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IN BREVE #2 – UNO SGUARDO AL TEDESCO

-BRAINTICKET - PSYCHONAUT -WALLENSTEIN – COSMIC CENTURY - – DOWN TO EARTH -NOVALIS - SOMMERABEND -SHAA KAN – THE WORLD WILL END ON FRIDAY

Con la retrospettiva dedicata alla prima parte di carriera dei Jane ho aperto la prima finestra sull’affascinante e complesso panorama del rock tedesco, addentrandomi nelle pieghe del versante più rock e progressivo, solo tangenzialmente lambito dal più famoso universo elettronico, comunemente identificato come kraut-rock. Esplorando la scena teutonica con attenzione, a fianco di band prolifiche e seminali come Amon Düül II, Scorpions, Grobschnitt, Eloy o Birth Control, si svela un fitto sottobosco di realtà medie e piccole che hanno sviluppato in molteplici direzioni una proposta accostabile al progressive rock, talvolta in maniera più originale, altre volte approfondendo stimoli provenienti dall’Inghilterra o addirittura dalla musica d’oltreoceano. Come per la prima puntata della rubrica “In breve” ho scelto di coprire un arco temporale e stilistico piuttosto vasto (1971-1978), quasi a voler tracciare i confini di un movimento che, raccogliendo le istanze della psichedelia e del nuovo rock agli inizi della decade, si è infine scontrato con la violenta rivoluzione del punk.

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NOME BRAINTICKET LINE UP JANE FREE – vc, prc TITOLO PSYCHONAUT JOEL VANDROOGENBROECK – ts, sit, el ANNO 1971 ROLF HUG – ch, tab, vc MARTIN SACHER – bs, fl BARNEY PALM – bt, prc ETICHETTA DURIUM TRACKLIST 1-Ragadacuca PRODUTTORE BRAINTICKET 2-One Morning N. SERIE ORIG. D. 30-219 3-(There’s a Shadow) Watching You VALUTAZIONE 4-Like a Place in the Sun 5-Feel the Wind Blow 6-Coc’o Mary

A meno di un anno dalla pubblicazione di Cottonwoodhill, edito dalla Bellaphon/Hallelujah[1], il leader dei Brainticket, Joel Vandroogenbroeck, opera un radicale riassetto della line-up (è l’unico superstite della formazione originale)[2], con una conseguente virata stilistica. Il debutto racchiudeva in poco più di mezz’ora un devastante campionario di umori psichedelici, frutto di un’improvvisazione sul modello dei trip lisergici della scuola americana, venato da piccoli inserti strutturati di matrice progressiva[3]. Il piccolo capolavoro si inseriva all’interno di una tendenza compositivo-esecutiva che seppur con esiti diversi coinvolgeva altri pioneri della scuola tedesca, sia sul versante elettroacustico degli Ash-Ra Tempel sia su quello acid-folk degli Amon Düül II fino a quello più rock dei Can. Con Psychonaut, registrato in Italia -in virtù di una vicinanza artistica e dell'amicizia con i Living Music[4]- per l’etichetta Durium (casa discografica nazionalpopolare che tuttavia non disdegnava incursioni in ambito rock o jazz), la componente anarchico dadaista si affievolisce, lasciando spazio ad una miscela sonora più strutturata e composita, in bilico tra rock psichedelico e progressive vero e proprio. Il respiro generale del disco rimane internazionale e piuttosto estraneo alla scena tedesca più ortodossa (tanto nella variante elettronica che su quella rock), in primo luogo per un approccio strumentale più consapevole e mututato dalle esperienze britanniche, meno devastante rispetto al trip psico-acustico del debutto ma forse più aderente all’idea di «caos organizzato» propugnata da Vandroogenbroeck[5] . Il maggiore ordine formale e la drastica riduzione dell’improvvisazione consente ai brani una maggiore fruibilità rispetto a Cottonwoodhill, nonostante lo spettro timbrico rimanga estremamente vasto e sfaccettato. La band utilizza un'ampia gamma di strumenti sia per quanto riguarda le percussioni che per gli strumenti a corda, con particolare attenzione a insaporire l’amalgama sonoro con spezie esotiche, grazie al massiccio impiego di flauti, sitar e tabla. In un contesto formale prettamente rock e progressivo non mancano elementi più radicali di provenienza psichedelica, come testimonia l’ipnotico incipit della traccia di apertura, dall'ossessivo incedere tribalistico. Nel brano MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS iniziale l’evoluzione stilistica dei Brainticket è evidente; seppure le caratteristiche lisergiche della musica siano espresse attraverso numerosi artifici sonori –ritmiche reiterate e sciamaniche, strumentazione esotica, sfasamenti ed echi nelle sovrapposizioni vocali- la retorica formale del brano è sapientemente dosata attraverso le stratificazioni progressive delle melodie, fino all’esplosione rumoristica della coda, affidata all'hammond iper-distorto. L’elemento prettamente classic-rock è altresì preponderante in diversi frangenti del lavoro, affidato soprattutto alla triade chitarra-tastiera-batteria tipica di molto progressive inglese; è il caso di (There’s a Shadow) Watching You, in cui la compagine si spinge ai limiti dell’hard più cupo e doomy. Il gruppo oscilla costantemente tra atmosfere più oniriche ed allucinate, grazie anche ai toni piuttosto “fuzzy” della chitarra distorta, e frammenti maggiormente complessi e formalmente articolati. A fare da collante tra le due anime di Psychonaut si collocano le raffinate sonorità di One Morning, perfetto esempio di ballata psych-prog, lievemente dark, screziata dalla nebulosa interazione di rumori naturali campionati (la pioggia che inaugura il pezzo e ne puntella taluni momenti) ma edificata su una efficace intelaiatura pianistica in ritmi additivi. Discorso analogo per la catchy Like a Place in the Sun, sempre improntata su coordinate prog, ma più virata sul versante rock, con un energico lavoro nello sviluppo del riff di Hug e Palm. In questo brano spicca anche la bella voce di Jane Free, simile a quella di Grace Slick, altrimenti relegata ad un ruolo marginale nel resto del lavoro, maggiormente improntato alla componente strumentale. La sintesi del nuovo corso dei Brainticket viene completata dal brano Coc’o Mary, capace di far convivere in sei minuti i diversi elementi costitutivi dell’intero , dall'esotismo psichedelico delle tabla agli hooks melodici prettamente rock’n roll dell’hammond, dalle scatenate scorribande fiatistiche allo stralunato interludio centrale, quasi una strizzata d’occhio all’avantgarde. Meno deflagrante e selvaggio rispetto al debutto, Psychonaut è un disco poliedrico, che presenta diversi livelli di ascolto: la maggiore affabilità melodica –tanto vocale che strumentale- nasconde infatti molti strati, molteplicità timbriche, sovrapposizioni di stili e intenzioni, coprendo un ventaglio di emozioni ed umori estremamente ampio, un campionario proteiforme e multicolore di suggestioni lisergiche.

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NOME WALLENSTEIN LINE UP Jürgen Dollase – vc, ts, synth TITOLO COSMIC CENTURY Bill Barone – ch ANNO 1973 Joachim Reiser – vl Dieter Meier – bs Harald Grosskopf - bt ETICHETTA KOSMISCHE MUSIK TRACKLIST 1-The Symphonic Rock Orchestra PRODUTTORE , JÜRGEN - Rory Blanchford DOLLASE - Grand Piano - Silver Arms N. SERIE ORIG. KM 58.006 2-The Marvellous Child VALUTAZIONE 3-Song of Wire 4-The Cosmic Couriers meet South Philly Willy

Legati a doppio filo con i Cosmic Jokers[6], altra realtà fondamentale del rock sperimentale tedesco, i Wallenstein sono, assieme a Jane, Eloy e , naturalmente, Scorpions, tra i rockers più “europei” dell’intera scena teutonica. Nati come Blitzkrieg nel 1971, cambiano nome in Wallenstein, mentre il monicker originale diventa il titolo del loro debutto su 33 giri[7]. L’opera prima è un collage derivativo ma di grande efficaca del meglio del rock inglese, sia nei frangenti progressivi (High Tide, Van der Graaf Generator) che in quelli più orientati all’hard (Uriah Heep), ben suonato e ispirato in sede di composizione[8]. Il meno spregiudicato Mother Universe è il preludio ad una svolta che ingloba elementi space-rock[9] nonché una spiccata vena sinfonica, aggiungendo alla ricca ricetta sonora citazioni da Genesis, Hawkwind e Gentle Giant; il gruppo partecipa così in prima linea alla florida scena tedesca, di cui diventa una compagine di spicco. Con Cosmic Century fin dal titolo si palesano le intenzioni dei Wallenstein, alle prese con il loro lavoro più ambizioso, di ampio respiro formale e dichiaratamente in linea con la deriva space dell’intero movimento kraut. In realtà la componente rock e progressiva rimane ben presente e addirittura trainante, non solo sul piano performativo (con forte preponderanza di assoli, anche elaborati, di chitarra e tastiere) ma anche su quello compositivo, avvicinandosi alla frangia più strutturata e “guitar- driven” di Ufo e Scorpions. Il disco è diviso in due parti, una per lato, sul modello di larga parte del prog inglese ed internazionale: il lato A è interamente occupato da una lunga suite ripartita in movimenti, mentre il lato B presenta canzoni più brevi, di minore ampiezza formale. L’imponente brano iniziale, intitolato programmaticamente The Symphonic Rock Orchestra, è strutturato in due ampie sezioni esterne, collegate da un breve interludio pianistico. Il pianoforte, assieme alle parti affidate al violino (anche effettato), connota timbricamente l’intero sviluppo del pezzo, creando una profonda unità sonora, un’impasto timbrico arioso e magniloquente. Come già accennato, rispetto ad altre band associate alla terminologia space-rock, i Wallenstein mantengono un’impostazione saldamente progressiva, costruendo la composizione con graduali giustapposizioni di MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS regioni formali, strutturate e ben definite, spesso arricchite da sezioni solistiche tecnicamente elaborate e da contrappunti strumentali, discostandosi fermamente dall’impostazione accumulativa- improvvisativa basata sull’impatto di un unico e monolitico crescendo dinamico. La proposta del gruppo è giocata su atmosfere sonore lunari, debitrici anche al lavoro dei Pink Floyd (alla maniera degli Eloy) e dei Moody Blues (nell’uso talvolta kitsch dei tappeti degli archi), declinate in situazioni via via diverse: più serrate sul piano ritmico e strumentale o più dilatate e rarefatte, sempre guidate da una forte e convincente componente melodica. All’apice dei vari climax della suite (ad esempio nella prima sezione della terza parte Silver Arms) il quintetto mette in campo una foga performativa di prim’ordine, dimostrando un grande spolvero tecnico (in particolare nei passaggi in dialogo di chitarra e tastiera) e un notevole impatto d’insieme, sostenuto da una produzione nitida e carica nei bassi. I brani che compongono il lato B dell’Lp propongono in maniera più condensata la ricca formula stilistica della band. La componente chitarristica virata all’hard si fa più presente, recuperando la tendenza del debutto e, in parte, di Mother Universe, immersa però nel complesso sistema di riferimenti che spazia dal blues (alla maniera dei Jane) fino a momenti tastieristici sintetici, più tipici della scuola tedesca (ad esempio l’incipit di The Marvellous Child). Colpiscono la consapevolezza e la perizia con cui i Wallenstein dosano i singoli ingredienti, non rinunciando mai ad un’estetica di fondo che si lega al rock più tradizionale, soprattutto nella composizione delle melodie vocali e chitarristiche; un fitto intreccio di tributi e riferimenti, assemblato con un'ottima capacità di gestione della forma. Manca forse una leadership vocale personale e caratterizzante come nelle formazioni britanniche: il riferimento di Dollase pare essere Hammil, ma non riesce ad avvicinarne né la drammatica vocalità né la forza poetica nella scrittura dei testi.

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NOME NEKTAR LINE UP Roye Albrighton – vc, ch TITOLO DOWN TO EARTH Allan Freeman – ts ANNO 1974 Derek Moore-bs Mick Brockett - lc Ron Howden - bt ETICHETTA BACILLUS TRACKLIST 1-Astral Man PRODUTTORE PETER HAUKE 2-Nelly the Elephant N. SERIE ORIG. BLPS 19190 Q 3-Early Morning Clown 4-That’s Life VALUTAZIONE 5-Fidgety Queen 6-Oh Willy 7-Litlle Boy 8-Show me the Way 9-Finale

I Nektar, attivi fin dalla metà degli anni ’60, sono forse la band più paradigmatica all’interno di questa area del rock tedesco, essendo costituita da musicisti inglesi trapiantati ad Amburgo, e quindi anche geograficamente in bilico tra progressive inglese e kraut-rock. Nella lunga e prolifica carriera del quintetto, Down to Earth arriva in un momento di particolare importanza, subito dopo il piccolo successo ottenuto con Remember the Future (stampato anche negli Stati Uniti) e il flop del più accessibile Sound Like This.[10] All'inizio del 1974 il gruppo è ad un bivio; il tentativo di aderire ad una prassi compositiva più semplice e lineare si era rivelato poco fruttuoso sotto tutti i punti di vista, tuttavia la spinta propulsiva del progressive rock più classico andava rapidamente esaurendosi, sfaldandosi in sperimentazioni ardite e esplodendo in ridondanti esempi di elefantiasi formale. Down to Earth è frutto di questa indecisione: pur non ripescando in toto lo spirito sperimentale e virtusistico di Remember the Future, tenta di recuperare la formula vincente dei primi lavori e si riallaccia parzialmente agli gli stilemi del prog. La disomogeneità dell'opera è acuita dalla presenza di diversi ospiti coinvolti nel progetto: PP. Arnold (cantante soul-blues ma legata ai Nice, che ad inizio carriera erano la sua backing-band)[11], Chris Mercer (Juicy Lucy, John Mayall e Keef Hartley Band tra gli altri)[12], Bob Calvert (Hakwind)[13] e l’onnipresente Dieter Derks. L'album è a metà tra un concept e un album a tema sul circo, con tanto di annunci recitati tra un brano e l’altro; l’ambientazione circense evoca un particolare fondale sonoro ed estetico e si riallaccia ad un topos caro non solo al rock progressivo ma soprattutto alla psichedelia più variopinta e “freak”. La deriva commerciale che aveva fiaccato Sound like This non si è del tutto esaurita, ma si riscontra un sostanziale ritorno ad un attitudine più spregiudicata, ad un sound variegato e caleidoscopico, ad una MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS maggiore diversificazione dei timbri e degli arrangiamenti. Spiccano le belle finestre liriche, specialmente in dialogo/scontro con i robusti ed eccentrici passaggi elettrici, recuperando uno schema retorico che era stato un punto di forza delle migliori canzoni di inizio carriera. L’apertura, affidata a Astral Man e Nelly the Elephant, alza il sipario su una marcetta elettrica e sgangherata, debitrice di certa psichedelia americana, appena arricchita da una attitudine lievemente più tecnica ed elaborata, specialmente nel secondo brano. Il gruppo procede su una via piuttosto didascalica ad effetto, con l’utilizzo dei fiati e delle tastiere in funzione onomatopeica e descrittiva, accattivante ma derivativa e prosaica, soprattutto se paragonata alle astrazioni della scena inglese e alle sperimentazioni di quella tedesca. La seconda parte della prima facciata è più consistente e meglio concepita, prima con il lirismo cosmico e stralunato di Early Morning Clown, in cui si scorgono tracce di Bowie e dei Pink Floyd, poi con il rutilante viaggio progressivo di That’s Life, tra ritmi funky, chitarre distorte e passaggi melodici, il tutto arricchito da una vena pop finalmente convincente e memorizzabile. Il disco prosegue ambivalente, con ottimi passaggi strumentali (ad esempio il bel lavoro della chitarra solista in Fidgety Queen o il riffing spezzato di Oh Willy) e banali tentazioni americaneggianti (fino a lambire i confini della musica ballabile, seppure camuffata da space rock, in Show me the Way). Un album che è uno specchio del proprio tempo, che testimonia la crisi di un genere e di una prassi ma allo stesso tempo si rivela a tratti godibile e foriero di passaggi strumentali avvincenti: fantasioso e pirotecnico anche se spesso artefatto e autoindulgente. L’ultimo capitolo strettamente progressivo della saga produttiva dei Nektar.

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NOME NOVALIS LINE UP Detlef Job – vc, ch TITOLO SOMMERABEND Lutz Rahn – ts ANNO 1976 Heino Schünzel – bs Hartwig Biereichel - bt ETICHETTA BRAIN TRACKLIST 1-Aufbruch PRODUTTORE ACHIM REICHEL 2-Wunderschätze N. SERIE ORIG. BRAIN 1087 3-Sommerabend VALUTAZIONE - Wetterleuchen - Am Strand - Der Traum - Ein Neuer Tag - Ins Licht

Tra le compagini prese in esame in questa puntata della rubrica i Novalis sono forse gli oustiders, non solamente perché sono l’unico gruppo che sceglie di cantare in lingua madre, ma anche per una mera questione stilistica, meno fedele alle istanze inglesi. Fin dalla formazione, nel 1971 ad Amburgo, i Novalis si erano distinti per uno stile ibrido, al confine tra spinte progressive e space-rock e una vena più crepuscolare, melodica e romantica. Dopo il debutto, edito nel 1973 ed intitolato Banished Bridge,[14] il gruppo opera una piccola rivoluzione, adottando il tedesco come lingua per le liriche e avvicinandosi ad uno stile sonoro dilatato, soffuso, regolare ed ipnotico, seppur molto differente dalla variante più lisergica e allucinogena del genere. Novalis, pubblicato nel 1975 è il primo esempio dello stile maturo del gruppo, perfezionato un anno più tardi in quello che è considerato il culmine della prima fase della carriera, intitolato Sommerabend (Sera d’estate).[15] Il titolo, associato alla bella copertina bucolica, anticipa la musica contenuta nel disco: crepuscolare, sognante, atmosferica, improntata sulle tastiere. Nella musica dei Novalis non c’è spazio per accelerazioni, cambi di metro o spregiudicate evoluzioni armoniche, ma all’opposto un regolare incedere in 4/4 che incrocia lo space-rock e il proto-ambient, seppur letto in chiave progressiva. Sommerabend è composto da tre brani: due attorno ai dieci minuti che occupano il lato A (Aufbruch e Wunderschätze, su liriche di Novalis) e la title-rack, una lunga suite (oltre diciotto minuti) divisa in cinque movimenti che costituisce l’interna seconda facciata. È proprio quest’ultimo monumentale viaggio sonoro a descrivere al meglio la musica degli amburghesi, articolata come un viaggio attraverso scenari naturali ed onirici; i titoli delle sezioni che compongono la suite sono estremamente significativi nel connotare l’immaginario cui il gruppo attinge: Wetterleuchten “lampeggio diffuso”, Am strand “sulla spiaggia”, Der Traum “Il sogno”, Win Neur Tag “un nuovo giorno” e la conlcusione di Ins Licht “nella luce”. Si parte immersi in un’atmosfera spaziale e distante, con la tastiera e i sintetizzatori a condurre le lente e tortuose volute melodiche, sorretti da una dilatata e pinkfloidiana filigrana chitarristica; quest’ultima emerge poco a poco e si giunge dopo poco meno di quattro minuti ad un nuovo quadro MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS interno alla composizione. Am Strand parte con un ostinato semi-acustico della chitarra, con un pattern spezzato del basso a sorreggere le dense fasce sonore del sintetizzatore; unica variazione all’incedere è una breve accelerazione del ritmo armonico, prima dell’ingresso della voce. L’ipnotica e ripetitiva linea vocale narra una visione psichedelica crepuscolare ed esistenzialista, in parte vicina a certa estetica orientaleggiante in voga nell’ambiente psichedelico, ma più distaccata ed astratta, barocca ed elegante. Senza interruzione si arriva al primo culmine con Der Traum, introdotto da un bell’assolo chitarristico e completato da una nuova parte vocale, leggermente più energica rispetto a quella precedente; con questa sezione si chiude idealmente la prima parte della suite, attraverso la rottura del flusso ritmico che era stato incessante per quasi dodici minuti. Il brusco ingresso dei sintetizzatori, proiettati violentemente al registro acuto è uno spartiacque formale e scaglia l’ascoltatore in una sezione più movimentata ritmicamente, permeata da suoni più sintetici e caratterizzata da un disegno melodico meno lineare e circolare rispetto alla prima parte. Con il lento raffreddarsi di questa nuova temperatura emotiva si ritorna alla situazione di partenza, nuovamente rarefatta e riflessiva, fino alla scomparsa della batteria e al fade-out delle tastiere. Pur non essendo un capolavoro e non presentando elementi di grande originalità, Sommerabend è un calzante esempio del rock tedesco, nella sua versione più intimista e impressionista, un racconto fatto di visioni delicate e colori soffusi, una delle declinazioni più semplici e riflessive delle istanze psichedeliche e progressive europee.

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NOME SHAA KHAN LINE UP Klaus Grandt – vc, pc TITOLO THE WORLD WILL END Reiner Waldmann – vc, ch ON FRIDAY Roland Soltysiak – ch ANNO 1978 Horst Schelchtriemen – ts Walter Kaulhausen - bt ETICHETTA SKY TRACKLIST 1-White Room PRODUTTORE SHAA KHAN 2-World will end on Friday N. SERIE ORIG. SKY 015 3-Graveyard VALUTAZIONE 4-Ocean 5-Seasons

Con l’esplosione del punk e la tendenza ad una generale semplificazione delle strutture formali e componenti performative del rock, la scena progressiva tedesca va rapidamente sfaldandosi, lasciando il campo alla florida scena hard&heavy che dominerà il decennio successivo. Il debutto degli Shaa Khan esce nel 1978, rivelandosi datato per l’epoca e passando pressochè inosservato, nonostante il buon riscontro da parte della critica.[16] Il gruppo di Duisburg, fondato dal batterista Walter Kaulhausen e dal chitarrista Roland Soltysiak, era attivo fin dall’inzio degli anni ’70, prima come cover-band prettamente hard rock (Led Zeppelin e Deep Purple), e successivamente come epigono della stagione sperimentale inglese e tedesca, tanto che la band viene ingaggiata come supporto a gruppi del calibro di Ufo, Nektar e Earth & Fire.[17] Nonostante gli Shaa Khan conquistino un discreto seguito locale, il debutto discografico, intitolatoThe World will wnd on Friday, viene pubblicato dalla Sky solo nel 1978, grazie, ancora una volta, all’interessamento di Dieter Derks. Il disco si rivela uno degli esiti più maturi e consapevoli del prog teutonico, non solo grazie alla padronanza tecnica e compositiva dei musicisti, ma anche in virtù di una grande fantasia e variertà di soluzioni strumentali e melodiche, seppur nel solco della tradizione. In particolare la scelta di alternare due cantanti di ruolo conferisce ai brani una dialogicità melodica nei registri e nei timbri, uno più caldo, roco e bluesly nel registro medio e uno più epico e solenne al registro acuto, occasionalmente affine al falsetto-scream hard rock. Formalmente i brani si collocano su un piano di complessità intermedia, equidistanti dal gigantismo del prog più ambizioso e ridondante e dalla stringata immediatezza del rock più classico, assestandosi (con la sola eccezione di World will end on Friday) tra i sette e i nove minuti di durata. I ritmi generali del lavoro, abbastanza in linea con il modello proposto da gruppi affini come gli Eloy, i Jane o i Grobschnitt, non sono pressochè mai sostenuti, anche se tendono ad evitare la monotonia ipnotica di certo space rock con stacchi, interludi, ripartenze e sezioni contrastanti. MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS

L’album si apre con White Room e l’ascoltatore è subito proiettato in un’atmosfera notturna ed inquietante: una sequenza pianistica ad arpeggio spezzato, accomunabile a quelle concepite da Claudio Simonetti e Mike Oldfield, è il fondamento ad una tormentata ed onirica sovrapposizione di chitarra e voci. Il pezzo racconta la detenzione in un manicomio attraverso gli occhi di un paziente, tra momenti descrittivi da film horror e amare considerazioni esistenziali senza speranza, il tutto accompagnato da un sound dark prog raffinato ma orecchiabile, privo di eccessi virtuosistici ma mai indulgente in banali atmosfere pop. Il misterioso colore sonoro viene recuperato nella title-track, una ballad oscura ed epica, evidentemente influenzata dal sound più rarefatto degli Emerson Lake and Palmer (quello sci-fi di Brain Salad Surgery), in cui il gruppo mostra le proprie potenzialità compositive anche applicate al profilo formale più semplice ed immediato della forma canzone. All’opposto, il lato più hard degli Shaa Khan si palesa nei brani più sviluppati, soprattutto nei soli di chitarra e tastiera, e sgorga da costruzioni di tensione ben congegnate, attraverso progressive stratificazioni di linee melodiche e accumulazioni di sezioni formali giustapposte. Come già detto il gruppo soffrirà il declino dell’estetica prog e l’ascesa dell’hard rock e dell’ heavy metal, nonostante il tentativo di svoltare verso una proposta più affine all’hard melodico alla Magnum con il succesivo Anything Wrong? (edito sempre dalla Sky nel 1980)[18], fino ad un inevitabile scioglimento. Ciononostante The World will end on Friday possiede un fascino particolare, decadente e romantico, uno degli ultimi episodi della parte più progressiva del rock sperimentale tedesco, tra hard rock, psichedelia e dark sound settantiano.

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NOTE

[1] Cfr. ROBERT Philippe, Musiques Expérimentales: une anthologie transversale d’enregistrements emblèmatiques, Mot et le reste, 2007, p. 366. [2] Cfr. THIEYRE Philippe, Psychédélisme, des Usa à l’Europe, Accords, 2007, p. 138. [3] Cfr. FREEMAN Steve, FREEMAN Alan, The crack in the cosmic egg: encyclopedia of Krautrock, Kosmische musik & other progressive, experimental & electronic musics from Germany, Audion, 1996, p. 48. [4] Cfr. MATTIOLI Valerio, Superonda: storia segreta della musica italiana, Baldini & Castoldi, 2016, p. 143. [5] SPOERRI Bruno, Jazz in der Schweiz: Geschichte und Geschichten, Chronos, 2005, p. 152. [6] Cfr. ZOPPO Donato, Prog. Una suite lunga mezzo secolo, Arcana, 2011, p. 126. [7] Cfr. DIERGARTEN Eckhart, 50 Jahre the Lords: “langhaarig, laut und eine legende”, Pro-Business, 2008, p. 133. [8] Cfr. RIZZI Cesare, The Prog Side of the Moon. Suoni e leggende del rock europeo anni ’70, Guinti, 2010, p. 234. [9] Cfr. Ibid., p. 234. [10] Cfr. RIZZI Cesare, Progressive, Giunti, 1999, p. 93. [11] Cfr. HANSON Martyn, Hang on to Dream: The Story of the Nice, Foruli Classics, 2014, p. 48. [12] Cfr. FREEMAN Steve, FREEMAN Alan, op. cit., p. 146. [13] Cfr. CHILVERS Garth, JASIUKOWICZ Tom, History of Contemporary Music in South Africa, Toga, 1994, p. 17. [14] Cfr. FREEMAN Steve, FREEMAN Alan, op. cit., p. 96. [15] Cfr. KOTSOPOULOS Nikolaos, Krautrock: Cosmic Rock and its Legacy, Balck Dog, 2009, p. 72. [16] Soprattutto in virtù della vittoria al festival “78 Rock Festival Würselen”. [17] Cfr. www.shaakhan.de [18] Cfr. FREEMAN Steve, FREEMAN Alan, op. cit., p. 173.