creazione di tale movimento, la indispensabile compagna e la migliore alleata del grande Pensatore. Steiner e Maria si sposarono nel 1914. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Steiner aveva avuto sin da giovane una netta propensione per l’arte ( che non aveva potuto adeguatamente coltivare ). E con grande rammarico constatava quanto poco questa fosse invece coltivata dai membri della Società Teosofica. Pertanto quando conobbe la Von Sivers, insieme a lei ( che come si è detto aveva frequentata la Comédie Francaise ) si mise ad insegnare recitazione e declamazione. Dagli iniziali saggi, dati nelle serate in cui i membri dell’Associazione si riunivano, si passò a poco a poco a delle vere e proprie rappresentazioni teatrali per il pubblico. Per queste rappresentazioni Steiner scrisse poi una tetralogia, quattro drammi dal titolo I misteri , che diventò consuetudine rappresentare periodicamente nel religioso silenzio dei suoi fedeli. Steiner ideò anche la Euritmia che, in mancanza di un termine migliore, potremmo definire una forma particolare di danza; assegnando a tale arte lo scopo di trovare i gesti adeguati per i vari sentimenti che agitano il cuore umano. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx La Società Antroposofica era in continua espansione. E quindi era necessario fornirla di una sede degna, che fu trovata a Dornach, presso Berna. Centro del complesso di edifici che formavano la sede, doveva essere un tempio ideato dallo stesso Steiner e da lui chiamato Goetheanum ( in onore dell’amato Poeta ) . Mentre Steiner, alla posa della prima pietra, stava parlando di Arimane, la forza negativa dell’universo che “si propone di diffondere tenebre e caos”, scoppiò un temporale: fu come se gli elementi volessero dirgli che quello era il momento meno adatto per costruire un tempio. E, infatti, mentre durava la costruzione del Gotheanum, scoppiò la prima guerra mondiale. Steiner, che era in Germania, tornò precipitosamente a Dornach in mezzo al caos : guardie a tutti i ponti, soldati in marcia dovunque, stazioni ferroviarie gremite di folla. Maria Von Sivers annota: “Durante quella terribile notte, il mondo era cambiato, e l’espressione di un incubo che si impresse in quei giorni sulla faccia di Steiner, la sua pena per l’umanità, fu una cosa indimenticabile”. Il mondo sembrava pensare a ben altro che all’arte, alla religione, ai templi ! Unica oasi di pace in un mondo sconvolto, Dornach. Lì uomini di buona volontà di ben diciassette nazioni si ritrovarono fratelli per lavorare insieme – muniti, non di armi, ma di cazzuole, martelli, pialle – alla costruzione di un tempio in cui celebrare i riti di una umanità solare . Però anche lì Arimane sembrò voler dire l’ultima parola. Il tempio – che Steiner aveva voluto in legno - appena costruito, fu distrutto totalmente da un incendio. Nell’occasione il contegno di Steiner fu magnifico: si recò sul posto per dare istruzioni, senza fare il minimo gesto di rabbia o di disperazione: solo una volta lo si sentì mormorare, “Tanto lavoro durante tanti anni…”. Non permise che il programma delle manifestazioni subisse delle modifiche e la sera del giorno dopo tenne per i visitatori, che erano venuti ad ascoltarlo da tutte le parti della Svizzera, la conferenza che era stata annunziata. La Società Antroposofica decise di costruire nuovamente il tempio: si riunirono di nuovo le energie, nuovamente si raccolsero i fondi. Il nuovo tempio in cemento armato, testimonianza della volontà e della genialità di Steiner, si può ammirare ancor oggi a Dornach. A Dornach, Arimane non aveva avuta l’ultima parola! Ma in Germania stava prevalendo. In questa nazione, civile ma stremata dalla sconfitta, sembrava non esserci più posto per la gentilezza e la tolleranza di un tempo: sia i nazionalsocialisti che i comunisti osteggiarono Steiner; che un giorno fu assalito fisicamente, riuscendo a scampare il peggio solo per l’intervento dei suoi amici. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Da quando viene a far parte della Società teosofica e inizia la sua predicazione, l’attività di Steiner si svolge con un ritmo che sbalordisce e sconcerta. Scrive una ventina di libri, la sua corrispondenza è così fitta che quando i suoi collaboratori portano le sue lettere alla posta devono servirsi di un cesto, compie continue torunés con in media una conferenza al giorno ( si calcola che dal 1900 al 1925 ne tenne ben venticinquemila!) e, come se ciò non bastasse, quasi ogni giorno riceve decine di persone che vengono a confidargli i loro problemi e a chiedergliene una soluzione. Soprattutto quest’ultima attività si rivela massacrante: si pensi che le persone desiderose di parlargli spesso formavano lunghe code che partivano dalla hall dell’albergo , in cui pernottava, fino alla sua stanza. Ed egli tutti riceveva, senza distinzione, si trattasse di una questione importante o di una questioncella personale. Se si trattava di cose serie, si prodigava interamente nella conversazione, ascoltava attentamente, s’immedesimava, prendeva su di sé tutto il peso del destino del suo interlocutore. Quest’attività frenetica finì per stroncarlo. Il 28 Settembre 1924 tenne la sua ultima conferenza. Dopo non poté più lasciare il letto. Ma non per questo si dette pace: continuò fino all’ultimo a tenere una fitta corrispondenza e a scrivere libri. Le sue sofferenze diventarono sempre più intense. Ciononostante mantenne sempre un equilibrio meraviglioso non scevro da un signorile senso dell’umorismo. Poi, verso la fine di Marzo, ad un tratto le sofferenze cessarono ed egli diventò tranquillo e rilassato. Il 30 Marzo 1925 congiunse le mani sul petto, chiuse gli occhi e morì. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Numerosissimi sono i campi in cui si espresse la geniale personalità di Steiner. Accenniamo qui solo ai più importanti. La pedagogia – Steiner era educatore per natura e vocazione. Le scuole informate ai suoi principi educativi sono diffuse in tutto il mondo; e tali principi trovano seguaci e ammiratori anche in persone che non seguono la sua filosofia. Quando Steiner fu invitato a Oxford ad un congresso pedagogico, il M anchester Guardian poté dire che “l’intero congresso aveva trovato il suo punto centrale nella personalità e negli insegnamenti del dottor Rudolf Steiner”. L’agricoltura – Le teorie agrarie di Steiner hanno avuto diffusione non meno di quelle pedagogiche. Esse si basano sullo sfruttamento dei ritmi naturali della terra e, non c’è bisogno di dirlo, escludono i fertilizzanti e gli insetticidi chimici. Può darne un’idea il consiglio che lo Steiner ad alcuni seguaci che gli chiedevano come preparare un concime naturale. Egli raccomandò di prendere delle corna di mucca e riempirle di varie sostanze naturali e poi tenerle sepolte nella terra per tutto l’inverno. Dopo averle tirate fuori, dovevano mescolare vigorosamente il loro contenuto con l’acqua Medicina – Nell’arte medica Steiner si ispirò all’ antiriduzionismo goethiano: il corpo umano va considerato come un tutto, non esiste una parte del corpo malata su cui il medico deve concentrare le sue cure, esiste tutto un corpo malato. Un’allieva di Steiner, Ita Wegman, si interessò dell’applicazione pratica delle sue teorie mediche e ne risultò la fondazione di una clinica: la clinica Arslesheim . Letteratura – Dell’ euritmia e dei drammi scritti da Steiner abbiamo già detto: ci resta di parlare di Steiner conferenziere di rarissima efficacia e dei suoi libri. Così Schuré, il grande romanziere che ne divenne discepolo, parla di Steine-conferenziere: “La prima impressione era di forza plastica. Quando parlava di eventi e di fenomeni del mondo extrasensoriale, parlava come se fosse a casa sua…Non descriveva: vedeva oggetti e scene e li rendeva visibili, cosicché i fenomeni cosmici ci sembravano reali come se appartenessero alla sfera fisica. Acoltandolo, era impossibile mettere in dubbio la sua visione spirituale, che era altrettanto incisiva quanto la vista del mondo fisico….”. E parliamo dei libri di Steiner. Si tratta al vero di ben strani libri. Il Maeterlink rilevava come la loro introduzione rivelasse una mente equilibrata, mentre le pagine successive facessero pensare ad una sopravvenuta pazzia. Ma ecco come a tale critica lo Steiner rispose: “Benissimo, allora…io scrivo un libro, Maeterlink legge l’introduzione ed io gli sembro una mente assai ponderata, logica e assai vasta . Poi legge oltre, ed eccomi trasformato in uno che gli fa esclamare: non so se Rudolf Steiner sia diventato improvvisamente pazzo, o sia un mistificatore o un profeta. Capita un’altra volta. Io scrivo un libro: quando legge l’introduzione di nuovo Maeterlink mi accetta come una mente assai ponderata, logica e vasta . Legge oltre e di nuovo non sa se io sia diventato improvvisamente pazzo o se sia un mistificatore o un profeta. E così via. Supponiamo che ognuno dica: quando leggo i tuoi libri, all’inizio sembri acuto, equilibrato e logico, ma poi ad un tratto diventi matto! Persone che sono logiche quando incominciano a scrivere e poi quando scrivono oltre diventano ad un tratto pazze, devono essere creature proprio straordinarie!” . Comunque, a favore di Steiner si può dire ch’egli mai ha preteso di essere creduto per fede ed è sempre stato di una grande tolleranza. Ad esempio - pur condannando il consumo di carne, di alcool e il fumo (ch’egli, prima fumatore, sostituì col fiutare tabacco ) - non insistette mai perché tutti gli antroposofi diventassero vegetariani. Quando uno di essi gli confessò che sognava ancora di mangiare prosciutto, egli si limitò a dirgli: “Meglio mangiare prosciutto che pensare prosciutto” . E’ questo equilibrio, questa tolleranza, che ci consigliano di astenerci da giudizi affrettati sui suoi libri e ci impongono rispetto per la sua personalità.

Steiner: oroscopo. 25 . 02 . 1861 25h 15m LMT 22h 17m GMT

Kralijevica Yugoslavia

Ascendente ,Scorpione Sole, in Pesci

I punti di partenza per comprendere la personalità di Steiner sono dati da : Mercurio congiunto a Nettuno ( =“Strani fenomeni psichici che nel linguaggio corrente vengono chiamati soprannaturali “), Cancro in IX ( = “ La vivace immaginazione fa sorgere in questi individui aneliti e desideri che rimangono vaghi, ma in linea di massima si riferiscono al raggiungimento di mete ignote e alla scoperta di cose eccezionali” ), Sole in sestile con Plutone ( “Il soggetto sinceramente si propone di approfondire le proprie esperienze. Sete di sapere e appassionato desiderio di verità. Aspirazione alla guida spirituale e morale dell’umanità”). Dunque Steiner , prima , sente confusamente qualche cosa ( qualche cosa che non trova spiegazione nella scienza ufficiale ) , poi , approfondisce e perviene , o crede di pervenire , a darsi di questo qualche cosa una spiegazione – spiegazione che è per lui una verità da trasmettere ai suoi simili. Se non ché tale verità è difficile da comunicare ; dato che , come tutte le più alte verità , è una “ sintesi degli opposti “, ecco perché : Sole opposto a Saturno ( = “ Individui che “sembra abbiano due o più volti o si contraddicano in discorsi ed azioni come se si trattasse di persone diverse” ); elemento questo che , insieme a Luna opposta a Mercurio ( = “ Autoinganno e inganno degli altri. Sentimenti e pensieri allo stato di caos”) e a Sole quadrato a Urano (=” Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico “ ), spiega il dubbio che provocano nel lettore certi libri di Steiner : l’autore è un confusionario o un saggio che tenta di esprimere una realtà troppo diversa da quella a cui sono abituato ?! Dubbio difficile a risolvere anche per l’astrologo , ma che noi - dal momento che in definitiva gli ultimi due elementi indicati ( Luna opposta a Nettuno e Sole quadrato a Urano) si presentano in una carta del cielo deponente, nel suo complesso, per una personalità di altissima spiritualità – saremmo propensi a sciogliere a favore del secondo corno del dilemma : Steiner è un mistico che, consapevolmente accettando il rischio di non essere compreso, vuole trasmettere a tutta la umanità le verità , strane e lontane dal comune pensare , a cui è pervenuto. Comunque sia è chiaro che Steiner, esponendo le sue “strane” verità, non poteva non incontrar ostacoli e opposizioni; e, infatti, nella sua carta del cielo abbiamo il “ malefico” Saturno che sbarra in una “opposizione” la strada al Sole : il segno più sicuro che la persona dovrà per così dire camminare contro-vento, in un ambiente a lui ostile. Però sempre dalla carta del cielo risulta anche che Steiner ha in sé le forze per superare gli ostacoli che gli sbarrano il cammino, infatti . Ariete in casa VI ( = “ Energia lavorativa eccezionale” ), Sole sestile a Marte ( = “ La forte volontà e la grande forza lavorativa finiscono per assicurare al soggetto il trionfo sulle debolezze del suo carattere e gli permettono di riportare notevoli successi” ) , Marte trigono a Saturno ( = “ Decorso di vita caratterizzato da molte lotte. Grande forza di resistenza. Generalmente la lotta si svolge in un vasto raggio, non di rado dinanzi agli occhi del mondo intero. E’ il segno dell’eroe che si eleva a modello degno di emulazione”). E infatti Steiner riesce ad emergere e ad affermarsi : Urano in Gemelli e in casa VII (=” Può trattarsi di persone che occupano posizioni di rilievo nella società o nelle associazioni scientifiche” ) , Giove in Leone e in casa IX ( che oltre a una ascesa nei posti più alti del mondo della cultura indica anche che “ il soggetto gode di grande popolarità e di molte simpatie” tra la gente di cultura), Leone in casa X ( = individui che “ presiedono ad associazioni culturali o scientifiche”), Saturno in Vergine e in casa X ( = “ Nonostante invidie e ostilità che incontra per tutta la vita, il soggetto si afferma nelle propria posizione conquistata a poco a poco a prezzo di grandi fatiche”). Teresa d’Avila

Santa Teresa d’Avila nacque il 28 Marzo 1515 ad Avila. Avila si trova nella vecchia Castiglia, a 1500 metri di altitudine; battuta dai venti che spazzano le nevi della Sierra de Malagon e della Sierra de Avila, ha un clima estremamente rigido. Durante tutto il medioevo con le sue forti mura era stato un poderoso baluardo contro gli attacchi dei Mori. E nelle sue case costruite di pietre nere, i cavalieri avevano dormito con le spade a piè del letto per essere pronti quando le campane li avessero chiamati a respingere un improvviso attacco degli infedeli. Ora i Mori erano stati scacciati; e una reazione severa e violenta contro la loro civiltà, così amante del lusso e del colore, si era determinata nelle antiche famiglie della Castiglia: ne erano state corrotte per qualche tempo, ma ora erano ritornate al loro primitivo tipo di vita patriarcale. L’ascetismo, l’austerità, il forte senso dell’onore e la fierezza tornavano ad essere in loro la nota dominante. L’orgoglio razziale era fortissimo. Uno spagnolo per camminare a testa alta doveva avere un sangue puro ( limpia sangre ) da ogni infiltrazione inquinatrice giudaica o maomettana: in altre parole, doveva essere un hidalgo . E hidalgos erano tutti i membri della casata dei Cepede; la casata che diede i natali a Teresa. Il padre di questa, don Alonso Sanchez de Cepede, viveva, come i suoi antenati, tenacemente attaccato ad una rigorosa concezione dell’onore, austero e dedito allo studio di opere filosofiche e religiose. La sua seconda moglie, la madre di Teresa, aveva un carattere romantico e fantasioso, che la portava a leggere romanzi d’amore e d’avventure, ma, di gracile costituzione, era costretta quasi sempre a letto e morì, dopo numerose gravidanze, a 23 anni. In quella casa, severa e austera, Teresa costituiva la nota gaia. Aveva un carattere vivace, intraprendente, socievole. Con la precocità delle fanciulle spagnole a quattordici anni aveva già tutte le grazie che possono sedurrre gli uomini: un corpo morbido e flessuoso, ornato da due magnifici occhi neri, vivacissimi e ridenti, uno spirito gioviale e leggiadro, una risata fresca e contagiosa. La severa etichetta spagnola del tempo, non tollerava nessun contatto sociale tra giovani di sesso diverso che non fossero parenti. Ma ben presto tutti i giovani scapoli di Avila scoprirono di essere in qualche modo imparentati con Teresa : il patio dei Cepeda cominciò a risuonare di musiche, di danze e delle allegre risate della gioventù. A Teresa piaceva essere corteggiata: vedere i giovani rivaleggiare tra di loro per ballare con lei la prima danza o per un suo sorriso o per una sua occhiata maliziosamente incoraggiante. In questi giochi d’amore, la futura Santa, andò contro il lecito? In età matura lei se lo rimproverò; ma i suoi confessori sotto giuramento sempre negarono di aver ricevuto da lei la confidenza di un peccato che potesse considerarsi mortale. Il pericolo di uno sbandamento, certamente però ci fu; e per evitarlo il padre la rinchiuse in un istituto di suore. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Teresa, nell’istituto in cui suo padre l’aveva relegata, si conquistò subito la simpatia di tutti e con diligenza presa a svolgere i suoi compiti giornalieri di allieva; ma…contava i giorni che la separavano da quello in cui sarebbe tornata alla sua casa, ai divertenti cicalecci con le amiche, alle allegre danze. Il semplice pensiero di farsi monaca – confessò in seguito – le dava avversione. Fu una malattia improvvisa, misteriosa e dolorosissima, a cambiare il corso della sua vita e ad avviarla sulla via della santità. Un giorno, mentre era tranquillamente attenta alle sue occupazioni, un dolore lancinante la prese al petto e presto si diffuse in tutto il corpo. I muscoli si rattrappirono, la gola si chiuse impedendole di respirare, la faccia si infiammò. Le parole uscivano dalla sua bocca inarticolate: alla fine si ridussero ad un gemito. Le monache accorse in suo aiuto credettero che stesse per morire. Invece era solo un primo attacco del male che per tanti anni l’avrebbe tormentata. Pochi minuti dopo i dolori sparirono tanto repentinamente quanto erano venuti; lasciandola però fredda e rigida sul pavimento. Quando riprese forza e calore Teresa non volle dare importanza alla cosa e nella stessa giornata riprese le ordinarie occupazioni. Ma gli attacchi del male ritornarono ( sempre repentini ) come altrettante piccole morti ( pequênas muertes ) ad affliggere la povera Teresa, che nel delirio del dolore si maciullava la lingua e si conficcava le unghie nelle carni. Disperato il padre – che l’amava teneramente – la ritirò dall’istituto. Ma il ritorno a casa non portò nessun giovamento. La povera Teresa a soli diciassette anni si vedeva ormai condannata a una prematura fine: prese a darsi a letture spirituali: un libro, in cui San Gerolamo con grande efficacia si sofferma sulle pene e i castighi dell’inferno, la terrorizzò: decise di voltare le spalle al mondo e di chiudersi in convento. Strano a dirsi, una volta che ebbe presa tale risoluzione, il male cessò di accanirsi contro di lei: fu come se le piccole morti , che l’avevano così dolorosamente colpita, avessero avuto l’unico scopo di stornarla dalle cose mondane e di dirigerla a quelle celesti. Con tutto ciò, temendo che i parenti – specie il padre che, come già detto, le era affezionatissimo – volessero ostacolarla nella sua vocazione, nulla ne disse, ma continuò nella sua vita di sempre: parlava, rideva, civettava come negli latri tempi. Però era fermamente risoluta a dire addio al mondo. Una volta che un gentiluomo manifestò in termini inequivocabili la sua ammirazione per le sue gambe, ella prontamente gli rispose: “Mirad bien, que puede ser vuestra ultima oportunidad” (Le guardi bene, ché può essere la sua ultima occasione). Tutti i presenti si misero a ridere e pensarono che lei alludesse a un suo prossimo matrimonio con altro pretendente. Pochi giorni dopo, la gaia fan ciulla dei Cepede indossava nel monastero di Avila il saio monacale delle Carmelitane dell’Incarnazione. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Teresa si era rifugiata nel convento dell’Incarnazione per fuggire al mondo , ma ben presto dovette sul punto ricredersi. Come nel mondo , anche tra le suore si notavano differenze di censo e di classe. Tutte indossavano la stessa tunica; ma alcune portavano anche ricche collane, braccialetti, anelli. Tutte erano sorelle e uguali davanti a Dio; però quelle di esse che erano di nobile nascita avevano diritto al titolo di dônas . La cucina era uguale per tutte; ma quelle che avevano la possibilità, si facevano venire dal di fuori golosità e ricercatezze. E tutto ciò non poteva mancare di far sorgere tra di esse, invidie, gelosie, malintesi. E, a parte ciò, i contatti e gli scambi con la vita al di là delle mura, erano continui e perturbatori. Ogni monaca aveva diritto a passare un certo numero di giorni in casa di parenti e amici. E, così come le figlie del convento potevano andare a vedere il mondo, così il mondo poteva visitare il convento: in questo c’era un parlatorio e di certo non tutti gli argomenti che in esso si toccavano tra le suore e i loro visitatori erano di carattere religioso. Teresa non osava criticare, tanto meno apertamente, la rilassatezza delle regole conventuali ( non era stato forse il Papa stesso a concedere la regola mitigata ? e come poteva lei, povera novizia, presumere di criticare ciò che aveva avuto così alta approvazione?!); tuttavia sentiva ogni giorno di più di essere risucchiata nella vita mondana, sentiva che le fiamme dell’inferno erano tornate a lambirla. Mentre lei si trovava in questi timori e in questi conflitti di coscienza, la malattia misteriosa, da cui sembrava guarita, riprese a tormentarla. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Il padre di Teresa, saputo che era tornata inferma, la rivolle a casa. Ma lì il male non guarì, anzi peggiorò. Le tregue tra un attacco e l’altro si facevano sempre più brevi: all’inizio erano di settimane, all’ultimo di giorni. Teresa anelava alla morte come unica liberazione dal suo tormento. E morta sembrò lasciarla un attacco più furioso e terribile di tutti i precedenti: il suo corpo, freddo e rigido, giacque nel letto per ben tre giorni. I dottori, dopo averla attentamente esaminata, non riscontrando in lei nessun segno di vita, ne autorizzarono la sepoltura. Già la povera salma circondata dai ceri era stata esposta per la veglia funebre; già le monache avevano celebrato per la “bella anima trapassata a miglior vita” messe solenni, già un sepolcro era stato preparato nel cimitero del convento, quando Teresa, con grande stupore di tutti, si riebbe. Quello che la portò a tale stato catalettico, fu l’ultimo attacco che dovette subire Teresa. Però, ricondotta al convento, Teresa dovette stare nell’infermeria otto mesi, totalmente immobilizzata e tormentata da dolori implacabili. Quando questi cedettero un poco, fu portata nella sua cella, dove passò più di tre anni in uno stato di paralisi parziale e di dolorose contrazioni. E, anche quando poté ritornare alle ordinarie occupazioni, per quasi venti anni subì vari malesseri e inconvenienti ( nausee, dolori al petto….). I medici del tempo non seppero spiegarsi la malattia di cui soffriva la giovane suora. Forse l’uomo di scienza dei nostri giorni saprebbe farla rientrare in una delle tante che i suoi dotti libri catalogano. Però ciò soddisferebbe ben poco l’uomo di fede, il quale vede in essa solo l’effetto di una Forza che, purificando il corpo di Teresa, si apriva, sua pur dolorosamente, la strada a manifestarsi in essa con estasi celestiali. Alle sofferenze terribili, che Teresa subiva, si accompagnava spesso, sempre più spesso, un sentimento di beatitudine: “Di quando in quando – scrive la Santa – un sentimento della presenza di Dio mi penetrava insperatamente, di modo che non potevo in alcun modo dubitare o che Egli stesse dentro di me o che io fossi interamente assorbita in Lui”. Dalle pequ ěnas muertes di una monaca nacquero gradualmente le estasi di una Santa. Aveva diciassette anni, Teresa, quando sperimentò il primo attacco della sua infermità, ne avrà 43 quando avrà la sua prima vera estasi. Gli attacchi morbosi della Monaca e gli stati estatici della Santa, per quel che riguarda il corpo, presentano ( ed è interessante notarlo !) gli stessi sintomi: cessazione del respiro e del battito del polso, rigidità estrema del corpo, frigidità delle mani e dei piedi, così come se la vita li avesse abbandonati; ma quale differenza per quel che riguarda l’anima: i primi la riempivano di dolore e di terrore, i secondi verranno a colmarla di una celestiale beatitudine! xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Teresa passò gli anni, che la videro semiparalizzata, nella sua cella, in fervorosa orazione: pregava seguendo un metodo che aveva appreso da un libro ( Tercer Abecedario ) scritto da un teologo, Francisco de Osuma. Secondo tale libro, l’orante non doveva pronunciare delle parole, ma semplicemente intrattenersi in colloquio intimo e interiore con Dio. Non risulta che Teresa pregasse per la sua guarigione; ma comunque questa avvenne , improvvisa e con l’apparenza di un miracolo. Le monache, che l’avevano lasciata la sera prima semiparalizzata, la trovarono la mattina dopo che camminava come quando ancora la malattia non l’aveva colpita. Forse di un vero e proprio miracolo non si trattava, forse era uno di quei casi – accertati da molti uomini di scienza – in cui una appassionata e concentrata orazione viene a sviluppare delle energie curative capaci di vincere malattie di origine psicosomatica, che le medicine non riuscirebbero a sanare; comunque, di miracolo si parlò sia dentro che fuori del convento. La fama della giovane monaca – che già si era diffusa quando, anni prima, data per morta, era come risuscitata a nuova vita – si propagò ancora di più: alle porte del convento si formarono lunghe file di persone, che pazientemente attendevano il loro turno per parlare con la “miracolata”. Teresa era restia a diventare un oggetto di esibizione, sia pure a fini edificatori; però la priora ne vinse gli scrupoli e le impose come un dovere, di obbedienza a lei e di carità verso il prossimo, i colloqui nel parlatorio col pubblico. Teresa aveva innato il dono della brillante conversazione; inoltre la malattia, lungi dal deturpare, aveva accentuata la sua naturale bellezza: piaceva alla gente e, di natura socievole com’era, trovava gusto nel piacerle. Ma questo non le impediva, ritornata nella sua cella, di abbandonarsi con fervore all’orazione mentale: pregava e sempre più frequenti, sempre più intense esperienze mistiche la visitavano. E così passavano i giorni: nella sua cella, Teresa come un angelo del cielo parlava con Dio, nel parlatorio, come un angelo decaduto , ascoltava avidamente le notizie del mondo e partecipava alla frivola conversazione degli uomini Tutte le volte essa si riprometteva di non scendere nel parlatorio; ma, quando l’orologio del convento suonava l’ora della vanità mondana, essa non poteva fare a meno di obbedire alla sua chiamata. E tuttavia ben comprendeva che una scelta si imponeva; e infatti alla fine si decise: si decise per il parlatorio! Lei - che con tanto coraggio e tanta fermezza aveva sopportati inenarrabili dolori, senza mai perdere la fede in Dio, senza mai astenersi della quotidiana pratica dell’orazione - rinuncia a questa, rinuncia alle sue mistiche esperienze, pur di non rinunciare al piacere di frivole conversazioni mondane! E tuttavia non fu solo la vanità a indurre la giovane monaca alla sbalorditiva sua scelta: vi giocò, e anche molto, una forma di ( malintesa ) umiltà: essa non si sentiva degna dei doni di cui il Cielo la gratificava: non ambiva ad essere una santa, voleva essere una donna, una donna normale: quelle esperienze celestiali – anche se la riempivano di gioia – in fondo lei non le desiderava. L’orazione ne era la causa: rinunciare all’orazione era per lei un modo di liberarsene. Iniziò così per Teresa un periodo che sembrava dovesse vederla sempre più sprofondare nella mondanità: niente più preghiere, niente più mistiche esperienze: ogni giorno l’appuntamento col parlatorio. Ben inteso, niente di peccaminoso; ma anche niente di santo, niente di eroico. Però Dio non desiderava perdere la sua monaca: una profonda esperienza mistica fece ritornare Teresa nella via che doveva condurla a diventare la "più santa delle donne"( e ciò nondimeno “la più donna delle sante” ). Un giorno la monaca Teresa stava nel parlatorio; vi stava tutta presa nei discorsi con un gentiluomo verso cui la inclinava una sempre più forte, anche se ancora innocente, simpatia, quando d’un tratto, accanto alla figura del suo visitatore, vide l’altra, incorporea, di Quegli con cui, nella sua cella, si intratteneva a mistico colloquio: era in un atteggiamento severo e chiaramente dimostrava di non approvare le amicizie che lei aveva stretto. Dirà la Santa: ”Lo vidi con gli occhi dell’anima, ma più chiaramente di quanto l’avrei potuto vedere con gli occhi del corpo; e mi restò tanto impresso, che, a distanza di ventisei anni, ancora mi sembra di vederlo”. Il “preferito”, nella sua cecità mondana, persisteva nella sua frivola parlantina; però Teresa non rispondeva più : i suoi occhi e il suo udito erano concentrati sulla silenziosa apparizione. Alla fine anche il loquace ospite cittadino, di fronte al silenzio mortale della monaca, di fronte ai suoi occhi profondamente concentrati…nel vuoto, nel nulla, imbarazzato si ritirò. Teresa neanche lo vide andarsene; e, anche dopo che l’ora delle visite si era conclusa, rimase seduta nel locutorio, rigida, immobile. Le monache, che credevano in un ritorno del suo male, dovettero portarla a braccia nella sua cella. Questo avvenimento non durò che poco tempo, poco più di un’ora, ma decise di tutta la vita della giovane monaca; essa non tornerà più alle frivole conversazioni del parlatorio, d’ora in poi tutta la sua anima sarà dedicata a Dio. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Passarono gli anni: anni di preghiera, di raccoglimento, di purificazione dai desideri terreni per la monaca Teresa. Una mattina le monache dell’Incarnazione, inginocchiate nella loro cappella, stavano cantando il “Veni Creator” . Veni Creator, veni Espiritu Creator , cantava la monaca Teresa insieme alle sue sorelle; e nella sua voce c’era tutto lo strazio della sua anima per le offese che aveva arrecato al suo Creatore. E Questi volle rispondere alla chiamata della sua monaca pentita : la sollevò oltre la cappella, oltre il convento, oltre il tempo, portandola nel suo regno, nei cieli, e da lì la invitò a guardare la vita sopra la terra. Quanto vana cosa appariva quel che, da lassù, poteva vedere. Vana la terra e la vita nel tempo e nello spazio e doppiamente vano il parlatorio dell’Incarnazione! E mentre Teresa guardava con disprezzo, da tali altezze angeliche, alle cose del mondo, udì una voce che diceva: “Io non desidero che tu tenga conversazione con gli uomini, ma con gli angeli”. Quando Teresa tornò, nel suo corpo, nel convento dell’Incarnazione, nella cappella in cui le sue sorelle cantavano, quando tornò nel tempo e nello spazio, non era più la Teresa di prima: ogni vanità, ogni paura l’aveva abbandonata: era la Santa Teresa del Gesù, la santa serva di Dio. E di coraggio Teresa aveva ben bisogno! Il confessore, a cui raccontò le sue visioni, le ritenne frutto delle male arti del diavolo e severamente le ingiunse di resistere ad esse e di scacciarle. La pia monaca cercò di obbedirgli, ma invano. Quando tornò a inginocchiarsi nel confessionale, timida e mortificata dovette ammettere che le visioni erano tornate. Il confessore a questo punto ritenne di rifiutare l’assoluzione alla monaca ormai preda del demonio. Tale rifiuto comportò per Teresa gravissime conseguenze: la maggior parte delle sue sorelle e molti dei suoi antichi amici si allontanarono da lei. Abituata ad essere ricercata, si vedeva ora evitata, salvo che da pochi amici fedeli. E minaccioso si profilava lo spettro dell’Inquisizione: non sarebbe stata la prima strega ad essere bruciata nelle piazze di Spagna! A salvarla fu lo stabilirsi anche ad Avila della sede di un Ordine recentemente costituito, ma già forte e autorevole: quello della Compagnia di Gesù. Anche il fondatore di questo Ordine, Ignazio di Loyola, aveva avute delle visioni – quindi, in via di principio, nulla ostava che, come Dio aveva benedetto lui, così benedicesse un’altra pecorella del suo gregge. Però Ignazio, che aveva sperimentata la visione di Cristo come Teresa, a volte era stato ingannato dalle arti diaboliche; e, per distinguere la verità dall’inganno, aveva ideato tutto un sistema di verifiche, che aveva incluso nei suoi Esercizi spirituali . Il confessore gesuita, a cui Teresa affidò la cura della sua anima, il padre Baltasar Alvarez, applicò gli insegnamenti contenuti negli Esercizi al caso della monaca dell’Incarnazione, prendendo ad esaminarla, senza prevenzione, ma con grande scrupolo. Per essere sicuro che le visioni non fossero frutto di una fantasia sollecitata dalla lettura di libri edificanti, ingiunse a Teresa di astenersene. Teresa – abituata com’era da sempre alla lettura – soffrì molto di questo “digiuno spirituale”. Però un giorno il Signore la consolò: “Non lasciarti angustiare, Io ti darò un libro vivo”. Poi, per maggior sicurezza, il suo scrupoloso confessore volle proibirle anche quella “orazione mentale” che costituiva per lei la maggior fonte di spiritualità e di consolazione. Col profondo senso dell’obbedienza, che sempre la caratterizzò, Teresa obbedì anche a tale ingiunzione. Di nuovo il Signore le apparve e, con tono indignato, le disse: “Questa è certamente una tirannia!”. Era in effetti una tirannia; ma dettata dal desiderio di giovare alla tiranneggiata. E Teresa, che ben comprendeva ciò, riferendosi al suo severo confessore gesuita, aveva a scrivere, con la sua solita grazia , “Amo moltissimo questo padre, sebbene abbia un caratteraccio”. Nonostante le severe precauzioni adottate dal suo confessore, le visioni di Teresa, non solo non si esaurivano, ma diventavano più incalzanti. Una volta le appariva Cristo, nella Sua sacrosanta umanità, ma indicibilmente bello e maestoso. Un’altra volta le appariva la Santissima trinità. Un’altra ancora, un corteo di Angeli. Una visione seguiva l’altra; però in ordine logico, non a casaccio: così come se il Cielo volesse insegnarle in tal mondo le più profonde verità della fede. E un giorno Teresa fu benedetta da quell’esperienza mistica che sarà poi immortalata in innumerevoli quadri e statue. Un angelo pequ ěno ma hermoso mucho , con il viso splendente ( encendido ) le apparve con una freccia d’oro in mano e ripetutamente gliela infisse nel cuore, come ad aprire in esso una breccia. Racconta la Santa, con parole commosse, che “era tanto il dolore, che mi faceva emettere dei gemiti, e tanto eccessiva la delizia, che mi dava questo dolore, che non potevo desiderare che cessasse”. Di fronte alla persistenza e alla sublimità di tali visioni, anche l’inquisitore più scrupoloso doveva arrendersi : il confessore gesuita, messa alla fine da parte ogni riserva, con sollievo e gioia riconobbe e dichiarò che ci si trovava di fronte - non ad una visionaria o, peggio, a una impostora - ma ad una santa. Non cessarono per questo i sospetti e le accuse contro Teresa; ma alla fine impose loro il silenzio il verdetto dell’Inquisizione, a cui essa con umiltà aveva riferito delle sue esperienze in uno scritto ( che poi sarà conosciuto in tutto il mondo con il titolo di Vita di S. Teresa di Gesù ). L’inquisizione, non solo non trovò in tale scritto nessun segno di eresia o di impostura, ma lo ritenne una prova dell’effettiva provenienza delle visioni dal Cielo e lo raccomandò ai fedeli come sicuro mezzo per migliorarsi e fortificare la loro fede. Il dubbio sulla obiettiva realtà delle cose viste e, comunque, esperimentate da Teresa nelle sue estasi, è perfettamente legittimo per il non-credente – voglio dire per chi non aderisce ai dogmi della Chiesa Cattolica e in specie a quello, fondamentale, dell’esistenza e divinità del Cristo Però un tale dubbio non ha ragione d’essere per quel che riguarda la buona fede di Teresa: questa è indiscutibile. Se non altro per il pudore che lei sempre ebbe delle sue mistiche esperienze e dei fenomeni fuori della norma in qualche modo con queste connessi. In una lettera al fratello – parlando dei suoi rapimenti estatici, che talvolta l’avevano sorpresa, nonostante ogni suo sforzo per resistervi, anche di fronte a terzi – scrive che se ne era vergognata talmente che avrebbe voluto nascondersi, non importa dove; e, da donna pratica qual’è, soggiunge con disappunto che, se le visioni, che duravano già da una settimana, avessero dovuto continuare, le avrebbero procurata una cattiva riuscita nei suoi numerosi impegni d’affari. Numerosissime sono poi le testimonianze sui strenui, ma, ahimè! inutili sforzi ch’essa faceva per resistere o, per lo meno, per nascondere quel curioso fenomeno che va sotto il nome di levitazione. Per lei era già seccante quando questa le accadeva davanti agli occhi della sua Comunità, ma il suo imbarazzo e la sua vergogna non conoscevano limiti quando si trovavano presenti degli estranei. Allora la povera Teresa faceva cenni disperati alle sorelle perché si avvicinassero e senza farsene accorgere la trattenessero; essa stessa si aggrappava al tavolo o a una grata per resistere alla forza che, inesorabile, continuava a spingerla verso l’alto, e intanto faceva commoventi tentativi per distrarre l’attenzione dei presenti e per apparire almeno naturale: chiedeva un bicchiere d’acqua, un’informazione… Sicura, dunque, è la buona fede di Teresa; ma sicura è pure la misura, l’equilibrio con cui essa si riferisce alle sue esperienze. Di queste lei era la prima a diffidare: temeva che fossero allucinazioni o provenissero dal diavolo. Quindi essa sempre si sforzava di analizzarle con la massima precisione – con una precisione, oserei dire, scientifica. Ne sia esempio la seguente descrizione che lei fa di una visione, da lei avuta, del Creatore: “Se dico che io non lo vedo né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, come può essere che io possa comprendere di sentirlo ritto in piedi accanto a me ed esserne più certa che se io Lo vedessi veramente? Sono come chi sente qualcuno vicinissimo a sé, ma per il fatto di essere al buio non lo vede, pur essendo sicurissimo che qualcuno è presente e vicino. Nondimeno anche questo paragone non è esatto; poiché colui che si trova nelle tenebre si accorge in un modo o nell’altro della presenza di qualcuno, o per averlo veduto prima o per aver inteso un rumore, mentre qui non avviene nulla di tutto questo: qui, senza una parola interiore o esteriore, l’anima percepisce chiaramente Chi sia, dove sia, e spesso ciò che voglia. Egli si rende presente nell’anima mediante un certo conoscimento di Sé che è più luminoso e risplendente del sole. Con questo non intendo dire che noi effettivamente vediamo il sole o qualche altra lucentezza, ma semplicemente che vi è una luce non vista che illumina l’intelletto. Tutto quanto è scritto in questo foglio è la pura verità”. Esclusa la malafede e una tendenza all’esagerazione, rimane ancora il dubbio sull’esistenza di fenomeni di autosuggestione. A tal riguardo lo scettico avrà buon gioco nel far rilevare come i vari Mistici vedano apparire, nelle loro visioni , personalità ed eventi che rientrano nel credo della religione a cui aderiscono: così il cristiano vede il Cristo o la Santissima Vergine, il musulmano, Maometto, il buddhista, il Gautama sotto l’albero, e così via. Questa osservazione – che certamente deve lasciare perplesso il seguace bigotto di una religione – non tocca, però, chi, pur credendo in Dio e nell’esistenza di Esseri Superiori, non è disposto a prendere alla lettera tutti gli insegnamenti della Chiesa, a cui pur è fedele. Egli infatti può spiegare la diversità dei racconti dei vari Mistici col fatto che essi, effettivamente benedetti dalla discesa di una Forza Superiore, hanno commesso l’errore di tradurne i celestiali impulsi in immagini tratte dalla iconografia e dai dogmi della propria particolare Fede. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Dopo il verdetto, a lei favorevole, dell’Inquisizione, Teresa avrebbe potuto passare il resto della sua vita nella tranquillità della sua cella, venerata e onorata come una santa. Teresa, però, era, sì, una mistica, ma era anche una donna d’azione: ad un certo punto della sua vita essa decise di por mano alla riforma dell’Ordine carmelitano . Il Carmelo, secondo la leggenda, era nato, addirittura prima della nascita di Gesù Cristo, nel Libano. In tale paese, e precisamente presso le pendici del monte Carmelo, Isaia, assunto al cielo da un carro di fuoco, aveva lasciato il suo discepolo Eliseo; e questi, insieme ad altri discepoli, vi aveva costituita una comunità destinata a perpetuarsi nel tempo: per secoli e secoli gli anacoreti erano vissuti laggiù “in minuscole celle, simili a nidi d’ape, secernendo un dolce miele spirituale”. Scacciati nel medioevo dai Saraceni, essi, migrando in Europa, vi costituirono numerose Comunità di persone dedite alla preghiera e alla solitudine. Però le Case del Carmelo a poco a poco si erano corrotte e, ai tempi di Teresa, si erano ridotte ad essere centri di mondanità ; ambienti, quindi, che, se non corrompevano, di certo non servivano ad elevare l’animo di coloro che vi vivevano o li frequentavano. Il progetto di Teresa era di costituire dei luoghi di ritiro dove i Fratelli e le Sorelle, disgustati dalla mondanità dei loro monasteri, potessero intrattenersi in intimo colloquio con Dio, adottando forme di religione più semplici di quelle eccessivamente fastose in uso nella Spagna del tempo e vivendo, senza nulla possedere, del loro lavoro e della carità che, giorno per giorno, le anime buone avrebbero fatto. Ogni persona ispirata, da solo buon senso, avrebbe giudicato tale piano del tutto irrealizzabile: come avrebbe potuto una donna, una donna in età così avanzata (Teresa aveva già cinquantasette anni!) per di più inferma, una mistica fino ad allora vissuta praticamente in un convento, riuscire in un’impresa, che avrebbe messo a dura prova anche un uomo, un giovane, pieno di salute ed esperto negli affari del mondo? Ma la Monaca dell’Incarnazione non si lasciava ispirare dalle ragioni del mondo, ma da quelle di Dio: coraggiosamente pose mano all’impresa e….. la realizzò: alla sua morte accanto alle case del Carmelo, che seguivano la regola mitigata , ne erano sorte altre diciassette di carmelitane scalze , di monache cioè ossequienti alla severa Regola che Teresa aveva loro dato. In tali Conventi, le monache, in una clausura severa, passavano la loro vita nella preghiera e nella mortificazione; aggiungendo ai digiuni ecclesiastici: l’astinenza perpetua dalla carne, più una lunga Quaresima, da metà settembre a Pasqua, più le discipline comuni ed altre penitenze lasciate al fervore di ognuna: capri espiatori di delitti, che non avevano commesso, consumavano la vita in olocausto per i fratelli traviati. xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Da quando decide di intraprendere la grande impresa della riforma dell’Ordine, Teresa si rivela una donna d’azione, una fra le creature più ostinatamente e volitivamente pratiche che il mondo abbia mai visto. Se in uno dei suoi tanti viaggi, fatti per le strade malagevoli dell’antica Spagna in carri non molleggiati, un fiume straripato si pone come un ostacolo apparentemente insormontabile al raggiungimento della meta prefissa, lei, impavida, affronta l’acqua per prima trascinandosi dietro col suo esempio il resto della comitiva. Se le mura del monastero, che si sta edificando, più volte cadono, lei subito ne attribuisce la causa a Satana timoroso dei grandi danni che, dalla nuova Comunità religiosa, avrebbe a subire, e, fatta più animosa, si confonde con gli operai per ultimarne al più presto la costruzione. La sua forte personalità sa imporsi sia alle badesse recalcitranti da lei poste alla direzione dei suoi conventi sia ad uomini navigati ed esperti delle cose del mondo. Il Generale dell’Ordine, giunto da Roma per farle, irritato e ostile, il viso dell’arme, finirà coll’accordarle tutto quello che lei voleva. L’Arcivescovo di Siviglia le impedisce di inginocchiarsi di fronte a lui e invece si prosterna, lui, ai suoi piedi. Il suo stesso confessore suole dire: “Gran Dio! Gran Dio! Preferirei discutere con tutti i teologi della creazione piuttosto che con quella donna!”. Ma “quella donna” così ostinata, così decisa, è anche capace di delicatissime attenzioni: verso le monache sotto la sua giurisdizione, ha le premure di una madre verso le figlie; verso i religiosi, che frequentano i suoi conventi , quelle di una figlia verso il padre. Quando sa che il Padre Graziano è caduto dalla mula, subito scrive per consigliare che si leghi con delle cinghie alla sua cavalcatura e premurosa domanda: “ Ha pensato a coprirsi di più adesso che il tempo si è messo al freddo?”. Frate Mariano non sta bene in salute? Bisogna provvedere a che mangi bene, e non gli si deve assolutamente permettere di partire per Roma finché non sia completamente rimesso. Quanto a Don Francesco de Salcedo non deve seguitare a ripetere che diventa vecchio, perché questo le spezza il cuore. Si sarebbe tentati di pensare alla anziana monaca costretta ad affrontare tante dure battaglie, impegnata in tanti difficili affari, come ad una donna dal viso serio e duro, refrattaria al riso e allo scherzo; ma nulla sarebbe più lontano dalla realtà: Teresa era allegra e gioviale per natura e mantenne tale sua qualità sino alla fine dei suoi giorni: Non era raro che si mettesse a suonare il tamburello e a danzare con le giovani suore dei suoi conventi. Una delle invocazioni che più frequentemente usciva dalle sue labbra era: “O Signore, liberami dai santi musoni! Che sia riuscita, tra tante tribolazioni, tra tanti dolori, tra tante difficoltà, a conservare uno spirito fresco e gioviale può essere considerato il più grande miracolo di quella grandissima santa! xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Teresa ha ormai sessantasette anni e si sente “vecchissima e debole, quasi inutile ormai, una vegliarda stanca, benché dai desideri ancora vigorosi”. Sta per finire i suoi giorni, ma Dio le concede di assistere al suo trionfo. Un decreto – che lo stesso Filippo II, a lei sempre favorevole, ha sollecitato – riconosce la Riforma . La sua fama vola altissima tra i suoi compatrioti, e la folla, che si pigia al suo passaggio, ansiosa di ricevere la sua benedizione, è tanta che spesso le impedisce di scendere dalla vettura. L’opera è compiuta, ora la Monaca può rendere tranquilla la anima al suo Creatore :Teresa vola in Cielo il 4 Ottobre 1582. Aveva scritto in una delle sue più belle poesie ( dal titolo, L’ansia dell’anima per una riunione con Dio ): Solo con la confianza Vivo de que he de morir; porque muriendo el vivir me asegura mi esperanza: muerte do el vivir se alcanza, no te tardes, que te espero, que muero, porque no muero”.

Sezione terza : Appunti biografici e oroscopo di cinque grandi statisti Churchill

Appunti biografici su Chrchill

Nascita e famiglia di origine. “Winston Leonard Spencer Churchill nacque prematuramente il 30 novembre 1874 nel castello di Blenheim, contea di Oxford. Era il primogenito di Lord Randoph Churchill e discendeva dal duca di Malborough, glorioso condottiero del 600. Sua madre era una bellissima americana, figlia di Leonard Jerome, proprietario del “New York Times” , una delle più potenti personalità del tempo negli Stati Uniti” (Guido Gerosa, Pro e contro Churchill , Mondadori). Suo padre era stato un influentissimo uomo politico . Aveva ricoperto importanti incarichi governativi, era diventato leader alla camera dei Comuni; ma, repentinamente , era stato privato di tutti gli incarichi (essendo entrato in conflitto con la politica del suo partito). Winston aveva una adorazione estatica per la madre, ma i suoi rapporti col padre erano gelidi.: “Lord Randolph era profondamente deluso per l’inettitudine scolastica del figlio. I suoi rapporti con lui erano goffi e gelidi ed egli non riuscì mai ad avvedersi della vivacità intellettuale del ragazzo, nascosta sotto quella superficie” ( Edgar Black, Sir Winston Churchill , Monarch Books, New York, 1961). Ascesa sociale. Churchill ‘era piuttosto “asino” e venne ammesso al collegio militare di Sandhurst solo per rispetto alla posizione sociale della sua famiglia: “Venne il momento in cui gli toccò di affrontare l’esame di ammissione alla scuola di Sandhurst. Fu bocciato due volte. Ma in un’Inghiterra dove l’aristocrazia era oggetto del rispetto generale, non si sarebbe mai detto che il corpo degli ufficiali di Sua maestà si lasciasse sfuggire l’occasione di accogliere il nipote di un duca, il figlio di un ex cancelliere dello Scacchiere. Gli esaminatori diedero intelligentemente prova d’indulgenza e al terzo saggio Winston fu accolto” (J. Chastenet, Churchill et l’Angleterre du XX siecle , Fayard, 1965) Però Churchill appena dopo un anno di vita militare si mette “in licenza” e fa il corrispondente di guerra , per importanti giornali , a Cuba, nel Sudan e nel Sudafrica. Qui viene preso prigioniero dai boeri, ma riacquista la libertà con una spettacolare fuga, che lo rende popolare in Inghilterra. Riesce a farsi eleggere alla Camera dei Comuni ; e in politica ha una carriera “altalenante” : all’assunzione di altissime e prestigiose cariche ( di ministro ed anche, è storia nota, di primo ministro) seguono precipitose e dolorose “cadute” (come quella che seguì alla fallita spedizione di Gallipoli da lui organizzata contro la Turchia nella guerra 14-18 ; come quella che seguì alla perdita delle elezioni fatte sul finire dell’ultima guerra mondiale). Churchill , è stato davvero un grande e capace uomo politico o è stato un bluff , una persona “gonfiata” dalla propaganda (per dar coraggio al popolo inglese nel corso di una dura guerra) ? Un eminente studioso gallese, Garonwy Rees, in un articolo significativamente intitolato “Quando il ballo è finito” , afferma che le dimostrazioni di adulazione avutesi in Inghilterra all’epoca della morte di Churchill resero difficile “ricordare che per la maggior parte della sua carriera egli era stato oggetto di sospetti, sfiducia e indifferenza”. Riferendosi poi alla carriera politica di Churchill prima dell’ultima guerra, Rees scrive: “La verità è che, per un lungo periodo, Churchill commise una serie di errori tanto grossolani da rendere pressochè impossibile prenderlo sul serio come uomo politico e, meno che mai, come statista”. Rapporti con le donne e con la moglie- Se Churchill, prima del matrimonio, ebbe delle avventure, seppe, con discrezione, tenerle riservate. Solo dopo la sua morte, il figlio Randolph raccontò in un’intervista (alla televisione) che il padre “quand’era giovane tentò di sposare la grande attrice Ethel Barrymore, che rifiutò” (dal “Corriere della Sera, 11-9-1966). L’unico vero amore di Winston fu Clementine (che sposò nel 1908, a circa 35 anni): “Clementine. La bella figlia del colonnello Hozier, di antica e ricca famiglia scozzese….gli sarà accanto per tutta la vita, dandogli cinque figli “ (Gerosa. Op.cit ,p.39). Clementine aveva circa 10 anni meno del marito “era stata educata alla Sorbona di Parigi, e s’interessava anche lei di politica. Clemmy seppe, con intelligenza assecondare il marito e creargli l’ambiente ideale per la sua forsennata smania di azione, il clima raccolto in cui riposarsi dopo le tempeste (aveva composto un librettino, Come curare Winston in caso che io venissi a mancare ). Ed egli scrisse, a conclusione dell’autobiografia giovanile : “le battaglie assorbirono i miei pensieri e le mie forze fino, almeno, al settembre 1908, quando presi moglie; e da allora vissi felice” : era sincero” (G.Gerosa, Op.cit .,p.38). Vizi e virtù- Churchill era coraggioso? Senza dubbio, si : egli andò spesso in prima linea, sotto il fuoco, come corrispondente e anche……come ministro: “ Churchill aveva una concezione assai personale dei compiti di un ministro. Lo dimostra un episodio che è passato alla storia, la “battaglia” di Sidney Street”. Il 3 gennaio 1911 due anarchici si erano barricati, in una casa di Sidney Stree, nell’East End di Londra, e resistevano alla polizia, con una scorta di bombe a mano e armi portatili. Si erano già avute parecchie vittime. All’improvviso la folla attonita vide comparire in mezzo a questa buriana il ministro degli interni in persona, Churchill, con cilindro e collo di astrakan, che si mise a dirigere le operazioni come fosse stato ancora a Omdusman” (Gerosa, Op.cit. ,p.40) Forse però , Churchill, era un po’ “spaccone” nel raccontare le sue imprese. Lo afferma Alan Moorehead ( Churchill e il suo mondo , Peruzzo editore, 1965) esprimendo con fine ironia i suoi dubbi sulla versione fornita da Churchill sulla famosa fuga dal carcere boero: “ Egli si arrampica sul muro della prigione quando la sentinella è voltata, cammina baldanzosamente in mezzo alla strada nella capitale nemica, salta sul primo treno che vede e che, per sua fortuna, va nella direzione giusta. Per paura di essere scoperto abbandona il treno la mattina dopo e vaga intorno, ancora centinaia di miglia dietro le linee nemiche, fino a quando, affamato e disperato, si consegna all’unico uomo in tutta la regione che, per combinazione, è inglese e disposto ad aiutarlo”. Churchill è un autentico anticonformista o semplicemente uno che ama epater les bourgeois ? “ Nel discorso d’esordio ai Comuni, fece scalpore difendendo il punto di vista dei boeri: “ Se io fossi un boero sul campo di battaglia – e se fossi un boero vi assicuro che sarei ora sul campo di battaglia…” (Gerosa , Op.cit .,p. 32). Nel 1903 lui, che militava nelle file del partito conservatore (antagonista di quello liberale) “proruppe in uno sfogo che offese profondamente i suoi compagni di fede politica : “Siano rese grazie a Dio – disse – perché esiste il partito liberale!”. Era una affermazione da espulsione. Da quel momento ( i suoi compagni di partito) non gli diedero tregua” (Gerosa, Op.cit .,p. 34). Nel 1927 Churchill , noncurante della sua carica di ministro, che dà alle sue parole un tono di ufficialità, esprime giudizi entusiastici su Mussolini. Naturalmente le sue parole suscitano la riprovazione dei laboristi e quella della Società delle Nazioni. . “Ma Churchill non ritira niente e prosegue come se nulla fosse la sua strada verso l’Egitto dove va ad installare il suo cavalletto davanti alla Sfinge e alle Piramidi “ ( J. Chastenet, Op.cit ). Churchill cambia spesso di partito a seconda di come girava il vento politico : voltagabbana o uomo politico “di fiuto” ? “Agli avversari che gli rimproverano i suoi continui voltafaccia e le sue “conversioni di centottanta gradi” Churchill risponde: “Cambiando si migliora; cambiando spesso, si diventa perfetti” (cfr. Gerosa, Op.cit .). Genio o genialoide ? Roosevelt di lui diceva: “ Ha almeno cento idee al giorno di cui quattro sono buone” (da Gerosa, Op. cit .,p. 121). Fu un buon organizzatore? Lo sostiene Gerosa ( Op.cit ., p. 56), secondo cui, nella guerra 14-18, come ministro delle munizioni “la sua capacità organizzativa fu immensa; riuscì a far entrare in azione i carri armati sulla cui importanza aveva scommesso da anni. Fu di un dinamismo inarrivabile e fu certamente uno dei maggiori artefici della vittoria inglese” (Gerosa, Op. cit., p.56). Ecco però le critiche che alla condotta della 1° guerra mondiale muove lo storico A.J.P. Taylor (in , The First World War , Hamish Hamilton, Londra, 1963) : tutto procedeva alla carlona, sostiene Taylor : “ Non si faceva il calcolo, per esempio, delle navi necessarie a spostare uomini nel Mediterraneo ; non si faceva una stima dell’equipaggiamento necessario per una spedizione a, diciamo, Salonicco o ai Dardanelli. Nessuno dei politici guardava su una mappa particolareggiata prima di dare le istruzioni. Funzionava la “strategia del sigaro”. Churchill, o chi per lui, guardava una carta dell’Europa. Puntava su una località con la punta del sigaro e diceva. “Andiamo qui” . Borioso, egocentrico o affabile comandante? Sostenendo una nefasta influenza di Churchill sulla condotta della guerra, J. Chastenet dice ( Op.cit .): “Forse le disfatte sono derivate principalmente dal suo egocentrismo. Spettatore compiaciuto di se stesso, sicuro della propria superiorità intellettuale, trascinato dal proprio slancio vitale, egli ascolta poco e non guarda sempre bene”. Ma ecco invece il ritratto di comandante “alla mano” che di Churchill ci dà Deward Gibb (che lo conobbe al fronte ): “Il giorno dopo essere arrivato al battaglione Churchill chiamò a rapporto i suoi ufficiali e diramò il suo primo ordine: “Signori, è dichiarata la guerra alle pulci”. Il battaglione si buttò subito al lavoro per liberare se stesso dalle pulci e per espellerle dalle uniformi. In pochi giorni l’eccentrico nuovo comandante aveva completamente conquistato i suoi uomini (Deward Gibb, With Churchill at the Front , Gowan& Grey, Londra, 1924). Churchill scrittore e pittore . Churchill scrisse vari libri i cui introiti (sostanziosi) gli permisero di appianare le sue difficoltà economiche: “ Sir Winston Churchill è l’unico inglese che ha guadagnato dalla fine della guerra quasi un milione di sterline, oltre un miliardo e mezzo di lire. Fonte di questo patrimonio sono i libri” (Gerosa, Op.cit .). Di Churchill pittore , Picasso dirà: “ Se fosse stato pittore di professione, non avrebbe avuto difficoltà a guadagnarsi da vivere largamente”. Morte. Passò gli ultimi anni riverito come “il più grande inglese di tutti i tempi”. Si spense in una Domenica del 1965.

Oroscopo di Churchill

30.11.1874 - 01h 30m LMT - 01h 35m GMT Blenheim Palace, Gran Bretagna Ascendente Bilancia, Sole in Sagittario

La figura che balza fuori dall’oroscopo di Churchill, non è certo quella di un dominatore: è piuttosto quella di una persona debole di carattere, senza una linea spirituale di condotta, capace ,sì, di far la voce grossa ma solo per “far scena” (il cane che abbaia, ma non morde), che eccelle soprattutto nel bleuff (fingere una forza di carattere che non si ha; fingere una cultura che non si ha) e che può facilmente degenerare nella menzogna. Ecco gli “aspetti” che delineano questo quadro (come chiosati dal grande Sementovski, Op.cit ): - Vergine alla cuspide della casa XII (= “Debolezza di carattere e di volontà”) ;- Toro alla cuspide della casa IX (=” Manca una linea spirituale di condotta”);- Marte congiunto a Giove (= “ Arroganza e fanfaronate. Aggressività e litigiosità per lo più nell’intento di porsi in evidenza. Questi individui somigliano a cani che abbaiano ma non mordono”). Non mancano peraltro a Churchilll le buone qualità morali ; anche se non si tratta certo di vere e forti “virtù” , ma piuttosto di lati “simpatici” del suo carattere. Tanto ci segnalano: Giove in Bilancia e in casa I (= “Carattere mite, rettitudine e senso di misura in tutte le cose assicurano a questi individui, non solo molte simpatie, ma le rendono capaci di occupare posizioni di responsabilità, specie nella magistratura e nell’amministrazione statale. Gli inizi della vita per lo più sono difficili, ma non mancano validi appoggi, e alla fine questi individui riescono a crearsi una base di esistenza che li mette al riparo da tutte le preoccupazioni d’ordine finanziario. Matrimonio felice”) ;- Sole sestile con Saturno (= “Bontà, atteggiamenti caritatevoli, ma generalmente viene a mancare il coraggio e la volontà per poter efficacemente difendere le proprie posizioni e premunirsi soprattutto dallo sfruttamento da parte di terze persone . Rettitudine , onestà , affabilità , generosità”); - Luna sestile Giove (= “Affermazione della vita e senso della giustizia. Franchezza, generosità, bontà”) ; - Marte sestile Urano (= “Ottimo carattere che , pur dando l’impressione di una certa apatia, può considerarsi oltremodo equilibrato”). Sono virtù , quelle di Churchill, che però non poggiano su una solida e profonda visione della vita : sono virtù di chi vuole e sa vivere in armonia col proprio ambiente. Proprio per questo non stupisce che Churchill sappia dimostrarsi freddamente spietato quando ciò non lo pone in urto col suo ambiente, ma riguarda grandi masse anonime: Urano quadrato a Plutone (= “Ostilità fanatica alimentata da motivi d’ordine pubblico o sociale, mezzi tecnici a servizio della distruzione. Questi individui sono capaci per futili motivi di determinare la disgrazia di numerose persone”). C’è peraltro da domandarsi, leggendo la carta del cielo di Churchill, se questi non si sarebbe sentito più “realizzato” nel fare l’artista anziché l’uomo politico (professione questa a cui probabilmente l’indirizzarono i genitori: Capricorno sulla cuspide della casa IV : “Genitori agiati che impongono al soggetto una condotta di vita e una professione che sono contrarie alla sua intima natura e ai suoi desideri”). E infatti non sono pochi gli elementi che denotano in Churchill un apprezzabile temperamento artistico: - Luna trigono con Venere (= “Talento artistico. Dilettantismo elevato. Senso del bello che influisce su tutte le manifestazioni della vita”) ;- Venere trigono con Uurano (=” Inclinazioni artistiche”);- Luna trigono con Nettuno (= “Vita affettiva e sensuale estremamente raffinata”) ;- Venere trigono con Nettuno (= “Molti legami spirituali e sentimentali per lo più con persone di alta statura morale. Attività creativa”),-Urano trigono con Nettuno (= “Trovate e ispirazioni originali. Ampie vedute. Felice connubio fra conoscenze intuitive e forze del subcosciente”);- Sole trigono con Urano (= “Dinamismo nel volere e nell’agire. E’ lo stranamente nuovo, qualcosa che pare non esserci mai stato nel mondo, l’estremamente originale, che si palesa nell’operare di questi individui esercitando una grande forza d’attrazione sull’immaginazione altrui”). Forse rappresenta ancora un aspetto del “temperamento artistico” di Churchill quella certa irrequietezza che mostrò soprattutto in gioventù e quel suo gustaccio di provocare l’opinione pubblica, che sono testimoniati da: Ariete sulla cuspide della casa VII (= “Presa di posizione polemica nei riguardi dell’opinione pubblica con la conseguente ostilità di quest’ultima nei confronti del soggetto”) ;- Saturno opposto a Urano (= “Rivolta contro l’ordine esistente e i principi tradizionali. E’ il segno dei “figli prodighi” che non fanno mai ritorno nella casa paterna”),- Mercurio quadrato con Urano (= “Spirito irrequieto. Attività mentale intensa e continua ma affatto sistematica”) De Gaulle

Appunti biografici su De Gaulle

Nascita e famiglia d’origine. N asce a Lilla il 22 novembre 1890. I genitori “ vantano vaghe ascendenze nobiliari; la madre ha inoltre nelle vene un po’ di sangue irlandese, tedesco e –pare – ebreo. Entrambi i genitori sono, e strenuamente, monarchici, nazionalisti e cattolici : in casa de Gaulle é assolutamente vietato cantare la marsigliese"( Pro e contro de Gaulle , Mondadori). “ I de Gaulle non erano affatto “borghesi” come l’intendeva Flaubert, e d’altronde anche Marx. Con un po’ di nobiltà di toga e un po’ di borghesia di spada nell’ascendenza, erano gente di lettere, chierici, funzionari di Stato e eruditi, scrittori di provincia e segretari di corte. Intellettuali dalle giacche lise ma decorosi, con uno zio corazziere e un cugino curato; gente che sapeva di grammatica, di latino e di greco, che andava a messa, serviva lo Stato senza troppo chiedere in cambio, e rimpiangeva con dignità di dover mettere il proprio talento e la propria virtù al servizio della repubblica anziché a disposizione del successore dei “quaranta re che , in mille anni, fecero la Francia”(Jean Lacouture, De Gaulle , Longanesi, 1971). Ha quattro fratelli, due maggiori e due minori. Ascesa sociale. Non particolarmente brillante fino al 1940. E’ storia nota che, poi, si imporrà rapidamente come prestigioso capo-politico e diventerà presidente della Repubblica con amplissimi poteri. Durante la guerra del 39 egli riuscirà a imporsi su “alleati” e potenziali concorrenti solo con una durissima lotta. Lotta che lo vide anche in situazioni disperate, come quando, dopo il fallito tentativo di sbarcare nell’Africa francese (a Dakkar), si trovò completamente isolato e meditò il suicidio. Era un carrierista ? La risposta è, sì , se per tale si intende chi , per avanzare socialmente e nella professione , ricerca l’amicizia dei potenti (anziché confidare solo nei suoi meriti): “Solo per l’intervento di Pétain e del generale Dufieux de Gaulle ha ricevuto la menzione “Bien” , mentre il collegio giudicante aveva ormai deciso di classificarlo un gradino più in basso “ (cfr.Tournaux, Pétain et de Gaulle ). Afferma sempre Tournoux ( Op.cit .): “De Gaulle ripeteva spesso, e con fierezza : “Il Maresciallo è il padrino di mio figlio” . E ancora: “Appartengo al clan Pétain. Il Maresciallo è il mio Patron” . Tutti nell’ambiente militare, credono che Philippe de Gaulle sia stato portato al fonte battesimale dal vincitore di Verdun. E tutti ritengono che de Gaulle sia il protetto di Pétain. Davanti a una così alta protezione, molti generali adottano la prudenza…..” Emmanuel d’Astier ( Les grands , Gallinard, 1961): “Per De Gaulle, la vita privata non esiste. Non ha altri desideri oltre alla gloria. Né sport, né giochi, né passioni, né amicizie. Per riuscire, bisogna essere in regola con la società, conformi. E’ dopo, quando si sarà diventati grandi uomini, che si porterà questa società e quest’ordine a nuovi sviluppi. De Gaulle è sicuro di essere più intelligente dei suoi capi, più serio dei politici. E’ sicuro di avere del genio. Ma saprà anche essere, in caso di necessità, riservato, formalista, e contenere i sarcasmi della sua superiorità. Maschererà la sua solitudine e il suo disprezzo sotto le buone usanze sociali. Praticherà l’educazione insolente, la lode sdegnosa…”. Nella sua ascesa si dimostra freddo calcolatore : gli inglesi , una volta che i tedeschi hanno sopraffatte le resistenze francesi, hanno bisogno di avere al loro fianco chi rappresenti la “Francia libera”. Churchill allora “ decide che Spears avrebbe fatto espatriare de Gaulle” “visto che Reynaud e Mandel rifiutano di lasciare il paese” (cfr.,Shires, The Collapse of the Third republic , Simon& Schuster, New York, 1969). E De Gaulle accetta ma dietro precise garanzie e compensi : “ Senza volere offuscare la nobiltà d’animo di Charles de Gaulle, rileviamo qui di passata ch’egli era andato a Londra con precise garanzie di ordine personale, che vanno ad onore del suo spirito pratico : gli inglesi dovevano versargli lo stipendio spettante al suo grado, assicurare il trasporto in Gran Bretagna della sua famiglia, e concedergli la cittadinanza britannica se per caso la guerra in Europa fosse finita con la vittoria decisiva della Germania” (Mario Costa, De Gaulle , Della Volpe, 1970). Le donne, la moglie. “Charles de Gaulle non è assalito dalle passioni dell’adolescenza: la ragazza, l’amico del cuore, la rivolta, il romanzo. Le sue capacità sensuali sono molto condizionate, represse dalla disciplina cattolica e dai pregiudizi sociali dell’epoca” (Emmanuel d’Astier, Les grands, Gallimard, 1961). Ma tuttavia qualche avventura al Generale non mancò quando, subito dopo la prima guerra mondiale, si recò in Polonia per combattere l’armata rossa e per ristabilire così il suo prestigio di soldato ( scosso dal fatto che durante la guerra contro i tedeschi si era fatto prendere prigioniero) : “In Polonia de Gaulle non si battè solo sul campo di battaglia o sulla cattedra: stando ad alcuni suoi biografi frequentava assiduamente il Caffè Blike dove s’incontrava sovente con una incantevole e minuscola signorina ( Pro e contro de Gaulle ,cit.). Schonbrun, uno dei più elogiativi biografi del generale, scrive che in Polonia “de Gaulle conquistò una reputazione poco nota, ma autentica, di audace Don Giovanni”. Circa trentenne (1920) incontra a una mostra di pittura, Yvonne Vendroux, figlia di un piccolo industriale di Calais, che diventerà sua moglie”. Yvonne è abbastanza insignificante, religiosissima, docile e virtuosa : in pratica, la donna adatta a lui”( Pro e contro De Gaulle ,cit.p.22). Quello tra De Gaulle e la signorina Vendroux è chiaramente un matrimonio “combinato”: “Si incontrano sotto un ritratto di Maurice Rostand, grazie ai “buoni uffici” di una amica delle due famiglie che li ha giudicati perfettamente adatti l’uno all’altro e che si è fatto un dovere di farli incontrare”. Dei figli che nasceranno dal matrimonio, una, Anne, è mongoloide. Questa figlia handicappata costituirà uno dei più grandi crucci per de Gaulle, ma anche uno dei suoi più grandi affetti : “De Gaulle ha sofferto molto per Anne. Le ha sempre consacrato un’ora al giorno, qualsiasi cosa avesse da fare. Le cantava delle canzoni, faceva finta di suonare la tromba con il pollice. La prendeva sulle ginocchia e lei gli accarezzava le guancie…” (Pierre Galante , Le gèneral , Presses de la Cité, 1968). Virtù e vizi. Era borioso: “ Quando era colonello e comandava un reggimento di carri armati a Metz, non era amato da nessuno : inaccessibile ai suoi uomini, distante con gli ufficiali, la sua boria, la sua disumanità, il tono tagliente allontanavano tutti da lui “ (Robert Aron, De Gaulle ). Fu coraggioso in guerra ? Lo afferma il figlio ( En le temps-là : de Gaulle , Parigi, 1972): “Durante la guerra 1914-18, mio padre fu ferito tre volte, ma in casa non raccontava volentieri quei brutti ricordi”. Ma non manca chi lo contesta, soprattutto addebitandogli di essersi lasciato prendere prigioniero, pur potendo ancora combattere. E di tale opinione furono gli ufficiali tedeschi del campo in cui era tenuto in prigionia: testimonianza del generale Perré (pubblicata da “Minute”, 11-6-66): “Uno dei miei amici che è stato prigioniero con de Gaulle mi ha riferito quanto segue. I crucchi, che rendevano onore agli ufficiali francesi che si erano battuti coraggiosamente rendendo loro la spada in occasioni particolari, come per la messa, non la diedero mai a de Gaulle. Allora lui, credendo si trattasse di un errore, la richiese abbastanza seccamente. I tedeschi si stupirono molto della sua richiesta ma, ad ogni buon conto, rifecero una inchiesta sulle condizioni della sua resa. E dopo l’inchiesta non restituirono la spada al capitano de Gaulle”. Si dimostrò ingrato verso chi lo aveva aiutato (soprattutto gli si rimprovera la condanna di Pétain) e non manca chi, come Jacques Soustelle ( Gollismo , ed. Il Borghese, 1969) lo accusa di spietatezza verso i vinti: “L’istituzione di tribunali speciali è sempre esecrabile. De Gaulle doveva a più riprese, durante la sua carriera, dimostrare un gusto singolare per questa caricatura della giustizia. Troppo poco attento alle reazioni elementari dell’anima umana, portato troppo a invocare una ragione di Stato che si confonde col suo impulso del momento, non misurò allora, né più tardi, il pericolo che rappresentava, in un paese come il nostro, aprire un ciclo infernale di repressioni, epurazioni, rivincite, di cui è vittima, in fin dei conti, la nazione intera”. De Gaulle fu certamente un “uomo d’azione” , ma scrisse anche dei libri (di carattere autobiografico e in materia militare) ed era portato all'insegnamento. Pierre Galante ( Op.cit .) dice che egli rimase "atavicamente, un professore” (riferendosi alle tradizioni familiari in materia.: il padre era stato professore in un collegio di gesuiti) Non mancarono in De Gaulle le doti oratorie. “ Come oratore, non ha rivali tra i suoi colleghi, e le reclute ascoltano, un po’ sconcertate , i discorsi infiammati di questo ufficiale spilungone che parla delle grandi battaglie del passato combattute e vinte dalla Francia (Mario Costa , Op.cit .). E Soustelle (Op.cit .) : “Uomo di Stato, il generale de Gaulle è anche, e forse di più, uomo di eloquenza, uomo di lettere e uomo di teatro. Eccelle nel discorso, nel libro, nella messa in scena. Chi l’ha veduto rimaneggiare, cancellare, riscrivere venti volte il testo di un qualsiasi comunicato sa di trovarsi in presenza di un artigiano del linguaggio e sensibile alle sue sfumature”. Ha un’ottima memoria : lo scrive J.R. Tournoux (in,Pétain et de Gaulle ): “Ha preso dal padre: la memoria del professor Henri è stupefacente. Quella del figlio promette di diventare mostruosa: può parlare allegramente il javanais”. Il javanais è una specie di gergo che consiste nell’intercalare nelle parole le sillabe av e va, così da rendere incomprensibile il discorso ai non iniziati. Un lato “umano” di De Gaulle: è un’ottima forchetta ; lo afferma Mario Costa ( De Gaulle , cit.): “ Non concepisce che si mangi soltanto a scopo di nutrimento…..A Colombey, soleva andare in cucina prima dei pasti ad assaggiare gli intingoli”. E’ un po’ prude : “Si dice che, trasferendosi all’Eliseo, il Generale e Madame de Gaulle abbiano licenziato con molto tatto e delicatezza tutte le persone di servizio ( e non erano molte) che risultavano divorziate. Il Generale, che è cattolico devoto, non riteneva conveniente che lui e la sua famiglia fossero serviti da divorziati” (John Gunther, Faccia a faccia , Garzanti). Morte. Dopo essersi ritirato dalla politica, De Gaulle vive alla Boisserie “in sdegnosa solitudine”. Muore improvvisamente il 9-11-1970 alle ore 18,55, mentre si accinge a fare un solitario, in attesa della cena ( Pro e contro De gaulle )

Oroscopo di De Gaulle

22.11.1890 - 04h 00m LMT - 03h 48m GMT Lille, Francia Ascendente Bilancia, Sole in Scorpione

La figura che balza fuori dall’esame dell’oroscopo di de Gaulle è senza dubbio quella di una persona , non solo animata da alti ideali , ma (un po’ inaspettatamente) di animo mite e soccorrevole : Sole sestile a Giove (= “Bontà, atteggiamenti caritatevoli”), Mercurio trigono con Luna ( (=” Operare risoluto , ma pieno di riguardi nei confronti altrui, per riportare nella vita un durevole successo , sociale e morale”), Giove sestile a Luna (= “Affermazione della vita e senso della giustizia. Credenza in leggi superiori della creazione e nel destino umano. Franchezza, generosità, bontà. Favorevole per la carriera statale”), Nettuno trigono con Marte (= “Vani sforzi per mettere in atto ideali esuberanti. Persone miti e soccorrevoli”), Giove in trigono con Nettuno (= “Grandezza d’animo e nobili principi di vita. Senso spiccato per le bellezze della natura”). Certo i lati antipatici e di difetti non mancano : de Gaulle è un fanfarone, un testardo e, peggio ancora, un arrivista che può anche non esitare a tessere veri e propri inganni a spese altrui e a ribellarsi al suo legittimo governo pur di raggiungere il successo: Plutone opposto a Mercurio (= “Testardaggine e presunzione. Questi individui non si peritano di adoperare un qualsiasi mezzo pur di spingersi in primo piano. E’ il segno dei fanfaroni e dei ciarlatani”), Mercurio opposto a Nettuno (= “La difficoltà nell’assicurarsi una solida posizione sociale è “suscettibile d’indurre il soggetto a cercare d’ingannare e di abbindolare i propri simili escogitando losche ed oscure imprese. E’ spesso il segno dei truffatori o dei cavalieri d’industria”), Giove congiunto a Marte (= “Opinioni e atteggiamenti radicali, oscillazione fra l’assoluto “si” e l’assoluto “no”. Arroganza e fanfaronata”), Sole opposto a Plutone (= “Insorgere fanatico contro l’ordine esistente senza farsi un’idea di quello che lo deve sostituire. Avventurismo politico”). In che posizione sociale il “Generale” si sarebbe sentito più realizzato ? La risposta dell’astrologo è : come alto funzionario statale (ad esempio, come direttore dell’Accademia militare), con una villetta in periferia tra il verde e circondato dalla famiglia: Giove in sestile con Luna (già citato), Pesci sulla cuspide di casa V (= “Vita familiare calma e riservata in mezzo a una numerosa discendenza. Desiderio di comodità”). E la carriera militare ? Potrebbe anche andare, ma in fondo il soggetto ama più il libro che il moschetto ; e molti elementi infatti fanno credere che, ad abbracciare la carriera militare, de Gaulle si sia deciso solo su pressione dei genitori : Capricorno sulla cuspide di casa IV (= “Genitori agiati che impongono al soggetto una condotta di vita e una professione che sono contrarie alla sua intima natura e ai suoi desideri”), Marte in Acquario e in casa V (= “Scelta sbagliata della professione oppure tentativi di affermarsi in una posizione sociale inadeguata solo per soddisfare il desiderio dei genitori”). Certo il soggetto potrà rivelarsi un leader, se si creeranno per ciò condizioni favorevoli; infatti non gli mancano né il carisma né la capacità decisionale : Sole trigono con Luna (= “Dinamismo psichico e fisico. Forza eccezionale di resistenza e di attrazione”), Nettuno sestile a Luna (= “Questi individui esercitano invariabilmente, su quanti li circondano e incrociano la strada della loro vita, una forza non comune d’attrazione, ed è come se l’irradiassero dal fondo del proprio essere”), Marte sestile a Luna (= “Presenza di spirito e risolutezza”), Mercurio trigono con Luna (già citato). Francisco Franco

Appunti biografici su Francisco Franco

Famiglia di origine- Franco nasce in Galizia alle ore 0,30 della notte tra il 3 e il 4 dicembre 1892. In una famiglia della piccola borghesia con tradizioni marinare e militari. Il padre fa il contador (ufficiale pagatore). Buoni i rapporti con la madre, dona Pilar, una donna soave, malinconica e religiosissima. Rispettosi ma critici i rapporti col padre don Nicolas: “Nicolas Franco tradì abbondantemente la moglie e, quando fu morta, la sostituì con una serva. Francisco, che ha della famiglia una concezione austera, non glielo perdonò. In compenso, Nicolas non volle mai riconoscere la grandezza di Paquito, e quando qualcuno in sua presenza parlava di lui come del Caudillo , insorgeva gridando. “Che? Paquito sarebbe Caudillo? Ma non fatemi ridere”. Morì nel 1942 in una casa di appuntamento” (Indro Montanelli, Padri della patria , Mondadori, 1949). I fratelli di Franco- Furono quattro. Francisco intrattenne con essi buoni rapporti, salvo che con il fratello Ramon; che partecipò attivamente alla politica in campo opposto al suo ed era, sulla scia del padre, di carattere dissoluto. Infanzia e adolescenza – Serena anche se in ristrettezze economiche, dato anche l’abbandono della famiglia da parte del padre. Frequenta la scuola di fanteria dell’Alcazar : lì “si dimostra un cadetto esemplare: studioso, rispettoso e disciplinato. E’ un solitario, un introverso; i compagni lo chiamano “signorina” per via della voce fessa e della piccola statura, ma anche “primo della classe” per il suo impegno” (Gianni Rizzoni, Pro e contro Franco , Mondadori). Ascesa sociale . Brillante e dovuta a meriti personali. Inizia la sua carriera militare combattendo in Marocco nelle file dei Regulares (truppe indigene condotte da ufficiali spagnoli). Si tratta di reparti particolarmente impegnati in battaglia: “Tutto il 1914 e il 1915 sono un continuo stillicidio di aggressioni, attacchi e contrattacchi. Dei 42 ufficiali di regulares ben 36 cadono morti o feriti. Franco non è tra questi. Eppure è sempre in prima linea, sprezzante del pericolo. I suoi moros parlano di baraka, la forza misteriosa che rende l’uomo invulnerabile. Comincia a nascere il mito guerriero di Franco. A tutto il 1914, ha già collezionato tre medaglie al valor militare. E nell’aprile arriva anche la promozione sul campo: capitano. Francisco ha ventidue anni, E’ il più giovane capitano dell’esercito spagnolo” (Rizzoni, Op.cit.). Nel 1916, durante uno spettacolare assalto alla testa delle sue truppe, Franco viene ferito : è in gravissimo pericolo di vita, ma si salva e viene premiato con un’altissima onorificenza. Il comandante della neo-costituita Legion Extraneyra lo pretende come suo “secondo” . E anche nella Legione Franco dimostra le sue doti di comando, di organizzazione e di coraggio. Ancora avanzamenti di grado. Franco , quando la ribellione in Marocco languisce , viene trasferito a Madrid e gli viene affidata la direzione della nuova Accademia militare ( 1927). Franco si rivela nel suo nuovo incarico, un direttore preoccupato del benessere fisico e morale dei suoi allievi e un ottimo organizzatore, dalle idee moderne. Il Ministro della guerra francese, che la visita nel 1928 “ha parole di elogio per l’Accademia che definisce “organizzazione modello” , il “Centro più moderno del mondo” (G. Rizzoni, Pro e contro Franco cit.). E’ storia nota: che Franco è tra i quattro capi dell’ alzamiento (sollevazione) militare del 1936; che presto diventa l’unico jefe delle forze ribellatesi al Governo repubblicano; che, infine, viene riconosciuto Capo dello Stato ( Caudillo ) ricoprendo tale carica fino alla morte. Rapporti con le donne e con la moglie. “Camillo Alonso Vega, che fu suo commilitone in quel periodo, giura che Franco arrivò a Oviedo vergine e vergine ne ripartì. Non so se sia vero. E’ certamente vero però che ostentatamente rifiutò di prendere parte a feste che non fossero quelle – rigide, sussiegose e micragnose – del Circolo militare” (Montanelli, Op.cit.). “Francisco ha una voce soave, poco maschile, dai toni flautati (…) Senza dubbio, la voce di Francisco non ha nulla a che vedere con alterazioni biologiche, tant’è che, nonostante le asserzioni sistematiche dei suoi detrattori, mai si sono potute riscontrare in lui caratteristiche aberranti di qualsivoglia specie, anche se a volte il fisico sembrerebbe confermarle : si tratta di un caso di deficienza, non già di inversione” (L. Ramirez, Franco, Della Volpe, 1966). Nel 1917 “ el comandantin (piccolo maggiore) fa la conoscenza della sua prima e ultima donna: una bella ragazza, bruna, giovanissima di nome Carmen Polo y Martinez Valdès. Se ne innamora, viene corrisposto. Tra i due comincia una corrispondenza segreta, fatta di mille intrighi e sotterfugi: i genitori di Carmen sono tutt’altro che favorevoli all’idillio. Il signor Polo è un ricco liberale, e un pacifista per giunta. Tutto il contrario di Franco. Ma i due innamorati tengono duro, e alla fine riescono a spuntarla” (G. Rizzoni, Op.cit .). Nell’anno 1928 “Franco conosce una delle più grandi gioie della sua vita familiare: la nascita della figlia Carmencita” (Rizzoni, Op.cit .). “ Accanto alla divisa, l’unico grande amore di Francisco Franco è Carmencita (Rizzoni, Op.cit .). E i rapporti con la moglie ? Secondo Luis Ramirez (Op.cit .) essi sono improntati alla freddezza, “ e la femminilità di Carmen finirà per inaridirsi in quest’esistenza alquanto monotona, in cui essa si sacrificherà sempre più all'’ambizione. A completamento della propria ambizione Franco avrà il pungolo della moglie da cui in privato è dominato, al punto che Carmen lo comanda letteralmente con lo sguardo". Carattere di Franco . “Quasi tutti i biografi sono concordi nel ritenere che la Galizia abbia fortemente improntato del suo carattere ostinato, e insieme femmineo e sfuggente, il futuro Caudillo di Spagna. Del galiziano Franco ha tutto: la tipica retranca (flemma, riservatezza), la silenziosa ostinazione, un lato se non proprio effeminato, almeno ombrosamente femminile del carattere, e infine uno sconfinato amore per il mare. A nessuno meglio che a lui si adatta il vecchio detto secondo il quale il galiziano è paso de buey , piel de lobo , hacerse el lobo , cioè lentezza e pazienza (il passo del bue) astuzia (pelle di lupo), simulazione e diffidenza” (Gianni Rizzoni. Op.cit.) Franco comandante delle truppe in Marocco com’è? Duro e inflessibile, ma giusto: “Con lui, puoi essere sicuro di avere tutto ciò a cui hai diritto” , scrive Arturo Barca (nel suo The forging of a rebel , ed. Reynald and Hitchcock, New York,19469). “Certo che in quanto a maniera di trattare…. Fissa un tizio, serio e severo e dice “Fucilatelo!” si volta e se ne va tranquillamente. Ho visto assassini impallidire perché una volta Franco li ha guardati di sbieco !”. Franco è anche un comandante pignolo: “ E’ un pignolo della miseria: Dio ti salvi se hai il fucile sporco o batti la fiacca! Io credo che anche i suoi colleghi lo odino: li tratta come i soldati e non fa amicizia con nessuno. Mentre gli altri vanno a divertirsi e a ubriacarsi – come ogni cristiano dopo due mesi di corso – lui rimane solo nella tenda o in caserma” (Barca, Op.cit .). “Conobbi Franco nel 1934, ed ebbi subito modo di convincermi che la sua fama non era usurpata. Totalmente dedito alla sua carriera, possiede al più alto grado tutte le virtù militari: ponderatezza nell’esaminare, analizzare, approfondire e risolvere i problemi: minuziosità nei particolari, esattezza nel servizio. E’ concreto nell’osservazione, duro nel comando, esigente, ma anche comprensivo, tranquillo e deciso: non divaga mai” (Diego Hidalgo, Por qué fui lanzado del Ministerio de la Guerra ?, ed. Espana-Calpe, Madrid, 1934). Franco opera una durissima repressione contro i minatori asturiani rivoltatisi contro il legittimo governo. Lo fa per sadismo? No, lo fa per ambizione, risponde Ramirez ( Op.cit .): egli fa strage dei minatori asturiani perché “servendosi dei loro cadaveri salirà lungo la scala che lo porta in alto” L’altra campana: invece , secondo lo storico inglese Brian Crozie ( Franco , Eyre, Spottiswoode, Londra,1967) Franco non fu insensibile ai diritti e ai bisogni dei minatori asturiani: “In verità sembra che all’epoca dello sciopero Franco abbia consacrato tutto il suo tempo libero a documentarsi sulle rivendicazioni dei minatori, sulle loro condizioni di vita, sul sindacalismo nelle Asturie e sul problema dell’esoso comportamento dei padroni. Una cosa è certa: in occasione della crisi di Oviedo, Franco prese una decisione fondamentale: qualsiasi cosa fosse successa, ogni volta che ne avesse avuto la possibilità, avrebbe combattuto il disordine rivoluzionario in Spagna. La rivoluzione bolscevica in Russia e la violenza che propagò nel mondo fecero nascere in lui un odio definitivo per il comunismo”.

Oroscopo di Franco

04.12.1892 - 00h 30m LMT - 01h 03m GMT El Ferro, Spagna Ascendente Vergine, Sole in Sagittario

Lo studio astrologico della personalità di Franco ci pone in contatto con due aspetti molto importanti dell’anima di una certa Spagna (che grosso modo possiamo dire “di destra”) : la “sindrome dell’inquisizione” e la “sindrome del donchisciottismo”. Entrambe le sindromi si determinano in una persona quando essa prende coscienza , con più o meno chiarezza, che il suo patrimonio di nobili e belle idee, non solo è fuori dal tempo, ma è minacciato dal tempo ; in quanto sempre più, col tempo, prende piede nel mondo una visione nichilista delle cose, una visione che tende a nientificare quel patrimonio di nobili idee. Ma Franco era davvero una persona animata da nobili e alti ideali ? L’analisi del suo oroscopo fa rispondere di si. Per cominciare , tale analisi contraddice l’accusa mossigli di aridità e meschinità di sentimenti : al contrario, Franco , all’analisi del suo oroscopo, risulta essere una persona dotata di una particolare pienezza di sentimenti e perfino di una delicatezza (da artista più che da militare) che gli fa vivere la vita sessuale, senza volgarità, con una consapevolezza del suo carattere sacro, e con una netta tendenza alla sublimazione dell’istinto: Plutone in Gemelli e in casa IX (= “A volte questi individui magari si chiedono, in quale modo riescono a contenere anzi a sopportare la pienezza della propria natura, tutta l’esuberanza di pensieri, d’idee, d’iniziative , ecc , che li muovono”), Venere congiunta a Urano (= “Ispirazioni e possibilità d’evoluzione sul piano artistico”), Luna congiunta a Giove (= “Individui sensibili inclini alla contemplazione”) , Venere trigona con Marte (= “Grandi e autentiche passioni che costituiscono contenuti essenziali dell’esistenza. Negli individui spiritualmente elevati v’è la possibilità di spiritualizzazione integrale dei sensi”). Ma Franco non è solo capace di delicati sentimenti, ma è animato anche da grandi ideali : Sole trigono a Giove (= “Concetti nobili. Rettitudine, onestà, affabilità e generosità”), Luna sestile con Giove (= “Affermazione della vita e senso di giustizia. Sogni di redenzione dell’umanità. Credenza in leggi superiori della Creazione e nel destino umano. Franchezza, generosità, bontà”). Se non che gli ideali, la nobile concezione della vita, che animano Franco non sono per nulla condivisi dall’ambiente circostante, che sempre più è dominato da concezioni nichiliste : Sole opposto a Nettuno (= “Un abisso incolmabile divide l’intimo mondo dei sentimenti e dei pensieri del soggetto dalle condizioni dell’immediato suo ambiente”). Contrapporre idea a idea, combattere le idee perniciose con la dialettica e con la logica? Di ciò Franco non è in grado ; ma non già perché è un “rozzo e ignorante militare” , perché invece è vero il contrario : certo, egli non è “uomo di cultura” , se per tale si intende l’uomo erudito, l’uomo informato sulle varie teorie che il fecondo cervello umano ha saputo escogitare (sull’inesistenza in lui di una tale “cultura” indica inequivocabilmente Sole in Sagittario e in casa III =”Individui superficiali, in ultima analisi incapaci di assorbire una istruzione seria, ma che in proposito abilmente ingannano le altre persone in quanto con i loro modi di parlare e di fare le convincono di essere profondamente colti”), però Franco può essere considerato un uomo di cultura , se per tale si intende chi, capace di volgere lo sguardo alla propria interiorità ( e non al mondo esterno) , “coltiva” la sua mente : Saturno trigono con Luna ( = “Elaborazione mentale delle esperienze vissute” ) , Saturno sestile a Nettuno (= “Spesso spietata autocritica e autoanalisi”), Luna congiunta a Plutone in Gemelli ( = “Autosvisceramento, facoltà psicologiche, conoscenza dei propri simili”). Con tutto ciò, si ripete, Franco non è attrezzato culturalmente per combattere le idee , da lui considerate perniciose, in modo dialettico : quindi ad esse oppone la violenza, una violenza fanatica (cioè che non vuole sentire ragioni : non è la “ragione”, il razionalismo, a portare al nichilismo ?!), una durezza intransigente (che cioè si chiude ad ogni apertura al sentimento, in cui teme l’inizio di una capitolazione totale) : Marte in Pesci e in V casa (“Arroganza e intolleranza”), Sole congiunto a Marte (= Individui senza ritegno che facilmente perdono il controllo dei propri moti d’animo e in tali stati commettono azioni violente ed insensate”), Sole quadrato a Plutone (= “Insorgere fanatico contro l’ordine esistente senza farsi un’idea chiara di quello che lo deve sostituire. Avventuriero politico”). E con ciò abbiamo detto della “sindrome dell’inquisizione”, presente in Franco. E la “sindrome del donchisciottismo” come si rivela in lui ? Si rivela, ecco la risposta, nel suo amore per l’avventura (quell’amore per l’avventura che l’ha portato a combattere nella Legione Straniera) e nel suo gusto della lotta per la lotta, dell’atto di coraggio fine a sé stesso ; tendenze queste indicate da molti degli aspetti già citati e in particolare da Sole opposto a Marte e da Sole opposto a Plutone. Tali due sindromi, quella dell’inquisizione e quella del donchisciottismo, purtroppo finiscono per nascondere gli aspetti simpatici, che pur esistono nella personalità di Franco : il suo spiccatissimo senso del dovere (chiaramente indicato : da Gemelli sulla cuspide di casa X, da Sole quadrato a Saturno) , la cortesia e la affabilità con cui ( quando non viene toccato il suo nervo sensibile della politica e della ideologia) sa avvicinare le persone : Saturno in Bilancia e in casa I (= “Serietà nell’affrontare i problemi della vita e spesso profondità di pensieri si associano in questi individui ad una non meno pronunciata cordialità e affabilità; così si rivelano consiglieri comprensivi e utili dei propri simili” : Franco, l’ottimo direttore dell’Accademia militare, che si preoccupa del benessere fisico e morale dei suoi allievi ?). Hitler

Appunti biografici su Hitler

Rapporti con i genitori e i fratelli

Hitler nasce il 20.04.1889 in un povero distretto dell’Austria Nord-occidentale, prossimo al confine con la Boemia, Waldviertele. Suo padre, Alois, era stato fatto dalla madre iscrivere nei registri della parrocchia come nato da padre ignoto. Questo darà spazio alla leggenda che il padre di Alois ( e nonno del futuro fuhrer ) fosse un ebreo. Si può dire invece quasi con assoluta certezza che il padre di Alois va ricercato nella famiglia Hiedler ( o Huttler ) : infatti è difficile spiegare altrimenti che uno dei membri di tale famiglia si preoccupasse, prima , di adottarlo, e , poi , di legittimarlo. Alois Hitler ( Hitler da Hiedler : nell’ottocento non erano infrequenti queste approssimazioni nella grafia dei nomi ) si impiegò nell’amministrazione doganale austriaca e vi fece rapidamente carriera: evidentemente per la sua diligenza e laboriosità ( dato che le sue umili origini e la sua ascendenza illegittima non potevano in ciò aiutarlo ). Alois si sposò tre volte : la prima , con una donna più anziana di lui ( che non gli lasciò figli ), la seconda , con una ragazza più giovane di lui di circa una ventina d’anni da cui ebbe due figli ( Angela la futura madre della nipote prediletta Geli e Alois junior ) e la terza , ancora con una donna più giovane di lui di circa 20 anni, Klara. Da questo terzo matrimonio nacquero sei figli : quattro morirono in tenera età, e due sopravvissero : Adolfo ( il futuro dittatore ) e Paola ( minore di qualche anno di Adolfo ). Alois ha un carattere severo e autoritario : non raramente usa il bastone sui figli. Tanto il padre è violento, tanto è remissiva la madre, Klara : i parenti e gli amici concordemente la descrivono come una donna gentile e riservata, tutta dedita alla cura meticolosa della casa. Il padre di Adolfo muore nel 1902 all’età di 65 anni ( per un’emorragia polmonare ) : Adolfo ha solo 13 anni. La madre muore nel 1907 ( per un tumore alla mammella ). Adolfo , che era un po’ il cocco a cui la madre nulla sapeva negare, è colpito moltissimo da tale morte . Il medico di famiglia, da cui lui subito si reca dopo il funerale per pagargli gli onorari dovuti, così ricorda l’incontro : “ Non ho mai visto, nei miei quarant’anni di attività, un giovane così addolorato e provato dalla sofferenza, come Adolfo Hitler quando venne a ringraziarmi, con voce rotta dal pianto, per i miei sforzi medici”. Nel Mein Kampf il Fuhrer sintetizzava i suoi rapporti con i genitori dicendo “ di aver onorato, sì, il padre, ma amato davvero la madre”. Se tali furono i rapporti del futuro Fuhrer con i suoi genitori, come furono quelli con i suoi fratelli e fratellastri ? Furono buoni con la sorella Paola e la sorellastra Angela ( che aiutò, anche economicamente, a più riprese ) ; col fratellastro Alois furono pessimi pressappoco fino al fallito putsch di Monaco ( periodo di tempo in cui il fratellastro si comportò da vera “ pecora nera” della famiglia, conducendo una vita avventurosa che non rifuggiva neanche da furti e truffe ); in seguito , pur non diventando calorosi ( Adolfo mantenne sempre le distanze dal fratellastro ) diventarono corretti anche se freddi : il fratellastro aderì addirittura al Partito nazionalsocialista , senza però fine di tornaconto e senza trarne profitti economici : si procurava da vivere facendo il cameriere, un’attività già svolta nella giovinezza e a un certo punto aprì un ristorante a Berlino, che ebbe un certo successo e gli procurò un certo reddito. Prima della caduta di Berlino fuggì ad Amburgo dove sotto il nome di Hiller visse come pensionato fino all’età di 74 anni. Hitler e le donne- Tre furono le donne che veramente contarono nella vita di Adolfo : la madre ( di cui abbiamo già detto ), la nipote Geli e Eva Braun . Geli era figlia di Angela ( la sorellastra di Adolfo ) . Incontrò per la prima volta il famoso zio nel 1924, quand’egli era ancora trattenuto in carcere in seguito al putsch di Monaco : ne fu affascinata. Superato l’esame di maturità, si trasferì nella stessa città in cui lo zio abitava e prese a frequentare assiduamente lui e il suo entourage. La longilinea, slanciata ragazza dagli occhi grigi e i capelli scuri colpiva tutti per il suo fascino : “ Dal momento che entrò nel nostro giro – ricorda un seguace del Fuhrer - subito ne diventò il punto di attrazione. Con le sue maniere disinvolte senza la minima civetteria, insomma con la sola presenza fisica, riusciva a mettere tutti a proprio agio”. Hitler stravede per questa nipote che porta in casa l’allegria e che tanto gli somiglia ( come lui ama la vita da bohèmienne, come lui si dimostra insofferente agli studi). E proprio per averla più vicina , lascia il modesto allogetto in cui abita e si trasferisce in un bel appartamento : un appartamento di ben nove camere. In quell’appartamento Geli diventa la principessina viziata dal potente zio. Insieme vanno a teatro o al cinema, o nei locali frequentati dai “camerati” . Lo zio la porta anche a fare acquisti, nonostante la sua avversione per questo tipo di passatempo. “ Quando vado con lei in un negozio di cappelli – racconta Hitler divertito alla sua segretaria – vedo che tira fuori da tutti gli armadi e poi dalle vetrine, senza problemi, tutti i cappelli che vuole . Una volta provatili tutti, finisce per stabilire che nessuno le è adatto, e per me è increscioso notare con quale spigliatezza lo dichiara alla commessa. Se poi di mia iniziativa le sussurro all’orecchio che a questo punto è impossibile lasciare il negozio senza comprare niente, dopo che ne ha provati parecchi, mi guarda radiosa col suo disarmante sorriso e ribatte : “ Ma non fa niente, zio Adolf, la gente è qui proprio per questo” . Una ragazza così bella , spigliata , viva come Geli non può non far innamorare e non può non innamorarsi degli uomini : e lo zio deve intervenire con decisione per troncare le liaisons pericolose che sta stringendo. Naturalmente lì per lì la ragazza ne soffre, ma dopo un po’ … passa a nuovi amori. Cosa del tutto normale. Anormale invece quel che succede il 18 Settembre 1931. Hitler deve intraprendere un nuovo giro elettorale nel Nord del Paese : Geli lo aiuta a fare la valigia e quando scende le scale si affaccia alla ringhiera e saluta lui e il suo accompagnatore : “ Au revoir, zio Adolfo. Au revoir, signor Hoffmann” . Alcuni giorni dopo, mentre Hitler è in viaggio , Rudolf Hess da Monaco chiede di parlargli al telefono : “ A Geli è successo qualcosa” . Hitler si precipita a Monaco e trova l’amata nipote cadavere : la ragazza piena di vita si è suicidata . Perché ? Molte risposte, più o meno malevole , furono date al grave gesto . La più attendibile è quella dello zio , che spiegò ai funzionari di polizia incaricati dell’indagine che la causa del suicidio di Geli andava ricercata nel divieto ch’egli, dopo un colloquio con la madre, le aveva fatto di recarsi a Vienna dove avrebbe voluto seguire la carriera di cantante. Parliamo ora di Eva Braun, la donna che Hitler accettò di sposare. Eva era nata il 6 Febbraio 1912 in una famiglia della media borghesia : il padre era insegnante, la madre, sarta. All’età di 17 anni aveva cercato lavoro e l’aveva trovato nell’atelier di un fotografo. E lì aveva incontrato l’uomo del suo destino. Ecco il suo racconto : “ Finita la giornata, e rimasta in negozio , per sistemare alcune carte , ero salita su una scala , perché i raccoglitori erano in un armadio su, in alto . Proprio in quel momento entra il padrone con un signore di una certa età : una buffa barbetta, un cappotto chiaro, di foggia inglese, il cappello di feltro in mano . Si siedono tutti e due nell’angolo opposto del negozio proprio di fronte a me. Li sbircio , senza voltarmi , e mi accorgo che quell’uomo mi sta guardando le gambe . Proprio quel giorno mi ero accorciata la gonna ma non mi sentivo completamente a mio agio , così , insicura com’ero di aver ricucito bene l’orlo . Scendo dalla scala e Hoffmann mi presenta : “ Signor Wolf , la nostra piccola , la signorina Braun” , e ci va a prendere , dal locale lì all’angolo , birra e pasticcio di fegato” . L’interesse di Hitler per la giovane commessa , da cui lo dividevano circa 23 anni ( lui ne aveva 40 , lei solo 17 ) si manifestò all’inizio con dei piccoli regali dovuti più alla gentilezza che all’amore : dei fiori, qualche scatola di cioccolatini. Per Eva invece – racconta Hoffmann , il suo principale - “ fu tutt’altra cosa. Raccontò alle amiche che Hitler era innamorato pazzo di lei e che lei l’avrebbe preso e sposato più e prima di ogni altra . Hitler invece per parte sua non aveva alcun sentore di quel che Eva stesse rimuginando nella sua testolina , né aveva la minima intenzione di cominciare con lei una relazione”. Invece sembra che una vera e propria relazione sessuale tra il maturo uomo politico e la giovane commessa del fotografo si instaurasse già dopo tre mesi che era avvenuta la loro conoscenza. Per Hitler però era una relazione senza troppa importanza : un modo per rilassarsi tra un impegno e l’altro a cui lo costringeva la sua frenetica attività politica . Eva si sfoga nel suo diario: “Quando dice di volermi bene , intende soltanto in quel momento . Precisamente come le sue promesse , che poi non mantiene mai . Perché mi tormenta così e non la fa finita una buona volta ?” . Eva progetta il suicidio : “ Se prima delle dieci di questa sera non avrò una risposta ingoierò le mie 25 pillole e placida dormirò per sempre” . Lo fa e solo per un concorso fortunato di circostanze la sorella la trova in stato di incoscienza e la salva. Eva rimane in vita e ottiene di convivere con Hitler . Nulla però traspare dei suoi veri rapporti col Fuhrer all’esterno : nessun bacio , nessuna carezza , nessun gesto affettuoso Hitler compie in pubblico nei suoi riguardi. Tale è il formalismo dei loro rapporti che - anche se Hitler ed Eva dormono in camere tra di loro comunicanti - ben pochi ritengono che tra loro si sia arrivati a una vera intimità sessuale. Così invece è ( anche se si tratta di un sesso sterile , dato che Hitler non vuole avere figli ed Eva a tale volontà è costretta ad adeguarsi, sembra senza troppo soffrirne ). Che cosa legò così profondamente un uomo dalla personalità così pronunciata come Hitler a una ragazza così semplice come Eva ? Proprio la semplicità di questa . Ciò traspare dalle parole che Hitler ebbe a dire al suo amico, l’architetto Speer : “ Gli uomini molto intelligenti devono prendersi una moglie stupida , rozza . Vede , che guaio se avessi una donna ficcanaso , una moglie che mette bocca nei miei affari ! Quando sono libero da impegni , voglio potermi riposare” . Eva , che stupida non era per nulla , comprese bene questo e così riuscì a passare alla storia come la “ moglie di Hitler “.

Oroscopo di Hitler

20.04.1889 - 18h 30m LMT - 17h 38m GMT Braunau/Inn, Austria Ascendente Bilancia, Sole inToro

Cominciamo dagli aspetti della personalità di Hitler su cui oggi si sta raggiungendo un generale accordo: Hitler era una persona di un’intelligenza fuori del normale, con notevoli capacità organizzative, una grande capacità decisionale, una grande forza di resistenza e di attrazione. Trova riscontro tutto questo nella sua carta del cielo ? Si : che Hitler fosse persona di intelligenza superiore alla media risulta da Sole congiunto a Mercurio (= “Individui che possono vantare concezioni chiare ed approfondite, una facoltà di giudizi spassionati, doti di un’intelligenza costruttiva in genere” ); che Hitler avesse capacità organizzative, risulta da Saturno in sestile con Urano (= “Talento organizzativo”); che Hitler avesse notevoli capacità decisionali risulta da : Luna in trigono con Marte (= “ Presenza di spirito e risolutezza. Questi si rendono rapidamente conto delle esigenze di una data situazione, agiscono in conformità e riportano perciò immancabilmente successo. Può essere il segno di uomini politici che sanno amicarsi le masse e se necessario sollevarle per iniziare un movimento rivoluzionario” ) e da Marte in trigono con Giove (= “ Azioni rapide e risolute. Questi individui non sono mai esitanti o imbarazzati, nemmeno nelle più difficili situazioni. Si riservano sempre di dire l’ultima parola e quasi immancabilmente rimangono vittoriosi sui propri avversati”); che Hitler avesse grandi capacità di resistenza e di attrazione trova riscontro in : Sole trigono a Luna (= “Dinamismo psichico e fisico. Forza eccezionale di resistenza e di attrazione. Vita intima esuberante. Rimarchevole ascesa sociale”) , in Ariete occupante la cuspide della casa VI (= “Energia lavorativa eccezionale, spesso in contrasto con una capacità di resistenza fisica inadeguata”) , Sole trigono a Giove (= “ Ottima salute, intensa vitalità”) . I biografi di Hitler sono sostanzialmente d’accordo nel ravvisare in lui come due distinte nature: un Hitler cortese, affabile, elegante, amante dell’arte e degli artisti e un Hitler, brutale, violento, dominato da una cupa volontà di potenza. Ebbene anche tali contrastanti aspetti risultano dalla carta del cielo. Più precisamente il primo aspetto risulta da Bilancia occupante l’ascendente ( la Bilancia infatti ha come dolce signora Venere – ma non la Venere sensuale e terrena del Toro, bensì la Venere sposata all’equilibrio della Bilancia : la Venere, dunque, dell’arte, del bello, della grazia). Il secondo aspetto risulta dai seguenti elementi : Nettuno congiunto a Plutone (= “ Volontà di potenza, ma nel medesimo tempo il proposito di metterla in atto per così dire da lontano e per vie misteriose” – ciò che richiama alla mente i rapporti di Hitler con l’associazione esoterica Thule), Marte quadrato Saturno (= “ Questi individui per soddisfare le proprie velleità di potenza possono ricorrere alla violenza e in tal modo diventare un pericolo pubblico” ) , Venere congiunta a Marte (= “Persone che fanno uso della loro volontà in modo poco razionale e a volte persino insensato, per es. sfogando con massimo sforzo i propri cattivi umori in eccessi di collera(…) E’ comunque indice di reazioni spirituali e psichiche piuttosto incalcolabili”), Urano in Bilancia e in XII casa (= “Accessi d’ira che fanno perdere al soggetto ogni controllo e lo spingono a commettere atti insensati. Follia di grandezza accompagnata dalla paura di cadere vittima da parte di nemici invisibili. Pertanto fughe nella solitudine di luoghi inaccessibili in alta montagna”). Ma – e con ciò veniamo ai giudizi controversi sulla personalità di Hitler – questi era davvero il mostro, il degenerato morale che alcuni “storici” dipingono ? A noi sembra che l’astrologia non consenta affatto una risposta positiva a tale domanda: infatti dalla carta del cielo risultano, sì, elementi negativi sulla moralità ma anche elementi positivi. Elementi negativi : Mercurio opposto a Urano (= “ Queste persone si compiacciono nel criticare spietatamente il lavoro e le creazioni altrui (…)Tutta la loro natura in genere si conforma più a tendenze distruttive anziché a quelle costruttive”), Venere quadrato a Saturno (= “ animo freddo, diffidenza, egoismo, avarizia”). Elementi positivi (sulla moralità) : Sole trigono Nettuno (= “ Concetti nobili, rettitudine, onestà, affabilità e generosità”), Luna congiunta a Giove (= “ Concezione armoniosa di vita ed aspirazione all’unione dei propri simili sotto l’insegna di sublimi ideali ; perciò anche imprese politiche e sociali al servizio di una Comunità”), Venere in trigono a Giove (= “ Armonia interna. Vita affettiva raffinata e nobile concezione di vita. Affabilità, buon gusto, eleganza”). Hitler , come si sa , fu un lottatore contro il suo tempo, e pure questo risulta dall’oroscopo e precisamente da : Sole in casa VII e in Toro (= “ Atteggiamento aggressivo verso il mondo motivato dall’aspirazione di far trionfare ideali pratici nella società. La posizione sociale di rilievo viene quasi sempre conquistata grazie al talento letterario del soggetto” - punto quest’ultimo che ci fa pensare all’importanza che ebbe per il successo di Hitler la diffusione del suo Mein Kamph ) , Ariete sulla cuspide di casa VII (= “ Presa di posizione polemica nei riguardi dell’opinione pubblica con la conseguente ostilità di quest’ultima nei confronti del soggetto”), Marte in casa VIII e in Toro (= “ Gli intenti e le aspirazioni del soggetto provocano le reazioni ostili del mondo, egli a sua volta si compiace nel criticare la società, le correnti spirituali, le dottrine morali o concezioni scientifiche del proprio tempo oppure contribuisce a riformarle”). Noi sappiamo che, nonostante l’iniziale ostilità dell’opinione pubblica, Hitler ottiene il potere , e sappiamo anche che, poco tempo dopo averlo ottenuto, lo perde. Anche questo risulta dall’oroscopo e precisamente da Saturno in Leone e in casa X (= “Saturno nel campo decimo, anche collocato in segni diversi dal Leone, è sempre indice di una caduta da cime precedentemente raggiunte. Tale prospettiva appare qui particolarmente tragica perché il rovescio della posizione sociale seguirà ad un’ascesa molto brillante e pertanto il soggetto ne risentirà tanto più dolorosamente gli effetti”).

Hitler: analisi grafologica di P.Moretti Il Moretti giudica l’intelligenza del soggetto la cui scrittura gli è sottoposta per l’analisi (e noi sappiamo che si tratta di Hitler) “quantitativamente sopra la media ; qualitativamente originale in modo spiccato”. “Il soggetto riuscirebbe bene per facoltà filosofiche, nelle quali sarebbe capace di formare un nuovo sistema”. Il soggetto però tende all’errore per la stessa “fluidità del pensiero e della comunicativa”. Il “soggetto” viene dal Moretti paragonato “ad un’auto da corsa che corre, sia pure precipitando, con una destrezza meravigliosa sicchè supera gli altri nella corsa e di conseguenza si trova vincitrice” . Quella del soggetto “ è in sintesi un’intelligenza potente, capace di rivoluzionare concezioni ed idee con gran pericolo di incappare nell’errore”. Il carattere del soggetto è “fondato su di un temperamento di stragrande autostima per la disposizione del sentimento all’altruismo , al risentimento e alla reazione legittima, alla tenacia, alla profondità di pensiero, alla destrezza e raffinatezza di discussione, alla comprensione psicologica, principalmente alla scioltezza e alla fludità del pensiero e della parola e alla spiccata laconicità con cui riesce freddare l’avversario”. Lenin

Appunti biografici su Lenin

Nascita, famiglia d’origine, giovinezza

Vladimir Ilic Uljanov nasce il 10-4-1870 nella regione del Volga. Il padre è un ispettore scolastico molto apprezzato, ammesso per i suoi meriti alla nobiltà ereditaria.La madre è figlia di un ricco medico tedesco (sembra di origine ebrea) . Marisa Paltrinieri ( Pro e contro Lenin , Mondadori) : “I genitori di Vladimir erano una coppia affiatata. Progressisti quanto basta per essere nel contempo amanti dell’ordine e delle istituzioni, benestanti, affezionati alla loro comoda casa e alla bella tenuta in campagna, gli Uljanov erano tipici rappresentanti di quella borghesia e di quella intellighentia che il loro secondo figlio maschio avrebbe ben presto spazzato via dalla terra russa. Vladimir Ilic Uljanov, il futuro lenin, ebbe un’infanzia e una adolescenza perfettamente felici e quindi senza storia” . Il padre muore (per emorragia cerebrale – la stessa malattia che porterà alla tomba il figlio) quando Lenin ha 18 anni. Lenin ha 5 fratelli: Anna e Aleksandr, maggiori; Olga, Dimitri, Maria, minori. La sorella Anna sarà a lui legata da un affetto “un po’ tirannico e esclusivo” (M. Paltrinieri, Op.cit ..p.28) : moglie e sorella faranno a gara nel coccolarlo. Aleksandr , il fratello maggiore, verrà impiccato quando Lenin avrà 19 anni, per aver attentato alla vita dello zar. Questa morte segnerà profondamente la vita di Lenin. In seguito alla condanna di Aleksandr (condanna considerata dai “benpensanti” infamante) la famiglia Uljanov subirà l’ostracismo sociale e incontrerà qualche difficoltà economica. Ascesa sociale- Avvocato, Lenin, fallisce nella professione : pochi clienti, molte cause perse. E’ storia nota invece la sua rapida ascesa nel mondo della politica : a quarant’anni è capo indiscusso di un potente partito politico, il bolscevico. A quarantasette è capo indiscusso della Russia. L’ascesa, peraltro, avviene con dure lotte (sia contro il regime zarista sia contro i partiti e i movimenti che, pur antizaristi, non condividono le sue idee). Conosce più volte il carcere ( ma la detenzione più lunga dura un anno), è confinato in Siberia (3 anni), per lunghi periodi di tempo è costretto a vivere in esilio (in varie città d’Europa: Ginevra, Parigi, Londra…). Nella sua attività politica corre rischi di vita : nel 1907, mentre, braccato dalla polizia, attraversa il mare ghiacciato per rifugiarsi all’estero, il ghiaccio si rompe e lui annaspa nell’acqua; nel 1918 viene ferito gravemente in un attentato. Rapporti con le donne- La moglie è una compagna di lotta politica: “ Tra gli attivisti marxisti di Pietroburgo il giovane Lenin incontrò anche la ragazza che sarebbe presto diventata sua moglie: Nadezda Konstantinovna Krupskaia. Si incontrarono ad una riunione in cui Ilic si era fatto notare per una delle sue battute sarcastiche. Si stavano progettando comitati di istruzione popolare e si discuteva di letteratura, arte e simili argomenti. Erano tutti accalorati, finchè il risolino di Lenin investì tutti come una doccia fredda : “ Se credete davvero di combinare qualcosa con questi sistemi, fate pure, accomodatevi”. La Krupskaia rimase colpita da quella frase, che la costringeva a guardare con occhi nuovi molte sgradevoli realtà. Volle saperne di più, cercò la compagnia di Uljanov, lo incontrò spesso, finchè divenne la sua più fidata collaboratrice” (M. Paltrinieri, Op.cit .) Quando Lenin fu confinato in Siberia, la Krupskaia lo raggiunse; avrebbero voluto semplicemente convivere senza essere legati da nessuna pastoia legale, ma la polizia zarista, per autorizzare la loro convivenza , pretese il loro matrimonio ( e per di più in chiesa) La Krupskaia, angelo del focolare: “ Nadezda Kostantinovna Krupskaia ha, nella vita di Lenin, un’importanza singolare: vi rappresenta una parte che dovrebbe sorprendere coloro i quali vedono in Lenin il Gengiskan della rivoluzione proletaria. Donna energica e d’intelligenza virile, dagli occhi chiari, a fior di testa, dallo sguardo dolce e lento, dalle labbra grosse e pigre, dallo spirito calmo e limitato, dal carattere paziente e risoluto, Nadezda Konstantinovna non sarà soltanto la segretaria di quel rivoluzionario di mestiere, la sua collaboratrice devota e instancabile, ma la sua donna nel senso più borghese della parola, colei che dovunque, tanto a Semnscenskoie quanto a Londra, a Parigi, a Zurigo, negli anni tristi dell’esilio e nelle tragiche giornate della rivoluzione veglierà sulla salute di Lenin, sul suo lavoro, sul suo riposo, sulle sue distrazioni, gli creerà un focolare modesto ma tranquillo, un clima di confidenza e di felicità familiare” (Curzio Malaparte, Lenin buonanima , Vallecchi, 1962). Ma il vero amore di Lenin fu Inessa Armaud, una francese che, dopo inutili tentativi di conciliare la famiglia con le sue aspirazioni rivoluzionarie , a venticinque anni era venuta ad un sereno accordò con il marito: lasciò la casa e i figli e si dedicò completamente alla rivoluzione. Di tale amore la Krupskaia era informata : “Non solo gli amici della vecchia guardia, ma anche la Krupskaia era al corrente del legame di Ilic con Inessa. Lui stesso glielo aveva confessato, obbedendo ai principi dell’etica rivoluzionaria, e i due coniugi avevano discusso il problema con franchezza e serenità. Lei, Nadezda, aveva subito proposto al marito di andarsene, per lasciarlo libero di dedicarsi ad Inessa. Ma Ilic le aveva chiesto di restare: malgrado l’amore per l’ardente francesina, era troppo importante – e rassicurante – per lui quel cantuccio di domestica serenità che la moglie aveva saputo costruirgli intorno con materna abnegazione” (M.Paltrinieri, Op.cit .,p.62) La morte (per tifo) di Inessa nel 1920 fu un durissimo colpo per Lenin. Ricorda Angelica Balanoff (cfr. M. Paltrinieri, Op,cit ): Lenin al funerale di Inessa appariva “sconvolto dalla disperazione. Non lo vidi mai come quel giorno” . E Alessandra Kollontai, una bolscevica della vecchia guardia: “ Perduta Inessa, non trovò più gusto nella vita. La scomparsa di lei affrettò lo sviluppo della malattia, che in breve tempo l’avrebbe distrutto” (cfr.sempre M. Paltrinieri, Op.cit .) Dall’amore di Inessa e Lenin secondo alcune voci sarebbe nata una bambina. Vita domestica di Lenin- L enin è uno studioso capace di passare ore ed ore sui libri, e, come molti studiosi, ha un fragile sistema nervoso: pertanto “ la privacy in pantofole è indispensabile a Ilic per ritemprarsi, per distendere i nervi troppo sensibili: riuscirà a costruirsela, e a difenderla, anche nei momenti più avventurosi della sua vita” (M. Paltrinieri, Op.cit.). Sulla tranquillità di Lenin vegliava un gruppo di donne a lui affezionate e devote: la moglie, la sorella, la suocera. : a Lenin “era troppo prezioso il tempo perché potesse lasciarsi importunare da qualsiasi ignoto visitatore. A essere ricevuti senza preavviso erano solo i membri del Comitato centrale venuti dalla Russia. Per tutti gli altri, moglie e suocera si incaricavano di trar fuori ora una scusa, ora un’altra: “è uscito, è occupato, non può ricevere” ( da, I miei colloqui con Lenin , di Nicolaj Valentino, Il Saggiatore, 1969). Ma la serenità familiare era anche dovuta alla capacità di Lenin di armonizzarsi con le persone della sua famiglia e di evitare le inutili contrapposizioni: il “tranquillo equilibrio del suo comportamento personale” stupiva gli amici abituati al “fanatismo rivoluzionario delle sue idee” :”Le sue esecrabili abitudini borghesi andavano ben oltre la tovaglia bianca : quando salutava sua madre, Vladimir quasi sempre le baciava la mano” (da, Adam B. Ulani , Lenin e il suo tempo , Vallecchi, 1967). Sempre sul comportamento “diplomatico” di Lenin in famiglia :”La nuova condizione di “coniugato”, aveva anche vari lati negativi. Prima, Ilic era uno scapolo soddisfatto dei suoi studi, sempre disponibile per una passeggiata lungo il fiume o tra i boschi. Poi, due donne si incaricarono di organizzargli l’esistenza. E di quelle due, una, la suocera, Elisaveta Vassilievna, ha la lingua tagliente ed è una bigotta. Tuttavia, le cose non precipitano, Lenin è troppo freddo e controllato per lasciarsi invischiare in una lite. Ricorre spesso ai mea culpa, tirandosi la barba con comica indignazione. Poi si inchina deferente e si toglie dai piedi” (M. Paltrinieri, Op.cit .,p.29) Carattere di Lenin- E’ un uomo metodico, disciplinato – ecco come parla Gerald Walter ( Lenin , edizioni Albin Michel, Parigi, 1971) della sua vita in carcere: “ Per quel freddo pianificatore che è Lenin, anche il carcere può offrire dei vantaggi. Lui lo considera una pausa utile per rimettersi in sesto. Soffriva di stomaco e non aveva mai tempo di curarsi, in libertà. Adesso può finalmente seguire regolarmente la dieta ferrea che gli aveva consigliato un medico svizzero, parecchio tempo prima. Il mal di denti lo tormentava spesso, e si fa concedere l’autorizzazione a farsi curare da un dentista privato. Lunghi sonni, ginnastica e, contro la noia, letture ricreative, traduzioni, e un lavoro d’impegno: la stesura del primo dei suoi libri fondamentali : Lo sviluppo del capitalismo in Russia ” Nelle cose di danaro era onesto. Tutti i fondi (assai considerevoli) del partito erano depositati in banca, sotto il nome di Uljanov. “Ma il conto in banca non costituì una tentazione per Lenin, che visse sempre accontentandosi del minimo indispensabile. Campava con i magri proventi tipici dell’intellettuale emigrato : conferenze, traduzioni, qualche aiuto da casa,ecc.” (M.Paltrinieri, Op.cit .,p.609) . Però era uno spregiudicato diffamatore : Angelica Balabanoff (in, Lenin visto da vicino , editori Riuniti, 1959) : “Durante una riunione dell’Internazionale, suscitò il mio stupore la consuetudine di Lenin di tacciare di tradimento, di disonestà, di subornazione persone notoriamente oneste e disinteressate. Pregai Lenin di spiegarmi la cosa ed egli, alquanto indispettito , mi rispose che per conquistare il potere bisognava usare tutti i mezzi. “Anche quando sono disonesti?” ribattei io. “E’ onesto tutto quello che si fa nell’interesse della causa proletaria” concluse Lenin con tono impaziente, avviandosi verso l’uscita”. Lenin era chiaro, preciso nel suo parlare (ma non sopportava le contraddizioni!): ecco come Kniazev descrive (nelle su memorie) una sua conferenza: “Aveva l’aria severa e sembrava desse sempre ordini. Il suo discorso fu serio, le sue spiegazioni precise e chiare. Dava l’idea di non poter sopportare di essere contraddetto (….) Parlò per due ore, ma l’ascoltammo senza sforzo, spiegava tutto quello che non ci pareva chiaro. Confrontandolo con altri conferenzieri che avevamo avuto, ci accorgemmo subito che questo era altra cosa. Quando se ne andò, mi chiesero. “Chi è? Parla da padreterno e va diritto al sodo….” . L’aspetto di Lenin: “La faccia colpiva nell’insieme per una specie di amalgama di spirito e grossolanità, direi addirittura di animalità. Spiccava la fronte intelligente, ma superba; il naso carnoso…..Qualcosa di ostinato, di crudele nei lineamenti, insieme a una indubbia intelligenza….Vladimir Ilic era calvo a 21-22 anni” (Vodovozov, La mia amicizia con Lenin ) Morte di lenin. Dovuta ad un’emorragia cerebrale, che, nel giro di due anni, lo porta, prima, all’invalidità, e, poi, alla morte. Negli ultimi mesi di vita non poteva più scrivere e aveva gravi difficoltà a parlare. Tentava ciò nonostante di dirigere ancora il suo partito.

Oroscopo di Lenin

22 .04 .1870 - 21h 42m LMT - 18h 28m GMT Simbirsk, Russia Ascendente Scorpione, Sole in Toro

La disposizione dei pianeti nella carta del cielo di Lenin crea la c.d. “forma a secchio” : in questo tipo di carta del cielo tutti i pianeti si trovano in un limitato settore dell’oroscopo, salvo uno che si trova nella parte opposta alla loro e quasi in una sorta di contrapposizione dialettica con loro. Questo tipo di oroscopo è caratteristico di quelle personalità (come Hitler, come Rasputin) che hanno una grande attività ma non dispersiva bensì tutta concentrata nella realizzazione di uno scopo: di quale natura? Questo lo dice all’astrologo il pianeta in posizione isolata : è questo pianeta che indica il target a cui mira il soggetto , il punto verso cui tutte le sue energie sono per così dire canalizzate. Nel caso di Lenin la maggior parte dei pianeti si trova nella parte dell’oroscopo posta sotto la linea dell’orizzonte, cioè nella parte dell’oroscopo che riguarda la vita segreta e nascosta di una persona. Ciò può apparire strano nel caso di chi, come Lenin , ha inciso in modo così rilevante nella storia del suo Paese e del mondo. Ma la stranezza scompare se si riflette che Lenin svolse, sì, una intensissima attività politica, ma per la maggior parte in clandestinità .Tale attività , che ribolliva all’interno , nel segreto, certamente mirava a sboccare all’esterno in qualche cosa: che cosa? Ce lo dice il pianeta isolato nell’oroscopo di Lenin, che, vedi caso, è Urano: il pianeta del cambiamento violento, della rivoluzione. Le grandi capacità del “rivoluzionario” Lenin sono attestate da : Sole congiunto a Mercurio (= “Individui che possono vantare concezioni chiare e approfondite, una facoltà di giudizio spassionata, doti di un' intelligenza costruttiva in genere"), Mercurio sestile a Urano (= “Pensieri ed intuizioni originali che contribuiscono a risolvere i problemi della vita pratica” ) , Mercurio congiunto con Plutone (= “ Acutezza di giudizio. Dono di osservazione”), Marte trigono a Saturno (“Decorso di vita caratterizzato da molte lotte. Sopportare e non farsi scoraggiare, tale potrebbe essere il motto di questi individui”), Saturno trigono a Nettuno (“Notevoli risultati ottenuti con indagini scientifiche svolte nella solitudine”), Urano sestile con Plutone (= “ Scoperte tecniche e rivelazioni scientifiche che aprono nuove prospettive”). Non c’è da stupirsi se la maggior parte degli elementi rimandano, più che a una capacità organizzativa e decisionale di Lenin, a una sua capacità di elaborare, in forme adatte alle necessità dei suoi tempi, idee rivoluzionarie: infatti è noto che Lenin influì sul corso della storia, indirizzandolo in un senso rivoluzionario, soprattutto attraverso i suoi scritti. Erano tali scritti a procurargli una schiera di devoti seguaci (pronti a dare pratica attuazione alle sue direttive); ciò trova riscontro nei seguenti elementi della sua carta del cielo : Leone in campo IX (= “ Grande forza d’attrazione e nel contempo la possibilità di vedersi circondato da una schiera di sinceri ammiratori disposti ad ogni sacrificio pur di mostrasi degni dei legami spirituali col soggetto. Le opere e le azioni di questi individui sono atte a sbalordire la società, ma anche a provocarne la radicale opposizione” ) , Nettuno in Ariete e casa V (= “ Ideali politici o sociali d’intonazione romantica che vengono trasmessi ai figli o ai discepoli”). Ma che dice l’astrologia sul carattere morale del rivoluzionario Lenin ? Più male che bene. Risulta, sì , che egli ispira la sua azione a nobili ideali (Leone in casa IX = “Nobile concezione di vita che si rispecchia in tutte le azioni” ), risultano, sì, aspetti simpatici del suo carattere (Venere congiunta a Urano = “ Animo sereno che irradia una forza di attrazione non comune” ;- Venere sestile con Plutone = “Vita affettiva raffinata. Senso estetico e in conformità ad esso aspirazione all’armonia del proprio intimo e di tutti i legami che uniscono il soggetto al mondo esterno”); ma risultano anche : Sole quadrato a Luna (= “ Intimi contrasti specie fra sentimento e ragione. Spesso carattere poco simpatico”), Sole congiunto a Marte (= “ Individui senza ritegno che facilmente perdono il controllo dei propri moti d’animo e in tali stati commettono azioni violente e insensate”), Marte quadrato a Urano (= “ Fanatismo e intolleranza. Accessi d’ira. Modi di fare privi di ogni scrupolo”), Urano quadrato Nettuno (= “ Intima confusione. Il soggetto soggiace a cattivi influssi e si lascia facilmente abbindolare”). Roosvelt

Appunti biografici su Roosevelt

Nascita e famiglia d’origine-

Franklin Delano Roosevelt nacque il 30 gennaio 1882 nello Stato di New York. Da generazioni i Roosevelt erano audaci e abili uomini d’affari e avevano ammucchiato una enorme fortuna: “ Anche se non paragonabile al patrimonio lasciato da un Cornelius Vanderbilt e valutato più di 72 milioni di dollari, quello dei genitori di Franklin Delano Roosevelt, assommante a 1300.000dollari, era pur sempre cospicuo in un’epoca in cui il reddito medio annuo di un operaio non arrivava a 500 dollari” (Frank Freidel, Franklin D. Roosevelt , Little Brown and Co., Boston, 1952). Naturalmente la famiglia Roosevelt aveva numerose e potenti aderenze (quando Franklin si sposò, fu il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt , a condurre la sposa all’altare !) Franklin fu figlio unico. Il padre gli morì che aveva circa 19 anni. La madre ebbe sempre un atteggiamento possessivo nei suoi riguardi . Ascesa sociale. “Negli studi Roosevelt non brillò. Quali doti dimostrò che facessero presagire il suo destino presidenziale? Nessuna, se si eccettua la statura alta” (R. Margotta, Pro e contro Roosevelt , Mondadori) Studiò legge e nel 1907 cominciò ad esercitare l’avvocatura; ma in tale professione non brillò : “Forse Roosevelt non fu mai un buon avvocato perché l’attento esame delle scartoffie lo annoiava. Egli stesso riconobbe di essere più un businessman, un uomo d’affari, che un avvocato” (R. Margotta, Op.cit., p.44). Dove invece ebbe rapido successo fu nella politica : nel 1913 è già sottosegretario alla marina; nel 1928 è eletto governatore dello Stato di New York, nel 1932 è già presidente della Repubblica , carica che mantiene fino alla morte. Tanto più sorprendente è tale ascesa politica dal momento che nel 1921, cioè all’età di 39 anni, Roosevelt fu colpito da una grave forma di poliomelite, che gli paralizzò le gambe. Rapporti con le donne e con la moglie. A 23 anni sposa, contro la volontà della madre, Anna Eleonor Roosevelt (sua cugina in quinto grado). Sembra che ne fosse innamorato. Se così fu, tale amore durò poco. Forse per il carattere di lei: Eleonora , che “da bambina era stata soprannominata “Granny” , la nonnina, tanto era schiva, seria e pensierosa, da adulta divenne invadente e, secondo alcuni, scocciatrice” ( Mary Homaday, in “ Christian Science monitor”, 24 giugno 1936). Fin dalla luna di miele Franklin preferisce lo sport alla moglie: “ Secondo la vecchia usanza dei sani egoisti, Franklin ogni tanto lasciava sola Eleonor coi bambini, partendo d'’estate con i suoi antichi condiscepoli per un viaggio di alcune settimane lungo la costa, sulla sua barca, dove riuniva le funzioni di capitano, cuoco, pescatore. I giuochi sportivi, che per lui significavano tanto, restavano quasi estranei a lei, e già nel viaggio di nozze le toccò di vederlo fare una gita in montagna in compagnia di un'altra, perché lei non ce la faceva” (Ludwig, Roosevel t, Mondadori, 1947). Roosevelt finì per innamorarsi della sua segretaria, Lucy Mercer; che la stessa Eleonor, nella sua autobiografia, definisce (forse con un po’ di disprezzo, dato che lei era una accesa femminista) come una creatura “dolce, molto femminile, un po’ all’antica nei modi ma gaia e di carattere aperto”. Fu un amore tenero e profondo, che ebbe però una dolorosa rottura quando Roosevelt fu colpito dalla poliomelite. Allora Eleonora “col marito strinse un tacito patto : l’avrebbe aiutato a tornare alla vita pubblica ed egli avrebbe dimenticato il suo grande amore, Lucy Mercer” (R. Margotta, Op.cit .,p. 419). L’idillio, che sembrava così bruscamente concluso, secondo J.M Burns ( Roosevelt: The Lion and the Fox , Harcourt, Brace and Co., New York, 1956) riprese nel 1942, allorchè il marito di Lucy, colpito da infarto, cominciò a spegnersi lentamente. “Quel ritorno di fiamma, dopo più di vent’anni, fu noto a pochi alla Casa bianca, e non a Eleonor. I due s’incontravano in una strada oltre Georgetown e si allontanavano in macchina per un paio d’ore”. Il matrimonio tra Franklin ed Eleonor, se pur non felice, fu prolifico : questa nel giro di dieci anni diede alla luce sei figli ( di cui uno morto dopo pochi mesi). Vizi e virtù. Roosevelt ebbe grande coraggio morale e forza di volontà ; doti che dimostrò soprattutto quando fu colpito dalla poliomelite. Nell’occasione, la madre, Sara, “accorse al capezzale del figlio e cercò d’indurlo a rassegnarsi all’invalidità e a ritirarsi a Hyde Park e fare il gentiluomo di campagna” (R. Margotta, Op.cit .,p. 40). Egli rifiutò e, prima, lottò per riacquistare l’uso delle gambe, poi, risultato ogni sforzo in tal senso, per poter proseguire la vita politica, nonostante la paralisi delle gambe. E ciò con grande determinazione: solo una volta, riferisce A.M Schlesinger Jr ( L’età di Roosevelt, Il Mulino, Bologna, 1967) “ la moglie lo sentì dire qualcosa che si avvicinava vagamente allo scoraggiamento. Quasi con ferocia egli guardò al futuro piuttosto che al passato, dedicandosi al compito di riacquistare la salute e riprendere la sua attività". Speculava negli affari ? Sembra di si :“Gli affari, come il poker e la politica, avevano per Roosevelt il sapore inebriante dell’avventura. Le sue iniziative commerciali erano vere e propri speculazioni. Ricavò vantaggio dall’inflazione tedesca. Nel 1922 il cambio del dollaro era di 1500 marchi, che però in Germania avevano un potere d’acquisto maggiore di quello di un dollaro negli stati Uniti. Sicché egli suggerì a una società di acquistare marchi e, con questi, azioni industriali tedesche. Nel 1924, finita l’inflazione del marco, la società liquidò il suo pacchetto di titoli tedeschi realizzando un guadagno netto del 200 per cento” (R. Margotta, Op.cit .,p. 43). Jesse h. Jones afferma ( Fifty Billion Dollars , New York, 1951) che Roosevelt giocava a poker in modo temerario e senza disdegnare i trucchi, e che giocava agli affari allo stesso modo. Roosevelt aveva creato in una località termale , da lui frequentata dopo la sua malattia, un’istituzione senza scopo di lucro, la Warm Springs Foundation. A proposito di questa, Ludwig ( Roosevel t, Mondadori, 1947) scrive che “ammalati e paralitici si affollavano attorno a Roosevelt quasi fosse un santo che potesse ridare la salute”. Ma quando divenne presidente, Roosevelt, fu attaccato da un estremista di destra, leader delle “camicie verdi” , il quale affermò , in un libello, che il ricavato dei balli organizzati a scopo benefico ogni anno in occasione del genetliaco del presidente non andava affatto alla Warm Springs Foundation, ma finiva nelle tasche del suo presidente (William Dudley Pelley, Cripples’ Money , Asheville, 1939). L’autore del libello fu denunciato per diffamazione, ma il sospetto rimase. Roosevelt era un uomo politico corrotto ? Molti sostengono che Roosevelt protesse la malavita . Lo ammette, pur se ne tenta una giustificazione, anche Prezzolini ( Tutto America , Vallecchi editore, Firenze, 1958 ) : “ Anche gli uomini politici superiori non hanno mai ignorato la connivenza con la malavita e, se non se ne sono serviti, non l’hanno però presa di petto. Franklin D. Roosevelt non poteva non sapere che la Tammany Hall, che eleggeva i deputati del suo partito, proteggeva, senza compromessi, quest’ordine di cose a New York”. Del resto non figuravano tra i maggiori alleati di Roosevelt nella lotta per la Casa bianca, Tom Pendergast, boss democratico di Kansas City, che si era arricchito fraudolentemente col cemento e la cui cricca era anche impegnata con le bische e la prostituzione, e James M. Curley, sindaco di Boston, finito successivamente sotto inchiesta per abusi vari ? Cfr. R.Margotta, Op.cit .,p.59. Roosevelte era un buon oratore? Secondo la moglie Eleonor ( Author Meets the Critics , New York, 1950) non lo era per nulla. Ella andò a sentirlo a un comizio e, ogni volta che egli faceva una pausa, temeva che non riuscisse più ad andare avanti. Però Roosevelt fu maestro nell’usare lo strumento della radio. I suoi discorsi alla radio risultarono un mezzo di propagande efficacissimo. Morte. “Il presidente Roosevelt morì improvvisamente giovedì 12 aprile a Warm Springs, Georgia. Aveva 63 anni. Nel pomeriggio, mentre posava per un ritratto, ebbe un repentino collasso, e morì poche ore dopo senza aver ripreso conoscenza” (Churchill, La seconda guerra mondiale , XII vol., La cortina di ferro , Oscar Mondadori, 1970). Oroscopo di Roosevelt

30 01.1882 - 20h 45m LMT - 01h 35m GMT Hyde Park / My, USA Ascendente Vergine, Sole in Aquario

L’astrologo deve distinguere il Roosevelt-uomo-pubblico e il Roosevelt-uomo-privato. Parlando del primo, la cosa che più balza agli occhi e che subito si deve rilevare è il concentrarsi di quasi tutti i pianeti nella parte più alta della carta del cielo, vicino o abbastanza vicino al medium coeli : nella parte cioè che indica la nostra attività pubblica, sotto gli occhi della gente : certamente il soggetto analizzato non può essere che una persona la quale si realizza in quei rapporti che avvengono coram populo, davanti a tutti : una persona che vive alla ribalta. Ma sulla scena della vita si può recitare la parte del vinto o del vincitore : Roosevelt evidentemente ha scelto questa seconda parte: egli é un lottatore (Marte in Gemelli e in casa X = "I doni dell'intelligenza e le migliori qualità del carattere trovano qui un prezioso complemento nella forte volontà che spinge questi individui a realizzare con risolutezza tutte le possibilità della propria esistenza. L’insieme della vita è quindi caratterizzato da atteggiamenti combattivi”); e, quel che più conta (soprattutto per lui che è un ambizioso) , egli è un lottatore che ha successo, e questo, non solo per gli aiuti e gli appoggi che gli dà la famiglia (Sagittario sulla cuspide di casa IV = “Genitori agiati e benessere in famiglia propria” – Giove in Toro e in casa VIII = “ Le ricchezze eredidate risparmiano al soggetto ogni preoccupazione”), ma anche per le sue qualità personali ( Mercurio in Acquario e in casa V = “Idee e trovate originali” – Plutone in Toro e in casa IX = “ E’ quasi sempre indice di personalità eccezionali che con slancio geniale ed ammirevole energia compiono opere di massima utilità” – Mercurio trigono a Marte = “Intelligenza viva e facoltà acuta d’intenditore. Abilità, loquacità, forza di persuasione” – Giove trigono a Urano =” Forza di attrazione e idealismo suscettibile di far radunare attorno al soggetto un notevole seguito” ). Ma se Roosevelt è un lottatore, per che cosa lotta ? Il suo Sole in Acquario (cioè nel segno tipico di coloro che sognano una palingenesi del mondo) e Urano ( il pianeta delle violente rotture, delle rivoluzioni) all’ascendente , danno all’astrologo la facile risposta: egli lotta per cambiare il mondo, per cambiarlo in senso progressivo. E a ciò Roosevelt è portato anche dal suo spirito ribelle ( Giove quadrato a Sole) e forse da un astio verso i genitori (Saturno in Toro e in VIII casa: “Opposizione sistematica contro i genitori”). E con ciò veniamo a parlare di Roosevelt-uomo-privato. Qui troviamo il rovescio della medaglia di quanto prima detto. La famiglia aiuta, sì , Roosevelt ma anche lo opprime e lo condiziona: Acquario sulla cuspide di casa VI (= “La pace familiare viene continuamente turbata da interventi di parenti e di terze persone senza che il soggetto sia in grado di rimediarvi”), Nodo Lunare in casa III (= “Rapporti con fratelli e sorelle che ostacolano l’evoluzione spirituale del soggetto o gli sono di peso”) , Luna in Cancro e in casa IX (= “La madre ha una parte non indifferente nella vita del soggetto” – e il quadro complessivo dell’oroscopo fa pensare che sia stata una parte “ eccessiva e soffocante”). E l’amore? fu fortunato Roosevelt in amore? L’astrologo (concordando con lo storico) dice di no: Capricono sulla cuspide di casa V (= “Non è un indice favorevole per la vita affettiva. Questi individui sono inclini ad analizzare ogni moto del proprio animo, a sviscerare ogni sentimento; sono sempre tormentati da dubbi riguardo ai loro legami intimi e finiscono per spezzarli dopo averli spontaneamente stretti”) , Venere in quadrato con Saturno (= “Poca fortuna o per lo meno condizioni logoranti di vita coniugale”). Quanto al matrimonio con la cugina Eleonora, la casa VII (la casa che appunto riguarda i rapporti col coniuge) bella e vuota (come se in quel settore nulla accadesse di rilevante e di interessante per il soggetto) la dice lunga sull’importanza che tale matrimonio ebbe per Roosevelt : contò pressochè zero! E circa la malattia, la poliomelite , che colpì così atrocemente Roosevelt, che prevedeva la sua carta del cielo ? Prevedeva che “ per quanto riguarda la salute, sono probabili malattie di lunga durata, per lo più inguaribili” (interpretazione di Sementovski della combinazione tra ascendente in Vergine e Sole in Acquario ) e che il soggetto avrebbe sofferto di “ un’eccitazione nervosa che si sarebbe ripercossa sulle funzioni dell’intero organismo”. Ciò, d’accordo, non è prevedere con precisione la poliomielite, ma significa….andarci molto vicino.

Sezione quarta

Oroscopo e analisi grafologica di sedici grandi personalità

Mussolini

Oroscopo di Mussolini

Come Napoleone I , Mussolini ha l’ascendente nello Scorpione e il Sole nel Leone : il suo temperamento ha quindi molto in comune con quello dell’Imperatore che esportò la rivoluzione in Europa. Però , mentre l’oroscopo di Napoleone I indica una personalità portata alla distruzione e alla autodistruzione , quello invece di Mussolini merita il giudizio del Von Klokler ( Corso di astrologia, vol II, Ediz. Mediterranee ) che di seguito riportiamo : “ L’oroscopo di Mussolini, ricco di trigoni e di sestili, ha un’impronta d’insieme fortemente armonica che grazie ai numerosi rapporti angolari, determina prestazioni socialmente positive”. Riportiamo alcuni aspetti ( positivi e negativi ) che caratterizzano l’oroscopo di Mussolini . Aspetti positivi: Sole in Leone e in IX = “ Sforzi continui per conseguire il proprio intimo perfezionamento. Nobile concezione di vita che si rispecchia in tutte le azioni. Grande forza di attrazione e nel contempo la possibilità di vedersi circondato da una schiera di sinceri ammiratori disposti ad ogni sacrificio pur di mostrarsi degni dei legami spirituali col soggetto”. Sole sestile Luna = “ Natura equilibrata. Facile ascesa sociale”. Sole sestile Saturno = “ Persone serie con uno sviluppato senso del dovere”. Luna sestile Mercurio = “ Buon senso. Senso sviluppato per le esigenze pratiche della vita”. Mercurio in sestile con Saturno = “ Precisione e coerenza . Laboriosità”. Venere congiunta a Giove = “ Armonia interna . Vita affettiva raffinata e nobile concezione di vita. Trattamento generoso e amorevole dei propri simili”. Giove sestile Urano = “ Perspicacia. Interesse per molti essenziali problemi della vita, specie per questioni sociali”. Giove sestile Nettuno = “Amore del prossimo. Molti amici ovunque nel mondo”. Nettuno trigono Urano = “ Personalità eccezionale. Trovate e ispirazioni originali. Ampie vedute”. Con ciò abbiamo riportato gli aspetti positivi della personalità di Mussolini; passiamo ora a indicare alcuni degli aspetti negativi della sua personalità: Luna in Gemelli e in VII = “ Mentre la natura fondamentale di questi individui è incline ad abbandonarsi a moti sentimentali e atti impulsivi, la loro posizione sociale impedisce manifestazioni ed espressioni del genere costringendoli a ponderare con massima prudenza ogni decisione che intendono prendere, ogni mossa che sentono di dover fare. Pertanto il loro operare nei confronti del mondo esterno non può non essere motivo d’intimi conflitti che a loro volta li portano a commettere errori anche gravi e a compiere azioni irragionevoli poiché di quando in quando non riescono a superare il contrasto fra le forze in atto della propria natura”. Mercurio in Leone e in IX = “ Una spiritualità messa in certo qual modo in mostra con gesta e parole persuasive, ma alla quale in realtà manca una vera profondità”. Saturno in Gemelli e in VII = “Relazioni d’affari utili oppure – qualora si tratti di persone che hanno una parte nella vita culturale – rapporti d’amicizia con i rappresentanti maggiori di quest’ultima che si risolvono a vantaggio del soggetto”. Urano in Vergine e in X = “ Azioni rivoluzionarie o comunque di vasta portata, specie sul piano sociale o politico . Dinamismo creativo che cela il pericolo di sopravalutare le proprie possibilità”. Nettuno in Toro e in VII = “ Può essere indizio di aspirazioni romantiche protese verso la rivalutazione di valori tradizionali ; non è improbabile che il soggetto nel realizzare i propri intenti cada vittima di oscure mene o addirittura di un attentato alla vita; non deve fidarsi incondizionatamente di nessun collaboratore”. Plutone in Gemelli e in VII = “ A volte questi individui magari si chiedono, in quale modo riescano a contenere, anzi a sopportare la pienezza della propria natura, tutta l’esuberanza di pensieri, di idee, d’iniziative, ecc. che li muovono. Il soggetto finisce per elevarsi molto al di sopra dell’ambiente in cui è nato, ma all’inizio dell’ascesa sociale è incline ad adoperare mezzi indegni” . Luna congiunta a Saturno = “ Impedimenti psichici, diffidenza e a volte incapacità assoluta di esternare il proprio intimo, spingono questi individui nella solitudine o li isolano anche in mezzo ad una famiglia o comunità. Tutti gli interessi e tutte le aspirazioni si concentrano sulla persona stessa del soggetto ; solo il suo io ha importanza e valore”. Marte congiunto a Saturno = “ Testardaggine e boria. A volte pare che l’energia di questi individui sia paralizzata, ogni attività mentale spenta. S’impuntano a non voler vedere certe cose, si rifiutano a pensarci sopra. Spesso odiano i propri simili e finiscono per odiare se medesimi”. Riportiamo di seguito i giudizi di due grandi astrologi su Mussolini. Giudizio di Von Klokler ( Corso di astrologia , vol. II , Edizioni Mediterranee) : “L’oroscopo di Mussolini, ricco di trigoni e di sestili, ha un’impronta d’insieme fortemente armonica che, grazie ai numerosi rapporti angolari, determina prestazioni socialmente positive”. L’altro giudizio, di cui non ci risulta l’autore, è interessante perché fu pubblicato nelle Effemeridi di Raffael del 1927 e prevede la morte violenta del Dittatore. Eccolo ( nella nostra traduzione dall’inglese): “Ogni tanto e di nuovo il mondo vede dei Dittatori, Napoleoni e Kaisers sorgono tra di noi, e c’è una curiosa affinità nelle loro stelle. L’osservazione mi ha convinto che questi potentati hanno un forte legame tra le loro stelle e il meridiano del loro paese. Il meridiano dell’Italia nel tempo presente è sotto l’influenza del 20° grado dei Gemelli e della grande stella fissa “El halh” della natura di Marte. Una comparazione delle due figure è illuminante per il destino dell’Italia perché Mussolini ha Marte dominante in congiunzione con Saturno e Luna nel segno dell’Italia (Gemelli). Nel cielo di natività del Duce, Saturno, Sole e Luna ci si presentano in quadratura con Urano, così che noi possiamo prevedere una resurrezione politica del pugno di ferro, del sangue e del ferro nelle acque del mediterraneo e in definitiva egli porterà guerra, disastri e rovina al suo paese. Per il momento ha il suo Medio cielo prossimo alla congiunzione di Venere e Marte, ciò che gli apporterà aiuto, potere e rimarchevole successo e popolarità – il che è però per il momento. Di nuovo il pericolo di morire assassinato starà accanto a lui. Giove e Venere influenzano il suo ottavo e nono angolo ed egli avrà prestigio, successo ed influenza tramite segrete alleanze con la Grecia e le nazioni balcaniche. E’ probabile che egli faccia qualche fortunato raid alle spese dei Turchi, ciò che incrementerà la sua popolarità nel suo paese. Questi successi probabilmente saranno tali da portarlo a perdere il senso della realtà; e il culmine del suo egotismo sarà contrastare le Potenze di Inghilterra e di Francia, dato che il suo Saturno è congiunto con la stella Aldeharon dell’Inghilterra, mentre la sua quadratura Marte – Urano cade sul meridiano della Francia (….) Egli incontrerà una morte violenta” .

Mussolini: analisi grafologica di P. Moretti

Padre Moretti valuta l’intelligenza del soggetto la cui scrittura è sottoposta alla sua analisi ( e che noi sappiamo essere Mussolini) come “quantitativamente nella media ; qualitativamente di osservazione raffinata in modo del tutto originale”. La originalità del “soggetto” è vista dal Moretti “soprattutto nella discussione”: in questa “l’avversario, che non abbia la facoltà di penetrare la psicologia degli altri, si trova a disagio davanti a lui, in quanto che il soggetto esagera nella fortezza dell’animo, mentre se l’avversario è profondo nella pratica psicologica non può non scoprire che il soggetto è emotivo e impressionabile, e puntando sull’impressionabilità di lui riesce a distruggerlo” . Altri giudizi del Moretti sul “soggetto” : “Il soggetto gusta ogni sorta d’arte : letteratura, musica, pittura”; “Riesce per studi sociali ed ha belle doti di governo, specie per iniziativa ed organizzazione” . Il suo carattere è “fondato su di un temperamento portato fortemente all’ambizione. L’ambizione è di supervalere, di comandare, di imporre la propria idea, di stroncare l'idea altrui, di riuscire a conquistare il sesso femminile. Nell'imporsi tende a usare di audacia; se l’audacia fallisce, cade nella paura”. “Per tendenza rifugge da atti violenti, in quanto è sopraffatto dalla impressionabilità circa gli effetti che ne scaturiscono; ma l’ambizione in lui fortissima di arrivare a uno scopo può renderlo violento, nascondendo e riversando sugli altri la sua violenza con l’arte di chi sa fare” . Peraltro “ è capace di sentimenti delicati, specie quando non entrano in gioco le sue passioni”. “E’ tipo molto affettivo e anche idealista”. Però “tende a non essere sincero con se stesso e ad adoperare la sincerità o insincerità secondo che detta l’opportunismo”. Conclude P. Moretti: “Temperamento molto complesso. Uomo di grandi doti e di grandi difetti, e nei difetti ha molte attenuanti”. Cavour

Oroscopo di Cavour

10.08 .1810 - 17h 45m LMT - 17h 14m GMT Torino, Italia Ascendente Capricorno, Sole in Leone

Una qualità l’astrologo deve senza dubbio riconoscere a Cavour: quella della volontà: una volontà seria e tenace, che non si lascia scoraggiare dagli ostacoli che incontra, ma risolutamente e perseverantemente opera per superarli. E infatti in tale senso parlano numerosi elementi oroscopici; di cui di seguito riportiamo i principali con il commento del grande Sementovski : Marte trigono Saturno (= “Sopportare e non farsi scoraggiare, tale potrebbe essere il motto di questi individui”);- Sole trigono Saturno(= “Serietà, capacità di concentrazione, profondità di pensiero);- Sole trigono Luna.(= “Dinamismo psichico e fisico. Forza eccezionale di resistenza e di attrazione”);- cuspide della decima casa in Scorpione (= “Risoluto perseguire le mete prefisse”);-Luna trigono Mercurio (= “Concordanza fra sentire, pensare, agire. Operare risoluto”) . Dunque Cavour era un uomo politico dotato di grande volontà ; ma era anche un politico “lungimirante”, o, almeno , in possesso di un chiaro disegno politico ? Su questo punto l’astrologo ha i suoi dubbi. Dubbi che nascono dal fatto che, accanto a qualche elemento che indica (in Cavour) intelligenza e anche senso pratico (Saturno congiunto con Nettuno ; - Marte sestile a Giove) , ve ne sono molti altri che ci mostrano il grande ministro piemontese nell’aspetto (eretico per gli storici) di un uomo dalle idee parecchio confuse: un uomo in posizione, sì , critica verso il mondo che lo circonda (Sole opposto a Nettuno) ma senza nessuna idea chiara sul come migliorare questo mondo. E così nella carta del cielo di Cavour troviamo ( e riportiamo sempre con la spiegazione del Sementovski) : Sole in quadrato con Urano ( = “Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico”) ; - Sole quadrato con Giove (= “ Giudizi sbagliati, apprezzamenti inadeguati delle cose, persone e circostanze della vita, per lo più perché il soggetto s’impunta su opinioni preconcette o si fa guidare da incontrollabili moti d’animo”) ;- Mercurio quadrato Urano (= “Spirito irrequieto. Attività mentale intensa e continua ma affatto sistematica”). Se a tali elementi negativi aggiungiamo : Venere quadrata a Plutone ( = “Impuntature per vanità o testardaggine, su conoscenze o concezioni erronee”); Sole in congiunzione inferiore ai 3 gradi con Mercurio (= “Persona superba e intollerante” );- Marte quadrato a Urano (= “Fanatismo e intolleranza. Modi di fare privi di ogni scrupolo”) ;- Giove opposto a Saturno (= “Mancanza di sincerità e spesso addirittura disonestà”) , ebbene, se aggiungiamo alla “confusione di idee” tutti gli elementi negativi ora riportati, ne balza fuori il quadro di un ministro malfidato , di cui Vittorio Emanuele II giustamente diffidava e che molto opportunamente teneva “sotto controllo” (Sole di Cavour in campo settimo nel Leone = “Mentre il soggetto è convinto di essere superiore al proprio compagno, in realtà viene dominato o guidato da quest’ultimo, ciò che si risolve però a tutto suo vantaggio”). Ma allora che cosa assicurò il successo a Cavour (oltre al fatto di muoversi…..in direzione della corrente) ? Risposta: oltre alla sua forte volontà (di cui si è già detto), il suo saper muoversi in società, la sua capacità di procurarsi le amicizie giuste. Ciò che dalla carta risulta da: Bilancia in campo nono (= “Queste persone appartengono alla categoria di quei beniamini della buona sorte che senza fatica e ovunque acquistano simpatie”);-Mercurio in Leone e in casa ottava (= “Il soggetto volentieri si presenta in veste di oratore al pubblico : pertanto possibilità di agire sul piano politico”) ;- Sagittario in campo XI (= “Relazioni con ambienti influenti: Amicizie con persone altolocate da cui si spera trarre vantaggi”). Cavour : analisi grafologica di P. Moretti.

All’analisi grafologica l’intelligenza di Cavour appare “quantitativamente superiore; qualitativamente molto originale”. Secondo il Grafologo chi ha una scrittura come quella di Cavour: “Potrebbe essere un conferenziere magnifico, che incanta col concetto, non con la forma” ;-“Tende in tutte le cose alla sintesi” e “prima di agire ha tutta la visione dell’opera da compiere”.;- “Quando stabilisce di raggiungere uno scopo esamina tutti gli elementi” e, se ritiene che lo scopo è raggiungibile, agisce con “fermezza”,- Se durante la fase esecutiva della decisione “incontra difficoltà non previste, possiede l’abilità di virar di bordo, disponendo le cose in modo che l’animo altrui si sente vinto” ;- “Ha un’autostima giustificata e pronta ad ammettere le sue deficienze, ma pronta al tempo stesso a mettere in rilievo le proprie facoltà” ,- “ E’ quasi in perfetto equilibrio tra la tendenza alla inflessibilità e alla remissività” ,- “E’ buono ed è pronto ad accorrere dove ci sta bisogno” ;- “Tende al sarcasmo e all’ironia, però sempre cercando di non erigere barriere fra sé e chi viene preso di mira”. Carlo Alberto

Oroscopo di Carlo Alberto

02.10.1798 - 22h 30m LMT - 21h 59m GMT Torino, Italia Ascendente, Cancro, Sole in Bilancia

Che giudizio deve dare l’astrologo dello “Italo Amleto”? Non negativo, penso. Dalla carta del cielo di Carlo Alberto balza in primo piano la figura di un uomo, amante dell’arte, del bello, estremamente raffinato , che ama la compagnia delle persone di alta cultura . In tale senso : Sole in Bilancia (il segno di Venere e dell’armonia), Luna in sestile con Venere, Luna in trigono con Nettuno, Venere congiunta a Urano, la casa nona (la casa dell’alta cultura) potenziata da due pianeti ( e dominata dall’Acquario, il segno del progresso e…della rivoluzione: di che ama parlare il re con le persone di alta cultura di cui si circonda? evidentemente delle cose che nella società non vanno, che occorre cambiare). Dunque Carlo Alberto è un gentiluomo, un “gran signore” ; però è anche un po’ snob, una persona che tende a far pesare sugli altri la sua superiorità culturale e sociale (ecco come il Sementovsky definisce chi, come il nostro Carlo A. , ha il sole in quarta casa e in Bilancia: “Questi individui tendono a mettere in rilievo ad ogni occasione la propria superiorità nei confronti di altre persone”). In genere si può dire che Carlo A. , non solo è di carattere “freddo” (Saturno in sestile con Venere = persona il cui Saturno, con la sua razionalità tiene a freno la sua Venere, il suo sentimento), non solo è di carattere antipatico (Sole in quadrato con la Luna = carattere disarmonico, con ragione e sentimenti in conflitto), ma fa di tutto per irritare gli altri (ecco il significato che Sementovsky dà a Marte in quadrato con Giove : “Impazienza e mancanza di ritegno. Discorsi imprudenti”). Carlo Alberto quindi ha pochi veri amici. E tuttavia egli è una persona importante, l’erede al Trono, e quindi è circondato da una pletora di persone che cercano di strumentalizzarlo per le proprie ambizioni politiche. E questi pseudo-amici che lo circondano hanno in ciò facile gioco: Carlo A. è un ingenuo (Luna quadrata con Mercurio = “difettosa conoscenza degli altri e pertanto continue delusioni” – così Sementovsky) , animato da grandi ideali (Giove in trigono sia con Marte che con Urano) e quindi sembra fatto apposta per lasciarsi trascinare in “dubbie imprese” (ecco quel che il Sementovsky dice di chi, come Carlo A., ha il segno dei Pesci dominante in decima casa: “pericolo di lasciarsi trascinar in dubbie imprese” ed ecco quel che il Sementovsky dice di coloro che, come Carlo A., hanno Saturno in Cancro e in prima casa: “Questi individui si assumono compiti superiori alle loro forze e capacità”). Eppure di buone anzi di ottime “capacità”, Carlo A. non manca: è coscienzioso, serio (Giove in sestile con Saturno) è diligente, preciso e laborioso (Mercurio in trigono con Giove e in sestile con Saturno), ha un discreto talento organizzativo (Saturno congiunto con Urano) e, all’occorrenza, sa prendere decisioni rapide e risolute (Luna in trigono con Marte). Conclusione: un gentiluomo raffinato, colto e capace che avrebbe potuto dare molto al suo Paese solo che non si fosse lasciato trascinare dai lestofanti e dalle “teste calde” che lo circondavano.

Carlo Alberto : analisi grafologica di P. Moretti

Carlo Alberto era intelligente ? Si, e sopra la media – risponde il Moretti – e con una qualche nota di originalità . Però tale intelligenza “peccava di troppa sottigliezza e minuziosità”. Insomma Carlo Alberto era troppo pignolo. Proprio per il tipo di intelligenza di cui era stato dotato, Carlo Alberto sarebbe potuto riuscire bene, ad avviso del Grafologo, negli studi di filologia (“ in cui però avrebbe avuta la tendenza a perdersi in disquisizioni” “avendo il gusto di arguire e di mettere in imbarazzo l’interlocutore”) e in quelli di diritto ( in cui avrebbe “potuto fare osservazioni di un certo valore”), ma, naturalmente, il campo in cui sarebbe meglio riuscito sarebbe stato quello delle “statistiche, collezioni scientifiche, postille, commenti”. Un difetto dell’intelligenza di Carlo Alberto era la sua tendenza a dare su cose e persone giudizi troppo “soggettivi” : “Tende ad essere soggettivo – rileva il Moretti – per quanto abbia la tendenza all’oggettività” . Insomma Carlo Alberto voleva essere giusto nel giudicare cose, persone, situazioni, ma rischiava spesso di non esserlo affatto . Il grafologo con tutto ciò rileva in lui una “certa facoltà di penetrare l’animo umano e quindi di conoscere le esigenze dell’individuo e della collettività”. Dote questa senza dubbio importante, ma che non basta per fare un “buon uomo di governo” se non è integrata da altre facoltà : come la capacità decisionale e di non lasciarsi scoraggiare dagli ostacoli. Doti queste di cui, invece, la grafia di Carlo Alberto denuncia la mancanza : “Non è uomo d’azione” – rileva il Grafologo – e benché sia capace di “fermezza” “pure davanti agli ostacoli che non sa sormontare, tende ad affievolirsi e quindi a farsi prendere la mano” : “insomma – conclude il Grafologo drasticamente –non ha doti per essere uomo di governo”, anche perché l’esserlo non rientra nella sua vocazione : “ sta bene invece come uomo di studio, facendo l’ufficio di archeologo, di collezionista, di storico” . Garibaldi

Oroscopo di Garibaldi

04.07.1807 - 06h 00m LMT - 05h 31m GMT Nizza, Francia Ascendente Cancro, Sole in Leone

Le tristi condizioni di vita nella casa paterna (Saturno in campo IV e in Scorpione), dovute probabilmente alla condotta immorale del padre e che comunque creano attriti, se non una vera separazione, tra i genitori (Urano in campo quarto e in Bilancia) inducono Garibaldi ad abbandonare al più presto la casa paterna (Marte in campo III e in Vergine – aspetto che il grande Sementovski così interpreta: “Le condizioni spiacevoli e a volte del tutto inammissibili dal punto di vista morale che caratterizzano la vita nella casa paterna, non solo provocano l’opposizione del soggetto, ma l’inducono ad abbandonarla al più presto possibile e a rendersi indipendente”). L’indipendenza, ecco la cosa a cui Garibaldi tiene di più! Ce lo testimoniano gli aspetti che di seguito riportiamo (con l’interpretazione che ne dà il Sementovski): Luna quadrata con Marte (= “Spesso gli ultimi fini dell’esistenza non sono chiari, decisiva appare però l’aspirazione all’indipendenza e alla libertà”);- Mercurio in Leone e in prima casa(= “La coscienza di essere creature eccezionali induce questi individui, non solo a lottare per la propria indipendenza, ma una volta conquistatala, a vegliare con gelosa tenacia per non perderla di nuovo”) e last but non least, il segno del Leone occupante la prima casa. E alla ricerca dell’indipendenza Garibaldi appare mosso da due diverse esigenze : l’una commendevole e l’altra…assai meno La tendenza, diciamo così, “non commendevole” va vista nella ricerca dell’indipendenza e della libertà per meglio soddisfare i suoi bassi istinti (Luna quadrata a Plutone = “Vittima dei propri bassi istinti” ;Venere quadrato con Nettuno = “Incapacità di dominare i propri istinti” – le interpretazioni degli aspetti sono come sempre del Sementovski). La tendenza nobile e commendevole che spinge Garibaldi all’indipendenza, va invece vista nella ricerca dell’ignoto e dell’inesplorato, in genere, del “nuovo”. Tale tendenza è testimoniata da: Marte in sestile a Nettuno (chiosa Sementovski: “L’ignoto e l’inesplorato esercitano una grande attrazione su questi individui. Ricercatori e sognatori irrequieti. Amore dei viaggi in mare”);- Luna congiunta a Urano (Sementovski: “Tutto ciò che può definirsi attuale, moderno, progressivo suscita il massimo interesse”). Certamente quindi Garibaldi, anche se non è un uomo di profonda cultura, anche se ha idee piuttosto confuse (Luna quadrata a Marte; Mercurio quadrato a Urano - aspetti così rispettivamente interpretati da Sementovski: “Spesso gli ultimi fini dell’esistenza non sono chiari” “ Spirito irrequieto, attività mentale intensa e continua ma affatto sistematica”) non può ridursi al livello di un semplice avventuriero: egli infatti è capace di elaborare la massa di esperienze che la sua vita avventurosa gli procura in una concezione moderna e progressiva della società : Sole in trigono con Plutone (interpretazione del Sementovski: “La concezione di vita del soggetto fondata sulla ricca esperienza e su un sapere intimamente elaborato è conforme allo spirito dell’epoca e nel medesimo tempo apre prospettive sull’avvenire. Coraggiosa difesa delle proprie idee rivoluzionarie”). Proprio per questa sua capacità di coniugare l’amore dell’avventura con un sogno di palingenesi della società, Garibaldi è qualche cosa di più che un mercenario o un capo-banda : è il capo di un movimento di persone su cui lui sa esercitare un particolare fascino. Sul carisma di Garibaldi, testimoniano il già visto trigono tra Mercurio e Nettuno e il nodo lunare in V casa (così da Sementovski interpretato: “ A volte discepoli da considerarsi come figli”). Ma se Garibaldi è idolatrato, egli anche ama sentirsi tale: Mercurio in I casa e in Leone ( Semntovski: ”Individui che aspirano ad essere considerati come modelli degni di imitazione da parte dei propri simili e si compiacciono nel vedersi circondati da una schiera di discepoli”). Se Garibaldi non è un avventuriero, non è neanche un puro idealista. E’ anzi un uomo che vuole affermarsi nel mondo e che per questo sa lottare duramente e con serietà: Sole trigono con Saturno;- Ariete in decima (così interpretato dal Sementovski: “Con ottimismo incrollabile al quale corrisponde una coscienza altrettanto pronunciata del proprio valore, questi individui, superando tutti gli ostacoli, riescono in genere rapidamente a conquistare una brillante posizione sociale. Cambiano facilmente le opinioni, escogitano sempre nuovi progetti, ma in ultima analisi perseguono invariabilmente un medesimo scopo: la propria affermazione nella vita”).

Garibaldi : analisi grafologica di P.Moretti

Il soggetto dell’analisi grafologica ( che noi sappiamo essere Garibaldi – cosa che invece Padre Moretti, come già spiegato in “premessa” , ignorava) “potrebbe essere un condottiero di una tribù di primitivi” oppure anche il “generale d’un esercito, i cui elementi però dovrebbero dipendere in tutto e per tutto dal generale stesso. E questo perché il soggetto non ha la forza d’intelligenza necessaria a superare e coordinare le intelligenze dei sudditi e gli manca l’avvedutezza geniale richiesta da una strategia complessa. Ha piuttosto le qualità dell’avventuriero, essendo portato ad osare con temerità, sospinto e sostenuto dalla sua audacia. Si sa che una bestia feroce riesce a far strage appunto per il timore che sparge con la sua audacia; mentre se trova cacciatori ben esperti, è spacciata”. “Il soggetto potrebbe riuscire ottimo mercante di bestiame, per la inflessibilità con cui si presenta, per i lineamenti duri e come battuti sull’incudine, per cui esercita sui contraenti una forza intimidatoria, attanagliante”. Garibaldi all’analisi grafologica risulta ancora un “temperamento violentemente ambizioso: vuole sfondare, farsi avanti, imporre la sua persona o la sua azione”. Ciò non toglie che “per lo sprezzo delle disavventure cui può andare incontro, desti facilmente l’ammirazione specie nella gioventù, la quale manca quasi sempre di prudenza e circospezione”. Pio IX

Oroscopo di Pio IX

13.5.1792 - 02h 00m LMT - 01h 07m GMT Senigallia, Italia Ascendente Pesci, Sole in Toro

Pio IX aveva una vocazione sacerdotale o, come purtroppo è accaduto tante volte nella storia della Chiesa, era un “papa mondano”, una persona che era diventata papa solo per dar sfogo alla sua ambizione di potere ? A tale domanda l’astrologo deve rispondere che sì, Pio IX era effettivamente una persona dotata di una vera e sentita vocazione sacerdotale. E convincono l’astrologo a dare tale risposta vari elementi, e primi tra tutti: Nettuno (il pianeta del misticismo e della religione) in strettissima unione all’ascendente; Sole trigono con Nettuno (= “ Inclinazioni religiose o mistiche”). E quello di Pio IX non è quel misticismo torbido e “di compenso” che in certi individui si accompagna ad una vita immorale (come fu il caso di Alessandro VI, il papa Borgia ). No, in Pio IX il forte afflato religioso si sposa a una splendida personalità morale. Testimoniano di questa tra i tanti elementi : Sole congiunto a Giove (= “ Concetti nobili. Rettitudine, affabilità , generosità”), Sole trigono a Saturno (= “ Persone serie con uno sviluppatissimo senso del dovere”), Luna sestile a Giove (= “ Affermazione della vita e senso della giustizia. Franchezza, generosità, bontà”), Mercurio congiunto a Giove (=“ Sincero desiderio d’intimo perfezionamento. Prontezza nel soccorrere ed assistere i propri simili”), Marte sestile a Giove (=“ Senso pratico e rettitudine” ), Giove trigono Saturno (=“ Equilibrio interno ed esterno dovuto a concezioni chiare, profondamente sentite e assimilate”). Dunque Pio IX è un nettuniano. Ma il mistico Nettuno, che così fortemente lo marca, si trova nel segno dell’Acquario : dice qualcosa , questo , all’astrologo ? Certo che sì : ecco come parla degli individui segnati da tale configurazione il Sementovski : “ Si osserva in questi individui una pronunciata tendenza a prendere atto delle correnti contemporanee in ogni campo (….) essi si sentono attratti dai fenomeni della più spinta modernità e prendono posizione in un modo o nell’altro rispetto ai problemi di massima attualità”. Quindi Pio IX è, sì, un uomo religioso, ma non un uomo religioso che si ritira in clausura, si chiude al mondo : egli è, invece ,un uomo che vuole essere “a giorno” di tutto ciò che nel mondo si muove. Ma sarebbe ancora riduttivo pensare a Pio IX come a un semplice spirito “curioso” del nuovo; no, egli è qualche cosa di più: è un “idealista” , una persona cioè che, fattasi un’idea dei mali che affliggono il mondo, vuole intervenire in questo per modificarne (in base a tale idea) la storia. Vari sono gli elementi che testimoniano tale aspetto della personalità di Pio IX , eccone alcuni : Sole sestile a Plutone (= “Aspirazione alla guida spirituale e morale dell’umanità”), Luna sestile a Giove (= “ Sogni di redenzione dell’umanità”), Luna trigono a Plutone (= “ Spinta all’azione. Notevole opera sociale, umanitaria o scientifica”), Marte sestile a Saturno (= “ Decorso di vita caratterizzato da molte lotte. Sopportare e non farsi scoraggiare, tale potrebbe essere il motto di questi individui”). E Pio IX è, non solo un lottatore, ma un lottatore abile e, quel che conta molto, non “fanatico” : Mercurio trigono a Urano (= “Grande abilità e presenza di spirito nell’esercizio della professione”), Mercurio congiunto a Giove (= “ Tendenza ad affrontare tutti i problemi della vita con cautela e circospezione, di appianare tutti i conflitti con modi concilianti”).

Pio IX : analisi grafologica di P.Moretti Il Moretti definisce “il carattere del soggetto”, la cui scrittura gli è sottoposta per l’esame ( e che noi sappiamo essere Pio IX) come “Fondato su di un temperamento che si fa dirigere dal ragionamento”. Altri giudizi del Moretti sul “soggetto” : “ sta e tende a stare nella giusta misura tra l’inflessibilità e la remissività”; può ritornare nelle sue decisioni “ ma non mai per viltà, perché si farebbe piuttosto uccidere che cedere quando stima di restare inflessibile”; “ ha buon cuore ed ha l’affettuosità che si sacrifica e che sacrifica il suo modo di vedere”; “ ha la tempra di quei martiri antichi che affrontavano ogni pericolo, ogni tirannia, e, benchè di temperamento mite, pure è munito di una forza che messa in azione supera ogni ostacolo”. Richelieu

Oroscopo di Richelieu

19.09.1585 - 09h 30m LMT - 09h 21m GMT Parigi, Francia Ascendente Scorpione, Sole in Vergine

Ecco come il grande astrologo Barbault descrive la personalità di Richelieu: Angolarità ravvicinata di Marte-Scorpione ( AS ) e distanziata di Venere-Leone ( MC) , con Sole e Mercurio nella Vergine . Il regno e la vita del cardinale si svolgono all’insegna della lotta, di una lotta continua nella quale impiega tanto coraggio quanto genio. Forza di volontà al servizio di un’aspra ambizione : ecco la risorsa di quest’eccezionale personalità che, una volta ministro, non tardò a dominare il Consiglio di re Luigi XIII il quale riconobbe in lui un maestro . La sua politica fu quella di combattere fin dal momento in cui dedicò la sua ambizione al trionfo della causa monarchica . Egli intese creare l’unità territoriale della Francia all’interno e, all’estero, far abbassare la testa alla Casa d’Austria ricostituendo l’Europa secondo le vedute di Enrico IV . Per raggiungere questo duplice scopo era necessario rinsaldare la monarchia assoluta e abbattere tutti gli ostacoli, buoni o cattivi, suscettibili di intralciare la sua azione . “Quando Vostra Maestà si risolse a concedermi l’ingresso nei suoi consigli, posso dire, in verità, che gli Ugonotti dividevano il potere dello Stato con Vostra Maestà, che i grandi signori si comportavano come se non fossero mai stati Suoi sudditi e che i più potenti governanti delle province agivano come se fossero Stati sovrani a loro volta . Le alleanze straniere erano disprezzate, gli interessi particolaristici erano preferiti a quelli pubblici ; in una parola, la Maestà Reale era talmente diminuita che era impossibile riconoscerLa . Io prometto a Vostra Maestà d’impiegare tutta la mia opera e tutta l’autorità che vorrà concedermi, per distruggere il partito ugonotto, far riabbassare l’orgoglio dei grandi, riportare tutti i sudditi ai loro doveri e risollevare il Suo nome al livello in cui dev’essere fra le nazioni straniere”. Ecco il programma che s’impose. La sua azione non mancò di sollevare i peggiori ostacoli ; affrontò cabale, intrighi, odi fra i più tremendi, complotti e grossi pericoli . Ma fece capitolare tutti i ribelli che incontrò lungo il suo cammino ; li inseguì senza pietà, rese guerra a guerra, fece uso dell’esilio, delle confische, del terrore, delle persecuzioni e delle esecuzioni . Un tale uomo di Stato non riuscì mai simpatico : di fronte a lui la gente tremava . Ogni opposizione all’interno fu ridotta al silenzio fino a che non vi fu in Francia che un solo potere, quello del Re, e una sola volontà, quella del suo ministro . Quest’azione eminentemente aggressiva e distruttrice, per i mezzi impiegati – dalla quale risalta chiaramente la segnatura Marte-Scorpione -, servì tuttavia a raggiungere uno scopo positivo e costruttivo – assimilabile alla Vergine – nella misura in cui quest’incomparabile servitore dello Stato costruì, col proprio dispotismo, la monarchia assoluta. Quella stessa monarchia assoluta della quale Enrico IV aveva gettato le basi e che Luigi XIV coronerà .

* Come detto nelle “Avvertenze” l’oroscopo di Richelieu l’abbiamo tratto dal Trattato di astrologia del Barbault

Richelieu : analisi grafologica di P.Moretti

Dall’analisi grafologica la figura di Richelieu risulta grandemente ridimensionata. Cominciamo dal giudizio che il Grafologo deve dare sulla sua intelligenza, eccolo : “E’ un’intelligenza che (….) sa cogliere le circostanze (….) per raggiungere lo scopo che si è prefissa” ; “E’ un’intelligenza che tende a brigare, a manipolare machiavellicamente, non badando alla liceità o meno dei mezzi” . Fin qui il giudizio del Grafologo è un po’…..scontato. Ma ora viene l’interessante : ecco come il Grafologo continua nei suoi giudizi sull’intelligenza della persona il cui scritto è stato sottoposto al suo esame (e ch’egli sa, sì, che è una persona importante, ma ignora sia il “genio della politica” Richelieu ) : tale persona ricorre “ a tutte le sorti di manipolazioni” perché “non ha la quantità intellettiva” per “compiti di alta entità” ; anche se stando attenta a “quello che dicono gli altri” e facendolo proprio riesce a farsi “vedere competente” in una data materia “mentre non ne capisce nulla”; i suoi interventi, poi , non sono dettati da un’idea chiara ma nascono da idee confuse di modo che “non si indovina dove possa andare a finire, cosa che neppure lui sa intravedere”; per cui “se fosse a capo di un governo, sarebbe l’autore di disposizioni, controdisposizioni, di affermazioni e negazioni sulla stessa cosa, di alleanze e di rotture diplomatiche” . Questo per quel che riguarda l’intelligenza del “grande” Richelieu ; e per quel che attiene al suo carattere ? Di male in peggio; leggiamo infatti quel che ci dice sul punto il Grafologo : il “soggetto” “ ha l’ambizione di figurare” per cui “in tutte le azioni ha l’impronta della solennità, del comando, della fermezza” – fermezza che però molte volte si rivela “solo apparente”; cosa per cui è capace di dare ordini perentori senza poi curarsi della loro “esecuzione o ritirandoli per una futilità, come sarebbe per un motivo affettivo, di delicatezza di sentimento, di spirito contraddittorio” . E ancora : il “soggetto” “nelle decisioni tende ad essere unilaterale” e “ non ha la distinzione del bene dal male. E’ bene per lui quello che può favorire il suo spirito caustico, quello che lo può far emergere e stimare da coloro che lo attorniano e dalla folla” . Conclusione drastica del Moretti : “Da tutto il detto risulta che è un essere incosciente, senza carattere”. Robespierre

Oroscopo di Robespierre *

08.05.1758 - 02h 00m LMT - 01h 49m GMT Arras, Francia Ascendente Acquario, Sole in Toro

Ecco come il grande astrologo Barbault descrive la personalità di Robespierre: Angolarità ravvicinata di Giove ( MC ), nel proprio segno, e distanziata di Saturno ( AS ) che tuttavia è dominante in quanto governa l’AS, è quadrato con Mercurio, quintile col Sole e sestile con la Luna . Angolarità pure distanziata di Marte ( DS ), nel Leone, il quale forma molti aspetti . Non vi è alcun dubbio sulla forte componente giovenale di Massimiliano Robespierre. Essa appare nel giovanotto povero, venuto dalla piccola borghesia di Arras, il quale, spinto da una tendenza all’espansione sociale, diventerà, da oscuro avvocato di provincia, un effimero ma eccezionale capo di Stato . Senza questa componente la sua prima natura, saturniana, non si sarebbe probabilmente rivolta alla politica, ma avrebbe scelto una via più introversa . Ad ogni modo, il politico, come si presenta ai posteri, è un autentico saturniano . Fra gli elementi dominanti del suo carattere notiamo una precoce gravità, il gusto per la solitudine, un contegno rigido, la passione per il lavoro, un’introversione spiccata (“procedeva ritirato in se stesso e come distratto, dall’agitazione circostante , a causa del silenzio dei propri pensieri” ) e una secondarietà accentuata ulteriormente dall’aspetto fra Saturno e Sole-Toro : è fedele alle proprie idee, tenace nel riprendere in ogni occasione lo stesso leitmotiv ( è un secondario che ha un campo di coscienza ristretto ) e, per agire, ha bisogno di riflettere lentamente come gli intellettuali . E’ a disagio quando deve fronteggiare una situazione in cui vi è solo qualche ora o qualche minuto per fare il punto e decidere ; del resto, il 9 Termidoro, questa lentezza sigillerà il suo destino . L’aspetto di Saturno col Sole-Toro mostra anche una costante preoccupazione di fondere il pensiero coll’elemento concreto e di saldare l’ideale che lo anima con la realtà politica . Alla base dei suoi interventi è costante un punto di partenza concreto e limitato ; riesce a mettere a portata di mano l’argomento che tratta e il suo genio sarà giustamente quello di mantenersi a stretto contatto coll’elemento reale più concreto . Tuttavia resta sempre un saturniano, un teorico ricco di idee giuste ma privo del contatto diretto che permette di realizzarle ; inadatto, ad esempio, per dirigere un’insurrezione concreta : “Sono incapace di prescrivere al popolo i mezzi per salvarsi” . Un rivoluzionario da tavolo, sotto un certo punto di vista, ma anche un essere realista, nonostante l’idealismo ; la sua azione sarà sempre bene inserita nel campo di sviluppo della Rivoluzione alla quale sarà fedele e monterà la guardia . L’ideologia ben radicata, che non cesserà mai di formare i suoi principi politici, deriva dall’Acquario-Ascendente e da Saturno nei Pesci : “ Se devo proprio confessarlo, io sono dalla parte degli interessi della classe lavoratrice per quel forte sentimento che mi ha sempre legato alla causa dei disgraziati” . Possiamo giudicare la sua sincerità dall’ostinazione con cui appoggia, in ogni momento, la causa dei lavoratori . Partendo da questa causa, alla quale si consacra, arriva logicamente a predicare l’uguaglianza generale dei diritti politici e la sovranità della Nazione in tutti i cittadini, compreso il più povero . E mentre la Rivoluzione è essenzialmente borghese, lo vediamo – solitario – optare per una rivoluzione proletaria . Fa di sé il campione della causa degli oppressi, il difensore dei diseredati, dei nullatenenti, dei poveri e li ritiene amici della libertà, democratici, buoni, virtuosi e patrioti in contrapposizione ai ricchi, agli aristocratici e ai borghesi che considera al pari di tiranni, di scellerati e di malvagi . Alla Costituente e alla Convenzione userà sempre un altro linguaggio : “Quella è gente onesta, la gente che occorre alla Rivoluzione . Noi siamo i sans-culotte e la canaglia” . Dedica se stesso, deliberatamente, alla promozione sociale del ceto inferiore, il più provato della nazione, attraverso una “rivoluzione del povero” e con un rigore morale esigente soprattutto se si pensa alle vedute interessate e alla corruzione di molti rivoluzionari borghesi : “Ciò che indebolisce la nostra causa è che la severità dei nostri principi fa paura a molta gente” . La sua politica consisterà sempre nell’identificarsi col popolo e nell’associare la forza delle masse popolari con l’esercizio del potere . Per le sue idee Robespierre è essenzialmente un politico moralista la cui azione si propone “un ordine di cose nel quale tutte le passioni basse e crudeli siano incatenate e tutte le passioni generose e benefiche siano risvegliate dalle leggi” e di “sostituire nel nostro paese la morale all’egoismo, l’onestà all’onore, i principi alle usanze, i doveri alle buone creanze, l’impero della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo del vizio al disprezzo della disgrazia, etc” . Questo idealismo lo condurrà logicamente alla religione civile dell’essere Supremo che intende associare la divinità con l’umanità, e, finalmente, al martirio ( Saturno-Pesci ) . E il Terrore ? La realtà storica del Comitato di Salute Pubblica costituisce un dato nuovo nella natura e nella vita di Robespierre, del tutto estraneo alla sua personalità giovenale e saturnina . L’uomo del Terrore è un altro Robespierre, quello di Marte al DS nel Leone, negatore dei valori dell’Acquario e di Saturno-Pesci . Un marziano : è sotto questo volto esclusivo di un Robespierre amputato che i manuali di storia ci presentano l’incorruttibile ; cioè sotto l’aspetto di un tiranno, di un mostro assetato di sangue, di un dittatore odioso e di un pericoloso sanguinario . E tuttavia abbiamo buone ragioni per credere che il vero Robespierre sia il saturniano che abbiamo analizzato mentre il marziano sia l’infortunio di un Robespierre il quale ha visto sorgere dal proprio Io e dal proprio destino certe potenze contrastanti che sono l’antitesi della prima e autentica natura . Di sorta che se l’Urano-Discendente di Luigi XVI rappresenta la personalità che esigeva un ruolo ma non l’ha ottenuto ( donde la prova uraniana subita ), il Marte-Discendente di Robespierre rappresenta un valore più integrato ma ugualmente respinto poiché in contraddizione col resto della personalità : qualcosa come una seconda natura che lo obbliga, sotto la spinta di avvenimenti esterni, a giocare un ruolo, suo malgrado e a sua insaputa .

*Come detto nelle “Avvertenze l’oroscopo di Robespierre è tratto dal Trattato del Barbualt .

Robespierre : analisi grafologica di P. Moretti

Chi è Robespierre ? Risposta del Grafologo : una persona con non poche qualità suscettibili di dare buoni frutti – qualità però che a causa della mancanza di un’educazione morale corretta sono state poste al servizio di tendenze negative anch’esse in lui presenti . Cominciamo con le qualità positive . Il Grafologo riconosce che la persona analizzata è “austera”, capace di “ponderazione” e di “calma” . L’intelligenza ? Non manca ; anzi viene definita “quantitativamente sopra la media , qualitativamente sofisticata” : “il soggetto riesce per la discussione” ; e questo, sia per la sua capacità di “penetrazione psicologica” sia per la sua capacità di cavillare, di irretire l’avversario in numerose distinzioni ( nelle parole del Moretti : “Il soggetto si accorge che la sua minuziosità, essendo originale, fa colpo e imbarazza l’avversario ; ne consegue che egli prende gusto nel minuzieggiare, che in lui prende una forma spiccata” ) . Robespierre è capace di altruismo ? Si, risponde il Grafologo, ma a tale altruismo Robespierre è disposto a dare spazio solo in quanto serve alla sua ambizione : è insomma altruista in quanto ciò gli permette di emergere ( socialmente ) e non già cerca di emergere ( socialmente ) per poter fare dell’altruismo . Nelle parole del Moretti : il “soggetto” “ha tendenza ad un che di altruismo e ad una specie di affettività, ma queste facoltà sono tratte a tirare il carro dove troneggia la sua ambizione”. E con ciò veniamo a parlare dei lati negativi della personalità di Robespierre (come risultano dall’analisi grafologica del Moretti ). In primis, come si è già detto, l’ambizione : “il carattere del soggetto sta fondato su di un temperamento che sfocia nell’ambizione di essere primo tra i primi, di fare da maestro, di imporre la sua opinione” “senza ammettere replica” . “Quadro di sintesi del Moretti : “Contrariando le sue tendenze malnate, (il soggetto) potrebbe essere un uomo elevato, pienamente cosciente ed essere temibile ai malvagi ( aste rette, grafia minuziosa, sinuosa, contorta, ponderata, calma, austera ) ; lasciando libero il freno alle medesime tendenze malvagie, diventa uomo crudele contro gli altri e contro se stesso” . Luigi XIV

Oroscopo di Luigi XIV

05.09.1638 - 11h 11m LMT - 11h 03m GMT Saint-Germain, Francia Ascendente Scorpione, Sole in Vergine

Ecco come il grande astrologo Barbault descrive la personalità di Luigi XIV : (…) Angolarità distanziata del Sole e di Giove, rispettivamente in aspetto con due angoli : Sole congiunzione MC e sestile esatto con l’AS, e Giove congiunzione AS e sestile esatto con l’MC ; il Sole dispone inoltre della Luna e di Venere nel Leone, e Giove di Marte in Sagittario . Se è difficile affermare che Luigi XIV è un Sole-Giove o un tipo Giove-Sole, è d’altro canto impossibile respingere la componente solare ( a nostro avviso predominante ) . Per convincersi di ciò basta confrontare i temi dei re con dominante giovenale : Luigi XI, Francesco I, Enrico IV e Luigi XVIII . Solamente Francesco I possiede alcuni elementi solari ( e qualcosa anche Enrico III, del quale è nota la nobiltà, col suo Ascendente Leone ) e possiamo notare ciò che lo avvicina a Luigi il Grande : il senso del fasto e dello splendore. Al contrario, sia Luigi XI che Enrico IV non hanno valori solari . Il primo è attaccato alle cose concrete, più che a quelle brillanti, e regna senza corte ; il secondo non si preoccupa minimamente del mondo dei protocolli e dell’etichetta e trascorre la sua vita in campagna . D’altro canto, all’ampiezza, alla potenza e all’affermazione Giovenale , il Sole aggiunge la grandezza, la pompa e la magnificenza . Infatti il regno di questo grande re è qualcosa di eccezionale per quanto concerne lo splendore . Intorno a Sua Maestà gravita l’intera attività della corte estremamente nobile e composta di grandi dignitari, di artisti e di persone brillanti . Versailles, quest’apoteosi architettonica e pittorica, è il decoro sontuoso con cui il re dà le sue magnifiche feste (balli, fuochi d’artificio, teatro, concerti ) ed è anche il fulcro della vita artistica, sociale e politica del mondo, l’ambiente più raffinato della terra, il centro da cui si diffonde largamente sul pianeta la gloria di Luigi XIV . Adulato da una madre che lo idolatrava, incensato dai cortigiani, coronato di vittorie, glorificato dalle lettere e dalle arti, esposto all’adorazione delle masse nella pompa delle manifestazioni solenni, Luigi XIV è l’uomo della gloria, sotto la sua parrucca leonina, e sbalordisce il mondo con un fasto inaudito; impennacchiato, scintillante di pietre preziose, luccicante nei broccati d’oro e d’argento, egli è un vero imperatore romano che regna sui re della terra . Il diritto divino dei re non fu mai così incontestato come nel caso di Luigi XIV. Questo regno di splendore si accorda perfettamente con un personaggio in cui l’intensità solare e la potenza giovenale sono intimamente riunite . Regnare, per Luigi XIV, è come respirare : “Ebbi l’impressione di essere Re e di essere nato apposta per farlo” . Quand’anche tentasse di costruirsi un personaggio, la sua natura, i suoi attributi, le circostanze e la storia faranno sempre di lui un re ; questo spiega la virtù magica della sua presenza che in guerra valeva da sola “una cittadella” . Come un grande attore, presenta e rappresenta . Possiede inoltre, questo Re Sole , una forza di volontà rara che mette al servizio della passione dell’autorità, dell’unità e dell’ordine. Identifica l’interesse dinastico con l’interesse della nazione e la sua attività amministrativa si accorda peraltro con l’amore per il fasto, con l’orgoglio e con il senso del governo . Unitamente alla forza di volontà possiede uno spirito aperto e al tempo stesso preciso, che gli permette di valutare l’insieme di un problema senza però trascurare i particolari ; capace di valutare le cose sia dall’alto che da vicino, dimostra di avere il senso della grandezza nei programmi e quello della minuzia nelle realizzazioni (Sole in Vergine ) . Anche se usciamo dal quadro della dominante vale la pena di precisare il giuoco di una delle dominanti : Giove e il suo duplice quadrato con l’opposizione fra Luna-Venere in Leone e Saturno nell’Acquario . Quest’opposizione, in seguito a violenti conflitti, dà luogo a un’alternanza o ad una successione tipica di stati opposti . Per esempio il contrasto netto fra reggenza e regno : a un’era di feste, di amori, di costruzioni fastose e di vittorie smaglianti subentra quella dell’isolamento saturniano, della solitudine, della miseria di un paese colpito da una guerra spossante, dell’impressionante serie di lutti familiari e della tristezza finale . L’altalena fra la congiunzione venusiana nel Leone e Saturno nell’Acquario è il principale conflitto che lo costringe a dirottare da una vita istintiva esuberante a una certa rassegnazione religiosa, e ciò dopo aver adottato posizioni intermedie, incerte, che la seguente formula esprime felicemente : “Predicava bene e razzolava male”. Con Giove-Scorpione quadrato a Luna-Venere in Leone, le esigenze sensuali della sua natura imperiosa portano Luigi XIV all’adulterio . “Egli esercita il proprio diritto divino attraverso la poligamia olimpica e la legittimazione dei bastardi . La Chiesa non gli risparmia, dall’alto dei pulpiti e per bocca di Bossuet e di Massillon, né biasimi né esortazioni” . Il fatto è, d’altra parte, che il quadrato di Giove e Saturno concerne l’asse dei settori II-IX e l’edonismo viene quindi sbarrato da un conflitto morale : il peccato della carne e l’umiliazione di una coscienza cristiana . La diserzione interiore di questo giovenale s’accentuerà quando la Montespan verrà implicata nell’ Affare dei Veleni aggravando così lo scandalo di certi costumi un po’ orientali ( doppi adulteri, bastardi legittimati ) . Finalmente, all’età di quarantadue anni, in occasione del matrimonio con Madame de Maintenon, la religione finirà per prevalere su di lui . Possiamo anche aggiungere che la duplice opposizione saturniana concernente i settori III e IX corrisponde, sul piano sociale, alle numerose difficoltà religiose del regno : questione delle regalie e delle franchigie ; giansenismo, quietismo, e, soprattutto, revoca dell’Editto di Nantes, il più grosso errore politico commesso durante il governo di Luigi XIV .

Luigi XIV : analisi grafologica di P.Moretti

Ecco i giudizi che il Grafologo ritiene di poter dare sul soggetto della grafia sottoposta al suo esame ( soggetto che noi sappiamo è Luigi XIV ma che il Grafologo ignora essere tale ) . L’intelligenza del “soggetto” viene valutata “quantitativamente acuta ; qualitativamente con una qualche originalità” . Il “soggetto” potrebbe riuscire in medicina, in erboristeria, si potrebbe rivelare un buon collezionista . E’ dotato di una forte “affettività” e “remissività” : queste qualità potrebbero trarlo alla “neghittosità” se la sua accentuata “suscettibilità” e “l’attaccamento al proprio io” non lo spingessero ad “affermarsi e in certo modo distinguersi” . “Se il soggetto avesse il compito del comando e molto più se dovesse sedere su di un trono regio, sarebbe vittima dei cortigiani, dei suoi ministri, pur prendendo sopra di sé e arrogandosi il diritto di ogni iniziativa” . Infatti “ il carattere del soggetto sta fondato su di un temperamento che non ha una direzione ragionata, ma ha la direzione che gli viene imposta, sia pure indirettamente, da coloro che l’attorniano e quindi una direzione imbastita dalla viltà . Al soggetto basta di poter fare bella figura fisicamente e intellettualmente e che si salvi il suo nome” . “Il soggetto potrebbe prendere gli atteggiamenti del tiranno, nonostante la sua tendenza alla affettività” . Infatti “tende, è vero, all’affettività, ma tale affettività non ha seco alcuna idealità, in quanto scarsa di valore morale” . Conclude il Moretti : “ Date tutte queste tendenze il governo del soggetto può avere un lustro esterno, ma in se stesso non può essere altro che un groviglio di prepotenze tiranniche, di cessioni vili ed irragionevoli, di ritrovati disgustosi, di conclusioni pratiche che minano la vita dei sudditi e fanno scempio della tranquillità degli uomini onesti” . Luigi XVI

Oroscopo di Luigi XVI*

23.08.1754 - 06h 24m LMT - 06h 13m GMT Versailles, Francia Ascendente Vergine, Sole in Leone

Bisogna riconoscere che il tema di Luigi XVI, a prima vista, è assai sconcertante, e non conforme alla fisionomia del personaggio che rappresenta . Con Luigi XVI possiamo iniziare ad integrare in modo completo i valori di un nuovo pianeta scoperto nel corso della sua esistenza : Urano . Tale astro costituisce indubbiamente la “dominante” del monarca poiché è del tutto prossimo al Discendente ed è quadrato all’MC . Ma non è forse perché Urano è anche al limite dell’opposizione con quattro pianeti ? Sta di fatto che il linfatico Luigi XVI non ha integrato assolutamente, dal punto di vista psicologico ( come invece farà Napoleone I, in situazione paragonabile ), la dinamica uraniana ! Ciò nonostante, il regno e il destino del monarca sono tipicamente sotto il segno dell’astro rivoluzionario . E’ noto che colle sue dissonanze Urano ha la facoltà d’intensificare in modo addirittura esplosivo o d’inibire radicalmente le tendenze dei pianeti coi quali entra in rapporto . Nel caso in oggetto, senza poterne spiegare il motivo, siamo tuttavia in presenza di una situazione in cui Urano svolge il duplice ruolo di inibizione nei confronti della personalità e di esplosione per quanto riguarda il destino . Una seconda difficoltà appare notando la triplice congiunzione Sole-Mercurio-Giove all’ultimo grado del Leone. . Si tratta di uno splendido Giove ! Tuttavia ( ma non è forse qui un’altra prova che il tema è sottoposto alla repressione uraniana, dal momento che il valore di una parte è sempre in funzione dell’insieme, cioè in funzione dell’integrazione al resto del tema ?) l’infelice Luigi XVI non possiede, del tipo giovenale, che le tendenze più elementari se non addirittura le inferiori : certamente, una costituzione fisica assai vigorosa che gli consente exploits da atleta, nonché un appetito smodato a tavola, che si accompagna a una discreta pinguedine ( l’aspetto “bovino” delle caricature ) . Quanto al Leone non ne parliamo : niente in lui evoca il Leone, né da vicino né da lontano…Bisogna dunque dare la colpa al fatto che il Sole si trova a 29°55’ e Mercurio a 29°40’ del segno e che perciò si tratta di una prevalenza dei valori Vergine ? Questo tema solleva la questione – tuttora irrisolta – se il passaggio da un segno all’altro avvenga con un “salto” netto o se piuttosto si tratti di una graduale trasformazione nel giro di qualche minuto se non di un grado . Questo tema giustificherebbe in pieno, ad ogni modo, la seconda ipotesi, per la quale Luigi XVI risulterebbe un tipo Vergine, anzi un tipo inferiore del segno a causa delle dominanti inibizioni. L’ascendente è nella Vergine, in compagnia di Marte, e riceve i buoni aspetti del sestile Luna- Saturno . Il ruolo di Saturno non è da trascurare poiché, dal suo segno, è in relazione con il MC, con l’AS, con la Luna, con Venere e attraverso un sesqui-quadrato, all’estremo limite, perfino con la congiunzione Sole-Mercurio-Giove . Saturno rinforza quindi Urano sotto il profilo della potenza d’inibizione . Chi può dubitare che Luigi XVI sia un tipo Vergine inibito ? Già da ragazzetto appare indolente, taciturno, chiuso, timido, saggio, esageratamente modesto, diffidente di se stesso, portato sempre a mettersi in disparte e a dare l’impressione di una certa pesantezza generale . Dominato da un vero complesso d’inferiorità ( rinforzato, con la Luna in III, dai suoi rapporti con i fratelli ),verrà soffocato dal proprio ruolo e risulterà privo di fiducia in se stesso, sempre esitante a prendere la benché minima decisione e persuaso di non poter altro che sbagliarsi . Quando Luigi XV lo presenta come “il Delfino” si mette a piangere e quando, a vent’anni, apprende di essere “il Re” si abbatte dicendo : “Quale peso ! E nessuno mi ha insegnato come fare a sostenerlo ! Ho l’impressione che l’universo stia per cadere sulla mia testa” . D’altronde lo vediamo ( e qui agisce soprattutto la situazione armonica Ascendente-Luna-Saturno ) coscienzioso e scrupoloso, attratto da piaceri modesti, fatto per condurre una vita semplice e onesta. E’ un giovane re quando, di fronte alle difficoltà finanziarie, decide rapidamente di ridurre gli appannaggi della monarchia e soprattutto quelli personali ; il gusto per l’economia si spinge fino a suscitare le canzonature mentre i cortigiani protestano per la sua parsimonia . Le sue vedute sono ristrette ma offre l’immagine di una sovranità virtuosa . Per il resto, i suoi interessi sono limitati e modesti ; eccetto la passione per la caccia si dedica a quei mestieri manuali che convengono al suo vigore fisico : trascorre ore e ore nel suo laboratorio intento a limare chiavi, serrature e a lavorare il legno ( qui si riconosce il Marte-Vergine ) . Infine, questo essere inibito rimane a lungo insensibile, indifferente e imbarazzato di fronte alle grazie della regina che sarà sua solo dopo sette anni di vita coniugale , a partire da questo momento diverrà un uomo debole e dominato, incapace di rifiutare alcunché e schiavo dei capricci di Maria Antonietta . Ecco l’uomo che avrebbe dovuto far fronte a un’eccezionale situazione uraniana e promuovere una rivoluzione reale ! Appena giunto al potere, la monarchia deve affrontare la prova di una nuova Fronda, di una nuova rivolta dell’aristocrazia, insofferente, che invocava ancora il braccio vigoroso di un Richelieu o di un Luigi XIV, e alla quale avevano aderito tutti coloro che non volevano un ringiovanimento della Francia . Resisterà con coraggio, Luigi XVI, alla consorteria feudale che tenta d’impadronirsi della sua persona ? Ben presto egli si rende conto di non poter essere il monarca rivoluzionario che la condizione del paese richiede : così, anziché assumere il ruolo uraniano, sarà vittima della situazione uraniana che lo concerne . Dapprima, accettando come consigliere Maurepas, si ferma sulla prospettiva di opportune riforme e assume una posizione di debolezza nei riguardi di quella casta di nobili, di vescovi, di legulei, di affaristi decisa a consolidare i propri privilegi senza accorgersi di “venire trascinata nello stesso baratro che essa sta per aprire sotto ai piedi del monarca” . I vari ministri, per volontà o per necessità, pongono il re di fronte all’obbligo di ricostruire lo Stato, di realizzare – a profitto della nazione e della monarchia – una rivoluzione che abolirebbe i privilegi ormai ingiustificati della veste, della spada e di certi organi costituiti . Le successive esperienze di Maupeou, Turgot, Necker, Calonne e Brienne vengono abbandonate e falliscono dato che il re è come paralizzato dai suoi princìpi e appare schiavo dell’oligarchia, condannato all’apatia, all’indifferenza e infine alla rassegnazione . L’inevitabile convocazione degli Stati Generali fece poi nascere un’altra rivolta, in questo caso diretta contro i nemici del re: i privilegiati . La nascente rivoluzione avrebbe ancora potuto essere reale : a quel punto non era che borghese e la monarchia avrebbe potuto adattarsi perfettamente all’ascesa della nuova classe sociale. L’attacco alla Bastiglia avvenne al grido di “Viva il Re !” . Sarebbe stato allora opportuno prendere le parti dei riformatori contro i beneficiari degli abusi . Ma Luigi XVI, prigioniero di pregiudizi religiosi, tradizionali e morali, non seppe assumere la direzione del movimento riformatore ; e Dio sa se non mancarono le occasioni per canalizzare la Rivoluzione nel senso monarchico attraverso l’alleanza del re con un popolo che si aspettava tutto da lui ! Il resto è noto . L’intero problema e il dramma reale della Rivoluzione francese appare nel tema di Luigi XVI con la posizione particolare di Urano al momento della nascita del monarca .

* Come detto nelle “Avvertenze” l’oroscopo di Luigi XVI si deve al Barbault .

Luigi XVI : analisi grafologica di P. Moretti

Ecco i giudizi del Grafologo sul “soggetto” sottoposto al suo esame ( che noi sappiamo essere Luigi XVI ma che il Grafologo ignorava essere tale ). L’intelligenza del “soggetto” viene dal Grafologo valutata “quantitativamente sulla media ; qualitativamente non di conclusione propria, ma assimilatrice delle conclusioni altrui” . “Da ciò la tendenza a farsi soverchiare, ad essere abbindolato” ; tanto più che il soggetto “ha la tendenza, non a una condotta lineare, ma a farsi trasportare ad agire secondo le ragioni dell’ultimo arrivato” . Il soggetto “ ha la tendenza alla facilità dell’intenerimento sessuale” e “coloro che gli offrono l’esca alla sensualità, hanno la potenza di comandare su di lui, di intimidirlo, di far di lui quello che vogliono” . Egli non solo è “indeciso” , ma tende alla “vigliaccheria” : “sentendosi in pericolo, egli tende a togliersi da qualunque responsabilità abbandonando baracca e burattini, non importandogli della cattiva fama che si viene a procurare” . “Potrebbe essere un buon padre di famiglia che tuttavia si fa prendere la mano dalla moglie bisbetica e dai figli” . Insomma, conclude il Grafologo, si tratta di un soggetto “non atto a governare per la mediocrità e la ristrettezza delle vedute e per la facile remissività” : avrebbe potuto essere “ un lavorante di falegnameria o di ferro, ma non un governante” . Napoleone I

Oroscopo di Napoleone

15.08.1769 - 11h 30m LMT - 10h 55m GMT Ajaccio, Corsica Ascendente Scorpione, Sole in Leone

Nell’oroscopo di Napoleone I non mancano ( e come potevano mancare ?! ) gli elementi indicativi di una grande affermazione sociale. Ecco i principali : Sole in Leone e in X ( = “Pronunciata autocoscienza. Questi individui occupano i posti di responsabilità nelle amministrazioni statali, sono spesso militari di alto grado. Debbono la loro ascesa sociale non solo all’abilità nel far valere le proprie migliori facoltà, ma anche all’intelligente sfruttamento d’importanti relazioni che li legano a personalità altolocate dalle quali si fanno proteggere”); Marte in Vergine e in X (= “ Posizione dominante. Il soggetto è pienamente conscio delle proprie capacità eccezionali ma non sopporta al suo fianco persone che potrebbero rivelarsi in qualche modo a lui superiori”); Marte trigono a Plutone (= “ Ottime prospettive per ogni attività professionale in relazione (…) al fenomeno “uomo in quanto entità spirituale” ( con ciò il Sementovsky-Kurilo vuole probabilmente riferirsi a quelle attività che evocano e utilizzano le forze profonde, subconscie, “plutoniane” , delle masse). Massima presenza di spirito nell’affrontare situazioni minacciose”). Quindi un astrologo , chiamato alla culla di Napoleone I, avrebbe potuto facilmente predire per il neonato un grande successo nella professione ( specie se quella scelta fosse la professione militare o di avvocato – e , a dir il vero , il Sagittario in II e il Capricorno in III avrebbero portato a consigliare al neonato più la professione di avvocato che quella di militare ). Però un conto è il successo nella professione e un conto il successo nella vita : su quest’ultimo punto che avrebbe potuto predire l’astrologo ? Ahimè, solo rovine : Napoleone I appare dall’oroscopo come la tipica persona portata a distruggere e ad autodistruggersi : Plutone in Toro e in VII ( = “Questi individui ritengono che le istituzioni politiche e sociali finora create dall’umanità siano insufficienti o superate : vorrebbero distruggerle o riformarle. Simili tendenze si palesano anche nel più stretto ambito della vita professionale , rispetto all’unione coniugale o alle imprese nelle quali questi individui svolgono la propria attività professionale”) ; Luna opposta a Saturno (= “ Istinti e affetti soffocati, negazione della vita . Col tempo si nota il sopravvento assoluto di tendenze disgregatrici che finiscono per improntarne l’intera personalità. Questa devastazione del cuore e della mente si manifesta in azioni alimentate ad un egoismo brutale, prive di ogni principio morale”); Venere opposta a Plutone (= “ Accanto alle aberrazioni su piano erotico e sessuale , il comportamento immorale e l’incoscienza che ne sembrano essere le forze motrici, possono contribuire al sorgere di una concezione di vita negatrice dei suoi valori duraturi che con cinica indifferenza si pone dinanzi all’insieme della civiltà”); Luna opposta a Venere (= “ Autoinganno e inganno degli altri . Inclinazione alla menzogna che può degenerare in forme patologiche o criminali. Sentimenti e pensieri allo stato di caos”). Un mostro dunque Napoleone I ? Certo una persona con cui era meglio non averci nulla a che fare. Ciò era valido anche per le donne ? insomma alla donna a cui Napoleone I avesse chiesta la mano, l’astrologo che avrebbe dovuto dire ? Avrebbe dovuto dire che con la “donna giusta”, Napoleone poteva rivelarsi anche un buon marito. Infatti , non solo Napoleone era portato ad abbandonarsi completamente all’essere amato, ma , dismessa la maschera del “uomo forte”, nell’intimità della famiglia poteva rivelare addirittura un carattere bonario e dare prova di calda affettuosità : Venere sestile Marte (= “ L’amore e l’abbandono all’essere amato appaiono come fattori predominanti dell’esistenza, ma le manifestazioni della calda affettuosità non rimangono limitate a questo ultimo, l’intero ambiente del soggetto ne viene in certo qual modo pervaso e ne gode i salutari effetti”); Giove in Scorpione e in I (= “ Mentre questi individui invariabilmente si comportano da esseri presuntuosi, superbi e mostruosamente orgogliosi, in realtà si tratta di persone (…) perfino bonarie che soffocano le migliori qualità della propria natura considerandole pericolose debolezze”.

Napoleone I : analisi grafologica di P. Moretti

L’intelligenza di Napoleone viene definita dal Grafologo “quantitativamente sopra la media, qualitativamente originale in modo spiccato” . E questo certo …non ci sorprende . Neanche ci sorprende che il Grafologo riscontri, in chi fu maestro nell’uso dell’artiglieria, una spiccata “abilità per le matematiche” e, in chi riuscì ad affascinare tutto un popolo, “doti per riuscire negli studi di psicologia, più ancora per la psicologia della folla” . Un po’ più ci sorprende apprendere dal Grafologo che Napoleone avrebbe potuto ben “riuscire in giurisprudenza sia civile che penale” e “negli studi sociali”. Molto , poi, ci sorprende sapere che la grafia di Napoleone rivela persona che, non solo “ha gusto musicale” , ma che avrebbe “talento per cimentarsi in composizione musicale, e ne uscirebbe una musica strana, fragorosa” . E veniamo alle qualità che più interessano lo storico : era, Napoleone, un buon politico ? Qui sostanzialmente negativa è la risposta del grafologo : sì, la grafia del “soggetto” da lui esaminato, rivela “tendenze per l’arte della politica, ma una politica occasionale, non strutturata in base a chiarezza e distinzione di idee” . Insomma, Napoleone non sembrerebbe essere il grande statista, che agisce perseguendo un disegno e un programma politico di ampia portata : la sua azione infatti è “sollecitata e condizionata dagli umori e orientamenti del tempo ; voglio dire – ed è il Moretti che parla – che in politica Napoleone non è un creatore, ma un pedissequo” . Possiede, sì, “una gran fermezza”, ma è una fermezza che non serve a tradurre nella realtà un gran disegno politico per la semplice ragione che egli…non crede in nulla ( “è portato all’amoralità” –ecco il duro giudizio del Grafologo) ; pertanto “ i suoi pensieri, le sue determinazioni non derivando da una radicata convinzione politica” , “sono – rileva acutamente il Grafologo – non frutto di ragionamento” ma piuttosto ispirati “dall’impressionabilità e dall’ambizione”. Se a ciò si aggiunge che dall’esame della sua grafia risulta che Napoleone “agisce per impulso e impetuosità”, “non ascolta le osservazioni altrui”, “non è per nulla diplomatico”, ben si comprende come il Grafologo giunga alla conclusione che Napoleone “in materia politica potrebbe commettere errori enormi” . “ Molte più qualità ( la personalità del soggetto analizzato) avrebbe – e qui l’analisi del Grafologo torna a sorprenderci – per creazioni artistiche “ (anche se “per un’arte che ignora misura e freni”) e per la medicina dato che “avrebbe una diagnosi buona” ( anche se “potrebbe prendere dei grossi granchi guidato dall’impulsività”). E per l’arte militare? Napoleone aveva per tale “arte” propensione ? Ecco la risposta (obiettiva e scientifica) del Grafologo : “Può riuscire anche nell’arte militare, però in una strategia d’improvvisazione e come d’ispirazione” . E veniamo a parlare più propriamente della personalità morale di Napoleone. A tal proposito il grafologo fa la seguente, impietosa ( soprattutto per i miti storici) descrizione : “E’ un soggetto audace e di un’audacia in cui si avvera il proverbio : audaces fortuna iuvat ”. E questo è il solo lato del carattere di Napoleone che si salva all’analisi del Grafologo; che infatti continua rilevando che : il soggetto “ è disposto a sacrificare tutto e tutti, pur di salvare il suo io” ; “per raggiungere uno scopo prefisso, non tiene conto della liceità o meno dei mezzi, disposto quindi a ricorrere alla prepotenza, all’imbroglio” ; è “molto collerico”; e , dulcis in fundo, “il suo fare e il suo dire portano un’impronta di sincerità, ma si tratta solo di audacia concitata, dato che il soggetto è insincero, principalmente con se stesso”. Napoleone III

Oroscopo di Napoleone III

20.04.1808 - 01h 00m LMT - 00h 51m GMT Parigi, Francia Ascendente Capricorno, Sole in Ariete

Vedremo come il grafologo dia un giudizio piuttosto negativo sulla personalità di Napoleone III; l’astrologo deve con lui concordare ? In certe cose, sì : effettivamente anche dall’oroscopo risulta una discrepanza tra quel che il soggetto può fare e quello che vorrebbe e comunque si trova a dover fare ( Giove congiunto a Plutone = “Il dinamismo esteriore non sempre corrisponde alle effettive possibilità spirituali e psichiche del soggetto”) ; dall’oroscopo risulta ancora una certa tendenza al fanatismo e una disposizione a usare anche la violenza ( pervenendo addirittura a forme di crudeltà) e a scendere a compromessi per realizzare le proprie idee sociali e umanitarie ( Marte opposto a Urano = “ Fanatismo e intolleranza. Modi di fare privi di ogni scrupolo, specie quando si tratta di usare la violenza per dimostrare agli altri di essere un uomo forte”; “ Scorpione in casa X = “ Il soggetto non potrà fare a meno di ricorrere di quando in quando a mezzi alquanto dubbiosi per assicurare il proprio successo”); risulta ancora ( come elemento negativo ) dall’oroscopo una certa mancanza del senso della realtà nella concezione di vita del soggetto ( Sole opposto a Urano = “Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico. Progetti inattuali ed ideali lontani dalla realtà della vita che ciononostante vogliono essere messi in pratica ad ogni costo, con molta insistenza e altrettanto entusiasmo”). Dunque Napoleone III è un uomo politico capace di violenza e di compromessi: però egli è anche ( bisogna riconoscerglielo!) un uomo politico animato ( cosa rara!) da alti ideali, un uomo politico idealista insomma. ( Giove trigono Urano = “ Forza di attrazione e idealismo suscettibili di far radunare attorno al soggetto un notevole seguito”; Luna trigono Saturno = “ Persone estremamente attive sul piano spirituale”). Egli quindi non può non sentire come soffocante l’ambiente natale ( da qui attriti con i parenti prossimi : Marte in Toro e in III casa ) e ha in certo senso diritto di evaderne e di puntare in alto. Tanto più che per ascendere socialmente , pur non avendo qualità eccelse, ha pur sempre le qualità necessarie : prima di tutto ha le qualità che gli dona il suo ascendente nel Capricorno e la posizione forte di Saturno nel suo oroscopo : è lavoratore, è metodico, come il grande zio è portato alle cose militari ( anche se a differenza dello zio, non è tanto un “ comandante sul campo” , quanto uno “ stratega da tavolino”), dulcis in fundo é…estremamente economo e parco ( è noto che faceva rimettere a nuovo i vecchi capelli e rinnovava rarissimamente il suo guardaroba : la reggia francese sotto di lui assume un carattere di sobrietà e austerità militare ) , nessuno, poi, è meno goloso di lui né più completamente staccato dai piaceri della tavola. A tali qualità saturniane Napoleone aggiunge quelle : di essere coraggioso ( anzi, eccessivamente coraggioso, temerario : congiunzione Sole e Marte opposta a Urano ) ; di essere, ciò che certamente non guasta in un uomo politico, un “buon parlatore” e di saper trattare con tatto e intelligenza con persone altolocate e influenti ( Mercurio in Ariete e in casa III : “ Sono da preferire professioni in cui si tratta di esercitare un’influenza su altre persone con la parola” ; Gemelli in casa V : “L’elasticità mentale, il modo spesso brillante di parlare e la natura di per se stessa del soggetto caratterizzata da vivacità e freschezza, gli assicurano molte simpatie fra persone nobili e distinte nonché una certa notorietà nella buona società”). E l’astrologo guardando all’oroscopo non avrebbe avuto difficoltà a predire una ascesa sociale brillante e rapida a Napoleone III ( anche se poi avrebbe dovuto avvertirlo di una caduta in disgrazia non meno rapida). Infatti: Sole in Toro e in III = “Questi individui riescono a superare le resistenze del proprio ambiente (….) e a trionfare alla fine sopra ogni critica che sia stata loro mossa da parte dell’ambiente stesso”; Giove in Pesci e in II = “ E’ quasi sempre indice di eccellenti condizioni materiali di vita che a poco a poco maggiormente si consolidano”; “ Saturno in Scorpione e X = “ Ottime possibilità di ascesa”. Ma Saturno in Medio Cielo caratterizza l’oroscopo di chi, dopo una rapida ascesa, deve subire una disastrosa caduta; e ciò, nell’oroscopo di Napoleone III è confermato da Sagittario in XII = “ La posizione è minacciata da rovesci. Dopo grandi successi questi individui a volte precipitano nella più squallida miseria senza potersi rialzare”. L’aspetto del Sole congiunto a Marte ( e in posizione dominante!) pone un non piccolo problema all’astrologo : esso infatti solitamente = “ Individui senza ritegno che facilmente perdono il controllo dei propri moti d’animo”. Ora se vi è una persona dal carattere controllato e addirittura gelido, è Napoleone III : l’irritazione più violenta si traduce in lui al massimo in due parole : “ E’ assurdo”. Egli riesce sempre a rimanere impassibile : a Boulogne, in mezzo alle rovine delle sue speranze; mentre presta giuramento sulla tribuna dell’Assemblea; nei saloni dell’Eliseo, la sera del primo Dicembre, quando si muove, senza lasciare trapelare il minimo nervosismo, da un gruppo all’altro; in mezzo al fragore della bomba di Orsini; quando a Wilhenmshohe la testa dell’Imperatrice si abbatte sulla sua spalla, sempre egli sa mantenere la calma e l’autocontrollo. E allora questa congiunzione Sole / Marte ? La sua influenza esiste ma è contrastata e come ingabbiata dalla forte influenza saturniana e capricorniana. Esiste però e gli acuti osservatori possono vedere quale tempesta sappia suscitare in lui in certe situazioni dall’allargarsi delle sue narici e dai pomelli che violentemente si arrossano.

Napoleone III: analisi grafologica di P. Moretti

Del suo grande zio, Napoleone III possedeva soprattutto un’audacia che sconfinava nell’avventatezza, non ne possedeva però l’intelligenza . Questo almeno è quel che risulta al Grafologo . Da Questi, infatti, l’intelligenza di Napoleone III viene definita “quantitativamente mediocre ; qualitativamente di originalità comune, sebbene di molta apparenza” . Di senso critico “il soggetto non sarebbe scarso” se non si lasciasse condizionare “dall’emotività” e dalla “mancanza di ponderazione” . Napoleone III risulta possedere, all’analisi grafologica : “arditezza” unita a “un fare solenne e sicuro” – qualità, queste, che potrebbero anche rivelarsi positive “in un ambiente in cui egli fosse un sottoposto” e dovesse eseguire “gli ordini che gli sono imposti” ( il Moretti qui pensa a un grado intermedio della gerarchia militare ? ) . Purtroppo invece il “soggetto” “ha l’ambizione del comando”. Sennonché “ in un ambiente in cui egli debba comandare, e molto più se il suo comando fosse supremo, come quello di un re, di un imperatore ( si ricordi qui che il Moretti non conosce l’identità dell’autore dello scritto sottoposto alla sua analisi ) egli si lascerebbe prendere la mano dagli adulatori, si lascerebbe ingannare dai furbi e seguirebbe il consiglio e la imposizione delle donne” . Altro elemento che dovrebbe sconsigliare di affidargli cariche di grande responsabilità è che il “soggetto” “tende a manifestare la sua boria e quindi a fare minacce incomposte ed a spingersi avanti”, atteggiamenti questi che, come ben si comprende, possono poi essere “sfruttati dai suoi avversari” . Quadro di sintesi del Moretti sul autore dello scritto da lui analizzato : “Il soggetto è un essere che tende al comando senza averne le qualità positive” . Lucrezia Borgia

Oroscopo di Lucrezia Borgia

18.04.1479 - 12h 30m LMT - 11h 38m GMT Subiaco, Italia Ascendente Leone, Sole in Toro

Se un astrologo fosse stato chiamato alla culla di Lucrezia Borgia da Alessandro VI, ansioso sul futuro della figlia appena natagli, facilmente avrebbe potuto rassicurarlo : capita raramente a un astrologo di riscontrare in una carta del cielo tanti segni auspicanti un sereno e solido avvenire - sia pure dopo alcune difficoltà iniziali, al cui proposito viene da pensare ai due primi matrimoni di Lucrezia entrambi falliti ( e a dir il vero, specie il secondo, più che falliti per disarmonie tra i coniugi, fatti fallire per ragioni politiche) . Per quel che riguarda la buena suerte di Lucrezia , basti considerare : Marte in Casa X e in Toro ( = nonostante tutte le resistenze (…) il soggetto riesce a conseguire un’ottima posizione sociale” ), Gemelli sulla cuspide di Casa VII (= Incremento progressivo del benessere accanto ad una buona posizione sociale” ) , Toro sulla cuspide della Casa X (= L’amministrazione ragionevole del patrimonio acquistato col tempo porta ad un benessere solido. Successo assicurato da molti sforzi”). Facile per l’astrologo sarebbe stato, poi, pronosticare in particolare una felice vita matrimoniale ( come in effetti fu quella di Lucrezia col terzo marito, Alfonso d'Este ): in tal senso, infatti, depongono sia il Sagittario sulla cuspide di Casa V (="Animo sereno e armoniosa vita familiare . I figli procurano gioia e soddisfazione”), sia l’Acquario sulla cuspide di Casa VII ( = Matrimonio felice . Massima stima da parte del compagno di vita che in ogni senso si adatta al soggetto”), sia la congiunzione Venere con Sole (= ”Ottime prospettive di un felice matrimonio”) . Ma quel che ci spinge a consultare l’oroscopo di Lucrezia, non è il desiderio di sapere sul suo benessere e sul suo successo, ma la curiosità di trovare risposta alla domanda: “Ma Lucrezia fu una sadica ? ebbe come Messalina una vita sessuale immorale e sregolata oppure no ?” . Rispondiamo alla prima domanda sul sadismo . Effettivamente risulta dall’oroscopo qualche elemento che sembrerebbe deporre per una vita amorale di Lucrezia ( Marte opposto a Giove = “Essere amorale .Spregiudicatezza nel parlare e nell’agire” – Marte opposto a Nettuno = “Disordinata vita dei sensi e sbandamento morale . Mentitori patologici . Spesso predisposizione al crimine”) . Però escludono che tali elementi portino oltre a una certa spregiudicatezza nella condotta di vita e riescano a spingere fino all’assassinio, sia il complessivo quadro astrologico caratterizzato soprattutto da configurazioni benefiche e armoniose (le quadrature e le opposizioni nell’oroscopo di Lucrezia sono pochissime !) e che quindi depone per una personalità armoniosa, che mal si concilia col crimine, sia la presenza nella carta del cielo di Lucrezia di numerosi elementi capaci di contrastare quelli potenzialmente criminogeni prima indicati ( in altre parole: Lucrezia, come ciascuno di noi, aveva il suo angelo buono e il suo angelo cattivo, ma il più “forte” era quello e non questo ). E con quest’ultima considerazione ci riferiamo a : Sagittario sulla cuspide di Casa V ( che, in uno dei suoi possibili significati = “Virtuosità e rettitudine in tutte le cose”), Sole in Casa X e in Toro ( = “I grandi problemi dell’esistenza umana sono considerati e vengono risolti in un modo che, pur non essendo espressione di spiritualità profonda, palesa la rettitudine, la capacità di sereno giudizio e la naturale bontà del soggetto”), Venere in trigono con Saturno (= “Individui che assumono spesso la parte di consolatori di persone infelici, inferme o in qualche modo minorate”). Insomma Lucrezia é una persona che, se non toccata nel suo orgoglio e nella sua vanità ( eh, sì , orgoglio e vanità sono un po’ i difetti di Lucrezia, come di tutti quelli nati con l’Ascendente nel Leone, a proposito dei quali il Sementovsky dice: ”L’orgoglio a volte quasi mostruoso, la presunzione e la vanità, queste sono le loro grandi debolezze”), se non toccata nel suo patrimonio ( eh, sì , Lucrezia non era cattiva, ma non era neanche un’altruista, lo chiarisce Saturno in Vergine e in Casa I = “Pronunciato egoismo, questi individui in ultima analisi non amano che loro stessi” ), insomma, se non aggredita, neanche si muove per aggredire e tanto meno per fare il male per il gusto di far del male . E passiamo a interrogarci sulla condotta sessuale di Lucrezia : era questa condotta contraria alla morale ? Nella gioventù forse è possibile; alimentano tale sospetto alcuni elementi che denunciano, da una parte, una sua natura sensuale, dall’altra, una sua debolezza nel resistere alle tentazioni della carne ; per il che si veda : Venere congiunta al Sole (= Individui affettuosi ma generalmente deboli . Forte sensualità e gioia di vivere”), Marte congiunto a Venere (= “Spesso si nota un certo indebolimento della volontà”),il già citato Marte opposto a Nettuno (= “Disordinata vita dei sensi e sbandamento morale”). Però portano ad escludere che la condotta sessuale di Lucrezia fosse particolarmente e patologicamente immorale ( per intenderci, fosse la condotta di una Messalina che cerca e provoca il maschio), sia gli elementi, già citati, che depongono per una sua virtuosità e rettitudine, sia anche altri elementi che testimoniano , da una parte, una sua timidezza, dall’altra, una sua raffinatezza e ricercatezza nelle cose del sesso, per il che si ponga mente a : Saturno nella Vergine e in Casa I (che in uno dei suoi significati = “Eccessiva timidezza”), Nettuno trigono con Luna (= vita affettiva e sessuale estremamente raffinata”).

Lucrezia Borgia : analisi grafologica di P. Moretti

Chi é Lucrezia Borgia per il Grafologo ? Anticipando in sintesi il giudizio di P. Moretti possiamo rispondere : una persona non “malvagia” anche se non buona, di una intelligenza di buona media, adorna di quelle qualità che fanno un buon politico e…una donna seducente. Cominciamo dall’intelligenza . Il Grafologo la definisce “quantitativamente sulla media, qualitativamente acuta e nello stesso tempo non poco originale” . Interessante (perché collima con i rapporti di apprezzata consigliera anche nelle cose politiche che sembrano esserci stati tra Lucrezia, prima, col padre Alessandro, poi, col marito, Alfonso d’Este) il rilievo del Grafologo che il “soggetto” è dotato di intuito psicologico e pertanto potrebbe rivelarsi un prezioso consigliere per un uomo di governo , in grado di “ispirargli il modo di come trattare i sudditi”. E, continua il Grafologo , sempre a proposito del tipo di intelligenza del “soggetto” (che noi sappiamo essere Lucrezia, mentre egli ignorava essere tale) rilevando che egli ha il dono della persuasività e “potrebbe riuscire in oratoria” anche se – siccome “la sua parola non è fluida e non ha l’espressione sciolta” –“ha bisogno di preparare la parola e di ordinare il pensiero” . Dunque Lucrezia è una persona capace di governare, ma anche di governare con giustizia e saggezza ? Non è quello che ci pare risultare dall’analisi grafologica. Infatti secondo questa : il “soggetto” “se vi interviene il proprio tornaconto non è facile che vi rinunzi” ; è capace “di un risentimento che sale verso il massimo grado con la facilità di sdrucciolare in un sentimento di gelosia, di vendetta”, tanto più che “la bontà e la remissività” in lui non brillano. Ma Lucrezia, se fa del male, lo fa condottavi dal risentimento, dall’orgoglio, dalla permalosità, da un senso spiccato “della dignitosità personale” (tutti difetti che il Grafologo puntualmente rileva). Peraltro dall’esame grafologico risulta che essa ha tutt’altro che un animo arido e meschino; risulta anzi che “riesce per lettere ed ha spinta di lirica armoniosa” , “gusta molto la musica e riuscirebbe (anche) per la composizione lirica un po’ complicata”. Com’era da aspettarsi, l’analisi grafologica rivela in Lucrezia le doti caratteristiche della femminilità. Ma dall’analisi grafologica risulta anche che Lucrezia sa essere donna al massimo grado senza avere la sfrontatezza di una Messalina ; chè anzi “le piace essere corteggiata e cercata, sebbene possa presentarsi in un modo ritroso” che tuttavia “ è avvolto in un’arte psicologica che le serve per allacciare maggiormente il corteggiatore”. Purtroppo il Grafologo deve denunciare nel “soggetto” una certa tendenza alla falsità (ma chi non è pronto a perdonare questo difetto a una bella donna?!) : la persona analizzata si rivela infatti nella grafia una commediante nata: ”nell’esecuzione del divisamento preso è capace di addolorarsi, di piangere tanto da fare sospettare che voglia ritornare indietro, ma passato quel periodo di commozione ritorna a confermare quanto ha divisato”. “Può avere - continua a rilevare al proposito il grafologo – l’impronta della sincerita” però “siccome tende (….) a giocare col sentimento altrui (…) può benissimo fare della commedia”. Elisabetta I d’Inghilterra

Oroscopo di Elisabetta I

07.09.1533.- 14h 30m LMT - 14h 30m GMT Greenwich, Inghilterra Ascendente Sagittario-Capricorno, Sole in Vergine

Ci limitiamo a pochi cenni dato che non abbiamo dati sicuri . L’Ascendente –nei primissimi gradi del Capricorno, secondo una proposta, e negli ultimi del Sagittario, secondo un’altra proposta – in entrambi i casi ( anche se più nel primo che nel secondo ) spiegherebbe la tenacia e il coraggio dimostrati da Elisabetta nella sua difficile e contestata ascesa al trono . Urano, il pianeta della “rottura” , nella settima casa ( elemento pacifico ) , cioè nella casa delle “unioni”, potrebbe spiegare i frequenti menages stretti e rotti dalla regina . Il Sole nella Vergine ( altro elemento sicuro ) spiega il rifiuto persistente della “regina vergine” al matrimonio e indica per suoi problemi sessuali . E infatti l’autorità del Sementovsky ci dice che “fra i tipi Vergine si trovano molti scapoli e zitelle . In genere i nati sotto il segno della Vergine, se mai, si sposano piuttosto tardi. Fatta la scelta, per molto tempo rimangono indecisi prima di realizzare l’atto legale del matrimonio . Più specialmente, quando si tratta di donne, occorre spesso il più energico insistere da parte del futuro compagno di vita, perché finalmente sia sbrigata la formalità” . E ancora il Sementovsky : “L’erotismo del nato sotto il segno della Vergine è in certo qual modo torbido e caratterizzato sin dalla giovinezza da forti impedimenti psichici . I tipi Vergine sono diametralmente opposti ad ogni tipo di Don Giovanni . Si compiacciono invece nel ruminare la propria sensualità (….) Nei tipi deboli, con altri elementi infranti nel tema di natività, gli impedimenti psichici, a cui questo tipo è soggetto, portano al sopravvento di tendenze morbose : in questi casi il misoginismo e le inversioni sessuali sono piuttosto frequenti” . Infine Saturno, il pianeta dell’inibizione, dell’esagerato svisceramento dei sentimenti, del pessimismo, posto ( altro elemento sicuro ) nella casa settima, che, come si è prima detto, è la casa delle “unioni” , conferma il destino della grande regina….al zitellaggio .

Elisabetta I d’Inghilterra : analisi grafologica di P. Moretti

Intelligente, Elisabetta ? Si, e dotata di una intelligenza “quantitativamente superiore (grafia larga di lettere ), qualitativamente originale ( grafia disuguale metodicamente)” . Autoritaria, Elisabetta ? Più che autoritaria, dispotica, anzi sfrenatamente dispotica : “Si tratta di una donna così sfrenatamente tendente al dispotismo che difficilmente si trova nella storia una personalità politica femminile che l’uguagli” . Ed è persona che non bada ai mezzi pur di ottenere quello che vuole : “Il soggetto è mosso da un’ambizione così violenta di riuscire negli scopi che si prefigge, da determinarsi a scegliere qualunque mezzo pur di giungere al fine voluto” . Interessante come il Grafologo coniuga l’originalità e la tendenza al dispotismo riscontrati nel soggetto analizzato : quella del soggetto “è un’originalità che scaturisce principalmente dalla prepotente tendenza che il soggetto ha verso il dispotismo . Tale dispotismo, essendo regolato dall’emotività, induce il soggetto ad atteggiamenti inattesi” . Finora, la “regina” Elisabetta ; ma la “donna” Elisabetta ? Ahimè non brilla per grazia e per femminilità : “Il soggetto tende ed ha l’abilità per sport più maschili che femminili ( grafia grossa, grossolana ) ; per lo stesso motivo tende ad essere trasandato nel vestire, nell’igiene, nei movimenti, ecc. pur conservando sempre quella solennità, propria di chi è portato alla megalomania” . Calvino

Calvino: oroscopo

15.07.1509 - 13h 30m LMT - 13h 18m GMT Noyon, Francia Ascendente Scorpione, Sole, in Cancro

Premettiamo che date le contrastanti informazioni che le nostre fonti ci danno sulla posizione di alcuni pianeti, noi non utilizzeremo che una parte dei dati oroscopici. Ma anche con la tavolozza così impoverita ci pare di poter tracciare il seguente ritratto di Calvino. Un uomo forte, attento a non scoprirsi, a non rivelare i propri pensieri e sentimenti, dotato di grande capacità lavorativa ( Ascendente nello Scorpione, Ariete in sesta casa ) . I suoi interessi sono incentrati negli studi di carattere storico-filosofico ( accumulo di pianeti nella casa IX ). Il Sole nel Cancro e in casa IX rivela il suo costante affetto, amore e interessamento per la patria abbandonata ( è noto infatti che Calvino dovette andare in esilio per sfuggire alla persecuzione di Francesco I contro le persone sospette di aderire alla Riforma ). Il Medium coeli occupato dal segno del Leone indica l’uomo destinato a occupare una preminente posizione nella società (Calvino praticamente dittatore in Ginevra ). Il Toro sulla cuspide della casa VII fa pensare a un matrimonio tardivo e di convenienza ( è noto che Calvino si decise in età matura a sposarsi con una vedova con figli, dietro pressioni del suo superiore e , per sua chiara e esplicita dichiarazione , all’unico fine di avere una persona che curasse la sua persona e la sua casa – peraltro va aggiunto che il matrimonio fu felice e Calvino soffrì molto per la prematura morte della sua compagna ).

Calvino : analisi grafologica .

Calvino , secondo il Moretti , non possedeva una veramente “superiore intelligenza”. Questa affermazione ( di per sé sospetta in quanto proveniente da un cattolico , se Questi fosse a conoscenza dell’identità dell’analizzando – il che, come già detto in prefazione, non è ) viene comunque ampiamente motivata : “ Intelligenza quantitativamente acuta ( grafia acuta ); qualitativamente a base di contraddizione e di gusto per il sofisma ( grafia larga tra lettere, secca, acuta ) . Possiede doti per mettere in imbarazzo l’intelligenza altrui ( acuta, angoli A , B , C ). Ha attitudini per funzioni di controllo, per la meccanica ( contorta ), e conduce il controllo in modo prepotente ( ricci spavalderia ), mitomaniaco ( ricci ammanieramento ). Non è una vera intelligenza. Se ha dell’originalità – che è sottomediocre ( disuguale metodica ) – tende ad usarla solo per contraddire, imbarazzare, far trionfare se stesso ( acuta, intozzata 1° modo ) . Riesce come oratore (chiara ) ; ma si tratta di un’oratoria rude ( grossa) , aggressiva, priva di serenità di dibattito ( calma 0/10 ) a base di asserzioni dogmatiche e inappellabili ( recisa , dritta ) , piena di arido rigore ( austera ). Nella discussione è portato ad opprimere l’avversario con le sue asserzioni categoriche e perentorie . Quindi Calvino era ( a quel che ci dice il Grafologo ) mediocremente intelligente, e va bene , però quel che interessa parlandosi di chi mandò al rogo Servito, è se egli era un uomo astretto a prendere misure severe dalla necessità di difendere la sua Religione e i suoi correligionari o da un fondo di sadismo che albergava nel suo animo. E il Grafologo sul punto è chiarissimo: Calvino era un sadico. Ma è meglio riportare le esatte parole del Moretti : “ (Il soggetto analizzato ) è uno spirito assolutista, assetato di potere, dominato dall’ambizione di spadroneggiare, d’imporre assolutisticamente se stesso, di dettar legge, di giungere all’annientamento degli altri (…) Nel suo temperamento c’è un elemento di sadismo, che lo fa scivolare nella crudeltà (….) E’ portato al sarcasmo, alla mordacità maligna, alla sospettosità. E’ facile alla invidia, alla gelosia, alla vendetta (….) sa fare il gentile, sebbene nel fondo non abbia che rudezza e crudezza” . E al vero anche noi, tentando di fare l’analisi astrologica di Calvino, ci siamo imbattuti in segni ( che non abbiamo utilizzati perché contestati da un’altra nostra fonte ) che portavano a concludere nel senso indicato dal Moretti; e con ciò soprattutto ci riferiamo a : Marte quadrato Urano ( = “ Fanatismo e intolleranza. Modi di fare privi d’ogni scrupolo, specie quando si tratta di usare la violenza per dimostrare agli altri di essere un uomo forte” ) , Mercurio opposto a Nettuno ( = “ I rovesci sociali sono suscettibili d’indurre il soggetto a cercare d’ingannare e di abbindolare i propri simili escogitando losche ed oscure imprese “ ). Ma a dir il vero tali elementi ( negativi) risultavano , nella carta del cielo , controbilanciati da altri positivi ( anch’essi da noi non indicati perché insicuri ) e, nel complesso, il quadro della personalità di Calvino risultava meno fosco di quello fatto dal Moretti. Lutero

Lutero: oroscopo

10.11.1483 - 23h 00m LMT - 22h 14m GMT Eisleben, Germania Ascendente Leone, Sole in Scorpione

Dove sta il centro degli interessi nella vita di un uomo, come Lutero, diventato così famoso e che tanta influenza ha avuto nella storia dell’umanità ? Ce lo indica , nella carta del cielo, l’accumulo di pianeti nell’ Imum coeli : il centro degli interessi di Lutero sta nel suo focolare domestico : è la vita che conduce lì che soprattutto per lui conta. E’ nel focolare domestico ch’egli ritempra le sue forze, allietato dall’affetto dei figli e della moglie, circondato da fedeli amici, a lui attirati, certo dalla sua tempra morale, ma anche dalla sua gioia di vivere ( Lutero ama il canto, ama lo scherzo…ama la vita ). Vediamo le corrispondenze di quanto da noi ora detto nella carta del cielo : Sagittario in casa V ( = “ Animo sereno e armoniosa vita familiare. I figli procurano gioie e soddisfazioni. Virtuosità e rettitudine in tutte le cose “ ), Acquario in casa VII ( = “ Matrimonio felice . Massima stima da parte del compagno di vita che in ogni senso si adatta al soggetto” ), Bilancia in casa III ( = “ Individui spiritualmente elevati possono diventare capi di comunità o associazioni raccogliendo l’ammirazione di un fedele seguito che li considera come maestri” ), Luna trigono con Nettuno ( = “ Vita affettiva e sensuale estremamente raffinate. Talento musicale”) , Mercurio sestile a Plutone ( = “ Gioia di vivere e affabilità” ) . Lutero quindi è un “ uomo tranquillo” ? Lo è, anche se nella sua testa ribollono idee che rivoluzioneranno il mondo : Luna trigono Urano ( = “ Le idee e le concezioni di questi individui sono talmente lungimiranti da farne antesignani di epoche nuove nella vita dell’umanità con la prospettiva di vedervi promuovere decisive riforme delle istituzioni politiche e sociali “ ), Urano sestile a Plutone ( = “ Scoperte tecniche e rivelazioni scientifiche che aprono nuove prospettive “ ), Urano congiunto a Nettuno ( = “ Grandi scoperte ed invenzioni. Il soggetto vive in certo qual modo all’infuori del proprio tempo” ). Un uomo con tali idee ( innovative ) nella testa non può non venire in conflitto col mondo esterno, specie se egli per natura è portato a soluzioni radicali e cova nell’animo la nascosta ambizione di emergere : Marte congiunto a Giove ( = “ Opinioni e atteggiamenti radicali. Aggressività e litigiosità per lo più nell’intento di porsi in evidenza” ), Sole in Vergine e in casa IV ( = “ Questi individui tendono ad esagerare ogni cosa e sono in genere inclini ad eccessi; vogliono far parlare di sé. In realtà sono mossi da una grande volontà di potenza, ma temono la lotta in campo aperto; debbono infatti le loro vittorie generalmente ad armi e mezzi subdoli” ). La cosa più grave è che Lutero in questa lotta è portato sempre più a rinunciare a quelle idee, a quelle concezioni a cui per lungo tempo ha creduto e che per lungo tempo hanno dato significato alla sua vita : Luna opposta a Plutone ( = “ La vita a poco a poco si svuota dei migliori suoi contenuti in quanto il soggetto finisce per negarne o denigrarne tutti i valori duraturi. Nel suo tentativo di assicurare la propria ascesa sociale, egli sfida ogni ostacolo, ma non si rende conto che agendo con estrema mancanza di scrupoli, irrimediabilmente si sprofonda nell’immoralità “ ). Tutto questo Lutero lo sente e lo teme ed ecco, accanto al Lutero sereno e gioioso, il Lutero tormentato da dubbi e rimorsi ( almeno al momento della crisi, della scelta esistenziale ) : Urano congiunto a Nettuno ( = “ Dubbi, tormenti, logoranti rimorsi di coscienza” ), Mercurio congiunto a Nettuno ( = “ Spesso creature tormentate dai dubbi” ). Ma Lutero era una persona immorale ? vari elementi della carta del cielo fanno pensare il contrario ( Sole trigono a Mercurio, Pesci in casa VIII, il già citato Sagittario in casa V) ; però non mancano neppure elementi che indicano in una sua tendenza alla dissolutezza ( Venere in Scorpione e in casa VIII = “ Il soggetto è incline a una vita dissoluta” ; Luna in Ariete e in casa VIII: “ Il soggetto facilmente può lasciarsi trascinare in una vita caratterizzata da ogni genere d’intemperanze e di eccessi” ). Tendenza ( alla dissolutezza ) a cui Lutero non cedette sia per la sua religiosità sia per sue inibizioni ( Venere congiunto a Saturno = “ Impedimenti psichici, timidezza, complesso d’inferiorità quasi sempre con ripercussioni sulla vita erotica e sessuale” ) .

Lutero: analisi grafologica.

L’intelligenza di Lutero ? Ecco come risponde il Grafologo : “ Quantitativamente sopra la media, qualitativamente a base di ragionamento, il quale è ,sì, originale, ma librato sulla fantasia più che poggiato sulla realtà (…) Il soggetto ( di cui il Moretti, sentiamo il bisogno di ricordarlo, ignorava l’identità ) riesce per studi filosofici o basati sulla filosofia” . Nella nostra analisi astrologica noi avevamo detto che il carattere di Lutero era, per così dire, “viziato” da una volontà di emergere, di “ farsi notare” : questo difetto appare nell’analisi grafologica ? Si, infatti ecco quel che ci dice il Moretti su Lutero : “Sconfinata è la sua ambizione e vanità intellettuale, morale e fisica” ; “ Egli ha un ragionamento guidato dall’ambizione di emergere, di farsi notare, di “ sfondare” (….) Nella discussione manifesta il gusto del cavillo, per far notare la sua rara capacità di sottilizzare (….) Se assume la parte del difensore, non è portato a curare la severità d’una argomentazione precisa, ma piuttosto il modo di soddisfare la sua vanità intellettuale e questo per impressionare gli ascoltatori.”. Nella nostra analisi astrologica avevamo ancora rilevato che, mentre vari elementi indicavano nel senso di una personalità armoniosa, sensibile al bello e tendente al bene, non mancavano altri elementi deponenti invece per uno “spirito tormentato” e per una tendenza ad eccessi specie nel mangiare. Orbene tali nostre conclusioni trovano una certa rispondenza nelle seguenti osservazioni del Grafologo : “ E’ piuttosto ricercato nel mangiare e nel bere. Potrebbe però essere smodato nella quantità del cibo e delle bevande per stordirsi, onde attutire i rimorsi provocati dalla sua ambizione”. Il Grafologo non trova in Lutero una particolare tendenza alla sensualità (“Più che un individuo sensuale è portato a compiacersi delle sue risorse di conquistatore dell’altro sesso”). E neanche noi nella nostra analisi astrologica l’avevamo rinvenuta. Pascal

Pascal: oroscopo

19.06.1623 - 06h 00m LMT - 05h 48m GMT Clermond-Ferrand, Francia Ascendente Cancro, Sole in Gemelli

Cominciamo da due aspetti della personalità di Pascal che si possono dire “scontati” : il genio scientifico, grande e precoce ( Pascal che a soli sedici anni scrive il Saggio sulle coniche , punto di partenza della moderna geometria proiettiva e viene ammesso alla Accademia matematica di padre Mersenne, uno dei più esclusivi circoli scientifici d’Europa ) e la levatura spirituale . Intelligenza precoce : Acquario in casa IX ( = “ Questi individui sono animati dal desiderio di penetrare nei misteri della natura e della vita” ), Giove in Leone e in casa I ( = “ Eccezionali successi personali e una brillante ascesa sociale appaiono assicurati sin dalla giovinezza e ciò, non solo grazie al fascino particolare con cui il soggetto conquista per così dire tutti i cuori, ma anche in quanto meritato premio per il lavoro serio e coscienzioso che compie” ), Plutone trigono con Marte ( = “ Ottime prospettive per ogni attività professionale in relazione a scoperte e invenzioni” – ricordiamo qui l’addizionatrice meccanica, la famosa macchina aritmetica da Pascal costruita e che tanta ammirazione suscitò nei suoi contemporanei ). Levatura spirituale : Acquario in casa VIII ( = “ Filantropia” ), Giove trigono con Luna (= “ Notevoli iniziative di carattere sociale e umanitario” ), Giove congiunto a Saturno ( = “ Onestà e rettitudine” ) . Noi saremmo portati ad attribuire a uno “ studioso” così profondo, a un’anima così elevata anche un comportamento austero e puritano; e infatti nella carta del cielo appare Saturno in Leone e in casa I, che ( oltre a superbia , presunzione, aspirazione al dominio sui propri simili ecc. significati su cui torneremo ) indica anche “ nelle persone eccezionalmente elevate…lo sforzo di superare queste velleità e di imporsi una linea austera di condotta”. Ma segnati nella carta del cielo vi sono anche : Scorpione in casa V (= “ Questi individui si abbandonano spesso all’ebbrezza dei sensi “ ) e ( soprattutto ! ) Venere in Cancro e in casa I ( = “ Il soggetto si lascia facilmente trascinare dai propri impulsi sessuali. Dolcezza d’animo che minaccia di diventare debolezza di carattere” ). Tendenze , quest’ultime, che però vengono impedite di sfociare in volgare libertinaggio da : Venere trigona a Luna ( = “ Concezioni chiare e sane . Senso del bello che influisce su tutte le manifestazioni della vita” ), Giove congiunto a Venere (= Armonia interna. Vita affettiva raffinata e nobile concezione di vita” ) e, dulcis in fundo,Venere congiunto a Saturno (= “ Impedimenti psichici con ripercussioni sfavorevoli sulla vita erotica” ). Ed ecco, come risultato ( di tali divergenti tendenze ) il Pascal frequentatore di salotti mondani, ammiratore ( platonico! ) dell’ arte di piacere che vi si pratica ( e che egli non esita a mettere sullo stesso piano dell’ arte di convincere , che ha il suo modello nella dimostrazione geometrica ! ). Ma nell’animo di questo studioso frequentatore di salotti mondani cresce l’insoddisfazione per la vita ( superficiale ) che conduce ( Urano congiunto a Saturno = “Inspiegabili timori e stati d’angoscia, tedio, malinconia”) e cova, come il fuoco sotto la cenere , un impulso religioso, che però non trova soddisfazione nelle dimostrazioni ragionate dell’esistenza di Dio ( è noto che Pascal conobbe Cartesio ma non ne apprezzò i tentativi di dare di Dio una dimostrazione more geometrico ) e che a Dio infine giungerà, sì, ma nel tumulto dell’anima, per un’intuizione scaturita come una scintilla dal sofferto superamento delle sue contraddizioni : la celebre “ notte di fuoco” del 23 Novembre 1634 in cui Pascal “ritorna” a Dio, sì, ma , come scrisse nel suo memoriale , al “ Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e degli scienziati” . Le corrispondenze di tutto ciò nella carta del cielo ? Eccole : Luna in Pesci e in casa IX ( = “ Concezioni religiose di natura fondamentale ma senza intima chiarezza. Tutti i ragionamenti, l’elaborazione intellettuale dei problemi d’esistenza sono in qualche modo relegati in secondo piano. Questi individui vivono nel mondo della loro esuberante immaginazione e cedono ai propri impulsi senza sottoporli al controllo della ragione” ), Nettuno quadrato a Mercurio ( = “ Impulsi e moti d’animo incontrollati, reazioni psichiche e spirituali altrettanto incalcolabili. Tutto sommato nell’intimo di questi individui regna un irrimediabile caos : non riescono a concepire una linea di condotta a disciplinare la loro esuberanza affettiva né sono in grado di raggiungere l’intima chiarezza necessaria per potersi regolare nella vita secondo precisi concetti”), Urano congiunto a Saturno ( = “ A volte concezioni che toccano il fondo delle ultime cose. Strane ispirazioni” ). E veniamo al lato “oscuro” che non manca neanche nelle persone di altissima levatura spirituale – lato oscuro che nel Pascal è dato dalla eccessiva coscienza del proprio valore ch’egli ha e che rischia di renderlo “antipatico” anche per la mancanza di tatto con cui la esprime ( Pascal che in una lettera alla regina Cristina di Svezia non si perita di affermare che chi, come lui, possiede la scienza esercita sulle menti un “diritto di persuadere” affatto sovrano anzi superiore a quello di “ comandare” che hanno i re sopra i loro sudditi) : Saturno in Leone e in casa I ( = “ Superbia, presunzione, trattamento dispettoso dei propri simili nella esagerata consapevolezza del proprio valore” ) , Marte opposto a Mercurio ( = Esagerata coscienza del proprio valore. Carattere difficile o addirittura insopportabile”), Gemelli in casa XII (= “La mancanza di tatto e di ponderazione minaccia di provocare in ogni momento incidenti spiacevoli” ), Sole quadrato a Luna ( = “ Intimi contrasti tra sentimento e ragione. Spesso carattere poco simpatico” ) .

Pascal: analisi grafologica.

Com’era l’intelligenza di Pascal ? “ Quantitativamente superiore ; qualitativamente originale” . ecco la risposta ( scontata ! ) di P. Moretti ( risposta scontata per noi che conosciamo l’identità del soggetto analizzato, ma non per il Moretti, che tale identità ignorava ! ). E il Grafologo prosegue ( e qui il suo dire si fa per noi più interessante ): “ E’ una intelligenza che penetra la verità non per ragionamento, ma per intuizione e quasi volando”. L’analisi della scrittura porta quindi il Grafologo sul punto-intelligenza alle stesse conclusioni a cui giunge l’astrologo con l’esame della carta del cielo. Ma questi leggeva anche dei difetti nella carta del cielo di Pascal : una certa “debolezza della carne”, addirittura una eccessiva e antipatica consapevolezza del proprio valore, insomma della superbia intellettuale. Questi difetti li ritrova anche il Grafologo ? Vediamo. Cedevolezza al richiamo dei sensi. Sul punto il Moretti scrive : “Principalmente ( il soggetto analizzato ) è attratto verso la idealità” ( le “ concezioni chiare e sane, il senso del bello” evidenziati anche dall’astrologo) . Ma aggiunge il Moretti : “ Non è detto con questo che davanti all’occasione egli non si senta fortemente tentato di cadere in quanto che è portato alla facilità dell’intenerimento sessuale”. E con ciò il grafologo conferma sostanzialmente quanto detto dall’astrologo. Questa coincidenza di vedute vi è anche sulla superbia intellettuale rilevata nella carta del cielo ? Su tale punto al vero il grafologo minimizza: “ Il soggetto analizzato - scrive il Moretti - non è asociale ma tende a stare lontano dalla società corrotta banale. Spirito indipendente senza però rendere dipendenti gli altri. Per se stesso è tipo quieto, ma può diventare irrequieto se viene contraddetto irragionevolmente e se non riesce a farsi comprendere”. Come si vede, anche se il Grafologo non dice expressis verbis che il soggetto analizzato, Pascal, ha quel carattere “difficile” che gli attribuisce l’astrologo, l’unica conclusione che il lettore può trarre dalle sue parole è proprio questa. Scelte consapevoli

Istituto di consulenza giuridica – astrologica nella scelta di un partner (socio, convivente, lavoratore subordinato…..)

La consulenza astrologica è basata sull’oroscopo sinastrico ( dei due interessati ). L’Istituto, che ha carattere sperimentale, si propone di verificare, soprattutto in base ai giudizi di coloro a cui l’oroscopo è stato già fatto, se questo è strumento idoneo a permettere a chi fa una scelta di vedere più chiaro nei propri sentimenti, affinità, discordanze col potenziale partner.

Per informazioni indirizzare a [email protected] (indicando come oggetto della e.mail, “Scelte consapevoli”).