«Sente profondamente, sente con tenerezza» Il dolore e la rinascita in

Giulia Calvi classe III D Esabac Anno scolastico 2016/17

1 Indice

Introduzione … pag. 3

Cenni biografici … pag. 5 Van Gogh e la schizofrenia … pag. 10 o dell'utopia … pag. 18 Concezione di sé e malattia … pag. 23 La lunga notte di Van Gogh … pag. 28 Il suicidio … pag. 31 Il suicidato della società: estratto … pag. 34

Conclusioni … pag. 36

2 Apologia di un'idea Introduzione

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σχότος ἥ τὸ φῶς

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. Giovanni, III, 191

Quando Leopardi sceglie queste parole per introdurre La ginestra o il fiore del deserto, lo fa perchè vuole tradurre in chiave laica l'invito ad accogliere dentro di sé la luce della rivelazione e a scacciare il buio del peccato e della perdizione. È un invito universale a tutti gli uomini che si distinguono per quella loro naturale tendenza al vagare e allo smarrire la luce. Se sono esistiti degli uomini che realmente sono riusciti a perseguire questo proposito, allora io credo intimamente che sia uno di essi. Teso fin dalla giovinezza verso quello che lui definisce un «bisogno terribile di religione2», cerca un dio che lo conforti e che trovi una risoluzione ai suoi tormenti; «E allora vado fuori di notte a dipingere le stelle», scrive ad Arles nel settembre del 1888. Una produzione epistolare impressionante -821 lettere di cui ben 668 al fratello Theo, unica presenza costante nella sua vita-, un animo solitario e inquieto ma al contempo portatore dentro sé del sogno radicato di un'esistenza comunitaria assieme ad altri artisti del suo tempo, primo tra tutti Gauguin. Considerato “pazzo” e curato per epilessia, oggi si ritiene quasi certamente che, come Munch o Strindberg, soffrisse di schizofrenia3.

1 Dal Vangelo di Giovanni citato ne La ginestra o il fiore del deserto, tratta da Giacomo Leopardi, Canti, a cura di E. Peruzzi, Rizzoli, Milano 1998 2 Vincent Van Gogh, lettera a Theo Van Gogh del 28 settembre 1888 3 Karl Jaspers: «Trovo infondata la diagnosi di epilessia formulata dai medici di Van Gogh, perché mancano gli attacchi epilettici e la demenza caratteristica di questa malattia. Può trattarsi unicamente di schizofrenia o paralisi generale». Per ulteriori informazioni approfondimenti si veda K. Jaspers, Genio e follia, Raffaello Cortina Editore,

3 Profondamente innamorato e dell'amore e della vita stessa, trova nell'arte la figura mediatrice tra il proprio bisogno di comunicare e l'apparente incapacità che il mondo aveva di ascoltarlo. In questo scritto mi propongo di ripercorrere la sua vita non tanto seguendo un ordine cronologico preciso, ma esplorando il suo mondo secondo l'ordine delle profonde emozioni che le sue parole e i suoi quadri mi hanno suscitato. Facendo parlare Vincent in prima persona, e soltanto a partire dai suoi scritti e dai suoi dipinti, analizzerò alcuni tratti della sua personalità, che lui stesso ci ha permesso di conoscere. Come congedo da questi cinque anni porto via con me la convinzione che le cose belle vadano preservate poiché l'amore per esse ci distingue come esseri umani, e l'arte di Van Gogh rientra tra queste. È pensiero comune che rappresentare il dolore sia, se non proprio semplice, ad ogni modo immediato e spontaneo; ma dal dolore riuscire a dipingere la gioia, questo ha dello straordinario. E questo era Vincent Van Gogh.

In breve, voglio fare progressi tali che la gente possa dire delle mie opere: «Sente profondamente, sente con tenerezza» e malgrado la mia cosiddetta rozzezza e forse persino a causa di essa4.

Milano 2001 alla voce Van Gogh e la malattia (pag. 162). 4 Vincent Van Gogh, lettera a Theo Van Gogh del 21 luglio 1882

4 Cenni biografici

1853 Vincent Willem Van Gogh nasce il 30 marzo nel presbiterio di Zundert, nel Brabante olandese, da Theodorus Van Gogh, pastore calvinista, e Anne Corniele Carbentus. Secondogenito della coppia, porta il nome dell'omonimo fratello nato un anno prima e morto dopo poche settimane.

1857 Nasce il 1° maggio il quartogenito Theodorus Van Gogh, detto Theo.

1864-1866 /1866-1868 Vincent frequenta prima il collegio protestante di Zevenbergen, dove studierà francese, inglese e tedesco, e successivamente l'istituto presbiteriale Hannik di Tilburg.

1869 Parte per l'Aia come apprendista nella filiale della Goupil, azienda di mercanteria d'arte contemporanea, grazie all'interessamento dello zio paterno Vincent, anch'egli mercante d'arte. La mansione consiste nella vendita di riproduzioni di opere d'arte.

1873 Il fratello Theo entra nella filiale Goupil di Bruxelles e Vincent visita per la prima volta Parigi. Viene successivamente trasferito alla filiale Goupil di Londra, dove vi resterà per due anni. Li vede dipinti di artisti quali Millet o Meissonnier, e ne resterà fortemente influenzato.

1974 Si innamora di Ursula Loyer, la figlia della vedova di un pastore che gestisce la pensione londinese in cui Vincent vive dall'agosto del '73. Il rifiuto da parte della ragazza è talmente duro per Van Gogh che a fine giugno lascia Londra e ritorna dai genitori, nel frattempo trasferitesi nella cittadina di Helvoirt, ai quali racconta della propria delusione sentimentale. Ritorna a Londra in luglio con la sorella e tenta un nuovo -e ugualmente inutile- approccio con Ursula. Ad ottobre viene trasferito nella filiale Goupil di Parigi grazie all'intervento dello zio, che sperava in questo modo di poterlo risollevare dallo stato di depressione in cui si trovava, ottenendo l'effetto opposto. Vincent è scostante sul lavoro, ma visita i musei ed entra a contatto col Seicento olandese

5 e con Rembrandt e Vermeer in particolare. Ritorna a Londra a dicembre per un estremo tentativo con Ursula ma ottiene il definitivo rifiuto.

1876 Vincent viene licenziato dalla Goupil; riparte per Londra e si stabilisce a Ramsgate, una città vicina. Viene assunto come insegnante di francese nel collegio Stokes e in luglio conosce il reverendo Jones, pastore metodista, grazie al quale diventa istitutore; vive un periodo di intenso fervore religioso.

1877 Persuaso dai genitori a non tornare in Inghilterra, viene assunto a Dordrecht, in Olanda , come commesso in una libreria. Parte per Amsterdam in maggio per tentare l'ammissione alla facoltà di Teologia.

1878 Fallito il tentativo di ammissione all'università, frequenta dall'agosto la scuola di evangelizzazione di Bruxelles che abilita al titolo di predicatore popolare dopo soli tre mesi. Nonostante venga considerato il migliore tra gli allievi, allo scadere dei tre mesi non ottiene la nomina poiché viene considerato inadatto alla professione.

1879 Ottiene una nomina provvisoria come evangelista laico a Wasmes e vive in completa povertà per mettere in pratica gli insegnamenti evangelici. Dopo sei mesi il consiglio ecclesiastico di Bruxelles, preoccupato da questo suo atteggiamento, non gli rinnova l'incarico. Si stabilisce a Cuesmes e allestisce il suo primo studio, rimanendo ancora fortemente legato ai temi evangelici; inizia a riprodurre varie opere di Millet, colpito dal senso etico dei suoi quadri. Legge Dickens, Hugo, Shakespeare e si interessa sempre più ai temi sociali.

1880 Prende lezioni di prospettiva e si dedica autonomamente all'anatomia.

1881 Vincent si reca spesso a L'Aia dove ottiene un forte incoraggiamento da Mauve, uno fra i principali esponenti della scuola de L'Aia che aveva sposato la cugina di Vincent. Si innamora durante l'estate

6 della cugina Kate Vos, detta Kee, rimasta da poco vedova e con un figlio. Tornata ad Amsterdam, nella casa paterna, viene raggiunta da Vincent in autunno, ma lei si rifiuta di riceverlo. Vincent allora, davanti ai genitori attoniti di lei, espone la mano alla fiamma della lampada. Continua a scrivere a Kee per un certo periodo, ma non la rivedrà più. Iniziano a comparire delle tensioni nel rapporto coi genitori, che non approvano la sua ossessione per Kate, né i suoi atteggiamenti religiosi. A seguito di una violenta lite con il padre rifiuta l'aiuto economico del quale ha assoluta necessità e si trasferisce a L'Aia, vicino a Mauve.

1882 Comincia a ricevere aiuti economici dal fratello, che lo sosterrà per il resto della sua vita. Si complica il rapporto con Mauve e conosce Maria Hoornik, detta , una prostituta incinta che Vincent decide di accogliere facendola lavorare come modella, attirandosi il risentimento dei parenti. Viene ricoverato per blenorragia e il padre esprime a questo proposito il proposito di farlo internare in un ospedale psichiatrico, fatto che Vincent non dimenticherà mai.

1883 Dopo una serie di contrasti con Theo a causa di Sien, della quale Vincent si dichiarava innamorato e che aveva intenzione di sposare, viene convinto dal fratello a lasciarla per potersi dedicare internamente alla pittura.Si trasferisce a Neuen dove allestisce con l'aiuto del padre uno studio. Seguono due anni di lavoro intensissimo in cui Vincent produce circa tre centinaia di opere tra dipinti, schizzi e acquarelli.

1885 Muore improvvisamente il padre, fatto che lascerà Vincent profondamente scosso nonostante i contrasti, e in autunno lascia definitivamente l'Olanda e si trasferisce ad Anversa. Qui scopre le stampe giapponesi con cui tappezza le pareti della sua stanza e dalle quali rimarrà positivamente influenzato.

1886 Dopo un tentativo all'école des Beaux Arts, dove non supererà mai il corso elementare, si trasferisce improvvisamente a Parigi dal fratello, soggiornando da lui per due anni. Qui conosce Monet, Sisley, Pissarro, Degas, Renoir, Seurat e Signac, e lla fine dell'anno anche Gauguin. Provoca non poche preoccupazioni al fratello, il quale sopporta la sua presenza -che definisce a tratti tenera e sensibile,

7 atratti dura ed egoista- poiché convinto del grande potenziale artistico e delle doti di Vincent.

1888 Parte per il sud della Francia a inizio anno, alla ricerca di luce e colore. Si stabilisce ad Arles, in Provenza, e qui comincia un'intensissima produzione artistica. In maggio affitta l'ala destra di un casolare in Place Lamartine 2: è la celebre «casa gialla», in cui spera di riunire col tempo una comunità di artisti. Il 22 ottobre, dopo una serie incessante di lettere e una mediazione di Theo, dal quale anche Gauguin si trovava a dipendere economicamente, quest'ultimo arriva ad Arles. I due vivono e lavorano assieme, condividono un breve periodo di serenità prima che sorgano i primi dissidi dovuti alle diverse concezioni artistiche. Il 23 dicembre Vincent tenta di colpire Gauguin con un rasoio, stando al racconto di quest'ultimo. Successivamente si taglia il lobo dell'orecchio sinistro e lo porta a Rachel, una prostituta del posto. Viene trovato svenuto e sanguinante la mattina dopo dal postino e viene ricoverato in ospedale. Gauguin lascia Arles.

1889 Dimesso agli inizi di gennaio, ricomincia ben presto a lavorare sebbene tormentato da continue crisi nervose che non lo abbandoneranno più. Nel marzo viene internato in ospedale a seguito di una petizione firmata da ottanta concittadini che lo dichiaravano un pericolo per la comunità. In aprile gli è consentito tornare a casa accompagnato da Signac, che era venuto a trovarlo. L'8 maggio entra volontariamente nella casa di cura del dottor Peyron, a Saint-Paul-de-Manson. Qui vive nella più assoluta solitudine, mantiene una corrispondenza fittissima con Theo e conduce una spietata autoanalisi. Nei quadri compaiono motivi cupi ed elementi naturali, come i cipressi, simbolicamente riferiti al tema della morte. In luglio è colpito da un'altra crisi nervosa che lo lascia stremato, ma persiste a lavorare con un ritmo mai raggiunto prima.

1890 Nasce il figlio di Theo che porta lo stesso nome di Vincent; il Vigneto rosso, esposto a Bruxelles, viene acquistato da Anne Boch per quattrocento franchi. Sarà l'unica vendita della sua vita. Tra fine marzo e inizio aprile è colpito da una crisi violenta che gli impedisce di lavorare per oltre un mese. Nel frattempo, Monet giudica le dieci tele esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi il miglior contributo alla mostra.

8 Nel maggio lascia Arles e parte per il nord, trasferendosi ad Auvers, dove conosce il medico Gachet. A causare il crollo definitivo saranno due fatti in particolare: il rifiuto di Gauguin di unirsi a Vincent e al pittore De Haan durante l'estate in Bretagna, e l'impossibilità di Theo di raggiungerlo con la famiglia durante le vacanze. Inoltre anche i rapporti con Gachet vanno deteriorandosi e Vincent esprime dubbi sull'utilità della sua presenza come medico. Il 27 luglio rientra a casa in serata dopo essersi sparato un colpo che voleva essere fatale, ma lo lascerà in agonia fino alla morte avvenuta durante la notte del 29.

1891 Muore anche Theo, a seguito dell'improvviso aggravarsi di un male che lo tormentava da tempo. Nel 1914 le sue spoglie, precedentemente deposte a Utrecht, dove morì, vengono inumate a Auvers accanto a quelle di Vincent.

9 Van Gogh e la schizofrenia il colore e il senso dell'arte

He transformed the pain of his tormented life into ecstatic beauty. Pain is easy to portray, but to use your passion and pain to portray the ecstasy and joy and magnificence of our world. No one had ever done it before. Perhaps no one ever will again.

Doctor Who, Vincent and

Che Van Gogh soffrisse di un processo psicotico è fuori di dubbio. Ci si chiederà soltanto di che tipo fosse questo processo, quale sia la diagnosi. Trovo infondata la diagnosi di epilessia formulata dai medici di Van Gogh, perchè mancano gli attacchi epilettici e la demenza caratteristica di questa malattia. Può trattarsi unicamente di schizofrenia o di paralisi generale; quest'ultima non si può escludere con certezza, perché l'occasione di un'infezione sifilitica si deve essere presentata spesso nella vita di Van Gogh. La paralisi è dimostrabile solo a partire da sintomi fisiologici, e noi non ne abbiamo notizia. L'unica cosa che potrebbe suggerirla è il carattere caotico di certe tele dell'ultimo periodo e un accenno del pittore all'instabilità della mano. Il mantenimento del senso critico e della disciplina attraverso due anni di violente crisi psicotiche è estremamente improbabile nel caso di una paralisi; nella schizofrenia sarebbe insolito, ma possibile. Mi sembra dunque più verosimile che si tratti di schizofrenia5.

Così scrive Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco, a conclusione del suo saggio Genio e follia. La schizofenia è un disturbo mentale che si manifesta, secondo il DSM-56, attraverso almeno due dei seguenti sintomi per un periodo sufficientemente lungo nell'arco temporale di un mese: • Deliri • Allucinazioni • Eloquio disorganizzato • Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico

5 Genio e follia, pagg. 161-162 6 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali

10 • Sintomi negativi (diminuzione dell'espressione o delle emozioni, o abulia)

Ciò che noi oggi sappiamo in merito alla sofferenza di Vincent Van Gogh, lo sappiamo grazie alla vastissima produzione epistolare che egli ci ha lasciato. Come scrive Jaspers, il manifestarsi di veri e propri attacchi psicotici fu abbastanza tardo, a 35 anni, anche se aveva sviluppato nel corso degli anni una propensione sempre più marcata all'isolamento e al contempo un forte desiderio di condivisione. Il decorso della malattia è riscontrabile anche in una precisa variazione nell'intensità di lavoro, che raggiunge un apice nello stadio preliminare (primavera 1888), decresce dopo la prima manifestazione acuta (dicembre 1888) per poi affrontare una nuova evoluzione artistica. Secondo Jaspers, dal 1888 -ovvero l'anno della prima crisi- si denota una grande differenza rispetto a tutte le opere e gli scritti precedenti: aumenta la veemenza dell'espressione.

Tutti i quadri del 1888 hanno un tono nuovo rispetto a quelli precedenti, che al confronto appaiono meno vigorosi. Alle tonalità scure succede dal 1885 la pienezza del colore, e dal 1886 la sua esplosione chiara e luminosa. Ma nel 1888 appaiono quei segni caratteristici che, spinti all'estremo, potrebbero dare l'impressione di un certo manierismo e producono quell'effetto sconvolgente che non scaturisce dalle opere precedenti; (…) ovunque si avverte una ricerca appassionata. Ci sentiamo spinti da un quadro all'altro, presi in questa vorticosa ascesa, in un movimento che non proviene tanto dalle opere compiute, quanto piuttosto dagli studi preparatori, dalle analisi e dalle sintesi isolate7.

Per tutto il decorso della malattia Vincent mantiene un atteggiamento estremamente consapevole nei confronti della sua condizione (per lo meno al di fuori del delirio allucinatorio): nel febbraio del 1890 scrive «cercare di essere vicino alla realtà è forse un modo per combattere il male che continua sempre a tenermi inquieto8».

Sempre secondo Jaspers, in base al dispiegarsi della malattia deducibile dai suoi scritti e dai suoi lavori, è possibile ricavarne una classificazione delle opere: 1. Fino al 1886: nessuna scomposizione in linee tratteggiate ma studi in stile impressionista e naturalista; 2. 1887: prevalenza di nature morte, ma sviluppo del colore; 3. Seconda metà del 1887 fino alla primavera 1888: comincia a verificarsi una scomposizione

7 Genio e follia, pagg. 151-152 8 Lettera a Theo, febbraio 1890

11 della pennellata che si realizza specialmente nei paesaggi; 4. Estate 1888: tensione interiore che si realizza con un'esperienza visuale dinamica e con un'esplosione del colore; 5. Fine 1888 e inizio 1889: prima crisi nel dicembre 1888; ne consegue un nuovo dinamismo del tratto, i particolarismi dei dettagli vengono meno, i colori si fanno più intensi; 6. 1889 e 1890: visibile comparsa di una grande agitazione interiore, linea sempre più plastica e soggetta all'impeto delle pennellate. Cambiamento della tavolozza verso colori più scuri e meno accesi. Energia senza oggetto, dettagli più casuali, «disperazione e terrore senza espressione».

Da rilevare è anche la costante ricerca interiore di Van Gogh, che coincide con una produzione di autoritratti di sconcertante ampiezza. Questi ultimi subiscono un mutamento nella composizione secondo le modalità sopra descritte, ma conservano un'associazione di fondo nella rappresentazione dello sguardo scrutatore e impenetrabile. Scrive Antonin Artaud 9 nel suo saggio Van Gogh Il suicidato della società:

Un pazzo, Van Gogh? Che colui il quale ha saputo un giorno guardare una faccia umana guardi l'autoritratto di Van Gogh, penso a quello con un cappello floscio. Dipinta da un Van Gogh extra-lucido, questa faccia di beccaio dal pelo rossiccio, che ci ispeziona e ci spia, che ci scruta con un occhio truce, anzi. Non conosco un solo psichiatra che saprebbe scrutare il volto di un uomo con una forza tanto schiacciante e dissecarne quasi con un trinciante l'irrefragabile psicologia. L'occhio di Van Gogh è quello di un grande genio, ma nel modo in cui lo vedo dissecare anche me dal fondo della tela da cui è sorto, non è più il genio di un pittore ch'io sento vivere in lui in questo momento, ma quello di un certo filosofo da me mai incontrato

9 Antonin Artaud (1895-1948), scrittore, commediografo, autore e regista teatrale francese, pubblica nel 1947 il saggio Van Gogh il suicidato della società con una tiratura di tremila copie.

12 nella vita. No, Socrate non aveva quest'occhio, prima di lui forse solo il povero Nietzsche ebbe questo sguardo che spoglia l'anima, che libera il corpo dall'anima, che mette a nudo il corpo dell'uomo, fuori dai sotterfugi dello spirito. (…) Ma Van Gogh ha colto il momento in cui la pupilla sta per precipitare nel vuoto, in cui lo sguardo, scagliato contro di noi come la bomba di una meteora, assume il colore atono del vuoto e dell'inerte che lo riempie. Meglio di qualsiasi psichiatra al mondo, è così che il grande Van Gogh ha situato la sua malattia10.

Scrive Vincent a Theo il 21 luglio del 1888, durante il soggiorno a L'Aia: «Voglio che tu capisca bene la mia concezione dell'arte. Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l'essenza. Quello a cui miro è maledettamente difficile, eppure non penso di mirare troppo in alto». Van Gogh ha, dal 1880 -anno in cui decide di dedicarsi pienamente all'arte-, una concezione precisa di quella che deve essere la sua produzione. Prima di tutto, è necessario dire che, secondo Jaspers, non c'è un'opera di Van Gogh che sia in grado di esistere da sé. Tutto ciò che Van Gogh disegnò, scrisse e dipinse è radicato all'interno della personalità e della spiritualità dell'autore. «Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere non una malinconia sentimentale, ma il dolore vero. In breve, voglio fare tali progressi che la gente possa dire delle mie opere: “Sente profondamente, sente con tenerezza”-malgrado la mia cosiddetta rozzezza e forse persino a causa di essa.11» Sappiamo che in genere ogni opera d'arte può essere analizzata secondo tre aspetti principali: • aspetto ermeneutico, che riguarda cioè l'interpretazione del senso di un'opera, di un testo o di un documento, generalmente antichi; • aspetto semiotico, che attiene all'interpretazione di segni e codici; • aspetto estetico, nel senso propriamente etimologico del termine relativo ai sensi12. Questo fatta forse eccezione per l'arte contemporanea, nella quale accade che i primi due aspetti vengano a mancare poiché ci si pone come obiettivo quello di provocare nello spettatore una reazione estetica destabilizzante . Nella sofferenza schizofrenica, l'impossibilità di comunicare all'altro la propria esperienza in modo

10 Van Gogh Il suicidato della società, pag. 59 11 Lettere a Theo, 21 luglio 1882 12 Dal gr. αἴσϑησις «sensazione», «percezione», «capacità di sentire», «sensibilità». (Treccani, alla voce estetica)

13 condiviso è una delle principali fonti di angoscia (Francesetti, Spagnuolo-Lobb 2014), ed è il motivo per cui i disegni di uno schizofrenico riescono, generalmente, a raggiungere l'osservatore da un punto di vista esclusivamente estetico. Sono in grado di muovere una profonda angoscia e un'inesauribile inquietudine, ma difficilmente riescono ad essere contestualizzati dal punto di vista del significato, né è possibile collocarli all'interno di una narrazione che permetta di coglierne il senso.. Van Gogh invece, durante tutta la sua vita, trova nell'arte il punto di contatto tra se stesso e il resto del mondo. «Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradvole -qualcuno che non ha posizione sociale né potrà averne mai una; in breve, l'infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c'è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno. Questa è la mia ambizione, che, malgrado tutto, è basata meno sull'ira che sull'amore, più sulla serenità che sulla passione.13» Tutti i suoi quadri possono essere contestualizzati, inseriti all'interno di una narrazione più ampia che è quella della sua stessa vita, e sono ricchi di elementi simbolici (i corvi, i cipressi, i girasoli). Inoltre, osservando uno qualunque dei suoi quadri il dolore e le esperienze negative da cui sono scaturiti non raggiungono immediatamente chi osserva. Proviamo ad esempio ad analizzare Campo di grano con cipressi, realizzato a Saint-Rémy nel giugno del 1889.

Dal punto di vista estetico, le prime sensazioni che il quadro mi muove sono una certa serenità, una calma profonda data dal contrasto tra i gialli del campo di grano e i colori freddi -verdi, azzurri-

13 Ibidem

14 usati per dipingere il cielo, le montagne e gli alberi. La linea curva, una costante nella produzione artistica di Van Gogh dopo la crisi del dicembre dell'88, è funzionale a rappresentare il movimento e ad equilibrare le linee verticali e orizzontali che non esprimono lo stesso dinamismo di una linea obliqua. Sostando ulteriormente presso il dipinto, tuttavia, mi rendo conto che c'è una certa quiete, rappresentata dagli elementi naturali armonici e al contempo discostanti tra loro, che non può fare altro che preannunciare una tempesta imminente, l'arrivo di un movimento profondo -anche quello dello stesso pennello, preannunciato dalle linee curve dei cipressi che si stagliano come unica presenza verticale nel quadro. E allora il cielo si fa cupo, le nuvole pesanti e cariche di piogge, il vento che fino a poco fa riuscivo a percepire come leggero e gradito, quasi atteso, diventa tanto forte da trascinarmi via. Compare un certo simbolismo: il tema dei cipressi, che simbolicamente rappresentano la morte e che compaiono nei quadri di Van Gogh solo in questo momento, diventa presagio e monito di ciò che accadrà. In una lettera del 25 giugno 1889 scrive a Theo: «I cipressi mi preoccupano sempre. Vorrei fare qualcosa come per i quadri dei girasoli, perché quello che mi stupisce è che non siano ancora stati fatti come li vedo io. Il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia 'nera' in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile da dipingere che io conosca.14» A livello ermeneutico, è possibile ricondurre questo stesso quadro a una narrazione più ampia: con le stesse modalità (linea curva, paesaggio per linee orizzontali e i cipressi verticali a interrompere l'orizzonte) dipingerà anche la Notte Stellata, e in maniera ancora più radicale. I campi di grano resteranno una costante fino all'ultimo, basti pensare a Campo di grano con corvi che risale ad un mese prima del suicidio. A questo proposito Vincent scrive: «Ci sono campi di grano che si estendono all'infinito sotto un cielo cupo e non ho paventato il tentativo di rappresentare tristezza ed estrema solitudine... Sono quasi convinto che queste immagini vi parlano di cose che non posso esprimere in parole, e cioè della salute e della vitalità che io scopro nella vita di campagna.15» Per questo scrive bene Artaud quando dice:

Diffidate dei bei paesaggi di Van Gogh vorticosi e pacifici, convulsi e pacificati. È la salute fra due attacchi della febbre calda che sta passando. È la febbre fra due attacchi di un'insurrezione di buona salute. Un giorno la pittura di Van Gogh armata e di febbre e di buona salute,

14 Lettera riportata in nota n. 166, pag.411 15 Van Gogh, pag. 69

15 ritornerà per scagliare in aria la polvere di un mondo in gabbia che il suo cuore non poteva più sopportare16. Van Gogh ha le idee molto chiare anche per quanto riguarda l'uso del colore, anticipando per quanto riguarda il problema dell'uso del nero quelli che saranno i temi comuni agli impressionisti francesi, che conoscerà a Parigi nel 1886. Nel 1882 scrive a Theo: «Il nero assoluto non esiste realmente. Ma, come il bianco, è presente in quasi tutti i colori e va a creare la varietà infinita dei grigi -diversi per tonalità e forza. Cossichè in natura, in effetti, non si vedono che quella tonalità e quelle sfumature. (…) Ma l'intera chimica dei colori è più complessa di quelle poche semplici regole. E l'averne una visione chiara vale di più che avere settanta colori diversi-perchè con quei tre semplici colori e il bianco e il nero si possono creare più di settanta tonalità e varietà. In altre parole, [colorista è] l'uomo che sa trovare i grigi della natura sulla tavolozza17». Non per questo però bisogna pensare che Van Gogh si identifichi con un movimento artistico specifico e non si limiti invece a semplici influenze. Come scrive lui stesso «Sono ben lontano dall'aggrapparmi a un sistema o dall'essere legato a un sistema18». In conclusione, importante è, al fine di contestualizzare la produzione artistica di Van Gogh in relazione alla sua malattia, sottolineare che la schizofrenia non costituisce, di per sé, un impulso creativo senza l'ausilio della padronanza di una tecnica pittorica e artistica, che Van Gogh raggiunse nel corso di dieci anni di lavoro, ma si limita a rafforzare «forze già esistenti» (Jaspers, 1951). Il che significa che Van Gogh era un genio artistico a prescindere dalla schizofrenia. Per spiegare meglio quest'ultimo concetto, vorrei mostrarvi dei disegni di Y. e delle opere di Giona Bernardi, un artista svizzero.

16 Van Gogh Il suicidato nella società, pag. 54 17 Lettera a Theo del 31 luglio pag. 177 18 Lettera a Theo del 31 luglio 1882, pag. 179

16 Questi sono due disegni di Y. che, come Giona, era schizofrenico. Entrambi raggiungono l'ossevatore ad un livello esclusivamente estetico, scaturiscono dall'interiorità di Y., dal suo sentire nel momento in cui ha preso in mano la penna e il foglio, ma sono privi di un significato interpretabile da parte di chi osserva. Y. non era un artista, ma il disegno ha rappresentato un tentativo di comunicazione con l'altro. Questa a destra è invece un'opera di Giona. Giona era, al contrario di Y., un'artista; ha esposto al Museo del Novecento a Milano nel 2013 e al Museo d'Arte della Svizzera Italiana nel 2016. Era schizofrenico ma, esattamente come per Van Gogh, la sua malattia non ha fatto altro che rafforzare delle pulsioni creative che sono sempre stati in lui, ben prima che questa si presentasse (Giona è nato nel 1976, e la schizofrenia gli è stata diagnosticata nel 2011). Nell' enorme opera La balena, lunga sei metri, ha rappresentato attimi di vita vissuta e la sua stessa storia, la sua psicosi e il suo percorso, come lui stesso racconta in un'intervista rilasciata per Radiotelevisione Svizzera: «In tutte le scritte, in tutti i quadratini ci saranno delle scritte che parlano di quello che pensavo quando ero in psicosi. (…) Ci saranno altri due lavori sempre su animali marini che rappresentano rispettivamente il razionale, l'irrazionale e c'è sempre un lavoro di analisi terapeutica su quello che dipingo.»

17 Arles o dell'utopia

Non è forse inutile far notare che la cosa più bella che abbiano fatto i pittori di questo paese è stata dipingere una oscurità che malgrado ciò ha una sua luce?19

«Adesso che qui ho visto il mare, sento com'è importante restare al Sud e provare che bisogna spingere il colore all'estremo: l'Africa non è più così lontana.20» Quando sceglie di trasferisi ad Arles, Van Gogh lo fa pensando ad un luogo di innumerevoli suggestioni. Degas vi aveva trascorso un'estate e dal Sud della Francia proveniva anche Zola, che Vincent amava molto, mentre Aix-en-Provence era da tempo residenza di Cézanne. «Qui non mi serve l'arte giapponese, poiché mi dico che sono in Giappone e devo solo aprire gli occhi per cogliere quanto ho davanti a me21» scrive poco dopo l'arrivo ad Arles. Durante la permanenza a Parigi aveva ricoperto le pareti della sua camera di stampe giapponesi e parte della sua produzione pittorica di quegli anni ne fu fortemente influenzata, basti pensare a Pesco in fiore. Questa volta però la primavera in fiore non era raffigurata sulle pareti della sua stanza, ma presente davanti a lui concretamente. L'albero in fiore diventa rappresentazione dell'ottimismo che Vincent prova nel cominciare questa nuova fase della sua vita, simbolo dei suoi desideri e delle sue proiezioni (Walther, 2001). Ci sono due quadri in particolare, risalenti al marzo e al maggio 1888, agli albori di questa nuova esperienza francese, che rappresentano perfettamente il cambiamento e l'evoluzione non solo artistica ma anche personale del pittore.

19 Lettere a Theo, aprile 1885, pag. 269 20 Van Gogh, pag. 31 21 Ibidem

18 Sono due raffigurazioni del Ponte di Langlois, ad Arles: il primo con soggetto delle lavandaie, il secondo invece un'unica figura femminile in procinto di attraversare il ponte. All'assoluta serenità di entrambi i soggetti si contrappone una fortissima tensione emotiva dell'autore che è data dalla stesura del colore, che si estende sullo scenario con contrasti definiti. Rispetto alla prima versione, nella seconda Vincent si è avvicinato ancora di più alla riva del fiume e tutti gli elementi del quadro si presentano con estrema nitidezza a prescindere dalla luce suggerita dalla disposizione del sole. Van Gogh si lascia progressivamente alle spalle le teorie del colore di Delacroix22 e affronta una stesura del colore di tipo tonale in cui la pittura diventa un tutt'uno con l'autonomia del colore. Quest'ultimo non trova più alcuna vera corrispondenza con la realtà rappresentata -sebbene con Van Gogh non si esca mai del tutto dagli ambiti della rappresentazione realistica-, ma diventa tramite dell'espressione personale e individuale dell'artista, e trova corrispondenza solo con l'immagine della realtà che Van Gogh intimamente si raffigura. La luce, le ombre, così come i riflessi e la rifrazione del colore vengono soppressi affinchè accresca l'intensità dell'espressione.

22 Eugene Delacroix (1798-1863) si interessò e applicò alle sue tele gli studi scientifici sull'ottica e i fenomeni della luce. Conosceva e applicava la teoria del colori complementari nata a partire dalle ricerche di Newton. In particolare si concentrò su: 1. Le modalità in cui i colori posti uno accanto all'altro si influenzino vicendevolmente creando degli effetti ottici (es. il blu posto accanto al viola appare tendendente al verde); 2. Le ombre appariranno di un colore complementare a quello della fonte di luce (es. le ombre prodotte da una fonte di luce rossa appariranno tendenti al verde).

19 Da subito l'esperienza ad Arles si configura come una ricerca, un tendere verso l'altro, un'esperienza di tipo comunitario che allontani Vincent dalla sua solitudine. Passano quasi sei mesi prima che possa cominciare a ritrarre qualcuno, e anche in quel momento mai su commissione e sempre senza essere pagato per il proprio lavoro. Il ritratto rappresenta per Van Gogh il mezzo per raggiungere le persone, l'affetto e le amicizie tramite l'arte. «Mi permette di sviluppare quanto di meglio e di più profondo c'è in me23», e così i colori stessi diventano sempre più funzionali alla descrizione del carattere e indipendenti dall'aspetto naturalistico e realistico del soggetto (Walther, 2001). Nel maggio del 1888 Van Gogh affitta, con il denaro inviatogli da Theo, una casa in Place Lamartine che diventerà nota col nome di «casa gialla», dal nome della tinta con cui il pittore la fece ridipingere poiché colore estremamente carico di significati simbolici. Preso dalla gioia e dall'ottimismo Vincent sogna di poter istituire qui quella comunità di artisti verso cui spera di rivolgere le sue aspirazioni. Nei mesi successivi il muro di indifferenza che gli abitanti di Arles hanno eretto attorno allo strano pittore olandese comincia ad essere ostacolo per la fonte di ispirazione di Vincent: il paesaggio, la natura, gli elementi floreali e i pochi ritratti non sono più sufficienti a mantenerlo di buon umore, ed egli si aggrappa sempre di più all'utopia di una comunità di artisti che si concretizza nella mente di Van Gogh nella figura di Paul Gauguin, che aveva conosciuto precedentemente a Parigi e che si trovava in quel momento a dipendere anch'egli economicamente da Theo24. Dal giugno del 1888 le lettere al fratello riguarderanno il flusso incessante di pensieri che Vincent rivolge a Gauguin e al sogno utopico che sta prendendo sempre più forma nella sua mente. «Ho pensato a Gauguin, ed ecco, se Gauguin vuol venire qui25». E ancora «se lui ed io resteremo qui a lungo, faremo dei quadri sempre più personali, proprio perché avremo studiato più a fondo il volto di questo paese.26» Gauguin però, mentre Vincent già sogna una collaborazione artistica tra i due e una vita finalmente felice che lo porti al di fuori della sua condizione di solitudine, non è così propenso a trasferirsi. In una lettera a Bernard dell'ottobre 1888 scrive «Per quanto possa essergli simpatico, a Theo non verrebbe mai in mente di darmi da mangiare laggiù nel Midi solo per farmi un piacere. Da freddo olandese ha studiato per bene la situazione e ha intenzione di tirare la faccenda quanto più è

23 Van Gogh, pag. 36 24 Lettere a Theo, nota 123 a pag. 407: “In una lettera del 22 marzo 1888 Gauguin aveva chiesto aiuto a Theo, a quel tempo suo mercante. Già da due mesi viveva a credito in una locanda di Pont-Aven, senza sapere come trarsi di impiccio.” 25 Lettera a Theo, primi di giugno 1888, pag. 308 26 Ivi, metà giugno 1888, pag. 310

20 possibile27». Le titubanze di Gauguin pongono Van Gogh in uno stato di agitazione costante, tanto che comincia ad indebitarsi ulteriormente pur di ammobiliare la casa, e tutta la sua stessa produzione artistica diventa funzionale all'arrivo del collega pittore. La serie di girasoli che viene dipinta deve servire ad abbellire le pareti altrimenti spoglie della «casa gialla». Quando finalmente Gauguin giunge ad Arles, il 23 ottobre del 1888, Vincent si sente prossimo alla realizzazione concreta della sua utopia. Avendo grande stima di Gauguin, si pone immediatamente sotto la sua guida artistica e si sforza di elaborare quadri sempre più ispirati alla tecnica dell'amico, lavora senza più ispirarsi alla natura e si applica in un'emulazione costante. Gauguin dal canto suo, dopo un primo periodo di collaborazione tra i due, non è affatto soddisfatto e si sente vittima di un intrigo dei due fratelli, mentre Van Gogh si sfiducia ogni giorno di più poiché il suo sforzo costante non viene riconosciuto. «Vincent ed io non possiamo vivere in pace a causa dell'incompatibilità dei nostri caratteri (…). Bisogna che parta28.» scrive Gauguin a Theo. Vincent rimane sconvolto, vede svanire tutte le speranze che aveva riposto non solo nell'amico, ma nella sua intera esperienza di vita ad Arles. La situazione precipita del tutto in dicembre, quando ad esemplificazione di ciò dipinge le due Sedie.

Entrambe le sedie sono vuote, a rappresentare i due artisti che hanno perso il loro posto all'interno della «casa gialla»; la sedia di Vincent è dipinta con i colori della casa stessa, a simboleggiare la

27 Van Gogh, pag. 53 28 Ivi, pag. 56

21 luce e la speranza. Allo stesso modo la sedia di Gauguin è dipinta con i colori complementari alla sedia di Van Gogh, a rappresentare col rosso e il verde le speranze perdute e l'oscurità (Walther, 2001). Il 23 dicembre è il disastro: nel corso della giornata Vincent imbuca una lettera per Theo in cui scrive «credo che Gauguin si sia un po' scoraggiato della piccola città di Arles, della piccola casa gialla nella quale lavoriamo, e soprattutto di me. Infatti ci sono per lui, come per me, molte difficoltà gravi da vincere. Ma queste difficoltà sono soprattutto in noi. Insomma credo che partirà decisamente oppure resterà definitivamente. Prima di agire gli ho detto di riflettere e di rifare i suoi calcoli. Gauguin è molto forte, è un grande creatore, ma proprio per questo gli occorre la pace. La troverà altrove se non la trova qui?29» La sera, Gauguin esce per fare una passeggiata e Van Gogh, terrorizzato che il pittore possa abbandondarlo senza dirglielo, lo segue e lo sorprende tenendo in mano un rasoio30. Gauguin riesce a farlo calmare e decide di passare la notte in albergo. Quando ritorna alla «casa gialla» la mattina dopo scopre che Vincent, tormentanto da allucinazioni, nel corso della notte si è tagliato un orecchio31 che ha poi incartato e portato ad una prostituta che entrambi conoscono, per poi tornare a casa e crollare svenuto e sanguinante a letto. La polizia lo porterà all'ospedale di Arles. Gauguin parte immediatamente e successivamente scriverà che Van Gogh l'aveva minacciato con un coltello. In verità, in una lettera a Bernard scritta appena dopo i fatti non farà alcun accenno di questo dettaglio (Walther, 2001).

29 Lettere a Theo, 23 dicembre 1888, pag. 346 30 Secondo la successiva testimonianza di Gauguin 31 O il lobo di un orecchio, i pareri sono discordanti.

22 Concezione di sé e malattia

«Quanto più divento brutto, cattivo, malato e povero, tanto più cerco di rimediare rendendo il mio colore luminoso, ben equilibrato e raggiante32.»

Vincent rimane quattordici giorni in ospedale. Una volta tornato a caso fa l'unica cosa che gli è possibile per cercare di ridare un ordine al suo mondo, una parvenza di senso, e dipinge Autoritratto con capo bendato. Lo sguardo di Van Gogh è perso nel vuoto, i colori vividi di una stampa giapponese appesa alla parete sono in netto contrasto con i blu e i verdi dei suoi abiti e del suo stesso incarnato, la pennellata si fa sempre più frammentaria e perde quella caratteristica stesura compatta che era stata propria degli ultimi anni. La solitudine diventa compagna perpetua, senza più alcun sogno o utopia che possa alleviare le sue sofferenze. «Dopo quanto mi è capitato, non oso più indurre altri pittori a venire qui, rischiano di perdere la ragione, proprio come me33», e c'è ormai una dolorosa rassegnazione nelle sue parole. Pervaso dal senso di colpa nei confronti di Gauguin e dalla mancanza di una persona accanto, scriverà prestissimo all'amico pregandolo di «astenersi fino ad una più matura riflessione dal parlar male della nostra povera casetta gialla34». Il successivo 18 gennaio scrive a Theo che «la miglior cosa che egli potrebbe fare, e che naturalmente non farà, sarebbe di tornare semplicemente qui... Oso credere che in fondo io e Gauguin, come natura, ci amiamo abbastanza per potere, in caso di necessità, ricominciare ancora insieme.» A un mese dalla dimissione dall'ospedale è costretto a ritornarvi a causa di nuovi crolli nervosi e crisi che non lo abbandoneranno più fino al momento della morte. A seguito di una petizione firmata da un'ottantina di persone tra i cittadini di Arles, viene internato definitivamente sino al

32 Van Gogh, pag. 60 33 Ivi, pag. 58 34 Lettere a Theo, nota n. 138 a pag. 408

23 maggio del 1889. Ma Vincent è estremamente consapevole della sua condizione e della sua malattia, sin dal principio. Se nel gennaio dell'89 scrive «e dopo venga pure la crisi... ho forse torto? In fede mia, no, finchè ci sarà il mondo attuale, finché ci saranno degli artisti e dei mercant di quadri e soprattutto di quello della tua razza, che sono anche dei pionieri. Quello che ti dico è vero. Se sono proprio al punto di essere chiuso in cella da pazzo, allora sono ancora buono per poter pagare in merce quello che sono tenuto a restituire.35» E, allo stesso modo, non si oppone alla reclusione forzata. «Va da sé che nell'intimo del mio cuore ho molto da ridire su ciò. Va anche da sé che non posso offendermi, e che scusarmi equivarrebbe in un simile caso ad accusarmi. (...)io, pur essendo in questo momento assolutamente calmo, potrei facilmente, in seguito a nuove emozioni morali, ricadere in uno stato di sovraeccitazione. Non ti nascondo che avrei preferito morire piuttosto che causare e subire tanti guai. Che vuoi, soffrire senza lamentarsi è l'unica lezione che importa imparare in questa vita.36» A trentasei anni si ricovera volontariamente nella casa per malati mentali di Saint-Rémy, e comincia a dipingere come mai prima. È come se cercasse di lasciar confluire nei colori e sulla tela tutte le sofferenze e tutti i patimenti, senza però fare sì che la bellezza dei suoi colori venga meno o si faccia scostante. Riesce a mantenere, per tutta la durata delle crisi, quel distacco necessario per poter rendere la rappresentazione ancora vitale e soprattutto significante. Subentra però sempre di più quel duplice livello interpretativo di cui già parlavamo in precedenza. Si rifugia in un abbandono totale alla natura, in un ritorno primordiale dell'esistenza in cui la linea si fa curva, frammentaria, ondulata e imprecisa. Gli elementi naturali, sopratutto quelli celesti, si fanno sempre più elementi di un vortice costante e incessante così come quello della personalità interiore di Vincent che riporta nell'arte, per l'ennesima volta nella sua vita, ogni ultima e recondita speranza. Segue nell'autunno del 1889 un'ulteriore profonda crisi che colpisce Van Gogh mentre si trova a lavorare all'esterno. Compaiono più radicalmente manie suicide e allucinazioni terribili, a cui segue una

35 Lettere a Theo, 28 gennaio 1889, pag. 360 36 Ivi, 19 marzo 1889, pag. 366

24 profonda depressione. Quest'ultima caduta avrà profondissime conseguenze nell'arte del pittore, che sostituirà ai toni caldi e confortevoli, che fino a quel momento l'avevano accompagnato, i toni del blu, colori freddi e intensi che sin dalle teorie del colore di Goethe37 sappiamo essere metafora per il dolore, la staticità e la solitudine. Di quest'ultimo periodo sono i suoi quadri più angosciosi, che perdono in parte la loro interpretabilità semiotica ed ermeneutica, quasi come se Vincent non fosse più in grado di ritrovare quella comunicazione che solo nell'arte era riuscito a mantenere. Come se venisse a mancare anche quest'ultimo e definitivo supporto. È inoltre in questo periodo estremamente sensibile al movimento, fatto che viene a delinearsi tramite due tecniche particolari: una è l'uso della linea curva esasperata sino all'estremo, ritrorta su se stessa a disegnare delle onde, dall'altra l'uso di una linea sottile, breve e spezzata.

Tra le opere più esemplificative troviamo senz'altro La chiesa di Auvres, che Vincent dipinge dopo aver abbandonato il manicomio ed essersi trasferito nuovamente nel nord della Francia. A proposito di questo dipinto scrive «Ho dipinto inoltre un quadro di grandi dimensioni, il cui soggetto raffigura la chiesa del villaggio, dove l'edifico appare, violetto, sullo sfondo di un cielo appiattito e blu intenso, dal colorito puro; le finestre di vetro colorato sembrano macchie di blu oltremare, il tetto è viola e in parte arancione. In primo piano l'erba con fiori e sabbia rosa, illuminata dai raggi del sole38». Come scrive giustamente Artaud, nessuna descrizione dei quadri di Van Gogh sarebbe più efficace di quella che diede egli stesso nelle sue lettere (Artaud, 1974).

37 Secondo Goethe (1749-1832), i colori caldi sono simbolicamente portatori di dinamismo e positività; al contrario, i colori freddi implicano staticità e negatività. 38 Van Gogh, pag. 63

25 Curioso è come la stessa linea degli edifici si faccia curva e barcollante, il sentiero si dirami fermandosi davanti alla facciata della chiesa che incombe sullo spettatore come se stesse per crollargli addosso. Il cielo è sempre più cupo e pesante, preme verso il terreno con angosciosa forza.

Le medesime caratteristiche sono riscontrabili nella Camera di Van Gogh ad Arles, del settembre 1889. Si tratta questa di una copia a memoria di un quadro dipinto originariamente ad Arles prima dell'arrivo di Gauguin, ma danneggiato durante il trasporto. È la versione più sgargiante delle tre esistenti, ma è ben lontana dalla sensazione di pace che vorrebbe rendere Van Gogh. Le pareti sono inclinate, i quadri appesi sembrano cadere, la prospettiva sbagliata crea un senso di disorientamento e gli oggetti sembrano tutti abbandonati a loro stessi, senza nulla che li accomuni l'uno con l'altro. «L'atmosfera ambivalente produce un signolare stato di tensione: si tratta di un desiderio di intimità, di una famiglia, di vicinanza e di simpatia, a cui non corrisponde la realtà: la sensazione di essere stato abbandonato, di essere solo e spaesato hanno però avuto la meglio sul desiderio39». Nello stesso mese dipinge anche l'ultimo della lunga serie di autoritratti: si rappresenta di tre quarti su uno sfondo grigio-azzurro delineato da spirali che richiamano la tonalità dell camicia. Gli zigomi pronunciati e gli occhi enormi, dallo sguardo fisso, impenetrabile, uno sguardo che penetra con immediatezza (Artaud), la barba e i capelli rossicci in forte contrasto con il resto della tavolozza. Le forme sullo sfondo non sono né regolari né

39 Walther, pag. 76

26 precise, ma tendono traboccanti verso l'esterno quasi fossero le emozioni stesse del pittore che lottano per fuoriuscire. Riesce però a contenerle, a geometrizzarle e a trovare per loro uno spazio all'interno di una composizione ordinata, all'apparenza pacifica ed equilibrata.

«Oggi ti spedisco il mio autoritratto, che va guardato per un po' attentamente: spero che tu veda come l'espressione del mio volto sia diventata molto più calma, malgrado a me sembri che lo sguardo sia più instabile di prima40»

40 Van Gogh, pag. 72

27 La lunga notte di Van Gogh

Un discorso a sé stante va fatto per quanto riguarda i notturni di Van Gogh. «La notte è più viva e ricca di colori del giorno41» sosteneva, poiché è proprio grazie agli oggetti e alle figure meno distinguibili che si può giungere a una rappresentazione realistica e alla fantasia. Nel settembre del 1888 dipinge L'interno di caffè, di notte: dorme solo di giorno per un'intera settimana e raffigura la notte non direttamente ma tramite una sua rappresentazione in un interno. È evocata tramite l'associazione con la solitudine e la sofferenza che evocano le figure, così come l'alone giallastro delle lampade a luce artificiale ricordano già vagamente quelle che nella Notte Stellata diventeranno stelle pulsanti di luce e colore. Esterno di caffé, di notte è invece il primo vero e proprio dipinto notturno all'aria aperta di Van Gogh. La terrazza del caffè pare illuminata a giorno sotto al cielo stellato i cui astri sono già punti illuminati. Una zona incredibilmente scura è localizzata nella parte centrale del dipinto e separa ulteriormente il chiarore, la luce del locale, la sua atmosfera calda e confortante dal buio della notte e dalle sue stelle così luminose, ma così inevitabilmente lontane. «Un caffè di sera, visto da fuori. Sulla terrazza siedono delle figurine mentre bevono. Un'enorme lanterna gialla illumina la terrazza, la facciata della casa e il marciapiede, proiettando la sua luce persino sul selciato, che così assume una sfumatura di viola rosato. Le facciate delle case della strada, che si allunga sotto il cielo stellato 41 Van Gogh, pag.41

28 blu, sono blu scuro e viola e sul davanti un albero verde. Ecco un quadro notturno senza nero, solo con un bel blu, viola e verde, cosicché, in questo ambiente, la piazza illuminata è di un giallo zolfo pallido e verde limone42». Segue poi Notte Stellata sul Rodano, del 1888, che dipinge durante il periodo di convivenza con Gauguin, in cui Vincent è ancora relativamente sereno. Per realizzare il dipinto Van Gogh rimane sulla sponda orientale del fiume Rodano, cammina lungo la riva sino a raggiungere il ponte di ferro tra Arles e il sobborgo di Trinquetaille. Grande è l'immediatezza della rappresentazione, ma soffermandosi un poco su alcuni dettagli si notano dei particolari interessanti. La posizione dell'Orsa Maggiore non è precisa nel dipinto di Vincent, ma dovrebbe trovarsi molto più a nord. Questo, assieme alla curiosa modalità di stesura del colore (avrebbe steso un secondo strato di colore sul primo ancora umido, e il terzo sul secondo dando così un'impressione visiva estremamente vivida) permette di supporre che il quadro non sia stato dipinto interamente sul posto, en plain air, ma che sia stato frutto di una rielaborazione successiva. Il culmine della rappresentazione dei notturni si ha però certamente con Notte Stellata, in cui ritroviamo sia le duplici forme -la linea curva e quella spezzata- che compaiono a seguito della crisi dell'89, sia il tema del notturno che l'aveva tanto affascinato in precedenza. Si tratta di un quasi unicum per il fatto che Vincent si allontana qui dalla rappresentazione e dall'osservazione diretta della natura, mentre crea tramite un processo immaginativo una composizione suggestiva. In cielo due enormi nuvole si attoricigliano tra loro e circondano undici stelle enormi e pulsanti e una luna enorme, di un colore aranciato irreale e intensissimo, quasi volesse inglobare anche lo stesso sole. Lungo l'orizzonte, delimitato dalla linea delle montagne, è rappresentata una striscia luminosa che potrebbe essere la via lattea, o solo un flusso impulsivo così come è quello delle pennellate che vengono trascinate sulla tela, a creare un'agitazione estatica in contrasto con il blu scurissimo del cielo. In contrasto con le linee curve della parte superiore del dipinto, il villaggio addormentato è rappresentato con l'utilizzo di tratti brevi, così come geometriche sono le luci delle case. Il

42 Van Gogh, pag. 46

29 campanile ricorda vagamente l'archittura della terra natìa del pittore che, assieme alle chiome dei cipressi, si erge verso l'alto a rompere la composizione per linee orizzontali. Evidente è la ricerca dell'infinitudine nella natura, il desiderio di rappresentazione di passioni e sentimenti troppo forti per poter essere trasposti in qualunque altro modo. Come sempre, l'impressione di serenità data dagli azzurri lascia il posto ad un'angosciosa voragine nel momento in cui si percepisce e si entra a contatto con il messaggio emotivo di Van Gogh.

30 Il suicidio

Nei mesi prima di togliersi la vita, Van Gogh dipinge almeno un'altra opera -tra le tante- che ha dello straordinario. Alla fine del gennaio del 1890 nasce il figlio di Theo, Vincent, e il suo omonimo zio per celebrarne il battesimo dipinge per lui Rami di mandorlo in fiore. «Con il lavoro non ho avuto problemi: nell'ultimo quadro ho dipinto rami fioriti. Vedrai forse il migliore e più accurato dei lavori che io abbia mai fatto, dipinto con calma e con pennellate più sicure43» scrive a Theo. Che il pensiero di un bambino lo riempisse di gioia e al contempo lo terrorizzasse e suscitasse in lui un profondo senso di colpa è evidente.

Così dunque Van Gogh si è condannato, perché aveva finito di vivere e perché, come lasciano intuire le lettere al fratello, di fronte alla nascita di un figlio del fratello, gli sembrava di essere una bocca di troppo da sfamare44.

Nonostante questo però, nonostante il dolore e le crisi che non cessavano di tormentarlo, nonostante la solitudine e la paura, Vincent dipinge questo quadro con il celeste più luminoso e chiaro che abbia mai utilizzato (Walther, 2001). Dai boccioli sbocciano i fiori bianchi del mandorlo che raccontano storie di una vita nascente, di una gioia incontenibile. Il tratto è estremamente controllato, non c'è traccia assoluta della linea angosciosa che ha caratterizzato la produzione degli ultimi anni, quasi come avesse fatto uno sforzo immenso per contenere tutto se stesso e dare a sé e al dipinto, e di riflesso al nipote, un nuovo e profondo di equilibrio. Questa è, per me, una delle più grandi prove d'amore che Van Gogh abbia mai affrontato, e di estremo coraggio e di incredibile sensibilità. Quando dipinge Campo di grano con corvi, nel luglio, lo fa per congedarsi intimamente dalla vita.

43 Ivi, pag. 76 44 Van Gogh Il suicidato della società, pag. 61

31 «Nei momenti in cui la natura è così bella sento di rivivere una situazione di terribile lucidità. Non ho più coscienza di me stesso e i quadri nascono come in un sogno45». Ritorna alla pennellata frammentata e rappresenta una tristezza e una solitudine estrema, il formato stranamente orizzontale del quadro permette una rappresentazione del cielo che, come quello della Chiesa ad Auvers, è cupo e incombe lungo la linea dell'orizzonte. I sentieri che si diramano tra le spighe sono ciechi, privi di una direzione precisa, le linee di fuga confluiscono tutte in primo piano ed evocano uno smarrimento senza pari. Tutta la scena è di una semplicità incredibile, profetica. La tavolozza è limitata a tre colori -giallo, blu e rosso-, viene a mancare la prospettiva. La lontananza e la vicinanza si confondono e si sovrappongono, la vertigine è inevitabile.

Van Gogh è fra tutti i pittori colui che ci spoglia più profondamente, e fino alla trama, ma nello stesso modo in cui ci si spidocchierebbe di un'ossessione. Quella di far sì che gli oggetti siano altri, quella di osare infine rischiare il peccato dell'altro, e la terra non può avere il colore di un mare liquido, e tuttavia è proprio come un mare liquido che Van Gogh butta la sua terra come una serie di colpi di sarchio. E del colore della vinaccia ha intriso la sua tela, ed è la terra che puzza di vino, e sciaborda ancora in mezzo alle onde di grano, e drizza una cresta di gallo scura contro le nuvole basse che si ammucchiano nel cielo da ogni lato. (…) e che cosa ha voluto dire lo stesso Van Gogh con questa tela dal cielo abbassato, dipinta come nell'istante preciso in cui si liberava dell'esistenza, perché questa tela ha uno strano colore, quasi pomposo del resto, di nascita, di nozze, di partenza, sento le ali dei corvi battere aspri colpi di cimbalo sopra una terra di cui sembra che Van Gogh non potrà più contenere il flutto. Poi la morte.46

45 Van Gogh, pag. 86 46 Van Gogh Il suicidato della società, pagg. 57-58

32 Non è esattamente questo l'ultimo quadro di Van Gogh, ne seguiranno ancora una dozzina ma non con la medesima potenza ed espressività pittorica. Così come da commiato è il quadro così è anche l'ultima e peraltro incompiuta lettera che Vincent scrive a Theo, il 27 luglio del 1890, prima di uscire di casa e spararsi in un campo di grano.

Vorrei scriverti a proposito di tante cose, ma ne sento l'inutilità (…). Eppure, mio caro fratello, c'è qualcosa che ti ho sempre detto e che ti ripeto ancora una volta con tutta la serietà che può provenire da un pensiero costantemente teso a cercare di fare il meglio possibile, te lo ripeto ancora che ti ho sempre considerato qualcosa di più di un semplice mercante di Corot, e che tu per mezzo mio hai partecipato alla produzione stessa di alcuni quadri, che, pur nel fallimento totale, conservano la loro serenità. Perché siamo a questo punto, e questo è tutto o per lo meno la cosa principale che io possa dirti in un momento di crisi relativa. In un momento in cui le cose fra i mercanti di quadri di artisti morti e di artisti vivi sono molto tese. Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata per metà -e va bene- ma tu non sei fra i mercanti di uomini, per quanto ne sappia, e puoi prendere la tua decisione, mi sembra, comportandoti realmente con umanità. Ma che cosa vuoi mai?47

47 Dall'ultima lettera di Vincent a Theo, 27 luglio 1890

33 Il suicidato della società Estratto

I48 E aveva ragione Van Gogh, si può vivere per l'infinito, soddisfarsi solo d'infinito, c'è abbastanza infinito sulla terra e nelle sfere per saziare mille grandi geni, e se Van Gogh non è riuscito ad appagare il desiderio di irradiarne l'intera sua vita, è perchè la società glielo ha vietato. Apertamente e consciamente vietato. Ci sono stati un giorno gli esecutori di Van Gogh, come ci sono stati quelli di Gérard de Nerval49, di Baudelaire50, di Edgard Allan Poe51 e di Lautréamont52.

Quelli che un giorno gli hanno detto: E adesso, basta, Van Gogh, alla tomba, ne abbiamo abbastanza del tuo genio, quanto all'infinito, è per noi l'infinito. Perché non è stato a forza di cercare l'infinito che Van Gogh è morto, che è stato costretto a soffocare di miseria e di asfissia, è stato a forza di vederselo rifiutare dalla turba di tutti quelli che, quando ancora era in vita, credevano di possedere l'infinito contro di lui; e Van Gogh avrebbe potuto trovare abbastanza infinito da vivere per tutta la vita se la coscienza bestiale della massa non avesse voluto appropriarsene per nutrire le proprie orge, che non hanno mai avuto niente a che vedere con la pittura o con la poesia.

Inoltre, non ci si suicida da soli. Nessuno è mai nato da solo. Così come nessuno muore da solo. Ma, nel caso del suicidio, ci vuole un esercito di esseri malvagi per decidere il corpo al gesto contro natura di privarsi della propria vita.

48 Van Gogh Il suicidato della società, pagg. 60-61 49 Pseudonimo di Gérard Labrunie (1808-1855), poeta e narratore collocato come anticipatore dei successivi movimenti decadenti (Treccani). 50 Charles Baudelaire (1821-1867), poeta e critico francese considerato tra i principali esponenti del simbolismo francese. 51 Edgard Allan Poe (1809-1849), scrittore e poeta statunitense considerato l'iniziatore del racconto poliziesco e della letteratura dell'orrore. 52 Pseudonimo di Isidore Lucien Ducasse (1846-1870), poeta francese.

34 E io credo che ci sia sempre qualcun altro nel minuto estremo della morte per spogliarci della nostra propria vita.

II53 Van Gogh non è morto per uno stato di delirio proprio, ma per essere stato corporalmente il campo di un problema attorno al quale, fin dalle origini, si dibatte lo spirito iniquo di questa umanità. Quello del predominio della carne sullo spirito, o del corpo sulla carne, o dello spirito sull'uno e sull'altra. E dov'è in questo delirio il posto dell'io umano? Van Gogh cercò il suo per tutta la vita con un'energia e una determinazione strane, e non si è suicidato in un impeto di pazzia, nel panico di non farcela, ma invece ce l'aveva appena fatta e aveva scoperto cos'era e chi era, quando la coscienza generale della società, per punirlo di essersi strappato ad essa, lo suicidò. E questo avvenne per Van Gogh come avviene sempre di solito, in occasione di un'orgia, di una messa, di un'assoluzione, o di qualche altro rito di consacrazione, d'invasamento, di succubazione o d'incubazione. Si introdusse dunque nel suo corpo, questa società assolta, consacrata, santificata, e invasata, cancellò in lui la coscienza soprannaturale che egli aveva appena assunto e, come un'inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno, lo sommerse con un ultimo sobbalzo, e, prendendo il suo posto, lo uccise. Perché la logica anatomica dell'uomo moderno è proprio di non aver mai potuto vivere, né pensare di vivere, che da invasato.

53 Van Gogh Il suicidato della società, pagg. 20-21

35 Conclusioni

Van Gogh è un artista complesso, che merita una certa attenzione e una certa pazienza, ma anche una buona dose di immediatezza e di coraggio. Il suo contributo all'arte del XX secolo è stato immenso e così piccola la considerazione dedicatagli in vita, ma senza che egli abbia per questo cessato di trovare un proprio spazio e un modo per esprimere se stesso al mondo. Il proposito di questo mio lavoro era di mostrarvi uno spaccato dell'esperienza di questo artista e della traccia che ha lasciato dietro di sé e in me. Lontana dalla presunzione dell'esservi appieno riuscita, non posso far altro che congedarmi, ancora una volta, con le sue stesse parole.

«Vorrei dipingere uomini e donne con quel tocco di eternità che anticamente veniva simboleggiato dall'aureola e che noi cerchiamo di esprimere attraverso la luminosità e le intense vibrazioni dei nostri colori(...). Esprimere la spiritualitùà di una fronte con una tonalità chiara che risplende su uno sfondo scuro; esprimere la speranza con una stella, la passione di un uomo con un tramonto pieno di luce54»

54 Van Gogh, pag. 58

36 Bibliografia essenziale Tutte le traduzioni delle lettere di Van Gogh, eccetto dove esplicitato, sono tratte da: Vincent Van Gogh, Lettere a Theo a cura di M. Cescon, traduzione di M. Donvito e B. Casavecchia, Guanda Editore, Milano 2017

Karl Jaspers, Genio e follia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001

Ingo F. Walther, Van Gogh, L'Espresso, Roma 2001

Antonin Artaud, Van Gogh Il suicidato della società, Adelphi, Milano 1988

Giacomo Leopardi, Canti, a cura di E. Peruzzi, Rizzoli, Milano 1998

American Psychiatric Association (2013), DSM-5, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano: Raffaello Cortina Editore

Oltre le Colonne d'Ercole. La psicoterapia della Gestalt con le esperienze psicotiche, di G. Francesetti, M. Spagnuolo Lobb pubblicato nel volume La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica, a cura di G. Francesetti, M. Gecele, J. Roubal, Franco Angeli, Milano 2014

N. Frapiccini, N. Giustozzi, Le storie dell'arte, volume 3, Hoepli, Milano 2012

Sitografia Archivio lettere: http://www.webexhibits.org/vangogh/

Archivio opere:http://www.vangoghgallery.it/Opere.asp

Teorie del colore di Delacroix: http://didascienze.formazione.unimib.it/Lucevisione/pittura/delacroix.htm (Unimib)

Intervista a Giona Bernardi: http://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/cult-tv/tutti-i-servizi/Giona-Bernardi-404083.html

37 Filmografia T. Simpson, P. Schweitzer, S. Moffat, P. Wenger, B. Willis (Producers), & J. Campbell (Director), M. Smith, K. Gillan, T. Curran (Actors), (2010), Vincent and The Doctor, (5x10), UK: BBC One

A. Yentob (Producer), & A. Hutton (Director), Benedict Cumberbatch (Actor), (2010), Van Gogh: Painted with Words, UK: BBC Two

Iconografia Self-Portrait, 1889, 65x54, Musée d'Orsay, Paris (dettaglio) Self-Portrait with Grey Felt Hat, 1887, 44x37.5, Paris, , Amsterdam Wheat Field with Cypresses, 1889, 72.5x91.5, Saint-Rémy, National Gallery, London Peach Tree in Blossom, 1888, 80.5x59.5, Arles, Van Gogh Museum, Amsterdam The Langlois Bridge at Arles with Women Washing, 1888, 54x65, Arles, Kröller-Müller Museum The Langlois Bridge at Arles, 1888, 49.5x65, Arles, Wallraf-Richartz Museum, Cologne Van Gogh's Chair, 1888, 91.8x73, Arles, National Gallery, London Gauguin's Chair, 1888, 90.5x72.7, Arles, Van Gogh Museum, Amsterdam Self-Portrait with Bandaged Ear, 1889, 60x49, Arles, Courtauld Institute Galleries, London Cypresses with Two Female Figures, 1889, 92x73, Saint-Rèmy, Kröller-Müller Museum, Otterlo ,1890, Auvers, 94x74, Musée d'Orsay, Paris Vincent's , 1889, 56.5x74, Saint-Rèmy, Musée d'Orsay, Paris Night Café, 1888, 70x89, Arles, University Art Gallery, New Haven Café Terrace at Night, 1888, 81x65.5, Arles, Kröller-Müller Museum, Otterlo Starry Night over the Rhône, 1888, 72.5x92, Arles, Musée d''Orsay, Paris Starry Night, 1889, 73x92, Saint-Rèmy, MOMA, New York Blossoming Almond Tree, 1890, 73x92, Saint-Rèmy, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Amsterdam (dettaglio) , 1890, 50.5x100.5, Auvers, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Amsterdam

Disegni di Y. : scannerizzazioni Figura, Giona Bernardi: scannerizzazione Dettaglio della Balena: http://www.gionanellabalena.ch/parte-prima-opere/la- balena/particolari/stefaniaberetta-ch_dsc_4498-jpg (© stefaniaberetta.ch)

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