Corso di Laurea magistrale (ordinaamento ex D.M. 270/2004) in Economia e gestione delle arti e delle attività culturali

Tesi di Laurea

Tra parola e immagine I taccuini monacensi di Adolfo Venturi

Relatore Chiar.mo Prof. Emanuele Pellegrini

Correlatore Chiar.ma Prof.ssa Alessandra Pattanaro

Laureando Cecilia Riva Matricola 842867

Anno Accademico 2013 / 2014

SOMMARIO

Introduzione IV Parte prima: Venturi e il ‘Settentrione’ 6 Capitolo I: Venturi, i viaggi e i taccuini 7 1. Accenni biografici 7 2. «Vedere e rivedere»: il metodo 14 Capitolo II: Venturi e il mondo tedesco 24 1. Alcune considerazioni generali 24 2. Venturi a Monaco 28 3. Venturi ed i congressi internazionali di storia dell’arte 38 Parte seconda: Sfogliando le carte 42 Capitolo I: I taccuini 43 1. Criteri redazionali 43 2. Taccuino rilegato 1896/7 48 3. Taccuino 1904 68 4. Carte sciolte 87 5. Taccuino pittorico 94 Capitolo II: Dal taccuino alla Storia dell’Arte Italiana 106 Schede di catalogo 106 Conclusione 404 Bibliografia generale 406 Appendice 483

Ovunque si mostrano i festoni della nostra vita, e, tra le betulle e gli abeti del Settentrione,

tra i palmizi del Mezzogiorno, trionfano, onusti di grappoli.

VENTURI 1927, p. 1. Introduzione

Lo studio presente si propone di entrare nel vivo del laboratorio di ricerca di

Adolfo Venturi tramite l’opera esoterica, ed in particolare mediante l’analisi dei taccuini monacensi; quindi, dimostrare quanto le acute e rapide annotazioni presenti nelle carte private, accompagnate da disegni e schizzi, siano in vero il fondamento dell’opera essoterica. Al fine di svolgere al meglio tale compito, operando un confronto fra i testi a stampa ed i taccuini, si è scelto di premettere all’analisi delle carte un breve excursus sulle vicende biografiche dell’autore e sul suo metodo conoscitivo.

In questa pubblicazione, dunque, si raccolgono integralmente e per la prima volta tutte le carte ritrovate inerenti la Alte Pinakothek di Monaco di Baviera e stilate indicativamente tra il 1896/7 ed il 1910. L’intero materiale qui riportato proviene dal Fondo Adolfo Venturi, donato nel 1984 da Ada Canali Venturi alla

Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa. In esso è confluito un vasto ed eterogeneo insieme di documenti, accumulati dal modenese durante la sua intensa attività di studio e di ricerca. All’interno di questa grande raccolta possiamo distinguere: un ricco epistolario, agende e taccuini, diari, manoscritti e appunti per testi editi ed inediti, raccolte di materiale bibliografico, grafico ed iconografico, materiale dattiloscritto e a stampa, schede di lavoro, atti di convegni e documenti ministeriali.1

1 Dal 1984 è stata avviata un’importante operazione di riordino e d’inventariazione di questa considerevole documentazione. Principale frutto di tale lavoro: G. AGOSTI (a c. di), Archivio di Adolfo Venturi, 4 voll., Pisa, Scuola Normale Superiore, 1990-1995, I Introduzione al carteggio 1876- 1908, II Elenco dei corrispondenti, III Introduzione al carteggio 1909-1941, IV Incontri venturiani. La riscoperta dei taccuini risulta assai preziosa al fine di ricostruire sia il modus operandi venturiano sia la sua prassi espositiva. L’analisi dei giudizi ivi riportati, in quelli che potrebbero anche definirsi “diari di viaggio”, dal momento che essi venivano redatti direttamente in loco, senza altro supporto che il catalogo stesso della Pinacoteca, permette di comprendere appieno il ruolo che questi hanno avuto nel processo di formazione del giudizio definitivo impresso nelle opere a stampa; lasciando emergere altresì la personale conoscenza del Venturi, priva in quel momento di ogni condizionamento esterno.

Un confronto serrato tra i taccuini e l’opera edita permetterà inoltre di vagliare il passaggio del linguaggio venturiano da una scrittura privata ad una pubblica, la validità dei giudizi espressi in un primo tempo e di vedere, infine, quanto quelle descrizioni schematiche e quelle osservazioni lenticolari abbiano trovato un riscontro nella critica successiva. A questo proposito sarebbe interessante realizzare un’edizione integrale dei taccuini, per rintracciare non solo le corrispondenze con le opere pubblicate, ma anche le incertezze e le ipotesi personali del Venturi rimaste taciute nelle carte.

Si tenga inoltre presente che dalle numerose pubblicazioni su riviste straniere e dalla partecipazione attiva ai congressi internazionali di storia dell’arte si evinca come Venturi abbia da sempre privilegiato un confronto diretto e continuo con i conoscitori, non solo italiani ma anche europei, ed in particolare tedeschi. Quindi, per entrare ancor meglio nel mondo venturiano, si è scelto in questa sede di indagare quali rapporti egli abbia stretto con i padri fondatori della Kunstwissenschaft e in quale considerazione fosse da questi tenuto.

V

Parte prima

Venturi e il ‘Settentrione’

Capitolo primo

Venturi, i viaggi, i taccuini

1. Accenni biografici

«La vita di Venturi non offre elementi romanzeschi confrontabili a quelli del pioniere Cavalcaselle, del bizzarro Morelli, e nemmeno […] ai casi devianti e affascinanti di Henry Thode e di Aby

Warburg. Un’esistenza che passa dal Palazzo Ducale di Modena agli uffici della Roma umbertina, per arrivare – come aspirazione finale – all’appartamento di un piano nobile ai Prati e alle villeggiature all’ “Excelsior” di Venezia, prende valore dal riscontro di una vicenda istituzionale, statale, nazionale, non personale».2

Adolfo, figlio di Gaetano Venturi e Maria Barbieri, nacque a Modena il 4 settembre 1856. Qui frequentò l’Accademia di Belle Arti, dove nel 1872 conseguì il secondo premio nella specialità dell’ornato; in seguito, presso le Scuole

Tecniche, Normali e Magistrali si diplomò perito commerciale e perito ragioniere

(1875, 1876). Sebbene la città avesse conosciuto la nascita della grande tradizione storica di Muratori e Tiraboschi ed i recenti studi del marchese Giuseppe

Campori, all’ombra della Ghirlandina il dibattito artistico era ormai piuttosto sonnacchioso e rispecchiava i limiti di un ambiente provinciale. Venturi seppe però trarre maggiori stimoli dai soggiorni toscani; nell’allora capitale del Regno, infatti, questi non solo ebbe modo di ampliare i propri interessi in ambito storico,

2 AGOSTI 1996, p. 23. ma entrò anche in contatto con l’ambiente artistico dei macchiaioli, di cui si fece promotore, pubblicando sul giornale “Mutina-mutina”, gli schizzi di Fattori, Lega,

Signorini e Barabino (1880).

Nel 1878 prese parte al concorso per ispettore presso la Galleria Estense di

Modena, presentando il pamphlet Le Belle Arti a Modena. Osservazioni critiche di

Adolfo Venturi. La sua «capacità letteraria diversa dalle cognizioni pratiche»3 degli altri candidati gli valse la nomina, che mantenne lungo il decennio 1878-1888; in tale periodo venne creandosi quel bagaglio culturale che lo accompagnerà per tutta la vita. Presso l’Archivio di Stato approfondì e perfezionò soprattutto le proprie conoscenze storico-artistiche nell’ambito della pittura emiliana, vagliando accuratamente tutta la documentazione relativa al casato estense; frutto di tali ricerche La Regia Galleria Estense (1883). Il volume venne ampiamente apprezzato e grazie ad esso Venturi ottenne la nomina a socio onorario dell’Accademia, in qualità di “Scrittore d’Arte a Modena”; nel 1885, inoltre, quella di socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna. Il testo venne accolto con favore pure dalla critica tedesca, direttamente interessata, poiché nel volume erano «racchiu[se] informazioni di prima mano su cento dei quadri più importanti della Galleria di Dresda».4 Entusiasta per il metodo rigoroso con cui lo studio era stato condotto, Hubert Janitschek invitò Venturi a pubblicare

3 Ivi, p. 40. 4 Ivi, p. 47. Cfr. VENTURI 1991, p. 97.

8 un articolo sulla storia e la formazione della raccolta d’arte di Rodolfo II, sul prestigioso «Repertorium für Kunstwissenschaft» da lui diretto.5

Sin dagli anni modenesi, Venturi dimostrò il suo grande impegno nella politica di salvataggio degli oggetti d’arte contro l’esportazione e lo scorporo delle collezioni; emblematica la vicenda del polittico degli Erri (1885) e delle antiche matrici lignee della tipografia Soliani (1887). Lo Stato italiano, in difesa delle opere d’arte, aveva istituito un catalogo dei beni artistici nazionali, al quale aveva lavorato alacremente, sin dal 1871, Giovan Battista Cavalcaselle. Al fine di collaborare a questa campagna di catalogazione, dopo la nomina ad ispettore di terza classe, Venturi era stato chiamato a Roma, nel 1888, «in missione temporanea alla dipendenza immediata della direzione generale delle antichità e belle arti».6 L’anno successivo, in occasione del IV Congresso delle Deputazioni di

Storia Patria, Venturi presentò un nuovo modello per le schede di catalogo relative agli oggetti d’arte, schede ancor oggi in vigore e meglio conosciute come

OA.

Al convegno fiorentino il Nostro, stimolato anche dal direttore della Biblioteca

Nazionale di Roma, Domenico Gnoli, avanzò un’ulteriore proposta: introdurre nelle università italiane una cattedra per l’insegnamento della storia dell’arte. Il progetto trovò numerose resistenze, soprattutto da parte degli Istituti di Belle Arti, i quali propendevano piuttosto per una riforma delle cattedre già presenti al loro interno, anche a costo di rimanere subordinati alla grande cattedra di archeologia.

5 Cfr. lettera di H. Janitschek ad A. Venturi, 23 dicembre 1882, Pisa, Archivio Venturi; A. VENTURI, Zur Geschichte der Kunstsammlungen Kaiser Rudolf II, «Repertorium für Kunstwissenschaft», VIII, 1885, pp. 1-23. 6 Cfr. Bollettino Ufficiale dell’Istruzione. Provvisioni per il personale, XIV, 1888, p. 50.

9 Osteggiato anche da Luigi Riccio e Federigo Stefani, rispettivamente presidenti della Società napoletana di storia patria e della Deputazione di Venezia, l’invito venturiano trovò, invece, ampio consenso da parte degli storici dell’arte Franz

Wickhoff e Jean Paul Richter, al punto che quest’ultimo si fece portavoce della causa perfino presso il Morelli.7

«L’insegnamento universitario stava diventando una tappa importante […] trasmettere il proprio modello di ricerca e di passione, la propria felice sintesi di lavoro nei musei e di ricerche negli archivi, era forse l’unico modo per moltiplicare, […] i compagni di studio e i colleghi».8 I disegni di Venturi non tardarono ad inverarsi; grazie all’appoggio di Rodolfo Lanciani, Pasquale Villari e

Giosuè Carducci, nel 1890 ottenne la libera docenza presso l’Università La

Sapienza di Roma. Nel contesto della riforma Villari (1891), Venturi venne nominato vicedirettore di terza classe dei musei e delle gallerie del Regno e, a pochi mesi di distanza, promosso a direttore nell’amministrazione provinciale per l’arte antica. Nel 1896 venne accolta la domanda relativa all’incarico d’insegnamento della storia dell'arte medievale e moderna, presso l’Università La

Sapienza di Roma, e, quasi in contemporanea, grazie all’iniziativa del Ministro

Gianturco, Venturi riuscì ad ottenere l’attivazione del corso biennale di perfezionamento per la formazione del personale tecnico museale. Con l’intensificarsi delle turbolenze e delle opposizioni al Ministero, Venturi, nell’intento di congedarsi da quell’ «infida Minerva»,9 acconsentì alla nomina a direttore della Galleria Nazionale d’Arte Antica a Palazzo Corsini (1898) e quindi

7 Lettera di J. P. Richter a G. Morelli, 7 ottobre 1889, Roma, Biblioteca Hertziana. 8 AGOSTI 1996, p. 90. 9 VENTURI 1991, p. 85.

10 l’allontanamento fu reso definitivo dalla proclamazione per chiara fama a professore ordinario presso La Sapienza (1901), non potendo ricevere un doppio stipendio statale. Venturi coronava così il suo cursus honorum, diventando titolare della prima cattedra di storia dell'arte in Italia.

Nel generale clima di rinnovamento culturale e nell’attesa di una più rigorosa sistematizzazione del sapere storico-artistico, Venturi scelse di avvalersi del periodico quale canale immediato per la divulgazione di tale “scienza”. Grazie a tale strumento, infatti, era possibile favorire e stimolare uno scambio fra «i ricercatori di documenti e gli studiosi delle opere d’arte»,10 oltre a rilanciare il dibattito a livello internazionale. Dal sodalizio con Domenico Gnoli, creatosi in seguito allo scritto programmatico Per la storia dell’arte (1887), ne nacque l’«Archivio Storico dell’Arte» (1888-1898), vero e proprio laboratorio di ricerca finalizzato a raccogliere «le forze sparse degli studiosi, e [ad] imprimere un po’ di movimento ai nostri studi storici dell’arte»,11 sull’esempio della «Zeitschrift für bildende Kunst» e della «Gazette des Beaux Arts». Nel 1894, per conto del

Ministero della pubblica istruzione, Venturi diede inoltre vita alle «Gallerie

Nazionali Italiane. Notizie e documenti», annuario per i musei, ad imitazione degli

«Jahrbücher» viennesi, mediante il quale «incrementare i confronti e gli scambi tra direttori, ispettori, adiutori e fornire allo stesso tempo materiale agli studiosi»,12 grazie alla pubblicazione di cataloghi ed inventari, di articoli sulla storia del collezionismo, o, sui più recenti ritrovamenti e restauri. All’«Archivio Storico dell’Arte», impolverato dai troppi documenti d’archivio, successe, quasi senza

10 VENTURI 1887, p. 232. 11 Lettera di D. Gnoli ad A. Venturi, 15 luglio 1887, Pisa, Archivio Venturi. 12 AGOSTI 1996, p. 66.

11 soluzione di continuità, «L’Arte» (1898). La nuova rivista, guidata questa volta unicamente da Venturi, riprendeva tanto nella struttura, quanto nei temi, «il lavoro di illustrazione filologica e critica dei monumenti, delle opere, degli artisti, delle diverse tecniche, delle collezioni, nelle regioni italiane (per la prima volta anche meridionali), già impostato nell’ “Archivio”».13

In questa «accorta strategia intellettuale»14 rientra anche la mostra sulla pittura ferrarese tenutasi nel 1894 presso il Burlington Fine Arts Club di Londra; una fra le occasione più appetibili per potersi misurare direttamente con i colleghi britannici. L’esposizione londinese riscosse un generale consenso, benché sulla

«Revue critique d’histoire et de littérature» Berenson commentasse freddamente a proposito di Venturi: «un éminent archiviste; peut-être les qualités requises pour cela ne sont-elles pas précisément celles qui font le connaisseur».15

In questi anni il numero delle cariche ricoperte da Venturi si somma. Fra le più prestigiose si annoverano quella di socio corrispondente della Reale Accademia di

Scienze Lettere e Arti di Modena (1894), di membro dell’Accademia di Francia

(1901), di socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino (1908); prese parte al Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti (1909-1912), quindi ai lavori della Commissione speciale per la pubblicazione delle opere di Leonardo da

Vinci (1910); fu membro dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino (1912), della Società romana di Storia Patria (1914), nonché dapprima socio corrispondente (1922) e quindi socio nazionale dell’Accademia dei Lincei (1926),

13 SCIOLLA 1995, p. 53. 14 Ivi, p. 112. 15 B. BERENSON, recensione a Burlington Fine Arts Club. Exhibition of Pictures, Drawings and Photographs, «Revue critique d’historire et de littérature», XXXIX, 1895, p. 348.

12 socio corrispondente dell’Accademia pontaniana di Napoli (1930) e socio della

Società Dalmata di Storia Patria. Vero coronamento della carriera venturiana, non soltanto accademica, fu la nomina a Senatore del Regno nel 1924.

Nel 1931 pur lasciando l’ambiente universitario per ritirarsi a vita privata,

Venturi continuò senza posa la sua fervida attività di ricercatore, interrotta il 10 maggio 1941, quando, all’età di ottantacinque anni, si spense a Santa Margherita

Ligure.

Grazie ad una straordinaria finezza critica ed alla sua esperienza di profondo conoscitore, Venturi impresse un vigoroso impulso agli studi di storia dell'arte in

Italia. Le sue vaste conoscenze si concretizzarono in oltre 1400 titoli fra libri, opuscoli, articoli e collane curate, trovando massima espressione nella Storia dell'arte italiana (1901-40), complesso quadro d'insieme degli svolgimenti dell'arte italiana, dall’arte cristiana fino al XVI secolo.

Fra i numerosi studi e pubblicazioni si ricordano inoltre: gli articoli L’Arte a

Ferrara nel periodo di Borso d’Este e Per la storia dell’arte (1887); i volumi dedicati alle collezioni private La Galleria Crespi in Milano (1900), La Galleria Sterbini in Roma

(1906); le monografie su pittore (1920), Luca Signorelli (1922), Piero della Francesca (1922), L. B. Alberti (1923), Correggio (1926), ed un volume di Memorie autobiografiche (1927). La ricca biblioteca venturiana, oltre 8000 titoli, si trova presso l'Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro a Roma.

13 2. Vedere e rivedere: il metodo

Le innumerevoli esperienze di viaggio, una conoscenza diretta delle opere, il dibattito con intenditori e studiosi, una revisione critica costante: sono questi gli strumenti mediante i quali Adolfo Venturi affina ed estende i propri orizzonti conoscitivi. Egli si rivela un viaggiatore instancabile che intesse un numero notevole di rapporti con i connoisseur di tutto il mondo, affiancando ad una conoscenza erudita delle opere il loro studio dal vero. A partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, compie assidue ed accurate esplorazioni nelle gallerie e raccolte d’arte italiane ed europee, inseguendo instancabilmente «un sogno quasi maniacale di ricostruzione dell’arte antica italiana».16

È lo stesso Venturi a confessarci la natura ed il carattere quasi febbrile di questa ricerca: «Una volta […] mi proposi di correre quante più raccolte artistiche fossero pubbliche e private in Europa, nel minor tempo possibile. Mi dicevo:

“Visitando celermente, senza frapporre intervalli, le collezioni d’arte, le cose oggi considerate serviranno a illustrare, a commentare quelle vedute domani: mi si chiariranno spontaneamente le coincidenze formali di un’opera con altra veduta subito dopo: coincidenze, affinità, ricorsi facili a determinarsi, finché sien fresche le impressioni, incise nella memoria le simiglianze.” Notai infatti rispondenze, correlazioni, repliche di forme, ripetizioni di particolari, espressioni dello spirito, che servirono a dar fondamento generale alla mia architettura storica».17

Una traccia di tali peregrinazioni ci è data non solo dai taccuini, ma anche dagli

Itinerari viaggi, una raccolta di carte relative alla programmazione di due tour europei

16 AGOSTI 1996, p. 126. 17 VENTURI 1991, p. 110.

14 compiuti da Venturi; il primo dall’aprile all’ottobre del 1921, il secondo nell’estate del 1926 (Figg. 1, 2, 3). L’intento di tali “spedizioni” era quello di conoscere, dunque, in prima persona le opere dell’arte italiana, rintracciarne le affinità e le distanze, potendo così accostarle o meno tra loro, al fine ultimo di ricostruire un percorso evolutivo del patrimonio storico ed artistico della penisola italiana, dal

Trecento al Seicento circa. Conforme ai dettami della connoisseurship, il Nostro coniuga conoscenze storico-letterarie e analisi filologica, facendo ricorso ad un costante avvicinamento alle opere, giacché «la cognizion erudita di vari stili non è l’ultimo termine a cui mirano i viaggi e le premure di un curioso: è di conoscere le mani d’ogni pittore almeno più celebre, è di discernere gli originali dalle copie».18

L’attenzione ai particolari, il cruccio per i dettagli, tratto distintivo della pratica morelliana, è parte integrante del modus operandi di Venturi (Figg. 21, 22, 29, 31, 32,

38, 45, 82, 83, 86). Prediligendo una ricostruzione dell’opera in termini visivi, ovvero, a partire da una raffinata esegesi dei dati formali da cui talvolta ricava interessanti ipotesi di datazione e traducendoli verbalmente in descrizioni di squisito cesello letterario, egli si rivela un interprete originale dell’analisi formalista.

Il ricorso assiduo a tale metodo è per lui conveniente nell’evitare «di vedere con le lenti altrui, di subire la suggestione di pregiudizi patriottici, di tradizioni capricciose, della retorica che ancora riempie le fosse»19. Venturi, insomma, avverte la necessità di consolidare costantemente le proprie conoscenze, allenando metodicamente il proprio occhio, poiché «il crescere dell’esperienza porta a una continua revisione delle proprie cognizioni; ogni verità acquisita ne trasforma

18 LANZI 1792, p. 14. 19 VENTURI 1990, p. 75.

15 l’assestamento; le rende più proprie alla conquista della verità; ogni nuovo risultato ne trae altri con sé».20

Testimone d’eccezione di questo modus venturiano è il taccuino; pratico compagno di viaggio, supporto ideale per appuntare dati, rapide osservazioni, attribuzioni in sequenza, accompagnate da numerosi schizzi e disegni, volti a fissare efficacemente nella memoria le immagini e i dettagli rilevanti. È nel taccuino che confluiscono, inoltre, quelle informazioni indispensabili non solo al

Venturi storico, ma anche all’uomo delle istituzioni tenacemente impegnato nel miglioramento dell’organizzazione e dell’allestimento dei sistemi museali italiani.

Il taccuino venturiano si presenta, dunque, come un cantiere di pensieri, un laboratorio per la preparazione di testi da pubblicare, siano essi articoli ed interventi su riviste scientifiche, o, capitoli della sua Storia dell’Arte.

«Per chiarire le opinioni, alcuna volta richiameremo i nostri ricordi di viaggio, i nostri studi intorno all’attività degli antichi maestri, applicando nuovi principi di critica e recando spigolature alla storia dell’arte».21

Detto questo, si può comprendere dunque anche il motivo per cui Venturi stesso abbia riordinato in parte le proprie carte; poiché esse costituiscono il campionario per i testi editi, ovvero, raccolgono e sintetizzano quel materiale a cui accedere facilmente in ogni occasione. Un taccuino ben organizzato, dotato di una numerazione precisa ed accurata di quel che vi si trova, consente, infatti, una più rapida consultazione. Ne sono prova, oltre ai taccuini con numerazione rossa ante

1900 (Fig. 5), alcune carte sciolte ove, su un foglio A4, sono stati collazionati da

20 VENTURI 1927, p. 1. 21 VENTURI 1900, p. IX.

16 Venturi stesso frammenti di taccuini di viaggio, relativi a diverse opere visitate in varie collezioni di uno stesso artista (Fig. 6).

Di norma, nel passaggio dal taccuino al testo pubblico, le osservazioni scarne ed essenziali vengono arricchite e rielaborate; quelle già cariche d’immediata e pungente efficacia, invece, sono fedelmente trasposte. In larga parte Venturi reimpiega i medesimi termini e le medesime espressioni linguistiche utilizzate nei taccuini, i quali possono essere detti il “sostrato” o “anima” del testo edito finale.

In questo studio, in particolare nelle schede di catalogo, si è voluto sottolineare proprio questo modo di procedere, interessante al fine di comprendere meglio il

«continuo slittamento di prospettive, di registri, di piani su cui Venturi si confronta con la produzione artistica, oppure sui modi in cui saggia, alla luce di modelli e linguaggi diversi (da Cavalcaselle a Morelli, ad esempi letterari, fino alle sperimentazioni dei giovani allievi) la sua rispondenza all’arte».22

Scrutando, quindi, tra le carte del Venturi, scorgendo il suo metodo e rileggendo i suoi testi programmatici, emergono quali dovrebbero essere le caratteristiche d’uno storico dell’arte degno di tale nome. Egli scrive: «Lo storico moderno non può vivere nelle nubi ma si addentra nei segreti delle tecniche, nelle pieghe delle forme, nello spirito dell’opera: non è più lo scrittore d’un tempo che s’esaltava vedendo nell’arte l’espressione dell’unità italiana, non il letterato che applica all’arte la sua rettorica, non il ricercatore d’archivio che mette in luce un documento artistico».23

22 LEVI-TUCKER 2008, p. 211. 23 VENTURI 1990, p. 12.

17 Sulla scorta del pensiero positivista e dell’affermantesi Kunstwissenschaft, dunque,

Venturi sente l’esigenza di riorganizzare il sapere in modo scientifico e rigoroso, di vagliarlo con una lente critica, il più possibile oggettiva: «tutto si faccia passare sotto il crivello della critica, da qualunque parte provenga o derivi»;24 e proprio al fine di garantire un’accurata ricostruzione storica consiglia di coniugare l’uso di documenti d’archivio e di fonti storiografiche con la «biografia degli artisti, le fonti letterarie d’ispirazione delle opere figurative […] le fonti figurative in quanto ci danno la conoscenza delle idee religiose, filosofiche e dei fatti storici espressi, delle cognizioni scientifiche [ed] economiche, […] della relazione tra popolo e popolo, tra un’età e l’altra»25. Riguardo le fonti aneddotiche, poi, l’invito di Venturi è di avvalersene in extrema ratio, giacché, sovente, tendono a celebrare l’individualità dell’artista, o, propongono valutazioni estetizzanti. È necessario lavorare in favore della pratica dell’attribuzione e di una geografia artistica policentrica. In questo

Venturi mutua da Lanzi e da Cavalcaselle, e si fa forte, inoltre, del nascente concetto di geografia storico-artistica.

Venturi, quindi, invita a vagliare criticamente tutto il complesso di conoscenze d’archivio, ma non è solo in questo che si risolve il lavoro; non è qui il nerbo della scienza storico artistica. Fondamentale è sempre la lettura e l’interpretazione dell’opera dal vivo, al fine di esercitare quel metodo attributivo, che «ben si confaceva al suo temperamento intuitivo e alla rapidità di affrontare i problemi storici, di sintetizzarli e di comunicarli con chiarezza».26 Propedeutico, quindi, si rivela lo studio delle tecniche artistiche e dei materiali. Fondamentale è tutto quel

24 VENTURI 1927, p. 4. 25 Ibidem. 26 SCIOLLA 1995, p. 51.

18 che serve ad un’analisi formale che permetta di riconoscere gli artisti e le loro opere, le diverse scuole, al fine di aver ben chiaro il procedere dell’arte nella storia.

Nella prefazione a Studi dal vero (1927), il Nostro precisa che, talvolta, è

«necessario diffidare delle notizie erudite e persuader[si] che le più autentiche e pure si ricavano direttamente dall’aspetto delle opere d’arte, dalla forma che porta il suggello del suo creatore»;27 le riproduzioni fotografiche, delle quali si avvalse frequentemente il Nostro,28 ad esempio, si rivelano «mezzi mnemonici preziosi solo per chi abbia avuto davanti agli occhi le cose», giacché «nella riproduzione tanti elementi di vita vengono meno».29

L’esplorazione degli archivi, delle fonti antiche, costante del metodo venturiano, deriva da quell’orientamento documentaristico tipico della tradizione erudita. Ciononostante, Venturi afferma che anche i documenti d’archivio non sempre si rivelano utili durante processo interpretativo dell’opera, giacché

«l’intimità della conoscenza critica solo si acquista stringendoci alla creazione artistica, studiandone tutte le facce, rendendola a noi familiare».30

Unico metodo infallibile, dunque, secondo Venturi, è l’osservazione rigorosa.

Lo storico dell’arte, vestito del camice da scienziato, analizza e seziona l’opera in tutti i suoi dettagli: nulla deve sfuggire al suo microscopio; «l’iniziato trovi punti fissi per la sua memoria, e si abitui all’analisi, ai confronti, ad afferrare le più sottili particolarità del carattere delle forme, i più leggieri movimenti dello spirito delle

27 VENTURI 1927, p. 3. 28 A questo proposito Argan (1994, p. 11) racconta: «Ricordo lucidamente tutti i colloqui durante i quali Venturi sfogliava mazzi di fotografie parlando di opere d’arte». 29 Ivi, p. 9. 30 Ivi, p. 3.

19 opere».31 Coloro i quali desiderino accostarsi a questa nuova scienza dell’arte, che oltralpe viene propriamente denominata Kunstwissenschaft, abbraccino questo motto: «Vedere e rivedere sia scritto sulla loro insegna, se vogliono vincere le difficoltà prime del tecnicismo artistico e aprir gli occhi alla luce dell’arte: ché solo il lavoro assiduo di confronto educa la vista, dà il diapason al sentimento artistico».32 L’opera diventa, quindi, il vero documento di studio per Venturi,

«l’ambiente in cui l’arte si svolge, o l’arte come espressione degli ambienti, non attraggono la sua attenzione; e tutto il suo interesse è […] concentrato nelle opere»; tuttavia, come continua Gargiulo nel suo commento, «quanto più ha voluto vederle, cioè conoscerle, giudicarle, goderne, tanto più le ha analizzate e sminuzzate».33

Se, dunque, la contemplazione dal vero dell’opera d’arte è la base di ogni buona educazione artistica, sulla quale s’innesta una conoscenza d’archivio ben vagliata, affinché tale contemplazione non sia superficiale e sterile, o, non si risolva in vuota erudizione, è necessario altresì metodo, altrimenti «le cose viste a distanza di tempo ci lasc[erebbero] freddi, il campo limitato delle osservazioni ci rende[rebbe] miopi».34 Venturi invita, inoltre, a mantenere uno sguardo d’insieme, solo tenendo presente il contesto nel quale è nata l’opera, o, in cui si è inserita, si può giungere ad una buona valutazione delle esperienze culturali vissute e sperimentate dagli artisti stessi.

31 VENTURI 1990, p. 12. 32 Ivi, p. 75. 33 GARGIULO 1906, p. 363. 34 VENTURI 1990, p. 75.

20 Attenzione, oculatezza e ponderazione, poi, sono le armi a cui ricorrere in questa sfida dialettica tra dettaglio e visione d’insieme, affinché, dunque, il giudizio non risulti viziato. Firme false, apocrife, copie, contraffazioni e cattivi restauri sono solo alcune delle difficoltà con le quali il critico si deve confrontare. Proprio perché «conviene veder molto, veder tutto, vedere l’arte [in tutte le sue] manifestazioni multiformi»,35 si devono ricercare, secondo Venturi, affinità e diversità così da poter accostare, o, differenziare opere d’uno stesso periodo ed individuare, infine, un percorso storico-evoluzionistico dell’arte in generale.

Detto ciò, è evidente come Venturi abbia fatto propria la lezione morelliana; questo “vedere tutto, nelle sue molteplici manifestazioni”, così era stato declinato da Morelli-Lermolieff: «Consiglio ai miei giovani compatrioti di prendere a cuore lo studio dei disegni e schizzi dei grandi maestri. Le opere dipinte sono di consueto, come abbiamo notato, così sfigurate, o dalle ingiurie del tempo o dalla mano del restauratore, che tante volte non siamo più in grado di vedere la maniera e lo spirito dell’artista sotto il velo che copre l’opera sua. Nei disegni originari al contrario tutto l’uomo appare davanti a noi, per così dire, senza maschera, senza artifizii; e il suo spirito co’ suoi pregi e co’ suoi difetti si rivela immediatamente alla mente nostra. E lo studio dei disegni originali non è soltanto indispensabile per la conoscenza dei singoli maestri: esso serve altresì ad imprimere nell’animo nostro con maggior precisione i caratteri peculiari delle singole scuole, poiché si ravvisano molto più chiaramente nei disegni e schizzi che nelle pitture i tratti particolari tanto spirituali quanto materiali dei diversi maestri e delle diverse scuole

[…] fonte abbondantissima per lo studio degli antichi maestri. A ciò bisogna

35 Ivi, p. 62.

21 premettere naturalmente una certa famigliarità colle opere dei grandi artisti, giacché la mente di un principiante rimarrebbe assai confusa dallo studio esclusivo dei disegni. Il diletto però che tale studio offre all’occhio già esercitato è secondo me uno dei più elevati che sono alla portata dell’uomo».36 E così pare concludere il

Nostro: «Quanto più si vede, tanto più il compasso visuale si apre, e più si allarga il nostro occhio».37

L’attribuzione ed il riconoscimento degli stili divengono ormai un atto fondamentale della critica. Come scrivono Sciolla e Varallo: «Morelli e

Cavalcaselle con il loro metodo empirico (e quindi ancora in linea con le istanze positiviste) rappresentano […] il punto di partenza della connoisseurship di Adolfo

Venturi […] la ricerca della paternità di un determinato artista attraverso l’individuazione dei precipui e individui caratteri formali e di stile, l’esercizio dell’occhio, del “vedere” come dichiarava Venturi, sono considerati il fondamento della moderna ricerca scientifica dell’arte».38

Con Venturi ed il suo focalizzarsi sull’opera d’arte, quale vera protagonista degli studi storico-critici, prende avvio anche, sebbene solo in parte, l’indagine iconografica. In realtà «non si tratta di mera iconografia […] ma di seguire lo svolgimento artistico di una forma, nel senso di un soggetto o di un motivo e questo nell’ottica di rintracciare il progresso del genio nazionale».39 Un esempio interessante di ciò, benché discutibile sotto il profilo tecnico, è il volume La

Madonna: svolgimento artistico delle rappresentazioni della Vergine (1900).

36 LERMOLIEFF 1886, pp. 10-11. 37 VENTURI 1927, p. 1. 38 SCIOLLA-VARALLO 1999, p. 68. 39 LEVI-TUCKER 2008, p. 215.

22 Come ben riassume Samek Lodovici: «In Adolfo Venturi filologia e attribuzione tendono a fondersi. Il Venturi, dopo Cavalcaselle e Morelli, può considerarsi il terzo fondatore delle discipline storico-artistiche moderne (in special modo nel senso di suscitatore dell’interesse storico-figurativo). Peraltro il gran corpus della Storia dell’arte italiana che va sotto il suo nome non ha un indirizzo unitario: ché vi si ritrovano motivi vecchi e nuovi, dall’evoluzionismo tradizionale alla vasariana, al contenutismo illustrativo dei letterati e al sottile edonismo critico delle correnti europee fine secolo. A ciò si aggiunga dominante la volontà di trascrizione letteraria dell’opera d’arte e di conseguenza l’abbondante descrittivismo. Con Adolfo Venturi siamo entrati nel vivo del presente; si può dire che egli sia stato il maestro diretto o indiretto di tutti gli attuali storici d’arte».40

40 SAMEK LODOVICI 1946, pp. 22-23.

23

Capitolo secondo

Venturi e i conoscitori

1. Alcune considerazioni generali

Prima di procedere all’analisi dei taccuini, è bene soffermarsi sui rapporti tra

Venturi ed i conoscitori tedeschi, poiché sebbene il Nostro ci appaia permeato di quella cultura positivista francese a lui contemporanea, è in dubbio come abbia guardato con maggior preponderanza a quel modello tedesco, che tanta parte ebbe nel processo di formazione d’una disciplina storico-artistica autonoma e dotata d’un metodo rigoroso.41 Come fece notare anche Benedetto Croce:

«Per molto tempo, la “scienza”, il “metodo”, la “serietà”, la “accurata informazione” germaniche sono servite agli studiosi italiani come bandiera, e insieme come arma, onde pugnaci si stringevano tra loro, respingendo dalla loro cerchia i dilettanti, i pigri, gl’improvvisatori, gli acciarpatori: conoscere il tedesco, e mercé la letteratura e l’esempio dei libri tedeschi, tenersi a paro del moto della scienza, è stato il mezzo per “disprovincializzare” la scienza italiana, e ammodernarla e affiatarla con la cultura europea».42

Da quanto è emerso nell’analisi del metodo venturiano, è evidente come egli informi i propri interessi e le proprie strategie nel personale tentativo di riunire, sotto l’egida unitaria dello Stato, sia il sistema museale, e dunque l’aspetto della

41 Cfr. BRIZIO 1969, pp. 181-184. 42 CROCE 1928, p. 88. fruizione, sia l’insegnamento universitario, ovvero l’aspetto formativo;43 sul modello della Kunstwissenschaft. Il contatto con la critica tedesca ed europea si qualifica quale un tentativo continuo di consolidamento d’una figura di storico dell’arte dotata, anche in patria, di una propria autonomia e di una professionalità specifica, ben distinta da quella di letterati, filosofi, collezionisti ed amatori.

Bisogna premettere che l’inserimento nel mondo tedesco da parte del Venturi avviene anche grazie ad una sua discreta padronanza della lingua, che gli consente di leggere quanto viene pubblicato, di avviare uno scambio epistolare con i protagonisti germanici e di tradurre libri di cui conosce approfonditamente l’argomento. Tanto nei taccuini quanto nei cataloghi della Pinacoteca da lui posseduti, si rinvengono annotazioni vergate direttamente in lingua tedesca.

Numerose le lettere in tedesco conservate nel Fondo pisano, fra le quali figura quella di Werner Weisbach, in cui lo studioso si rivolge a Venturi «in deutscher

Sprache […] die Sie ja beherrschen».44 Si ricordi inoltre la traduzione del volume di Fritz Harck sugli Affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara, argomento principe del

Venturi.45 Tuttavia, come emerge da uno scambio epistolare con Mariani e

Ragghianti, per traduzioni precise ed accurate il modenese preferì sempre avvalersi dell’aiuto di un traduttore.46

A partire proprio da un’analisi del carteggio è possibile comprendere quali siano i rapporti diretti che il Nostro riuscì ad intessere con la connoisseurship europea.

43 Cfr. AGOSTI 1996, pp. 74-75. 44 Lettera di W. Weisbach ad A. Venturi, 26 luglio 1897, Pisa, Archivio Venturi. 45 F. HARCK, Gli affreschi del Palazzo di Schifanoia in Ferrara, traduz. a c. di A. VENTURI, Ferrara, Taddei, 1886. 46 Lettera di C. L. Ragghianti ad A. Venturi, 1 agosto 1936, Pisa, Archivio Venturi. Cfr. E. PELLEGRINI, “Aver detto male di Garibaldi”, «Annali di critica d’arte», I, 2005, pp. 276-277.

25 Numerose le lettere con Wilhelm von Bode, Robert Dohme, Fritz Harck, Hubert

Janitschek, Werner Koopmann, Karl von Lützow, Woldemar von Seidlitz, Ulrich

Thieme, Henry Thode, Hugo von Tschudi, Aby Warburg, Frank Wickhoff, Karl

Woermann, Alfred Woltmann.47

Come sottolinea Giacomo Agosti: «L’europeismo è la grande carta nelle sue mani. Mettendo a frutto i contatti e la credibilità guadagnati con i lavori sull’arte ferrarese, Adolfo ricava durante i soggiorni europei una conoscenza sempre più completa degli studiosi, dei direttori delle gallerie e dei mercanti e collezionisti», assaporando inoltre «gli onori che non sempre gli vengono largiti in patria».48 È lo stesso Venturi nelle Memorie autobiografiche a ricordare come «in Germania mi s’affollarono intorno colleghi, studiosi di storia artistica»,49 dimostrando un’accoglienza degna di quel prestigio che egli era riuscito a guadagnarsi. (Si ricordi a questo proposito il già citato successo riscosso in seguito alla pubblicazione de La Regia Galleria Estense e agli articoli sul Rinascimento ferrarese pubblicati fra il 1882 ed il 1884). «Lo specialismo, l’esclusivismo negli interessi, che segnano il limite della sua cultura, lo favoriscono invece nell’adottare il ruolo di una sorta di apostolo del culto dell’arte italiana all’estero».50

L’epistolario documenta soprattutto confronti sul metodo, richieste di pareri attributivi, di commenti stilistici, materiale fotografico ed informazioni bibliografiche. Emerge inoltre l’interesse dei colleghi d’oltralpe per l’«Archivio

Storico dell’Arte», o, «L’Arte», riviste alle quali sono spesso chiamati a collaborare,

47 Cfr. R. AGOSTINELLI, Adolfo Venturi e la storia dell’arte in Germania attraverso la corrispondenza (1878- 1912): il modello tedesco, «Annali di critica d’arte», VI, 2010, pp. 179-220. 48 AGOSTI 1996, p. 111. 49 VENTURI 1991, p. 95. 50 AGOSTI 1996, p. 111.

26 dal momento che «la rivista speciale, il periodico, doveva servire ad accrescer la nuova guardia di studiosi dell’arte italiana».51 Un atteggiamento questo non certamente comune a tutti gli studiosi della Penisola, basti ricordare le obiezioni che Frizzoni rivolse al Nostro: «In confidenza ti scrivo, come avrei voluto dirti, che ho deplorato fin dal principio vederti ascritti fra i collaboratori tanti scrittori forestieri, i quali da un lato difficilmente riescono ad adoperare appropriatamente la nostra lingua, dall’altra hanno spesse volte tendenze invadenti, non proporzionate al grado d’intuizione della nostra arte».52 Polemiche e rimostranze, non costituiscono certo un freno a quell’ambizioso obiettivo di rilanciare il dibattito a livello internazionale; in terza di copertina la direzione de «L’Arte» giunge a dichiarare: «Desiderosi come siamo che nel periodico – mentre sieno registrati i fasti dell’arte moderna – si trovi riflesso nella sua interezza il movimento storico-artistico mondiale. Ai nostri antichi amici spetta di aiutarci nell’ardua impresa»,53 riferendosi con l’espressione «antichi amici», soprattutto ai collaboratori ed i lettori di lingua tedesca, che si erano distinti già in precedenza sulle pagine dell’ «Archivio Storico dell’Arte». Fra questi si annoverano, oltre ai nomi citati poc’anzi, Cornelius von Fabriczy, Max Friedländer, Georg Gronau,

Alois Heiss, Emil Jacobsen, Paul Kristeller, Max Lehrs, Wilhelm Suida.

Poiché i taccuini presi in esame ruotano attorno alla Alte Pinakothek negli anni

1896-1910, si è scelto di isolare fra la folta messe di lettere quelle riguardanti

Monaco e il medesimo periodo; invero sconfinando un poco verso il 1912, anno del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte.

51 VENTURI 1991, p. 83. 52 Cfr. lettera di G. Frizzoni ad A. Venturi, 23 marzo 1888, Pisa, Archivio Venturi. 53 LA DIREZIONE «L’Arte», IV, 1901, terza di copertina.

27 2. Venturi e Monaco

Alla luce del materiale autografo e degli impegni internazionali si può presumere che Venturi si sia recato a Monaco almeno sei o sette volte. Traccia di tali viaggi sono il taccuino databile 1896/7, quello del 1904, le Carte sciolte ed infine un taccuino, detto pittorico, collocabile anteriormente al 1910. Quest’ultimo potrebbe essere stato redatto in concomitanza col soggiorno del 1909, in occasione del IX

Congresso Internazionale di Storia dell’Arte, svoltosi appunto nella capitale bavarese. Tra i cosiddetti fogli Itinerari viaggio sono menzionate due tappe a

Monaco, una dal primo al 3 maggio 1921, l’altra dal 13 al 16 settembre 1926. [fig.]

Vi è infine un’ulteriore carta sciolta, di formato grande, proveniente dai taccuini dedicati alla scultura e relativa alla programmazione di un viaggio tra Germania,

Inghilterra e Francia, in cui compare anche una breve sosta a Monaco. [fig.]

A cavallo del secolo, l’ambiente monacense vede nell’ambito della disciplina storico-artistica tre protagonisti indiscussi: Adolf Bayersdorfer, Franz von Reber e

Hugo von Tschudi, tutti legati inoltre alla Alte Pinakothek, e nei confronti dei quali il Nostro nutre un certo riguardo ed una profonda stima.

A proposito del Bayersdorfer, Venturi ribadisce la propria ammirazione anche nel necrologio che gli dedica su «L’Arte»:

«Tutti gli studiosi ricorderanno a lungo le discussioni avute con lui, le verità che escivano in forma spesso strana dalle sue labbra, i giudizi vivaci, eccessivi forse, ma sempre sinceri […] quantunque parecchie sue attribuzioni non sieno bene accette dalla critica, conviene ammettere ch’esse dettero luogo a generali ricerche e a utili studi. Tutte le opinioni del nostro povero amico,

28 esposte sempre con una stragrande forza di convinzione, erano degne d’esame, e, benché audaci talvolta, non erano mai prive di fondamento».54

Bayersdorfer (1842-1901) fu, infatti, un importante critico e connoisseur dell’arte italiana, co-fondatore insieme a Max Georg Zimmermann e ad August

Schmarsow del “Kunsthistorisches Institut” di Firenze (1897).55 «L’ispettore della galleria bavarese era ben conosciuto in tutta l’Europa per le sua ampie cognizioni storico-artistiche»,56 tanto che nel 1897 presso l’Università di Lipsia ricevette da

Schmarsow la laurea honoris causa in storia dell’arte. A riprova del prestigio di cui il critico tedesco godeva, Venturi (1901) ricorda appunto che «a Monaco, nel suo gabinetto, ove era una copiosissima raccolta di fotografie, convenivano i maggiori cultori dell’arte, e i giovani desiderosi di consigli e d’aiuto».57 Durante la sua intesa carriera, infatti, questi stinse numerose relazioni con i personaggi più importanti del panorama culturale a lui contemporaneo; fra questi Victor Müller, Hans

Thoma, Wilhelm Trübner ed Arnold Böcklin.

Bayersdorfer fu anche un grande ammiratore ed appassionato d’arte francese, che seppe apprezzare anzitempo il lavoro di Corot, Millet, Manet e Courbet.

Quest’ultimo ebbe modo di conoscerlo personalmente nel 1869, in occasione della prima Esposizione Internazionale d'Arte al Glaspalast di Monaco, del cui comitato organizzatore Bayersdorfer era membro. Questa sua passione per l’arte

54 VENTURI 1901b, p. 75. 55 Cfr. H. MACKOWSKY – A. PAULY – W. WEIGAND (a c. di), Adolf Bayersdorfer. Leben und Schfriten, Monaco, Bruckmann, 1902; S. KÄSS, Der heimliche Kaiser der Kunst. Adolph Bayersdorfer, seine Freunde und seine Zeit, Monaco, Tuduv, 1987. 56 VENTURI 1901b, p. 75. 57 Ibidem.

29 contemporanea si tradusse anche in azione concreta, di fatto «la galleria di

Monaco deve a lui in principal modo il suo moderno incremento».58

Ciononostante, come ricorda Seidlitz (1901), l’interesse principale del

Bayersdorfer fu l’arte italiana, della quale egli «si occupò con tanto affetto»,59 al punto da compiere ben tredici viaggi nel Bel Paese, per studiarne dal vero le gallerie più importanti. Durante questi soggiorni ebbe modo di conoscere di persona sia l’insigne storico dell’arte Giovanni Battista Cavalcaselle, sia il celebre scultore Adolf von Hildebrand. Non vi sono testimonianze, invece, che attestino un incontro con Venturi. Né presso l’archivio della Alte Pinakothek né tantomeno nel Fondo Venturi è stato possibile rintracciare documenti scritti a testimonianza di uno scambio tra Bayersdorfer e il Nostro. Tuttavia, la sezione relativa l’Antica

Pinacoteca del Taccuino 1896/7 si apre proprio con una «notizia avuta dal

Bayersdorfer, [una] notizia bibliografica: Le Jugement de Paris attribué au

Giorgione avec des reproduction d’après». A seguire: «Altra notizia datami dal

Bayersdorfer: Ritratto ad Hampton-Court: n. 710 simile a quello di Monaco coi due buffoni, fatto il nome di Raffaello. Bayersdorfer lo dà al Costa. Io l’ho dato al

Tamaroccio: però quello di Hampton-Court a giudicare dalla fotografia non sembra lo stesso».60 Un parere del critico tedesco ritorna anche qualche carta oltre:

«Gli arcangeli e Tobiolo. Arte di Piero di Cosimo. Bayersdorfer dice che è una copia; ma parmi una cosaccia dell’ultimo tempo di Piero di Cosimo».61

Tali indizi, oltre a corroborare l’ipotesi che il Taccuino 1896/7 rappresenti il

58 A. VENTURI, Ricordi, «L’Arte», IV, 1901, p. 75. 59 Lettera di W. Seidlitz ad A. Venturi, 28 marzo 1901, Pisa, Archivio Venturi. 60 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 49R, nn. 1423, 1424, 1896/7. 61 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 60V, n. 1505 1016, 1896/7.

30 primo diario di viaggio redatto da Venturi, lasciano presumere che la visita presso l’Antica Pinacoteca di Monaco sia stata effettuata in compagnia del Bayersdorfer.

Si trattava, infatti, di una pratica comune. Venturi stesso era solito accompagnare gli ospiti di riguardo nella visita della Galleria Estense di Modena, consuetudine testimoniata anche nel carteggio.62 Bayersdorfer, infatti, fu curatore della Galleria d'arte del Castello di Schleissheim tra il 1880 ed il 1884, in seguito della Alte

Pinakothek (1884-1891). A tali incarichi si legano anche i suoi contributi più significativi, ovvero la redazione dei cataloghi della Pinacoteca monacense e la serie dei Klassischer Bilderschatz e dei Klassicher Skulpturenschatz, stilati entrambi in collaborazione con lo storico dell'arte Franz von Reber (1834-1919).

Professore di Estetica e di Storia dell’arte presso il Politecnico di Monaco

(1869-1875), quest’ultimo fu un profondo conoscitore dell’arte e dell’architettura antica.63 Il suo rapporto con Venturi resta ancora una volta piuttosto vago, imprecisato. Dall’archivio pisano, infatti, è stato possibile rinvenire una sola lettera inviata dal direttore della Pinacoteca ad Adolfo Venturi, in data 27 settembre

1879; mentre dall’archivio monacense non è stato possibile reperire alcuna lettera, giacché ivi si conserva la corrispondenza solo dal 1904.

62 Cfr. lettera di H. Thode ad A. Venturi, 4 aprile 1883, Pisa, Archivio Venturi; lettera di H. von Tschudi ad A. Venturi, 12 marzo 1887, Pisa, Archivio Venturi; lettera di H. Thode ad A. Venturi, 22 marzo 1897, Pisa, Archivio Venturi. 63 Cfr. R. STEITER, Ausgewählte Schriften zur Aesthetik und Kunst-Geschichte, Monaco, Delphin-Verl., 1913. Fra i titoli più importanti figurano VITRUVIUS, Zehn Bücher über Architektur, a c. di F. VON REBER, Berlino, Langenscheidt, 1855-1912; F. VON REBER Kunstgeschichte des Alterthums, Lipsia, Weigel, 1871; ID., Geschichte der neueren deutschen Kunst: vom Ende des vorigen Jahrhunderts bis zur Wiener Ausstellung 1873 mit Berückssichtigung der gleichzeitigen Kunstenwicklung in Frankreich, Belgien, Holland, England, Italien und den Ostseeländern, Stoccarda, Meyer&Zeller, 1876; ID., Der Karolingische Palastbau, Monaco, Verlag der Königlichen Akademie, 1891-1892; ID., Die byzanthinische Frage in der Architekturgeschichte, Monaco, Franz, 1903; ID., Über einige Probleme alkretischer Architektur, Verlag der Königlichen Akademie, 1913, oltre ai numerosi cataloghi della Alte Pinakothek (1884-1908).

31 Nell’epistola del 1879 si discute l’attribuzione di due quadri raffiguranti san

Cristoforo, uno presente nella Galleria Estense, l’altro nella Alte Pinakothek, e caratterizzati da una forte affinità stilistica. Si può presumere che durante la stesura del catalogo de La Regia Galleria Estense, il Nostro, volendosi confrontarsi con il direttore della Pinacoteca, abbia chiesto maggiori delucidazioni a proposito dell’esemplare monacense, giacché questo nel catalogo 1854 della Galleria estense, era stato attribuito da Ferdinando Castellani Tarabini genericamente alla scuola tedesca.64 A corroborare l’ipotesi che si tratti di una lettera in risposta ai dubbi del

Venturi, vi sono anche i «mille complimenti» con cui Reber si congeda.

In risposta ai tali richieste, Reber scrive: «Il Cristoforo della Galleria Estense pare essere della stessa mano come il Cristoforo della Pinacoteca di Monaco n°

642», benché Burckhardt (1855) avesse giudicato il quadro di Modena imitazione di quello di Monaco.65 Rifiutando tale posizione, Reber sostiene che la composizione sia «totalmente differente» e che pertanto non si possa parlare né imitazione né di copia.

Nel 1879 il catalogo della Alte Pinakothek riferisce l’opera ancora ad Hans

Memling.66 Reber, in accordo con Crowe e Cavalcaselle (1875), ritiene possa trattarsi di Stuerbout, pur riservandosi di esprimere un giudizio definitivo solo dopo aver visto dal vero il quadro dell’Estense.67 Di fatto, in conclusione, informa il Venturi di avere in programma un viaggio a Modena l’ottobre successivo;

64 CASTELLANI TARABINI 1854, p. 127. 65 Ove non espressamente precisato, si fa riferimento ad estratti della lettera di F. von Reber ad A. Venturi, 27 settembre 1879, Pisa, Archivio Venturi. A proposito dell’opinione burckhardtiana si veda BURCKHARDT 1925, p. 803. 66 Cfr. KAT. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1872, p. 132. 67 CROWE-CAVALCASELLE 1875, p. 380.

32 occasione più che mai favorevole per sciogliere ogni dubbio e conoscere, finalmente, lo studioso italiano.

Un incontro a Modena, benché non documentato, potrebbe essere avvenuto; a conferma di ciò vediamo come l’opinione iniziale del Reber trovi spazio tanto nel catalogo della Alte Pinakothek, quanto in quello della Galleria Estense: entrambe le tele raffiguranti san Cristoforo, di fatto, vengono riportate dai due critici a

Dietrick Bouts. Nel catalogo della Pinacoteca monacense Reber riconduce l’opera alla paternità del pittore olandese, ricostituendo inoltre il cosiddetto polittico

“Perle von Brabant”.68 All’interno del volume sulla Galleria Estense Venturi (1882) scrive: «Di scuola fiamminga abbiamo da annoverare un San Cristoforo guadante il fiume, che porta Gesù sugli omeri, lavoro della scuola di Van Eyck, forse

Dierick Bout [sic]».69

Un riferimento a Reber è altresì presente nel Taccuino 1904, dove a proposito della Sacra Famiglia di Casa Canigiani Venturi commenta: «Franz von Reber non ha permesso che si vadano a cercare le testine esialate [sic] sotto le nubi. Dio lo benedica!».70 A proposito delle testine nascoste dal Collins, nel restauro del 1755, si svilupparono diverse opinioni come avremo modo di vedere in seguito.

68 Cfr. KAT. GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1888, n. 109, p. 22. H. HYMANS, sub voce Bouts, Dietrick, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, IV, Lipsia, E. A. Seeman, 1910, p. 476; E. BUIJSEN, sub voce Bouts, Dietrick, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler aller Zeiten und Völker, XIII, Monaco-Lipsia, K. G. SAUR, 1996, p. 410. 69 VENTURI 1882, p. 435. L’opera risulta oggi attribuita ad Albrecht Bouts, cfr. AA. VV., sub voce Bouts Albrecht, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, IV, Lipsia, E. A. Seeman, 1910, p. 473; U. R., sub voce Bouts Albrecht, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler aller Zeiten und Völker, XIII, Monaco-Lipsia, K. G. SAUR, 1996, p. 408; BENTINI 1987, p. 62. 70 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 54, n. 1049, 1904. Cfr. scheda “Raffaello, La Sacra Famiglia di Casa Canigiani”.

33 Alla direzione delle Staatlichen Galerien di Monaco successe nel 1909 Hugo von Tschudi (1851-1911), insigne storico dell’arte austriaco, già direttore del

Museo Nazionale di Berlino (1896-1908), nonché instancabile promotore dell’impressionismo francese in Germania.71

I rapporti fra Venturi e Tschudi si stabilirono intorno alla fine degli anni

Ottanta, quando quest’ultimo non era ancora direttore della Alte Pinakothek

(1909-1911) ed è significativo che tanto il carteggio, quanto la collaborazione editoriale si concentrino prima della fondazione del «Repertorium für

Kunstwissenschaft» (1894), in concomitanza «anche con lo spostamento dei suoi interessi di studioso dell’arte rinascimentale italiana all’arte contemporanea».72

Dall’epistolario, composto di 23 lettere e per lo più d’informazione, emerge un forte interesse d’entrambi a pubblicare su riviste italiane e tedesche e frequenti sono le reciproche sollecitazioni; a questo proposito si legga il carteggio tra il giugno 1886 e l’agosto 1887 riguardo l’articolo che Tschudi scrive per la «Rivista

Storica Italiana» in occasione del quinto centenario dalla nascita di Donatello, tradotto da Venturi.73 La partecipazione del modenese a riviste tedesche viene favorita da Tschudi, il quale in una lettera del 13 novembre 1886, lo invita a pubblicare sullo «Jahrbuch der Königlich Preußischen Kunstsammlungen». Da tali

71 Cfr. G. GOLDBERG, Hugo von Tschudi und die Alte Pinakothek, «Jahresbericht Bayerische Staatsgemäldesammlungen», 1996/1997, pp. 9-29; ID., Hugo von Tschudi und die Modernisierung der Pinakotheken, in J. G. HOHENZOLLERN-HECHINGEN, FÜRST – P. K. SCHUSTER (a c. di), Manet bis Van Gogh, Hugo von Tschudi und der Kampf um die Moderne, Monaco, Prestel, 1996, pp. 413-418; E. CLEGG, Berlin und München: Hugo von Tschudi, «The Burlington Magazine», 1997, pp. 216-218; S. BENEKE, Hugo von Tschudi, «Der Deutschen Kunst», 1998, pp. 44-60; 72 SCIOLLA-VARALLO 1999, p. 61. 73 In particolare cfr. lettere di H. von Tschudi ad A. Venturi, 18 giugno 1886, 28 luglio 1886, 09 agosto 1886, 04 febbraio 1887, 30 giugno 1887, 30 agosto 1887, Pisa, Archivio Venturi; H. VON TSCHUDI, Donatello e la critica moderna, Torino, F.lli Bocca Editori, 1887, estratto dalla «Rivista Storica Italiana», IV, 2, 1887. Cfr. VENTURI 1991, p. 57.

34 sollecitazioni scaturiscono l’articolo sull’arte ferrarese e quello su Cosmè Tura, tradotto da Fritz Harck e pubblicato nel gennaio 1888.74 Tuttavia lo scambio editoriale più consistente e fruttuoso si rivela quello con Henry Thode, il quale, nel breve anno di vita della rivista quindicinale «Der Kunstfreund» da lui diretta

(1885), si avvale significativamente della collaborazione venturiana.75 Un’ulteriore testimonianza desunta dal carteggio con Tschudi riguarda la collaborazione di questi all’«Archivio Storico dell’Arte» ed il suo apprezzamento. In una lettera da

Berlino del 21 settembre 1887, Tschudi riferisce a Venturi l’invito ricevuto da

Domenico Gnoli a scrivere la recensione del libro di W. von Bode, Italienische

Bildhauer der Renaissance (1887).76 A proposito della rivista scriverà nel febbraio

1888: «L’Archivio Storico dell’Arte è riuscito molto interessante. Ma perché risparmiano il filo per legare i fogli?».77

Dal carteggio si evince, inoltre, un cospicuo scambio tanto di materiale fotografico,78 quanto di notizie bibliografiche ed aggiornamenti sulle più recenti

74 Cfr. A. VENTURI, Beiträge zur Geschichte der Ferraresischen Kunst, «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», VIII, 1887, pp. 71-88. Sull’articolo su Cosmé Tura cfr. lettera di R. Dohme ad A. Venturi, 14 settembre 1887, Pisa, Archivio Venturi ; A. VENTURI, Cosma Tura, genannt Cosmè (1432-1495), «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», IX, 1888, pp. 3-33. 75 Cfr. A. VENTURI, Ein Brief des Francesco del Cossa, «Der Kunstfreund», IX, 1.5.1885, Berlino, pp. 129-134; ID., Das Todesdatum Ercole’s de’ Roberti, «Der Kunstfreund», XI, 1.6.1885, Berlino, pp. 165- 168; ID., Ist Gian Battista del Porto der „Meister mit dem Vogel“?, «Der Kunstfreund», XII, 15.6.1885, Berlino, pp. 177-182; ID., Der Medailleur Gian Cristoforo Romano, «Der Kunstfreund», XIV, 15.7.1885, Berlino, pp. 209-212; ID., Ein Brief des Sperandio, «Der Kunstfreund», XVIII, 15.9.1885, Berlino, pp. 277-281; ID., Jacopo Bellini, Pisanello und Mantegna in den Sonetten des Dichters Ulisse, «Der Kunstfreund», XVIII, 1.10.1885, Berlino, pp. 289-292; ID., Über einige Bücher mit Miniaturen von Attavante, «Der Kunstfreund», XVIII, 15.10.1885, Berlino, pp. 310-313; ID., Eine Zeichnung Raphaels, «Der Kunstfreund», XXI, 1.11.1885, Berlino, pp. 326-328; ID., Über einige alte italienische Holzschnitte, «Der Kunstfreund», XXI, 1.11.1885, Berlino, pp. 356-358. 76 Cfr. W. VON BODE, Italienische Bildhauer der Renaissance – Studien zur Geschichte der italienischen Plastik und Malerei auf Grund der Bildwerke und Gemälde in den Königl. Museen zu Berlin, Berlino, Speeman, 1887; H. VON TSCHUDI, Recensione a W. von Bode, «L’Archivio Storico dell’Arte», I, 1888, pp. 48-51. 77 Cfr. lettera di H. von Tschudi ad A. Venturi, 09 febbraio 1888, Pisa, Archivio Venturi. 78 Cfr. lettere di H. von Tschudi ad A. Venturi, 28 luglio 1886, 01 settembre 1886, 30 giugno 1887, 24 settembre 1889, 14 febbraio 1895, Pisa, Archivio Venturi.

35 pubblicazioni. In una lettera del 28 luglio 1886, lo storico dell’arte tedesco chiede a Venturi di riferire a Corrado Ricci i suoi ringraziamenti per avergli cortesemente spedito una copia della sua Pittura romanica ed inoltre lo informa che August

Schmarsow ha da poco pubblicato un volume su Melozzo da Forlì.79 Quindi, in una missiva del 9 agosto 1886, chiede al Nostro se conosce Bisson Padovano, di cui fa menzione Tarabini nel catalogo della Galleria Estense (1854).

Nell’epistolario si parla, inoltre, anche di viaggi e di visite; in una lettera datata

11 gennaio 1887 Tschudi chiede allo studioso modenese di incontrarsi per poter parlare e vedere insieme la «Galleria dei ferraresi».80 In una successiva epistola del

24 gennaio 1887 il tedesco si lamenta di una deludente visita presso la collezione privata del [*Cav. Giuseppe Cavalieri Giovecca] di Ferrara, presso la quale ha acquistato un quadro di Ercole Grandi. In una lettera del 12 marzo 1887 chiede al

Nostro di accompagnare il Direttore del Museo di Berlino nella visita alle Gallerie di Modena e Ferrara; mentre il 2 maggio 1887 fa riferimento ad un possibile incontro in Germania, il quale tuttavia non avrà luogo, giacché in una carta del 30 giugno dello stesso anno Tschudi esprime il suo sincero rammarico di non poter vedere Venturi. L’augurio di un nuovo e prossimo incontro è ribadito nella missiva del 7 gennaio 1889, ove Tschudi spera di poter rivedere presto Venturi in

Germania o in Italia.

Sul volgere del secolo il rapporto epistolare tende ad affievolirsi ed è segnato dal tono risentito della lettera del 31 gennaio 1898, in cui si evince un certo

79 Cfr. C. RICCI, La pittura romanica in Emilia e gli affreschi sulle arche di S. Giacomo in Bologna, Bologna, Fava e Garagnani, 1886; A. SCHMARSOW, Melozzo da Forlì, Berlino, Spemann, 1886. 80 Lettera di H. von Tschudi, 11 gennaio 1887, Pisa, Archivio Venturi.

36 disappunto da parte di Tschudi a causa della scelta non comunicatagli da Venturi di pubblicare un articolo su Cavalcaselle nella «Kunstkronik» di Lipsia. Si allenta così anche il rapporto editoriale con la riviste tedesche, che riprenderà, seppur sporadicamente, solo attorno agli anni Trenta del Novecento con «Pantheon».81

81 A. VENTURI, Fraubildnisse von Antonio Pollaiolo, «Pantheon», III, 1929, pp. 12-15; ID., Das Bildnis des Lionello d’Este von Jacopo Bellini, «Pantheon», III, 1929, pp. 201-204; ID., Eine Madonna von Francesco del Cossa, «Pantheon», V, 1930, pp. 249-250; ID., Galasso Ferrarese, «Pantheon», XVI, 1935, pp. 338-342.

37 3. Venturi ed i congressi internazionali di storia dell’arte

Al fine di nobilitare anche in Italia la storia dell’arte quale vera disciplina scientifica, Venturi aveva cercato a più riprese di richiamare l’attenzione internazionale su questo argomento; anzitutto, attraverso la creazione e la diffusione di una rivista specialistica, onorata dalla presenza di autorevoli firme; quindi, inserendosi appieno all’interno del dibattito critico mediante la partecipazione ai Congressi Internazionali.

Il primo congresso internazionale cui Venturi prese parte fu quello svoltosi a

Monaco dal 16 al 21 settembre 1909. Per l’occasione il Nostro scrisse Della posizione ufficiale della storia dell’arte rispetto alle altre discipline storiche, intervento nel quale auspicava che «la scienza storica dell’arte [trovasse, finalmente,] il suo ufficio nel mondo».82 Nel discorso egli denunciava, infatti, la mancanza di una professione di storico dell’arte e conseguentemente di un suo pieno riconoscimento. Di storia dell’arte se n’erano occupati, in modo più o meno marginale, artisti, letterati, archivisti, filosofi, collezionisti ed, in generale, amatori, ciascuno con un approccio personale. «Dal Vasari sino alla metà del secolo XIX, artisti furono principalmente coloro che se ne occuparono, ed hanno essi anche per sé quelle cognizioni tecniche, le quali servono a vedere da vicino l’attività pratica dell’artista e a seguirla sin dove appaia l’attività spirituale»;83 i letterati tengono «il pensiero rivolto essenzialmente al soggetto, in quanto esso ha relazione con opere letterarie, e non pongon mente alla natura dell’opera d’arte che pur vogliono illustrare […] mantenendo sempre una gran distanza e, potrebbe

82 VENTURI 1909, p. 74 83 Ivi, p. 73.

38 dirsi, separazione tra la fonte scritta e la fonte figurativa».84 Vi sono poi gli archivisti, ai quali mancano però gli strumenti per raffinare ed rielaborare i frutti del loro prezioso lavoro di ricerca. Indi i filosofi, neo-critici ed idealisti, i quali pur riconoscendo che «la creazione artistica è unica e definita, non riescono a interpretarla, […] [giacché in realtà] la loro dottrina serve a preparare e a sistemare la interpretazione, non a darla». Da ultimo si annoverano «i collezionisti, gli amatori dai quali è scaturita la schiera moderna dei conoscitori, degli stilisti, che pratica e per cognizioni artistiche empiriche sono i più adatti a riconoscere l’autenticità o meno d’un’opera d’arte e a collocarla al suo proprio posto, rispetto allo spazio e al tempo». Il vero storico dell’arte, ribadisce Venturi, deve saper riunire ed «armonizzare tutte le varie tendenze» in modo scientifico e rigoroso.

Attraverso quest’intervento, riflesso di una cultura in ritardo sui tempi, Venturi intendeva sollevare l’annosa questione per cui negli ultimi due decenni si era tanto prodigato. Tuttavia, quest’esigenza di qualificare autonomamente la disciplina della storia dell’arte risultava di stretta attualità solo per l’Italia, giacché nel resto d’Europa la questione era stata superata da diverso tempo, tanto che Warburg manifestò un certo disappunto al momento di scegliere il tema del congresso successivo, che Venturi avrebbe voluto dedicare per l’appunto alla figura del futuro storico dell’arte.85 La necessità di riprendere l’argomento in sede internazionale, di cui si era discusso in precedenza anche con Schmarsow (1902),

84 Ibidem. 85 Minuta di una lettera di A. Warburg ad A. Venturi, 20 aprile 1912, Londra, Warburg Institute Archives, riportata da AGOSTI 1996, p. 193.

39 «rischiava di accentuare una dimensione nazionale che non poteva servire da sfondo all’intero convegno».86

Tra il 17 ed il 21 ottobre 1912 si svolse a Palazzo Corsini il primo congresso internazionale di storia dell’arte al di fuori dei paesi di lingua tedesca.87 Il tema,

“L’Italia e l’arte straniera”, particolarmente caro a Warburg,88 si proponeva quale fertile terreno di scambio ove lo storico «s’inchina davanti alla maestà delle cose, ovunque esse rifulgano, in qualunque tempo s’innalzino sovrane e senza che desiderio di predominio patrio alteri la schiettezza e la giustezza del giudicare, essendo noi convinti che la patria vuole offerta d’amore, non di pregiudizi».89

Nel discorso inaugurale, Venturi non aveva tralasciato di far riferimento alla difficile posizione della scienza dell’arte rispetto alle altre discipline storiche, giacché si trattava comunque di un’urgenza che solo attraverso i «rapporti sempre più stretti, rapidi e continui tra le nazioni moderne»90 avrebbe potuto trovare una soluzione. Gli aspetti organizzativi legati alla ricerca rimanevano pur sempre un problema aperto. Venturi, a tal proposito, aveva affermato che solo «nell’accordo, e più che nell’accordo, in un contemperamento delle ricerche indirette e dirette sulle opere d’arte, esterne ed interne, [sarebbe giunta] nuova forza agli studi».91

Benché non fosse possibile trattare nel dettaglio le singole questioni di metodo,

Venturi auspicava di poter veder raccolti i frutti di quell’assiduo e rigoroso lavoro

86 AGOSTI 1996, pp. 192-193. Cfr. lettera di A. Schmarsow ad A. Venturi, 16 maggio 1902, Pisa, Archivio Venturi. 87 Cfr. G. C. SCIOLLA, Roma 1912: Adolfo Venturi e il I Conevgno Internazionale di Storia dell’Arte, «Arte Documento», XXVIII, 2012, pp. 220-225. 88 Lettera di A. Warburg a H. Wölfflin, 5 aprile 1912, Londra, Warburg Institute Archives, ora in DIERS 1991, pp. 100-101. 89 VENTURI 1912a, p. 13. 90 Ibidem. 91 Ibidem.

40 per cui da cinquant’anni ci si era impegnati ad «architettare la nostra disciplina, [a] dissodare il terreno, [a] segnare la pianta del monumento, [a] raccogliere legna e pietra utili all’edificio. È venuta l’ora d’innalzarlo ordinato e nitente, di adergerlo incrollabile, di coronarlo coi trofei dell’accorto e tenace lavoro. E vedo tra le corone d’alloro apparire i clipei con l’effigie venerata di due antesignani della critica artistica, Giovan Battista Cavalcaselle e . L’opera loro non ci è soltanto di guida e di sprone. Essa ci dice la forza della nostra disciplina, la sua capacità di conquista nel campo delle discipline affini».92 E tale insegnamento emergerà chiaramente attraverso la lettura dei taccuini.

Da quanto visto non si pensi, tuttavia, che Venturi volesse rendere gli studi italiani succubi della storiografia tedesca. Egli intendeva innalzare un sistema italiano che, sebbene in ritardo, uscisse alla luce del mondo dotato finalmente d’una nuova e più efficiace disciplina, il che sarebbe potuto avvenire soltanto accogliendo quanto di valido era già stato ampiamente compiuto oltralpe; non voleva dire dunque limitarsi nel solo modello tedesco, poiché sarebbe stato come tornare subito ad essere un ombrosa provincia per la disciplina storico-artistica e non già faro per gli studi a venire. Egli scrive difatti:

«L’enorme lavoro della critica tedesca verrà riveduto e corretto un giorno, depurato da tutto ciò che […] intorbida i risultati scientifici, e da tutto quanto fu sul nostro suolo raccolto nella fretta de’ viaggi e ne’ brevi soggiorni; ma resterà sempre un tesoro di osservazioni analitiche, di riscontri ingegnosi, di ricerche ampie e indefesse».93

92 VENTURI 1912a, p. 14. 93 VENTURI 1887, p. 231.

41

Parte seconda

Sfogliando le carte

Capitolo primo

I taccuini

1. Criteri redazionali

Prima di entrare nel vivo delle carte venturiane, è bene segnalare quali criteri siano stati impiegati per la trascrizione dei taccuini, al fine di agevolarne la lettura. Le trascrizioni sono state riportate seguendo un ipotetico ordine di datazione dei taccuini, mescolando conseguentemente le carte inedite, e qui trascritte per la prima volta (complessivamente venti, derivanti da un taccuino di “Carte sciolte” e dal cosiddetto “Taccuino pittorico”, databile precedente il 1910), con quelle già trascritte dagli studiosi della Fondazione Memofonte di Firenze (provenienti dal

“Taccuino grande rilegato con numerazione in rosso - 1896/7” e dal “Taccuino con fermo in metallo - 1904”).94 Quest’ultime però sono state in questa sede riviste e rielaborate.

Le carte sono state ordinate e numerate, specificando recto e verso, talvolta seguendo la catalogazione venturiana (Taccuino 1896/7, Taccuino 1904, Taccuino pittorico), talaltra stabilendone una propria, giacché mancante (Carte sciolte). Precede ogni nucleo di carte un cappello introduttivo, al fine di specificare i dettagli e le

94 Cfr. i taccuini trascritti consultabili sul sito della Fondazione Memofonte, all’indirizzo: [http://www.docart900.memofonte.it/search/listfonti?repo=6&tipo=34&fonteOrder=data_asc& query=taccuini&search[repo][]=Venturi]. caratteristiche del taccuino analizzato.

La grafia del Venturi appare generalmente molto minuta, piegata a destra, talvolta nervosa, a tratti oscura e, soprattutto nelle parti a matita, di difficile lettura. Pur conservando queste caratteristiche, la sua scrittura tardiva risulta ingrandita, ampia e visibilmente arrotondata, quasi altra; questa variazione si può riscontrare, in particolare, nelle annotazioni successive al Taccuino 1896/7 (vedi cc.

51R e 55R).

Il testo manoscritto si presenta complesso e piuttosto frammentario, trattandosi appunto di una scrittura privata, un journal du voyage; testo perciò caratterizzato da numerose abbreviazioni, oltreché dal ricorso a peculiari segni grafici. In quest’edizione si è scelto di coniugare e le esigenze filologiche – soprattutto, attraverso una trasposizione tipografica puntuale – e quelle dettate dalla necessità di poter fruire pienamente dello scritto, come importante fonte storico-letteraria. Il disordine della pagina, dato dalle correzioni, dalle note a margine o in interlinea, dall’inserimento di schizzi e disegni, rivelatore di un appunto preso dinanzi all’opera, è invero sostanza del testo stesso, carattere imprescindibile di un cantiere di pensieri qual è un taccuino. Al fine di trasporre questa natura da laboratorio, si è scelto di consolidare l’organicità dello scritto venturiano con alcuni segni diacritici.

Le proposte d’interpretazione sono state segnalate da parentesi quadre, [abc]; qualora la ricostruzione sia incerta, si è anteposto alla parola fra parentesi un asterisco [*abc]. Le lacune dovute a guasto meccanico - perdita del supporto, caduta dell’inchiostro, macchie - sono indicate tra parentesi quadre, all’interno

44 delle quali, laddove possibile, è stata proposta l’integrazione delle lettere mancanti oppure sono stati riportati tanti asterischi quante le lettere presumibilmente mancanti [***]. Le lezioni depennate ma leggibili sono così indicate [-abc]. Le parole e le lettere riportate sopra il rigo sono evidenziate mediante il segno \abc/.

Le lezioni poste in margine sono indicate mediante il segno \\abc//, alla fine della linea di riferimento. Le iscrizioni, firme, sigle, o, schizzi sono stati indicati ricorrendo alle parentesi quadre entro cui è stata riportata la tipologia d’integrazione testuale, es. [iscrizione], [firma], [sigla], [disegno].

Le numerose e reiterate abbreviazioni delle carte venturiane sono state sciolte per garantire la scorrevolezza del testo. Gli esempi più frequenti sono riportati qui di seguito, in ordine alfabetico:

- a. = autore; - Bern. Luini = Bernardino

Luini; - Adoraz. = Adorazione;

- c. = circa; - Annunciaz.e = Annunciazione;

- c. Canigiani = casa Canigiani; - Ant.o = Antonio;

- compos.ne = composizione; - att.o = attribuito;

- d. = destra; - B. = Bambino;

- Dom. Beccafumi = Domenico - Bart. = Bartolomeo; Beccafumi; - Batt. / Batt. o = Battesimo; - F. Braccio = Francesco Braccio;

45 - Fr. di Giorgio = Francesco di - m. = maestro;

Giorgio; - Mad. = Maddalena;

- Franc.o = Francesco; - M. col B. / Madonna col B.

- Franc.o Francia = Francesco = Madonna col Bambino;

Francia; - Marc. Venusti = Marcello

- gall. = galleria; Venusti;

- Giac. o Palma = Giacomo - op. = opera;

Palma; - p. o = primo;

- Gio. = Giovanni; - Pier F. Fiorentino = Pier

- Giov. Battista = Giovanni Francesco Fiorentino;

Battista; - rapp. = rappresenta;

- Girol.o = Girolamo; - rapp.te = rappresentante;

- I. / Iac.o Tintoretto = Jacopo - rapp.ne = rappresentazione; Tintoretto; - Riprod.ni = Riproduzioni; - Id. = idem; - Rom. = romano; - imitaz. = imitazione; - S. = Santo / San; - L. / Lud. Mazzolini = - s. = sinistra; Ludovico Mazzolino;

- S. Famiglia = Sacra Famiglia; - M. = Madonna;

46 - S. M. Novella = Santa Maria - ult. o = ultimo;

Novella; - V. = Vergine;

- SS. = Santi; - venez.a = veneziana;

- Seb. Del Piombo = Sebastiano

del Piombo;

La punteggiatura è stata normalizzata, ove mancava il punto a fine frase è stato integrato e, di conseguenza, sono state inserite le relative maiuscole; il linguaggio venturiano è stato mantenuto, es. divoto = devoto, così come alcune particolarità ortografiche fra cui de’, ne’, col, colla.; infine i numeri, e romani e arabi, al pari dei segni grafici peculiari (es. * = importante, ** = molto importante), sono stati riportati conformemente al testo originale.

Si è rispettato l’ordinamento in base al quale le carte di Venturi si susseguono, la scansione delle stesse è segnalata dal simbolo c. seguito dal numero, il tutto entro parentesi quadre, [c. 1]. Data la complessa impaginazione del testo di alcune carte, non è stato possibile riprodurre tipograficamente la disposizione di tutte; talvolta gli a capo sono stati indicati mediante il simbolo |, talaltra non li si è segnalati dal momento che, molto spesso, sono dettati dal supporto fisico e non da una scelta personale dell’autore.

In Appendice si è scelto di riportare le carte, rispettando l’ordine cronologico col quale vengono datati i taccuini (Figg. 7-100).

47 2. Taccuino 1896-7

Il Taccuino registra, in maniera accurata e sistematica, le visite a musei e collezioni d’Europa effettuate presumibilmente durante il primo tour del 1896-7, come si evince dalle Memorie autobiografiche,95 o, addirittura fra il 1893 ed il 1896 dal momento che il catalogo più antico in suo possesso fra quelli conservati nella

Biblioteca Venturi a Roma è datato 1893. Composto di un totale di 164 carte vergate su ambo i lati, si suddivide in fascicoli tra loro eterogenei: alcuni interamente scritti a penna con diversi inchiostri, altri con annotazioni sparse a matita; redatti su carta bianca, o, più raramente, a righe; carte dalle dimensioni diverse, maggiori in principio e ridotte al fondo (18.7x12cm circa); il tutto fatto rilegare a posteriori, verosimilmente dallo stesso Venturi. La rilegatura ad oggi però appare Al fine di redigere dunque un unico taccuino, lo studioso ha altresì ordinato i fascicoli mediante una rubricazione a lapis rosso delle singole opere

(dall’1 al 2553) viste durante le varie tappe, rubricazione che l’autore ha stilato secondo una personale catalogazione.

Potrebbe fungere da apertura al Taccuino la carta sciolta, oggi riunita ad esso, recante come intestazione «Indice dei due libretti di schede». Difatti, tale indice elenca in ordine alfabetico le diverse città europee visitate, accanto alle quali è stato apposto un intervallo numerico inerente ad ogni singola città e alla suddetta catalogazione personale [Fig. 5]. Poiché il Taccuino venne in un primo tempo smembrato e conservato in differenti faldoni, questo registro ha permesso di ripristinare l’ordine originale nella disposizione dei fascicoli.

95 VENTURI 1991, p. 110.

48 La seguente trascrizione riporta sia la catalogazione personale di Venturi

(numeri in rosso), sia la catalogazione del museo o collezione di appartenenza dell’opera (numeri in nero).

[c. 49R]

1423 Notizia avuta dal Bayersdorfer, notizia bibliografica: Le Jugement de Paris attribué au Giorgione avec des reproduction d’après. Le dessin du Catalogue

Vendramin. Le tableau appartenant a Mr. Enrico Albuzio. Le tableau appartenant

à l’auteur de cette notice (S. Larpent. Adresse: No. 18, Frimansgade, Christiania.

Norvège) Cristiania96, Thronsen & C.ie, 1885).

1424 Altra notizia datami dal Bayersdorfer: Ritratto ad Hampton-Court: \n. 710/ simile a quello di Monaco coi due buffoni, fatto il nome di Raffaello. Bayersdorfer lo dà al Costa. | Io l’ho dato al Tamaroccio: però quello di Hampton-Court a giudicare dalla fotografia non sembra lo stesso.

[c. 49V]

1425 Quadro prezioso / rappresentante / la Adorazione dei Re Magi / dipinto da

/ Giorgio Barbarelli detto il Giorgione / descritto ed illustrato / da / Giuseppe

Colbacchini / Venezia, / stabilimento tipografico di Gaetano Longo / 1873.

1426 1076. Beccafumi. No; Bacchiacca! Il colore come di \carne di/ vitellino. Il fondo è prato, poi un torrente con macchie verdi attorno, poi montagne azzurre

96 Nell’edizione originale si riporta Christiania.

49 nel fondo, tutto sfumato, tutto veduto come nella nebbia!

[c. 50R]

1427 451. Maddalena di Adriano van der Werff. Che porcellana! Essa tiene la mano sopra un libro tutto spiegazzato, e lo sfoglia con due dita. E accanto ha il cranio orrendo! I capelli di [*vetro] filato. Contorni delle membra certe luci rossiccie.

Gabinetto delle stampe e disegni.

** 1428 Disegno con [-otto] nove studi per Madonna, e a penna un decimo con

Madonna e due santi. È sotto cristallo. Tutto nella maniera d’un seguace del Tura.

Parmi Ercole de’ Roberti, pensando al disegno del Frizzoni. È tutto vicino al

Tura.

1429 Fra Bartolomeo. Testa di vecchio visto di faccia.

1430 \n. 2144/ * Ercole Roberti. Disegno per una Crocifissione. \** dato a

Ercole Grandi/

Un cavaliere visto quasi di tergo con gli occhi in alto, uno a piedi che gli tiene la sinistra e con la destra un’asta. Figura di donna piangente con le mani conserte al petto. A penna con lumi bianchi. Graticolato.

1431 ** 34846. Correggio. Disegno di due Madonne che sollevano il velo dal

Bambino steso innanzi a loro (a lapis rosso). A tergo un putto a penna in scorcio, visto di tergo.

1432 2787. Girolamo da Carpi. Studio per la Fortuna.

1433 10556. Schiavone. (Parmi Gandino): Sacra Famiglia.

50

[c. 50V]

1434 * Bellissimo disegno di D. Ghirlandaio.

1435 1115. Tiziano. Ritratto d’uomo con la decorazione d’una croce rossa. È bassanesco. | Bassano forse. | Il colore arrossa e arancia!

1436 1051. Raffaello. Imitazione della Madonna della seggiola. | Copia o imitazione di Giulio Romano. | Interessante di confrontarla con l’originale. | Gli ornati sono divenuti punteggiatura gialla, tocchi, punti rapidi. Le labbra qui prendono la tinta di fragola. | Una tenda verde dietro. | Il nero segna il contorno del profilo della Vergine. L’oro della [-camicia] veste è come a pizzo. [schizzo] [fig.

]

[c. 51R]

1437 1000. Florentinisch 1400-1500. | San Girolamo nel mezzo, col camiciotto bianco trinciato a punte acute nel mezzo del braccio. | Sembra proprio Filippo

Lippi!

Augsbourg, Gemälde-Galerie

1438 5. Georg Pencz. San Girolamo. Come il nostro di Modena. Nel libro aperto dinanzi, una miniatura col Giudizio Universale.

1439 672. Oberdeutsch um 1520. Figura di donna vista di faccia, su fondo nero. |

Il colorito [*festoso] lo distingue tra i maestri fiamminghi [Fig. 10]. Donna sui 40 anni. Un turbantino verde con ornati d’oro. Capelli castani. Colore bruno delle carni [-giustacuore] corpetto verde con ornati d’oro italiani per forma. Tiene sulle

51 spalle un manto che le gira a mezzo il corpo azzurro con fodera rossa. Maniche gialle trinciate che lasciano vedere la camicia bianca.

[c. 51V]

[-Tre] Tra i Burgkmair scontorti. \\legno [*papil]// [sul lato sinistro] \\È tutta simile alla Lucrezia di Modena.// Fondo turchino scuro \intenso, quasi nero/ come a Modena. Sulla spalla del manto d’oro [*nel]l’azzurro. Ornati del giustacuore tutti in oro. Ornato del manto. Bel giallo delle maniche con pieghettine fine proprie di Ercole. È d’un effetto gaio, quell’oro sul verde, e sul turchino smaltato; quel bianco col giallo \chiaro/ delle maniche, \\E quelle liste rosse del rovescio delle maniche. Pieghe del rovescio del manto // fanno un effetto bellissimo! Belle fettuccine nere a nastri collegano le maniche gialle trinciate. Le perle sono nere e oro. La cintura nera damaschinata d’argento. [Fig.

11]

[c. 52R]

1440 422. Copie nach. Mantegna. L di un miniatore. [firma] ANDREAS

MANTINEA. INVEN.OR LVD.VS DONDVS. FECIT. ANNO. DOMINI.

M.D.C.II. Copia di un tratto de’ trionfi.

1441 271. La Trasfigurazione di Francesco Torbido. | Mi pare proprio del maestro che ha eseguito il ritratto di Monaco, per quella \stessa/ grana di colore.

Le figure sono un po’ tozze. | Le nuvole sono formate da tante piccole nuvolette tonde. Il Cristo porta un manto turchino scolorito. \\Figure come raccorciate a

52 causa dell’arco del lunettone//. [Fig. 11] Mosè – Cristo sul monte – Elia – Monte come una piattaforma. | Nel Bas[s]o. Apostolo con la mano sulla fronte pensoso

– Apostolo con la testa bassa: torbido il colore della sua testa – Apostolo ricciuto che col manto verde sembra difendere gli occhi dalla luce abbagliante.

\\Grandiosa la figura dell’apostolo a destra che stende il braccio destro innanzi a sé col manto verde.// Mani larghe con nocche mediane tonde.

[c. 52V]

1442 234. Palma Vecchio. | Ritratto di donna con \capelli neri,/ grande cuffia bianca, scollata, carni rosse, abito rosso col corpetto ricamato a rame e foglie.

\\Capelli neri ebano. Carni rosse.// Molto villano per il Palma, molto stridente di colore. | Era forse un Cariani? Ora è molto guasto [Fig. 12].

1443 287. La solita Maddalena di Giampietrino. Copia di un fiammingo parmi.

1444 383. Leonardo da Vinci. Donna coi capelli sparsi sulle spalle nude.

Capelli castani. Violetto domina nel fondo delle carni. (Mi rammenta molto la

Madonna Litta!). Labbra scolorate, gialliccie. \\Anche nel lacrimatoio il rosso si fa gialliccio!// Livido! [Fig. 12]

[c. 53R]

1445 382. Jacopo de’ Barbari. Una pernice, una [-armatura] corazza attaccati a un ferro che termina a piramide, su fondo di legno dolce. Finissimo. [firma] Jac. De

Barbari P. 1504 [Fig. 14].

1446 388. F. Parmigianino. Una delicatissima Madonnina che tiene con la destra

53 una rosa bianca e con l’altra tocca il piede del Bambino che steso sui cuscini sgambetta. La bella Madonnina guarda al Bambino. Sulle sue treccie bionde le perle s’aggirano, e ornano il sottile collo. Nel vano della finestra un monaco certosino la cui testa chiara spicca sul cielo d’un bel turchino solcato da \calde/ nubi e con due dita tiene una rosa. Porta la mano \sinistra/ al petto.

[c. 53V]

Tutto è di una grande delicatezza, tutto è veramente signorile. [-Presso] Innanzi ai cuscini su cui il Bambino abbandona la testa ricciuta e il braccio destro, fioriscono le rose bianche. L’altra mano il Bambino la tiene dietro \al capo/. È certo il quadro che ornò la cella di un certosino. Sulla finestra leggesi NISI [Fig.

15]. Trasparente la testa del giovane certosino. \\Il turchino [*del] manto della

Vergine su cui stagliano le carni del Bambino è la nota maggiore, più viva di colore.// \\Begli occhi azzurri del Bambino. Colori delle carni come una tempera chiara.// La Madonna par vestita di velo per le pieghe che fa ondeggianti. Il manto suo è azzurro.

1447 379. Schule der L. da Vinci. Testa di [-donna giov] fanciulla vista di tre quarti a sinistra con gli occhi bassi, soffuse di rosso le guance, gli occhi bassi. Pare d’un fiorentino, d’uno scolaro di Fra Bartolomeo.

1448 * 265. Tintoretto. [firma] IACOBVS TINTORETVS. F. [Fig. 15]| Cristo che parla a una donna, dolcemente, mentre un’altra sembra interrogarla ansiosa; ed \\ella par che penda dalle labbra del Cristo tutta consolata e sorpresa//. D’un bellissimo colorito! La cintura ornata d’oro e di gemme sul velluto d’un verde [-

54 intenso] secco scuro scuro è un effetto da Rembrandt. \\Nel fondo a destra la cucina, nel mezzo, nel vano della porta gli apostoli luminosi, sul verde, come una visione.//

[c. 54R]

1449 292. Marcello Venusti. La Pietà. | Pare proprio lui.

1450 337. 340. 338 e 339. Grandi chiaroscuri, \monocromati/, parte di un gran fregio, rappresenta un trionfo. | Sono indicati l’uno come Unbekannt, l’altro come di un Meister v. Ende d. XVI Jahrh. | Sembrano di Polidoro Caldara.

1451 * 252. La cena \di Canaan/, senza nome d’autore, ispirata a quella del

Tintoretto nella chiesa della Salute. | Scarsellino. | Buono assai per il colore! La nota maggiore del colore è quella del coppiere che sta davanti con un ginocchio a terra: ha una giubba gialla e calzoni violacei. [sul lato sinistro] \\vi sono i rosa e i gialli dello Scarsellino. Anche il cielo d’un azzurro verdastro tutto [*suo] con nubi rosate a striscia. Si vede lo studio di Bassano. Ma è temperato Bassano!// [sul lato destro] \\Tavola. Sposo coronato: di fronte presso giovini donne il Cristo con gli occhi al cielo. Due signori sembrano additare la scena che avvien[e] in un loggiato.

Un uomo con un ginocchio a terra, visto di tergo con un vaso, un altro s’avanza con un grosso cocomero. Due cani stanno per azzannarsi. Sopra un palco tre suonatori. Dietro al Cristo la Vergine e figure affaccendate per la cena.//

[c. 54V]

1453 345. Tiziano. Ecce Homo. | Del suo tempo maturo. Eppure nel Cristo è

55 ancora l’alta, nobilissima, severa espressione del Cristo della Moneta.

1454 223. Bonifacio veneziano. | Parmi di uno dei Vecellio, non Tiziano però, ma tizianesco assai. La figura di santa Caterina ricorda molto quella di Tiziano di

Dresda per il chiarore delle carni. (È un suo diretto seguace).

1455 * 210. \Unbekannt/ Un imperatore romano che riceve doni da un uomo inginocchiato. Altri gli apportano doni. Con la sinistra tiene la destra di una donna che le sta ritta appresso. | Monocromato fine, pieghe alla Savoldo: anche le mani sono con dita squadrate alla Savoldo! | È un monocromato del sec. XVI certo.

Studio diligente dall’antico.

1456 274. Giambattista Moroni. Ritratto di giovane donna. | No, no: è piuttosto nell’arte del Porbus.

[c. 55R]

München: alte Gemälde-Galerie

1457 *1023. Ferraresisch um 1480. | Mi pare proprio Bernardo Parentino. | La

Madonna e il Bambino conservano il tipo padovano: quello del Crivelli, dello

Schiavone. [*Qualcosa] de’ padovani squarcioneschi. Cane eseguito con grande finezza. Ornati \d’oro negli abiti/ eseguiti con molti puntolini. C’è la sua finezza di miniatore. È il maestro [-le sue.] Carni brune con vive luci. Luci vive nelle vesti!

Luci al contorno d’ogni piega, così che l’abito azzurro della Vergine pare un acquarello con lumi bianchi.

1458 1024. Mazzolino. Sacra Famiglia. | San Giuseppe offre ciliegie in un vassoio alla Madonna seduta, che ne ha prese alcune, come il Bambino. Dio Padre in

56 gloria tra le nuvole. Par di leggere la data 1516. \Grandioso ma/ Grossolano!

1459 *1000. San Girolamo, Florentinisch 1400-1500. | Non è Filippo Lippi!

1460 1022. Francesco di Giorgio. Miracolo d’un santo

1461 989-991. G. da Fiesole. Due pezzi di predella

1462 1025. Mazzolini. Sacra famiglia e Santi. | No, no: è scuola del Garofalo.

Anzi una copia, a giudicare dai neri de’ contorni e delle ombre.

1463 **1040a. Leonardo da Vinci. Madonna col Bambino che chiede la mammella.

| Può essere del maestro stesso dell’Annunciazione di Firenze.

1464 ***1019. Florentinisch um 1440. Mi pare del maestro che ho tanto ammirato a Bremen. Testa tonda della Vergine e del Bambino. Il Bambino guarda al pubblico, tenendo con ambo le mani la mammella scoperta della Madre. | Belli anche gli angioli! | Vicino al Masaccio!

[c. 55V]

1465 *1029. Boccaccino. Il Redentore. | È l’Aleni? \\I contorni delle unghie determinato97 da un piccolo segno scuro.// Sono le sue brutte mani senza ricerca,

è la sua intonazione bruna del[l]e carni, è la sua materialità! Liscio come il Presepe di Modena. \\Curioso quel dito pollice visto di fronte: pare una spatola!// [Fig.

18]

1466 1007. Filippo Lippi. L’Annunciazione. Molto guasto da restauri.

1467 **1020. Scuola di Verona um 1480. La Strage degl’innocenti. | Potevan dire sino al 1505. Caroto! | Certo il Caroto! | Vi sono i gialli di Caroto, del tempo

97 Trattasi di una svista venturiana.

57 della Madonna cucitrice di Venezia: le sue teste tonde. Notevole il giallo arancio

\sanguigno/ della veste della Santa a sinistra.

1468 999. Florentinisch 1400-1450. | San Francesco e la povertà. | San Francesco che mette il giogo a un altro frate. | \\Chiaro su fondo d’oro//. Parmi Lorenzo da San Severino. Mani che sembrano zampe di [-fiera o] uccello.

1469 1089. A. Meldolla \(Schiavone)/. Apollo, le Muse e i poeti. Mi sembrano troppo proporzionate le figure per Schiavone. | Lumeggiate tutte le vesti d’oro. |

Effetto vivissimo di colore. Domina il verde e il rosso cambia in vivo giallo nelle parti in luce.

1470 1018. Copia [*di] Lorenzo di Credi. Sacra Famiglia. Una copia !? L’originale

è in Inghilterra (v. Catalogo). | Ma è il maestro stesso della Galleria Borghese, chiamato | Lorenzo di Credi.

[c. 56R]

1471 1082. Garofalo. Madonna col Bambino. | Tutta cerea. Tutto pa[r] misto a cera.

1472 1030. Gentile Bellini. Ritratto | ?.

1473 1032. Marco Basaiti. Deposizione. | Parmi una caricatura del Basaiti!

1474 1081. Garofalo. Madonna col Bambino e San Giovanni Evangelista, e

Michele arcangelo. | Debole tutto. Discreta \solo/ la figura di Michele arcangelo ha un po’ di grandezza, ma non ha la forza del trionfatore.

1475 1047. Giovanni Pedrini. Madonna col Bambino. | È la copia \antica/ di quello della Galleria Borghese | (copia di un garofalesco).

58 1476 **1078. Umbro-bolognesisch um 1510. Ritratto. | È il Tamaroccio! Le due colonne di agata ai lati come ne’ quadri del Francia, e base come di metallo dorata.

Mi ricordan anche le colonne del cassone acquistato dal De Eperiesy. Fondo alberi con chiome di un verde secco scuro. Sotto ai fusti, striscie \acute/ d’acqua azzurra azzurra sul verde chiaro! \\Tendenza a tondeggiare nel disegno. Nei bottoni dell’abito a sinistra RAFAELLO a destra URBINO. Carattere certo antico.// [Fig. 18]

1477 **1094. Correggio. Il piccolo fauno che suona la siringa. La figura stacca bene sul verde! | [-È un Garofalo!] | La veste turchina è appena d’un tono più basso del cielo e delle montagne, e nelle ombre come il cielo [-dal Garofalo, il]. Il verde tutto del fondo, la sua montagna azzurra si eleva la vetta conica sul cielo giallo all’orizzonte. Il disegno è correggesco. \\[-Eppure] Quel turchino chiaro del manto è d’un coloritore [-più] forte! [-Lotto?] È una cosa squisita!// [sul lato destro] \\[-E v’è del Garofalo certe finezze, o particolarità curate con pazienza monastica. Es. il nastro, e la cordicella che serra il manto, il [*linfo] di legno rosso.

E quelle fitte piegoline entro le pieghe generali.]//

[c. 56V]

[-1478 **1074. G. A. Bazzi, Sodoma: testa d’Arcangelo. | Ma non è piuttosto bolognese, nell’arte del Costa? O del Grandi? | Pare proprio un frammento del

Grandi! | Ma è tanto guasto!]

1479 **1125. F. Torbido. Ritratto del giovane con la rosa. | Quanto per fare è vicino al quadro di Budapest, assegnato da Morelli dubitativamente a Giorgione! |

59 Anche quell’espressione pensosa, anche il particolare de’ cappelli, che bel ritratto!

\\Grana di colori chiara// [Fig. 19]

1480 1275. P. Rotari. Donna piangente. | Ricorda la nostra donna piangente vestita di nero, nella Galleria Corsini.

1481 1127. J. Tintoretto. Ritratto d’uomo con compasso nella destra, con un frammento di Cristo nella sinistra. \\Paese di Domenico Tintoretto, neri accentuati, accentuati i bianchi.// \\Vive luci a colpi di pennello nel paese!//

[Fig. 19]

[c. 57R]

1482 1123. Ritratto del Moretto di un prelato. | Tutto scuro, carni della faccia cenerognole.

1483 *1108. G. Palma Vecchio. Madonna col Bambino, san Rocco e santa

Caterina.

1484 *1156. Palma Giovane. Madonna col Bambino in fasce: pastori attorno. |

Quanto mi rammenta lo Scarsellino! | Lo Scarsellino sotto l’influsso veneziano.

1485 **1111. Tiziano. Ritratto d’uomo vestito di nero. | Del primo tempo!

1486 **1107. Palma Vecchio. Ritratto d’uomo. | Non potrebbe essere un

Domenico Capriolo? Per le proporzioni sì, ma c’è pure il segno rotondeggiante di

Palma. È il Palma con tutta probabilità!

1487 1120. Paris Bordon. Ritratto con la data M.D.XXIII. | 1121. Paris Bordon.

Uomo e giovane donna scollata.

1488 1115. Tiziano. Ritratto d’uomo con decorazione di una croce rossa

60 spagnuola. | Bassano?

[c. 57V]

1489 **1076. Beccafumi. Sacra Famiglia. | No, è il Bacchiacca! Confrontare la testa della Vergine con la piccola figura di donna acquistata per Berlino! \\Alla testa delle figure del Bacchiacca par sempre che sia stato tagliato un po’ dell’ovale.// Sono le sue carni lattee con un po’ di rosa, al suo solito amore di turchini e di viola (turchino il manto della Vergine, viola quello di san Giuseppe).

\\Bello il paese. Nel mezzo due alberi quasi isteriliti in una campagna soffusa di verde e azzurrino!//

1490 *1096. Correggio? Madonna in gloria e santi nel piano.

È opera certa [-dell’Anselmi] del Rondani. Vedi le sue nubi con quel bianco tagliente, crudo, le pieghe grosse, quei colori rossicci delle carni. | Le nubi staccano una sull’altra duramente [fig. ]. La Madonna e il Bambino è quanto più c’è della maniera di Correggio. Stacca su fondo giallo, d’un giallo chiaro, lunare.

[c. 58R]

1491 **1085. San Niccolò nel mezzo, San Jacopo Maggiore, San Giovanni

Battista, ascritto a Rocco Marconi. | È il Bagnacavallo, parmi. | Sì, è lui. | La figura del vescovo nel mezzo con camice bianco e piviale a damasco e ricami, è un po’ corta come suol fare Bagnacavallo. I due putti in alto con la mitra sembrano due putti guasti del Francia. | Il manto verde del san Jacopo maggiore in contrasto col rosso come nel Bagnacavallo. Dita con le giunture rotondeggianti.

61 Le carni abbronzate vivamente.

1492 1027. Santo Vescovo. 1028. Santo Vescovo. Scuola napoletana. | È proprio

Cola dell’Amatrice! | Sì, sì, come nei quadri del Campidoglio e del Laterano.

Contorni crudi, mancante di modellato. | Stucchi!

[c. 58V]

1493 *1080. La Pietà del Garofalo. | Santo [-Vescovo] Cardinale – San Francesco

– Santa Maddalena – San Giovanni | \Madonna/ – Cristo – altra Maria - Santo vescovo con un ginocchio a terra. È un quadro dove il Garofalo sembra stare sotto l’influsso dell’Ortolano, specialmente in certe forme che il Garofalo avrebbe rese più delicate, men crude di colore, meno rusticane. \Buona cosa./

1494 ***1052. Raffaello. Ritratto. [Fig. 21]| Quanto si avvicina al Sodoma. È proprio Giulio. Orecchia soffusa nell’ombra. Capelli biondicci. Rosa paonazzo le guance e l’orbita dell’occhio. Le labbra rosso-fragola. Tanto [*tinto] di fragola.

Ombre scure nerastre. | Fondo verde!

1010.

[c. 59R]

1495 1087. Bastiano del Piombo. Ritratto. [Fig. 22] | Bastiano? No. | [in alto, sopra al disegno] Taglio crudo del contorno. | Tinta di mattone chiaro senza luminosità. [sul lato sinistro, rispetto al disegno] \\Rassomiglia molto per fattura al così detto Franciabigio della galleria Torlonia.// [sul lato destro] \\Colori chiari con luci rosee.//

62 1496 1039. Francia. La Madonna del roseto.

Il Bambino [-siede con] sta steso, tiene una palla aranciata, sta steso sopra un drappo rosso che avvolge un cuscino. [-Di sotto] Dal cuscino escono gelsomini.

\\Nuvole a frecce. [*fioretti] azzurri//. [firma] [FRANCIA AURI/FEX

BONON]. La siepe formata di bastoncelli che forman rettangoli. Sostiene i cespi delle rosettine. Qualche fringuello posa sulla siepe. La terra è sparsa di di violette, di fiorellini bianchi e rossi, ma il Francia dà sempre le foglie ornamentali. \\La

Madonna tutta in veste azzurra, con orlature verdi ricamate a nodi d’oro. Mani senza nodi. Fondi con le spaccature strane. Case avvolte nell’azzurro. Campanili col coronamento piramidale basso basso. Alberi con fogli ornamentali. // [Fig.

22]

[c. 59V]

1497 1093. Römische Schule. \San Giovanni Battista/. No Bronzino. | Vicino all’altro San Giovanni Battista della Galleria Borghese.

1498 1090. Madonna col Bambino del Pontormo. | Sembra uno de’ suoi grandi disegnoni a[-lla] matita rossa con \gli/ occhi spalancati, profondi incassati delle sue figure.

1499 1060. Innocenzo da Imola. Grande ancona. | O è il Pupini? | Non c’è il rosso eccessivo di Innocenzo. | Buona la testa vista di fronte del committente a destra. \\Madonna in gloria, 4 Santi e due committenti nel piano (una suora e un prete).//

1500 1088. Scuola di Brescia. San Girolamo. | Il carattere delle pieghe, e le dita

63 squadrate della destra mi fanno pensare al Savoldo! | Non ne ha la sua forza però.

[c. 60R]

1501 1040. Francia. Madonna col Bambino e angeli. | Bellissimo Francia! |

Curioso il colore de’ capelli dell’angiolo a. d’acciaio. Il velo della Vergine terminato come da puntolini bianchi. Manto bleu con risvolto verde nella

Madonna, veste rossa. La Madonna e il Bambino stanno come [-dietro] innanzi a un parapetto coperto di velluto rosso e il Bambino posa sopra un parapetto coperto di damasco giallo a fiorami. \\Labbra d’un roseo vivo. Occhi un po’ tondi. Bella la piccola mano destra della Vergine.// [sul lato destro] \\Fondo turchino chiaro luminoso.//È curioso come le dita ripiegate \della sinistra/ della

Vergine e degli angioli si rassomiglino. La parte cornea dell’unghia è indicata da un contornino scuro e da due righe bianche parallele. Guancie rosate delle figure, palpebre rosate. Rosati i lacrimatoi.

1502 1083. Lorenzo Lotto. Lo sposalizio di santa Caterina. [-Il B.] La Vergine è una buona veneziana. Il Bambino un’intelligente creatura. Santa Caterina una buona tosa. San Giuseppe guarda tutto piegato di traverso, per cianciare [*poi]. Xe curioso!

[c. 60V]

1503 1016[o]. Lorenzo di Credi. Madonna col Bambino e un angiolo. ?

Non mi pare lui, certi contorni neri non lasciano credere che sia lui. | E che brutto angiolo, con quella testa a pera! #

1504 *1026. Palmezzano. Madonna in trono e Santi. | Firmato. | I putti sui

64 pilastri tengono uno stemma [e] una pera con due foglie nello scudo bianco.

1505 1016. Gli arcangeli \e Tobiolo./ Arte di Piero di Cosimo.

Bayersdorfer dice che è una copia; ma parmi una cosaccia dell’ultimo tempo di

Piero di Cosimo.

[c. 61R]

1506 * 1022[a]. Liberale da Verona. Pietà. | Il Cristo ha le stesse pieghe del san

Sebastiano a Berlino.

1507 * Luca Signorelli. Tondo

[c. 61V]

1508 **1017. Lorenzo di Credi. Tondo. | È curioso come qui pure il san

Giovanni abbia la stessa testa storta di quello della Galleria Borghese! | Molto più curato il san Giuseppe che non sia tutto il resto.

1509 *1034. Perugino. La visione del san Bernardo. | Notare qui la somiglianza dell’ultimo ritratto ossia dell’ultima figura a sinistra col ritratto della Galleria

Borghese.

1510 1095. Correggio. [-Sacra Famiglia] Madonna col Bambino, San [-

Giovannino] Girolamo e Santo Vescovo, e un angiolo. | Figure mal tagliate d’un imitatore di seconda mano. Cattivo il disegno: | La Vergine ha una nuca enorme, il putto pure ha grande l’occipite. San Girolamo una gran bozza nel cranio. |

Imitatore di seconda mano.

65 [c. 62R]

1511 ** 1035. Perugino. Madonna adorante \il Bambino/ e due Santi: San

Giovanni Evangelista e Santo Vescovo. [-Meloni forse!] Le pieghe sembrano vesciche fatte dai [*manti]. Contorni duri, crudi. | Un debole seguace di Perugino.

| Cespi di fragolette e viole inscritti come in un circolo.

1512 1031. Madonna col Bambino, Santo e un committente di Marco Basaiti. Non

è piuttosto di quel suo garzonaccio che ha incominciato con quella orribile

Deposizione di questa galleria?

1513 **1009. Filippino. La Pietà. Di una simmetria noiosa.

1514 * 1033. Cima. Madonna col Bambino e due Santi.

1515 [-*] 1021. Matteo da Siena. Strage degl’innocenti (parmi una copia tutta scura di cosa chiara).

1516 *1073. Sodoma. Sacra Famiglia.

1517 *1005. L’Annunciazione di Fra Filippo.

1006. Madonna col Bambino di Fra Filippo.

1518 1010. Botticelli. La Pietà. | È lui, è lui! Drammaticissimo.

[c. 62V]

1519 1045. Bernardino Luini. Santa Caterina. | Ha la testa più di Marco d’Oggiono.

1520 1127. J. Tintoretto. Ritratto d’uomo con un compasso. | Paese con quei grossi colpi di luce gialla. | Contorno del colletto fatto con colpi che sembran

66 capricci di pennello. | Pieghe un po’ cartacee dell’abito. \\Certo Domenico

Tintoretto.//

1521 1011. 1012. 1013. Domenico Ghirlandaio. Tutto? | Parmi in gran parte opera della bottega.

1196 (gab. 20). Gian Bellino, ritratto di fondo verde, troppo fiacco anche per il noioso Mansueti.

549 (sala 9). Mantegna. Il fare della scuola di Girolamo e Francesco Benaglio.

[sigla] MA nel pilastro a mano sinistra del trono. [sigla] SEV sopra! Così Morelli.

Dunque S. Veronensis dice!

Marco Basaiti: Deposizione dalla croce (Basaiti: brutte unghie rotonde).

Marco Basaiti: Maria, San Giovanni, San Sebastiano e il donatore.

Giorgione: la vanità e fugacità del mondo: Sibilla!

Giorgione: ritratto.

1522 1016. Gli arcangeli. Art del Piero di Cosimo. | Perché non lui a dirittura? È brutto molto, molto scuro.

1523 1116. Tiziano. Venere e una ninfa e Cupido e fauni. | Composizione simile a quella della Galleria Borghese, ma senza la forza, né la freschezza di quella.

67 3. Taccuino con fermo metallico 1904

Il taccuino riunisce, mediante un fermo metallico inserito all’interno di un foro nel lato breve del foglio, 77 carte (14.7x9.5 cm circa) riguardanti il viaggio Trento-

Monaco. Presumibilmente l’itinerario potrebbe essere stato compiuto durante il

1904, poiché il recto della prima carta riporta a lapis esclusivamente tale cifra [Fig.

28], la quale si riscontra anche sul verso di tutte le altre, ad eccezione dell cc. 4 e 10.

Complessivamente il taccuino è stato vergato a penna, con inchiostro marrone. La trascrizione qui riportata è inerente alla sola parte monacense ed il verso recante il numero 1904 non è stato trascritto. Mi è parso opportuno, al fine di facilitare la lettura, ordinare le carte mantenendo la disposizione con cui sono state fascicolate nel taccuino stesso, dall’1 alla 25 vengono annotati opere e oggetti visti a Trento e

Rovereto, dalla 26 in poi presso l’Alte Pinakothek, il Bayerisches Nationalmuseum e la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.

[c. 26]

Monaco. Alte Pinakotek

1007. Scuola di Fra Filippo Lippi. Povero maestrucolo!

999. Florentinisch (1400-1450). San Francesco sposa la povertà. Frate che mette il giogo della Pazienza a un altro. [Fig. 29] Sano di Pietro. [*Certamente] senese, ma del giorno d’oggi, falso!

993. L’Angelo dell’Annunciazione. [*Tutto], guasto, punteggiato, sporco; è del restauratore che l’ha eseguito. \\L'oro del fondo con piombo.//

68 994. Anche la Vergine è guasta.

[c. 27]

985. Florentinisch um 1380. Salvator Mundi. Figura legnosa, seria, grave.

979. 980. Cimabue, Schule [Fig. 30] Santa – Madonna col Bambino – Santa –

Lavanda de' piedi – Cristo nel Giudizio Universale – Crocifissione – Il cireneo prende la croce – San Francesco riceve le stimmate. Nello li attribuisce al

Cavallini.

996. Florentinisch (1400-1450). Maestro tedesco.

[c. 28]

986. Lippo Memmi. Himmelfahrt Mariae. Tutto pulito, rinnovato così che pare proprio falso. Negli sportelli, chiaroscuri su fondo azzurro [*turchesco]. Figure di

Santi che sono la caricatura di quelli di Simone: colli stretti e lunghi, colli tirati.

Teste studiate dal Quattrocento, arcaizzate. \\(quelle del frate a destra domenicano)//. Materialità delle pieghe. Sbagli nel disegno fenomenali [Fig. 31]

[c. 29]

[Fig. ] Rappresentazione di S. Gregorio \(?)/ col reliquiario dei Santi Pietro e

Paolo (due teste entro il reliquiario a vetri con timpani). Brevi le mitre – Bandiere

[Fig. 32]. Il papa San Gregorio par studiato da [*Bronzino]. Architettura scura con filettatura bianca e nera senza finezza di sorta.

[c. 30]

69 [Fig. ] La parte di mezzo è tutta rifatta nell’oro così che si resta incerti se veramente si debba [*gridare] alla falsificazione; eppure la testa della Vergine

\incoronata/ grassa; i colori degli angioli senza smalto, le teste degli angioli lumeggiate di bianco, o almeno come di gesso colorato.

[c. 31]

Monaco (Galleria – Alte Pinakotek)

987. 988. Parti di un polittico di Spinello Aretino. Oro del fondo rifatto. Santi ritagliati con le forbici. Sembrano delle cromolitografie. Colori stridenti. | Il 987 rappresenta cinque santi volti a destra, il 988 altri 5 santi volti a sinistra.

Il 1083, Lorenzo Lotto. | [firma, Fig. 34] [LAURENT. LOTUS F.] [sul lato sinistro] \\Colori belli, bianco e violetto iridescente. Ombre trasparenti rosa spiegazzate – penombre riflessate – vesti spiegazzate alla Previtali.// [sul lato destro] \\Tenda verde nel fondo, che lascia però vedere il paese a sinistra, paese con nubi calde di tramonto verso l’orizzonte.//

[c. 32]

Ancora nel fondo l’effetto del quadro di Parigi, con certe montagne \o rocce/ colorate dal ferro, e nubi orlate di giallo sul fondo caldo rossiccio. | Quadro svelato! Turchino del cielo intorbidato, nubi \in alto/ sull’orizzonte addensate, scure: guancia della Vergine; specialmente la guancia a destra sporcata: anche il mento del Bambino e la guancia sporcate.

1016a. Lorenzo di Credi. Tinta inaridita. Era forse un Botticini. Almeno qui

70 abbiamo il mignolo delle dita \\Contorni scuri de’ lineamenti.// È tutto crudo.

[Fig. 35] | Brutta la testa dell’angiolo a pera: fiori convenzionali. Contemporaneo di Credi.

[c. 33]

1040. Francesco Francia. Per la descrizione vedi nota antecedente. Ora basta osservare che il quadro gentilissimo è stato guasto, pulito, ha perduto l’osso suo il colore.

1031. Marco Basaiti. | La figura del committente ha perduto il colore della faccia;

è diventata una mascheretta contornata di scuro.

1074. Sodoma. Testa di San Michele Arcangelo. | Certo nell’arte del Costa. Bei capelli fulvi, fatti con facilità calligrafica.

[c. 34]

1037. 1038. Raffaello. | Sono di un peruginesco, vicino allo Spagna.

1051. Raffaello Santi. | Madonna col Bambino e San Giovanni | Vicino alla

Madonna della seggiola, ma il rosso della tunica è stato svelato, chiarito; l’azzurro indebolito; le carni si sono fatte umide; i capelli hanno perduto il disegno. È un umidore sulle carni, un colore viscido!

1029. Boccaccio Boccaccino. | Ricolorato. Solo guardano gli occhi suoi vitrei nel volto mascherato.

[c. 35]

71 997. Männliches Bildnis Florentinisch (1400-1450). È una copiaccia, o una falsificazione orrenda. Viso preparato di verde. Labbra morelle. Lucco rosso come una tonda corona, un tondo lucchione rosso. [-Vesti] Tunica con certi fiorami d’acciaio, segnati di rosso, con lumi bianchi. Pelliccia nello [*scollo] intorno alle spalle: cosa tutta torbida. Mani verdi. \\Fondo azzurro sbiancato. Spalle. [Fig.

38]//

[c. 36]

1025. Ludovico Mazzolini. | Sacra Famiglia. | È una cosa brutta di uno scolaro di

Garofalo.

991. Beato Angelico. | Miracolo dei Santi Cosma e Damiano con compagni. |

L’aria non ha più lucentezza. Le carni si sono fatte di un rosso mattone. Tutto è stato snervato!

[c. 37]

979. 980. Cimabue Schule. | Nello li ha attribuiti al Cavallini. Scure le teste, forti le ombre, intense! Occhi cavernosi.

980. La Crocifissione. | La Vergine cade trafitta da una spada | La Flagellazione.

\\Cristo sulla Via del Calvario. Curioso il manigoldo che lo segue, con vesti a pezzi e stracciate.// | Santa coronata di rose – Santo – Santa [sul lato destro, in sequenza] \\San Francesco che riceve le stimmate// \\Santa Maddalena// [Fig.

40]

[c. 38]

72 979. Santa Chiara – Madonna col Bambino in trono – Santa coperta di manto di porpora | La lavanda de’ piedi | Cristo nel Giudizio Universale. Il fiume di fuoco scende dalla mandorla azzurra, e involge i tristi. Gli eletti tengono le bandiere, una con gigli. I reprobi con bandiere dov’è la mezzaluna, una spada. [Fig. 41]

[c. 39]

999. La Povertà e la Pazienza. Mi parvero del Sanseverino, anche di un Senese.

Ora mi paiono moderne. Vedasi il piano come una [*nicchia]; i contorni delle tavolette fatti con tondetti e semitondetti. | Il colore è moderno, biaccoso.

1029a. Madonna orante d’Antonello da Messina. Tutto snervato, indebolito, di stucco, causa il restauro: i bianchi rimasti vivi!

[c. 40]

1040a. Leonardo. |Ci si specchia dentro. È il maestro di Pistoia. Con stesse

[*grinze] del colore, ombre dense, intense.

983. Giotto. La Cena. | Pare proprio lui, ma ha perduto la sua forza, la sua vivezza.

982. Giotto. L’Andata al Limbo| (Qui per il restauro è irriconoscibile).

981. Giotto. La Crocifissione con 2 adoratori (2 coniugi). | È lui, ma indebolito, infiacchito, senza rilievo.

[c. 41]

986. Lippo Memmi. [trittico, a ciascuna tavola corrisponde un commento] [Fig.

73 44] E qui pure cascò l’asino. Non aveva più da copiare! – Il mezzo deve essere stato fatto con la miniatura dell’Assunzione di Ser Sozzo. I profeti che vengono incontro, discendono col Cristo verso la Vergine. Tengono meno di Simone: il

Cristo meno di tutti. La Vergine incoronata poi non tiene affatto di Simone –

(Manca traccia di gotico) segni bianchi nell’architettura e segni neri molto grossi.

Architettura con archi a pieno centro, balaustre unite da archi a pieno centro.

Tamburo d’una cupola corso da lesene che uniscono archi sopraelevati.

[c. 42]

1027. 1028. Neapolitanisch (Ende XV. Ihrh.). San Ludovico di Tolosa. [1028]

Certo di Cola dell’Amatrice. Contorni delle mani nere, così de’ lineamenti. Piante con foglie. [Fig. 45]

[c. 43]

1026a. Signorelli (Luca). Madonna col Bambino. L’uomo che si leva le scarpe per recarsi al nuoto. Ex voto. La Vergine intercede grazie! \Carni livide, quelle dell’uomo che si denuda tutto, son cadaveriche!/

1022a. Liberale da Verona. Intagliato nell’onice, con fratture ovoidali.

1085. Rocco Marconi. Un dossesco – Bagnacavallo? \Forte il colore. Ferrarese nella sua vivezza/.

[c. 44]

Rocco Marconi ha gli scuri altrettanto intensi. Il rosso rubino, il verde rame intenso, le carni così abbronzate: eppure qui è d’uno scolaro de’ ferraresi. | Il

74 santo di mezzo sarebbe San Geminiano? | Reca la data [data] M. D. XXX. . F.

SABASTIAM. F. . PER . AGUSTINO CHIGI. [Fig. 47] San Giovanni Battista –

San Niccolò da Bari – San Jacopo Maggiore.

[c. 45]

1076. Domenico Beccafumi. Mi par proprio il Bacchiacca. Del Beccafumi ci sono le forme allungate della Vergine, non non [sic] gli azzurrini, i violetti, le tinte dolci delle carni, fresche, proprie del Bacchiacca.

1045. Bernardino Luini. |Santa Caterina. | Tutta quella materialità di riccioletti, d’ornamenti, e il fondo con le rupi leonardesche, fa ascriverlo a un fiammingo studioso di Leonardo. \Si osservi la finezza estrema di particolari. È il copiatore della Bella di R. (Galleria Doria)./

[c. 46]

1045. Bernardino Luini. Ornati di perle alle maniche, allo scollo, tutto tirato, duro.

Che sia colui che della Aragonese, nella copia per Doria, fece di R. un pasticcio leonardesco-raffaellesco?

1087. Sebastiano del Piombo. | Tinta fredda fre[d]da delle carni (un maestro della

IIa metà del XVI).

[c. 47]

905. Cristo tra i Dottori (come i molti quadri della galleria di Napoli, de’ quali io avevo [-] fatto tutta una stanza).

75 1093. Römische Schule. | Bronzino.

1011. Manto azzurro della Vergine di Domenico Ghirlandaio, già a Santa Maria

Novella, ora chiaro, ora scuro, ora intenso. Effetti della cassetta!

[c. 48]

1096. Nachfolge Correggio. Rondani.

1095. Correggio. Il maestrino dai crani schiacciati.

1066. Povero Andrea! Divenuto un vetro colorato!

1073. Sodoma. Sacra Famiglia. L’hanno lasciato stare!

1052. Raggrinzato il colore del ritratto d’Altoviti, opera di Giulio Romano.

[c. 49]

1034. Perugino. Vernici bianche, addensatesi.

1156. Scarsellino nella maniera veneziana (attribuito a Jacopo Palma).

1110. Tiziano. Die Eitelkeit des Irdischen (in tutto il 500 non una cosa bianca così: scuola di Guido, copia della maniera di Guido).

[c. 50]

1108. Snervato Palma, vetro colorato il Bambino, la Vergine di terra giallognola, | vuoto, scarnificato, cielo segnato duramente – manca l’aria.

1115. Tiziano. | No, Giacomo Bassano. | Brutte mani!

76 [c. 51]

1113. Tiziano. | Madonna col Bambino. | Il paese una crosta, il cielo temporalesco, l’azzurro della [* Vergine nuovo] tutto una crosta!

1128. Jacopo Tintoretto. No, Scuola.

1127. Jacopo Tintoretto. Domenico?

[c. 52]

Alte Pinakotek.

189. Bernard Striegel. Sportello, [*alto] d’una grande ancona. È una schiera di fanciulli, dagli occhi azzurrini, lavati con la potassa, sembrano carte colorate le loro teste, di bianco colorate. \\8 fanciulli di Conrad Rehlingen von

Hainhofen.//

244. La grand’Eva d’Alberto Dürer svelata nelle carni, ha perduto la determinatezza ne’ contorni; i bianchi umidi, di sapone!

Così fu lavato il n. 663 che rappresenta il matematico I. Neudorfer con un suo scolaro.

833. Il ritratto di Van Dyck. | Autoritratto. Nella testa è ridotto alla preparazione.

847. Grigio l’incisore. \K. Malery di Van Dyck./ Il bianco impasto esce fuori.

[c. 53]

1048. Cesare da Sesto. | Scolaraccio di Fra Bartolomeo.

77 1040. Il bellissimo Francia, non ha più il suo osso. Il rosso che si soffonde delicato, qui esce vivo nelle guance. Inaridito così il colore, manca di sostanza, del pigmento attraverso al quale si mostrava, del cristallo datogli dal Francia. | Il suo bel rosso di rubino non ha più lo splendore. | L’azzurro tormentato dalla vernice strappatasi.

1090. Jacopo da Puntormo. | Pare il Rosso Fiorentino.

[c. 54]

1006. Filippo Lippi. Rifatte le mani, le gambe, scolorato il rosso, l’azzurro, quasi tutto ridipinto. Vedere certe unghie grigie messe sul color de’ piedi, d’un brutto mattone. | Il disegno si è perduto negli occhi, nelle facce.

1049. Raffaello. La Sacra Famiglia. La Sacra Famiglia di Casa Canigiani. Franz von

Reber non ha permesso che si vadano a cercare le testine [*esialate] sotto le nubi.

Dio lo benedica!

[c. 55]

1073. Il Sodoma, bellissimo, dorato, sano.

1066. La Sacra Famiglia d’Andrea del Sarto è divenuta un vetro colorato.

1080. Garofalo. Dei noiosissimi!

1a stanza.

Degni di studio. | Lotto: Lo sposalizio di Santa Caterina. | Perugino: Visione di

San Bernardo. | Bacchiacca: Tondo. Madonna col Bambino e San Giuseppe. |

78 Francia: Madonna. | Sodoma: Sacra Famiglia. | Cima: Sacra conversazione. |

Giulio Romano: Altoviti. | Raffaello: Madonna di casa Canigiani. | Signorelli: Ex- voto. | Liberale: La Pietà.

[c. 56]

**1114. Tiziano. La Incoronazione di spine. Cosa strapotente del suo ultimo tempo.

1156. Giacomo Palma. L’Adorazione de’ pastori è opera propria dello Scarsellino.

**1111. Tiziano. Ritratto virile. Un potente ritratto.

1110. Tiziano. Die Eitelkeit der Irdischen. Nello specchio che la donna tiene vedesi in sacco anelli, monete, corone sparse sur un tavolo. \\Si sta incerti se sia cosa della scuola di Guido.// Donna che fila nel fondo. \\Qua e là trapela la preparazione.//

[c. 57]

1123. Moretto. Ritratto del tempo plumbeo.

1008. Giacomo Palma il Vecchio. Il putto divenuto vitreo, il colore delle carni della Vergine opaco. | Tutti i colori hanno perduto la lucentezza, il calore, il sole.

| Le nubi del fondo [s]tagliano duramente sul cielo, altrettanto le montagne. 98

1115. Tiziano. Ritratto. Sembra un Jacopo Bassano. Brutte le mani. Par che ci sia stata data una pomata!

98 Al n. 1008 del catalogo A. P. risulta l’Apparizione di Cristo a Maria di Filippino Lippi, mentre l’opera di Palma il Vecchio, Madonna con Bambino, San Rocco e Santa Aurea (?), è registrata al n. 1108.

79 [c. 58]

*1109. Tiziano. | Bello. | Madonna col Bambino, san Giovanni e un adoratore.

1113. Tiziano Vecelli[o]. | Tutto ridipinto. | La nebbia nel fondo!

1150. Leandro Bassano. | Assai bello. I capelli imbiancati sono una meraviglia.

1128. Tintoretto. No, opera d’un suo seguace.

1116. Tiziano. È una copia da quello del Louvre e della Galleria Borghese.

*1112. Tiziano, Carlo V.

1127. Jacopo Tintoretto. Domenico.

[c. 59]

1051. Madonna della Tenda di R. | Umide le carni, colori visti come dietro un vetro, capelli rifatti de’ bambini, azzurro del manto attenuato, il rosso della tunica della Vergine attenuato.

1046. Bernardino Luini. Sì, ma annebbiato.

1074. Sodoma. Sì potrebbe essere Ercole Grandi.

1050. Raffaello. La Madonna Tempi. | Anche questa: pulita troppo!

*1065. Granacci. Sarebbe di lui la vedova della Pitti?

1075. Brescianino, Sacra Famiglia.

[c. 60]

80 1040a. Leonardo. | Che sia il maestro del quadro del duomo di Pistoia? Scuola del

Verrocchio. Qui prossimo a Leonardo.

1022. Francesco di Giorgio. Miracolo di sant’Antonio. Il noioso, brutto Francesco di Giorgio.

1025. Ludovico Mazzolino. No, scuola del Garofalo.

999. Falso o ridipinto ad olio? È quello che a me parve. Sano di Pietro, e meglio prima Lorenzo da Sanseverino.

[c. 61]

993. L’angiolo di Fra Giovanni da Fiesole. Le ali di pavone annerite, la veste ingrossata, contornata di porporina, nimbo di porporina con grossissimo graffito, capelli ridotti a una massa gialla, faccia bituminosa, mani bituminose.

996. Fiorentino. Ritratto di F. Braccio. | È opera d’un brutto, pittore tedesco!!

[c. 62]

1099. Filippino Lippi. La Pietà. Pieghe pesanti, mani grandi, testa della Maddalena troppo piccola, san Giovanni curvo par gobbo. Barocco nel suo ultimo tempo.99

1008. Idem Apparizione di Cristo a Maria. Massa pesante di pieghe. Dominava l’azzurro.

1012. Domenico Ghirlandaio. San Lorenzo (Statuario). Stucco colorato.

99 Venturi annota male, si tratta dell’opera n. 1009, alla quale era attribuita erroneamente la paternità di Filippino Lippi.

81 [c. 63]

1010. Sandro Botticelli. | Mani con nervi tra le dita, che paion transenne.

1016. Piero di Cosimo. | Imitatore volgarissimo di Piero.

1021. Matteo di Giovanni da Siena. Copia di quello di Napoli. \\Strage degli

Innocenti.//

1062. 1061. 1064. 1063. Granacci. 4 Santi.

1095. Correggio. Teste sbattute contro un piano.

[c. 64]

1014. 1015. Due parti di un trittico. | La Madonna e la laterale a destra, quella con la Vergine, il Bambino, e un adoratore; questa coi Santi Giorgio e Sebastiano.

Indebolito dai restauri.

1001. Florentinisch (1400-1450). Die Anbetung der Könige. Scolaro di Beato

Angelico. | Spelato.

1040a. Leonardo. Segni troppo rotondi. Un rotondeggiare insolito in Leonardo.

Nell’orecchio, nella cuffia, nelle pieghe del corsetto appare il segno rotondo.

\\Finezza estrema di particolari.//

[c. 65]

Il 982 è il più guasto de’ quadretti di Giotto; ma anche gli altri hanno perduto di saldezza di forme. Chi sono i due coniugi inginocchiati ai piedi di Cristo? L’uomo tiene un ricco ornamento d’oro intorno al collo: una sciarpa d’oro. Una pezza

82 d’oro gemmata sul petto.

[c. 66]

National Museum

Riproduzioni del tesoro di Nagij-Szent-Miklos attribuito al 450-500 d. C. Sono tutte posteriori? Forme bizantine del VIII o IX secolo, o anche più tardi di provincia.

[c. 67]

**Avori degli apostoli, coi segni dello zodiaco nelle lunette degli intercolonni (10 apostoli, mancan due, de’ quali si dà il calco in gesso): formano una cassettina.

(francese, sec. XII?) \ K. V. 174 175 176 /

*Avorio bizantino: Cristo Redentore tra il San Giovanni e la Vergine. | Sec. XII. |

Tipi soliti, grandiosi.

\ K. V. 159 # 174 e 175 e 176 # /

[c. 68]

Avorii

*K. V. 162. Madonna col Bambino tra due angeli, adorata da un basileo (?) sec.

XII-XIII.

*K. V. 16[-2]1. Il Redentore e due apostoli acclamanti. Romanico, sec. XIII.

K. V. 164. Falso.

83 K. V. 158. Falso.

*K. V. 163. Natività. Altro avorio romanico, sec. XIII.

*K. V. … Pisside con cervi cani. Romanica sec. XII. \ Detto più antico del 1150-

1200. /

[c. 69]

[Fig. 72] K. VI. 1417. Anconetta d’altare alla certosina. Specchio con cornice alla certosina. \- ?/ Due cassettine saracene, ma che hanno perduto gli ornamenti a penna.

[c. 70]

Biblioteca

Cim. 55 Cod. lat. 14000

Codice aureo di St. Emmeran in Regensburg. \Scritto nell’870, rinnovato e coperto nel 975./

[Fig. 73] Fine del secolo X. Scritte in latino.

Cristo e l’adultera – Moltiplicazione dei pani | Apostolo – Apostolo | Apostolo –

Apostolo | Cristo e il cieco – Cristo e lo storpio.

[c. 71]

Cim. 59. Cod. lat. 4454. | Evangelio. Da Bamberg. | Coperta con lastre di metallo a sbalzo figuranti: draghi, chimere.

84 [c. 72]

Cim. 60. Messale circa 1014. | Con avorio della Crocifissione, nella coperta.

Cim. 58. Lat. 4453. | Da Bamberg. | Coperta con la Morte di Maria sotto il ciborio a colonne e a tetto traforato.

Cim. 56. Clm. 4451. | Coperta d’avorio. L’Annunciazione – la Nascita. |

Grandioso avorio dato al IX secolo. | Parmi posteriore.

[c. 73]

Cim. 56. Clm. 4451. | IV Ev. Con coperta d’avorio rappresentante il Battesimo. |

Importante la rappresentazione del sole e della luna.

Cim. 57 Clat. 4452. | Evangelio d’Enrico II. | Con smalto bizantino di vivissimi colori. | a. 1014. | Avorio con la Crocifissione. | Il sole e la luna sulle quadrighe.

| La chiesa, la Sinagoga, il gran serpente sotto la croce. | I morti dalle tombe. |

L’oceano una figura. La luna in cattedra.

[c. 74]

Clat. 23352. Clat. 15733. Codici miniati da scolari dell’Attavante.

[c. 75]

C. ital. 81 | Cod. c. pict. 38. | Francesco Petrarcha. Sonetti. | \[-Senese?]/ Le figure in bianco, solo disegnate a penna. | Quella a c. 146 è meravigliosa. |

Avignonese?

\ Figura in una carretta tirata da 2 cavalli. Un angiolo tra essi: /

85 “La notte che seguì l’orribil caso”. | È indicato come dell’anno 1414.

[c. 76]

Cim. 53. Clm. 23630. | Lectionarius del monaco Ulrich innanzi 1150. | Verso: antico dittico consolare [Fig. 79] Diritto: la Crocifissione, Marie al sepolcro, l’Ascensione, sec. XII.

Un genio tiene un clipeo col ritratto del Cristo. | Console con lungo scettro, con tunica manicata – Guerriero con lancia e scudo crocesegnato. | Console (?) che tiene nel seno del pallio un sacco coi donativi. Veste a circoli e rose.

[c. 77]

Biblioteca.

Messale lat. Di Niccolò da Bologna (firmato).

Discordantium canonum concordiae. | Miniato da Niccolò. | Grande pagina dove è il Redentore. Sotto le gerarchie. | Un angiolo dà la tiara a un papa, la corona a un re.

Breviario di Ludovico il Bavaro. | Lat. 6116. | Bolognese 1330 circa.

Bibbia sacra. Clm. 61. Lat. 21261. Con molte lettere figurate, figure filettate di bianco. Scuola probabilmente bolognese, fine del sec. XIII. Cappelli rossi, fondi azzurri. \ Azzurro domina. /

86 4. Carte sciolte

Questo corpus di carte sciolte ed inedite esemplifica il carattere in fieri dei taccuini: di formato piccolo e maneggevole (10.5x7.5 cm circa), scritti interamente a matita, privi di rilegatura e catalogazione di sorta. La descrizione delle opere, infatti, scorre in riferimento al numero di schedatura della galleria. I fogli sono disposti fra loro ad incastro e gli appunti corrono anche sul verso. Per tanto si è scelto di disporre le carte da uno a sei, specificando recto e verso. Persino la datazione di questa raccolta è incerta, poiché non verificabile mediante riscontri documentali precisi. Tuttavia, sulla base di alcune opere menzionate nelle carte, è possibile ipotizzare che queste siano state redatte, a grandi linee, tra il 1891 ed il 1906. Al termine post quem 1891 si riferiscono l’acquisto del Ritratto di Bindo Altoviti di Raffaello (Washington, D. C., of Art, inv. 534) e della Madonna col Bambino di Lorenzo di Credi (Los Angeles, P. Getty Museum, inv. 70.PB.28); il termine ante quem 1906, invece, è stato fissato in riferimento alla Madonna con i Santi del Garofalo (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 26), esposta dal 1906 al 1910 nella galleria di Erlangen e quindi a Zweibrücken.

[c. 1R]

\\Monaco// 1114 Tiziano. La Coronazione di Spine. [*Magico]

1116 Forma debole della Venere di Tiziano nella | Galleria Borghese.

1115 Ritratto attribuito a Tiziano. L’uomo appoggiato al lungo bastone. Giacomo

Bassano. al n. 1367 vi è indicato sotto il nome di Unbekannten Meister il nostro quadro.100

[Fig. 82]

100 Il dipinto, facente parte della sezione dedicata alla pittura francese, è stato riportato fino al 1904 nei cataloghi della Alte Pinakothek quale “Unbekannter Meister” e così descritto (Kat. 1904, p.

87 1084 Sebastiano Florigerio, come quello che vidi presso [*Molza].

1099 Lelio Orsi no un secentista. Ritratto muliebre, come strisciato da luce.

[c. 1V]

1078 Umbro-bolognesisch um 1510. Uno scolaro del Costa, forse il Tamaroccio.

Ritratto fra due colonne [Fig. 83].

1050 Raffaello. Madonna col Bambino sulle braccia, che tiene [*il ramoscello nudo] il petto (periodo fiorentino).

1038 Raffaello. Il Batt[esimo]

1037 Raffaello. La Resurrezione. No Raffaello. Piuttosto Spagna, ad ogni modo uno degli scolari inferiori di Perugino. 101

1014 [*Sanno] del Correggio in atto di suonare [Fig. 83]. Un manto di leggero azzurro gli copre la spalla sinistra e si ripiega sul busto.

[c. 2R]

1052 Raffaello Santi. Testa di ¾ con biondi capelli, colore rosso delle carni con ombre forti, fondo verde. Non vi è la trasparenza raffaellesca. Opera giovanile di

Giulio Romano.

1089 Sebastiano del Piombo. Nel taglio degli occhi ricorderebbe il Mantegna, ma il colorito è debole per questo maestro. Ritratto di un prelato. Fondo verde.

294): «Bildnis einer Frau mit weißem, rotbesäumtem Kopftuch und schwarzem Brustflor über dem weißen Miederkleide, im Profil abwärts blickend». 101 In riferimento ai cataloghi dell’A. P. e alla successiva nota venturiana (c. 834R), si può dedurre che lo studioso abbia qui distrattamente invertito il numero delle opere e dei titoli, al 1037 corrisponde invero “Il Battesimo”, al 1038 “La Resurrezione”.

88 1039 Madonna del roseto di una grande finezza. [Firma] FRANCIA . AVRI . FEX

. BONOÑ..S [Fig. 84] La Madonna in veste azzurra con orlature verdi ricamate d’oro. Di sotto al drappo rosso, sul cuscino ove appoggia il capo il Bambino alcune rame di gelsomino. Il verde del piano [de-va] di mano in mano con erbe verdi di un tono più chiaro e fiorellini rossi e

[c. 2V] bianchi o azzurrini. La siepe di rosa canina con uccellini (un cardellino anche).

Monti e case azzurre limitano la prateria all’orizzonte. Le nuvole sembrano dissiparsi intorno al capo della Vergine. Rossiccia la capigliatura della Vergine, assai biancastra tinta leggermente di rosa.

1093 Scuola romana. Sembra sulla forma biancastra nelle mani a piani, un

Bronzino giovane.

1040 Francia. Ha perduto alquanto per la subita pulitura di lucentezza nel colorito, che doveva essere delizioso quanto il rosso il verde e l’azzurro e la lumeggiatura d’oro avevano il loro valore. Il damasco su cui il Bambino poggia i piedi è a fiorami verdi su fondo giallo chiaro; un velluto rosso quello dello schienale su cui poggiano le mani i fanciulli

[c. 3R] l’uno di essi ha una ghirlandina di foglie d’alloro e di quercia intorno al capo fra i capelli fini d’argento, come niellati. L’altro un cordoncino intorno alla fronte [-] dolce tempie s’aggrappa a forma arco. A mezzo l’arco. Un gioiello azzurro o [la perla]. I capelli biondi. [Fig. 86]

89 1044 Madonna col Bambino che piega la testa nella mammella sinistra della

Vergine. Milanese um 1500. Per me è Bernardino de’ Conti.

1016[a] Lorenzo di Credi. Madonna col Bambino che prende fiori da una coppa presentatagli da un angelo. Non ha la precisione dei contorni del giovane Credi.

[c. 3V]

1080 \Garofalo Deposizione/ non è tra le cose migliori. | Appartiene al tempo in cui il maestro affollava le sue composizioni, e si faceva nerastro ne’ contorni.

1028 Neapolitanisch um 1480.

1027 A me sembrano del famigerato Cola dell’Amatrice. | Le influenze umbre sono manifeste, il taglio nerastro delle forme mal definite è pure di lui.

1016 Gli Arcangeli. Art del Piero di Cosimo. Assai rozzamente ispirato al

Verrocchio della Galleria d’arte antica e moderna di Firenze.

[c. 4R]

1096 Correggio, no. Rondani. Madonna in gloria, S. Jacopo e S. Girolamo. Nel piano e un donatore. | Duro, rossastro.

1095 Correggio? Quantunque la luminosità sia bella, i contorni sono sgangherati, le pieghe sono grosse, l’impasto pesante. È guasto, ma ad ogni modo sembra una cosa \\poco buona della scuola.//

1066 originale del solito Andrea del Sarto.

90 1115 Tiziano. No. Mi ricorda molto anche nel tono del colorito rosso il Bassano di Londra e il Bassano di [D-ia]. Grandioso ritratto. \\la mano è grossa con le dita ripiegate.//

1110 Tiziano. No. Mi pare una copia della Scuola di Guido. Parmi biancastro, intonaco che screpola per il molto gesso dell’imprimitura.

[c. 4V]

1116 Venere che riceve doni. Tiziano ? Composizione mutata della Vergine o delle Tre Grazie della Galleria Borghese, ma qui è freddo il colore, senza polpa, senza il vigore tizianesco. Copia del Padovanino.

1274 / 1275 Rotari, [*ricordare] la simiglianza di fattura colla nostra figuretta della

Galleria Corsini.

1119 Copia n. Domenico Capriolo. Come le due grandi figure, che ho ascritto a quest’autore nella Galleria Borghese.

1196 G. Palma giovane. I toni argentini del lenzuolo del Bambino e in generale una certa freschezza di tinta.

[c. 5R] destra. Carni dolci, sfumate, dietro alberi verdi. A destra una [disegno]; a sinistra dietro agli alberi una palude un pascolo un [****] chiusa da montagne azzurrine che spiccano sulla luce di tramonto del cielo.

1123. La solita Madonna dello Sassoferrato.

91 1081. Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e San Giorgio.

1029. Cristo benedicente attribuito al Boccaccino. No, Aleni, anche pel colore rossastro del volto.

1082. Madonna col Bambino del Garofalo biancastro, [*cereo], una del Garofalo primitivo.

1020. Scuola di Verona. Giudizio di Salomone. Giolfino.

1097. Testa attribuita al Correggio. | Copia.

1098. Testa attribuita a Raffaello. No, mal tagliata.

[c. 5V]

1032 Marco Basaiti. No, una porcheria.

1014 Florentinisch um 1440 | Madonna col Bambino e Angeli | Forse Lorenzo

Monaco.

986 Lippo Memmi. Madonna che sale alla gloria corona d’angeli in [*giro]. [Fig.

91]

1025 Ludovico Mazzolino Sacra Famiglia e Santi. No, cattivo di Garofalo.

1024 Ludovico Mazzolino. Sacra Famiglia con San Giuseppe che porge un piatto di ciliege.

[c. 6R]

1023. Ercole Roberti giovine?

92 1110. Tiziano. Femmina bionda | (copia guidesca)

1116. Donna a cui portano tributi (molto meglio quello del Louvre) bellissimo il

[*dipinto] della galleria Borghese. Copia.

NB Verzeichnis von Photographien nach Werken der Malerei Berlin, w. Auster &

Rinthardt.

93 5. Taccuino pittorico

Questo nucleo di carte inedite proviene dal “taccuino pittorico 1907/1910”. Le carte sono state vergate a penna su ambo i lati, con calligrafia minuta ed omogenea, ad eccezione delle cc. 831 e 832, relative alla parentesi trentina, dove il tratto si fa più morbido e disteso. Per quanto concerne la numerazione, si è mantenuta quella a matita rossa del Venturi, che nello specifico va dalla c. 828 alla c. 836. La catalogazione, in questo caso, non riguarda più le singole opere, come nel taccuino

1896/7, bensì serve a distinguere i diversi fogli, le cui dimensioni risultano notevoli rispetto alle altre, 15x20 cm. Si può presumere che tale rubricazione sia coeva alla redazione delle carte stesse, giacché si presenta in maniera precisa ed ordinata nella parte alta del foglio ed inoltre si riscontra anche in alcune carte rimaste bianche del taccuino. La presenza di tale notazione rivela l’intento programmatico da parte di Venturi di sistematizzare il proprio materiale di lavoro, sin dall’inizio della sua stesura.

[c. 828R]

Monaco. Alte Pinakothek

Vedutisti alla romana: n. 529 Jan Winants (†1679)102 / Jan Both (†1652)103 / N. C.

Berchem104 (1620-1683) / J. Franz Millet (1642-1679)105 / J. B. Huysmans106

(1654-1715)

102AA. VV. sub voce Wijnants, Jan, in Allgemeines Lexikon der Bildenden Kunstler, a c. di U. THIEME- F. BECKER, XXXVI, Lipsia, E. A. Seeman, 1942-7, p. 329. 103 Cfr. E. W. MOES, sub voce Both, Jan, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, IV, Lipsia, E. A. Seeman, 1910, pp. 410-411.

94 1068 Ercheinung Christi bei Maria| Filippino Lippi | È troppo grosso per

Filippino. Le vesti sono pesanti, grevi; l’espressione più incantata che spirituale.

Qui trattasi d’un imitatore. Cattiva la proporzione: teste piccole, corpi colossali.

1011 Domenico Ghirlandaio: Madonna in trono e Santi

1012 Domenico Ghirlandaio: S. Lorenzo

1013 Domenico Ghirlandaio: S. Caterina da Siena | Si sono date a Bastiano

Mainardi tante cose come queste \può si, quel violaceare delle carni è granaccesco/, almeno come il 1011.

La grandiosità degli altri due Santi (1012-1013) farebbe pensare ad altro che non sia il Mainardi. Ma inganna sin qui dove cominci il Ghirlandaio o finisca il

Mainardi e gli altri Ghirlandai[o] non è chiaro.

1011 Granacci, 1012 e 1013 Mainardi. \\che si faccia per il 1011 il nome di

Granacci si può capire appena. Negli angeli volanti e nel santo a destra con un ginocchio a terra si può capire.//

La Pietà, tragica, scontorta; ma qui è lui, trasandato ne’ particolari, ma è lui, in tempo tardo. Spuliti i colori.

1027, 1028 Due Santi di Cola dell’Amatrice.

104 Cfr. E. W. MOES, sub voce Berchem, Claes oder Nicolaes, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, III, Lipsia, E. A. Seeman, 1909, pp. 370-372. 105 Cfr. AA. VV., sub voce Millet, Jean François I, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XIV, Lipsia, E. A. Seeman, 1930, p. 567. 106 Cfr. AA. VV., sub voce Huysmans, Jan Baptist, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XVIII, Lipsia, E. A. Seeman, 1925, p. 205.

95 1005 Annunciazione. Proporzioni non proprie di lui, lunghe. Potrebbe essere un buon Pier Francesco fiorentino.

Uncino nel taglio della testa della Madonna.

1009 Filippino Lippi, La Deposizione | C’è del ghirlandaiesco goffo nei gesti |

Scuola del G. [ ]

[sul lato sinistro] \\1010 Maddalena dal volto rosso per pianto, la Vergine soffocata dal dolore, S. Giovanni con le sopracciglia tutte rotte, coi lineamenti contratti; l’altra Maddalena che bacia il volto del Cristo perde l’animo; la figura

[dietro] col manto verde sulle labbra.…//

[sul lato destro] \\Molto guasto | I cherubini hanno le ali stese come di rondini volanti. | Eppure ci son cose che sembran disegnate dal maestro stesso. In alto il

Padre Eterno a ½ figura.//

[c. 829V]

1039 Francia. La Madonna del Roseto. Bellissima la tunica azzurrina della Vergine con le larghe orlature verdi e ricami a intrecciature d’oro.

La firma [firma] [FRANCI AVRI FEX . BOÑO . ] è autentica. [Fig. 93] | La siepe di rosa canina con uccelletti che vi pispigliano dentro è mirabile. Capelli biondi della Vergine che s’irradiano in ciocche serpentine. Lunga la linea di paese. I gelsomini adornano il cuscino del Bambino. Il prato verde è sparso di fiorellini.

1034 L’apparizione della Vergine a San Bernardo. Perugino. È del tempo abbronzato-roseo un capolavoro. Alla Vergine pietosa, Bernardo guarda gentile,

96 accarezzante, come vagheggiante una forma bella e gentile. Ella china dolce lo sguardo, timidamente. Seguon lei due angioli vaghissimi; assistono Bernardo due santi, il più giovane guarda al più vecchio pensieroso; e sembra dire: vedemmo mai la forma più nobile in terra? Cielo limpido, luminoso, senza una nube. \\Bello il paese luminoso con le montagne ancora avvolte un po’ nell’azzurrino. 1488 circa?//

Immaginata la scena entro un loggiato: una navata [*aperta] d’un tempio aperto nella [***]?

1035 Tre Santi del Perugino cioè Madonna e due Santi ritti, adoranti il Bambino stesa a terra. Ultimo tempo, largo, vuoto, grandioso, ma commovente e vuoto.

1026 [a] Tondo del Signorelli ordinario, nel paese, nel modellato più fumeggiato (!) ma cadaverico\\Luci gialle nelle braccia materiale il paesaggio//

1026 Palmezzano del tempo tardo, eppure secondo \il/ Berenson del 1513!

[c. 830R]

\1026. Non c’è nel cartellino il 1513. Donde fu cavato? È nello spadone di San

Paolo./ Rocco Marconi. | Tre Santi (firma falsa che ricorda Sebastiano del

Piombo). | Bolognese? C’è molto di venezianeggiante. | Bagnacavallo venezianeggia?

1017. Madonna col Bambino, angiolo che presenta San Giovannino. San

Giuseppe dormiente. \Tondo./ Pseudo Credi con una barba gialliccia da

97 Sassoferrato. Potrebbe essere [-quel] l’autore del pseudo Credi alla Borghese? Il

San Giuseppe qui richiama un po’ il San Giuseppe là.

1076 Beccafumi. E mi sbagliai a darlo a Bacchiacca!

1663 / 1664 /1661 / 1662 Santi del Granacci

1022a. Liberale e Pietà. In quelle pieghe tormentate c’è qualcosa di alemanno?

Piovon goccioloni dagli occhi degli assistenti di Cristo. \\Fattura aggraziata delle vesti, de’ [lineamenti], delle carni.//

983 Cena (Ultima) \veri Giotto/ [Crocifissione], ai piedi della croce un prelato con stola geminata e vesta verde, accompagnato dalla madre ginocchioni.

982. Andata al limbo. Aiuto di Giotto.

991. Miracolo dei Santi Cosma e Damiano coi fratelli. Vero Beato Angelico. (I sassi e la fune contro i manigoldi). Periodo avanzato. Carni color mattone chiaro.

Monti grigi nel fondo, con torri nella vetta. \\** 992 La deposizione//

990 Altro miracolo dei Santi Cosma e Damiano. Gli angioli escono dal capo d’un uomo in trono. | Beato Angelico con un aiuto? Certo in un periodo del maggiore sviluppo. \\989 Cosma e Damiano coi fratelli angeklagt//

1023 Ferrarese? | Squarcionesco, mantegnesco, miniatore, veronese?

1001 L’Adorazione de’ Magi | (ha una brutta aria falsa, parte imitata dall’Angelico, parte dei maestri più arcaici). \\E lo Schmarsow l’attribuì a Masolino107.//

107 A. SCHMARSOW, Masaccio Studien, III, Cassel, Fisher, 1895, p. 76.

98 [c. 831V]

Bolzano La cappella di S. Vigilio (prossima a Bolzano) [sopra il Calvario] | S.

Giovanni indorf [affreschi sulla volta e nelle pareti] Bolzano città \\foto

Makart//

S. Martino in Campill (½ ora distante alla riva sinistra dell’Eifach, passato il ponte

Bolzano].

Trento coro del Duomo [foto Alinari] | scaletta del Castello | S. Apollinare [atrio] affreschi allegorici [passato il ponte conduce dalla porta d’occidente.

Bolzano (presso) Sciff (S. Valentino). Affreschi sulla facciata

Cfr. fotografie Makart a Vienna

Vinschgau (occidente di Merano): San Leonardo Latsch \\cfr. Makart//

Terlan (tra Bolzano e Meran): affreschi di due mani sulla parete della nave destra della chiesa

[c. 832 R]

1^ affreschi di un pittore Hans Stockinger (1401ca). Miscuglio di influenze italiane e tedesche. Chiesa parrocchiale (Marsch fotografo a Bressanone)

2^ affreschi d’altre mani nel coro della chiesa parrocchiale (cfr fotografie Marsch).

Gries \\vicino a Bolzano// Portale antico del Convento: un Castello con figure allegoriche di Santi. Cfr Makart. Il prof Semper ebbe in idea che potessero

99 attribuirsi a Stefano da Zevio di Bressanone. } Chiostro del Duomo | Osteria della Stube

[c. 833V]

Collezione Lotzbeck.

96 San Pietro in trono. Lorenzo Monaco. [P]rimitivo.

989-991 Angelico. Leggende di Santi.

1019 Masolino, Madonna e Angioli.

1005 Fra Filippo Lippi, Annunciazione.

1006 Madonna di Filippo Lippi.

1009 Pietà di Raffaellino del Garbo.

1002 / 1004 /1007 Jacopo del Sellaio: San Sebastiano / Adorazione de’ Magi /

Annunciazione (primitivo).

1014 Madonna e Donatore di Bastiano Mainardi.

1015 Due Santi.

1012 San Lorenzo / 1013 Santa Caterina dopo il 1494, dello stesso.

1061-1064 Francesco Granacci. Santi. Tardo.

1011 Madonna in gloria e 4 Santi dello stesso. Dopo il 1494.

1065 Santa Famiglia dello stesso.

100 Luca Signorelli. Madonna in un paese.

104A. Lorenzo di Credi. Madonna (?) fatta nello studio del Verrocchio.

1045. Scuola milanese di Leonardo: Santa Caterina (fra Boltraffio e Melzi).

6. Matteo di Giovanni. Ritratto di Braccio Fortebracci.

1026. Palmezzano. Madonna e Santi, 1513.

1034. Perugino. Visione di San Bernardo.

1035. Perugino. Madonna e due Santi, 1515

Mantegna disegno nel [*Printo] Romano Muzio Scevola.

1031 Marco Basaiti: Madonna, Santi e Donatore.

1033. Cima. Madonna, Maddalena e Girolamo. Primitivo.

1022 A. Liberale. Pietà.

1074. Testa di San Michele, di Timoteo Vite.

1078. Amico Aspertini, Busto di giovane.

\\Granacci, Madonna col Bambino e San Giuseppe. Tutto rifatto, o anche modernissimi, sì, sì modernissimo 1820 circa. Preraffaellita tedesco? E il Morelli esaltava l’opera.//

[c. 834R]

101 Raffaello. Madonna di Casa Canigiani, dal gruppo triangolare. La Vergine felice dell’affetto de’ fanciulli, del loro entusiasmo reciproco, divoto in San Giovannino.

1086. Bissolo Sacra Conversazione. | No, è certo Diana.

1050. Madonna col Bambino di Raffaello (Madonna Tempi). Una vera versione.

Ma Michelangelo ispira qui Raffaello.

1058/1059 Girolamo del Pacchia. Madonna e angioli. San Bernardino e angioli.

1037. Battesimo di Cristo attribuito a Raffaello / 1038. Resurrezione attribuita a

Raffaello. \\Materiale [cosa] di uno scolaruccio di Fiorenzo di Lorenzo, che ha

[subìto] sempre più il Perugino.//

1040 Meraviglioso Francia. | Madonna col Bambino e angioli un po’ spulito, ma rende tutto, smaltato, [*intorno] al primo tempo del maestro.

1078 Umbro-bolognesisch um 1510. Ritratto visto fra due colonne d’agata. |

[B]olognese. Non è Aspertini, ma un suo simile. Ricordava quello d’Hampton

Court.

1040[a]. Madonna col Bambino di Leonardo (discepolo, imitatore di Leonardo).

1029a. Copia della Madonna d’Antonello.

1016[a]. Scolaro di Lorenzo di Credi. Madonna col Bambino e un angiolo.

[c. 835V]

1073. Sodoma. Madonna col Bambino e San Giuseppe.

102 1087 Sebastiano. Ritratto. Non è Sebastiano, ma di un pittore [*attorno].

1051 Madonna col Bambino e San Giovannino di Raffaello. | Migliore di quella di

Torino.

1036. Madonna col Bambino opera di un peruginesco. | Meloni?

1031/1032 Due orrendi Basaiti, specialmente la Deposizione (1032). La Sacra

Conversazione (1031) ha molto patito per lo [*sfregamento]. Il San Sebastiano dalle ombre trasparenti è piacevole, ideale.

1022. Scuola del Mantegna. I trionfi. | 6 quadri di un maestro vicinissimo al

Parenzano.

1033. Madonna col Bambino e due Santi. Molto fine. Carni [*giallette]. Bella la

\[*porosetta]/ Santa Maddalena, dai bei riccioli gialli. Il Bambino scopre il coperchio, solleva il coperchio del vasetto. Mirabile il San Girolamo, un vecchio contadino lenone dagli occhi lenti. I capelli sono fini, come infuriati.

1019 Madonna col Bambino, quattro angioletti, Padre Eterno. \\Masolino//

Carni d’un color caldo nelle ombre. Tutta avvolta la Vergine nel manto azzurro, con la tunica dorata.

1015 Due Santi attribuiti al Mainardi /1014 Madonna col Bambino e un adoratore

\\Alunni di Domenico.//

1066 Filippo Lippi. Madonna col Bambino.

1001. L’Adorazione dei Magi (quadro falso).

103 996. Florentinisch (1400/1450). Bildniss del Francesco Braccio. Opera del 500 e di un [tedesco].

997. Falso, denominato come l’altro di sopra. Ritratto.

[c. 836R]

999. Florentinisch (1400/1450). Oggi è tutto ridipinto; e par proprio falso, o è tutto falso.

993. Fra Angelico. Gabriele (ridipinto, moderno)

994. Fra Angelico. Annunciata (qui pare un [*resticciuolo] dell’antico)

1007 Annunciazione della scuola di Filippo. Può essere Pier Francesco fiorentino.

528 Breenberg (1599-1659)108 [*Ruins] der Basilica der Costantin. | Vedutista romano.

589 Jan Asselyn (1610-1652)

1000 San Girolamo. Scuola di Filippo Lippi.

1029 Cristo benedicente scuola del Boccaccino | (non è tanto basso per il maestro).

1029b. Cristo morto, con due puttini che \\ stendon // tendono un lenzuolo sul

Cristo. Antonello de Saliba. Antonellus messaneus [*me fecit].109

1030 Gentile Bellini, Ritratto di un maestro posteriore al [Bellini].

108 Cfr. E. W. MOES, sub voce Breenbergh, Batholomeus, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, IV, Lipsia, E. A. Seeman, 1910, pp. 565-566. 109 In realtà, il cartiglio, seppur difficilmente leggibile, riporta «Antonellus messa[*ne**] pinsi[*t]».

104 1107. Palma. Ritratto.

1415. J. H. Roos vedutista romano.110

1235 Caravaggio | non de’ migliori.

110 AA. VV., sub voce Roos, Joh. Heinrich, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XXVIII, Lipsia, E. A. Seeman, 1934, p. 579.

105 Capitolo secondo

Dai taccuini alla Storia dell’arte italiana

1. Le schede di catalogo

L’intento di queste schede di catalogo è di far luce su quale materiale sia presente nelle carte venturiane e quanto di esso trovi spazio nelle opere a stampa.

Si è cercato quindi di identificare l’autore e l’opera a cui Venturi fa riferimento, se non espressamente riportati; contemporaneamente, si sono verificate quante e quali annotazioni, più o meno esplicitamente, siano state riversate nei testi pubblicati.

Per quanto concerne la fase identificativa, il lavoro è stato svolto mediante la consultazione ed il confronto dei cataloghi della Alte Pinakothek, dal 1872 al

2007; delle monografie e degli studi più recenti sugli artisti menzionati. Questa ricerca permette di valutare il peso effettivo che i giudizi e le impressioni annotate in loco hanno avuto sui testi conosciuti del Venturi.

Detto questo, l’identificazione di alcune opere si è rivelata alquanto ardua per diversi fattori. Innanzitutto la riorganizzazione espositiva delle sale della Alte

Pinakothek, il cambio di numerazione dell’inventario, l’eliminazione di alcune opere dal catalogo (n. 1001, n. 1004, n. 1021, nn. 1022b,c,d,e,f,g, n. 1025, n. 1029b, n.

1044, n. 1047, n. 1065, n. 1075, n. 1080, n. 1088, n. 1089, n. 1093, n. 1097, n. 1098, n. 1007, n. 1099, n. 1119, n. 1156) sono stati i problemi principali. Alcuni dipinti, inoltre, verso la fine degli anni Trenta, sono stati ceduti in cambio di opere tedesche, fra questi ricordiamo «la sciocca vendita di un capolavoro come il

“Bindo Altoviti” di Raffaello»111 in cambio di un presunto Matthias Grünewald, oggi peraltro ascritto dubitativamente ad un anonimo maestro franco, e la

Madonna con Bambino della bottega di Lorenzo di Credi (inv. 70.PB.28), attualmente al P. Getty Museum di Los Angeles.

Vi sono poi opere il cui stato di conservazione non ne permette l’esposizione, fra queste il Ritratto di giovane donna di Lelio Orsi (inv. 943), e quindi conservate nei depositi. Altre delle quali non si conosce attualmente la collocazione, dal momento che nei cataloghi non se n’è più fatta menzione e l’attribuzione nel corso degli anni è cambiata.

Inoltre si tenga presente che vi sono opere la cui vicenda attributiva si è rivelata piuttosto travagliata nel tempo, come risulterà chiaro dalla lettura delle schede stesse.

Bisogna considerare, da ultimo, che alcuni dipinti, dopo il riordino della galleria nel 1957, sono stati ricollocati in altre sedi. Un caso emblematico è quello delle due tele di Pietro Antonio Rotari (inv. 1, inv. 2), provenienti dalla Kurfüstlichen

Galerie, conservate dal 1822 al 1836 e dal 1911 al 1925 a Schleißheim, esposte alla

Alte Pinakothek tra il 1836 ed il 1911 e quindi dal 1925 al 1958; dal 1974 riconfluite nella collezione a Schleißheim e attualmente conservate nei depositi della Alte Pinakothek.

111 ZERI 1957, p. 65.

107 Al di là di questi problemi, è interessante notare come Venturi si dimostri uno studioso dagli interessi vasti e molteplici, «la pittura e la scultura costituiscono il principale oggetto di studio. Entrambe le arti sono intese nell’estesa accezione che sarà propria della Storia dell’arte»,112 ma il suo sguardo spazia oltre confini della pittura; nelle carte monacensi, difatti, commenta anche opere di grafica, disegni, avori e codici miniati. Il Taccuino 1896/7 esemplifica appieno il carattere e gli interessi del conoscitore; in esso si trovano annotazioni in merito alle visite effettuate al Bayerisches Nationalmuseum, ad Augsburg e alla Graphische

Sammlung, oltre alle più frequenti e consuete ispezioni nelle sale della Alte

Pinakothek. Anche in questo caso, benché la sua attenzione si rivolga principalmente alla sezione italiana, si registrano svariate impressioni relative ad artisti fiamminghi e vedutisti alla romana.

Nelle schede di catalogo qui proposte, si è preferito prendere in considerazione le sole opere di pittura italiana attualmente conservate presso la Alte Pinakothek, dal momento che si tratta del nucleo più consistente fra quelle prese in esame da

Venturi e che meglio ne rappresenta il metodo di lavoro. Il Nostro si sofferma minuziosamente su artisti italiani Quattro e Cinquecenteschi quali Beato Angelico,

Francesco Francia, Ludovico Mazzolino, Domenico Ghirlandaio, Domenico

Beccafumi, Sodoma, Perugino e Raffaello. Talvolta riporta pedissequamente il catalogo, talaltra si slancia in finissime descrizioni venate di lirismo, abbozza disegni, o, particolari del quadro; ne evidenzia lo stato conservativo e, spesso, lamenta l’intervento di cattivi restauri; propone attribuzioni, o, accenna a confronti. Molti dei commenti annotati in loco sono stati ripresi nei testi a stampa,

112 PELLEGRINI 2011a, p. 18.

108 tanto nella Storia quanto negli articoli pubblicati su «L’Arte», a volte riportandoli fedelmente, a volte apportando leggere modifiche. Anche la critica successiva ha fatto sovente ricorso alle numerose interpretazioni venturiane, avvalendosi dei suoi acuti commenti o confronti.

Dai taccuini emergono inoltre informazioni tecniche, appunti da perfezionare, consigli, riferimenti a notizie bibliografiche, giudizi di conoscitori, nello specifico ricorrono i nomi di Adolf Bayersdorfer, Franz von Reber, August Schmarsow,

Bernard Berenson e Giovanni Morelli.

In larga parte, i commenti riportati nelle carte monacensi dimostrano quanto

Venturi si mantenga nel solco della tradizione lanziana e morelliana. In particolare i riferimenti a Morelli sono ben riconoscibili nel ricorso frequente alla comparazione e al dettaglio; numerosi i passi ripresi dalle opere del bergamasco, altrettanti i commenti o i disegni di particolari abbozzati nelle carte. Per quanto velatamente nascosta dal Nostro, questa filiazione risulta più che mai evidente dal lavoro svolto nelle schede. Rispetto alla letteratura critica a lui contemporanea,

Venturi mantiene una certa autonomia di giudizio, sebbene non ne trascuri gli orientamenti.

Talvolta il giudizio vergato su taccuino si discosta da quello delle opere a stampa, dimostrando invero come la revisione e la correzione siano effettivamente la traduzione del motto “vedere e rivedere”, per cui «senza posa lo storico ritorna su cose e su artisti».113 Come chiariva a suo tempo Pietro Toesca gli studi venturiani

«sono sempre soggetti a essere in qualche modo completati meglio, anche

113 TOESCA 1941, p. 312.

109 rettificati: e da questo lavoro, spesso ingrato, il Venturi non rifuggì verso se stesso tanto gli importava di giungere più presso alla verità […] eppure le stesse opinioni poi da lui rifiutate […] restano per noi degne di essere considerate e rispettate: contengono sempre una parte di vero: sono la traccia memorabile del cammino ch’Egli percorse infaticabilmente nella conoscenza dell’arte».114

114 TOESCA 1942, pp. 13-14.

110 ANTONELLO DA MESSINA

Annunciata

Tavola di noce, 42.5 x 32.8 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 8054

Provenienza: casa privata di Padova, acquistata nel 1897 presso un antiquario di Monaco

1473/4

Se le polemiche sorte nel primo Ottocento riguardo la provenienza ad oggi non sono state ancora risolte, 115 l’attribuzione ad Antonello, invece, avanzata in primis da Frizzoni (1900), è stata accolta senza riserve. Venturi annota come i segni di drastiche puliture e restauri abbiano guastato la qualità dell’opera: «Tutto snervato, indebolito, di stucco, causa il restauro: i bianchi rimasti vivi!». 116 Per questo motivo, forse, nel Taccuino pittorico scrive: «Copia della Madonna d’Antonello»,117 mentre nel giudizio maggiormente ponderato della Storia ribadisce il parere di

Frizzoni, pur sottolineando che l’opera «rimane inferiore all’ancona di Palazzolo

Acreide»,118 e che non è certo la «cosa più perfetta, tanto sotto l’aspetto della forma, quanto per quello della espressione».119

Lucco (2006), invece, afferma che «sebbene tra le due tavole di Palermo e

Monaco corra un brevissimo lasso di tempo, mi pare che quest’ultima costituisca

115 PUCCINI 1809, pp.15-16. 116 A. VENTURI, Taccuino 1904, Pisa, Biblioteca Scuola Superiore, c. 39, n. 1029a, 1904. 117 A. VENTURI, Taccuino pittorico, Pisa, Biblioteca Scuola Superiore, c. 834R, n. 1029a, ante 1910. 118 VENTURI 1915, p. 39. 119 FRIZZONI 1900, p. 78.

111 un passo ulteriore, rispetto alla prima, sulla strada di una vivezza espressiva di cui l’ultimo tempo di Antonello offre esempi sublimi».120

Bibliografia:

M. BOSCHINI, Carta del Navegar Pitoresco, Venezia, 1660, p. 320. - T. PUCCINI,

Memorie istorico-critiche di Antonello degli Antonj, Firenze, Carli, 1809, p. 15. - G.

FRIZZONI, Nuovi acquisti della Reale Pinacoteca di Monaco in Baviera, «L’Arte», III,

1900, pp. 72- 85. - L. VENTURI, Origini della pittura veneziana: 1300-1500, Venezia,

Ist. Veneto di Arti Grafiche, 1907, pp. 232-233. - A. VENTURI, Antonello da

Messina, Giambellino, Sandro Botticelli, Raffaello, Celebrazioni e tributi, Zanichelli,

Bologna, 1925. - T. BORENIUS, La mostra dei dipinti veneziani primitivi al ‘Burlington

Fine Arts Club’, «Rassegna d’arte», XIV, 1912, p. 128. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 4 Milano, Hoepli, 1915, pp. 39-40. - J. LAUTS, Antonello da Messina,

Vienna, Schroll, 1940, p. 19. - S. BOTTARI, Antonello da Messina, Milano-Messina,

G. Principato, 1953, pp. 24, 93, 100. - B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento,

(La scuola veneta,) Londra, Phaidon, 1958, p. 7. - A. MARABOTTINI - F. SRICCHIA

SANTORO (a c. di), Antonello da Messina, Atti del convegno (Messina, 29 novembre

- 2 dicembre 1981), Roma, De Luca ed., 1981, pp. 148. - H. BELTING, Bild und

Kult. Eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, Monaco, C. H. Beck, 1990, pp. 385-390. - J. WINSTON, Describing the Virgin, «Art History», XXV, 2002, pp.

275-292. – M. LUCCO, Antonello da Messina, l’opera completa, Cinisello Balsamo,

Silvana Editoriale, 2006, p. 254.

120 LUCCO 2006, p. 254.

112 ANTONELLO DE SALIBA

Compianto sul Cristo morto

Tavola di noce, 52 x 67 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 8287

Provenienza: acquistata nel 1904 presso il prof. Holberg, esposta fino al 1909

L’opera entrò a far parte della collezione della Alte Pinakothek solo intorno al

1908. A questa data risale anche l’unico riferimento presente nei cataloghi, riportato fedelmente da Venturi nel Taccuino pittorico: «Cristo morto, con due puttini che stendon tendono [sic] un lenzuolo sul Cristo. Antonello de Saliba.

Antonellus messaneus [*me fecit]».121

L’attribuzione ad Antonello de Saliba non fu mai messa in discussione, piuttosto piana anche la datazione. In particolare, Brunelli (1907) riporta:

«Antonellus messanesis und das zweite Antonellus mesaneus, wurden demnach für die Arbeiten des alteren Antonello gehalten».122 Bottari (1954) riconduce l’opera al «momento veneziano […] per la rarità del soggetto».123

Bibliografia:

G. LUDWIG, Antonello da Messina und deutsche und niederländische Künstler in Venedig,

«Jahrbuch der preussich Kunstsammlung», XXIII, 1902, p. 60. – E. BRUNELLI, sub

121 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 1029b, ante 1910. 122 BRUNELLI 1907, p. 573. 123 BOTTARI 1954, p. 64.

113 voce da Messina Antonello, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, a c. di U. THIEME – F. BECKER, I, Lipsia, Seemann, 1907, p. 573.

– B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 427. – G.

VIGNI - G. CARANDENTE – G. FIOCCO (a c. di), Antonello da Messina e la Pittura del

400 in Sicilia, Catalogo mostra (Messina, 30 marzo – 25 giugno 1953), Venezia,

Alfieri, 1953, p. 86, n. 85. – S. BOTTARI, La pittura del Quattrocento in Sicilia,

Messina, G. D’Anna, 1954, pp. 64, 88. – H. VON EINEM, Holbeins “Christus in

Grabe”, «Jahresbericht der Öffentlichen Kunstsammlungen Basel, Kunstmuseum,

Museum für Gegenwartkunst», Basilea, 1961, p. 61.

114 ANTONIO DEL CERAIOLO

DETTO ANDREA DEL SARTO

La Sacra Famiglia

Tavola di pioppo, 137 x 104 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 501

Provenienza: regalato da Cosimo III, Granduca di Toscana, al futuro genero Johann Wilhelm von Pfalz-Neuburg (1697), dal 1719 documentato alla Düsseldorfer Galerie, quindi presso la Münchner Hofgartengalerie (1806-1836)

1514 circa

Forster (1790) l’aveva descritto come dipinto di Andrea del Sarto ed anche i cataloghi della Alte Pinakothek fino al 1913 l’avevano riportato sotto tale voce, tuttavia dal 1920 venne dubitativamente ritenuto copia della bottega dall’originale

Madonna col Bambino, Sant’Elisabetta, San Giovannino e due angeli, ora al Louvre (inv.

1515).

Reumont (1835), Enghert (1884) e Jacobsen (1897a) si pronunciarono favorevolmente per una paternità sartesca; Crowe e Cavalcaselle (1866), invece, ritennero che le teste fossero copia dal dipinto del Louvre. Dello stesso avviso anche Knapp (1907, 1928) e Freedberg (1963). L’indecisione nell’attribuire il quadro potrebbe ancora una volta derivare dal suo cattivo stato di conservazione, deplorato tanto da Jacobsen (1897c), quanto da Venturi: «Povero Andrea!

115 Divenuto un vetro colorato!»,124 «La Sacra Famiglia d’Andrea del Sarto è divenuta un vetro colorato».125

Shearman (1965) ha attribuito l’opera interamente ad Andrea del Sarto e, dopo averlo confrontato con la rappresentazione della Carità nel chiostro dello Scalzo a

Firenze, ha proposto una datazione attorno al 1514. Il critico stabilisce inoltre un’identificazione con il quadro realizzato per Giovanni Battista del Puccini, alla luce di quanto descritto da Vasari (1550).

Per una datazione intorno agli anni 1514/15 propende anche Monti (1965), il quale afferma che l’opera monacense sia «un’evidente variazione della Madonna n.

1515 del Louvre. Tale stretta simiglianza iconografica ha quasi completamente assorbito l’interesse degli studiosi», tuttavia, «il problema è senza dubbio estremamente complesso soprattutto per l’evidente episodicità, nella definitiva stesura pittorica, della mano del maestro. D’altra parte le due variazioni fondamentali nei rispetti del quadro del Louvre (la soppressione della testa del secondo angiolo, la diversa positura del primo e il diverso taglio a destra nel gruppo Santa Elisabetta San Giovannino) indicano in quest’opera uno stato di elaborazione strutturale, risolto nella rispondenza delle verticali, senza dubbio precedente alla soluzione della tavola di Parigi».126 Il critico individua, a sua volta, il parallelo con la notizia vasariana di “Nostra Donna”, dipinto realizzato da

Andrea dal Puccini per il monarca di Francia. In proposito Monti afferma che

«“Nostra Donna”, eseguita qualche mese dopo e questa volta inviata a Francesco

124 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 48, n. 1066, 1904. 125 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 55, n. 1066, 1904. 126 MONTI 1965, p. 52.

116 I, [..] risulta avere una iconografia quasi identica alla tavola in questione. Il Puccini verisimilmente avrebbe dunque ordinato ad Andrea di eseguire per inviare al Re una replica dell’opera che tanto gli era piaciuta».127

I cataloghi della Pinacoteca (1957, 1975, 2007) attribuiscono l’opera ad Andrea del Sarto, senza dubbio alcuno. Contrariamente, Béguin (1989) e Natali (1998) si sono espressi cautamente circa la paternità sartesca, in particolare Béguin si è dimostrata piuttosto scettica, ritenendo che il quadro sia opera della bottega del

Sarto, impegnata a replicare una composizione fortunata.

Bibliografia:

G. FORSTER, Ansichten von Niederrhein; van Brabant, Flandern, Holland, England und

Frankreich im April, Mai, Junius 1790, a c. di G. STEINER, Berlino, Voss, 1958, pp.

73-74. – A. VON REUMONT, Andrea del Sarto: mit einem Grundriss der Vorhofs der

Servitenkirche in Florenz, Lipsia, Brockhaus, 1835, p. 81 e ss. - J. A. CROWE - G. B.

CAVALCASELLE, A new History of painting in Italy from the Second to Sixteenth Century,

III, Londra, 1866, p. 580. – E. VON ENGERT, Kunsthistorisches Sammlungen der

Allerhö. Kaiserhauses, I, Vienna, 1884, n. 409. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien

über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 137. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren

Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 434.

– E. JACOBSEN, Appendice al mio studio sulle Gallerie Brignole – Sale Deferrari a Genova,

127 MONTI 1965, p. 148.

117 «Archivio Storico dell’Arte», III, 1897, p. 163. – F. KNAPP, Andrea del Sarto,

Bielefeld, Velhagen&Klasing, 1907, p. 60, 132. – S. J. FREEDBERG, Andrea del

Sarto, Cambridge, Belknap Press of Havard University Press, 1963, pp. 60-62. - J.

SHEARMAN, Andrea del Sarto, Oxford, Clarendon Press, 1965, n. 36, pp. 22-225. –

R. MONTI, Andrea del Sarto, Milano, Ed. di Comunità, 1965, pp. 52, 148. – S.

BÉGUIN, Á propos des Andrea del Sarto au Musée du Louvre, «Paragone», 477, 1989, p.

14. - A. NATALI, Andrea del Sarto, Milano, Electa, 1998, p. 97. – S. TIPTON, La passion mia per la pittura. Die Sammlungen des Kurfursten Johann Wilhelm von der Pfalz

(1658-1716) in Düsseldorf im Spiegel seiner Korrispondenz, «Münchner Jahrsbuch der bildeden Kunst», 57, 2006.

118 MARCO BASAITI

La Deposizione

Tavola di castagno, 67 x 103.8 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 48

Provenienza: acquistata dal Re Ludovico I a Venezia presso gli eredi Craglietto (1839)

1505/6 circa

L’opera, sin dall’Ottocento, è stata concordemente attribuita al Basaiti (Mündler,

1895; Crowe e Cavalcaselle, 1886; Lermolieff, 1886; L. Venturi, 1907).

In particolare, il Nostro scrive: «Marco Basaiti: Deposizione dalla croce

(Basaiti: brutte unghie rotonde)».128 Da quest’annotazione risulta palese come

Venturi abbia fatto propria la lezione morelliana; difatti, nel 1886

Morelli/Lermolieff, proprio in merito alla Deposizione dalla croce, aveva così:

«[additato] una bagatella ai giovani studiosi d’arte, cioè le brutte unghie rotonde, le quali sono particolari al Basaiti nei suoi lavori giovanili».129

Concordi nell’ascrivere la tavola al periodo giovanile del Basaiti: Reber (1888),

Lermolieff (1886), Crowe e Cavalcaselle (1886), Van Marle (1935); il Nostro, nello specifico, motiva la sua posizione, sia nel volume sulla Galleria Crespi (1900) sia nella Storia, affermando che: «ogni cosa dei primordi del Basaiti è una sgarbatezza perfino villana, brutale per i violenti contrasti di luci fantastiche e di chiaroscuro

128 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62V, n. 1032, 1896/7. 129 LERMOLIEFF 1886, p. 18.

119 nelle vecchie prefiche della Deposizione».130 Nei taccuini, infatti, vi aveva ravvisato

«una caricatura del Basaiti!», «una porcheria».131

Nella Storia, infine, l’opera viene definita «una forzata traduzione di realismo fiammingo», nel tentativo «di pacificar le linee contorte o spezzate, di quietar i contrasti di luce e d’ombre, di spremere un po’ di grazia dai corpi tormentati».132

È nel carattere fortemente negativo di questo giudizio che, ancora una volta, si avverte l’eco del Lermolieff (1886).

Bibliografia:

J. A. CROWE - G.B. CAVALCASELLE, , Storia della pittura in Italia dal secolo II. al secolo

XVI., V, Firenze, Le Monnier, 1886, p. 280. - A. BAYERSDORFER - F. VON REBER

(a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco, Bruckmann, 1888, p. 204. - I.

LERMOLIEFF, Le opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaaco, Dresda e Berlino,

Bologna, Zanichelli, 1886, p. 17. - O. MÜNDLER, Rezensionene des Katalogs der alten

Pinakothek von Marggraf, «Rezensionen und Mitteilungen uber bildende Kunst», IV,

1895. - G. FRIZZONI, Nuovi acquisti della Reale Pinacoteca di Monaco, «L'Arte», III,

1900, pp. 78-80. – A. VENTURI, La Galleria Crespi in Milano, Milano, Hoepli, 1900, p. 124. - L. VENTURI, Le origini della pittura veneziana: 1300-1500, Venezia, Ist.

Veneto di Arti Grafiche, 1907, p. 252. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 4,

Milano, Hoepli, 1915, p. 614. - R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools

130 VENTURI 1915, p. 614. 131 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56R, n. 1473 1032, n. 1473, 1896/7. ID., Carte sciolte, Pisa, Biblioteca Scuola Superiore, c. 5V, n. 1032. 132 VENTURI 1915, pp. 614-615.

120 of Painting, XVII, L’Aia, Nijhoff, 1935, pp. 488, 501, 503. - F. HEINEMANN,

Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 295.

121 MARCO BASAITI

Madonna col Bambino tra i Santi Sebastiano e Gerolamo con un donatore

Tavola di pioppo, 67 x 105 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 31

Provenienza: Schleißheim (1781), attualmente nei depositi della Alte Pinakothek

1530 circa

L’opera, originariamente attribuita alla scuola di Giovanni Bellini, venne riportata alla paternità del Basaiti nel catalogo della Pinacoteca del 1884, paternità accolta con favore anche da parte di Crowe-Cavalcaselle (1873) e Lermolieff (1891).

Ascritta fra i lavori giovanili del maestro veneziano, venne giudicata da Reber

(1911) «wohl vor 1510 entstanden und etwas gleichzeitig mit dem Bilde der Sml.

Crespi in Mailand».133

Pur confermando l’ipotesi, Lermolieff (1891) aveva affermato nei suoi

Kunstkritische Studien: «darf es aber doch nur als in sehr verdorbenes und

übermaltes Bild des Meisters betrachtet werden».134

Il cattivo stato di conservazione aveva disorientato anche Venturi, il quale nei taccuini annotò: «Non è piuttosto di quel suo garzonaccio che ha incominciato con quella orribile Deposizione di questa galleria?»,135 «la figura del committente ha perduto il colore della faccia; è diventata una mascheretta contornata di

133 KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1911 p. 8. 134 LERMOLIEFF 1891, p. 18. 135 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62R, n. 1512 1031, 1896/7.

122 scuro»;136ed infine: «Orrend[o] Basaiti, [...] La Sacra Conversazione (1031) ha molto patito per lo [*sfregamento]. Il San Sebastiano dalle ombre trasparenti è piacevole, ideale».137

Tanto nella Galleria Crespi, quanto nella Storia il Nostro (1915) ascrisse anch’egli l’opera agli esordi del Basaiti, quando il maestro «segna[va] duri e nerastri i lineamenti, irregolari i contorni, senza gradazione prospettica dei piani».138 Le

«forme sgangherate» della Sacra Conversazione della Galleria Crespi qui «si compongono alquanto», «quantunque la Vergine sia grossa e cadente, e Sebastiano dal sorriso idiota si presenti ancor qui esausto».139

Nel più recente regesto delle opere del Basaiti, Heinemann (1962) ha proposto di datare la tavola 1503-1505 e di istituire un confronto con il San Sebastiano della

Madonna col Bambino della collezione Mark Farquhar Oliver e con quello del

Ryksmuseum (inv. 517B). Inoltre, il critico ha osservato che «la posizione delle gambe del Bambino è mutuata dalla Madonna Northbrook di Giovanni Bellini».140

Attualmente custodita nei depositi della Pinacoteca, l’opera è stata datata 1530 circa.

Bibliografia:

136 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 33, n. 1031, 1904. 137 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 835V, n. 1031, ante 1910. 138 VENTURI 1915, p. 614. 139 Ibidem. 140 HEINEMANN 1962, p. 293.

123 J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, V, Lipsia,

Hirzel, 1873, p. 280. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 17-18. – A. VENTURI, La Galleria Crespi in Milano, Milano, Hoepli, 1900, pp.

124, 125. - H. VON TSCHUDI – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Alten Pinakothek,

Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1911, p. 8. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 4, Milano, Hoepli, 1915, p. 614. - F. HEINEMANN, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 293.

124 JACOPO BASSANO

Madonna col Bambino e i Santi Martino e Antonio Abate

Tela, 190.5 x 120.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 917

Provenienza: appartenente alla Galleria di Düsseldorf, successivamente trasferita presso quella del castello di Schleißheim e nel 1836 all’Alte Pinakothek

1542/43 circa

La tela fu giudicata opera bassanesca sin dagli albori della critica; così fece Verci nel 1775, il quale tracciò un parallelo con l’opera dell’altare maggiore della chiesa di Rasai presso Seren del Grappa (Feltre); parallelo proposto ancora nel 1911 da

Lorenzetti.

Lermolieff (1891) la ascrisse fra le opere centrali della parabola artistica di

Giacomo ed altrettanto fecero Jacobsen (1897a) e Zottmann (1908). Hadeln

(1914), invece, propose di collocare la tela fra le opere giovanili della seconda maniera.

Venturi, inizialmente nel Taccuino 1904, l’attribuì a «Leandro Bassano»;141 ma, nel quarto volume sulla pittura del Cinquecento, avanzò l’ipotesi che fosse «opera di Francesco eseguita nella bottega paterna […] replica libera, della Madonna con due Santi, dipinta a fresco in Bassano da Jacopo circa il 1550».142 Il Nostro suffragava tale ipotesi, adducendo diversi parallelismi e sottolineandone

141 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1150, 1904. 142 VENTURI 1929, p. 1262.

125 «l’impronta viva della grandezza del prototipo a cui s’[era] ispirata».143

Bibliografia:

G. B. VERCI, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ pittori, scultori e intagliatori della città di Bassano, Venezia, 1775, pp. 108, 252-54. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien

über die italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, 1891, p. 98. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München,

«Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 441. – L. ZOTTMANN, Zur

Kunst der Bassani, Strasburgo, Heim, 1908, p. 31. - G. LORENZETTI, De la giovinezza di Jacopo Bassano, «L'Arte», XIV, 1911, pp. 250-252. - D. VON HANDEL, Uber die zwei Manier des Jacopo Bassano, «Jahrbuch der Preussen Kunstsammlungen», XXV,

1914, pp. 52-70. - E. ARSLAN, I Bassano, Bologna, Casa Ed. Apollo, 1931, p. 361. -

A. BALLARIN - G. ERICANI, Jacopo Bassano e lo stupendo inganno dell’occhio, Milano,

Electa, 2010.

143 Ibidem.

126 GUIDO DI PIETRO,

DETTO BEATO ANGELICO a) I Santi Cosma e Damiano davanti al proconsole Lisia

Tavola di pioppo, 37.8 x 46.6 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 36 b) I Santi Cosma e Damiano liberano Lisia dai demoni

Tavola di pioppo, 38.1 x 46.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 37 c) I Santi Cosma e Damiano vanamente crocefissi e lapidati

Tavola di pioppo, 38.2 x 46.1 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 38 d) La deposizione

Tavola di pioppo, 38 x 46,5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 38a

Provenienza: acquistate da Johann Metzger per il Principe ereditario Ludovico I a Firenze (1813)

1438/40

I pannelli componevano, insieme con altri tre, la predella per l’altare maggiore di

San Marco a Firenze, chiesa di patronato della famiglia Medici, e narravano la vicenda dei Santi Cosma e Damiano, patroni della famiglia fiorentina.

Il racconto si snoda senza soluzione di continuità da sinistra verso destra, inframmezzato dalla Deposizione di Cristo.

127 L’attribuzione proposta è stata accettata dalla critica senza particolari obiezioni, se si eccettuano le supposizioni di Weisbach (1901), il quale suggeriva la mano di

Pesellino e collaboratori, e del Wurm (1907), che propendeva per un Fra Angelico ed aiuti. Venturi nei taccuini accoglie senza difficoltà il nome dell’Angelico e si sofferma soltanto sul colorito scuro delle carni nella tavola della crocifissione e lapidazione dei Santi. Scrive: «le carni si sono fatte di un rosso mattone. Tutto è stato snervato!».144

Per questo motivo, forse, anch’egli s’interroga se non sia «Beato Angelico con un aiuto? Certo in un periodo del maggiore sviluppo». Tuttavia, qualche rigo sotto attesta: «Vero Beato Angelico […] Periodo avanzato»; ribadendo nuovamente:

«Carni color mattone chiaro».145

Si potrebbe supporre che le tavolette siano stato oggetto di un intervento di restauro fra il 1904 ed il 1911, dal momento che se nel Taccuino 1904 Venturi lamentava che «l’aria non ha più lucentezza»,146 nel testo a stampa giunge ad affermare che le «tinte, [sono] quali pari a smalti lucenti» ed «il paese si determina appieno nella sua luminosità mattinale, nell’aria trasparente e pura che inonda cielo e terra».147

144 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 36, n. 991, 1904. 145 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 990, ante 1910. 146 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 36, n. 991, 1904. 147 VENTURI 1911, p. 67.

128 Bibliografia:

G. VASARI, Le vite de più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a c. di L.

BELLOSI-A. ROSSI, Torino, Einaudi, 1986, pp. 344-350. - W. WEISBACH, Francesco

Pesellino und die Romantik der Renaissance, Berlino, Cassirer, 1901, p. 38. - A. WURM,

Meister- und Schülerarbeit in Fra Angelicos Werk, Strasburgo, Heitz, 1907, p. 21. - J. A.

CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Storia della pittura in Italia dal secolo II. al secolo XVI.,

II, III, Londra, Douglas, 1903-14, p. 80. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII,

1, Milano, Hoepli, 1911, p. 66. - J. POPE HENNESSY, Fra Angelico, Londra, Phaidon

Press, 1952, pp. 24-27, 199. - W. HOOD, Fra Angelico at San Marco, New Haven-

Londra, Yale University Press, 1993, pp. 97-121. - C. SYRE (a c. di), Fra Angelico: die Münchner Tafeln und der Hochaltar von San Marco in Florenz, Monaco, Bayerische

Staatsgemäldesammlungen, 1996.

129 GUIDO DI PIETRO,

DETTO BEATO ANGELICO

La Vergine annunciata

L’angelo annunziante

Tavola, 32.2 x 19.0 cm, 32.2 x 19.0 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 637, inv. 1019

Provenienza: acquistate da Johan Georg von Dillis per il Principe ereditario Ludovico I a Firenze (1808), l’inv. 1019 si trovava ad Augsburg nel 1836.

1425

Le tavolette furono acquistate da von Dillis (1808) come Guido Senese; Mündler

(1865) le giudicò, con qualche riserva, opere giovanili di Filippo Lippi, o, d’un seguace dell’Angelico.

Per quanto riguarda i cataloghi della Pinacoteca, le opere dal 1888 al 1913 furono attribuite alla scuola di Fra Giovanni da Fiesole; se ne perde traccia dal

1920 al 1990, quando, ricomparse, sono da Syre riportate al Beato Angelico.

Le tavole risultano alterate: se ne ridusse il formato e non furono conservate adeguatamente. Venturi, difatti, nei taccuini ne deplora lo stato conservativo ed afferma: «L’Angelo dell’Annunciazione. [*Tutto], guasto, punteggiato, sporco; è del restauratore che l’ha eseguito. L'oro del fondo con piombo»,148 «Le ali di pavone annerite, la veste ingrossata, contornata di porporina, nimbo di porporina con grossissimo graffito, capelli ridotti a una massa gialla, faccia bituminosa, mani

148 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 26, n. 993, 1904.

130 bituminose»,149 concludendo «ridipinto, moderno».150 «Anche la Vergine è guasta»,151 «qui pare un [*resticciuolo] dell’antico».152 L’opera non venne riportata nelle opere a stampa.

Le due tavolette insieme alla Madonna dell’Umiltà di Parma (inv. 429) e alla

Visione di Londra (inv. NG3417) costituivano sicuramente un trittico, del quale, però, non conosciamo l’originale disposizione; Syre (1990) e Kanter-Palladino

(2005) ne propongono un loro modello.

Bibliografia:

R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, X, L’Aia, Nijhoff,

1928, p. 159. - C. SYRE (a c. di), Frühe italienische Gemälde aus dem Bestand der Alten

Pinakothek, Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, 1990, pp. 75-82. - L.

KANTER - P. PALLADINO (a c. di), Fra Angelico, New York, Metropolitan Museum of Art, 2005, pp. 107-110.

149 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 61, n. 993, 1904. 150 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 993, ante 1910. 151 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 26, n. 994, 1904. 152 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 994, ante 1910.

131 DOMENICO BECCAFUMI

Sacra Famiglia con San Giovannino

Tavola di castagno, diametro 113 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1073

Provenienza: acquisto del Principe ereditario Ludovico I a Siena (1816)

1515 circa

La scena dov’è «tutto sfumato, tutto veduto come nella nebbia»153 impedisce al

Venturi di risolversi fra Beccafumi e Bacchiacca: «Beccafumi. Sacra Famiglia. No,

è il Bacchiacca! Confrontare la testa della Vergine con la piccola figura di donna acquistata per Berlino! Alla testa delle figure del Bacchiacca par sempre che sia stato tagliato un po’ dell’ovale. Sono le sue carni lattee con un po’ di rosa, al suo solito amore di turchini e di viola». «Mi par proprio il Bacchiacca. Del Beccafumi ci sono le forme allungate della Vergine, non non [sic] gli azzurrini, i violetti, le tinte dolci delle carni, fresche, proprie del Bacchiacca».154

Nel volume sulla Galleria Crespi (1900), così come nella prima parte sulla pittura del Cinquecento (1925), Venturi l’annoverò fra le opere del Bacchiacca; tuttavia, nel Taccuino pittorico, concludeva trattarsi proprio del «Beccafumi. E mi sbagliai a darlo a Bacchiacca!».155

Tale opinione sarà convalidata successivamente nella Storia, aggiungendo come

153 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 49V, n. 1426 1076, 1896/7. 154 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57V, n. 1489 1076, 1896/7; ID., Taccuino 1904, c. 45, n. 1076, 1904. 155 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 1076, ante 1910.

132 «i tondi di Fra Bartolomeo furono esempi al Beccafumi nel comporre la Sacra

Famiglia di Monaco».156 Fu questo trait d’union, con molto probabilità, ad ingannarlo precedentemente.

Ad eccezione del Venturi, la critica ha accolto concordemente l’attribuzione a

Domenico Beccafumi, proponendo inoltre di collocarla agli inizi della maturità pittorica dell’artista.

Bibliografia:

H. VON TROTTA, Das Leben und die Werke des Seneser Malers Domenico Beccafumi genannt Mecarino, Berlino, Blanke, 1913, pp. 48, 59. - A. VENTURI, La Galleria Crespi in Milano, Milano, Hoepli, 1900, p. 214. - A VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 5,

Milano, Hoepli, 1932, p. 444. - P. TORRITI, Beccafumi: l’opera completa, Milano,

Electa, 1998, pp. 80 -81.

156 VENTURI 1932, p. 444.

133 FRANCESCO BISSOLO (ATTRIBUITO)

La Sacra Conversazione

Tavola di pioppo, 70 x 104,5 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 473

Provenienza: acquistata presso presso la collezione di Malmaison di Giuseppina Bonaparte (1815), fino al 1836 presso la Hofgartengalerie, quindi alla Alte Pinakothek, dal 1930 nei depositi s. d.

La tavola venne acquistata come Palma il Vecchio, tuttavia tale attribuzione venne messa in dubbio già da Marggraff (1846). Nei cataloghi della Pinacoteca (1872) fu registrata tra le opere della scuola di Bellini ed accostata al nome di Francesco da

Santacroce. Mündler (1865), invece, la definì «höchstens ein Francesco Bissolo»; mentre Crowe e Cavalcaselle (1876) non seppero risolversi tra Santacroce e

Bissolo.

Lermolieff, dopo aver proposto il nome di Girolamo da Santacroce (1880), la riferì ad un «Nachahmer der Bellini und des A. Vivarini».157

Tra il 1896 ed il 1908 i cataloghi della Pinacoteca lo attribuirono a Bissolo.

Kronig (1909) propose il nome di Pietro Duia, Frizzoni (Kultzen 1971) invece di

Benedetto Diana; di tale opinione anche il Nostro, il quale nei taccuini appuntò:

«Bissolo Sacra Conversazione. No, è certo Diana».158

157 LERMOLIEFF 1891, p. 56. 158 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 834R, n. 1086, ante 1910.

134 Il catalogo della Pinacoteca (1911) si orientò verso una posizione più neutrale, rapportandola a un maestro veneziano del 1520/30, «möglicherweise […]

Pellegrino da San Daniele».159

Seppur con qualche riserva, Berenson (1957) indicò il nome di Filippo da Verona,

Heinemann (1962) invece riaffermò la presenza di caratteri belliniani.

Infine secondo Kultzen (1971) «die kleinen Kopfe, Unsicherheiten im organischen Korperaufbau sowie das dekorative Zueinanderordnen von

Korperteilen und Gewandung»160 permettono di rapportare la tavola alla cerchia di

Francesco Bissolo.

Bibliografia:

R. MARGGRAFF - H. MARGGRAFF, München mit seinen Kunstschatzen und

Merwürdigkeiten, nebst Ausflügen in die Umgegend, vornehmlich nach Hohenschwangau und

Augsburg, Monaco, Finsterlin, 1846, p. 477. – O. MÜNDLER, Die Apokryphen der

Münchner Pinakothek und der neue Katalog, «Rezensionen und Mitteilungen über bildenden Kunst», IV, 1865, p. 365. – M. F. A. DE LESCURE, Le Château de la

Malmaison, Parigi, Plon, 1867, p. 282. – J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE,

Geschichte der italienischen Malerei, VI, Lipsia, Hirzel, 1876, p. 555. – I. LERMOLIEFF,

Die Werker italienischer Meister in den Galerien von München, Dresden und Berlin, Lipsia,

Seemann, 1880, p. 28. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891,

159 KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1911, p. 171. 160 KULTZEN - EIKEMEIER 1971, p. 70.

135 p. 56. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu

München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 436. – J. O.

KRONIG, Notizen zur Alten Pinakothek in Munchen, «Zeitschrift fur bildende Kunst»,

XX, 1909 p. 165. - A. BAYERSDORFER - F. VON REBER (a c. di), Katalog des Gemälde

Sammlungen der Kgl. Älteren Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1896, p. 239. – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1908, p. 232. - H. VON TSCHUDI -

F. VON REBER (a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr &

Hirth, 1911, p. 171. – B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace, Londra,

Phaidon, 1957, p. 76. – F. HEINEMANN, Giovanni Bellini e i Belliniani, Venezia, Neri

Pozza, 1962, p. 307. - R. KULTZEN - P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge.

Venezianische Gemälde des 15. Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I,

Monaco, Druckerei Holzinger, 1971, pp. 68-70.

136 BOCCACCIO BOCCACCINO

Cristo Benedicente

Tavola di noce, 52 x 40 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 693

Provenienza: dal Castello di Ambras in Tirolo a Schleißheim (1809), dal 1836 al 1909 alla Alte Pinakothek, nuovamente a Schleißheim dal 1913 al 1913

Data

Lermolieff / Morelli (1891) la attribuiva a Bartolomeo Boccaccino; Venturi, dopo aver rilevato la qualità dell’opera, s’interrogava se non fosse piuttosto «l’Aleni? I contorni delle unghie determinati da un piccolo segno scuro. Sono le sue brutte mani senza ricerca, è la sua intonazione bruna del[l]e carni, è la sua materialità!

Liscio come il Presepe di Modena. Curioso quel dito pollice visto di fronte: pare una spatola!».161 A propostito del Presepio della Galleria Estense il Nostro lò riferirà al cremonese Tommaso Aleni, del quale le «mani senza ricerca, quella intonazione bruna delle carni e la levigatura e la materialità grande, si rivedono nella Galleria di Monaco, nel quadro del Redentore (n. 1029), figura dal pollice che sembra una spatola».162

Risultava alquanto difficile sciogliere il problema attributivo, in quanto il quadro appariva «Ricolorato. Solo guardano gli occhi suoi vitrei nel volto mascherato».163 Con riserva, infatti, Venturi affermava: «Cristo benedicente scuola

161 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55V, n. 1465 1029, 1896/7. 162 VENTURI 1900, p. 118. 163 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 34, n. 1029, 1904.

137 del Boccaccino (non è tanto basso per il maestro)»,164 «Cristo benedicente attribuito al Boccaccino. No, Aleni, anche pel [***] rossastro del volto».165

Nell’incertezza, forse, l’opera venne tralasciata dal catalogo delle opere autografe del maestro presente nella Storia.

Tanzi (1991), soffermandosi sui contrasti luministici e sulle scelte di colore, propone di rapportare la nostra opera all’Adorazione dei pastori di Capodimonte

(inv. Q 68) e alla Madonna Crespi-Fuller di Boston (inv. 23.502). Di conseguenza, la datazione viene anticipata al periodo ferrarese.

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien uber die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 68. - M. TANZI, Boccaccio

Boccaccino, Soncino, Edizione dei Soncino, 1991, pp. 14-15, 36-37.

164 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 1029, ante 1910. 165 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 5R, n. 1029.

138 PARIS BORDON

Ritratto di gentiluomo

Tela, 77.8 x 66 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 512

Datato in basso al centro sulla balaustra in pietra MDXXIII

Provenienza: dalla Kurfüstlichen Galerie, alla Hofgartengalerie fino al 1836

1523

Il dipinto nel 1649 si trovava ad Anversa, quando Wenzel Hollar ne eseguì una stampa: era indicata quale Tiziano e l’effigiato risultava Bindo Altoviti.

Tale ipotesi era stata riportata negli inventari della Kurfüstlichen Galerie (1748,

1771), così come nei cataloghi della Pinacoteca fino al 1884, quando Crowe e

Cavalcaselle la restituirono alla paternità di Paris Bordon. Mündler (1865) credeva che la tela fosse opera giovanile di Moretto da Brescia. Venturi invece, nel Taccuino

1896/7, aveva semplicemente riportato l’indicazione presente nel catalogo, senza aggiungere alcun commento: «Paris Bordon. Ritratto con la data M.D.XXIII».166

Frizzoni (1900), scorgendo un’influenza di Giorgione, lo rapportava a

Bernardo Licinio; «un bellissimo tipo virile nella pienezza delle forze vitali, fulgido lo sguardo, folte e nere la capigliatura e l’abbondante barba, un tipo, come si direbbe in genere, eminentemente giorgionesco […] si sogliono riconoscere pochi dati atti a far riconoscere un autore piuttosto che un altro, nel caso presente vuolsi

166 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1487 1120, 1896/7.

139 badare in modo speciale alla maniera, ancora primitiva e giorgionesca […] la fisionomia, davvero veneta, è di quelle che s’incontreranno anche fra le figure predilette da Paris Bordon; ma egli l’avrebbe trattata con maggiore larghezza, con un disegno più molle per ogni dove, cosa, del resto, che si potrebbe constatare viemmeglio se i due quadri vicini, già accennati, nell’angolo della sala veneta, fossero entrambi più incolumi dai danni di antico, male augurato ristauro.

Comunque sia, rimane pur tanto da poter conchiudere che il ritratto di che si ragiona va restituito a Bernardino Licinio».167

Le errate considerazioni del Mündler e del Frizzoni, tuttavia, «ci dimostrano come fin dall’inizio Bordon [fosse] incline a cogliere il tizianismo con un brivido patetico simile a quello dei lombardi»,168 interpretazione già avanzata da Venturi nel terzo volume sulla pittura del Cinquecento, dove asseriva che: «Tiziano

Vecellio dà guida e impronta all’arte di Paris Bordon; ma il colore, che in quegli penetra, in Paris s’arresta alla superficie, e la composizione e la forma tendono ad archeggiare, a imbarocchire. A un tempo, la guida di Tiziano va rallentando per il sopravanzare di nuovi elementi, che Paris raccoglie, di Moretto da Brescia e dal

Pordenone».169

Kultzen (1975) ritraccia un’affinità stilistica con l’ancona della Galleria dell’Accademia di Belle Arti Tadini (Lovere), nella quale si scorge la medesima durezza nel modellato dei lavori tardivi di Bordon.

167 FRIZZONI 1900, p. 74. 168 MARIANI CANOVA 1964, p. 107. 169 VENTURI 1928, pp. 1004-1005.

140 Fossaluzza (1985) accosta la tela al Ritratto di gentiluomo con libro di musica della

Národní Galerie di Praga, documentando «il passaggio da un gusto ritrattistico che ancora incespica in tentazioni descrittive, pur nell’utilizzo di schemi più consolidati, e che si sofferma in analisi introspettive di sensibilità piuttosto lottesca che giorgionesca, fino al raggiungimento di una più diretta e piena ostensività del personaggio, ottenuta proprio grazie a una migliore comprensione di modelli tizianeschi».170

Bibliografia:

G. PARTHEY, Wenzel Hollar, Berlino, Nicolai, 1853, n. 1339. - O. MÜNDLER, Die

Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog, «Rezensionen und

Mitteilungen über bildenden Kunst», IV, 1865, p. 81. - J. A. CROWE - G. B.

CAVALCASELLE, Tiziano, II, Firenze, Le Monnier, 1878, p. 87. - I. LERMOLIEFF,

Kunstkritische Studien uber die Italienische Malerei, Lipsia, E. A. Seemann, 1891, p. 81. –

B. BERENSON, The Venetian painters of the Renaissance, Londra-New York, Putnam,

1894, p. 91. - G. FRIZZONI, Nuovi acquisti della Reale Pinacoteca di Monaco in Baviera,

«L’Arte», III, 1900, p. 74. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, 1928, pp.

1004, 1033. – B. BERENSON, Italian pictures of Renaissance, I, Londra, Phaidon, 1957, p. 47. - G. MARIANI CANOVA, Paris Bordon, Venezia, Alfieri, 1964, p. 107. - R.

KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco,

Brückmann, 1975, p. 28. - G. FOSSALUZZA, Qualche recupero al catalogo ritrattistico del

170 FOSSALUZZA 1985, p. 183.

141 Bordon, in ID. Paris Bordon e il suo tempo, Catalogo mostra (Treviso, 28-30 ottobre

1985), Treviso, Edizioni Canova, 1985, pp. 183-202.

142 PARIS BORDON

La seduzione

Tela, 98.5 x 80.5 cm

Monaco di Baviera, Bayerisches Nationalmuseum, inv. 925

Provenienza: documentata presso la Kunstkammer dal 1618, dal 1748 al 1775 a Schleißheim, presso la Hofgartengalerie dal 1781 al 1800c., dal 1838 alla Alte Pinakothek, Bamberga (1948), dal 1957 in deposito, dal 1965 in prestito al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco

1530/35 circa

Negli inventari della Galleria di Schleißheim (1748) l’opera era attribuita a

Salviati, in quelli del 1761 a Tiziano o copia da Tiziano, così come nei cataloghi dell’Alte Pinakothek fino al 1884 quando, su indicazione di Crowe e Cavalcaselle

(1877-78), la tela fu riconosciuta come opera di Paris Bordon. La lettura iconografica dell’opera risulta più complessa; tuttavia, Venturi l’aveva da subito interpretata come «uomo e giovane donna scollata»,171 o meglio come «Scena di

Seduzione».172 Infatti, nella Storia aveva precisato: «è un’austera espressione del modo di sedurre […] Non è neppure sembrato un gruppo di soggetto erotico, tanto che è stato indicato semplicemente così: Il gioielliere e una giovine donna».173

Nei cataloghi della Pinakothek l’opera fu menzionata per l’ultima volta nel

1971; tuttavia, viene riferita con certezza a Paris Bordon sia nella monografia di

Mariani Canova (1964) sia nel catalogo della mostra di Treviso (1985).

171 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1487 1121, 1896/7. 172 VENTURI 1928, p. 1033. 173 VENTURI 1928, pp. 1014-1015.

143 Fossaluzza (1985), in merito al giorgionismo o neogiorgionismo di Bordon, propone un confronto con opere coeve di Bernardino Licinio. «In questo caso, dunque, tale aggettivazione assume per il Bordon un valore ambivalente, significando una consueta, comune origine tematica degli amanti di Brera come della Seduzione di

Monaco da prototipi iconografici ‘giorgioneschi,’ al pari ad esempio dell’analogo soggetto già in collezione Austen (Capel Manor, Horsmonden-Kent), degli Sposi con ragazzo e comare delle Gallerie dell’Accademia di Venezia».174

Kultzen (1971) ritiene che l’opera si rapportabile al primo periodo del pittore,

«noch ganz unter dem Einfluss Tizians entstandenen Artbeiten Bordones zu rechnen».175

Bibliografia:

J. G. VON DILLIS, Verzeichniss der Gemälde in der Königlichen Pinakothek zu München,

Monaco, Finsterlin in Komm., 1838, p. 125. - J. A. CROWE - G. B.

CAVALCASELLE, Tiziano, Firenze, Le Monnier, 1877-78, p. 487. - A. VENTURI,

Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano, Hoepli, 1928, pp. 1014-15, 1033. – Suida

(Salviati) 1936, p. 211. - G. MARIANI CANOVA, Paris Bordon, Venezia, Alfieri, 1964, p. 84. – R. KULTZEN - P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische

Gemälde des 15. Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei

Holzinger, 1971, pp. 75-78. - G. FOSSALUZZA, Qualche recupero al catalogo ritrattistico

174 FOSSALUZZA 1985, pp. 185-186. 175 KULTZEN - EIKEMEIER 1971, p. 78.

144 del Bordon, in ID. Paris Bordon e il suo tempo, (Treviso, 28-30 ottobre 1985), Treviso,

Edizioni Canova, 1985, pp. 186, 191.

145 ALESSANDRO FILIPEPI,

DETTO SANDRO BOTTICELLI

La pietà

Tavola di pioppo, 140 x 207 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1075

Provenienza: chiesa di San Paolino, acquistata del Principe ereditario Ludovico I (1814)

1495/1500 circa

L’attribuzione della tavola è stata accettata concordemente tanto dalla critica ottocentesca quanto da quella moderna, se si eccettuano i dubbi sollevati da

Streeter (1903) e da Van Marle (1931), i quali vi hanno scorto l’aiuto di stretti collaboratori. Crowe e Cavalcaselle (1870), Lermolieff (1891), Ulmann (1893),

Jacobsen (1897a) e Venturi (1911) ne affermano l’autenticità senza riserve.

Parimenti Bode (1921) e Schmarsow (1923). Posizione particolarissima quella di

Hadeln (1906), il quale rintracciava un parallelo con l’opera botticelliana di Santa

Maria Maggiore a Firenze, descritta dal Vasari.

Venturi, nei taccuini, si sofferma, in particolar modo, sul carattere

«drammaticissimo» della tavola, evidenziando il pathos dei volti: «Maddalena dal volto rosso per pianto, la Vergine soffocata dal dolore, S. Giovanni con le sopracciglia tutte rotte, coi lineamenti contratti; l’altra Maddalena che bacia il volto

146 del Cristo perde l’animo» e dei corpi, «mani con nervi tra le dita, che paion transenne».176

In questo caso, è evidente quanto il testo edito si sostanzi in larga parte delle carte; di fatti, Venturi nella Storia riporta proprio: «La Maddalena rossa per pianto,

San Giovanni dai lineamenti contratti; la pia donna che baciando il volto del

Cristo perde l’anima, l’altra che si porta il manto alle labbra». In aggiunta, propone una collocazione temporale all’interno della produzione botticelliana, commentando come si tratti «del maestro nel suo ultimo tempo»;177 opinione che verrà avvalorata anche da Crowe-Cavalcaselle (1870), Bode (1921), Cecchi (2005).

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, III, Lipsia,

Hirzel, 1870, pp. 173-174. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien uber die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 125. - H. ULMANN, Sandro Botticelli, Monaco, Verlagsanstalt für Kunst und

Wissenschaft, 1893. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren

Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 428.

- A. STREETER, Botticelli, Londra, Bell, 1903, p. 131. - D. F. VON HADELN, Botticellis

Hl. Sebastian aus S. Maria Maggiore zu Florenz, in «Jahrbuch der Preußischen

Kunstsammlungen», XXVII, 1906, pp. 282-284. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 1, Milano, Hoepli, 1911, p. 643. - W. VON BODE, Sandro Botticelli,

176 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 61R, n. 1518 1010, 1896/7; ID., Taccuino pittorico, c. 828R, n. 1010, ante 1910; ID., Taccuino 1904, c. 63, n. 1010, 1904. 177 VENTURI 1911, p. 643.

147 Berlino, Propylaen Verlag, 1921, p. 170. - A. SCHMARSOW, Sandro del Botticello,

Dresda, Reissner, 1923, p. 104. - A. VENTURI, Botticelli, «Valori Plastici», Roma,

1925. - A. VENTURI, Antonello da Messina, Giambellino, Sandro Botticelli, Raffaello,

Celebrazioni e tributi, Zanichelli, Bologna, 1925. - A. VENTURI, Botticelli Sandro, in

Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti, VII, 1930, pp. 586-590. - C. VON

HEUSINGER, Herkunft und Erweb von Botticellis “Beweinung Christi” in der Alten

Pinakothek zu München, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», IX/X, 1958/9, pp. 397-400. - R. W. LIGHTBOWN, Sandro Botticelli, Leben und Werk, London,

Thames and Hudson, 1989, p. 207. - P. JOANNIDES, Late Botticelli: Archaism and

Ideology, «Arte cristiana», LXXXIII, 1995, p. 167. – A. CECCHI, Sandro Botticelli,

Milano, Motta, 2005, pp. 318, 320-328.

148 ANDREA PICCINELLI

DETTO ANDREA DEL BRESCIANINO

Madonna col bambino

Tavola, 71 x 55 cm

Monaco di Baviera, depositi Neue Pinakothek, inv. 461

Provenienza: acquistata dal Principe ereditario Ludovico a Parigi presso la collezione di Madame Du Bois (1815)

Fino al 1872 i cataloghi della Pinacoteca riportarono l’opera sotto il nome di Fra

Bartolomeo, ritenendola copia da Beccafumi del gruppo centrale della Madonna del Baldacchino di Raffaello (Galleria Palatina, inv. 165). Crowe-Cavalcaselle

(1872), pur riferendola a Fra Bartolomeo, commentarono: «nicht echt, Färbung von gläsernem Email mit dunklem warmen Schatten, an die Weise der Michele di

Ridolfo, Poligo oder der Brescianini erinnernd».178

A partire dai cataloghi della Pinacoteca del 1884 la tavola venne restituita ad

Andrea del Brescianino ed ivi menzionata fino al 1908.

Venturi nei taccuini appuntò soltanto: «Brescianino, Sacra Famiglia».179

Ugualmente nella Storia, dove si limitò ad inserirla nel catalogo delle opere autografe del Brescianino, col titolo Madonna col Bambino.

178 CROWE - CAVALCASELLE 1872, p. 483. 179 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 59, n. 1075, 1904.

149 Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, IV, Lipsia,

Hirzel, 1872, p. 483. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 5, Milano, Hoepli,

1932, p. 372. – L. PAGNOTTA, Proposte per Andrea del Brescianino, «Paragone», XLV,

1994, pp. 68-75.

150 GIULIANO BUGIARDINI

Ritratto di un prelato

Tela, 50 x 60 cm

Monaco di Baviera, depositi Neue Pinakothek, inv. 1300

Provenienza: dal 1787 presso la Hofgartengalerie di Monaco, dal 1856 al 1881 a Schleißheim, dal 1881 alla Alte Pinakothek, 1948-1953 alla Residenz di Bamberga, 1957 Alte Pinakothek, dal 1966 nei depositi della Alte Pinakothek

1535/40 circa (Pagnotta)

La vicenda attributiva di quest’opera è stata oltre modo travigliata.

Nell’inventario della Hofgartengalerie del 1787 il dipinto era stato riportato come Leonardo da Vinci180 e così anche nel successivo (1799), «dans le gout de L. da Vinci».

L’opera venne attribuita per la prima volta a Sebastiano del Piombo da

Teichlein (1875), la cui proposta perdurò nei cataloghi della Pinacoteca fino al

1957 e fu accolta da D’Achiardi (1908) e Dussler (1942). Ciononostante, si registrarono numerosi pareri contrari. Primo fra tutti quello di Eastlake (1884), il quale mise in dubbio l’autografia della tela. Bernardini (1908) non registrò la tela fra le opere autografe, tanto meno Pallucchini (1944). Berenson (1932, 1936) preferì ascriverla, seppur con qualche riserva, a Giulio Romano.

Anche il Nostro fin dalle carte del 1896/7 aveva dimostrato qualche incertezza nel giudicarla opera di Sebastiano del Piombo: «Bastiano? No. Taglio crudo del

180 KAT. MÜNCHEN 1787, p. 110.

151 contorno. Tinta di mattone chiaro senza luminosità. Rassomiglia molto per fattura al così detto Franciabigio della galleria Torlonia. Colori chiari con luci rosee».181 Di fatti, nei taccuini successivi riportava: «Nel taglio degli occhi ricorderebbe il

Mantegna, ma il colorito è debole per questo maestro»,182 «tinta fredda fre[d]da

[sic] delle carni (un maestro della IIa metà del XVI)»,183 concludendo infine: «Non è

Sebastiano, ma di un pittore [*attorno]».184

In occasione della riapertura della Pinacoteca (1957), l’opera viene esposta sub voce Sebastiano del Piombo; tuttavia, Zeri respinse tale ipotesi, precisando che l’autore «non è neppure veneziano […] il taglio della fronte e degli occhi, la fattura stentata, e la gamma cromatica rivelano però, anche nell’attuale stato cosparso di rozzi ritocchi, la mano di Giuliano Bugiardini».185

Kultzen (1971) ha avanzato l’ipotesi di collocare il dipinto nell’ambito della scuola cremonese del XVI secolo mentre, Lucco (1980) ha proposto di collocare l’opera nella cerchia romana post-raffaellesca.

Se il taglio degli occhi lasciava perplesso il Nostro, così anche per Zeri (1957) e

Pagnotta (1987) diventa un elemento distintivo per confermare la mano del

Bugiardini: «Il particolare modo di raffigurare gli occhi dell’effigiato […] che ritrovandosi in molti altri ritratti del Bugiardini […] può essere considerato un tratto caratteristico del suo stile».186

181 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 59R, n. 1495 1087, 1896/7. 182 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 2R, n. 1087. 183 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 46, n. 1087, 1904. 184 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c.835V, n. 1087, ante 1910. 185 ZERI 1957, p. 68. 186 PAGNOTTA 1987, p. 215.

152 Negli attuali inventari della Pinacoteca l’opera si trova ancora ascritta a

Sebastiano del Piombo; benché, in uno studio personale anche Schumacher (2014) abbia confermato l’ipotesi di Zeri.

Come riferisce Schumacher (2014) si possono osservare vari ritocchi e zone ridipinte soprattutto nello sfondo, nella zona bassa dell’abito e in prossimità della spalla destra.

Bibliografia:

KATALOG SCHLEIßHEIM, n. 1023, p. 83. – C. L. EASTLAKE, Notes on the Principal

Pictures in the Old Pinakothek at Munich, Londra, 1884, p. 122. – P. D’ACHIARDI,

Sebastiano del Piombo, Roma, Casa ed. de l’Arte, 1908. - G. BERNARDINI, Sebastiano del Piombo, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1908, p. 63. – B. BERENSON, p. 261. - B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p.

224. - L. DUSSLER, Sebastiano del Piombo, Basilea, Holbein Verlag, 1942, p. 136. – R.

PALLUCCHINI, Sebastian Viniziano, Milano, Mondadori, 1944, p. 186. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di Monaco, «Paragone», XCV, 1957, p. 68. – R.

KULTZEN – P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15.

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1971, p. 15. - F. ZERI, Italian paintings in the Walters Art Gallery, II, Baltimore, 1976, p. 319. – C. VOLPE - M. LUCCO, L’opera completa di Sebastiano del Piombo, Milano,

Rizzoli, 1980, p. 135. - L. PAGNOTTA, Giuliano Bugiardini, Torino, Allemandi, 1987, p. 215, n. 51.

153 CESARE DA SESTO

Madonna col Bambino

Tavola, 124.7 x 105 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 2278

Provenienza: acquistata a Vienna da Massimiliano I (1815), fino al 1881 a Schleißheim

Data

L’opera venne acquistata come scuola del Correggio. Lermolieff / Morelli (1891) la definì «leblos und plump», preferendo attribuirla a un maestro «Flamander, die einige Zeit in Mailand sich aufhielten».187 Venturi si limitò a darne notizia nei taccuini, senza fornire alcun commento a riguardo.

Attualmente è conservata nei depositi della Alte Pinakothek.

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 120.

187 LERMOLIEFF 1891, p. 120.

154 GIOVANNI BATTISTA CIMA,

DETTO CIMA DA CONEGLIANO

Madonna col Bambino e i Santi Gerolamo e Maddalena

Tavola di tiglio, 79.6 x 122.9 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 992

Provenienza: originariamente Collezione Manin (Venezia), acquistato da Johann Georg von Dillis per il Principe ereditario Ludovico I presso la collezione di Malmaison di Giuseppina Bonaparte (1815), inizialmente collocato presso la Galleria dell’Hofgarten, dal 1836 alla Alte Pinakothek

1495/98 circa

La vicenda attributiva dell’opera a Cima da Conegliano è stata relativamente piana: accertata da Crowe-Cavalcaselle (1876), confermata da Botteon-Aliprandi

(1893), Berenson (1901, 1936, 1957) e Burckhardt (1905) ed infine abbracciata dallo stesso Venturi (1915).

Il Nostro, nel Taccuino pittorico, ascrive la tavola, di qualità «molto fine», ad una fase «primitiv[a]» di Cima, in cui appaiono una «Santa Maddalena, dai bei riccioli gialli» ed un «mirabile il San Girolamo, un vecchio contadino lenone dagli occhi lenti. I capelli sono fini, come infuriati».188

La figura della Maddalena, in special modo, viene accostata, nel quarto volume sulla pittura del Quattrocento, alla «Santa Caterina della collezione Wallace per il gigantismo della figura statuaria» e per il «disegno di certi particolari, ad esempio,

188 A. VENTURI, Taccuino pittorico, cc. 833V, 835V, n. 1033, ante 1910.

155 della bocca socchiusa, […] ove […] la ricerca d’eleganza si traduce appunto in un leggero artificio».189

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der Italianieschen Malerei, voll. VI, V,

Lipsia, 1869-76, p. 256. - ID., A history of paintings in North Italy, London, Ed.

Borenius, 1912, p. 250. - V. BOTTEON - A. ALIPRANDI, Ricerche intorno alla vita e alle opere di Gianbattista Cima, Conegliano, Cagnani, 1893, p. 115. – B. BERENSON,

Lorenzo Lotto, Londra, Bell, 1901, p. 56. - R. BURCKHARDT, Cima da Conegliano. Ein venezianischer Maler des Überganges vom Quattrocento zum Cinquecento, Lipsia, 1905, p.

116. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 4, Milano, Hoepli, 1911, p. 514. - R.

VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, XVII, L’Aia, Nijhoff,

1935, p. 408. – B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 127. – B. BERENSON, Venetian Pictures of the Renaissace, I, Londra, Phaidon, 1957, p. 66. - P. HUMFREY, Cima da Conegliano, Cambridge, Cambridge University Press,

1983, p. 130 e ss. – G. C. F. VILLA, Cima da Conegliano, maître de la Renaissance vénetienne, Parigi, Musée du Luxemburg, 2012. – G. ROMANELLI, Un Cinquecento inquieto, da Cima da Conegliano al Rogo di Riccardo Perucolo, Catalogo mostra

(Conegliano, 1 marzo- 8 giugno 2014), Venezia, Marsilio, 2014.

189 VENTURI 1915, p. 514.

156 ANTONIO ALLEGRI DA CORREGGIO (SCUOLA)

Madonna col Bambino e Santi

Tela, 112.2 x 75.9 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 934

Provenienza: Parma, nel 1805 trasportato a Parigi, dove venne riportato su tela e acquistato per il Principe ereditario Ludovico I nel 1815 s.d.

L’opera, attribuita al Correggio sin dai primi cataloghi della Pinacoteca, fu menzionata fino al 1908.

Rispetto a tale attribuzione, tuttavia, Venturi si dimostrò alquanto scettico, tanto da commentare l’opera solo nei taccuini: «Correggio. [-Sacra Famiglia]

Madonna col Bambino, San [-Giovannino] Girolamo e Santo Vescovo, e un angiolo. Figure mal tagliate d’un imitatore di seconda mano. Cattivo il disegno: La

Vergine ha una nuca enorme, il putto pure ha grande l’occipite. San Girolamo una gran bozza nel cranio. Imitatore di seconda mano»;190«Correggio. Il maestrino dai crani schiacciati»,191 riprendendo qualche carta dopo «teste sbattute contro un piano».192

Lermolieff (1891) la riferì a Rondani, Jacobsen (1897a) la giudicò opera della scuola e così anche il Ricci, il quale in una nota personale a Jacobsen riferì: «Il n.

1095 presenta a mio modo di vedere, qualche carattere del Rondani, ma il tipo

190 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 61V, n. 1510 1095, 1896/7. 191 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 48, n. 1095, 1904. 192 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 63, n. 1095, 1904.

157 della Vergine è diverso. Oltraciò mi pare scadente il disegno. È vero che talora il

Rondani disegna male, ma i suoi tipi sono sempre grandiosi e vivaci».193

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 66 – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 438.

193 C. Ricci in un commento riportato da JACOBSEN 1897a, p. 438, n. 41.

158 DANIELE RICCIARELLI

DETTO DANIELE DA VOLTERRA

San Giovanni Battista, copia dall’originale

Tavola, 191.5 x 129 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 499

Provenienza: Galleria dell’Elettore di Düsseldorf

1555/56 circa

La vicenda attributiva dell’opera si è dimostrata alquanto complessa e ad oggi non risulta ancora conclusa.

Durante il XVIII la tavola venne riferita a Raffaello (VON SONNENBERG, 1983), quindi a Giulio Romano fino al 1884 ed infine di scuola romana e rapportata alla maniera di Frans Floris de Vriendt (1896-1908).

Nonostante l’imbarazzo della critica, Venturi nei taccuini riportò con fermezza:

«Römische Schule. San Giovanni Battista. No Bronzino. Vicino all’altro San

Giovanni Battista della Galleria Borghese»;194 «Römische Schule. Bronzino»;195 specificando infine: «Scuola romana. Sembra sulla forma biancastra nelle mani a piani, un Bronzino giovane».196 La risolutezza di questo giudizio, però, venne meno nella Storia, dove non fece menzione di quest’opera.

Voss (1913) credette di poter identificarla con uno dei dipinti eseguiti da Daniele

194 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 59V, n. 1497 1093, 1896/7. 195 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 47, n. 1093, 1904. 196 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 2V, n. 1093.

159 da Volterra per Giovanni della Casa, di cui ci informa il Vasari: «un altro quadro pure ad olio, un bellissimo San Giovanni in penitenza, grande quanto il naturale, che da quel signore, mentre visse, fu tenuto carissimo».197 Il critico tedesco, inoltre, riteneva che il San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina (inv. 360) fosse una copia realizzata sul disegno Michelangelo 19 F della Casa Buonarroti

(cat. 36).

Tuttavia, l’ipotesi di Voss venne respinta da Mez (1933), Stechow (1934), Levie

(1962) e Longhi (1964), i quali consideravano piuttosto che la sola versione capitolina fosse da intendersi come originale.

Sricchia (ROMANI, 2003) ipotizza che in entrambe le opere si possa rintracciare la mano di Giulio Mazzoni. Barosky (1979) e Pugliatti (1984) ritengono che le due versioni siano copia da un’originale di Daniele, Treves (2001), invece, ripercorre l’ipotesi della tela capitolina quale originale e ne ripropone l’autografia.

La tavola, attualmente in deposito, è stata registrata nei cataloghi della Alte

Pinakothek quale Daniele da Volterra.

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e

1568, a c. di R. BETTARINI - P. BAROCCHI, V, Firenze, Sansoni, 1966, p. 545. – A.

BAYERSDORFER– F. VON REBER (a c. di), Katalog des Gemälde Sammlungen der Kgl.

Älteren Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1896, p. 241. - F. VON

197 VASARI 1966, p. 545.

160 REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München,

Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1904, p. 241. - F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr

& Hirth, 1908, p. 234. - H. VOSS, Uber einige Gemälde und Zeichnungen von Meistern aus dem Kreise Michelangelos, «Jahrbuch der Königlich Preußischen Kunstsammlungen»,

XXXIV, 1913, pp. 297-320. – M. L. MEZ, Daniele da Volterra, «Rassegna volterrana», VII, 1933, pp. 24-25. – W. STECHOW, sub voce Daniele Ricciarelli, in

Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, a c. di U.

THIEME – F. BECKER, XXVIII, Lipsia, Seemann, 1934, p. 257. – S. H. LEVIE, Der

Maler Daniele da Volterra 1509-1566, Colonia, Photostelle der Universität, 1962, pp.

116-122, 184. – R. LONGHI, Due pannelli di Daniele da Volterra, «Paragone», XV,

1964, pp. 36-37. - P. BAROLSKY, Daniele da Volterra, a catalogue raisonné, New York-

Londra, Garland, 1979, pp. 94, 97. - H. VON SONNENBERG, Raphael in der Alten

Pinakothek, Monaco, Prestel, 1983, pp. 21, 125. – T. PUGLIATTI, Giulio Mazzoni e la decorazione a Roma nella cerchia di Daniele da Volterra, Roma, Istituto Poligrafico e

Zecca dello Stato, 1984, pp. 22, 334. – L. TREVES, Daniele da Volterra and

Michelangelo. a collaborative relationship, «Apollo», CLIV, 2001, pp. 39-41. - V.

ROMANI, Daniele da Volterra, amico di Michelangelo, Firenze, Mandragora, 2003, pp.

134-135.

161 JACOPO DE’ BARBARI

Natura morta

Tavola di tiglio, 52 x 42.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 5066

Provenienza: dal 1764 presso il castello residenziale di Neuburg sul Danubio, nel 1804 a Schleißheim, dal 1810 presso la galleria di Augsburg, dal 1909 alla Pinacoteca

Firmata e datata 1504

Si tratta del dipinto più celebre e raffinato eseguito da de’ Barbari.

L’attribuzione e la datazione della tavola non hanno suscitato motivi di dibattito fra i critici, «grazie alla risolutiva firma apposta dall’artista sul cartellino»,198 a differenza, invece, dei precedenti iconografico-stilistici, attorno ai quali la critica si è a lungo interrogata.

Venturi nei taccuini aveva esclamato: «Finissimo»,199 giudizio confermato anche nella Storia: «tra le migliori pitture di Jacopo de’ Barbari è il quadro di natura morta, nella Galleria di Augsburg. Un pezzo di armatura lucente, con le maglie segnate a una a una, sta infisso a un chiodo insieme con una pernice, pendente con le piume morbide, le zampe rattrappite, inerti che proiettano sulla parete legnosa la loro lunga ombra; un pugnale passa obliquamente, bilanciandosi nel vuoto, attraverso l’armatura. Le incisioni, come i dipinti, ci mostrano l’avviamento

198 FERRARI 2006, p. 101. 199 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, Pisa, Biblioteca Scuola Superiore, c. 53R, n. 1445 382, 1896/7.

162 di Jacopo de’ Barbari a trasformare lo stile sui modelli tedeschi, stampandoli parecchie volte sui modelli del Dürer».200

Di quest’avviso è Ferrari (2006), il quale pone a fondamento del linguaggio stilistico-figurativo dell’artista proprio il «profondo naturalismo nordico maturato sulla base di un capillare confronto con Dürer».201

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 255-256. - A. VENTURI,

Storia dell’arte italiana, VII, 4, Milano, Hoepli, 1915, p. 686. - R. KULTZEN (a c. di),

Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, pp. 15-16. - S. FERRARI, Jacopo de’ Barbari. Un protagonista del Rinascimento tra Venezia e Dürer, Milano, Bruno Mondadori, 2006, pp. 101-103.

200 VENTURI 1915, p. 686. 201 FERRARI 2006, p. 101.

163 SEBASTIANO FLORIGERIO

Concerto

Tela, 91 x 115 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 1050

Provenienza: dalla Galleria del Conte Elz

1524 [Marini], ante 1533 [Tempestini]

L’opera entrò nella Pinacoteca come Pordenone; Crowe e Cavalcaselle (1875) e L.

Venturi (1913) invece la attribuirono a Sebastiano Florigerio.

Anche il Nostro riporta nelle carte: «Sebastiano Florigerio, come quello che vidi presso [*Molza]».202

Nel 1938 il catalogo della Pinacoteca riporta: «The picture is by a successor of

Pellegrino da S. Daniele. The double portrait nr. 158 in the Kaiser Friedrich

Museum Berlin, which has been tentatively ascribed to Calderari is by the same hand. According to Suida by Giulio Campi».203

L’opera è stata menzionata nei cataloghi della Alte Pinakothek fino al 1957, dal

1974 è conservata nei depositi.

Marini (1956) la colloca attorno al 1524, Tempestini (1988) «subito prima dell’attività padovana».204 Quest’ultimo, inoltre, pone in relazione la nostra tela con la Prova di concerto di Boccaccino (Coll. Priv.), segnalandone il carattere rustico e

202 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 1R, n 1084. 203 ILL. CAT. ALTE PINAKOTHEK 1938, p. 94. 204 TEMPESTINI 1988, p. 74.

164 provinciale del Florigerio. Da ultimo, ribadisce la parentela anche con gli Amanti di Altobello Melone (Staatliche Kunstsammlungen, Dresda, inv. 221).

La tela, secondo Poz (1987), si contraddistingue per i caratteri giorgioneschi ed

è rapportabile alla produzione matura del maestro. In particolare, la studiosa ravvisa un’affinità compositiva, data soprattutto dalla dispozione dei personaggi, con l’Andata al Calvario (ubicazione ignota).

Bibliografia:

E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue Alte Pinakothek, Monaco, C. Geber, 1938, pp. 93-94. - R. MARINI, Sebastiano Florigerio, Udine, Del Bianco editore, 1956, pp.

66, 83-84, ill. 6. – E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue Alte Pinakothek,

Monaco, Hirmer Verlag, 1957, p. 37. – A. POZ, Studi su Sebastiano Florigerio, «Arte

Cristiana», LXXV, 723, 1987, pp. 387-402. - A. TEMPESTINI, Sebastiano Florigerio e

Boccaccio Boccaccino, «Bollettino del Museo Civico di Padova», 1988, pp. 74-79.

165 BACCIO DELLA PORTA

DETTO FRA BARTOLOMEO

Adorazione del Bambino

Tavola, diametro 98.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 191

Provenienza: acquistata da Johann Metzger a Firenze per il Principe ereditario Ludovico (1814- 1816)

1495 circa

Il tondo, inizialmente attribuito a Lorenzo di Credi, venne riportato dal Lermolieff

(1891) fra le opere dell’anonimo maestro “Tommaso”.205

Nei taccuini Venturi, dopo averne segnalato l’importanza con due asterischi, aveva acutamente affermato: «Lorenzo di Credi. Tondo. È curioso come qui pure il san Giovanni abbia la stessa testa storta di quello della Galleria Borghese! Molto più curato il san Giuseppe che non sia tutto il resto»;206 nel Taccuino pittorico aveva poi continuato a sviluppare tale confronto: «Pseudo Credi con una barba gialliccia da Sassoferrato. Potrebbe essere [-quel] l’autore del pseudo Credi alla Borghese? Il

San Giuseppe qui richiama un po’ il San Giuseppe là».207

205 Secondo Morelli, “Tommaso” era un pittore formatosi presso Botticelli ed in seguito divenuto scolaro del Credi. Fahy (1996, p. 51) ricorda le obiezioni sollevate dalla critica riguardo l’infelice uso del nome “Tommaso”; l’insieme di opere rapportate al fittizio Tommaso non corrispondono con quelle di Tommaso di Stefano Lunetti, storicamente documentato fra il 1490c. e il 1564. Tuttavia, la critica non è stata in grado di assegnargli un nome alternativo. 206 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 61V, n. 1508 1017, 1896/7. 207 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 1017, ante 1910.

166 Nella Storia il Nostro (1907), riprendendo quanto annotato in precedenza, dichiarò: «probabilmente del “pseudo Credi”, autore di un tondo nella Galleria

Borghese, simigliante a questo».208

Van Marle (1931) e Degenhart (1932) proposero di rapportare il dipinto più genericamente alla scuola di Credi, o ad Antonio del Ceraiolo.

Il quadro rimase, tuttavia, legato al nome di Lorenzo di Credi fino al 1969, quando Fahy lo riportò definitivamente sub voce Fra Bartolomeo.

Di recente, Fahy (1996), a proposito del legame fra Lorenzo di Credi e Fra

Bartolomeo, ha spiegato come tra i due vi sia una forte «evidenza visiva, dal momento che l’opera probabilmente più antica di Fra Bartolomeo, il tondo con la

Adorazione del Bambino di Monaco è quasi una copia rovesciata del tondo di

Lorenzo di Credi al Metropolitan Museum. Quest’ultimo […] doveva essere un’opera notevole, e grandemente ammirata, dal momento che se ne conoscono cinque copie o varianti contemporanee. Bartolomeo ha rovesciato la composizione aggiungendovi di sua invenzione la figura di San Giuseppe addormentato sulla sinistra».209

Alla luce di nuove ricerche, Padovani (1996) rapporta l’opera al periodo giovanile, insieme col tondo Borghese (inv. 439) e con la tavola del Metropolitan di New York (inv. 06.171).

208 VENTURI 1907, p. 817. 209 FAHY 1996, p. 6.

167 Bibliografia:

A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, V, Milano, Hoepli, 1907, p. 817. - R. VAN

MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, XII, L’Aia, Nijhoff, 1931, p.

120. - B. DEGENHART, Die Schüler des Lorenzo di Credi, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», IX, 1932, pp. 140-141. - E. FAHY, The Early Works of Fra

Bartolommeo, «The Art Bulletin», LI, 1969, pp. 142-154. - S. PADOVANI (a c. di),

L’Età di Savonarola, Fra’ Bartolomeo e la scuola di San Marco, Venezia, Marsilio, 1996, pp. 6-7, 49-51.

168 FRA CARNEVALE

L’Annunciazione

Tavola di pioppo, 69.9 x 78 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 645

Provenienza: acquistato dal Principe ereditario Ludovico a Firenze presso l’abate Rivanni (1808)

1445 circa

Il dipinto venne acquistato come Masolino, tuttavia, da subito l’attribuzione risultò alquanto incerta: Filippo Lippi “in the spirit of Angelico” (Crowe e

Cavalcaselle, 1864), Jacopo del Sellaio (Mackowsky, 1899), Maestro francese (Voll,

1907), scuola del Lippi (nei cataloghi 1911-1957), Maestro della Natività di

Castello (Berenson, 1932), Maestro dei Pannelli Barberini (Zeri, 1953).

Anche Venturi si era trovato in quest’impasse, difatti, dapprima aveva lamentato il cattivo stato di conservazione, «molto guasto da restauri»,210 quindi, rifacendosi ai cataloghi, aveva commentato: «Scuola di Fra Filippo Lippi. Povero maestrucolo!»;211in seguito, aveva annotato: «Jacopo del Sellaio: Annunciazione

(primitivo)»;212 ed infine: «Può essere Pier Francesco fiorentino».213

Di recente, Christiansen (2005) ha riconosciuto la chiara derivazione dall’Annunciazione delle Murate di Filippo Lippi (inv. 1072); inoltre ha dimostrato

210 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55V, n. 1466 1007, 1896/7. 211 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 26 n. 1007, 1904. 212 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1007, ante 1910. 213 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 1007, ante 1910.

169 come nel sistema prospettico, in particolare, nella «fastidious attention given to the architecture»,214 si riveli la paternità di Fra Carnevale.

Syre (2007) ha accolto tale proposta ed ha catalogato l’opera sub voce Fra

Carnevale.

Bibliografia:

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42. - B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance, Oxford, Phaidon, 1932, p. 343.

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ZERI, Due dipinti, la filologia e un nome. Il Maestro delle tavole Barberini, Torino, 1961, pp. 21, 99. - C. SYRE (a c. di), Frühe italienische Gemälde aus dem Bestand der Alten

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Malerei, Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 81.

214 CHRISTIANSEN 2005, P. 184.

170 FRA FILIPPO LIPPI

L’Annunciazione

Tavola di pioppo, 203 x 185 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1072

Provenienza: acquistato dal Principe ereditario Ludovico a Firenze (1821)

1443-45 circa

L’attribuzione non è stata generalmente messa in discussione, ma il dibattito sulla datazione si è protratto a lungo.

Vasari (1568), Borghini (1584) e Richa (1755) proposero una datazione precedente al 1440, ipotesi questa ripresa da Crowe e Cavalcaselle (1870), Supino

(1902) e Mendelsohn (1909). Quest’ultimo precisò pure come l’opera non provenisse dalla chiesa di Santa Maria Primerana in Fiesole (come riportato nei cataloghi della Pinacoteca fin dal 1865, sulla scorta di un errato commento vasariano); ma bensì fosse stata commissionata per il Convento delle Murate a

Firenze. Di fatti, di tale luogo v’è traccia nel quadro: Lippi inserisce i muri di cinta del convento, il portale ed il santuario all’interno della scena (Holmes 1999).

L’opinione venturiana appare alquanto incerta nei taccuini. In un primo momento, infatti, Venturi la attribuisce a «Pier Francesco fiorentino», per le

«proporzioni non proprie di lui, lunghe».215 Il giudizio si fa più sicuro nella Storia, ove il Nostro (1911) afferma, in merito alla datazione: «Circa il tempo in cui fece il tondo della Collezione Cook, l’artista eseguì l’Annunciazione della Galleria di

215 VENTURI, Taccuino pittorico, c. 828R, n. 1005, ante 1910.

171 Monaco di Baviera, in un loggiato nello stile del Rinascimento. Non tutte le proporzioni sono quelle che diverranno proprie dell’artista, specialmente nella lunga figura dell’Annunziata; mentre proporzioni e tipiche forme si trovan già nell’Arcangelo che si genuflette e nell’angiolo che lo segue».216

Per quanto concerne la datazione, si registrano lievi oscillazioni tra la critica. Al

1443 o poco dopo la rapportarono Berenson (1932), Pudelko (1936), Pittaluga

(1949). Oertel (1942) e Ragghianti (1949), relazionandola agli affreschi del coro del

Duomo di Prato ed alla Pala di Annalena, la collocarono attorno al 1450. Ruda

(1993) la data a metà del 1440; Holmes (1999) nei primi anni ‘40 del Quattrocento;

Syre (1997) precisa l’intervallo 1443-1445, opinione che ribadisce anche nel più recente catalogo della Pinacoteca (Syre 2007).

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, II, Firenze, Sansoni, 1906, p. 617. - R.

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Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 150.

173 FRA FILIPPO LIPPI

Madonna col Bambino

Tavola di pioppo, 76.2 x 54.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 647

Provenienza: acquistato dal Principe ereditario Ludovico a Firenze presso l’abate Rivanni (1808), fino al 1836 a Schleißheim

1465 circa

La tavola è opera autografa e fra le più apprezzate di Filippo Lippi.

A partire da Crowe e Cavalcaselle (1870), la maggioranza della critica l’ha rapportata alla Madonna col Bambino degli Uffizi (inv. 1598) datata 1450, in ordine:

Lermolieff (1891), Ulmann (1893), Jacobsen (1897a), Berenson (1904), Supino

(1904), Mendelsohn (1909), Van Marle (1928).

Nei primi taccuini Venturi lamentava: «Rifatte le mani, le gambe, scolorato il rosso, l’azzurro, quasi tutto ridipinto. Vedere certe unghie grigie messe sul color de’ piedi, d’un brutto mattone. Il disegno si è perduto negli occhi, nelle facce».217

Nella Storia rapportava l’opera a quella «del barone Schlichting, […] la composizione è la stessa nei due lavori».218

Conformemente al cambio di datazione dell’opera conservata presso la raccolta fiorentina, operato da Pudelko (1936), anche la datazione della Madonna monacense è stata spostata al 1460-1465. Concordano Oertel (1942), Pittaluga

217 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 54, n. 1006, 1904. 218 VENTURI 1911, p. 591.

174 (1949) e Kultzen (1975); Syre (2007), invece, nel catalogo più recente della

Pinacoteca propone il 1465.

Bibliografia:

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Florentine painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s Sons, 1904, p. 123.

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C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei, Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 154.

176 FRANCESCO RAIBOLINI,

DETTO FRANCESCO FRANCIA

Maria col Bambino e due angeli

Tavola, 63.5 x 48.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1052

Provenienza: acquisto del Re Massimiliano II a Bologna presso la Galleria Zambeccari (1832)

1495 circa

L’opera è stata attribuita, senza particolari ostacoli, a Francesco Francia, escludendo l’ipotesi avanzata da Jacobsen (1897, 1899), il quale reputava solo gli angeli del maestro, mentre la Vergine col Bambino opera della scuola, nello specifico di Jacopo Boateri.

Hermanin (1898), Williamson (1904), Lipparini (1913) e Malaguzzi Valeri

(1921) ascrivono l’opera fra quelle del Francia, e così pure Venturi, il quale afferma senz’esitazione nei taccuini: «Bellissimo Francia!», «Meraviglioso

Francia».219 Ancora una volta, però, lamenta come la tavola «[abbia] perduto alquanto per la subita pulitura di lucentezza nel colorito, che doveva essere delizioso»; di fatti «il quadro gentilissimo è stato guasto, pulito, ha perduto l’osso suo, il colore»; aggiungendo in seguito: «Il rosso che si soffonde delicato, qui esce vivo nelle guance. Inaridito così il colore, manca di sostanza, del pigmento attraverso al quale si mostrava, del cristallo datogli dal Francia. Il suo bel rosso di

219 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 60R, n. 1501, 1896/7. ID., Taccuino pittorico, c. 834 R, n. 1040, ante 1910.

177 rubino non ha più lo splendore. L’azzurro tormentato dalla vernice strappatasi»;220

«doveva essere delizioso quanto il rosso il verde e l’azzurro e la lumeggiatura d’oro avevano il loro valore».221

Il Nostro conclude che, sebbene risulti «un po’ spulito, […] rende tutto, smaltato, [*intorno] al primo tempo del maestro»;222 ipotesi, quest’ultima, che aveva avanzato in un primo tempo nell’articolo del 1890, forse alla luce di Crowe-

Cavalcaselle (1874), e sostenuta poi dal Lermolieff (1891, 1897), da Oertel (1960) ed ancora da Roio (1998).

Al di là di tali problemi, nel Taccuino 1896/7, Venturi aveva descritto con grande accuratezza la tavola: «Curioso il colore de’ capelli dell’angiolo a. d’acciaio. Il velo della Vergine terminato come da puntolini bianchi. Manto bleu con risvolto verde nella Madonna, veste rossa. La Madonna e il Bambino stanno come [-dietro] innanzi a un parapetto coperto di velluto rosso e il Bambino posa sopra un parapetto coperto di damasco giallo a fiorami. Labbra d’un roseo vivo. Occhi un po’ tondi. Bella la piccola mano destra della Vergine. Fondo turchino chiaro luminoso. È curioso come le dita ripiegate della sinistra della Vergine e degli angioli si rassomiglino. La parte cornea dell’unghia è indicata da un contornino scuro e da due righe bianche parallele. Guancie rosate delle figure, palpebre rosate.

Rosati i lacrimatoi».223 L’attenzione si focalizza prevalentemente sui dettagli: «Il damasco su cui il Bambino poggia i piedi è a fiorami verdi su fondo giallo chiaro; un velluto rosso quello dello schienale su cui poggiano le mani i fanciulli. [L]’uno

220 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 33-53, n. 1040, 1904. 221 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 2V, n. 1040. 222 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 834R, n. 1040, ante 1910. 223 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 60R, n. 1501 1040, 1896/7.

178 di essi ha una ghirlandina di foglie d’alloro e di quercia intorno al capo fra i capelli fini d’argento, come niellati. L’altro un cordoncino intorno alla fronte [***] dolce tempie s’aggrappa a forma arco. A mezzo l’arco. Un gioiello azzurro o [la perla]. I capelli biondi».224

Questi particolari rivestono un ruolo importante anche nella descrizione presente all’interno della Storia. Il Nostro, infatti, dopo aver messo a confronto l’opera con il ritratto di Bartolomeo Bianchini (Londra, National Gallery), scrive: «La

Madonna col Bambino tra due angeli […] ci mostra come, pur mantenendo qualche elemento del quadro votivo del Bianchini, egli abbandonasse gli altri men consentanei alla sua natura. Mantenne il Bambino, pur facendolo meno ardito negli occhi e men disinvolto nella positura. La Vergine assume già il suo tipo muliebre, giovanile, dolce, nobilissimo, e tocca il Bambino con delicata commozione. […] i due angeli che stanno dalle parti mirano, quello di sinistra il gruppo divino, quella di destra lo spettatore. Le due teste degli angeli non sono disposte simmetricamente, a distanza affrontate; l’una e l’altra son volte anzi in uno stesso senso, quasi che il pittore temesse di cadere nella rigidezza simmetrica, nella monotonia dei canoni; benché le mani dei due angeli appoggiate a un libro si facciano perfetto riscontro. L’orafo è tornato a’ suoi amori nelle acconciature, nei colori smaltati, nel broccato a fiorami che si stende sul parapetto, nella tessitura del finissimo velo della Vergine con bianchi puntolini nell’orlo. Rimane la

224 A. VENTURI, Carte sciolte, cc. 2V, 3R, n. 1040.

179 plasticità già guadagnata, comincia a perdersi la metallicità nelle vesti e nelle stoffe splendenti».225

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181 FRANCESCO RAIBOLINI,

DETTO FRANCESCO FRANCIA

Madonna in adorazione del Bambino in un roseto

Tavola, 174.5 x 131.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, FRANCIA. AURIFEX. BONON […] inv. 994

Provenienza: collezione del Principe ereditario Ludovico

1495 circa

Interessante la vicenda circa la sua provenienza. Venturi (1885) identificò la destinazione originaria del dipinto nella chiesa modenese dei Cappuccini, grazie all’esistenza di una stampa che riproduceva una composizione simile con la scritta

“Ritratto della Madonna dei Cappuccini di Modena”. Di fatto, nel 1714 Lazzarelli faceva menzione di un’immagine con questa descrizione nella medesima chiesa.

I cataloghi della Pinacoteca monacense documentano con sicurezza la provenienza dell’opera solo a partire dal 1763, quando si trovava a Mantova nel convento francescano di S. Orsola; incerta la collocazione dal 1786.

All’inizio del XIX sec. è presente nella collezione del barone St. Saphorin, viene acquistata da Giuseppina Bonaparte (Lescure) ed infine passa nella collezione del Principe ereditario Ludovico I (1815). Trasferita nella galleria

Hofgarten di München (1822), in seguito all’Alte Pinakothek (1838).

182 L’attribuzione a Francesco Francia, riportata nei cataloghi della Pinacoteca sin dal 1822, venne temporaneamente sospesa da Passavant (1839), preferendo

Raffaello, in seguito alla scoperta di un’incisione in rame da parte di R. M. Frey.

L’opera, restituita al Francia, viene apprezzata da Venturi per la «grande finezza»226 e definita «immagine pura»; essa «rappresenta il Francia in un momento felice»227.

Di quest’opera esistono diverse copie, giacché, come ricorda Roio (1998), si tratta di un soggetto iconografico ampiamente diffuso in area lombarda. Spiccano fra esse la versione conservata presso il Kaiser-Friedrich Museum di Berlino, quella nella collezione veneziana Romei-Tosini, e quella di Verona presso il Museo di Castelvecchio. L’elenco completo è stilato nel volume di Negro-Roio (1998).

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226 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 2R, n. 1039. 227 VENTURI 1914, p. 916.

183 F. A. Brockhaus, 1891, pp. 100-101. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A history of painting in North Italy, II, Londra, ed. Borenius, 1912, p. 276. - A.

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Modena, Artioli Ed., 1998.

184 BENVENUTO TISI,

DETTO IL GAROFALO

Madonna col Bambino

Tavola, 49 x 37 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1026

Provenienza: Nymphenburg

1510 circa

Non ha riscontrato particolari difficoltà il percorso attributivo di quest’opera. A lungo dibattuta, invece, la sua collocazione temporale.

Lermolieff (1891) propose di datarla nel primo ventennio del Cinquecento.

Venturi, nelle carte fino ad oggi inedite, la ascrisse al «Garofalo primitivo».228

Neppi (1959) e Mazzariol (1960) la considerarono, piuttosto, un’opera tarda e prossima alla Resurrezione di Lazzaro (1532/34). Novelli (1981) e Fioravanti Baraldi

(1977, 1993) in tempi più recenti propongono la medesima ipotesi venturiana, sulla base del carattere composito della tavola, il quale si dimostra ancora transitorio, di maturazione sia nella maniera costesca-boccaccinesca, sia nel giorgionismo, così come nella lezione del Perugino.

Novelli (1981), inoltre, pone l’accento sulla presenza del cartone raffaellesco a

Ferrara negli anni 1518/20, il quale, a suo parere, influì decisamente sul tratto del

Garofalo. Fioravanti Baraldi (1993) propone, dunque, una collocazione a cavallo

228 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 5R, n. 1082.

185 fra l’Adorazione di Strasburgo e la Madonna col Bambino della Galleria Capitolina in

Roma.

L’opera è attualmente conservata presso i depositi della Alte Pinakothek.

Bibliografia:

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Phaidon, 1968, p. 156. - A. NEPPI, Il Garofalo, Milano, Silvana Editoriale, 1959, pp.

37, 55. - G. MAZZARIOL, Il Garofalo, Venezia, Lombroso Ed., 1960, p. 29. - M.

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178. - A. M. FIORAVANTI BARALDI, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559),

Rimini, 1993, p. 109. - T. KUSTODIEVA (a c. di), Il Garofalo, Milano, Skira, 2008.

186 BENVENUTO TISI,

DETTO IL GAROFALO

Madonna con i Santi Michele Arcangelo e Giovanni Battista

Tavola, 64 x 59 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 26

Provenienza: fino al 1836 Hofgartengalerie, nella Galleria di Erlagen dal 1906 al 1910, n. 119; nel 1938 nella Galleria di Zweibrücken.

1520 circa

L’opera, definita «ganz ferraresich in Malerei und Figurenauffasssung»,229 rimase nel catalogo delle opere del Mantegna fino al 1872, sebbene risultasse d’indiscussa paternità garofalesca «per le evidenti consonanze stilistiche»230 con la Madonna con

Bambino e Santi della National Gallery di Londra (1517), con la Madonna del Pilastro

(1517) e il Noli me tangere (1519/25) della Pinacoteca ferrarase.

Lermolieff (1891), così come Reber (1911), la giudicò un lavoro giovanile del maestro, in cui «der Einfluss des Dosso ist […] noch sehr sichtbar».231

Del «monotono» e «compassato Garofalo»232 e, in particolare, di quest’opera, menzionata nel solo elenco generale della Storia,233 Venturi così commenta nelle carte: «Debole tutto. Discreta solo la figura di Michele arcangelo ha un po’ di

229 MARGGRAFF 1872, p. 110. 230 FIORAVANTI BARALDI 1993, p. 133. 231 LERMOLIEFF 1891, p. 100. 232 VENTURI «L’Arte» 1933, pp. 385, 390. 233 VENTURI 1929, p. 318

187 grandezza, ma non ha la forza del trionfatore»,234 come il San Michele di Raffaello, il cui cartone era giunto a Ferrara attorno al 1518 e successivamente inviato a

Fontainebleu presso Francesco I di Francia.

Fioravanti Baraldi (1993), a questo proposito, osserva come la tavola risulti essere «pura citazione accademica […] il linguaggio rigorosamente formale dell’opera, ma pur intensificato da una commossa religiosità, lo avvicina […] ai modi di Fra’ Bartolomeo mutuati da Ortolano».235

Bibliografia:

R. MARGGRAFF (a c. di), Die ältere Pinakothek zu München, Monaco, C. R. Schurich,

1872, p. 110. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol.

2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 99-100. -

M. NOVELLI, Dipinti ferraresi nei depositi dell’Alte Pinakothek di Monaco, in «Cultura figurativa ferrarese tra XV e XVI secolo», Venezia, Arte e Grafica, 1981, pp. 169-

178. - C. SYRE, Ein unbekanntes Gemalde des Garofalo in der Alten Pinakothek,

«Bayerische Staatsgemäldesammlungen », Jahresbericht 2001-2002, Munchen,

2004, pp. 16-19. - T. KUSTODIEVA (a c. di), Il Garofalo, Milano, Skira, 2008.

234 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56R, n. 1474 1081, 1896/7. 235 FIORAVANTI BARALDI 1993, p. 133.

188 BENVENUTO TISI,

DETTO IL GAROFALO

Compianto sul Cristo deposto

Tavola centinata trasportata su tela, 243 x 153 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 295

Provenienza: Chiesa di San Francesco di Argenta (FE), acquistata dal Re Ludovico I a Roma presso la famiglia Braschi (1867), attualmente conservata nei depositi della Alte Pinakothek

M. D. LXXX. LVIO.

La tavola del Garofalo datata M. D. LXXX. LVIO. fu più volte soggetta a letture errate, prima fra tutte quella del Baruffaldi (1697), il quale s’ingannò in particolar modo sul soggetto, interpretandola come Resurrezione di Lazzaro del 1520, anziché come Compianto sul Cristo deposto. L’equivoco, benché corretto da Boschini nelle note alla nuova edizione di Baruffaldi (1844), venne ripetuto dal Laderchi (1856) in un passo in cui riportava il trasferimento dell’opera da Argenta a Roma, in seguito all’acquisto da parte di G. Battista Petrazzani. L’errore, però, questa volta fu duplice: la pala venne nuovamente letta come Resurrezione e, inoltre, datata al

1538. Nella sua monografia su Garofalo, Cittadella (1872) riprese la data 1520, presumibilmente desunta da Baruffaldi.

Sulla stregua di questo terribile intrico anche Venturi inciampò. Nel regesto della produzione garofalesca, infatti, il Nostro (1929) iscrisse la pala al 1538.

Sebbene i cataloghi della Pinacoteca fino al 1838 confondessero il dipinto con la Deposizione dell’Ortolano - proveniente dalla collezione Camuccini e riportata da

189 Dillis presso la Galleria Borghese a Roma (1805) -, Venturi già nei taccuini del

1896/7 aveva annotato: «La Pietà del Garofalo. […] È un quadro dove il Garofalo sembra stare sotto l’influsso dell’Ortolano, specialmente in certe forme che il

Garofalo avrebbe rese più delicate, men crude di colore, meno rusticane. Buona cosa».236

Per quanto riguardava la datazione, nei taccuini, aveva osservato: «Non è tra le cose migliori. Appartiene al tempo in cui il maestro affollava le sue composizioni, e si faceva nerastro ne’ contorni».237 Nella Storia, nuovamente, l’aveva riportata in modo errato al 1538.

Fioravanti Baraldi (1993) colloca la pala dopo la Deposizione di Brera (1527), ovvero, negli anni in cui la produzione del maestro risente di una «composizione semplificata ed altamente emotiva»,238 di ascendenza dossesca.

In merito alla provenienza, oggi consolidata, Bargellesi (1972) fornisce uno studio minuzioso e dà notizia d’una copia seicentesca dell’opera, conservata presso la chiesa di San Zenone a Consandolo (FE).

Bibliografia:

G. BARUFFALDI, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, I, 1697-1722, Ferrara, Ed. Taddei,

1844, pp. 350-351. - L. N. CITTADELLA, Benvenuto Tisi da Garofalo, pittore ferrarese del secolo XVI, II, Ferrara, Taddei, 1872, pp. 38-39. - C. LADERCHI, La pittura ferrarese:

236 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 58V, n. 1493 1080, 1896/7. 237 VENTURI, Carte sciolte, c. 3V, n. 1080. 238 FIORAVANTI BARALDI 1993, p. 209.

190 memorie, Ferrara, Servadio, 1856, p. 88. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 100. - G. GRUYER, L’art Ferrarais à l’époque des princes d’Este:

Ouvrage couronné par l’Academie des inscriptions et belles-lettres Prix Fould, II, Parigi, Plon,

1897, p. 319. - G. GRONAU, Handbuch der Kunstgeschichte, vol. XIV, (Die Kunst der

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Milano, Hoepli, 1929, p. 284. - F. VON REBER, Katalog der Gemalde Galerie, Monaco,

Carl Geber, 1930, p. 59. - B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, Milano,

Hoepli, 1936, p. 187. - V. D. BERCKEN (a c. di), Catalogue of the Alte Pinakothek,

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III (Central Italian and North Italian schools), Londra, Phaidon, 1968, p. 156. - A.

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Garofalo, Venezia, Lombroso Ed., 1960. - G. BARGELLESI, La Deposizione del

Garofalo già ad Argenta, «Musei Ferraresi», II/72, 1972, pp. 37-40. - A. M.

FIORAVANTI BARALDI, Benvenuto Tisi da Garofalo tra Rinascimento e Manierismo: contributo e catalogazione delle opere dell’artista dal 1512 al 1550, Ferrara, Industrie

Grafiche, 1977, pp. 60, 140-141. - A. M. FIORAVANTI BARALDI, Il Garofalo,

Benvenuto Tisi pittore. Catalogo generale, Rimini, Luisè Editore, 1993, pp. 208-209.

191 DOMENICO DI TOMMASO BIGORDI

DETTO DOMENICO GHIRLANDAIO

Madonna col Bambino e i Santi Domenico, Michele, Giovanni il Battista e Giovanni l’Evangelista

San Lorenzo

Santa Caterina da Siena

Tavola di pioppo, 213 x 59 cm 221 x 198 cm 211 x 60 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1077, 1078, 1076

Provenienza: acquisto del Principe ereditario Ludovico I a Firenze (1816)

1494 circa

Fra il 1565 e il 1566 Vasari si occupò dei lavori di rinnovo nella chiesa di Santa

Maria Novella a Firenze, durante i quali l’altare maggiore originale venne sostituito. Proprio in merito a quest’altare, il Vasari (1568) ci informa che era stato commissionato da Giovanni Tornabuoni a Domenico Ghirlandaio, ma che l’opera era rimasta incompiuta a causa della sopraggiunta morte del pittore. Tale altare venne spostato in una cappella laterale, dove, nel 1804, fu nuovamente rimosso, in favore di quello progettato da Giuseppe del Rosso, e così smembrato. I pannelli furono venduti al Friedrich-Kaiser-Museum di Berlino (Sant’Antonino e San

Vincenzo Ferrer; distrutti dopo il 1945), all’Alte Pinakothek di Monaco (Santa

Caterina da Siena e San Lorenzo), una tavola (San Pietro Martire) andò a Luciano

Bonaparte (oggi alla Fondazione Magnani-Rocca di Reggio Emilia) ed una (Santo

Stefano) al Museo di Belle Arti di Budapest.

192 Sulla scorta del giudizio vasariano si mossero Crowe e Cavalcaselle (1864/66) e

Steinmann (1897), i quali riscontrarono, oltre a quelli del Ghirlandaio, gl’interventi di Davide, Benedetto e Granacci. Concorde anche Jacobsen (1904), il quale attribuiva, inoltre, la Madonna col Bambino a Mainardi. Berenson (1909) assegnava l’intera opera a Granacci, mentre Davies (1908) segnalava come i due Santi dei pannelli conservati a Monaco fossero dipinti ad olio, attribuendoli pertanto a

Mainardi.

Fin dai Taccuini 1896/7, anche Venturi s’interroga se si possa trattare del solo maestro: «Tutto? Parmi in gran parte opera della bottega».239 Egli nota come «si sono date a Bastiano Mainardi tante cose come queste può si, quel violaceare delle carni è granaccesco, almeno come il 1011»,240 ipotesi inserita anche nella Storia, ove afferma: «Si vede la parte mediana dell’ancona, con certe tinte violacee delle carni particolari del Granacci, e due parti laterali (nn. 1012, 1013) con San

Lorenzo e Santa Caterina da Siena, opera del Mainardi».241 Inoltre, «la grandiosità degli altri due Santi (1012-1013) farebbe pensare ad altro che non sia il Mainardi.

Ma inganna sin qui dove cominci il Ghirlandaio o finisca il Mainardi e gli altri

Ghirlandai[o] non è chiaro».242

Nella Storia Venturi (1911) concludeva, quindi, che la Madonna col Bambino di

Monaco fosse del Granacci, i Santi Lorenzo e Caterina del Mainardi, e quelli di

Berlino della bottega, ad esclusione di Benedetto.

239 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62V, nn. 1001, 1002, 1003, 1896/7. 240 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 828R, n. 1013, ante 1910. 241 VENTURI 1911, p. 768. 242 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 828R, n. 1013, ante 1910.

193 Berenson (1963) riprendeva questa supposizione, aggiungendo che la

Resurrezione fosse da attribuire a Davide, con l’eccezione del paesaggio, ove si scorgeva nuovamente la mano del Mainardi.

Posizione singolare quella di Holst (1974), il quale ipotizza che Ghirlandaio avesse preparato tutti i cartoni e li avesse poi distribuiti ai vari collaboratori, in modo da evitare una netta distinzione delle mani.

Infine, Cadogan (2000) attribuisce univocamente a Domenico il pannello centrale raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, escludendo solo gli angeli, le figure inginocchiate ed il paesaggio. Questi ultimi, eseguiti ad olio, mostrano una durezza nei tratti, insolita nei lavori autografi del maestro.

La tavola centrale insieme ai pannelli con Santa Caterina e San Lorenzo risultano, da ultimo, inseriti presso l’Alte Pinakothek (Syre 2007) nell’elenco delle opere del Ghirlandaio.

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, Firenze, Sansoni, V, p. 340, VI, p. 532. – J.

A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, A new History of painting in Italy from the Second to

Sixteenth Century, Londra, Murray, II, p. 483-484, III, p. 519, 536. – E.

STEINMANN, Ghirlandajo, Bielefeld, Velhagen&Klasing, 1897, pp. 79-80. – E.

JACOBSEN, Studien zu einem Gemälde aus der Ghirlandajo-Werkstatt in der Berliner

Galerie, «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», XXV, 1904, pp. 185-195.

– G. S. DAVIES, Ghirlandaio, Londra, Methuen, 1908. - B. BERENSON, The Florentine

194 painters of the Renaissance, New York, Putnam, p. 145. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 1, Milano, Hoepli, 1911, pp. 724, 767, 773. - B. BERENSON, Italian pictures of Renaissance, 2 vol., (Florentine school), Londra, Phaidon, 1963, pp. 75, 99. -

C. VON HOLST, Domenico Ghirlandaio, l’Altare maggiore di Santa Maria Novella a

Firenze ricostruito, «Antichità viva», VIII, 3, 1969, pp. 36-41. - J. K. CADOGAN,

Domenico Ghirlandaio, New Haven-Londra, Yale University Press, 2000, pp. 67-90,

236-2424. - R. G. KECKS, Domenico Ghirlandaio und die Malerei der Florentiner

Renaissance, Monaco, Berlino, Deutsch Verlang, 2000, n.16. - C. SYRE, Alte

Pinakothek, Italienische Malerei, Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 108.

195 GIOVAN PIETRO RIZZOLI

DETTO IL GIAMPIETRINO

Madonna col Bambino

Tavola, 77 x 61 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. WAF 763

Provenienza: acquistata per Re Ludovico I s. d.

Riportata nei cataloghi della Pinacoteca fino al 1908, l’opera era riferita quale copia della Madonna della Galleria Borghese. Lo stesso Venturi riporta: «Giovanni

Pedrini. Madonna col Bambino. È la copia antica di quello della Galleria Borghese

(copia di un garofalesco)».243

Le somiglianze con la Madonna della Galleria Borghese lasciano pensare che le parole di Marani possano estendersi anche a quest’ambito.

«Del successo di soggetti qi questo genere non deve stupire, né, tantomeno, il fatto che il

Giampietrino li replicasse in identici formati, anche a distanza di tempo, forse impostando nella sua florida bottega una prassi operativa che prevedeva un processo di esecuzione che partica da formati prestabiliti, e che avevano costi precisi a seconda del formato».244

243 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56R, n. 1475 1047. 244 MARANI 1998, pp. 280-281.

196 Bibliografia:

F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in

München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1908, p. 223.

197 GIORGIONE DA CASTELFRANCO (ATTRIBUITO)

Busto di giovane uomo

Tavola di pioppo, 69.4 x 53.6 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 524

Provenienza: collezione Van Veerle di Anversa (1650), registrato dal 1748 nel Castello di Schleißheim, passato all’Hofgartengalerie nel 1781, in seguito all’Alte Pinakothek (1836)

1510 circa

L'immagine è uno dei capolavori della prima ritrattistica veneziana. Quantunque celebre a suo tempo, né il suo autore, sebbene sul verso vi sia la scritta tardo cinquecentesca: «Giorgione de Castelfranco F. / Maestro de Titiano»; né l'identità del giovane soggetto, ci sono indubitatamente noti. Difatti, nelle fonti l’opera è variamente descritta.

Nell’incisione di Wenzel Hollar, che la documenta ad Anversa nel 1650, il personaggio ritratto è indicato come «Bonamico Buffalmacco. Pitore in Venetia»; tuttavia, in seguito alla pubblicazione delle Maraviglie dell’arte di Ridolfi (1648), si ritenne che l’effigiato fosse un membro della famiglia Fugger. Di fatto, Ridolfi annoverava fra le opere giorgionesche il ritratto «d’un tedesco di casa Fuchera, con pelliccia di volpe in dosso, in fianco in atto di girarsi. Questo ritratto […] [era] nelle case de’ signori Giovanni e Jacopo von Voer in Anversa».245

Anche Vasari (1568) aveva parlato di un’opera giorgionesca dedicata ad un

Fugger, ma l’opera non poteva essere la stessa di cui faceva menzione Ridolfi, in

245 C. RIDOLFI 1914-1924, p. 106.

198 quanto nell’esempio vasariano si doveva far riferimento ad un dipinto su carta o su pergamena.246

Nei cataloghi della galleria Granducale e dell’Hofgartengalerie l’opera era annoverata tra quelle di Giorgione, in quelli della Pinacoteca (1884-1922), invece, fra quelle di Palma il Vecchio, prendendo a testimone un altro racconto vasariano.

Mündler (1865), difatti, aveva messo erroneamente in relazione il suddetto passaggio, inerente ad un autoritratto di Palma il Vecchio, con la tavola monacense. A questo stesso risultato erano approdati, per vie diverse, anche

Crowe e Cavalcaselle (1871), Jacobsen (1897a), Hermanin (1898), Schmidt (1900),

Justi (1908), Suida (1931), Gombosi (1932) e Berenson (1932, 1957).

In tale direzione si ritrova anche il Venturi dei taccuini, benché con qualche perplessità: «Palma Vecchio. Ritratto d’uomo. Non potrebbe essere un Domenico

Capriolo? Per le proporzioni sì, ma c’è pure il segno rotondeggiante di Palma. È il

Palma con tutta probabilità!».247

Nella Storia, invece, il giudizio appare svicolare da influenze esterne e s’avvia verso un’attribuzione a Domenico Mancini. Venturi scrive: «Se realmente il quadro […] è opera di Domenico; esso rappresenta il seguace di Giorgione in un momento di abbandono senza più freni alla libertà improvvisatrice del tocco accennata nel fulgido angioletto della pala di Lendinara».248

246 VOLPE-LUCCO 1980, p. 94 247 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1486, 1986/7. 248 VENTURI 1928, p. 491.

199 A questa proposta aderì il Robertson (1955), mentre, seppur non concordando sul nome, si mantennero nella cerchia del Giorgione Richter (1937), Della Pergola

(1955), Baldass-Heinz (1964).

Vi fu poi una folta schiera di critici che attribuì la tavola a Tiziano. Fra questi

Morassi (1942), Ragghianti (1945), Pignatti (1955, 1969), Pallucchini (1969), soprattutto, sulla base del legame con il Bravo del Kunsthistorisches Museum di

Vienna.

Kultzen, nella redazione del catalogo della Pinacoteca (1975), preferì qualificare la tavola con un’etichetta neutrale, quale «Pittore veneziano del primo quarto del

XVI secolo». Quest’ultimo giudizio, di fatto, sintetizza l’esigenza di ascrivere comunemente l’opera alla cultura veneziana del primo decennio del Cinquento, nonostante si fatichi nel concordare una paternità univoca.

Le più recenti proposte di Volpe-Lucco (1980) mettono in campo per la prima volta il nome di Sebastiano del Piombo, in quanto la tavola permetterebbe «una migliore comprensione del periodo iniziale, “giorgionesco” dell’artista».249

A tali affermazioni sono seguite quelle di Hornig (1987), accettate anche da

Syre (2007) e suffragate dall’attuale catalogo dell’Alte Pinakothek, che riporta nuovamente l’opera sotto la paternità giorgionesca.

249 VOLPE-LUCCO 1980, p. 94.

200 Bibliografia:

O. MÜNDLER, Marggraf, Rudolf: Katalog der K. Gemälde-Galerie in Augsburg- München,

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371. - C. RIDOLFI, Le maraviglie dell’arte ovvere le vite degli illustri pittori veneti e dello

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Grote, 1914-1924, p. 106. - L. JUSTI, Giorgione, II, Berlino, Reimer, 1926, pp. 336-

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– B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance, I (Venetian school), Londra, 1957, p. 124, n. 76. - L. BALDASS - G. HEINZ, Giorgione, Vienna-Monaco, Schroll, 1964. -

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31. - P. RYLANDS, Palma il Vecchio. L’opera completa, Milano, Mondadori, 1988, pp.

210-211. - A. J. MARTIN, sub nome Giorgione, «Allgemeines Kunstlexikon», LIV,

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Skira, 2009.

202 GIOTTO DI BONDONE

L’ultima cena

La Crocifissione

La discesa di Gesù nel Limbo

Tavole di castagno, 42.5 x 43 cm ciascuna

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 643, 667, 5295

Provenienza: donazione Principe ereditario Ludovico I (1805), inv. 643; acquisto del Re Massimiliano I presso i Conti Lucchesi (1813), inv. 667, 5295

1306/7 circa

I pannelli presenti a Monaco L’Ultima Cena (inv. 643), La Crocifissione (inv. 667) e

La discesa di Gesù nel Limbo (inv. 5295) sono parte d’una serie di sette scene raffiguranti la vita di Cristo, realizzate nel 1306 circa, immediatamente dopo la conclusione degli affreschi della cappella Arena (o degli Scrovegni) di Padova. Il ciclo originariamente composto da un’unica tavola di pioppo, in seguito, venne smembrato e disperso. Oltre le tavole monacensi si hanno: L’Adorazione dei Magi, conservata presso il Metropolitan Museum di New York; la Deposizione, presso la

Collezione Berenson Villa I Tatti di Settignano; La presentazione al Tempio alla

Isabella Gardner Museum di Boston; infine, la Pentecoste alla National Gallery di

Londra.

Secondo il Gordon (1989) tale ciclo è da ritenersi un polittico, presumibilmente destinato all’altare maggiore della chiesa di San Francesco in Rimini e non una predella, poiché, se così fosse stato, le dimensioni sarebbero ridotte.

203 Longhi (1930), in accordo con Van Marle (1920b), suggeriva di relazionare la

Madonna Goldman con «le stupende tavoline con fatti di Cristo, spartite fra i

Musei di Monaco e di Nuova York, e le collezioni Gardner e Berenson».250 Inoltre riteneva che tali scene potessero costituire un paliotto, destinato ad una chiesa di

Frati minori, in quanto nella Crocifissione sono presenti ai piedi della croce San

Francesco e due nobili committenti. L’ipotesi ricade ancora una volta su «Santa

Croce, dove, secondo la migliore lezione dei Commentari Ghibertiani, Giotto dipinse quattro cappelle et quattro tavole».251 Di contro, Jacobsen (1897a) e

Morelli (1898) avevano dubitato che le tavolette facessero parte della serie che ornava i banconi della sagrestia di Santa Croce.

Per quanto concerne la committenza e la destinazione dell’opera non si hanno notizie certe, né opinioni concordi tra gli studiosi.

L’attribuzione a Giotto delle tre tavolette ha trovato sostanziale consenso da parte della critica, benché a cavallo fra XIX e XX secolo vi fosse una maggior propensione a considerarle più generalmente di scuola giottesca. Tale tendenza fu forse motivata soprattutto dai cattivi restauri conservativi subiti dalle opere.

Crowe e Cavalcaselle (1886) le giudicano inizialmente opere di Giotto; nell’edizione Douglas (1903-11), invece, ipotizzano che siano il frutto di un allievo di Taddeo Gaddi. Thode, così come il Lermolieff (1891), ne riconoscono la paternità giottesca; Rintelen da parte sua è dubbioso ed ascrive in toto i pannelli alla scuola. Jacobsen (1897a) e Berenson (1932), invece, riscontrano la mano di Giotto in alcune delle teste de La Crocifissione. In particolare, lo Jacobsen (1897a) ritiene

250 LONGHI 1930, p. 290. 251 Ibidem.

204 che solo la Cena sia opera di Giotto, mentre nella Crocifissione, appunto, il maestro abbia dipinto solo alcune figure e che il Limbo sia opera della scuola. Sirèn (1917), oltre a constatare quanto i pannelli si trovino in cattive condizioni, in particolar modo «the Crucifiction has lost still more in the hands of the modern restorer»252, e quindi quanto sia difficile cogliere con certezza la mano dell’autore, reputa, tuttavia, che si tratti principalmente del maestro e di suoi aiuti. Ugualmente si comporta Van Marle (1920). Weigelt (1925) e Hendy (1928), respingendo l’ipotesi diffusasi che l’autore fosse il pittore del Santo Stefano del Museo Horne a Firenze e della Madonna della collezione Goldman, ascrivono la serie a Giotto.

Ugualmente Venturi, pur con qualche perplessità, attribuisce l’opera a Giotto, scrivendo difatti: «È lui, ma indebolito, infiacchito, senza rilievo»;253 e sottolinea inoltre come il quadro abbia «perduto di saldezza di forme»254. Parimenti, per La discesa di Gesù nel Limbo lamenta il fatto che a causa del «restauro [sia] irriconoscibile».255

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 134, 203. - J. A. CROWE -

G. B. CAVALCASELLE, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, I, Firenze,

Le Monnier, 1886, p. 589. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Storia della pittura

252 SIRÉN 1917, p. 81. 253 A. VENTURI, Taccuino 1904, Pisa, Biblioteca Scuola Superiore, c. 40, n. 981, 1904. 254 Ivi, c. 65, n. 981. 255 Ivi, c. 40, n. 982.

205 in Italia dal secolo II al secolo XVI, II, III, nota 5, Londra, ed. Douglas, 1903-14. - F.

RINTELEN, Giotto und die Giotto-Apokryphen, Monaco, Müller, 1912, p. 223. - O.

SIRÉN, Giotto and some of his followers, I, Londra, H. Milford, 1917, pp. 81-83. - R.

VAN MARLE, Recherches sur l’iconographie de Giotto et de Duccio, Strasburgo, J. H. Ed.

Heitz, 1920, III, p. 186 e ss. - C. H. WEIGELT, Giotto: des Meisters Gemalde,

Stoccarda, Deutsche Verlags-Anstalt, 1925, p. LV. - H. THODE, Giotto, Lipsia,

Velhagen&Klasing, 1926, p. 139. - P. HENDY, The Supposed 'Painter of Saint Stephen',

«The Burlington Magazine», LII, 303, 1928, pp. 284 - 295. - R. LONGHI, Progressi nella reintegrazione d’un polittico di Giotto, «Dedalo», XI, 1930, pp. 285-291. - B.

BERENSON, Italian Pictures oft he Renaissance, Londra, Oxford University Press,

1932, p. 235. - R. OERTEL, Die Fruhzeit der italienischen Malerei, Stoccarda,

Kohlhammer, 1966, p. 98. – R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5

(Italienische Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, p. 52. - D. GORDON, A dossal by

Giotto and his workshop: Some problems of attribution, provenance and patronage, «The

Burlington Magazine», CXXI, 1037, 1989, pp. 524- 531. - R. AN DER HEIDEN, Die

Alte Pinakothek: Sammlungsgeschichte, Bau und Bilder, Monaco, Hirmer, 1998, pp. 354-

357. - W. JACOBSEN, Die Maler von Florenz zu Beginn der Renaissance, Monaco-

Berlino, Deutscher Kunstverlag, 2001, p. 226.

206 GIROLAMO DEL PACCHIA

Madonna col Bambino e quattro angeli

San Bernardino da Siena e due angeli

Tavole di pioppo, rispettivamente 61 x 43 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 758, 759

Provenienza: acquistate per il Principe ereditario Ludovico I (1826) s.d.

Le tavole sono documentate nel catalogo della Pinacoteca a partire dal 1838.

Dal 1872 vengono ascritte a Giacomo Pacchiarotto, tale denominazione lascerà i critici in dubbio fino al 1884, quando verrà designato concordemente quale

Girolamo del Pacchia. Nel frattempo, Crowe e Cavalcaselle (1872) avevano riunito le due tavole e Lermolieff (1891), sulla scorta del Milanesi (1873), aveva associato dette opere con quelle realizzate per il cataletto della compagnia di San

Bernardino presso San Francesco di Siena e datate 1515; analogamente Venturi

(1932), Brandi (1932) e Berenson (1936, 1968).

Il Nostro, già nei taccuini, ascrisse le tavolette al maestro, benché nel catalogo della Pinacoteca gli fossero attribuite solo dubitativamente: «Girolamo del

Pacchia. Madonna e angioli», «Girolamo del Pacchia. San Bernardino e angioli».256

In seguito, ad eccezione di Hutton (1909), il quale aveva ravvisato la mano di

Peruzzi, l’attribuzione al Pacchia non venne più messa in discussione.

256 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 834R, nn. 1058, 1059, ante 1910.

207 Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, IV, 2, Lipsia,

Hirzel, 1872, p. 401. - G. MILANESI, Sulla storia dell’arte toscana (scritti varj), Siena,

Lazzeri, 1873, p. pp. 227-228, 231. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die

Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 131. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A history of painting in Italy, III, Londra, ed. Hutton, 1909, p. 361. - E. HUTTON, In unknown Tuscany,

Londra, Methuen, 1909. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 5, Milano,

Hoepli, 1932, pp. 344, 354. - C. BRANDI, sub voce Girolamo del Pacchia, in

Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XXVI,

Lipsia,1932, p. 115. - B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli,

1936, p. 348. - B. BERENSON, Central Italian and North Italian Schools, I, Londra,

Phaidon, 1968, p. 307.

208 FRANCESCO GRANACCI

Santa Apollonia

Tavola di castagno, 126.6 x 61.8 cm

Santa Maria Maddalena

Tavola di castagno, 126.3 x 61.6 cm

San Giovanni Battista

Tavola di castagno, 127 x 61.3 cm

San Girolamo

Tavola di castagno, 125.8 x 61.5 cm,

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, invv. 1066, 1068, 1067, 1065

Provenienza: altare maggiore del convento delle monache di Sant’Apollonia, Firenze; acquistate per il Principe ereditario Ludovico I (1817) dal 1850 di proprietà dello Stato

1528-1530 circa [Holst]

Vasari (1550) ci informa che presso il convento delle monache di Sant’Apollonia

«dipinse il Granaccio alcune figurette piccole a olio et alcune grandi».257 La notizia venne accettata concordemente dalla critica, nonostante il Lermolieff commentasse «col solito piglio di scettico disamorato»258 che le opere «geben uns keinen besonders günstigen Begriff von Granacci’s Kunst».259

Venturi, sia nei taccuini, sia nella Storia, menziona le tavolette come appartenenti al Granacci, senza però fornire alcun commento.

257 VASARI 1550, p. 856. 258 Cfr. LONGHI in AGOSTI 1996, p. 89. 259 LERMOLIEFF 1891, p. 132.

209 Le opere sono state riportate nei cataloghi della Pinacoteca fino al 1957 e risultano presenti anche nell’elenco delle opere autografe stilato da Holst (1974); attualmente sono conservati nei depositi della Alte Pinakothek.

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite dei più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze, Lorenzo Torrentino, 1550, p. 856. - G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, V, a c. di G. MILANESI, Firenze, Sansoni, 1880, p. 344. - R.

BORGHINI, Il riposo in cui della pittura e della scultura si favella, Firenze, Marescotti,

1584; ristampa anastatica, Hildesheim, Olms, 1969, p. 447. - J. A. CROWE - G. B.

CAVALCASELLE, A new History of painting in Italy from the Second to Sixteenth Century,

III, Londra, 1866, pp. 537-538. - G. CAROCCI, L’illustratore fiorentino, Firenze, 1880, p. 36. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die

Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 132. - B.

BERENSON, The Florentine Painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s

Sons, 1896, p. 115. - H. THODE, Michelangelo, II, 1908, p. 137. – A. H. SPRINGER -

G. GRONAU, Kunst der Renaissance in Italien, I, Stoccarda, 1920, p. 501. - A.

VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 1, Milano, Hoepli, 1925, p. 489. - S. J.

FREEDBERG, Painting of the High Renaissance in Rome and Florence, Cambridge,

Harvard University Press, 1961, p. 492 e ss. - B. BERENSON, The Florentine school,

1963, p. 99. - C. VON HOLST, Francesco Granacci, Monaco, Bruckmann, 1974, p.

165.

210 ERCOLE GRANDI

Ritratto di giovane (o San Michele)

Tavola di noce, 23 x 17 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. WAF 315

Provenienza: acquistata presso la collezione Zampieri di Bologna per Re Ludovico I

Firma falsa sulla spilla, R. S.

Acquistata come opera di Raffaello e riportata nei cataloghi della Pinacoteca come

Sodoma (1896, 1904, 1908) Mündler (1895) l’avvicinava al Costa, di ugual parere

Lermolieff (1886), il quale in particolare l’ascrisse ad Ercole Grandi, scolaro del

Costa. Frizzoni (1908), invece, avanzò il nome di Timoteo Viti, proposta accettata anche da Jacobsen (1897a).

Tali proposte furono vagliate attentamente da Venturi. Difatto, nel Taccuino

1896/7, il Nostro si era interrogato: «G. A. Bazzi, Sodoma: testa d’Arcangelo. Ma non è piuttosto bolognese, nell’arte del Costa? O del Grandi? Pare proprio un frammento del Grandi! Ma è tanto guasto!».260 Sulla scorta forse di quanto affermato in precedenza da Eisenmann,261 il Nostro aveva appuntato nelle carte del 1904: «Sodoma. Testa di San Michele Arcangelo. Certo nell’arte del Costa. Bei capelli fulvi, fatti con facilità calligrafica»;262 «Sodoma. Sì potrebbe essere Ercole

260 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56V, n. 1478 1074, 1896/7. 261 Cfr. KAT. ÄLTERE PINAKOTHEK MÜNCHEN 1922, p. 68. 262 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 33, n. 1074, 1904.

211 Grandi».263 Tuttavia, nel Taccuino pittorico, riprendendo l’ipotesi di Frizzoni, aveva annotato: «Testa di San Michele, di Timoteo Vite».264

Tanto nella prefazione della Galleria Crespi (1900), quanto nell’articolo sulle

“Caratteristiche degli antichi maestri italiani” (1902) aveva commentato: «La testina dell’Arcangelo Michele a Monaco, da’ bei capelli filari e ricadenti a riccioli con scioltezza calligrafica, non si potrà assegnare al Sodoma, come vuole il catalogo, bensì ad un seguace del Costa bolognese».265

Dopo un’attenta riflessione nella Storia, infatti, Venturi scrisse: «Frammento pittorico d’un seguace del Costa affine al Chiodarolo, e di lui migliore».266

Nel catalogo della Pinacoteca del 1936, Buchner attribuì definitivamente l’opera ad Ercole Grandi, argomentando: «Die jetztige Zuschreibung auf Grund des Vergleichs mit dem St. Georg auf dem Altarbild des Ercole Grandi in der

Londoner Nationalgalerie (inv. 1119)».

Ciononostante, più di recente Fioravanti Baraldi (1993) ha espresso alcuni dubbi in merito, poiché se «confrontato con il Busto di donna della Pinacoteca ferrarese risulta evidente la sua derivazione garofalesca».267

Ad ogni modo, il ritratto è oggi conservato nei depositi della Alte Pinakothek quale Ercole Grandi.

263 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 59, n. 1074, 1904. 264 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1074, ante 1910. 265 VENTURI 1900, p. XII. 266 VENTURI 1914, pp. 839-840. 267 FIORAVANTI BARALDI 1993, p. 103.

212 Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Le opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino,

Bologna, Zanichelli, 1886, p. 106. – F. HERMANIN, Repertorio bibliografico, «L’Arte»,

I, 1898, p. 71. - A. VENTURI, La Galleria Crespi in Milano, Milano, Hoepli, 1900, p.

XII. - A. VENTURI, Le Caracteristiques des anciens maitres italiens, «Gazette des Beaux

Arts», I, 1902, p. 383. – G. FRIZZONI, Diverse opere d’arte evocate da una nota illustrazione di disegni, «L’Arte», X, 1908, pp. 166-167. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 3, Milano, Hoepli, 1913, pp. 839-840. – E. BUCHNER (a c. di), Kat.

Ältere Pinakothek München, Monaco, Carl Gerber, 1936, pp. 103-104. – A. M.

FIORAVANTI BARALDI, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559), Ferrara,

Cassa di Risparmio, 1993, p. 103.

213 JACOPO DEL SELLAIO (BOTTEGA)

San Sebastiano

Tavola di pioppo, 123 x 81.4 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 1352

Provenienza: acquistata a Firenze da von Dillis quale Andrea del Castagno (1808) ante 1475ca [Syre]

In generale l’opera passò piuttosto inosservata, se ne occuparono per la prima volta Crowe-Cavalcaselle (1892), i quali l’avevano ascritta ad un maestro fiorentino o senese. Fino al 1908 i cataloghi della Pinacoteca attribuirono la tavola ad un maestro toscano del 1450 circa, quindi a Neri di Bicci (1911, 1957).

Il nome di Jacopo del Sellaio, proposto inizialmente da Mackowsky (1899), fu accettato da Berenson (1909, 1932, 1936, 1963) e probabilmente anche da

Venturi, giacché fra le opere della Collezione Lodtbeck, registrò: «Jacopo del

Sellaio: San Sebastiano»,268 senza però riportarlo nelle opere a stampa.

A favore di tale ipotesi si pronunciarono anche Van Marle (1928) e Zeri (1957), il quale nell’articolo pubblicato su «Paragone» scrisse: «Da respingere assolutamente è il nome di Neri di Bicci per il ‘Martirio di San Sebastiano’, attualmente non esposto, che il Berenson ha da tempo e con più verosimiglianza elencato come di Jacopo del Sellajo».269

268 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1002, ante 1910. 269 ZERI 1957, p. 67.

214 In uno studio sul Maestro di San Miniato, Dalli Regoli (1988) si astenne dall’identificare l’autore del nostro San Sebastiano, preferendo ascriverlo ad un generico “Ignoto fiorentino”.

Syre (1990), infine, sostiene che numerosi siano i tratti stilistici e le affinità con le opere di Jacopo del Sellaio, in particolare con il San Sebastiano della Jarves

Collection (inv. 1871.91), per cui risulta possibile ricondurre l’opera alla cerchia dei più stretti collaboratori del maestro fiorentino. Inoltre la studiosa data la composizione entro il 1475 circa sulla base dello sviluppo iconografico del soggetto in area toscana.

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Alcuni pittori e altri artisti fiorentini dell’ultimo periodo del secolo XIV e del XV, V, Firenze, Le Monnier, 1892, p. 117. - H.

MACKOWSKY, Jacopo del Sellaio II, «Jahrbuch der Königlich Preußischen

Kunstsammlungen», XX, 1899, p. 197-198, 276-277. – F. VON REBER (a c. di),

Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von

Knorr & Hirth, 1908, p. 210. - B. BERENSON, The Florentine painters of the

Renaissance, New York, Putnam, 1909, p. 184. – H. VON TSCHUDI – F. VON REBER

(a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1911, p.

12. - R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, X, L’Aia,

Nijhoff, 1928, p. 546. - B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance, Oxford,

Phaidon, 1932, p. 527. – B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano,

215 Hoepli, 1936, p. 453. – E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue Alte Pinakothek,

Monaco, Hirmer Verlag, 1957, p. 14. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di

Monaco, «Paragone», XCV, 1957, p. 67. – B. BERENSON, Florentine school, I, Londra,

Phaidon, 1963, p. 198. - G. DALLI REGOLI, Il Maestro di San Miniato: lo stato degli studi, i problemi, le risposte della filologia, Pisa, Giardini, 1988, p. 98. - C. SYRE, (a c. di),

Frühe italienische Gemälde aus dem Bestand der Alten Pinakothek, Monaco, Bayerisches

Staatsgemäldesammlungen, 1990, pp. 112-116.

216 INNOCENZO FRANCUCCI

DETTO INNOCENZO DA IMOLA

Madonna col Bambino e i Santi Caterina da Siena, Sebastinao, Francesco, Petronio, Clara e donatore

Tavola di nocciola, 291 x 230 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 397

Provenienza: Chiesa del Corpus Domini di Bologna, acquistata presso la famiglia Ercolani da Re Ludovico I (1829/30) s. d.

Malvasia (1678) ci dà notizia che la tavola «così grande e così bella» faceva parte de «Altar maggiore delle R.R. M.M. del Corpo di Christo»,270 successivamente fu acquistata dalla famiglia Ercolani e da questi venduta, nell’inverno del 1829/30, a

Re Ludovico I di Baviera.

Nei taccuini Venturi appunta: «Innocenzo da Imola. Grande ancona. O è il

Pupini? Non c’è il rosso eccessivo di Innocenzo. Buona la testa vista di fronte del committente a destra. Madonna in gloria, 4 Santi e due committenti nel piano (una suora e un prete)».271 Malvasia (1678) aveva identificato i due committenti quali

«ritratti del Marito, e della Moglie ginocchioni»;272 il suo entusiasmo per le proporzioni e la simmetria della composizione, benché condiviso da Lermolieff

(1891), venne stroncato da Venturi, il quale nella Storia affermò: «Serba la sua devozione rusticana a Raffaello […] sembra una gran carta con figure disegnate e

270 MALVASIA 1678, I, p. 147. 271 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 1499, n. 1060, 1896/7. 272 MALVASIA 1678, I, p. 148.

217 campite di colore senza intensità, stemperato nell’acqua, cangiante alla luce, che ingiallisce il verde e scolora e imbianca il rosso. Il suolo par di legno bruciato, secco; e in tutto, il colore a zone staccate, non si fonde, nonostante il tentativo di metter verdi e altre tinte a riscontro, in alleanza. Aridità è il nome di quest’arte che vuole avanzare nel Cinquecento con una grandezza tutta esteriore, con una maschera posticcia».273

Bibliografia:

C. C. MALVASIA, La Felsina pittrice: vita dei pittori bolognesi, I, Bologna, Davico, 1678, p. 147. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die

Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 102. - A.

VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 4, Milano, Hoepli, 1929, pp. 380-382. - R.

MESSERER (a c. di), Briefwechsel zwischen Ludwig I. von Bayern und Georg von Dillis.

1807-1841, Monaco, Beck, 1966, pp. 675-676, lettera 599.

273 VENTURI 1929, pp. 380-382.

218 LEONARDO DA VINCI

Madonna col Garofalo

Tavola di pioppo, 62 x 47.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 7779

Provenienza: acquistata del Dott. Albert Haug presso la Wetzler Apotheke di Günzburg e venduta a Bayersdorfer (1889)

1475 circa

La vicenda attributiva della tavola risulta oltremodo interessante, in particolare per quanto riguarda la posizione del Nostro.

Acquistata come opera di Dürer da Albert Haug presso un’asta a Günzburg, venne venduta dallo stesso ad Adolf Bayersdorfer per l’Alte Pinakothek nel 1889, il quale la identificò come la Madonna col vaso di fiori, appartenuta a Papa Clemente

VII come riportato da Vasari. Secondo l’opinione del Bayersdorfer, si trattava di un’opera «aus der frühen Zeit des Meisters (vor 1475), als Lionardo noch

Angehöriger der Werkstatt Verrocchios war».274 A dispetto delle perplessità circa la provenienza, l’ipotesi venne accettata da Geymüller (1890), Koopmann (1890),

Bode (1915, 1921). Fu respinta, invece, da Rieffel (1890) e Morelli (1890), i quali concordavano nel definirla opera d’un maestro fiammingo, realizzata su disegno del Verrocchio, o, ad imitazione di Leonardo.

Thiis (1913) ascrisse il quadro ad un imitatore tedesco del Verrocchio; Fabriczy

(1889) ipotizzò che si trattasse di un «dipinto […] mezzo terminato e che il suo

274 KATALOG GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1891, p. 206.

219 condiscepolo Lorenzo di Credi l’abbia poi finito».275 Come affermava già Müntz

(1897) Lorenzo di Credi, «uno dei condiscepoli di Leonardo nella bottega del

Verrocchio […] subisce talvolta completamente il fascino di questo grande incantatore» da lasciare in imbarazzo «la critica moderna nel pronunciarsi tra i due maestri: i loro nomi sono stati, ciascuno a sua volta, messi avanti per la paternità della Vergine dal garofalo».276

Alla luce delle affermazioni morelliane, anche Schmidt (1893), Strzygowski

(1895), Berenson (1903), Sirèn (1911, 1916) giudicarono l’opera copia di

Leonardo. Inizialmente, di simile avviso anche il Nostro, il quale, nei taccuini, aveva annotato: «Leonardo da Vinci. Madonna col Bambino che chiede la mammella. Può essere del maestro stesso dell’Annunciazione di Firenze».277 Nel taccuino del 1904 lo studioso si era interrogato, a più riprese, sulla paternità del quadro: «Ci si specchia dentro. È il maestro di Pistoia. Con stesse [*grinze] del colore, ombre dense, intense»;278 «Che sia il maestro del quadro del duomo di

Pistoia? Scuola del Verrocchio. Qui prossimo a Leonardo»;279 a questo proposito, in merito alla Madonna di Piazza del Duomo di Pistoia, nel primo volume sulla pittura del Quattrocento, ribadiva: «c’è un altro maestro, lo stesso verrocchiesco, forse, che eseguì la Madonna di Monaco di Baviera».280

Ciononostante, riprendendo la posizione del Morelli, nella monografia su

Leonardo (1920) aveva sentenziato: «La “Madonna del Garofano”, pesante,

275 FABRICZY 1889, p. 388. 276 MÜNTZ 1897, p. 4. 277 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55R, n. 1463 1040a, 1896/7. 278 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 40, n. 1040a, 1904. 279 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 60, n. 1040a, 1904. 280 VENTURI 1911, p. 783.

220 macchinosa figura sullo sfondo di una parete aperta da bifore, attesta la mano fiamminga riconosciuta dal Morelli, tanto nella rigidezza e legnosità delle articolazioni, quanto nel superficiale sfumato e nella meticolosa determinazione delle leonardesche rocce scheggiate, nelle vitree lumeggiature sulle trecce e sul velo manieristicamente crestato, nei fiori sorgenti da un vaso. Invano il pittore si studia di rievocare il primitivo pitto leonardesco della “Madonna del Fiore”, di ripetere i paesi rocciosi del Maestro e qualche motivo del panneggio: tutto rivela lo sforzo, in questa tarda opera di mano straniera, della quale si è fuggito anche l’ultimo riverbero della luce di Leonardo».281

Nel primo volume sulla pittura del Cinquecento, però, aveva dichiarato:

«L’affinità sorprendente tra i vitrei fiori mossi dal vento nel giardino dell’Annunciazione fiorentina e quelli ammassati nel vaso presso la Vergine, in un quadro della Galleria di Monaco, la Madonna del Garofano, ci ha indotti a riprendere in esame quella pittura […] attratto dalla tipica forma barocchetta dei fiori, che parvero, appunto per la loro arricciatura, fiamminghi, il mio sguardo ebbe la rivelazione di una somiglianza fra il quadro di Monaco e l’Annunziata degli Uffizi, spiegabili soltanto con una stessa paternità delle due opere. Non solo un uguale crepitio di luci vitree un uguale fruscio di minute forme ondule animano il prato e il mazzo di fiori, ma le foglie e i petali in ugual modo s’addentrano, raccogliendo l’ombra nel cavo come schiusi baccelli dai margini profilati di luce, dal tenue involucro sinuoso. I fiori, dunque, danno la chiave della soluzione, in questo contrastato problema. Ma il quadro, anche senza il confronto con questo particolare dell’Annunciazione o con studi leonardeschi di putti di Windsor (nn.

281 VENTURI 1920a, p. 187.

221 12369, 12562, 12568), ad esempio quelli nella stessa collezione, forse eseguiti per la Madonna del Gatto, simili al Bambino di Monaco nelle pieghe incise da solchi profondi entro le carni delle bracia e delle gambe, nelle dita grassocce e affusolate, ha in sé elementi bastevoli per dichiararci la sua origine da Leonardi, circa il tempo in cui egli dipingeva l’Annunciazione degli Uffizi, ancor preso dalle forme del suo maestro Andrea Verrocchio. […] Siamo, dunque, ben lontani da Lorenzo di

Credi, nome accennato dai critici. Nessun confronto possibile fra il quadro di

Monaco e l’Annunciazione della Galleria degli Uffizi, capolavoro di Lorenzo. Anche qui la parete della stanza è tutta trafori, aperta sull’atrio e sul lucente giardino, ma quella parete è di legno sottile, e le modanature sono senza corpo, senz’ombre, delineate con precisione da filamenti nitidi di luce, mentre la muraglia di Leonardo s’addentra ed emerge, varia, col gioco dei piani, le rifrazioni luminose. Il fondo dell’Annunciata, con gli spazi regolari e calcolati, tra albero e albero, tra radura e radura, con le piante lucenti come le figure e il suolo terso, quasi lavato da pioggia, tipico esempio dei ben culti paesi di Lorenzo di Credi, contrasta con il fondo di

Monaco, tutto punte di roccia e spume di luce, fantastico e animato scenario, dove le masse, frastagliate e corrose, sembran lontane ed incerte, in un mondo di sogno; né i placidi bambini di Lorenzo possono richiamare la trepida vivacità dell’atteggiamento di Gesù nel quadro di Monaco, l’estasiata luce del suo sguardo.

Le qualità di Lorenzo, soprattutto costituite di lindura, di chiarezza, di ordine meticoloso, si contrappongono a quelle del quadro di Monaco, che trae vita dal movimento instabile dell’ombra e della luce nei cartocci dei panni, nelle pieghe delle carni, nella anfrattuosità del paese, nelle increspate corolle dei fiori».282

282 VENTURI 1925, pp. 68-78.

222 Tale argomentazione si inserisce dopo la presa di posizione di Bode (1915,

1921). Questi assegnava definitivamente la paternità a Leonardo, ipotesi suffragata anche da Book (1916), Suida (1920) e, quindi, da Berenson (1933). Contrari a tale attribuzione si erano dimostrati Knapp (1924), Hildebrandt (1927), Pauli (1929) e

Van Marle (1931); quest’ultimo la riteneva opera di Lorenzo di Credi, o, semmai, copia di Leonardo. Bodmer (1931) si espresse analogamente; in merito alla datazione, Degenhart (1932) la collocò negli anni ’80 e reputò verrocchiesche le teste «weil sich die Schwächen des Bildes nur mit einem so jugendlichen Alter vereinigen lassen».283

In seguito agli studi di Möller (1937/38), si ebbe l’ultima monografia leonardesca del Venturi (1941), nella quale il Nostro ribadiva che «die Hand

Leonardos, die diesen Engel auf Verrocchios Taufe Christi malte, hat ohne Zweifel auch […] die “Madonna mit der Nelke” der alten Pinakothek in München geschaffen»,284 giacché «alles spricht für Leonardo! Mit diesem Münchner Bilde schließt die Periode, wir wollen nicht sagen, der Lehrzeit, sondern der Arbeitszeit in der Werkstatt Verrocchios. Sie hat sicherlich noch das ganze Jahr 1476 umfasst, in welchem Jahr Leonardo durch die Ufficiali di notte in Anklagezustand versetzt und in der Anklageschrift, die bald danach fallen gelassen worden ist, als zur

Werkstatt Verrocchios gehörig bezeichnet wurde».285

283 DEGENHART 1932b, p. 277. 284 VENTURI 1941, p. VII. 285 Ivi, p. VIII.

223 Nonostante alcune riserve, anche Heydenreich (1954) riconobbe la paternità di

Leonardo; nello specifico collocò l’opera negli anni della collaborazione con

Verrocchio, datandola all’incirca 1475.

L’incertezza nell’attribuire l’opera a Leonardo derivava, secondo Brown (1998), dal fatto che «the relief-like treatment of the figures, and not just the Virgin’s type, makes the Munich Madonna the most Verrocchiesque of all Leonardo’s early pictures», ma soprattutto i fiori su cui si era soffermata ripetutamente l’attenzione del Venturi «[set] the painting apart from the others produced in the shop, and gave rise to the notion that it was Netherlandish. Yet the flowers are not rendered individually, as in the northern copy of the Louvre, but as a bunch. Their lack of specificity (the colours repeat those of the Virgin’s garments) led one botanical expert to deny the Madonna to Leonardo. But only he could have painted the flowers in the vase, which almost seem to have been plucked from the meadow in the Annunciation».286

Si trovano copie della tavola al Louvre (inv. 1603, cfr. Longhi 1943, p. 20), presso la Collezione Gambier-Parry a Highnam Court ed infine presso il Museo

Brukenthal a Sibiù (cfr. Möller 1937/38, pp. 24 e ss.).

Bibliografia:

C. DE FABRICZY, Un quadro di Leonardo da Vinci, «Archivio Storico dell’Arte», II,

1889, p. 388. - W. KOOPMANN, Die Madonna mit der schonen Blumenvase,

286 BROWN 1998, pp. 130, 133.

224 «Repertorium fur Kunstwissenschaft», 1890, pp. 118-122. - H. DE GEYMÜLLER,

La Vierge à l’’œillet. Peinture attribuée à Léonard de Vinci, «Gazette des Beaux Arts»,

XXXII/4, 1890, pp. 97-104. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die

Italienische Malerei, II, Die Galerie zu München und Dresden, Lipsia, E. A. Seemann,

1891, pp. 349, 353. - W. LÜBKE, Altes und Neues: Studien und Kritiken, Breslau,

Schlesiche Buchdruckerei, Kunst- und Verlagsanstalt, 1891, p. - F. RIEFFEL, Ein

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G. FRIZZONI, Recensione a I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über italienische

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Storico dell’Arte», IV, 1891, p. 66. - A. M., Recensione a La Vierge a L’œillet.

Peinture attribuée à Léonard de Vinci, «Gazette des Beaux Arts», I, 1890, «Archivio

Storico dell’Arte», IV, 1891, p. 66. – W. SCHMIDT, Lorenzo di Credi, «Zeitschrift fur bildende Kunst», XXVIII, 4, 1893, pp. 139-141. – J. STRZYGOWSKI, Studien zu

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Leonardos Bildnis der Jungen Dame mit dem Hermelin aus dem Czartoryski-Museum in

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Kunstsammlungen», XXXVI, 1915, p. 202. – F. BOCK, «Repertorium fur

Kunstwissenschaft», XXXIX, 1916, p. 159. – W. SUIDA, Leonardo da Vinci und seine

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225 Leonardo da Vinci, Berlino, Grote, 1921, pp. 24-25. – F. KNAPP, Leonardo da Vinci,

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MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, XI, L’Aia, Nijhoff, 1929, pp.

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DEGENHART, Di alcuni problemi di sviluppo della pittura nella nottega del Verrocchio, di

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B. BERENSON, Verrocchio e Leonardo, Leonardi e Credi, «Bollettino d’Arte», XXVI,

1933/34, pp. 208. - E. MÖLLER, Leonardos Madonna mit der Nelke in der Älteren

Pinakothek, «Münchener Jahrbuch der bildenden Kunst», XII, 1937/38, pp. 5-40. -

A. VENTURI, Leonardo da Vinci und seine Schule, Vienna, Frank Deuticke, 1941, pp.

VII-VIII. – L. H. HEYDENREICH, Leonardo da Vinci, I, Basilea, Holbein, 1954, pp.

13, 33-34, 199, 208. - D. A. BROWN, Leonardo da Vinci. Origins of a genius, New

Haven-London, Yale University Press, 1998, pp. 128-36. - C. SYRE, Die Erwerbung der Madonna mit der Nelke von Leonardo da Vinci fur die Alte Pinakothek, «In Italiam nos fata trahunt, sequamur», a c. di OLGA PUJMANOVA, Prag, 2003, pp. 141-147. -

F. WINDT, Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci, Zusammenarbeit in Skulptur und

Malerei, Münster, Rhema Verlag, 2003, pp. 74-92. - C. SYRE - J. SCHMIDT (a c. di),

Leonardo da Vinci, Die Madonna mit der Nelke, (Monaco, 12 marzo - 15 settembre

2006), Monaco, Schirmer Mosel, 2006.

226 LIBERALE DA VERONA

La deposizione

Tavola, 132 x 87 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 7821

Provenienza: acquistata presso a Firenze (1891)

1490 circa

L’attribuzione della tavola, dal «sentimento quasi crivellesco»,287 è stata piuttosto agevole, poiché indicata già da Vasari nella Vita di Fra Giocondo e Liberale.

Venturi, sia nei taccuini che nella Storia, evidenzia i tratti stilistici dell’opera, soffermandosi, con particolare dovizia, sulle nodosità dei personaggi, riscontrate pure da Frizzoni (1900). Egli scrive: «Il Cristo ha le stesse pieghe del san

Sebastiano a Berlino»;288 il parallelismo con la tela del Friedrich Museum si rafforza nelle pagine a stampa, nelle quali Venturi sottolinea la vicinanza delle due opere per «lo scorcio pollaiolesco della testa della Maddalena […] e la vivezza smaltata dei colori».289

Molte sono le immagini trasposte dai taccuini nella Storia: i «goccioloni [che piovono] dagli occhi degli assistenti di Cristo»290 diverranno «gocce di vetro»,291 probabile eco dei «pezzi di cristallo»292 frizzoniani; così pure troveranno posto i

287 VENTURI 1915, p. 798. 288 A. VENTURI, c. 61R, n. 1506, 1896/7. 289 VENTURI 1915, p. 800. 290 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, ante 1910. 291 VENTURI 1915, p. 800. 292 FRIZZONI 1900, p. 82.

227 «nodi di corallo»,293 quale simbolo dei rivoli di sangue che percorrono il corpo del

Cristo.

Nel Taccuino pittorico, a proposito di quest’opera, Venturi annota come le linee siano frastagliate, aspre, e come non ve ne sia una «allo stato di quiete in questa composizione artificiosa»,294 forse, per questo motivo, egli si chiedeva se «in quelle pieghe tormentate c[i fosse] qualcosa di alemanno».295

Bibliografia:

G. VASARI, Vita di Fra Giocondo e d’altri veronesi, a c. di G. FIOCCO, Firenze, G.

Bemporad e Figlio, 1915. - G. FRIZZONI, Nuovi acquisti della Reale Pinacoteca di

Monaco in Baviera, «L’Arte», III, 1900, pp. 72- 85. - C. DEL BRAVO, Liberaleda

Verona, Firenze, Il Fiorino, 1967, pp. CXXVIII-CXXXI. – R. KULTZEN (a c. di),

Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, p.

60. – H. J. EBERHARDT, Liberale da Verona, in The Dictionary of Art, XIX, Londra,

1996, pp. 305-308.

293 VENTURI 1915, p. 800. 294 Ibidem. 295 VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 1022a, ante 1910.

228 FILIPPINO LIPPI

Doppia intercessione

Tavola di castagno, 159 x 148 cm

Cristo dolente, venerato da Santi

Tavola di castagno, 29.7 x 149.4 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, invv. 1074, WAF 498

Provenienza: acquistate del Principe ereditario Ludovico I a Firenze (1814-16)

1495 circa

L’opera, quasi certamente commissionata dal convento del Palco di Prato, è citata nelle Vite del Vasari (1568) ed attribuita a Filippino Lippi. Tale giudizio è stato accettato concordemente dalla critica. Risulta, invece, più complessa, la datazione.

Bodmer (1932) e Van Marle (1931) la collocano anteriormente al 1500; Venturi nella Storia, più specificatamente, nel 1495, così anche Zambrano-Nelson (2004), sulla base d’un riesamino delle circostanze in cui l’opera venne commissionata e la situazione politica toscana.

Nel taccuino venturiano la valutazione ricade sui particolari delle vesti, «massa pesante di pieghe. Dominava l’azzurro».296 Benché la trascrizione non risulti incontrovertibile, data la complessità del passo, si può presumere che qui Venturi stia movendo, ancora una volta, una velata critica alle tecniche di pulitura.

296 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 62, n. 1008, 1904.

229 Nella Storia lo studioso conclude che «l’artista non ha più la delicatezza del suo tempo, diremmo, preromano […] nell’Apparizione di Cristo a Maria […] piccole le teste sui corpi colossali, grevi le abbondantissime vesti, più incantata che spirituale l’espressione».297

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e

1568, III, a c. di R. BETTARINI - P. BAROCCHI, Firenze, 1971, p. 562. - R.

BORGHINI, Il riposo in cui della pittura e della scultura si favella, Firenze, 1584; ristampa anastatica, Hildesheim, Olms, 1969, p. 359. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana,

VII, 1, Milano, Hoepli, 1911, pp. 644, 659. - B. BERENSON, “Imago pietatis”. Ein

Beitrag zur Typengeschichte des ‘Schmerzensmanns’ und der ‘Maria Mediatrix’, «Festschrift fur Max J. Firedlander zum 60. Geburtstag», Lipsia, 1927, pp. 293-94, 305-306. -

R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, XII, L’Aia, Nijhoff,

1931, pp. 346-347. - H. BODMER, Der Spätstil des Filippino Lippi, «Pantheon», IX,

1932, pp. 353-355. - M. MEISS, An Early Altar-piece from the Cathedral of Florence,

«Bulletin of Metropolitan Museum of Art», XII, 1954, pp. 302-317. - T. VERDON,

The Intercession of Christ and the Virgin from Florence Cathedral: Iconographic and

Ecclesiological Significance, in The Fabric of Images. European Paintings on Textile Supports in the Fourteenth and Fifteenth Century, a c. di C. VILLERS, London, 2000, p. 43-54. -

P. ZAMBRANO - J. KATZ NELSON, Filippino Lippi, Milano, Electa, 2004, pp. 408-9,

489.

297 A. VENTURI, VII, I, 1911, p. 659.

230 LORENZO DI CREDI

Madonna col Bambino

Tavola, 69.5 x 48.2 cm

Los Angeles, P. Getty Museum, inv. 70.PB.28

Provenienza: acquistata presso una collezione privata a Firenze (1891), Alte Pinakothek (1891- 1939), 1953 Paul Getty, 1970 P. Getty Museum

1490/1500 circa

Crowe e Cavalcaselle per primi (1914) misero in dubbio la firma di Lorenzo di

Credi, preferendo considerare il quadro opera della sua scuola. Tale posizione venne ripresa ed ulteriormente avvalorata da Degenhart (1932), il quale nel suo articolo “Die Schüler des Lorenzo di Credi” avanzò il nome di Giovanni di

Benedetto Cianfanini.

Nel volgere di pochi anni l’ipotesi di un’opera di minor pregio si consolidò a tal punto da spingere il direttore della Pinacoteca a cedere la tavola al mercante d’arte parigino Jacques Vial, in cambio di un’opera tedesca. Nel 1953 venne acquistata da P. Getty e, nel 1970, confluì all’interno della sua collezione museale, della quale tutt’oggi fa parte.

L’opera fu assegnata da Berenson (1963) a “Tommaso”,298 personalità artistica vicina sia a Lorenzo di Credi, sia a Piero di Cosimo, e, presumibilmente identificabile con Giovanni Cianfanini. Dalli Regoli (1966) preferì rapportare l’opera al Maestro della Sacra Conversazione di S. Spirito. Nel catalogo del Getty

298 Cfr. FRA BARTOLOMEO, nota 203.

231 Museum, Fredericksen (1974) si propende più cautamente per un’attribuzione alla bottega.

Altrettanto ardua la vicenda di datazione dell’opera. Degenhart (1932) aveva ipotizzato che il paesaggio rappresentato nella tavola, data la forte affinità stilistica, derivasse direttamente dalla Madonna con due angeli di Memling (Galleria degli

Uffizi) Tuttavia tale correlazione non risulta utile per datare la nostra tavola, giacché non si conosce precisamente l’anno in cui il quadro fiammingo arrivò a

Firenze; si presume soltanto che la sua esecuzione risalga al 1480-1500c.

Fredericksen (1974) mette in evidenza le somiglianze con il paesaggio descritto nella Madonna del Metropolitan Museum di NY (inv. 06171) e in quella di

Zagabria (n. 39 cat. 1967). Il paesaggio che si scorge nello sfondo a sinistra sembra richiamare altri lavori dello stesso Lorenzo, in particolare la Madonna col Bambino della National Gallery di Londra (inv. 593), considerata generalmente opera giovanile del maestro, e la sua replica della Collezione O. V. Watney (Christie’s,

23.6.1967, n. 35). Nonostante si possano riscontrare altre affinità compositive, tanto nelle vesti della Madonna quanto nel vaso di fiori, bisogna altresì rimarcare la notevole distanza stilistica che pur sussiste fra queste tre opere. Si evince dunque «how complex Lorenzo’s shop methods must have been and the difficulty of determining when and by whom any of its products were done».299

299 FREDERICKSEN 1972, p.20.

232 Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A history of painting, IV, Londra, ed. Borenius,

1914, p. 42. - B. DEGENHART, Die Schüler des Lorenzo di Credi, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», IX, 1932, pp. 140-141. – B. BERENSON, Italian Pictures of the

Renaissace, 2.1 vol., (Florentine school), Londra, Phaidon, 1963, p. 208. – G. DALLI

REGOLI, Lorenzo di Credi, Milano, Edizioni di Comunità, 1966, p. 192. - B. B.

FREDERICKSEN, Catalogue of the paintings in the J. Paul Getty Museum, Malibu, J. Paul

Getty Museum, 1972, pp. 19-20.

233 LORENZO LOTTO

Nozze mistiche di Santa Caterina

Tavola di pioppo, 71.3 x 91.2 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 32 opera firmata LAURENT. / LOTUS. F.

Provenienza: dalla Residenza di Wurzburg, presso l’Hofgarten (1804), in seguito all’Alte Pinakothek (1836)

1506-1508 circa

Se riguardo l’autenticità dell’opera, confermata anche dalla firma del Lotto, non vi

è mai stato alcun dubbio, di contro, il processo di datazione si è dimostrato più difficoltoso. Generalmente ascritta al periodo iniziale del maestro, la tavola era stata ipoteticamente collocata fra il 1504 e il 1506 dal Lermolieff (1880); Berenson

(1901) la rapporta con riserva al 1507, Jacobsen (1897a) e Pallucchini (1953) la riferivano alla produzione del maestro successiva al 1509, data l’affinità con la pala di Recanati e della Galleria Borghese.

Venturi, né nella Storia, né tanto meno nei taccuini, si pronuncia in merito, ma, in questi ultimi, si preoccupa di fornire unicamente un commento stilistico.

Singolare l’annotazione nei Taccuini 1896/7: «Lorenzo Lotto. Lo sposalizio di santa Caterina. La Vergine è una buona veneziana. Il Bambino un’intelligente creatura. Santa Caterina una buona tosa. San Giuseppe guarda tutto piegato di traverso, per cianciare [*poi]. Xe curioso!».300 Curiosità ripresa anche nella Storia,

300 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 60R, n. 1502 1083, 1896/7.

234 dove la posa di San Giuseppe, paragonata con quella del San Gregorio del polittico di Recanati, viene definita «movimento eccentrico».301

Nell’attuale catalogo dell’Alte Pinakothek viene confermata l’ipotesi di

Pirovano (2002), il quale suggerisce di rapportare la datazione del dipinto agli anni del polittico di Recanati, «anche se permangono motivi di più arcaica impostazione, come il tendaggio e la definizione metallica (düreriana, si direbbe) dei personaggi, particolarmente rilevabile nella veste della Vergine, dalle pieghe accartocciate».302 Particolari questi che aveva notato anche Venturi e appuntato come «vesti spiegazzate alla Previtali».303

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von Munchen, Dresden und

Berlin, Lipsia, E. A. Seemann, 1880, p. 3. - E. JACOBSEN, Über einige italienische

Gemälde der älteren Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft»,

XX, 6, 1897, p. 435. - F. HERMANIN, Repertorio bibliografico, «L’Arte», I, 1898, p. 70.

– B. BERENSON, Lorenzo Lotto, Londra, Bell, 1901, p. 9. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 4, Milano, Hoepli, 1929, pp. 15-16. - R. PALLUCCHINI, Lorenzo

Lotto, Milano, Martello, 1953, n. IV. - P. HUMFREY, Lorenzo Lotto, New Haven-

London, Yale University Press, 1997, p. 23. - C. PIROVANO, Lotto, Milano, Electa,

2002, pp. 36-38, n.12.

301 VENTURI 1929, p. 17. 302 PIROVANO 2002, p. 36. 303 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 31, n. 1083, 1904.

235 MAESTRO CATALANO

San Ludovico da Tolosa

Sant’Agostino

Tavole di pioppo, 173.6 x 78.2 cm, 173.7 x 78.4 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. WAF 427, WAF 428

Provenienza: acquistate da Re Ludovico I a Napoli (1832)

1500 circa

La vicenda attributiva si è dimostrata alquanto complessa sin dal sorgere del dibattito critico e finora non si è riusciti a dare una risposta univoca a quello che

Zeri definiva “problema di primo Cinquecento”.

In origine, le tavole vennero riportate nei cataloghi della Pinacoteca, dal 1838 al

1879, quali Andrea Solario. Quindi vennero attribuite più cautamente ad un maestro milanese da Reber (1884). Dal 1886 al 1908, però, lo stesso curatore preferì riportarle come opere di un pittore napoletano, dal momento che proprio a Napoli erano state acquistate.

Le tavole furono ricollocate in area lombarda da Crowe-Cavalcaselle (1876), i quali proposero il nome di Cesare Magni o quello di un seguace di Pier Francesco

Sacchi; ipotesi quest’ultima avallata anche da Lermolieff (1880).

Le opere suscitarono vivo interesse anche nel Venturi, il quale nei taccuini trattò diffusamente l’origine delle tavolette. «Santo Vescovo. Scuola napoletana. È proprio Cola dell’Amatrice! Sì, sì, come nei quadri del Campidoglio e del Laterano.

236 Contorni crudi, mancante di modellato. Stucchi!»;304 «a me sembrano del famigerato Cola dell’Amatrice. Le influenze umbre sono manifeste, il taglio nerastro delle forme mal definite è pure di lui»;305 «Contorni delle mani nere, così de’ lineamenti. Piante con foglie».306 Concludendo nel Taccuino pittorico: «Due Santi di Cola dell’Amatrice».307 Nella Storia invece non vi si sofferma.

Nel suo studio dedicato alle opere francesi presenti nella Alte Pinakothek, Voll

(1907, 1908) segnalò che l’origine delle due tavole fosse piuttosto da riportare alla

Francia meridionale, in particolare, ai modi di Nicolas Froment.

A. L. Mayer (1913, 1922), per primo, ascrisse le tavole ad un maestro catalano.

L’ipotesi trovò largo consenso, tanto da essere riportata nei cataloghi della

Pinacoteca dal 1911 al 1920. Nei successivi invece, dal 1922 al 1938, le opere furono attribuite più genericamente ad un maestro catalano-napoletano, ritenendo trattarsi di un pittore sì catalano, ma formatosi nella capitale partenopea; l’opinione venne ripresa in seguito anche da Gaya Nuño (1958).

Van Marle (1934) riconobbe «the intermingling of the Spanish and Lombard styles»,308 tipico dell’ambito mediterraneo, ed in particolare napoletano, ove era frequente la fusione tra elementi di stili diversi.

In uno studio sul maestro dell’Adorazione dei Magi di Glasgow (inv. 586), Zeri

(1954) propose di ricongiungere a tale opera i due Santi della Pinacoteca di

Monaco, giacchè in essi vi riconosceva una forte affinità «in the application of

304 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 58R, n. 1492 1027, 1028, 1896/7. 305 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 3V, n. 1028. 306 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 42, n. 1027, 1904. 307 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 828R, nn. 1027, 1028, ante 1910. 308 VAN MARLE 1934, p. 375.

237 gold in relief, in the landscape, in the tricks of handwriting». Il critico sosteneva che le somiglianze fra le tre tavole «are so obvious as to require no detailed elaboration, and leave no doubt that the three pictures are by the same hand».309

Oltre agli aspetti stilistici, Zeri mise in evidenza anche le rispondenze nelle misure, concludendo, quindi, che i tre pannelli dovevano intendersi come un unico complesso. Tale proposta ha trovato consenso anche da parte di Naldi (1991) e di

Humfrey (2012).

Nella scheda redatta da Soehner (1963) per il catalogo della Pinacoteca viene riportata una nota personale di D. Angulo Iñiguez (1961), il quale a sua volta riproponeva l’origine francese delle tavole, ipotizzando Nizza come punto d’incontro fra lo stile catalano e quello dell’Italia settentrionale.

Nello stesso dossier la proposta di Angulo Iñiguez venive respinta con forza da

J. Ainaud de Lasarte (1961), sostendo che «die Herkunft aus Katalonien für wahrscheinlich, da dort die Bilder am häufigsten mit plastisch aufgetragenen und vergoldeten Ornamenten versehen seien; zudem sei dort das Pappelholz als Bild träger bevorzugt. Eine genaue Ortsbestimmung werde durch den wenig ausgeprägten Lokalstil der Bilder erschwert; Entstehung im valencianischen und südfranzösischen Bereich sei in Erwägung zu ziehen».310

Infine, Soehner (1963) torna a proporre un’attribuzione alla scuola catalana, ipotesi confermata anche da Weniger (2005).

309 ZERI 1954, p. 147. 310 SOEHNER 1963, p. 91.

238 Bibliografia:

R. MARGGRAFF - H. MARGGRAFF, München in seinen Kunstschätzen und

Merkwürdigkeiten, nebst Ausflügen in die Umgegend, vornehmlich nach Hohenschwangau und

Augsburg, Monaco, Finsterlin, 1846, p. 437. – I. LERMOLIEFF, Die Werke italienischer

Meister in den Galerien von Munchen, Desden und Leipzig, Lipsia, Seemann, 1880, p. 80.

– K. VOLL, Altfranzösische Bilder in der Alten Pinakothek, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», I, 1907, pp. 42-43. – K. VOLL, Führer durch die Alte Pinakothek,

Monaco, 1908, p. 253. – J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A History of Painting in North Italy, II, Londra, Murray, 1912, p. 436. - A. L. MAYER, Die pseuspanier der

Alten Pinakothek, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», VIII, 1913, pp. 181-

187. - J. C. VAN DYKE, Munich, Frankfort, Cassel. Critical notes on the Old Pinakothek, the Staedel Institute, The Cassel Royal Gallery, New York, C. Scribner’s Sons, 1914, p.

18. – A. L. MAYER, Geschichte der spanischen Malerei, II, Lipsia,

Klinkhardt&Biermann, 1922, p. 101. – R. VAN MARLE, The Development of the Italian

Schools of Painting, XV, L’Aia, Nijhoff, 1934, p. 377. – J. A. GAYA NUÑO, La pintura española fuera de España, Madrid, Espasa-Calpe, 1958, p. 94. – H. SOEHNER (a c. di),

Gemäldekatalog, vol. 1, Spanische Meister, Monaco, Bayerische

Staatsgemäldesammlungen, 1963, pp. 89-93. – F. ZERI, Two early Cinquecento

Problems in South Italy, «The Burlington Magazine», XLVI, 1954, pp. 147-150. – R.

NALDI, Sviluppi del Maestro dell’adorazione di Glasgow, «Prospettiva», 1991, pp. 63-77.

– M. WENIGER, J. LANGE, H. SPIELMANN ( a c. di), Greco, Velázquez, Goya.

Spanische Malerei aus deutschen Sammlungen, Catalogo mostra (Amburgo, 28 maggio -

21 agosto 2005), (Dresda, 27 settembre - 2 gennaio 2006), (Budapest 21 gennaio -

239 30 aprile 2006), Monaco, Prestel, 2005, p. 237. – P. HUMFREY (a c. di), Glasgow

Museums, The Italian Paintings, Londra, Unicron Press, 2012, pp. 75-76.

240 MAESTRO FERRARESE

Madonna con Bambino e quattro Santi (San Bernardino da Siena, Sant’Antonio da Padova e due Santi Vescovi)

Tavola di pioppo, 43.5 x 44.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 255

Provenienza: acquistato come Mantegna dal re Ludovico I presso il commerciante d’arte Filippo Benucci a Monaco (1842)

1480 circa

La tavola visse e vive una vicenda critica piuttosto ampia e travagliata.

Nei cataloghi della Pinacoteca (1853 - 1879) era riportata quale Mantegna, dal

1884 segnalata come “Ferrarese, 1480 circa”. Il primo a dubitare dell’autenticità del quadro fu Mündler (1865), il quale suggeriva il nome di Luigi Vivarini. Crowe-

Cavalcaselle (1874) ipotizzarono Bono da Ferrara, mentre Lermolieff (1891) fece riferimento a Francesco o Girolamo Benaglio, veronesi e mantegneschi entrambi.

Venturi nei primi taccuini monacensi affermava: «Mi pare proprio Bernardo

Parentino. La Madonna e il Bambino conservano il tipo padovano: quello del

Crivelli, dello Schiavone. [*Qualcosa] de’ padovani squarcioneschi. Cane eseguito con grande finezza. Ornati d’oro negli abiti eseguiti con molti puntolini. C’è la sua finezza di miniatore. È il maestro [-le sue.] Carni brune con vive luci. Luci vive nelle vesti! Luci al contorno d’ogni piega, così che l’abito azzurro della Vergine

241 pare un acquarello con lumi bianchi».311 Nelle Carte sciolte, però, lo studioso s’interroga se non si tratti di «Ercole Roberti giovine».312

Non fu certo facile uscire da questo ginepraio attributivo: «ferrarese?

Squarcionesco, mantegnesco, miniatore, veronese?».313 Nella Storia, infine, alla stregua del Lermolieff, indica il veronese Francesco Benaglio, o il figlio, Girolamo.

«Più vicino di tutti a questo pittore e ad un tempo meglio costruito, più diligente e più fine, è l’autore del quadretto nella Galleria di Monaco di Baviera

[…] Tutte le figure sono dipinte con una tecnica più raffinata, nonostante che vi sia durezza nel passaggio de’ piani de’ volti con le carni arrossate. […] il tipo delle

Vergine, benchè meno piallato di quel che appaia in Francesco Benaglio, ha tuttavia le proporzioni particolari a questo maestro […] Potrà sembrar naturale di chiederci se il qiadretto, che pare uno sviluppo di quelli da noi veduti di Francesco

Benaglio, possa essere del figlio Girolamo, probabilmente educato da lui».314

Jacobsen lo accostò a un seguace del Tura (1897) e tale linea attributiva venne poi ripresa da Berenson (1936, 1968). Questi ipotizzava che la tavola fosse stata realizzata da un seguace del Tura o del Cossa, intorno al 1510. Singolare posizione quella adottata da Fiocco (1958), il quale metteva in relazione l’opera con la scuola padovana.

Romano (1967) ravvisava delle somiglianze con la Madonna del Museo Civico di Cremona (n. 75), la quale Sciolla (1966) aveva ipotizzato essere opera di

311 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55R, n. 1457, 1896/7. 312 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 6R, n. 1023. 313 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 1023 314 VENTURI 1914, pp. 447-48.

242 Niccolò da Varallo. Volpe (1973), invece, ha riscontrato tratti analoghi fra la tavola monacense e le opere del cremonese Antonio Cicognara, pur non giustificando in modo convincente le affinità con Cosmè Tura e con Marco

Zoppo; affinità con quest’ultimo riscontrate già da Longhi (1934).

In tempi più recenti, Marco Tanzi (1990) ha suggerito il nome di Paolo

Antonio de Scalzoli, tratteggiando dei parallelismi alquanto indicativi con Ercole de Roberti, Platina e Amadeo: «Proprio da questa singolare congiuntura tra

Ercole, il Platina e l’Amadeo nasce […] la Madonna col Bambino e Quattro Santi dell’Alte Pinakothek di Monaco […] pur mancandole la stregata fantasia e la magica inventiva del dipinto già a Berlino, nella tavoletta di Monaco si avvertono chiarissimi i sintomi del suo [Ercole de Roberti] influsso […] l’anconetta di

Monaco sembra rappresentar[e] una versione semplificata, più calata in una dimensione di lombarda castigatezza, con una griglia prospettiva degna delle esercitazioni del Platina ed una diffusa luminosità pierfranceschiana. Una situazione nodale fra pittori, scultori e maestri di tarsi sembra alla base del dipinto: forti analogie si possono cogliere nell’espressionismo caricato dei volti dei santi con quello non meno accentuato dei Santi Imerio ed Omobono intarsiati dal

Platina nel coro della Cattedrale; mentre nella ricca e spezzata trama dei panneggi

è forte l’eco dell’aspra grammatica dell’Amadeo, ma le figure hanno una monumentalità che è assente nei rilievi dell’Arca dei martiri persiani già in San

Lorenzo».315

315 GREGORI 1990, pp. 15-16.

243 Bibliografia:

O. MÜNDLER, Recensionen und Mitteilungen uber bildeden Kunst, IV, 1865, p. 371, n.

549. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, V,

Lipsia, ed. Max Jordan, 1874, p. 371. - I. LERMOLIEFF, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von München, Dresden und Berlin, Lipsia, Seemann, 1880, pp. 12-13. - I.

LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die italienische Malerei, vol. 2 (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, Brockhaus, 1891, p. 13. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 430. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII,

3, Milano, Hoepli, 1914, pp. 447-448. - R. LONGHI, Officina ferrarese, Roma, Le

Edizioni d’Italia, 1934, p. 167. - B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento,

Milano, Hoepli, 1936, p. 160. - G. C. SCIOLLA, Ipotesi per Nicolò da Varallo, «Critica d’Arte», XIV/78, 1966, p. 29. - B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace, vol. 1

(Central Italian and North Italian Schools), London, 1968, p. 133. - R. KULTZEN

(a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann,

1975, pp. 41-42. - M. GREGORI (a c. di), Pittura a Cremona dal Romanico al Settecento,

Milano, Cariplo, 1990, pp. 15-16, 240. - J. MANCA, Cosmè Tura, Oxford, Clarendon

Press, 2000, pp. 168 e ss.

244 MAESTRO FIORENTINO

Ritratto di un giovane uomo

Tavola di pioppo, 59.5 x 44.7 cm

Monaco, Alte Pinakothek, inv. 658

Provenienza: acquistato presso il Marchese Torrigiani dal Principe ereditario Ludovico a Firenze (1810)

1450/1460 circa

Ad oggi, la vicenda attributiva non è ancora giunta a termine.

Inizialmente la tavola era stata attribuita a Masaccio da von Dillis (1838) e da

Schmarsow (1895). Diversamente Crowe e Cavalcaselle (1864) avevano individuato la mano di uno seguace, imitatore di Ghirlandaio.

Venturi, invece, nel Taccuino 1904 protestava: «È una copiaccia, o una falsificazione orrenda. Viso preparato di verde. Labbra morelle. Lucco rosso come una tonda corona, un tondo lucchione rosso. [-Vesti] Tunica con certi fiorami d’acciaio, segnati di rosso, con lumi bianchi. Pelliccia nello [*scollo] intorno alle spalle: cosa tutta torbida. Mani verdi. Fondo azzurro sbiancato. Spalle».316

Tale descrizione verrà puntualmente ripresa ne “L’Arte” (1904), nella sezione dei Corrieri: «Faccia verde, le labbra morelle, le spalle quadrate, un lucco che

316 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 35, n. 997, 1904.

245 sembra un tondo cerchione rosso, una tunica con fiorami d’acciaio segnati di rosso ne’ contorni e lumeggiati di bianco».317

Anche Salmi (1932, 1948) la giudicò alquanto ridipinta e l’attribuì alla cerchia di

Botticelli. Mason-Perkins (1913), invece, la identificò con Benvenuto di Giovanni;

Deusch (1928) con Andrea del Castagno. Quest’interpretazione trovò consenso soprattutto dopo la pulitura della tavola nel 1953 ad opera di Christian Wolters. Di fatto, Horster (1960) e Salmi (1961) l’assegnano a un collaboratore del Castagno.

Al contrario, Hutton (1909) e Ragghianti (1935) l’avevano rapportata a

Domenico Veneziano, proposta accolta anche da Longhi (1952), il quale la ritenne l’unico ritratto quattrocentesco relazionabile al Veneziano; Zeri (1957) la considerò interamente opera del maestro.

Wohl (1980) ritiene maggiormente plausibile l’ipotesi attributiva ad Andrea del

Castagno, sebbene «the connection with Castagno is closer but not sufficiently close for the work to have been produced in his atelier. It seems to me to represent an adaptation or revival of Castagno’s style by an artist who only partly understood it, applying it more literally thank imaginatively to the sitter’s head, and hardly at all to the rest of the composition».318

Attualmente l’opera è stata riportata nel catalogo della Pinacoteca sotto la denominazione di Florentinischer Meister.

317 VENTURI 1907b, p. 391. 318 WOHL 1980, p. 184.

246 Bibliografia:

J. G. VON DILLIS, Verzeichniss der Gemälde in der Königlichen Pinakothek zu München,

Monaco, Finsterlin in Komm., 1838. – A. SCHMARSOW, Masaccio: der Begründer des klassischen Stils der italienischen Malerei, Kassel, Fisher, 1895, pp. 79 e ss. – A.

VENTURI, Notizie da Berlino e da Vienna, «L’Arte», 1907, p. 391. - J. A. CROWE - G.

B. CAVALCASELLE, The Florentine, Umbrian and Sienese Schools of the XV Century,

Londra, ed. Hutton, 1909, p. 373. - F. MASON-PERKINS, Alcuni dipinti senesi sconosciuti o inediti, «Rassegna d’arte», XII, 1913, pp. 195-199. - W. R. DEUSCH,

Andrea del Castagno, Königsberg, Univ., 1928, p. 41 e ss. - M. SALMI, Masaccio,

Roma, Valori Plastici, 1932. - C. L. RAGGHIANTI, La giovinezza e lo svolgimento artistico di Domenico Ghirlandaio, «L’Arte», VI, 1935, pp. 167 e ss. - M. SALMI,

Masaccio, Milano, Hoepli, 1948. - R. LONGHI, Il Maestro di Pratovecchio, «Paragone»,

XXV, 1952, pp. 10-37. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di Monaco,

«Paragone», XCV, 1957, pp. 64-68. - M. HORSTER, Das Florentiner Jünglingsporträt in

München, Alte Pinakothek, «Pantheon», XVIII, 1960, pp. 209-212. – M. SALMI,

Andrea del Castagno, Novara, De Agostini, 1961. - H. WOHL, The Paintings of

Domenico Veneziano, Oxford, Phaidon, 1980, pp. 183-184. – C. SYRE (a c. di),

Katalog Ausstellung Frühe italienische Gemälde aus dem Bestand der Alten Pinakothek,

Monaco, 1990, pp. 98-107.

247 MAESTRO MILANESE

Santa Caterina

Tavola, 75.8 x 51.8 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 472

Provenienza: acquistata presso la collezione G. F. Inghirami di Volterra per il Re Massimiliano I (1816-1819)

1520/30 circa

La vicenda attributiva non ha ancora trovato una conclusione.

Nei primi cataloghi della Pinacoteca (1888, 1904, 1908) la tavola era stata riportata quale opera di Bernardino Luini, ipotesi tuttavia negata da Williamson

(1899).

Crowe-Cavalcaselle (18) l’attribuivano invece ad Andrea Solario, trovando il consenso anche da parte del Lermolieff (1891), il quale tuttavia lamentava che

«dieses Gemalde hat durch Restaurationen aller Art grossen Schaden erlitten, in dem Grade, dass man den wahren Autor kaum noch darin wahrzunehmen im

Stande ist. Die rechte Hand z. B. ist ganz neu gemalt: ich erkenne darin die Mache des verstorbenen mailandischen Bilderrestaurators Molteni».319

Jacobsen (1897a) la giudicò piuttosto «copia fiamminga d’un quadro del

Luini».320

Venturi si soffermò sull’opera unicamente nei taccuini, ove annotò:

319 LERMOLIEFF 1891, pp. 116-117. 320 HERMANIN 1898, p. 70.

248 «Bernardino Luini. Santa Caterina. Ha la testa più di Marco d’Oggiono»;321 «tutta quella materialità di riccioletti, d’ornamenti, e il fondo con le rupi leonardesche, fa ascriverlo a un fiammingo studioso di Leonardo. Si osservi la finezza estrema di particolari. È il copiatore della Bella di R. (Galleria Doria) […] Ornati di perle alle maniche, allo scollo, tutto tirato, duro. Che sia colui che della Aragonese, nella copia per Doria, fece di R. un pasticcio leonardesco-raffaellesco?».322 Influenzato forse da Berenson (1907), Venturi scrisse da ultimo: «Scuola milanese di

Leonardo: Santa Caterina (fra Boltraffio e Melzi)».323

L’opera è attualmente conservata nei depositi della Alte Pinakothek quale opera di un maestro milanese.

Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, VI, Lipsia,

Hirzel, 1876, p. 69. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren

Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 433.

– G. C. WILLIAMSON, Bernardino Luini, Londra, Bell, 1899. - B. BERENSON, North

Italian painters of the Renaissance, New York-Londra, Putman’s Sons, 1907, p. 260.

321 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62V, n. 1519 1045, 1896/7. 322 A. VENTURI, Taccuino 1904, cc. 45, 46, n. 1045, 1904. 323 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1045, ante 1910.

249 MAESTRO SUDTIROLESE – TRENTINO

Ritratto di Francesco Braccio

Tavola di pioppo, 53 x 40 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 657

Provenienza: acquistata presso i Conti Lucchesi per Re Massimiliano I (1813)

1490 circa in alto sull’insegna F. BRACCIVS, sullo stemma in basso al centro SIC DEBET ESSE

Il catalogo della Pinacoteca del 1896 riportava «Früher Giotto zuschrieben, in

Wahrheit ein toscanisches Bild von ca. 1440»,324 come aveva concluso in realtà

Crowe e Cavalcaselle (1869). Nei cataloghi successivi l’opera era genericamente riferita ad un maestro fiorentino del 1400-1450, nei taccuini Venturi riportò infatti: «Florentinisch (1400-1450). Maestro tedesco»,325«Fiorentino. Ritratto di

Francesco Braccio. È opera d’un brutto, pittore tedesco!!» 326 in accordo forse anche con quanto detto anche da Lermolieff (1891): «dieses lächerliche Bildnis das untrügliche Machwerk eines nordischen und nicht italienischen Pfuschers aus dem

Ende des 16. Jahrhunderts ist».327 Benché nel Taccuino pittorico compaia:

«Florentinisch (1400/1450)»,328 il catalogo della Pinacoteca del 1911 ci informa che: «A. und L. Venturi denken an eine Falschung».329 Probabilmente, in quest’ultimo taccuino, Venturi si limitò solo ad appuntare quanto da catalogo,

324 KAT. GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1896, p. 216. 325 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 27, n. 996, 1904. 326 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 61, n. 996, 1904. 327 LERMOLIEFF 1891, p. 135. 328 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c.835V, n. 996, ante 1910. 329 KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1911, p. 164.

250 senza commentare ulteriormente l’opera per iscritto. Un commento potrebbe essere stato fatto oralmente e quindi riportato da Tschudi proprio nel catalogo della Pinacoteca (1911), ove peraltro non compare alcun riferimento a opere a stampa del Venturi.

Negli indici dei pittori dell’Italia centrale, Berenson (1897) riferì invece la tavola a Matteo da Siena, quale ritratto di Braccio Fortebracci.

Attualmente l’opera, conservata nei depositi della Alte Pinakothek, è attribuita dubitativamente ad un maestro sudtirolese o trentino.

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, II, Lipsia,

Hirzel, 1869, p. 12. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 135. - A. BAYERSDORFER – F. VON REBER (a c. di), Katalog des Gemälde

Sammlungen der Kgl. Älteren Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1896, p. 216. - B. BERENSON, The Central Italian Painters of the Renaissance, Londra - New

York, Putman’s Sons, 1897, p. 154. – E. JACOBSEN, Das Quattrocento in Siena,

Strasburgo, Heitz, 1908, p. 64. – H. VON TSCHUDI– F. VON REBER (a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1911, p. 164.

251 MAESTRO UMBRO

Ritrattto di un giovane uomo

Tavola di legno, 53.5 x 41.2 cm

Firmata sulla veste: RAFFAELLO VRBIN […]

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1059

Provenienza: Leonardo del Riccio Firenze (1759), Ignatius Hugford Firenze, Castello di Leopoldskron (Salisburgo), conte Lactat von Firmian, acquistato per il Principe ereditario Ludovico I (1817), Alte Pinakothek (1835)

1510-20 circa

Nelle prime collezioni la tavola era stata individuata quale autoritratto di Raffaello.

Passavant (1839) ne riconosce la paternità, ascrivendola al primo soggiorno fiorentino dell’Urbinate (1504 circa), ma contesta l’identificazione del soggetto.

Förster (1867) si limita a mettere in discussione l’attribuzione, Gruyer, Crowe-

Cavalcaselle e Lermolieff (1891) la respingono invece con fermezza. In particolare, Gruyer (1881) l’aveva rapportata al quadro di Hampton Court (inv.

710), Crowe e Cavalcaselle (1885) a Domenico Alfani.

La paternità raffaellesca era stata accettata con riserva persino nei cataloghi della Alte Pinakothek fin dal 1869, preferendo denominarla più cautamente dal

1884 “umbro-bologniesisch” o “ferraresich-bolognesisch” nell’arte di Lorenzo

Costa e datandola 1510 circa.

Nel Taccuino 1896/7, Venturi ne aveva segnalato l’importanza, apponendovi a fianco ben due asterischi ed affermando: «È il Tamaroccio! Le due colonne di

252 agata ai lati come ne’ quadri del Francia, e base come di metallo dorata. Mi ricordan anche le colonne del cassone acquistato dal De Eperiesy. Fondo alberi con chiome di un verde secco scuro. Sotto ai fusti, striscie acute d’acqua azzurra, azzurra sul verde chiaro! Tendenza a tondeggiare nel disegno. Nei bottoni dell’abito a sinistra RAFAELLO a destra URBINO. Carattere certo antico».330 Poi, più cautamente aveva appuntato: «Uno scolaro del Costa, forse il Tamaroccio».331

Nel frattempo, Berenson (1907, 1932, 1968) e Ricci (1915) l’avevano rapportata ad Amico Aspertini; nell’impasse generale della critica tale ipotesi venne accetta; ma non così fece il Nostro, il quale, nei taccuini, dopo aver appuntato velocemente «Amico Aspertini, Busto di giovane», aveva sentenziato:

«[B]olognese. Non è Aspertini, ma un suo simile. Ricordava quello d’Hampton

Court».332

Il paragone con il Ritratto maschile di Hampton Court (inv. 710), proposto inizialmente da Gruyer (1881), ripreso nei taccuini da Venturi (ante 1910), dietro suggerimento del Bayersdorfer,333 è stato di recente esaminato da Shearman

(1969). Questi, nello specifico, pone in relazione i due ritratti con un terzo della

Collezione Robinson-Labia (Sotheby, 27.11.1963, n. 29), riscontrando nello sfondo di tutti e tre tratti fiamminghi. Di fatto, nei cataloghi della Alte Pinakothek

(1911, 1913, 1920), si era scritto: «Auffällig ist der an Memling erinnernde

Hintergrund, der im Verein mit der ganzen stilistischen Haltung an einen Maler

330 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56R, n. 1476, 1078, 1896/7. 331 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 1V, n. 1078. 332 A. VENTURI, Taccuino pittorico, cc. 833V, 834R, n. 1078, ante 1910. 333 Nel Taccuino 1896/7, alla carta 49R, n. 1424, Venturi scrive: «Altra notizia datami dal Bayersdorfer: Ritratto ad Hampton-Court: n. 710 simile a quello di Monaco coi due buffoni, fatto il nome di Raffaello».

253 der ferraresisch-bolognesischen Schule aus der Richtung des Lorenzo Costa gemahnt».334

Diversamente Fiocco (1953) e Heinemann (1961) assegnarono la tavola a

Timoteo Viti; Volpe (1956), Camesasca (1956), Zeri (1957) e De Vecchi (1966) la riportarono nuovamente a Raffaello, indicando come possibile datazione gli anni

1504/5 circa. Wagner (1969) la reputò un “pasticcio del XVI secolo”, eseguito dopo la morte di Raffaello al fine di tramandare ai posteri le sembianze giovanili del maestro.

Da ultimo, Meyer zur Capellen (2001) nega fermamente ogni possibile relazione con Raffaello, in quanto «the description and proportions of the subject are so heavy-handed and the painting manner is so confused, recent attempts to attribute the painting to Raphael seem simply amazing»,335 dubitando persino dell’autenticità dell’iscrizione.

Syre (2007) lo ascrive, infine, ad un maestro umbro, lasciando incerta la datazione, attorno al 1520; Schumacher (2012) amplia l’intervallo 1510-1520.

Bibliografia:

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184. - F. A. GRUYER, Raphael peintre de portraits: fragments d’histoire et d’iconosgraphie sur

334 KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1913, p. 49. 335 MEYER ZUR CAPELLEN 2001, pp. 316-317.

254 les personnages représentés dans les portaits de Raphael, I, Parigi, Renouard, 1881, pp. 95.

- J. A. CROWE - G. B.CAVALCASELLE, Raphael, sein Leben und seine Werke, II, Lipsia,

1885, pp. 139-140. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 141-

142. - B. BERENSON, North Italian Painters of the Renaissance, Londra-New York,

Putman’s Sons, 1907, p. 165. - KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1913, p.

52. - KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1913, p. 49. - C. RICCI, Gli Aspertini,

«L’Arte», XVIII, 1915, pp. 102, 111. - KAT. DER KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK ZU

MÜNCHEN 1920, pp. 50-51. – B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano,

Hoepli, 1936, p. 29. – C. VOLPE, Due questioni raffaellesche, «Paragone», VII/75,

1956, pp. 3-4. - E. CAMESASCA, Tutta la pittura di Raffaello, Milano, Rizzoli, 1956, pp. 38-39. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek, «Paragone», VIII/95, 1957, p. 68. – F. HEINEMANN, Das sogenannte Bildnis Raffaells in der Alten Pinakothek,

«Pantheon», XIX, 1961, pp. 103-104. – M. BACCI, Pietro di Cosimo, Milano,

Bramante, 1966, p. 122. - B. BERENSON, Italian Painters oft he Renaissance. Central

Italian and North Italian school, I, Londra, Phaidon, 1968, p. 22. - H. WAGNER,

Raffael im Bildniss, Berna, Benteli, 1969, pp. 97-98. - P. DE VECCHI, Raffaello,

Milano, Rizzoli, 1970, n. 39. – L. DUSSLER, Raphael. A critical catalogue, Londra-

New York, Phaidon, 1971, p. 62. - R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, p. 132. - P. EIKEMEIER,

Hans Memling: Johannes und Veronika, Monaco, Bayerische

Staatsgemäldesammlungen, 1995, pp. 5, 12. - J. MEYER ZUR CAPELLEN, Raphael. A

Critical Catalogue of his paintings, voll. 3, Münster, 2001, p. 316. - L. WHITAKER - M.

CLAYTON, The Art of Italy in the Royal Collection, Renaissance&Baroque, Londra, Royal

255 Collection Pubblications, 2007, p. 44. – A. SCHUMACHER (a c. di), Perugino, Raffaels

Meister, Monaco, Katje Cantz, 2012, pp. 272-273.

256 MAESTRO VENEZIANO

Ritratto di un giovane uomo

Tela, 38. 2 x 31 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 1151

Provenienza: acquistata presso la Wiener Kunsthandel (Artaria) nel 1842 dal Re Ludovico I

1500 circa

Il primo catalogo della Pinacoteca che dà notizia del quadro quale autoritratto di

Giovanni Bellini è del 1845. Successivamente, dal 1884 fino al 1928, l’opera venne riportata come lavoro della scuola di Gentile Bellini, «doch erlaubt der Zustand des Bildes eine sichere Bestimmung nicht».336

L’attribuzione a Gentile Bellini fu proposta da Crowe-Cavalcaselle (1874), da

Van Marle (1935) e riportata come certa nei cataloghi della Pinacoteca dal 1936 al

1957. Tuttavia, già Lermolieff (1891) avevo messo in discussione il fatto che si trattasse di un’opera di ambito belliniano; il Nostro, se nei taccuini aveva annotato: «Gentile Bellini, Ritratto di un maestro posteriore al [Bellini]»,337 successivamente nella Storia precisava: «caratteri antonelliani, non di Gentile».338

La difficoltà nel definire l’autore fu notevole, Berenson (1936, 1957) arrivò persino ad assegnarla a Carpaccio. Poco convincente anche l’ipotesi di Heinemann

(1962) di attribuirla a Mazzola. Meyer zur Capellen (1985), espungendola dal catalogo, afferma che «das Bild zeigt lediglich die für die venezianische Malerei

336 KAT. GEMÄLDE-SMLG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1898, p. 203. 337 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 1030, ante 1910. 338 VENTURI 1928, p. 248.

257 des beginnenden 16. Jahrhunderts charakteristische Merkmale, doch ist keine der bisher gemachten Zuschreibungsvorschlage wirklich überzeugend».339

Syre (2007) preferisce ravvisare in questa «malerischen Raffinesse und in der subtilen psychologischen Erfassung […] die großartigen Leistung der venezianischen Porträtkunst […] wofür das Giorgione da Castelfranco zugeschriebene Porträt (inv. 524) und Tizians “Bildnis eines jungen Mannes “

(inv. 517) eindrucksvolle Zeugnisse liefern».340

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, V, 2, Lipsia,

Hirzel, 1874, p. 133. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 17. -F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in

München, Monaco, Bruckmann, 1898, p. 203. - A. VENTURI, Storia dell’arte, IX, 3,

Milano, Hoepli, 1928, p. 248. - R. MARLE, The development of the Italian Schools of

Painting, XVII, L’Aia, Nijhoff, 1935, p. 170. - B. BERENSON, Pitture Italiane del

Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 116. - B. BERENSON, Italian Pictures of the

Renaissace, II, (Venetian school), Londra, Phaidon, 1957, p. 57. - F. HEINEMANN,

Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 252. - R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann,

1975, p. 138. - J. MEYER ZUR CAPELLEN, Giovanni Bellini, Stoccarda, Steiner, 1985,

339 MEYER ZUR CAPELLEN 1985, p. 156. 340 SYRE 2007, p. 276.

258 pp. 155-156. - C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei, Monaco, Hatje Cantz,

2007, p. 276.

259 MAESTRO VENEZIANO DELLA FINE DEL XVI SEC.

Ritratto di famiglia

Tela, 115.1 x 165.9 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 931

Provenienza: acquistata da Carlo Teodoro nel 1793, 1810-1830 a Schleißheim, 1838-1911 alla Alte Pinakothek, dal 1922 presso la Filialgalerie di Augsburg, dal 196

1500 circa

A partire dal catalogo del 1884 l’opera venne attribuita con riserva a Jacopo

Tintoretto, dal 1911 alla scuola ed accostata al Compianto sul Cristo della

Gemäldegalerie di Berlino (inv. 1666).

Mündler (1865) avanzò il nome di Paolo Farinati e Berenson (1894) quello di

Jacopo Bassano; Thode (1901), pur senza proporre un’alternativa, respinse l’ipotesi attributiva a Jacopo Tintoretto.

L’opera venne riportata da Venturi nel Taccuino 1904, dove s’interrogò: «Iacopo

Tintoretto. No, Scuola»;341 «Tintoretto. No, opera d’un suo seguace».342

In seguito ad una riflessione più accurata, il Nostro credette trattarsi di una tela di Marco Tintoretto, la cui «mano si ritrova qualche rara volta, tra le opere di bottega tintorettersca, in figure senza corpo, in teste senza struttura, in occhi con lo sguardo imbambolato, in mani senz’ossa. […] a Monaco, in un personaggio,

341 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 51, n. 1128, 1904. 342 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1128, 1904.

260 doge da farsa».343 Il quadro, infatti, veniva riportato nella Storia con il titolo Un

Doge consegna una lettera a un uomo con un ragazzetto.

Berenson (1927) rivide successivamente la propria posizione, alla luce di quanto affermato da Hadeln (1912), e giudicò che l’opera potesse essere considerata un lavoro giovanile di Domanico Tintoretto.

La tela, attualmente conservata presso i depositi della Alte Pinakothek, è stata infine attribuita da Kultzen (1971) ad un maestro veneziano del XVI sec. Il critico osserva, però, che tale maestro si possa rintracciare fra i collaboratori più stretti di

Domenico Tintoretto, viste le forti somiglianze con il maestro.

Bibliografia:

O. MÜNDLER, Die Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog,

«Rezensionen und Mitteilungen über bildenden Kunst», IV, 1865, p. 370. - C.

EASTLAKE, The Old Pinakothek at Munich, Londra, 1884, pp. 175-176. – B.

BERENSON, The Venetian Painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s

Sons, 1894, p. 84. – H. THODE, Tintoretto, Bielefeld, Velhagen&Klasing, 1901, p.

80. - B. BERENSON, While on Tintoretto, «Festschrift für Max J. Friedländer zum 60.

Geburtstag», Lipsia, 1927, p. 225. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 5,

Milano, Hoepli, 1932, pp. 678, 680. – R. KULTZEN - P. EIKEMEIER (a c. di),

Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15. Und 16. Jahrhunderts. München Alte

Pinakothek, I, Monaco, Druckerei Holzinger, 1971, pp. 211-213.

343 VENTURI 1932, p. 678.

261 MAESTRO VERONESE

Il Giudizio di Salomone

Tela, 124.8 x 116.7 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 1355

Provenienza: palazzo Lechi a Brescia, acquistata dal collezionista Richard Fryor che la vendette all’antiquario Floane, nel 1808 Friedrich Müller l’acquistò a Napoli per il Principe ereditario Ludovico I, dal 1810 presso la Alte Pinakothek

Firma falsa IACOPO BELLINI

1500 circa

I cataloghi della Pinacoteca (1900-1904) la attribuirono inizialmente a Girolamo del Santo. In tale scheda inoltre si riportava l’opinione di Gustav Ludwig, il quale sosteneva che lo stemma presente sulla base del trono di Salomone fosse rapportabile alla famiglia padovana Detio. A questo proposito, Tempestini (1993) propose di mettere in relazione l’iscrizione con il «giureconsulto Filippo Decio, o

Desio (1454-1536?), professore anche nell’Università di Padova».344

Venturi, dopo averne segnalato la qualità ed averla riportata erroneamente come da catalogo «scuola di Verona um 1480. La Strage degl’innocenti», commentò: «Potevan dire sino al 1505. Caroto! Certo il Caroto! Vi sono i gialli di

Caroto, del tempo della Madonna cucitrice di Venezia: le sue teste tonde.

Notevole il giallo arancio sanguigno della veste della Santa a sinistra».345 La proposta venturiana, però, non venne ulteriormente avvalorata, giacchè nelle successive Carte sciolte sentenziò: «Scuola di Verona. Giudizio di Salomone.

344 TEMPESTINI 1993, p. 39. 345 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55V, n. 1467 1020, 1896/7.

262 Giolfino».346 Tale attribuzione era stata ipotizzata anche da Jacobsen (1897a), il quale aveva detto: «Das Gemälde ist nämlich ein sehr charakteristisches Werk des

Niccolo Giolfino und zwar, wie ich vermuthe, ein Frühwerk, da er später seinen

Gesichtern einen griesgrämigen Ausdruck verlieh und auch schwärzlicher im

Colorit wurde».347

Sin dal 1974, la tela venne attribuita da Tempestini ad un pittore veneto, seguace di Giovanni Bellini e di Cima da Conegliano, nel suo periodo giovanile.

Attualmente l’opera si trova registrata nei depositi della Alte Pinakothek sub voce maestro veronese.

Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, V, Lipsia,

Hirzel, 1873, p. 114. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren

Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 429.

- F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in

München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1900, p. 220. – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1901, p. 220. – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-

Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth,

1904, p. 220. - A. TEMPESTINI, Il maestro veneto dell’incredulità di San Tommaso,

«Antichità viva», II, 1974, p. 4. - A. TEMPESTINI, Il Cupido dormiente di Michelangelo e

346 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 5R, n. 1020. 347 JACOBSEN 1897a, p. 429.

263 un dipinto veneto dei primi del Cinquecento, in RONALD G. KECKS (a c. di), Musagetes,

Festschrift fur Wolfram Prinz zu seinem 60. Geburtstag am 5. Februar 1989, Berlino,

Gebr. Mann Verlag, 1989, pp. 287-298. - A. TEMPESTINI, II fratelli Busati e il maestro veneto dell’incredulità di San Tommaso, «Studi di storia dell’arte», Todi, Ediart, 1993.

264 ANDREA MANTEGNA E BOTTEGA

Muzio Scevola

Tela, 40.7 x 34.2 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 13792

Provenienza: raccolta Thomas Lawrence presso la Kupferstichkabinett di Monaco, dal 1937 in prestito alla Alte Pinakothek, dal 1967 possedimento della Bayerischen Staatsgemäldesammlungen

1490 circa

Descritta da Michiel (1512) nella casa di Francesco Zio a Venezia, G. Vertue

(1757) la menziona all’interno della raccolta di Carlo I d’Inghilterra a Whitehall, dove anche Crowe e Cavalcaselle (1871) la vedono la prima volta.

Thode (1897) si limita a riportare la notizia di Crowe e Cavalcaselle; Berenson

(1900/1, 1932, 1968), Fiocco (1930, 1937) e Cruttwell (1901) ne affermano con certezza l’autografia del Mantegna e la giudicano opera tarda.

Il Nostro non si è espresso in merito, limitandosi solo a registrare l’opera nel

Taccuino pittorico: «Mantegna disegno nel [*Printo] Romano Muzio Scevola».348

Kristeller (1902) parlò di Schulerhanden; nella stessa direzione Knapp (1910) e

Tietze-Conrat (1956). Quest’ultima ha rintracciato nella composizione, da sinistra fino a metà circa, la mano del Mantegna, riprendendo quanto affermato da

Campori (1870) a proposito della raccolta Gonzaga di Novellara.

348 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, senza numero, ante 1910.

265 La proposta attributiva di Heinemann (1962), il quale l’assegnava a G. Mocetto, non ha trovato conferma nella letteratura successiva; Baldini-Curzi-Prete (1997) lo inseriscono nel catalogo dei dipinti attribuiti e di bottega, parimenti Syre (2007).

Bibliografia:

M. MICHIEL, Notizia d’opere di disegno, Bologna, Zanichelli, 1884, p. 179. - G.

VERTUE, A catalogue and description of King Charles the First’s Capital Collection of pictures, Londra, Bathoe, 1757, p. 124. - G. CAMPORI, Raccolta di cataloghi e inventari inediti di quadri, statue, disegni, bronzi, dorerie, smalti, medaglie, avori, ecc. dal sec. XV al

XIX, Modena, Vincenzi, 1870, p. 636. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE,

History of painting in North Italy: Venice, Padua, Vicenza, Verona, Ferrara, Milan, Friuli,

Brescia, from 14th and 16th Century, Londra, Murray, 1871, p. 417. - H. THODE,

Mantegna, Bielefeld, Verlhagen&Klasing, 1897, p. 106. - G. FIOCCO, Mantegna,

Parigi, Gallimard, 1938, pp. 74, 219. - B. BERENSON, «Monatshefte für

Kunstwissenschaft», p. 255. - M. CRUTTWELL, Andrea Mantegna, Londra, Bell,

1901, pp. 87-88. - P. KRISTELLER, Andrea Mantegna, Berlino-Lipsia, Cosmos, 1902, pp. 388, 389, 464. - F. KNAPP, Andrea Mantegna, Stoccarda, Deutsches Verlags-

Anstalt, 1910, p. LI, ill. 129. - G. FIOCCO, sub voce Andrea Mantegna, in Allgemeines

Lexikon der bildenden Künstler, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XXIV, Lipsia,1930, p. 41. - B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance, Oxford, Phaidon, 1932, p.

327. - G. FIOCCO, Mantegna, Milano, Hoepli, 1937, p. 68. - E. TIEZTE-CONRAT,

Mantegna, Colonia, Phaidon-Verl., 1956, p. 191. - F. HEINEMANN, Giovanni Bellini e i Belliniani, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 257. - E. CAMESASCA, Mantegna, Milano,

266 Edizioni per il club del libro, 1964, pp. 44, 78, 124. - N. GARAVAGLIA, Mantegna,

Milano, Rizzoli, 1967, n. 78. - B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance. Central

Italian and North Italian Schools, I, Londra, Phaidon, 1968, p. 240. - R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann,

1975, pp. 72-73. - R. W. LIGHTBOWN, Mantegna, with a complete catalogue of the paintings, drawings and prints, Oxford, Phaidon-Christie’s, 1986, p. 469, n. 139. - U.

BALDINI-V. CURZI-C. PRETE, Andrea Mantegna, Firenze, Edizioni d’Arte il Fiorino,

1997, p. 267. – G. AGOSTI, Mantegna 1431-1506, Milano, Officina libraria, 2008.

267 ROCCO MARCONI

San Nicola di Bari tra i santi Giovanni Battista e Filippo

Tavola di castagno, 217 x 142 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 519

Provenienza: acquistata presso la collezione di Malmaison di Giuseppina Bonaparte (1815), fino al 1834 custodita alla Hofgartengalerie di Monaco, dal 1836 alla Alte Pinakothek

MDXXX F. SABASTIAM F. PER AGOSTINO CHIGI

La tavola, acquistata quale Sebastiano del Piombo presso la collezione di

Giuseppina Bonaparte a Malmaison (1815), mantenne tale paternità negli inventari monacensi fino al 1872. Nel 1876, però, Crowe e Cavalcaselle la indicarono come

Rocco Marconi; proposta accolta con favore nei successivi cataloghi della

Pinacoteca. Ciononostante, nel 1888, pur riportando l’opera a tale pittore, Franz von Reber aveva commentato: «Das bild zeigt ebensoviel ferrareische wie venetianische Eigenschaften».349

Di opinione contraria si dimostrarono Lermolieff (1891) e Jacobsen (1897a), i quali, ritenendo apocrifa la firma, la giudicarono opera di un pittore ferrarese, vicino a Garofalo e all’Ortolano.

Venturi, nei taccuini, ipotizzò trattarsi di «un dossesco – Bagnacavallo? Forte il colore. Ferrarese nella sua vivezza»;350 «Rocco Marconi ha gli scuri altrettanto intensi. Il rosso rubino, il verde rame intenso, le carni così abbronzate: eppure qui

349 KAT. GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1888, p. 239. 350 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 43, n. 1085, 1904.

268 è d’uno scolaro de’ ferraresi. Il santo di mezzo sarebbe San Geminiano? Reca la data [data] M. D. XXX. . F. SABASTIAM. F. . PER . AGOSTINO CHIGI».351

Infine, nel Taccuino pittorico, probabilmente sulla scorta di quanto aveva affermato il Lermolieff, aveva concluso: «Rocco Marconi. Tre Santi (firma falsa che ricorda Sebastiano del Piombo). Bolognese? C’è molto di venezianeggiante.

Bagnacavallo venezianeggia?».352

Nei cataloghi della Alte Pinakothek, pur con qualche riserva talvolta, l’attribuzione rimase inalterata, trovando conferma anche nel volume sulla scuola veneziana di Berenson (1958). Heinemann (1962) invece, pur riportandola nel catalogo dell’autore, scriveva: «D’un aiuto di bottega o di un copista di Rocco

Marconi, del quale è tipico il forte contorno delle carni».353 Il critico suggeriva quindi un’attribuzione al maestro del Cristo e l’adultera della Galleria Corsini (inv.

623), oggi conservato a Palazzo Venezia.

Da ultimo, De Vecchi (1975) afferma: «L’intervento di un aiuto è senza dubbio avvertibile nei due angeli che reggono la mitria e in talune parti delle figure laterali, ma non giustifica l’esclusione del dipinto dal catalogo del Marconi. Databile agli ultimi anni di attività dell’artista».354

L’opera è attualmente custodita nei depositi della Alte Pinakothek.

351 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 44, n. 1085, 1904. 352A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 830R, n. 1085, ante 1910. 353 HEINEMANN 1962, p. 123. 354 DE VECCHI 1975, p. 351.

269 Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, VI, Lipsia,

Hirzel, 1876, p. 423. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 92-93. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu

München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 436. - B.

BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, La scuola veneta, I, Londra, Phaidon,

1958, p. 113. – F. HEINEMANN, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia, Neri Pozza,

1962, p. 123. – R. KULTZEN - P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische

Gemälde des 15. Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei

Holzinger, 1971, pp. 95-96. - P. L. DE VECCHI (a c. di), Rocco Marconi, in AA. VV.,

I pittori bergamaschi, dal XIII al XIX secolo, 1 vol., (Il Cinquecento), Bergamo,

Poligrafiche Bolis, 1975, pp. 350-351.

270 TOMMASO DI CRISTOFORO FINI

DETTO MASOLINO DA PANICALE

Madonna col Bambino

Tavola di pioppo, 95.3 x 57.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 264

Provenienza: acquistata tra il 1814 e il 1816 a Firenze per il Principe ereditario Ludovico

1435 circa

La tavola era stata dapprima catalogata come Pisanello, quindi come scuola toscana (1865), senese (1878), poi “bolognesisch um 1480” (1884), da ultimo come scuola fiorentina della prima metà del XV secolo (1891). Di fatto, Venturi, evidenziandone l’importanza, annotò: «Florentinisch um 1440. Mi pare del maestro che ho tanto ammirato a Bremen. Testa tonda della Vergine e del

Bambino. Il Bambino guarda al pubblico, tenendo con ambo le mani la mammella scoperta della Madre. Belli anche gli angioli! Vicino al Masaccio!».355

Tale giudizio si dimostrò invero molto acuto. Per primo, Berenson (1896) propose di attribuire l’opera a Masolino, trovando successivamente conferma da parte dello Schmarsow (1925), il quale in principio lo aveva interpretato come

Masaccio (1896).

355 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55R, n. 1464 1019, 1896/7.

271 Il Nostro annota quindi nel Taccuino pittorico: «Madonna col Bambino, quattro angioletti, Padre Eterno. Masolino. Carni d’un color caldo nelle ombre. Tutta avvolta la Vergine nel manto azzurro, con la tunica dorata».356

Nel primo volume sulla pittura del Quattrocento, propone una datazione prossima agli anni della tavoletta di Bremen, attorno al 1421-1423 circa, e argomenta il parallelismo con tale Madonna: «Questo quadretto del 1423 e l’altro della Pinacoteca di Monaco, che ha con esso tante corrispondenze formali, ci permettono di studiare l’artista in quell’anno. Nella Madonna di Monaco egli mantiene il tipo delle altre trecentesche dell’Umiltà, avendola figurata lattante. Vi aggiunge angioli dalle lunghe ali appuntate scendenti dalle nuvole a fusetti, e l’Eterno che appare in una mandorla tra i cherubi. Il pittore tende ancora in tutto alle forme trecentesche, come si vede nelle lunghe calligrafiche pieghe, nella piccolezza degli esseri celesti rispetto alla figura di Maria. Una piccola modificazione iconografica si trova in questo: l’Eterno e lo Spirito Santo designano il Fanciullo come parte della Trinità; ma il naturalismo contrasta alla definizione teologica, e fa che il Bambino guardi con grandi occhi i fedeli, mentre vuol stringere per sé, assicurare a sé, circondandola con ambe le mani, la poppa materna».357

Ad eccezione di Beenken (1929-30), il quale mantenne l’attribuzione al Maestro degli affreschi del Battistero di Castiglione Olona, la critica successiva si è dimostrata concorde nel ritenerla opera autografa di Masolino.

356 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 835V, n. 1019, ante 1910. 357 VENTURI 1911, p. 98.

272 Minor consenso si è avuto in merito alla datazione. Toesca (1908) la datò 1423 circa, Schmarsow (1925) indicativamente 1435, Van Marle (1927) attorno al 1420.

Longhi (1940) vi scorse l’influenza di Masaccio, propose dunque di collocare l’opera contestualmente alla Sant’Anna Metterza, 1424/25 circa, interpretazione accolta dalla critica successiva e corroborata anche da Roberts (1993).

Nel catalogo attuale, Syre (2007) specifica le affinità con Masaccio e propone una datazione attorno al 1435.

Bibliografia:

B. BERENSON, The Florentine Painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s

Sons, 1896, p. 122. - A. SCHMARSOW, Masaccio: der Begründer des klassischen Stils der italienischen Malerei, III, (Masolino oder Masaccio?), Kassel, Fisher, 1898, pp. 65-69,

71-73. - P. TOESCA, Masolino da Panicale, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,

1908, pp. 22-23. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 1, Milano, Hoepli, 1911, pp. 82, 98, 104, 114. - A. SCHMARSOW, Neue Beiträge zu Masolino und Masaccio,

«Belvedere», VII, 1925, pp. 151-152. - H. BEENKEN, Masaccio et le début de la

Renaissance, Le Haye, 1927, p. 42. - R. VAN MARLE, VIII, 1927, pp. 258-259. - H.

BEENKEN, Zum Werke des Masaccio II, «Zeitschrift für bildende Kunst», LXIII,

1929/30, pp. 160-161. - R. LONGHI, Fatti di Masolino e di Masaccio, «Critica d’arte»,

V, 1940, p. 181. - R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische

Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, pp. 74-75. - P. JOANNIDES, Masaccio and

Masolino, Londra, 1993, pp. 41, 379. - P. L. ROBERTS, Masolino, Oxford, Clarendon

273 Press, 1993, pp. 25-27. – C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei, Monaco,

Hatje Cantz, 2007, p. 162.

274 MATTEO DI GIOVANNI

La strage degli innocenti

Tela, 150 x 150 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 1354

Provenienza: acquistata a Roma da Müller (1808)

Alla voce Matteo di Giovanni di Bartolo da Siena il catalogo della Pinacoteca

(1896) riportava: «Spätere Schulcopie nach dem im Museum zu Neapel befindlichen Originale».358

Nei taccuini Venturi trascriveva fedelmente come da catalogo: «Matteo da

Siena. Strage degl’innocenti (parmi una copia tutta scura di cosa chiara)»;359 «copia di quello di Napoli».360 Nella SAI, a proposito del ciclo della Strage degli Innocenti menzionava solo quella realizzata per Santa Maria dei Servi, ascritta al 1471, quella per Sant’Agostino di Siena, al 1482, ed «una terza, probabilmente anteriore a queste due […] nella Galleria nazionale di Napoli».361 Quest’ultima sarebbe oggi conservata presso il Museo Nazionale di Capodimonte (inv. Q 38).

La tela non è stata riportata né da Hartlaub (1910) né da Gengaro (1934) e attualmente si trova nei depositi della Pinacoteca.

358 KAT. GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK 1896, p. 223 359 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62R, n. 1515 1021, 1896/7. 360 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 63, n. 1021, 1904. 361 VENTURI 1911, p. 504.

275 Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, IV, 2, Lipsia,

Hirzel, 1872, p. 94. – G. F. HARTLAUB, Matteo di Giovanni und seine Zeit, Strasburgo,

Heitz, 1910. - M. L. GENGARO, Matteo di Giovanni, Siena, Ed. La Diana, 1934.

276 LUDOVICO MAZZOLINO

Sacra Famiglia

Tavola in legno, 63 x 49 cm datata 1516 sul fianco del sedile, in basso a destra

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1024

Provenienza: acquistata prima del 1836 dal Re Ludovico I

1516

A detta di Venturi, Mazzolino, «gioioso coloritore di kermesse ferraresi, iniziatosi sulle orme di Ercole de’ Roberti»,362realizza un quadro «grandioso ma grossolano!».363

Zamboni (1968) ravvisa un’analogia con Dosso, in particolare «nel tessuto caldo e crepitante della pittura, nell’alone fosforico attorno all’apparizione dell’Eterno Padre, nel vasto paesaggio boscoso. Il dipinto, datato 1516, costituisce

[…] un punto di riferimento fondamentale per misurare la qualità delle assimilazioni dossesche di Mazzolino che paiono assommarsi alla scoperta della dimensione classica di Raffaello».364

362 VENTURI «L’Arte» 1933, p. 386. 363 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 1458 1024, 1896/7. 364 ZAMBONI 1968, p. 48.

277 Bibliografia:

A. VENTURI, Ludovico Mazzolino, «Archivio Storico dell’Arte», II, 1890, p. 462. – I.

LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien uber die Italienische Malerei, II, Die Galerie zu

München und Dresden, Lipsia, E. A. Seemann, 1891, p. 100. – A. VENTURI - R. H.

BENSON, Illustrated Catalogue of the School of Ferrara-Bologna, 1440-1450, «Burlington

Fine Arts Club», Londra, Burlington Fine Arts Club, 1894, p. 45, n. 29. – B.

BERENSON, The North Italian Painters of the Renaissance, New York, Putman’s Sons,

1907, p. 257. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII 3, Milano, Hoepli, 1914, p.

748, 750. – G. GRONAU, sub voce Mazzolino Ludovico, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, a c. di U. THIEME – F. BECKER,

XXIV, Lipsia, 1930, p. 313. - B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance,

Oxford, Phaidon, 1932, p. 357. - S. ZAMBONI, Ludovico Mazzolino, Milano, Silvana

Ed. Arte, 1968, pp. 17, 48. – L. LEONCINI, sub voce Mazzolino Ludovico, The

Dictionary or Art, XX, Londra, 1996, pp. 904-905.

278 ANDREA MELDOLLA (ATTRIBUITO)

Il Parnaso

Tavola di pioppo, 39.5 x 70.2 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 40

Provenienza: Mannheimer Galerie (1756), Hofgartengalerie (1799-1836), Alte Pinakothek (1836- 1908), Filialgalerie Passau (1952-1961)

L’opera era stata attribuita a Perin del Vaga sulla base di un foglietto autografo presente sul retro della medesima tavola e recante la dicitura “Perin del Vago”.

Lermolieff (1880), tuttavia, dopo aver riscontrato l’influsso stilistico di Tiziano e del Parmigianino, l’assegnò allo Schiavone. Tale proposta venne accolta nei cataloghi della Pinacoteca sin dal 1884, tuttavia Venturi, affindando le sue perplessità ai taccuini, annotò: «A. Meldolla (Schiavone). Apollo, le Muse e i poeti.

Mi sembrano troppo proporzionate le figure per Schiavone. Lumeggiate tutte le vesti d’oro. Effetto vivissimo di colore. Domina il verde e il rosso cambia in vivo giallo nelle parti in luce».365 Dell’opera non v’è menzione nella Storia.

L’ipotesi del Lermolieff / Morelli fu confermata tanto dal Berenson (1932,

1957), quanto dal resto della critica ad eccezione di Heinemann (1962), il quale propendeva per un artista olandese, e di Fahy (1965) che lo assegnava a Girolamo da Treviso.366

365 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55V, n. 1469 1089, 1896/7. 366 Tali commenti sono riportati in KULTZEN - EIKEMEIER 1971, p. 121.

279 Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von München, Dresden und

Berlin, Lipsia, Seemann, 1880, p. 48 – C. L. EASTLAKE, Notes on the Principal Pictures in the Old Pinakothek at Munich, Londra, 1884, pp. 209-210. – B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance, Oxford, Phaidon, 1932, p. 519. – R. KULTZEN – P.

EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15. Und 16.

Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei Holzinger, 1971, pp.

120-122.

280 LIPPO MEMMI

L’Assunzione di Maria

Tavola di pioppo, 78.2 x 36 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 671

Provenienza: acquistato dal Principe ereditario Ludovico I a Firenze (1818)

1330/35 circa

La vicenda attributiva dell’opera risulta complessa sia per quanto riguarda il nome dell’autore, sia per la datazione.

I cataloghi dell’Alte Pinakothek nel 1838 attribuiscono l’opera a Gentile da

Fabriano, nel 1865 a Taddeo di Bartolo e nel 1878 a Lippo Memmi. A quest’ultimo fanno riferimento anche Crowe e Cavalcaselle (1869, 1909) e

Jacobsen (1897a); ipotesi confermata da Berenson (1908, dal 1936 con qualche riserva) e da Van Marle (1920, 1924), il quale datava con certezza l’opera dopo il

1333.

Detto questo, bisognerà aggiungere altresì come fino al 1911 si ritenesse erroneamente che il pannello facesse parte di un trittico, del quale la summenzionata tavola avrebbe costituito il pannello centrale, affiancata dai pannelli WAF 265/266, oggi attribuiti in via provvisoria alla bottega di Niccolò di

Buonaccorso (cfr. OS 1969).

I supposti pannelli laterali, incorniciati nel XIX secolo, e l’insolito buono stato di conservazione del pannello centrale, resero sospettosi molti critici, fra i quali lo

281 stesso Venturi. Il Nostro, infatti, commentava nei taccuini: «Tutto pulito, rinnovato così che pare proprio falso. Negli sportelli, chiaroscuri su fondo azzurro

[*turchesco]. Figure di Santi che sono la caricatura di quelli di Simone: colli stretti e lunghi, colli tirati. Teste studiate dal Quattrocento, arcaizzate (quelle del frate a destra domenicano). Materialità delle pieghe. Sbagli nel disegno fenomenali».367

Le imprecisioni e le approssimazioni, quindi, venivano interpretate come indizi d’un falso moderno. Venturi, raffrontando l’opera con la vetrata della Cattedrale di Siena, raffigurante la Madonna in mandorla di Niccolò di Ser Sozzo, affermava:

«E qui pure cascò l’asino. Non aveva più da copiare! – Il mezzo deve essere stato fatto con la miniatura dell’Assunzione di Ser Sozzo. I profeti che vengono incontro, discendono col Cristo verso la Vergine. Tengono meno di Simone: il

Cristo meno di tutti. La Vergine incoronata poi non tiene affatto di Simone –

(Manca traccia di gotico)».368

Nel Corriere de «L’Arte», a proposito di quadri falsi, asseriva inoltre: «C’è un

Lippo Memmi (n. 986), nel bel mezzo d’una parete, fabbricato sessanta o settanta anni fa: trattasi d’un trittico che rappresenta l’Assunzione della Vergine nella parte mediana, i beati nelle parti laterali a chiaroscuro. A guardarci bene, il falsificatore non si attenne a un artista solo, ma ad artisti parecchi e di tempo differente, a

Simone Martini, come a Beato Angelico. Quando però gli venne meno il modello, torse, allungò i colli dei Santi per esprimere la loro devozione; e quando dovette tracciare un fondo architettonico alle due portelle dimenticò il gotico di Lippo

367 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 28, n. 986, 1896/7. 368 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 41, n. 986, 1896/7.

282 Memmi, e con certi segnacci neri e grossi disegnò archi a pieno centro e archi sopraelevati».369

Dewald (1923) e Beenken (1928/9) vi rintracciavano numerose affinità iconografiche con Pietro Lorenzetti, al quale attribuirono l’opera.

A fronte di una serie di proposte poco convincenti, si registra l’opinione di Os

(1969), il quale ritiene possibile attribuire la tavola a Lippo Memmi e considerarla un lavoro cronologicamente databile fra il 1320/1330. Su quest’ultimo punto non si trova d’accordo Hueck, la quale propende per una datazione più tarda.

Parimenti Zeri (1957), Oertel (1960) e Polzer (1981). Quest’ultimo, di fatto, sposta la datazione di poco più innanzi rispetto al 1340, raffrontando la tavola del

Maestro degli Angeli Ribelli, conservata al Louvre. L’ipotesi è stata accolta e registrata nei cataloghi attuali della Pinacoteca (Syre 2007).

Bibliografia:,

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, I, Lipsia,

Hirzel, 1869, p. 272. - A. VENTURI, «L’Arte», 1904, p. 391. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, V, Milano, Hoepli, 1907, p. 666. - B. BERENSON, 1908, p. 287. - J.

A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A history of painting in Italy, II, (The Sienese School of the XIV century), Londra, ed. Hutton, 1909, p. 57. - R. VAN MARLE, Simone

Martini et les peintres de son école, Strasburgo, Heitz, 1920, pp. 106-107. - E. T.

DEWALD, The Master of the Ovile Madonna, «Art Studies», I, 1923, p. 54. - R. VAN

369 VENTURI «L’Arte» 1901, p. 391.

283 MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, II, (The Sienese School of the

XIV century), 1924, p. 263. - H. BEENKEN, Das Urbild der sienesischen

Assuntadarstellungen im XIV. Und XV. Jahrhundert, «Zeitschrift für bildende Kunst»,

1928/9, p. 78. - B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli,

1936, p. 309. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di Monaco, «Paragone»,

XCV, 1957, p. 66. - R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance,

Muncher, Hirmer, 1960, pp. 15-16, 49. – H. VAN OS, Marias Demut und

Verherrlichung in der sienesischen Malerei 1300-1450, L’Aia, Staatsuitgeverij, 1969, pp.

116-118. – I. HUECK, Rezension von Os, Hendrik Willem van, Marias Demut und

Verherrlichung in der sienesischen Malerei: 1330-1450, s’Gravenhage, 1969, «The Art

Bulletin», LIII, 1971, p. 118. – J. POLZER, The “Master of the Rebel Angels”,

Reconsidered, «The Art Bulletin», LXIII, New York, ed. John Shapley, 1981, pp.

574-584. – C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei, Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 166.

284 LORENZO MONACO E BOTTEGA

San Pietro

Tavola di pioppo, 53.5 x 39.8 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. L 970

Provenienza: Collezione Lotzbeck (metà XIX secolo)

Data

La tavola faceva originariamente parte di una serie di cinque pannelli, quattro dei quali si trovano al Metropolitan Museum di New York (inv. 65.14.1-4).

Berenson (1896) l’attribuì a Lorenzo Monaco, sostenuto anche da Sirén (1905), il quale propose, per la prima volta, un confronto con il David di Kassel (oggi al

Metropolitan Museum, NY, inv. 65.14.4). Tale interpretazione fu accolta dalla critica successiva: Van Marle (1927), Suida (1929), Montebello (1966), Boskovits

(1975), Kultzen (1975).

Venturi, nei taccuini, la riportò come da catalogo, definendola quale opera del periodo «[p]rimitivo».370

Berenson (1909) la annoverò fra i primi lavori di Lorenzo, Pudelko (1938), in relazione alla Madonna dell’Umiltà della raccolta Berenson, la datò 1405. Zeri

(1971), invece, colloca la tavola attorno al 1410, reputandola di qualità inferiore rispetto agli altri pannelli con Profeti, dal momento che forse alla realizzazione del

370 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 96, ante 1910.

285 nostro partecipò anche la bottega. In precedenza, anche Meiss (1958) aveva dubitato della presenza di collaboratori.

Eisenberg (1989) suggerisce di collocarla a cavallo fra 1408-1410; oltre a confermare la relazione con i quadretti newyorkesi, ipotizza che il pittore che eseguì San Pietro sia lo stesso del San Giovanni Evangelista della Crocifissione (San

Giovannino dei Cavalieri).

Bibliografia:

B. BERENSON, The Florentine Painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s

Sons, 1896, p. 119. – O. SIRÉN, Don Lorenzo Monaco, Strasburgo, 1905, pp. 43-44. -

B. BERENSON, 1909, p. 153. – R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of

Painting, IX, L’Aia, Nijhoff, 1927, p. 168, nota 3. – W. SUIDA, sub voce Lorenzo

Monaco, in in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur

Gegenwart, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XXIII, Lipsia, 1929, p. 392. – G.

PUDELKO, The stylistic development of Lorenzo Monaco, «The Burlington Magazine»,

LXXIII, 1938, p. 238, nota 13. – M. MEISS, Four Panels by Lorenzo Monaco, «The

Burlington Magazine», C, 1958, pp. 192, 195-196. – G. P. DE MONTEBELLO, Four

Prophets by Lorenzo Monaco, «Metropolitan Museum of Art Bulletin», XXV, 4, 1966, p. 167. – F. ZERI, Italian paintings: A Catalogue oft he Collection of The Metropolitan

Museum of Art, Florentine School, Greenwich-Conn., New York Graphic Soc., 1971, pp. 62-66. – M. BOSKOVITS, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400,

Firenze, Edam, 1975, p. 349. – R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5

286 (Italienische Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, pp. 66-67. - M. EISENBERG,

Lorenzo Monaco, Princeton-Guildford, Princeton University Press, 1989, pp. 148-

149.

287 ALESSANDRO BONVICINO

DETTO MORETTO DA BRESCIA

Ritratto di un ecclesiastico

Tela, 101.5 x 78 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 683

Provenienza: acquistata a Venezia dagli eredi del Marchese Canova per Re Ludovico I (1838)

1545/50 circa

Fin dal 1839 i cataloghi della Pinacoteca avevano attribuito il dipinto a Moroni; in seguito, sotto l’influenza di Mündler (1865) era stato riportato sotto la paternità del Moretto; giudizio questo avallato anche da Lermolieff (1891) e Da Ponte

(1898). Questi, nello specifico, vi aveva identificato il Ritratto di un professore e, con grand’acutezza, aveva notato come in questa tela Moretto «si scosta dalla maniera ordinaria […] per avvicinarsi in modo affatto particolare ai ritratti tizianeschi, o, per essere più espliciti, ai ritratti di Lorenzo Lotto».371 Ribadiscono le qualità lottesche del quadro Venturi (1929), Moschini (1931) e Boselli (1943, 1954).

In particolare, il Nostro nei taccuini aveva appuntato: «Ritratto del Moretto di un prelato. Tutto scuro, carni della faccia cenerognole»,372«ritratto del tempo plumbeo».373 Nella Storia, ritenendolo il Ritratto di un giudice,374 aveva rimarcato questo carattere cupo e ombroso, affermando: «L’effetto della pittura è lugubre:

371 DA PONTE 1898, pp. 99-100. 372 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1482 1123, 1896/7. 373 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 57, n. 1123, 1904. 374 VENTURI 1929, pp. 140, 203.

288 pallide, fosche, spettrali le carni, neri la barba e i capelli nera la veste, scura la parete della stanza, smorta la luce traverso i rulli della finestra. Plumbea l’ombra sui due libri e sulla clessidra, che sembra segnare il tempo alla vita d’un condannato».375

Opinione isolata e dissenziente quella di Suida (1938), il quale giudicò la tela opera giovanile di Veronese, ponendola in relazione con i ritratti di sapienti dello

Städelsches Kunstinstitut di Francoforte e del Kunsthistorisches di Vienna.376

Berenson (1936, 1968), Gombosi (1943) riaffermarono la paternità del

Moretto, pur riconoscendo quanto i modi del ritratto monacense si allontanino da quelli a lui più propri. Gombosi suggerisce, inoltre, una data d’esecuzione intorno al 1550, parimenti Oertel (1960).

Bibliografia:

O. MÜNDLER, Die Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog,

«Rezensionen und Mitteilungen über bildenden Kunst», IV, 1865, p. 370. – I.

LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 82. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, pp. 440. – P. DA PONTE, L’opera del Moretto,

Brescia, Canossi, 1898, pp. 99-100. - A. VENTURI, Storia del’’arte italiana, IX, 4,

Milano, Hoepli, 1929, pp. 140, 203. – Moschini, 1931, p. 299. – B. BERENSON,

375 VENTURI 1929, p. 140. 376 Cfr. BEGNI REDONA 1988, p. 408.

289 Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 322. – W. SUIDA, Notes sur

Paolo Veronese, «Gazette des Beaux-Arts», VI, 19, 1938, p. 184. – G. GOMBOSI,

Moretto da Brescia, Basilea, Holbein-Verl., 1943, pp. 68, 110. - C. BOSELLI,

Recensione a G. GOMBOSI, Moretto da Brescia, Basilea, Holbein-Verl., 1943, «Arte

Veneta», 1943, pp. 121-122. - C. BOSELLI, Il Moretto, 1498-1554, Brescia, Geroldi,

1954, pp. 70, 103. - R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance,

Monaco, Hirmer, 1960, pp. 46, 55. - B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace,

I, Londra, Phaidon, 1968, p. 278.

290 NARDO DI CIONE

I Santi Pietro, Benedetto, Giuliano, Lorenzo e Zenobio

Tavola di pioppo, 142 x 72.3 cm

I Santi Giovanni Battista, Romualdo, Gerardo di Villamagna, Paolo e Minia

Tavola di pioppo, 141.8 x 72.4 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, invv. 1027, 1028

Provenienza: acquistate da J. Metzger a Firenze per il Principe ereditario Ludovico I (1818)

1365 circa

Le tavole, raffiguranti schiere di Santi, erano state acquistate come Giotto e così riportate da Von Dillis (1838) nei cataloghi della Pinacoteca. Tuttavia, nel 1840, tale attribuzione fu messa in dubbio da Förster, il quale avanzò il nome di Spinello di Luca Aretino. L’interpretazione fu quindi accettata da Marggraff e attestata nei cataloghi del museo (1872, 1896), benché, durante il decennio 1898-1908, si disse:

«Zutheilung an Spinello Aretino.. unsicher».377

Lo stato di conservazione delle tavole doveva essere compromesso al punto da fuorviare il giudizio del Venturi (1904); di fatto, nei taccuini, aveva appuntato:

«Parti di un polittico di Spinello Aretino. Oro del fondo rifatto. Santi ritagliati con le forbici. Sembrano delle cromolitografie. Colori stridenti».378 Tale annotazione veniva ripresa fedelmente nel Corriere dalla Germania (1904), ove dichiarava: «Vi sono due parti d’un polittico di Spinello Aretino (n. 987 e 988) con l’oro del fondo

377 KAT. GEMÄLDE-SAMMLUNG KGL. ÄLTEREN PINAKOTHEK IN MÜNCHEN 1898, p. 215. 378 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 31, nn. 987-988, 1904.

291 rifatto, con le figure de’ Santi che sembrano ritagliate a colpi di forbici, stridenti di colore come volgari cromolitografie».379

Lo stesso Sirén (1907) aveva lamentato “alterations” e “damages” e, per primo, aveva avanzato il nome di Nardo di Cione. Secondo tale ipotesi, avvalorata in numerosi altri testi (1908, 1917, 1919), le tavolette monacensi formavano un polittico insieme all’Incoronazione Ionides del Victorian&Albert Museum (inv.

C.A.I. 104).

A dispetto delle obiezioni di Van Marle (1924), il quale caldeggiava per

Compagno dell’Orcagna (Matteo di Cione?), e di Toesca (1929), che le assegnava ad un seguace di Andrea Orcagna, la critica si ritenne concorde nell’accettare l’interpretazione di Sirén. Ciononostante, poco dopo la riapertura della Alte

Pinakothek (1957), Zeri aveva affermato: «Sorprende di vedere le due tavole di

Nardo di Cione ancora esposte come Spinello Aretino».380

Infine, Offner (1960), indica una possibile ricostruzione del trittico “London-

Munich” e, dopo aver esposto le corrispondenze fra i due gruppi di tavole, asserisce che il polittico sia stato eseguito per un monastero camaldolese, nello specifico per Santa Maria degli Angeli a Firenze.

Bibliografia:

379 VENTURI «L’Arte» 1904, p. 391. 380 ZERI 1957, p. 66.

292 E. FÖRSTER, München, ein Handbuch fur fremde und Einheimische, Monaco, Verlag der literarisch-artistische Anstalt, 1840, p. 144. - A. VENTURI, Notizie dalla Germania e dall’Austria-Ungheria, «L’Arte», VII, 1904, p. 391. - O. SIRÉN, Kult och Konst,

Stoccolma, 1907, pp. 131-132, 134, 141. - ID., Giottino und seine Stellung in der gleichzeitigen florentischen Malerei, Lipsia, Klinkhardt&Biermann, 1908, pp. 72-73, 74,

89. - ID., Giotto and some of his followers, London, H. Milford, 1917, pp. 252-253, 254,

276. - ID., A great contemporary of Giotto, «Tidskrift for Konstvetenskap», Lund, IV,

1919, pp. 6-7. - R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, III,

L’Aia, Nijhoff, 1924, pp. 511, 656. - P. TOESCA, Pittura fiorentina del Trecento,

Verona, Casa Editrice Apollo, 1929, p. 65. - B. BERENSON, Italian pictures of the

Renaissance, Oxford, Phaidon, 1932, p. 384. - H. D. GRONAU, Andrea Orcagna und

Nardo di Cione, Berlino, Deutscher Kunstverlag, 1937, pp. 59-60. - F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di Monaco, «Paragone», XCV, 1957, p. 66. - R.

OFFNER, A Critical and Historical corpus of Florentine Painting, IV, 2, New York, 1960, pp. 13-22. - B. KLESSE, Seidenstoffe in der italienischen Malerei des 14. Jahrhunderts,

Berna, 1967, p. 152. - G. R. BENT, Monastic Art in Lorenzo Monaco’s Florence, Painting and Patronage in Santa Maria degli Angeli, 1330-1415, Lewiston, Edwin Mellen Press,

2006, pp. 106-108, 155. - L. B. KANTER, Der Heilige Gerhard von Villamagna im

Florenz des 14. Jahrhunderts, in Zeremoniell und Raum in der Fruhen Italienischen

Malerei, a c. di S. WEPPELMANN, Petersburg, 2007.

293 NICCOLÒ DI PIETRO GERINI

Salvator Mundi

Tavola di pioppo, 62.5 x 39.8 cm

Monaco di Baviera, depositi Neue Pinakothek, inv. 644

Provenienza: acquistata da J. von Dillis (1808)

1380 circa pagine del libro EGhO/SVM /VIAM /VERI/TAS /EVIT/A

Acquistata a Firenze come Simon Memmi, l’opera venne riportata nei cataloghi della Pinacoteca come “Florentinisch um 1380” fino al 1911.

Venturi, infatti, rifacendosi proprio ai cataloghi appuntò nei taccuini:

«Florentinisch um 1380. Salvator Mundi. Figura legnosa, seria, grave»;381 senza darne ulteriore notizia nelle opere a stampa.

Van Marle (1924) propose di identificarne l’autore con un seguace di Spinello

Aretino, Offner (1927) invece come Niccolò di Pietro Gerini.

Della stessa opinione è Zeri (1957), sopreso nel constatare che «il ‘Redentore’ della cerchia di Nicolò di Pietro Gerini [sia] ancora presente come anonimo, benché l’esatta paternità sia stata […] già suggerita dalla critica da diversi decenni».382

Seppur con qualche riserva, Berenson (1932, 1936) attribuì la tavola a Lorenzo di

381 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 27, n. 985, 1904. 382 ZERI 1957, p. 66.

294 Niccolò, proposta inizialmente accolta anche da Medicus Gealt (1979). Salmi

(1934), invece la riferì a Lorenzo di Bicci.

Syre (1990) torna a proporre la tesi di Nicolò di Pietro Gerini, offrendo un’attenta analisi dei tratti distintivi del maestro, fra i quali evidenzia «der blockhaft strenge

Bau der Figur, die reichen, metallisch scharfen Draperien der Gewander und di

Typisierung des Gesischtes».383 Inoltre, sulla base di un confronto con il Battesimo di Cristo della National Gallery di Londra, la studiosa ritiene che il quadro sia databile attorno alla fine degli anni Ottanta del Trecento.

Bibliografia:

R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, III, L’Aia, Nijhoff,

1924, p. 610. – R. OFFNER, Studies in Florentine Painting, New York, Sherman, 1927, p. 94. – B. BERENSON, Italian pictures of the Renaissance, Oxford, Phaidon, 1932, p.

302. – M. SALMI, Opere d’arte ignote o poco note: aggiunte al Tre e al Quattrocento fiorentino,

«Rivista d’arte», XVI, 1934, p. 72. - B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento,

Milano, Hoepli, 1936, p. 260. – F. ZERI, La riapertura della Alte Pinakothek di Monaco,

«Paragone», XCV, 1957, p. 66. – M. BOSKOVITS, Pittura fiorentina alla vigilia del

Rinascimento, 1370-1400, Firenze, Edam, 1975, p. 410. – A. M. MEDICUS GEALT,

Lorenzo di Niccolò, (Phd Thesis, Indiana University 1979), Ann Arbor, 1980, p. 158.

- C. SYRE (a c. di), Frühe italienische Gemälde aus dem Bestand der Alten Pinakothek,

Monaco, Bayerisches Staatsgemäldesammlungen, 1990, pp. 57-60.

383 SYRE 1990, p. 57.

295 LELIO ORSI

Ritratto di giovane donna

Tavola, 35 x 26 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 943

Provenienza: convento di Freising, collezione privata Monaco s.d.

L’opera venne riconosciuta come opera di Lelio Orsi senza particolari difficoltà e così venne riportata nei cataloghi della Pinacoteca fino al 1908.

In un articolo pubblicato sull’«Archivio Storico dell’Arte», però, Thode (1890) aveva commentato: «La figura di donna nell’antica pinacoteca di Monaco […] credo che non sia in nessuna relazione con Lelio Orsi, ma mi sembra piuttosto appartenere al secolo XVII e mostra, a mio giudizio, l’imitazione del Rembrandt e non del Correggio».384

Di questa stessa opinione si era mostrato anche Venturi, il quale nelle carte aveva espresso alcune riserve a propostito della tavola, «Lelio Orsi no un secentista. Ritratto muliebre, come strisciato da luce».385

Nella Storia (1932), il giudizio pare mutato e l’opera viene inserita all’interno del catalogo di Sebastiano del Piombo quale Ritratto di donna vista di profilo.

384 THODE 1890, p. 378. 385 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 1R, n. 1099.

296 Dal momento che le condizioni attuali sono piuttosto delicate, la tavola è conservata nei depositi della Alte Pinakothek.

Bibliografia:

A. BAYERSDORFER – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco,

Bruckmann, 1888, p. 218. - H. THODE, Lelio Orsi e gli affreschi del “Casino di sopra” presso Novellara, «Archivio Storico dell’Arte», III, 1890, p. 378. - F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth, 1908, p. 242. - F. VON REBER (a c. di), Katalog der Gemälde-

Sammlung der Älteren Pinakothek in München, Monaco, Druck von Knorr & Hirth,

1908, p. 235. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 5, Milano, Hoepli, 1932, p.

82.

297 JACOPO NEGRETTI,

DETTO PALMA IL VECCHIO

Madonna con San Rocco e Santa Aurea(?)

Tavola di pioppo, 67.6 x 92.6 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 505

Provenienza: Düsseldorf (1719), successivamente alla Hofgartengalerie di Monaco (1816), quindi all’Alte Pinakothek (1832)

1515 circa

La vicenda attributiva dell’opera si è rivelata piuttosto complessa. Difficoltà sono emerse nell’identificazione dell’autore, nell’opera di datazione e nell’individuazione dei soggetti rappresentati.

La tavola venne attribuita per la prima volta a Palma il Vecchio nel catalogo della collezione di Düsseldorf (1719, n. 338). In seguito, presso l’Hofgartengalerie

(1816) e la Pinacoteca monacense (1832), fu inserita fra le opere di Paris Bordon.

Solo nel 1871 Crowe e Cavalcaselle la riportarono nell’elenco delle opere di Palma il Vecchio (II, pp. 473-474).

In merito alla datazione Gombosi (1932) fece risalire l’opera al periodo giovanile del pittore, altri come Morelli (1883), seguito da Mariacher (1968) e

Freedberg (1971), attorno agli anni venti del Cinquecento.

Il giudizio venturiano spesso subisce profonde metamorfosi nel passaggio tra le carte dei taccuini e l’opera a stampa ed è quanto mai evidente per ciò che

298 concerne questa tavola. Nelle carte Venturi dichiara: «Snervato Palma, vetro colorato il Bambino, la Vergine di terra giallognola, vuoto, scarnificato, cielo segnato duramente – manca l’aria»; e ancora «putto divenuto vitreo, il colore delle carni della Vergine opaco. Tutti i colori hanno perduto la lucentezza, il calore, il sole». 386 Nella Storia, però, la valutazione risulta alquanto mutata: «Il quadro è una tra le cose più attraenti e fresche del Palma», «comunica una diafanità rara».387

Infine, per quanto riguarda l’identificazione del soggetto rappresentato, dato il vaso sorretto dalla mano destra della donna, era stata tradizionalmente riconosciuta la figura di Maria Maddalena. Tale generale identificazione è stata messa fortemente in dubbio solo nella seconda metà del Novecento.

Già Venturi l’aveva riconosciuta quale Santa Caterina, e non Maria Maddalena, probabilmente data la palma del martirio stretta nella mano sinistra (Taccuino rilegato 1896/7, c. 57R); ed è proprio sulla palma che in tempi più recenti si è soffermata l’attenzione del Kultzen (1971). Egli avanza il nome della poco conosciuta Sant’Aurea, fra le prime cristiane martirizzate, ipotizzando una relazione con il nome della presunta moglie del committente e badando alla veste dorata indossata dalla figura. L’ipotesi è stata accettata ed è oggi riportata nel catalogo dell’Alte Pinakothek (Syre, 2007).

Bibliografia:

386 VENTURI, Taccuino 1904, cc. 50, 57, n. 1008. 387 VENTURI 1928, pp. 419, 418.

299 F. M. TASSI, Vite de’ pittori, scultori, e architetti bergamaschi, I, Bergamo, Locatelli,

1793, p. 99. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, A history of paintings in North

Italy, II, London, 1871, pp. 473-473. - G. MORELLI, Italian Masters in German

Galleries. Munich, Dresden, Berlin, trad. L. M. Richter, Londra, 1883, p. 28. - B.

BERENSON, The Venetian painters oft he Renaissance, Londra-New York, Putnam,

1894, p. 109. - W. SUIDA, Ein Meisterwerk des Palma Vecchio, «Belvedere», 9/10,

1926, p. 127. A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano, Hoepli, 1928, pp.

418-419. - G. GOMBOSI, Les origines artistiques de Palma Vecchio, «Gazette des beaux- arts», VI/8, 1932, p. 174. -G. MARIACHER, Palma il Vecchio, Milano, Bramante Ed.,

1968, p. 67. – S. J. FREEDBERG, Painting in Italy, Harmandsorth-Middlesex, Penguin

Books, 1971, p. 105. - R. KULTZEN - P. EIKEMEIER, Gemäldekataloge. Venezianische

Gemälde des 15. Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei

Holzinger, 1971, p. 11. - P. RYLANDS, Palma il Vecchio. L’opera completa, Milano,

Mondadori, 1988, pp. 88, 91, 201. - C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei,

Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 176.

300 JACOPO NEGRETTI,

DETTO PALMA IL VECCHIO (ATTRIBUITO)

Giovane fauno che suona la zampogna

Tavola di pioppo, 19.6 x 16.4 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 76

Provenienza: a Schleißheim dal 1748 al 1765, dal 1787 alla Hofgartengalerie, dal 1836 alla Alte Pinakothek

1513- 1515 circa

Anche in questo caso la vicenda attributiva si delinea piuttosto complessa. A seguito della corruzione del testo negli inventari della Schleißheim Galerie, nel

1748 l’autore era stato registrato con il nome di «Caraccio» (1748, folio 4r; 1750, n.

145). Nel 1761, poi, l’opera era stata indicata, più genericamente, con la dicitura

«alla maniera di Caravaggio» (n. 206). Nel 1775, per ragioni a noi ignote, la tavola veniva ascritta fra le opere di Michele Monti, specialista in illustrazioni di fauni e divinità dei boschi;388 il quale appariva anche nei cataloghi dell’Hofgartengalerie di

Monaco (1787, n. 471).

A partire dal 1808 (inv. 316), l’opera venne messa in relazione con il nome di

Correggio e tale attribuzione si fece strada fino a dominare tutto il XIX secolo.

Tale giudizio riportato nella seconda metà dell’Ottocento nei cataloghi dell’Alte

Pinakothek, nonostante le obiezioni di Mündler (1865) e di J. Meyer (1871), i quali

388 LUDWIG VON WINCKELMANN, Neues Mahlerlexikon zur naehern Kenntniss alter und neuer guter Gemaelde, nebst einem Anhange von Monogrammen, Augsburg, Conrad Heinrich Stage, 1796, p. 139

301 scorgevano tratti venezianeggianti nella tavola, fu corroborata da Frizzoni (1891), che vi rintracciava i caratteri stilistici tipici del primo Correggio. Di diverso parere

Lermolieff (1880), il quale aveva preferito attribuire l’opera a Lorenzo Lotto; quest’ipotesi era stata accolta favorevolmente anche dalla Pinacoteca, la quale, nei cataloghi dal 1920 al 1936, aveva riferito la tavola proprio a tale nome.

Sul finire del secolo, però, Thode (1898), Gronau (1899) e Venturi (1900, 1926) si dimostrarono anch’essi piuttosto titubanti rispetto alla vulgata ottocentesca.

Venturi nei Taccuini 1896/7 appuntava: «Correggio. Il piccolo fauno che suona la siringa. La figura stacca bene sul verde! [-È un Garofalo!] La veste turchina è appena d’un tono più basso del cielo e delle montagne, e nelle ombre come il cielo

[-dal Garofalo, il]. Il verde tutto del fondo, la sua montagna azzurra si eleva la vetta conica sul cielo giallo all’orizzonte. Il disegno è correggesco. [-Eppure] Quel turchino chiaro del manto è d’un coloritore [-più] forte! [-Lotto?] È una cosa squisita! [-E v’è del Garofalo certe finezze, o particolarità curate con pazienza monastica. Es. il nastro, e la cordicella che serra il manto, il [*linfo] di legno rosso.

E quelle fitte piegoline entro le pieghe generali.]».389

Quest’ipotesi venturiana si ricollegava in un certo qual modo a quanto tra il

1825 ed il 1839 era stato proposto nei cataloghi della Pinacoteca, prima che il nome del solo Correggio si consolidasse, ovvero, un’opera correggesca affiancata da un aiuto del Garofalo.

389 Venturi, Taccuino 1896/7, c. 56R, n. 1477 1094, 1896/7.

302 Ciò detto, Venturi, nel volume sulla Galleria Crespi (1900) aveva elencato le caratteristiche distintive del Corregio presenti nel piccolo quadro, e così nel secondo volume sulla Pittura del Cinquecento (1926), raffrontando il Faunetto con la

Maddalena leggente di Dresda, intuiva come «il fondo, scuro con volubili bagliori, s’accorda con la grana vaporosa delle luci e delle ombre che plasmano la soffice rotondità della forma; […] [e] gridano il nome del Correggio».390

L’anno successivo, però, negli Studi dal vero (1927), trattando de Il pastore e la

Ninfa (raccolta Nemès, Monaco di Baviera), aveva commentato quanta parte avesse giocato l’influenza giorgionesca sulle opere giovanili di Palma: «Giorgione ha compiuto per un istante il miracolo d’infonder la luce della propria anima sognante nell’arte del Palma, fatta di amore giocondo, e un po’ superficiale, ai bei colori, alle suntuose stoffe, ai morbidi impasti».391

Nel frattempo anche Longhi (1927, 1946) aveva riconosciuto nel Giovane Fauno la medesima «formula ginnastica»392 degli affreschi del Fondaco dei Tedeschi di

Giorgione, interpretazione questa accolta successivamente anche da Richter

(1937), Fiocco (1948) e Zampetti (1955). Pignatti (1955, 1965) lo collocava più timidamente «nella stretta cerchia di Giorgione».393 Nel catalogo dell’esposizione

“Giorgione e i giorgioneschi” a Palazzo Ducale (Venezia, 1955), Morassi (1955) si espresse definitivamente per Palma il vecchio.

L’attribuzione dell’opera a Palma il Vecchio era stata inizialmente ipotizzata, in modo indipendente, da Schmidt (1900) e Phillips (1907); alternativa accolta anche

390 VENTURI 1926, p. 502. 391 VENTURI 1927, pp. 261-262. 392 LONGHI 1927, p. 220. 393 PIGNATTI 1955, pp.81-82.

303 da Suida (1909), il quale, tuttavia, la inseriva più cautamente nella cerchia del

Palma.

Anche Spahn (1932) l’aveva accolta nel catalogo generale di Palma. In pieno accordo si erano dimostrati pure Baldass (1929), Ricci (1929) e Berenson (1932).

Da ultimo, Mariacher (1968) rinnovava le sue riserve, proponendo di inserire l’opera nella cerchia di Palma, alternativa non grata a Kultzen (1975), il quale ha voluto che si attribuisse definitivamente al maestro. Di quest’opinione anche

Rylands, che afferma: «Le piccole dimensioni e il mediocre stato di conservazione rendono difficile stabilirne la paternità di Palma senza esitazioni. Comunque il paesaggio, il drappeggio, i toni giallo-crema dell’incarnato sono tutti elementi compatibili con lo stile di Palma, e tra tutti i dipinti “Giorgioneschi” messi in relazione con Palma è quello che più probabilmente potrebbe essere autografo».394

Dal 1975 sino ad oggi, i cataloghi dell’Alte Pinakothek riportano la tavola sotto il nome di Palma il Vecchio.

Bibliografia:

O. MÜNDLER, Die Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog,

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1880, pp. 40-41. – G. FRIZZONI, Sodoma, Gaudenzio Ferrari, Andrea Solari illustrati in

394 RYLANDS 1988, p. 201.

304 tre opere in Milano recentemente ricuperate, «Archivio Storico dell’Arte», IV, 1891, p. 66.

– H. THODE, Antonio Allegri da Correggio, Bielefeld, Velhagen&Klasing, 1898, p.

104. – G. GRONAU, Zeitschrift fur bildenden Kunst, X, 1899, pp. 318-319. - W.

SCHMIDT, Die Bilder von „Correggio“ in der Münchener Pinakothek, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», XXIII, Berlino-Stoccarda, 1900, p. 395. – A. VENTURI, La

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Stoccarda, Deutsche Verlags-Anstalt, 1907, pp. II, 158. – W. SUIDA, Notes on the early development of Correggio, «The Burlington Magazine», XIV, 1909, p. 302. – A.

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Vita artistica, II, Roma La voce, 1927, p. 220. – A. VENTURI, Studi dal vero attraverso le gallerie d’Europa, Milano, Hoepli, 1927, pp. 262-264. – C. RICCI, Correggio, Roma,

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Hauptwerk des Cariani: Studie über den Entwicklungsgang des Künstlers, «Jahrbuch der

Kunsthistorischen Sammlungen», III, Vienna, 1929, pp. 100-101. – A. SPAHN,

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Castelfranco, Chicago, University of Chicago Press, 1937, pp. 424, 428. – Longhi

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1948, p. 36. – P. ZAMPETTI (a c. di), Giorgione e i giorgioneschi, Catalogo della mostra,

(Venezia, 23 ottobre – 6 novembre), Venezia, Casa Editrice Arte Veneta, 1955, p.

64, n. 28. – T. PIGNATTI, Giorgione, Verona, Mondadori, 1955, pp. 81-82. – G.

MARIACHER, Palma il Vecchio, Milano, Bramante Ed., 1968, p. 80, n. 59. – R.

KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische Malerei), Monaco,

305 Brückmann, 1975, pp. 81-83. – P. RYLANDS, Palma il Vecchio. L’opera completa,

Milano, Mondadori, 1988, pp. 145, 201.

306 JACOPO PALMA

DETTO PALMA IL GIOVANE

Adorazione dei pastori

Tela, 113.7 x 96 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 910

Provenienza: probabilmente rapportabile al “Gebuhrt Christi, gemahlt von Palma jouene” 1730 documentato con certezza dal 1780, nel 1799 a Nymphenburg, quindi a Schleißheim, dal 1836 al 1909 alla Alte Pinakothek, nuovamente a Schleißheim e dal 1955 al 1964 alla Filialgalerie di Augsburg

1575 circa

Riportato come Palma il Giovane negli inventari del castello di Dusseldorf, il quadro venne assegnato a Jacopo Tintoretto dal 1780, fin quando Mündler (1865) non ne corresse l’attribuzione.

Venturi affidò ai soli taccuini le proprie incertezze: «Quanto mi rammenta lo

Scarsellino! Lo Scarsellino sotto l’influsso veneziano»;395 «Scarsellino nella maniera veneziana (attribuito a Jacopo Palma)»396 e ancora: «L’Adorazione de’ pastori è opera propria dello Scarsellino».397

Nella Storia, infatti, confermò l’ipotesi del Mündler e, dopo aver accostato l’opera all’Assunta della chiesa di San Giuliano e all’Assunta di Tiziano, commentò: «Vicina a queste due opere, con accentuazione di arrotondamento formale e di morbidezza plastica, è la Natività della Galleria di Monaco, ove pur ricordando il

395 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1484 1156, 1896/7. 396 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 49, n. 1156, 1904. 397 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 56, n. 1156, 1904.

307 tardo Tiziano, specialmente nella figura di vecchio in ginocchio, e il Tintoretto, e anche Jacopo da Ponte, il Palma Giovane sembra preparare un manierismo secentesco tipo Luca Giordano».398

Bibliografia:

MÜNDLER OTTO, Die Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog,

«Rezensionen und Mitteilungen über bildenden Kunst», IV, 1865, p. 370. A.

VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 7, Milano, Hoepli, 1934, pp. 208, 237. – R.

KULTZEN – P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15.

Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei Holzinger,

1971, pp 98-99.

398 VENTURI 1934, p. 208.

308 MARCO DI ANTONIO

DETTO IL PALMEZZANO

Madonna col Bambino con i Santi Francesco, Paolo e Antonio Abate

Tavola di noce, 248.5 x 226.3 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek , inv. WAF 760

Provenienza: dal XVIII sec. nella Collezione Ercolani di Bologna presso la quale fu acquistata da J. Metzger per Ludovico I (1829), dal 1836 alla Alte Pinakothek

Firmato: Marchus Palmezanus, Pictor Foroliviensis, faciebat.

Datato nel forte della spada di San Paolo: MCCCCCXIII

La tavola, proveniente dalla chiesa di San Franscesco a Faenza (Tambini 2003; cfr.

Calzini 1894, 1895, Grigioni 1956), si trovava già prima del 1770 presso la collezione Ercolani di Strada Maggiore a Bologna (Crespi 1770, Golfieri 1957),399 ove fu acquistata da Johann Metzger, nel 1829, per conto di Re Ludovico I

(Messerer 1963).

Accompagnavano tale ancona due predelle, oggi conservate presso Palazzo

Albicini a Forlì (collezione privata di Maria Gabriella Mazzoni), raffiguranti la

Natività e la Presentazione al Tempio (Calzini 1894, Grigioni 1956, Tambini 2003).

Venturi, riconoscendone la qualità e segnalandola mediante il caratteristico asterisco, appuntava nei taccuini: «Palmezzano. Madonna in trono e Santi.

Firmato. I putti sui pilastri tengono uno stemma [e] una pera con due foglie nello

399 Pitture possedute dal sig. Marchese Filippo Hercolani, Ms. citato, senza però gli estremi in E. GOLFIERI, Dipinti cinquecenteschi provenienti dall’antica chiesa di San Francesco, «La Concezione», Faenza, 1957.

309 scudo bianco».400 Nel Taccuino pittorico vi si sofferma nuovamente: «Palmezzano del tempo tardo, eppure secondo il Berenson del 1513! Non c’è nel cartellino il 1513.

Donde fu cavato? È nello spadone di San Paolo».401

Da ultimo, dopo averla inserita nell’elenco della collezione Lotzbeck,

«Palmezzano. Madonna e Santi, 1513»,402 nel secondo volume sulla pittura del

Quattrocento la rapporta all’ancona di San Mercuriale a Forlì, Madonna in trono, fiancheggiata da due sante martiri, «per il modo con cui son costruiti il trono e il baldacchino».403

Bibliografia:

CRESPI 1770: Lettera di Luigi Crespi al sig. Innocenzo Ansaldi, Bologna 5 luglio

1770, in M. G. BOTTARI (A C. DI), Raccolta di lettere sulla pittura scultura ed architettura scritta da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, VII, Milano, 1812, p. 95. – J.

A. CALVI, Versi e prose sopra una serie di eccellenti pitture, possedute dal Signor Marchese

Filippo Hercolani, Principe del S. R. I., Bologna, Stamperia di San Tommaso d’Aquino, 1780, p. 14-15. – C. C. MALVASIA, Pitture sculture ed architetture delle Chiese, luoghi pubblici, palazzi, case della città di Bologna, e suoi sobborghi, Bologna, Longhi,

1782, p. 286. – P. ZANI, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, XIV,

Parma, Tipografia ducale, 1823, p. 239. – R. MARGGRAFF - H. MARGGRAFF,

München in seinen Kunstschätzen und Merkwürdigkeiten, nebst Ausflügen in die Umgegend,

400 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 60V, n. 1504 1026, 1896/7. 401 A. VENTURI, Taccuino pittorico, cc. 829V, 830R, n. 1026, ante 1910. 402 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1026, ante 1910. 403 VENTURI 1913, p. 75.

310 vornehmlich nach Hohenschwangau und Augsburg, Monaco, Finsterlin, 1846, P. 437. - J.

A. CROWE- G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, III, Lipsia,

Hirzel, 1870, p. 349. – A. SCHMARSOW, Melozzo da Forlì, Berlino, Spemann, 1886, p. 281. - E. CALZINI, Marco Palmezzano e le sue opere, «Archivio Storico dell’Arte»,

VII, 1894, pp. 352-353. - E. CALZINI, Un quadro di Marco Palmezzano a Monaco di

Baviera, «Bollettino della Società fra gli amici dell’arte per la provincia di Forlì», I,

Forlì, 1895, pp. 28-30. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 2, Milano, Hoepli,

1913, p. 75. – G. GRONAU, sub voce Palmezzano, in Allgemeines Lexikon der bildenden

Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXVI, a c. di U. THIEME – F. BECKER,

XXIII, Lipsia, Seemann, 1932, p. 182. – E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue

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GRIGIONI, Marco Palmezzano pittore forlivese, Faenza, Fratelli Lega Editori, 1956, p.

91, 335, 498-503. - R. MESSERER (a c. di), Briefwechsel zwischen Ludwig I. von Bayern und Georg von Dillis. 1807-1841, Monaco, Beck, 1966, pp. 671-674, 675-681, 687-

689. lettere 595, 596, 597, 599, 600, 605, pp. 753-754. – A. TAMBINI, Postille al

Palmezzano, «Romagna arte e storia», XXIII, 67, 2003, pp. 35-36. – A. PAOLUCCI,

L. PRATI, S. TUMIDEI (a c. di), Marco Palmezzano, il Rinascimento nelle Romagne,

Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, p. 230.

311 GIROLAMO FRANCESCO MAZZOLA

DETTO IL PARMIGIANINO

Madonna col Bambino e un monaco

Tavola, 27.3 x 21.6 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 5289

Provenienza: Kammergalerie Kurfürst di Massimiliano I (1628-1781), quindi presso la Münchner Hofgartengalerie dal 1781, ad Augsburg dal 1810 al 1909, quindi alla Pinacoteca

1530 circa

Negli inventari 1628-1630 della collezione di Massimiliano I l’opera figura come

Parmigianino. Tuttavia, Mündler (1869) ne mise in dubbio l’autografia e suggerì, per primo, il nome del Bedoli quale autore della tavoletta. L’attribuzione venne accolta con successo dalla critica [Frizzoni (1898), Fröhlich-Bume (1921), Venturi

(1926), Copertini (1932, 1965), Bodmer (1942) e Freedberg (1950), Kultzen

(1975), Giampaolo (1997)], fino al 2005 quando Oberhunter la riportò fra le opere del Parmigianino.

In particolare, il Nostro ebbe modo si studiare l’opera ad Augsburg, ove rimase fino al 1909. Dapprima, nei taccuini, l’attribuì a Parmigianino, annotando con trasporto: «F. Parmigianino. Una delicatissima Madonnina che tiene con la destra una rosa bianca e con l’altra tocca il piede del Bambino che steso sui cuscini sgambetta. La bella Madonnina guarda al Bambino. Sulle sue treccie bionde le perle s’aggirano, e ornano il sottile collo. Nel vano della finestra un monaco

312 certosino la cui testa chiara spicca sul cielo d’un bel turchino solcato da calde nubi e con due dita tiene una rosa. Porta la mano sinistra al petto».404

Il successo della composizione e la bellezza della scena vennero trasposte anche nella Storia, dove, però, la tavola viene attribuita a Girolamo Bedoli; «dal fondo grigio ferro della parete si staccano la porcellana bianco rosa delle carni, il biondo dei capelli guizzante di lumi d’oro in minutissime spire, il verde tenero e fresco della tunica e l’azzurro del manto, appare timido il fraticello San Bruno, e sembra prepararsi a fare la sua dichiarazione alla dama, che tenendo in mano una rosa, dietro un parapetto fiorito, contempla, distesa sui cuscini ridenti d’azzurro e di giallo oro, il bimbo biondissimo e florido, la rosa più bella».405

Risulta a dir poco curioso il fatto che gli argomenti a favore dell’attribuzione a

Girolamo Bedoli non abbiano messo in evidenza la somiglianza del nostro quadretto con gli autografi dello stesso pittore, bensì con quelli del Parmigianino,

«bis hin zu dem Schluss, dass Bedoli hier eine vollkommene “Nachahmung” von

Parmigianinos Werken geschaffen habe».406

Oltre alla questione attributiva, è necessario accennare anche al dibattito circa la datazione dell’opera. Freedberg (1950) la collocò attorno agli anni 1535-1539, data la forte affinità stilistica con la Sacra Famiglia del Museo Nazionale di

Capodimonte a Napoli (inv. 110). Popham (1971) ne anticipò la datazione al

1533-1535, a seguito di un confronto fra la tavola ed il disegno della Madonna del

British Museum (inv. 1856-7-12-999).

404 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 53R, n. 1446 388, 1896/7. 405 VENTURI 1926, P. 723. 406 SYRE 2007, p. 178.

313 Diversamente Giampaolo (1997) la colloca attorno al 1535, sulla base dei

«riferimenti tipologici sia col ‘modello’ del Louvre (inv. 6552) relativo alla pala di

Dresda (Gemäldegalerie, inv. 166), sia con uno degli studi sempre al Louvre (inv.

6511), in rapporto alla Pala della Concezione (Parma, Galleria Nazionale, inv.

141)».407

Da ultimo, gli studi di Baumstark e Syre (2007) hanno riportato con fermezza la tavola sotto l’autorità di Parmigianino, datandola 1530.

Bibliografia:

O. MÜNDLER, Einige Worte der Kritik uber Prof. Dr. Rudolf Marggraff’s “Katalog der k.

Gemalde-Galerie in Augsburg”, «Zeitschrift fur Bildende Kunst», IV, 1869, pp. 163-

165. - L. FRÖHLICH- BUME, Parmigianino und der Manierismus, Vienna, Schroll,

1921. - S. J. FREEDBERG, Parmigianino. His works in painting, Cambridge, Harvard

University Press, 1950, pp. 197-198, nota 176. – A. R. MILSTEIN, The paintings of

Girolamo Mazzola Bedoli, New York-Londra, Garland, 1978, pp. 35-38, 146-149. –

M. DI GIAMPAOLO, Girolamo Bedoli 1500-1569, Firenze, Octavo, 1997, pp. 117-118, n. 7. - K. OBERHUBER, Ideas about the chronology of Parmigianino, «Saggi di Storia e di

Stile», Milano, 2005, pp. 7-21. - C. SYRE, Alte Pinakothek, Italienische Malerei,

Monaco, Hatje Cantz, 2007, p. 178. - R. BAUMSTARK, Parmigianino: die Madonna in der Alten Pinakothe, Ostfildern, Hatje Cantz, 2007.

407 GIAMPAOLO 1997, 118.

314 PIETRO DI CRISTOFANO VANNUCCI

DETTO IL PERUGINO

La Visione di San Bernardo

Tavola di pioppo, 173 x 170 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 764

Provenienza: acquistato presso la Famiglia Capponi a Firenze dal Re Ludovico I (1829/30), presso la Pinacoteca dal 1836

1490 circa

Vasari (1568) e Borghini (1584) ci informano che l’opera era stata commissionata da Bernardo e Filippo di Lutozzo Nasi, fra il 1490 e il 1494, per decorare la cappella di famiglia in Santa Maria Maddalena di Cestello a Firenze (ora Santa

Maria Maddalena dei Pazzi). Luchs (1977) dà notizia che la cappella venne costruita a partire dal 6 marzo 1488 e consacrata il 7 luglio del medesimo anno.

Dalle memorie di Ignazio Signorini, emerge che il dipinto venne richiesto a

Perugino in quel 1488 e realizzato entro l’anno successivo.

Nel 1628, in seguito all’abbandono del convento da parte dei cistercensi,

Francesco Nasi decise di rimuovere la tavola e trasferirla temporaneamente presso il proprio palazzo, in attesa di collocarla sull’altare di famiglia della chiesa di Santo

Spirito, dove già si trovava una Pietà di Raffaellino del Garbo (Alte Pinakothek, inv. 801). Nel 1639, tuttavia, dopo la morte di Francesco, quest’ultima fu sostituita non già con l’opera peruginesca, passata nel frattempo in eredità alla sorella

315 Ortensia Capponi, ma bensì con una copia eseguita da Felice Ficherelli, detto il

Riposo.

La critica è concorde nel giudicare l’opera un capolavoro del maestro, ma non altrettanto riguardo la sua datazione.

Crowe e Cavalcaselle (1871), Lermolieff (1891), Jacobsen (1897a), de Fabriczy

(1906) e Van Marle (1931) pongono come limite post quem il 1488, senza stabilire, tuttavia, un intervallo definito. Anche Hamann (1909) non circoscrive meglio l’opera e si limita ad indicarne una possibile realizzazione attorno alla metà degli anni Novanta del Quattrocento. Gronau (1909) per primo delinea un intervallo,

1491-1493. Von Bombe (1912, 1914), tracciando un parallelo con la tavola per l’altar maggiore di San Domenico (Uffizi, inv. 1435), colloca posteriormente il lavoro, fra il 1493 e il 1495.

Da tali giudizi si discosta il Venturi, il quale, inizialmente nei taccuini, aveva sì notato un parallelo, ma con il Ritratto maschile, (Galleria Borghese, inv. 397), attribuito a Perugino e databile fra il 1475 e il 1524: «Notare qui la somiglianza dell’ultimo ritratto ossia dell’ultima figura a sinistra col ritratto della Galleria

Borghese».408

Precisando poi in merito alla datazione: «È del tempo abbronzato-roseo un capolavoro. Alla Vergine pietosa, Bernardo guarda gentile, accarezzante, come vagheggiante una forma bella e gentile. Ella china dolce lo sguardo, timidamente.

Seguon lei due angioli vaghissimi; assistono Bernardo due santi, il più giovane

408 VENTURI, Taccuino 1896/7, 1509, n. 1034, 1896/7.

316 guarda al più vecchio pensieroso; e sembra dire: vedemmo mai la forma più nobile in terra? Cielo limpido, luminoso, senza una nube. Bello il paese luminoso con le montagne ancora avvolte un po’ nell’azzurrino. 1488 circa? Immaginata la scena entro un loggiato: una navata [*aperta] d’un tempio aperto nella [***era]?».409

Con uguali parole Venturi riprese fedelmente tale giudizio nella Storia:

«Bernardo volge lo sguardo verso Maria, con le aperte mani carezzevoli, dolcemente sorpreso, come vagheggiante la forma belle e gentile apparsa a lui.

Seguono la Vergine due angioli soavi; assistono Bernardo due santi, ne’ quali è un riflesso degli Apostoli della Sistina; il più giovane guarda il più vecchio pensoso, e sembra dire: vedemmo mai forma più nobile in terra?».410

Nel secondo volume sulla pittura del Quattrocento, invece, Venturi propone un raffronto con il polittico Albani (1490-1491, collezione Albani Torlonia,

Roma), giacché la «delicatezza delle forme, la freschezza giovanile mostrano il maestro ancora all’apogeo».411

Wölfflin (1924) e Schöne (1958), infine, mettendo in relazione la tavola con quella dell’Annunciazione di Santa Maria Nuova a Fano, sospingono la datazione fino al 1498. Longhi (1955) e Oertel (1960) ripropongono l’intervallo temporale

1490-1494. Attualmente i cataloghi della Pinacoteca ascrivono l’opera al 1490.

Bibliografia:

409 VENTURI, Taccuino pittorico, c. 829V, n. 1034, ante 1910. 410 VENTURI 1913, p. 519. 411 VENTURI 1913, p. 518.

317 G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, III, Firenze, Sansoni, 1906, p. 584. – R.

BORGHINI, Il riposo in cui della pittura e della scultura si favella, Firenze, Marescotti,

1584, p. 363. – F. BOCCHI, Le Bellezze della città di Firenze, Firenze, Gugliantini,

1677, p. 147. - F. BALDINUCCI, Opere, ed. D. M. MANNI, Milano, Società

Tipografica de’ Classici Italiani, 1812, p. 151. - J. A. CROWE- G. B. CAVALCASELLE,

Geschichte der italienischen Malerei, IV, Lipsia, Hirzel, 1872, p. 592. – I. LERMOLIEFF,

Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und

Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 138 e ss. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 431. – C. DE FABRICZY, Memorie sulla chiesa di

S. Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze e sulla badia San Salvatore a Settimo, «L’Arte»,

VII, 1906, p. 257. – R. HAMANN, Die Frührenaissance der italienischen Malerei, Jena,

Diederichs, 1909, p. 270. – G. GRONAU, Peruginos “Sankt Bernhard” in der Alten

Piankothek, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», IV, 1909, p. 52. - W.

BOMBE, Geschichte der Peruginer Malerei bis zu Perugino und Pinturicchio, Berlino,

Cassirer, 1912, pp. 167, 170. - A. VENTURI, Storia dell’arte, VII, 2, Milano, Hoepli,

1913, pp. 456, 518-520. – W. VON BOMBE, Perugino. Des Meiesters gemalde, Klassiker der Kunst, 25 vol., Stoccarda- Berlino, 1912, p. 39, 237. – U. GNOLI, Pietro Perugino,

Spoleto, Argentieri, 1923, pp. 11, 23, 57. – B. BERENSON, Pitture Italiane del

Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 376. - H. WÖLFFLIN, Die klassiche Kunst: eine

Einfuhrung in die Italienische Renaissance, Monaco, Bruckmann, 1924, p. 80. – R.

LONGHI, Percorso di Raffaello giovine, «Paragone», VI, 1955, p. 13. – W. SCHÖNE,

Raphael, Berlino, Deutsche Buch-Gemeinschaft, 1958, p. 43. – R. OERTEL,

Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance, Muncher, Hirmer, 1960, pp. 27,

318 51. - R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, V, (Italienische Malerei),

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SCARPELLINI, Perugino, Milano, Electa, 1984, pp. 84. – R. VON GAETRINGEN

HILLER, Raffaels Lernerfahrungen in der Werkstatt Peruginos, Monaco, Deutscher

Kunstverlag, 1999, p. 100. – V. GARIBALDI, Perugino: il divin pittore, Cinisello

Balsamo, Silvana Editoriale, 2004.

319 PIETRO DI CRISTOFANO VANNUCCI

DETTO IL PERUGINO

La Vergine, San Giovanni Evangelista e Sant’Agostino adorano il Bambino

Tavola di pioppo, 203 x 157.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 525

Provenienza: acquistata da Johann Georg von Dillis presso un collezionista privato di Parigi per il Principe ereditario Ludovico I (1815), dal 1818 al 1836 documentato nei cataloghi della Münchener Hofgartengalerie.

1500 circa

Da sempre attribuita a Perugino, l’opera è stata oggetto dei giudizi più vari, in merito alla qualità estetica ed alla datazione.

Crowe e Cavalcaselle (1866, 1902) la definirono «un dipinto bello, pieno di sentimento religioso»,412 Morelli (1880) la giudica «superficiale sì nel concetto che nel disegno e nel colorito».413

Jacobsen (1897a) e Venturi (1913) la reputarono opera tarda; in particolare, nei taccuini il Nostro la definì un’opera dell’«ultimo tempo, largo, vuoto, grandioso, ma commovente e vuoto».414

Gnoli (1923) la datava 1495, avvicinandola al quadro della Morgan Library.

Tale opinione fu ripresa in seguito da Van Marle (1933), Camesasca (1959) e

Oertel (1960), i quali tuttavia ne spostarono l’esecuzione verso il 1500.

412 CROWE E CAVALCASELLE 1866, p. 254. 413 LERMOLIEFF 1886, p. 73. 414 VENTURI, Taccuino pittorico, c. 829V, n. 1035, ante 1910.

320 Bibliografia:

J. A. CROWE- G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, IV, Lipsia,

Hirzel, 1871, p. 267. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 140. - E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu

München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 431. – W. VON

BOMBE, Geschichte der Peruginer Malerei bis zu Perugino und Pinturicchio, Berlino,

Cassirer, 1912, pp. 167, 170. - A. VENTURI, Storia dell’arte, VII, 2, Milano, Hoepli,

1913, p. 567 nota. – W. BOMBE, Perugino. Des Meiesters gemalde, Klassiker der Kunst, 25 vol., Stoccarda- Berlino, 1914, pp. 85, 241. – U. GNOLI, Pietro Perugino, Spoleto,

Argentieri, 1923, p. 57. – R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of

Painting, XIV, L’Aia, Nijhoff, 1933, p. 362. – B. BERENSON, Pitture Italiane del

Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 376. – E. CAMESASCA, Tutta la pittura del

Perugino, Milano, Rizzoli, 1959, p. 79. - R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum

Ausgang der Renaissance, Muncher, Hirmer, 1960, pp. 28, 51. - BERENSON

BERNARD, Italian Pictures of the Renaissace, I, Londra, Phaidon, 1968, p. 328. - E.

CAMESASCA, L’opera completa del Perugino, Milano, Rizzoli, 1969, p. 99, n. 62.- R.

KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, V, (Italienische Malerei), Monaco,

Brückmann, 1975, pp. 84-85. - P. SCARPELLINI, Perugino, Milano, Electa, 1984, pp.

104. – R. VON GAETRINGEN HILLER, Raffaels Lernerfahrungen in der Werkstatt

Peruginos, Monaco, Deutscher Kunstverlag, 1999, pp. 140-142.

321 PIETRO DI CRISTOFANO VANNUCCI

DETTO IL PERUGINO

Il Battesimo di Cristo

La Resurrezione

Tavole di pioppo, 31.4 x 41.5 cm, 31.7 x 41.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 765, WAF 766

Provenienza: acquistate da Johann Metzger presso gli eredi della famiglia Inghirami di Volterra dal principe Ereditario Ludovico I (1818)

Le tavole originariamente facenti parte di una predella, vennero acquistate nel

1818 quali lavori giovanili di Raffaello, probabilmente per la firma RAFAE[L] […]

SANSIUS presente nella tavola della Resurrezione.

I cataloghi della Pinacoteca (1884) le assegnano a Perugino, quindi dal 1896 a

Raffaello. Ipotesi quest’ultima sostenuta anche da Passavant (1839) e Rumohr.

Crowe e Cavalcaselle (1884) e Lermolieff (1891) le avevano riportate invece alla paternità di Giovanni Spagna. Alla luce di queste affermazioni, probabilmente,

Venturi annotò nei taccuini: «Raffaello. Sono di un peruginesco, vicino allo

Spagna»;415 nelle successive carte sciolte: «La Resurrezione. No Raffaello. Piuttosto

Spagna, ad ogni modo uno degli scolari inferiori di Perugino».416 Concludendo infine, «Battesimo di Cristo attribuito a Raffaello. […] Resurrezione attribuita a

415 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 34, nn. 1037, 1038, 1904. 416 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 1V, n. 1037.

322 Raffaello. Materiale [cosa] di uno scolaruccio di Fiorenzo di Lorenzo, che ha

[subìto] sempre più il Perugino».417

Secondo lo Gnoli (1923) le opere erano state eseguite dalla bottega del

Perugino ed erano rapportabili alla predella del Museo di Rouen (inv. D. 803-35, inv. D. 803-36). In via non ufficiale precisò doversi trattare di Mariano di Ser

Austerio, ipotesi questa ripresa anche da Van Marle (1933).

Bibliografia:

J. D. PASSAVANT, Raffael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia, Brockhaus,

1839, I, p. 64, II, p. 14. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, IV, p. 267. - J. A.

CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Raphael, sein Leben und seine Werke, I, Lipsia, 1883, pp. 30, 58. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2,

(Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 141. - F.

HERMANIN, Repertorio bibliografico, «L’Arte», I, 1898, p. 70. – U. GNOLI, Pietro

Perugino, Spoleto, Argentieri, 1923, p. 57. – R. VAN MARLE, The development of the

Italian Schools of Painting, 14 vol., (The Renaissance painters of Umbria), L’Aia,

Nijhoff, 1933, p. .

417 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 834R, n. 1037, ante 1910.

323 JACOPO CARUCCI

DETTO IL PONTORMO

Madonna col Bambino

Tavola di pioppo, 120 x 101 cm

Monaco di Baviera, depositi Neue Pinakothek, inv. WAF 776

Provenienza: collezione privata del Re

Firmata IACOPO|DAPUN|NO

L’opera, benché non menzionata né da Vasari, né da Berenson, è stata giudicata originale da Morelli (1880), Goldschmidt (1911), Clapp (1916).

Venturi, nei taccuini, aveva riportato come da catalogo: «Madonna col Bambino del Pontormo. Sembra uno de’ suoi grandi disegnoni a[-lla] matita rossa con gli occhi spalancati, profondi incassati delle sue figure».418 Tuttavia, nel Taccuino 1904 anche il Nostro aveva mostrato qualche perplessità: «Iacopo da Puntormo. Pare il

Rosso Fiorentino»,419 forse per quest’incertezza nella Storia la tavola non risulta menzionata.

Costamagna (2004) ritiene che «il s’agit l’une des meillerures versions, faisant généralement référence pour l’original perdu»;420 difatti è copia d’una composizione alquanto celebre, datata indicativamente 1540-1550, della quale si annoverano oltre una ventina di repliche.

418 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c.59V, n. 1498 1190, 1896/7. 419 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 54, n. 1190, 1904. 420 COSTAMAGNA 1994, p. 229.

324 Schumacher (2014), da conversazione privata, ritiene oggi che la tavola sia rapportabile ad un pittore molto vicino a Pontormo.

Bibliografia:

G. MORELLI, Italian Masters in German Galleries. Munich, Dresden, Berlin, trad. L. M.

Richter, Londra, 1883, p. 101 – F. GOLDSCHMITT, Pontormo, Rosso und Bronzino,

Lipsia, Klinkhardt u. Bierman, 1911. – F. M. CLAPP, Jacopo Carucci da Pontormo. His

Like and Work, New Haven, Yale University Press, 1916, pp. 217-218. - P.

COSTAMAGNA, Pontormo, Parigi, Gallimard, 1994, pp. 227-229.

325 RAFFAELLINO CAPPONI,

DETTO RAFFAELLINO DEL GARBO

La Pietà

Tavola, 187 x 197 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 801

Provenienza: acquistata dal Principe ereditario Ludovico I (1808) come Ghirlandaio. L’opera proveniva da Casa Capponi, dov’era giunta nel 1647 a seguito di un trasferimento dalla Cappella Nasi in Santo Spirito per far posto a La Visione di San Bernardo del Perugino (Monaco, Alte Pinakothek, inv. WAF 764)

1500 circa

L’attribuzione dell’opera fu piuttosto travagliata. Vasari (1568) l’annoverò fra le opere di Raffaellino del Garbo, e così fecero Frizzoni e Morelli (1898). Jacobsen

(1897a), di contro, vi scorse la mano di Filippino Lippi, in particolar modo nella figura di Maria, e così pure Crowe e Cavalcaselle, i quali si attennero a quanto riportato dai «Reberschen Katalogen» della Pinacoteca.421 Allo stesso modo, fece

Venturi, durante il soggiorno 1896/7, scorgendo «una simmetria noiosa»,422

«Pieghe pesanti, mani grandi, testa della Maddalena troppo piccola, san Giovanni curvo par gobbo. Barocco nel suo ultimo tempo».423

421 KAT. ÄLTERE PINAKOTHEK MÜNCHEN 1936, p. 197. 422 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 61, n. 1513 1099, 1896/7. 423 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 62, n. 1099, 1904. Il numero d’opera era stato erroneamente riportato nel Taccuino, in realtà si tratta del n. 1009.

326 Inserendo la Pietà del Lippi nella Storia, la commentò questa volta come «di un seguace con particolari ghirlandaieschi»,424 giudizio peraltro ripreso dal Taccuino pittorico, dove aveva annotato: «C’è del ghirlandaiesco goffo nei gesti. Scuola del

G.».425 Nel medesimo taccuino il Nostro aveva distrattamente riportato anche una

«Pietà di Raffaellino del Garbo»426 fra le opere della Collezione Lotzbeck. Difatto, solo dal catalogo del 1911 della Alte Pinakothek, la paternità dell’opera era stata ricondotta proprio a Raffaellino del Garbo.

Bibliografia:

C. J. FFOULKES, Le esposizioni d’arte italiana a Londra, «Archivio storico dell’Arte»,

VII, 1894, p. 163. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, I, Milano, Hoepli,

1911, pp. 680. - R. VAN MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, XII,

L’Aia, Nijhoff, 1931, pp. 432-433. - M. G. CARPANETO, Raffaellino del Garbo,

«Antichità Viva», X, 1, 1971, pp. 3-19. - M. G. VACCARI (a c. di), Maestri toscani del

Quattrocento, Firenze, Istituto Alinari, 1981. - H. BUSCHMANN, Raffaellino del Garbo.

Werkmonographie und Katalog, (Diss.) Freiburg, 1993, n. 15, pp. 144-146.

424 VENTURI 1911, p. 677. 425 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 828R, n. 1009, ante 1910. 426 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 833V, n. 1009, ante 1910.

327 RAFFAELLO SANTI

DETTO RAFFAELLO

Il ritratto di Bindo Altoviti

Tavola, 60 x 44 cm

Washington, D. C., National Gallery of Art, inv. 534

Provenienza: Palazzo Altoviti, Roma, acquistato da Johan Georg von Dillis per il Principe ereditario Ludovico I (1808), fino al 1836 alla Hofgartengalerie, in seguito alla Alte Pinakothek, venduta nel 1938 a Agnew and Duveen, quindi a Samuel H. Kress e da quest’ultimo donata alla National Gallery di Washington nel 1939

1512 circa

Giudicato un capolavoro da Vasari (1576), il dipinto rimase nell’oscurità finchè gli eredi Altoviti non decisero di venderlo.

Passavant (1839) lo riconobbe come originale raffaellesco, datandolo 1512, ma rifiutando l’identificazione del soggetto con l’Urbinate, ipotesi avanzata da Bottari e Rumohr,427 e giudicandolo piuttosto un ritratto dell’Altoviti. A sostegno di tale ipotesi si erano pronunciati Missirini (1821), Springer (1883), Cavalcaselle (1885) e

Müntz (1886).

Nei cataloghi della Pinacoteca venne riportata, fino al 1898, come originale di

Raffaello; Dollmayr (1895) e Lermolieff (1891), screditando tale attribuzione, la reputarono opera di Giulio Romano, o, al più, della scuola di Raffaello. Berenson

(1896) invece la giudicò di Baldassarre Peruzzi.

427 Cfr. ILL. CAT. ALTE PINAKOTHEK 1938, p. 208.

328 I cataloghi della Pinacoteca, fino al 1898, riportavano la tavola sub voce

Raffaello; Venturi, infatti, nei primi taccuini appunta: «Raffaello. Ritratto. Quanto si avvicina al Sodoma. È proprio Giulio Romano. Orecchia soffusa nell’ombra.

Capelli biondicci. Rosa paonazzo le guance e l’orbita dell’occhio. Le labbra rosso- fragola. Tanto [*tinto] di fragola. Ombre scure nerastre. Fondo verde!».428 Ancora una volta l’influenza morelliana appare evidente. Il giudizio pare più deciso nella prefazione al volume sulla Galleria Crespi (1900): «Nel ritratto assegnato a

Raffaello (n. 1052), in Monaco, ecco invece Giulio Romano nel rosa tendente al paonazzo sulle guance, nelle labbra d’un rosso di fragola, nelle ombre carbonose».429 Ripreso tanto nel Taccuino 1904: «Raggrinzato il colore del ritratto d’Altoviti, opera di Giulio Romano»,430 quanto nelle Carte sciolte: «Raffaello Santi.

Testa di ¾ con biondi capelli, colore rosso delle carni con ombre forti, fondo verde. Non vi è la trasparenza raffaellesca. Opera giovanile di Giulio Romano»;431

I cataloghi della Pinacoteca, nel frattempo, fino al 1908 l’avevano attribuita a

Raffaello, dal 1911 al 1920 a Giulio Romano e dal 1922 alla scuola di Raffaello.

Nella Storia, il quadro è ricordato fra le opere autografe dell’Urbinate: «Più intensi i contrasti di lume e d’ombra, meno ricca la sostanza del colore nel Ritratto di Bindo Altoviti, a Monaco, elegante figura dagli occhi vitrei e i capelli come manipoli di seta filata, bionda e morbida».432

428 A VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 58V, n. 1494 1052, 1896/7. 429 VENTURI 1900, p. XXIII. 430 A VENTURI, Taccuino 1904, c. 48, n. 1052, 1904. 431 A VENTURI, Carte sciolte, c. 2R, n. 1052. 432 VENTURI 1926, p. 274.

329 L’opera venne definitivamente ricondotta al genio di Raffaello da Brown

(1983), in occasione della celebre mostra del 1983.

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e

1568, IV, a c. di R. BETTARINI - P. BAROCCHI, Firenze, Sansoni, 1976, p. 187. – G.

VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori (1568), IV, a c. di G. MILANESI, Firenze,

Sansoni, 1879, p. 351. – R. BORGHINI, Raphael in Early Modern Sources 1483-1602, a c. di J. SHEARMAN, Veröffentlichungen der Bibliotheca Hertziana Max-Planck-

Institut für Kunstgeschichte Rom, New Haven-Londra, 2003, p. 1326. – G. P.

BELLORI - M. MISSIRINI, Descrizione dell immagini dipinte da Raffaello d’Urbino nel

Vaticano e di quelle alla Farnesina, Roma, Stamperia de Romanis, 1821. - J. D.

PASSAVANT, Raffael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia, Brockhaus,

1839, II, pp. 142 e ss. - A. SPRINGER, Raffael und Michelangelo, Lipsia, Seemann,

1883. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Raphael, sein Leben und seine Werke, II,

Lipsia, 1885, pp. 174 e ss. – E. MÜNTZ, Raphaël, sa vie, son oeuvre et son temps, Parigi,

Hachette, 1886. - I. LERMOLIEFF Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 149. –

H. DOLLMAYR, Raffaels Werkstätte, «Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen der Allerhöchste Kaiserhause»s, XVI, 1895, p. 357. - B. BERENSON, The Florentine

Painters of the Renaissance, Londra-New York, Putman’s Sons, 1896.- A. VENTURI,

Storia, IX, 2, Milano, Hoepli, 1926, p. 274. – F. ZERI, La riapertura della Alte

Pinakothek di Monaco, «Paragone», XCV, 1957, p. 65. – F. HARTT, Giulio Romano,

330 New Haven, Yale University Press, 1958, pp. 51 e ss. – L. DUSSLER, Raphael: a critical catalogue of his pictures, wall-paintings and tapestries, Londra-New York, Phaidon,

1971, p. 66. – D. A. BROWN, Raphael and America, Washington, Nat. Gallery of Art,

1983, pp. 94, 178 e ss. - J. MEYER ZUR CAPELLEN, Raphael. A Critical Catalogue of his paintings, III, Münster, 2001, pp. 109-114.

331 RAFFAELLO SANTI

DETTO RAFFAELLO

La Sacra Famiglia di Casa Canigiani

Tavola di pioppo, 131.7 x 107 cm

Firmata sull’accollatura di Maria RAPHAEL . VRBINAS

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 476

Provenienza: regalato da Cosimo III, Granduca di Toscana, al futuro genero Johann Wilhelm von Pfalz-Neuburg (1697), successivamente alla Düsseldorfer Galerie fino al 1806, in seguito all’Hofgartengalerie e, quindi, dal 1836 all’Alte Pinakothek

1506/7 circa

Vasari (1568) narra che il dipinto fu eseguito da Raffaello per Domenico

Canigiani; tuttavia, fra il 1584 e il 1589 l’opera giunse nelle mani del Granduca di

Toscana. Risulta, infatti, nel 1589 registrata presso la Tribuna degli Uffizi e nel

1691 inviata a Düsseldorf quale dote di Maria Luisa Medici, figlia di Cosimo III, al suo futuro sposo il principe elettore Johann Wilhelm von Pfalz.

Per quanto riguarda la datazione, la letteratura si è pronunciata variamente.

Heinse (1776/7) e Forster (1790) l’avevano iscritta al 1506, ipotesi questa confermata da Passavant (1839), data l’affinità stilistica della tavola monacense con il Trasporto di Cristo al Sepolcro della Galleria Borghese (inv. 27249).

332 Rumohr (1831) aveva escluso che si potesse collocare posteriormente alla

Madonna Tempi (Monaco, Alte Pinakothek, inv. WAF 796), opinione, invece, oggi prevalente.

In seguito, Förster (1867), Crowe e Cavalcaselle (1883), Müntz (1886) e

Venturi (1920) ripresero la proposta di Passavant; detta ipotesi venne corretta da

Gronau (1923), il quale riportò l’opera al 1507 sulla base di una ricollocazione a tale data del Trasporto di Cristo al Sepolcro della Galleria Borghese. Tale anno è stato accettato e rimane ad oggi incontestato. Wölfflin (1924), Baldass (1925) e Fischel

(1935, 1948, 1962) avallarono l’argomentazione di Gronau, e così fece pure il

Nostro, il quale nella Storia giudicò la tavola «vicina al quadro Borghese, [anche se] più calcolata e fredda nella composizione».433

Oertel (1960) propose una datazione fra 1505/6, lo seguì in questo Dussler

(1971); mentre Pope-Hennessy (1971) ha ribadito la sua preferenza per il 1507.

La composizione in origine presentava nella parte superiore dei cherubini, come possiamo dedurre da un’incisione su rame di Giulio Bonasone (B. XV, 65), della quale si conserva copia a San Frediano in Cestello, oltre ad un disegno presso il Museo di Brünn (inv. MM 2457). Del quadro raffaellesco esiste pure una copia su tavola, databile fra il 1516 e il 1517 e facente parte della collezione del

Marchese Rinuccini di Firenze; detta copia, venduta all'asta dalla Galleria Fischer di Lucerna nel 1949, si trova attualmente al Metropolitan Museum di New York

(inv. 60.121).

433 VENTURI 1926, p. 172.

333 Di fatto, sappiamo che durante il restauro del 1755 Collins «nascose sotto ad un cielo unito i due gruppi di angioletti fra le nubi che concludevano il gruppo; un lavoro eseguito per l’Elettore Palatino [...] Wölfflin nell’Arte Classica discute della composizione della Sacra Famiglia senza porsi il problema dell’intervento settecentesco, con un atteggiamento significativo sia nel caso che abbia trascurato una facile verifica sulla storia del quadro, che qualora se ne sia dimenticato nel momento in cui scriveva».434

In merito a questi angioletti, Venturi, infatti, aveva annotato nei suoi taccuini:

«Franz von Reber non ha permesso che si vadano a cercare le testine [esiliate]435 sotto le nubi. Dio lo benedica!».436 Deplorava, inoltre, lo stato di conservazione dell’opera: «Il quadro ha tanto sofferto da restauri che l’avorio di Raffaello nel tempo fiorentino si è offuscato, la purezza del colore si è estinta».437

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, IV, Firenze, Sansoni, 1906, pp. 325-326. –

W. HEINSE, Briefe aus der Düsseldorfer Gemäldegalerie, a c. di A. Winkler, Lipsia,

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Flandern, Holland, England und Frankreich im April, Mai, Junius 1790, a c. di G.

STEINER, Berlino, Voss, 1958, pp. 71-73. – J. D. PASSAVANT, Raffael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia, Brockhaus, 1839, I, pp. 115-116; II, pp. 68 e ss. –

434 CONTI 2002, p. 140. 435 Venturi in realtà scrive [esialate], commettendo probabilmente un errore di metatesi. 436 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 54, n. 1049, 1904. 437 VENTURI 1926, p. 175.

334 E. FÖRSTER, Raphael, I, Lipsia, Weigel, 1867, pp. 208, 243 e ss. - J. A. CROWE – G.

B. CAVALCASELLE, Raphael, his life and works, I, Londra, Murray, 1882, pp. 294 e ss.

– A. SPRINGER, Raphael und Michelangelo, I, Lipsia, Seemann, 1883, pp. 114 e ss. –

E. MÜNTZ, Raphael, sa vie, son oeuvre et son temps, Parigi, Hachette, 1886, pp. 190,

213. – O. FISCHEL, Raphaels Zeichnungen, Versuch einer Kritik der bisher veröffentlichen

Blätter, Strasburgo, Trübner, 1898, pp. 34-36. – A. VENTURI, Raffaello, Roma,

Calzone, 1920, pp. 144-145. - O. FISCHEL, Raphaels Zeichnungen, III, Berlino, Grote,

1922, pp. 152-153. – G. GRONAU, Raffael. Des Meisters Gemalde, Klassicher der

Kunst, I, 5, Stoccarda, Deutsches-Verlags, 1923, pp. 47, 229. – L. V. ZAHN, Raffael von Urbino, Monaco, Allgemeine Verlagsanstalt, 1924, p. 21. – H. WÖLFFLIN, Die klassiche Kunst, 7, Monaco, 1924, p. 89. - L. BALDASS, The position of the “Madonna di

Gaeta” in Raphael’s work, «The Madonna di Gaeta», Lipsia, 1925, p. 30. - A.

VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 2, Milano, Hoepli 1926, pp. 172-175. - B.

BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 413. – S.

ORTOLANI, Raffaello, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1948, p. 28. - O.

FISCHEL, Raphael, I, Londra, Kegan Paul, 1948, pp. 51, 359. – E. CAMESASCA,

Tutta la pittura di Raffaello, I quadri, Milano, Rizzoli, 1956, pp. 50-51, tavole 80-81. –

R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance, Monaco, Hirmer, pp.

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Cambridge, Harvard University Press, 1961, p. 69. – O. FISCHEL, Raphael, Berlino,

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Phaidon, 1968, p. 352. – J. POPE-HENNESSY, Raphael (The Wrightsman Lectures),

New York, Harper&Row, 1970, pp. 17, 201 e ss., 236. - L. DUSSLER, Raphael: a critical catalogue of his pictures, wall-paintings and tapestries, Londra-New York, Phaidon,

335 1971, p. 19. – J. MEYER ZUR CAPELLEN, Raphael. A Critical Catalogue of his paintings,

I, Münster, 2001, n. 30. – S. TIPTON, La passion mia per la pittura, Die Sammlungen des

Kurfursten Johann Wilhelm von der Pfalz (1658-1716) in Düsseldorf im Spiegel seiner

Korrespondenz, «Münchner Jahrbuch der bildeden Kunst», 2006, p. 57.

336 RAFFAELLO SANTI

DETTO RAFFAELLO

Madonna Tempi

Tavola di castagno, 75 x 51 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 796

Provenienza: Casa Tempi (1677), acquistato dal Re Ludovico I (1828), fino al 1835 presso la Cappella di Santa Cecilia della Residenz

1507/8 circa

L’autenticità dell’opera non è mai stata messa in discussione.

Per quanto riguarda la datazione, Rumohr (1831), basandosi sull’affermazione vasariana secondo la quale Raffaello realizzò due quadri per Taddeo Taddei, mise in relazione la Madonna Tempi con la Madonna del Granduca, datandola all’inizio del periodo fiorentino. Diversamente, Passavant la collocò alla fine del periodo fiorentino di Raffaello e con lui concordarono Förster (1867), Crowe e

Cavalcaselle (1883) e Müntz (1886).

Schmarsow (1886) rintracciava nell’opera un’affinità compositiva con il tondo della Madonna con Bambino nel rilievo donatelliano de Sant’Antonio e il miracolo del neonato (Basilica di Sant’Antonio, Padova). A questo proposito Dussler (1971) sottolineerà che non necessariamente l’esempio donatelliano è rapportabile alla

Madonna Tempi.438 Sempre a questo proposito, il Nostro aveva annotato nei

438 Cfr. JANSON 1957, n. 302. - KECKS 1988, p. 30 e ss.

337 taccuini: «Una vera versione. Ma Michelangelo ispira qui Raffaello»,439 e, successivamente nella Storia aveva asserito: «L’enfasi del passo, l’onda del manto gonfio d’aria dimostrano come Fra’ Bartolommeo sia presente all’Urbinate quando compone il suo più tenero idillio materno: la Vergine di Casa Tempi. Ma il

Domenicano nei gruppi di madre e bambino non toccò mai nota di sentimento così idillica e profonda».440

Gronau (1923) e Fischel (1935, 1948), richiamandosi all’argomentazione del

Lermolieff (1891) e del Ricci (1906), datarono l’opera 1506. Tuttavia, poco dopo si avanzò l’ipotesi, ancor oggi prevalente, di collocarla attorno al 1507. Fra i suoi sostenitori: Venturi (1920, 1926), Gamba (1932), Ortolani (1948), Longhi (1955),

Camesasca (1956) Oertel (1960) e Dussler (1971).

Meyer zur Capellen (2001) suggerisce il 1508 in quanto «the manner in which

Raphael applies colour in order to create an even, continuous modelling, represents the artistic culmination of his Florentine period».441

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, IV, Firenze, Sansoni, 1906, p. 321. - J. D.

PASSAVANT, Raffael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia, Brockhaus,

1839, I, pp. 120-121; II, pp. 81-82. – E. FÖRSTER, Raphael, I, Lipsia, Weigel, 1867, pp. 208, 229-230. - A. J. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Raphael, his life and works,

439 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 834R, n. 1050, ante 1910. 440 VENTURI 1926, p. 179. Cfr. A. VENTURI, Per Raffaello, «L’Arte», XXXIX, 1936, p. 266. 441 MEYER ZUR CAPELLEN 2001, p. 268.

338 I, Londra, Murray, 1882, pp. 17, 211-212 – A. SPRINGER, Raphael und Michelangelo,

I, Lipsia, Seemann, 1883, p. 100. – E. MÜNTZ, Raphael, sa vie, son oeuvre et son temps,

Parigi, Hachette, 1886, pp. 194. – A. SCHMARSOW, Donatello, Breslau, Breitkopf &

Härtel in Komm., 1886, p. 46. – F. VON REBER, Die Erwerbung von Raffaels Madonna

Tempi durch Konig Ludwig I, «Jahrbuch der Munchner Geschichte», 3, 1889, pp. 225-

258. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die

Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, pp. 143-144. – E.

JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München,

«Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, pp. 433-434. - O. FISCHEL,

Raphaels Zeichnungen, Versuch einer Kritik der bisher veröffentlichen Blätter, Strasburgo,

Trübner, 1898, pp. 24-25. –A. VENTURI, Raffaello, Roma, Calzone, 1920, p. 147. –

G. GRONAU, Raffael. Des Meisters Gemälde, Klassicher der Kunst, I, 5, Stoccarda,

Deutsches-Verlags, 1923, pp. 30, 225. – H. WÖLFFLIN, Die klassiche Kunst, 7,

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VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 2, Milano, Hoepli 1926, pp. 179, 286. – C.

GAMBA, Raphael, Parigi, Crès, 1932, p. 49. - B. BERENSON, Pitture italiane del

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Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1948, p. 29, 51. - O. FISCHEL, Raphael, I, Londra,

Kegan Paul, 1948, pp. 53, 358. – R. LONGHI, Percorso di Raffaello giovine, «Paragone»,

VI, 1955, p. 22. - E. CAMESASCA, Tutta la pittura di Raffaello, I quadri, Milano,

Rizzoli, 1956, p. 54, tavola 95. – R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der

Renaissance, Monaco, Hirmer, pp. 32-33, 52. – O. FISCHEL, Raphael, Berlino, Mann,

1962, p. 39. - B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance, Londra, Phaidon,

1968, p. 352. – L. DUSSLER, Raphael: a critical catalogue of his pictures, wall-paintings and

339 tapestries, Londra-New York, Phaidon, 1971, p. 21. - J. MEYER ZUR CAPELLEN,

Raphael. A Critical Catalogue of his paintings, I, Münster, 2001, n. 37.

340 RAFFAELLO SANTI

DETTO RAFFAELLO

Madonna della Tenda

Tavola di castagno, 65.8 x 51.2 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 797

Provenienza: Madrid, Escorial (1574-1809), Londra, Sir Thomas Baring (1809-13), Monaco, Ludovico I (1819-1836)

1513/14 circa

Dal 1836 l’opera è stata esposta all’Alte Pinakothek col nome di Raffaello, nonostante Passavant (1839) esprimesse diverse perplessità, soprattutto circa la provenienza. Waagen (1868) e Mündler (1903) scorgevano nella tavola la paternità di Perin del Vaga; Lermolieff (1891), invece, riteneva che fosse una ripetizione o una copia della Madonna della seggiola (Pitti, inv. 151) realizzata da Giulio Romano.

Di tale avviso si dimostrò anche il primo Venturi; nei taccuini, difatti, aveva appuntato: «Imitazione della Madonna della seggiola. Copia o imitazione di Giulio

Romano. Interessante di confrontarla con l’originale».442 Sempre nei taccuini, successivamente affermava, invece, «migliore di quella di Torino»;443operando probabilmente un confronto con la Madonna col Bambino e angeli di Raffaello

Piccinelli (Galleria Sabauda, inv. 121).

442 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 50V, n. 1436 1051, 1896/7. 443 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 835V, n. 1051, ante 1910.

341 Venturi (1920, 1926) si risolse nella monografia su Raffaello, attribuendo definitivamente l’opera all’urbinate; in tale direzione si mossero anche Berenson

(1936) e Fischel (1946).

Il catalogo attuale della Pinacoteca riprende la proposta di datazione di Meyer zur Capellen, ovvero, quella di collocare l’opera tra 1513/14.

Bibliografia:

J. D. PASSAVANT, Raffael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia, Brockhaus,

1839, I, p. 300; II, pp. 297-298.. – E. FÖRSTER, Raphael, I, Lipsia, Weigel, 1867, p.

282. – G. F. WAAGEN, «Jahrbücher für Kunstwissenschaft», I, 1868, p. 35. - A.

SPRINGER, Raphael und Michelangelo, I, Lipsia, Seemann, 1883, p. 342. – A. J.

CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Raphael, his life and works, II, Lipsia, 1885, pp. 184-

185. – E. MÜNTZ, Raphael, sa vie, son oeuvre et son temps, Parigi, Hachette, 1886, pp.

525.– I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die

Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, pp. 144-145. - A.

VENTURI, Raffaello, Roma, Calzone, 1920, p. 147. – G. GRONAU, Raffael. Des

Meisters Gemälde, Klassicher der Kunst, I, 5, Stoccarda, Deutsches-Verlags, 1923, pp. 132, 243. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 2, Milano, Hoepli 1926, p.

287. - B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 413. –

W. LESSING, Die Erwerbung der Madonna della Tenda Raffaels, «Münchner Jahrbuch der bildeden Kunst», XIII, 1938/39, pp. 235-247. - S. ORTOLANI, Raffaello,

Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1948, p. 51. - O. FISCHEL, Raphael, I,

342 Londra, Kegan Paul, 1948, pp. 130, 132, 365. – E. CAMESASCA, Tutta la pittura di

Raffaello, I quadri, Milano, Rizzoli, 1956, pp. 59-60. – R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance, Monaco, Hirmer, pp. 33-34, 52. – J. F. FREEDBERG,

Painting of the High Renaissance in Rome and Florence, Cambridge, Harvard University

Press, 1961, p. 347-348. - O. FISCHEL, Raphael, Berlino, Mann, 1962, p. 130, 132,

365. - B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance, Londra, Phaidon, 1968, p.

352. - L. DUSSLER, Raphael: a critical catalogue of his pictures, wall-paintings and tapestries,

Londra-New York, Phaidon, 1971, p. 39. - J. POPE-HENNESSY, Raphael (The

Wrightsman Lectures), New York, Harper&Row, 1970, pp.206, 215-216, 221. - J.

MEYER ZUR CAPELLEN, Raphael. A Critical Catalogue of his paintings, I, Münster,

2001, n. 56.

343 PIETRO ROTARI

Fanciulla che dorme

Fanciulla che piange

Tela, 106 x 84 cm ciascuna

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, invv. 1, 2

Provenienza: Collezione del Principe elettore Carlo Teodoro, Schleißheim (1822-1836, 1911-1925), Alte Pinakothek (1836-1911, 1925-1958), dal 1974 nella collezione a Schleißheim e attualmente nei depositi della Alte Pinakothek s.d.

Il processo attributivo si è rivelato piuttosto piano e il nome di Pietro Rotari non è mai stato messo in discussione.

Nei taccuini Venturi si appresta ad annotare come da catalogo: «P. Rotari.

Donna piangente. Ricorda la nostra donna piangente vestita di nero, nella Galleria

Corsini»;444 «Rotari, [*ricordare] la simiglianza di fattura colla nostra figuretta della

Galleria Corsini».445 Tuttavia, il paragone non trova sviluppi nei testi a stampa.

Per quanto riguarda la datazione, Barbarani (1941) inserisce i due quadri all’interno del processo evolutivo rotariano del verismo.

444 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56V, n. 1480 1275, 1896/7. 445 A. VENTURI, Carte sciolte, c. 4V, nn. 1274, 1275.

344 Bibliografia:

H. VON TSCHUDI – F. VON REBER (a c. di), Katalog der Alten Pinakothek, Monaco,

Druck von Knorr & Hirth, 1911, p. 131. - E. BARBARANI, Pietro Rotari, Verona,

Ed. Albero, 1941, pp. 28, 67-69. – E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue Alte

Pinakothek, Monaco, Hirmer Verlag, 1957, p. 84.

345 SCUOLA DI RIMINI

Crocifissione di Cristo

Fustigazione di Cristo

Kreuztragung di cinque santi

Tavola di salice, 63.5 x 28.4 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 838

Assunzione della Vergine con due angeli

Lavanda dei piedi

Giudizio universale

Tavola di salice, 64 x 29.9 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 837

Provenienza: regalo al Re Ludovico I (1829 riportato dal cat. 2007, cat. 1957-75 1843)

1305-1310 circa

La vicenda attributiva delle tavole a lungo dibattuta non si è ancora conclusa.

Dapprima erano state giudicate opere giottesche, finché nel 1884 vennero ascritte alla scuola di Cimabue, quindi, tra il 1911 e il 1925 alla scuola romana.

Berenson (1898) e Fry (1903) si rifecero all’iniziale attribuzione a Giotto,

Crowe e Cavalcaselle (1903), invece, attribuirono il dittico ad un seguace di Pietro

Cavallini. Venturi, nei taccuini del 1904, appuntava come da catalogo: «Cimabue,

Schule Santa – Madonna col Bambino – Santa – Lavanda de' piedi – Cristo nel

Giudizio Universale – Crocifissione – Il cireneo prende la croce – San Francesco

346 riceve le stimmate», aggiungendo, «Nello li attribuisce al Cavallini»;446 e qualche carta innanzi: «Scure le teste, forti le ombre, intense! Occhi cavernosi. La

Crocifissione. La Vergine cade trafitta da una spada. La Flagellazione. Cristo sulla

Via del Calvario. Curioso il manigoldo che lo segue, con vesti a pezzi e stracciate.

Santa coronata di rose - Santo - Santa - San Francesco che riceve le stimmate -

Santa Maddalena. *979. Santa Chiara - Madonna col Bambino in trono - Santa coperta di manto di porpora - La lavanda de’ piedi - Cristo nel Giudizio

Universale. Il fiume di fuoco scende dalla mandorla azzurra, e involge i tristi. Gli eletti tengono le bandiere, una con gigli. I reprobi con bandiere dov’è la mezzaluna, una spada».447

Una descrizione molto simile viene fornita nel quinto volume della Storia: «Vi è un dittico attribuito alla scuola di Cimabue, recante i numeri 979 e 980. In uno sportello, nello scompartimento superiore, è la Vergine col Bambino tra Santa Chiara e Santa Elisabetta, coperta di manto purpureo; nel mediano è la Lavanda de’ piedi agli Apostoli; nell’inferiore, il Giudizio Universale: un fiume di fuoco scende dai piedi dell’Eterno circondato di angioli, tra il Battista, la Vergine e le schiere degli

Apostoli; in un ordine più in basso, i Santi sporgentisi dalle nubi; più in giù, gli eletti dietro stendardi gigliati, i reprobi con bandiere segnate dalla mezzaluna e da una spada. Nell’altr’ala del dittico, la Crocefissione in alto, dove si vede la Vergine trafitta da una spada, così come è cantata nello Stabat Mater; la Flagellazione e l’Andata al Calvario; infine cinque Santi, tra i quali Francesco e Maria Maddalena.

Sono caratteristiche del Cavallini le ombre verdi profonde, la plasticità e il risalto

446 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 27, nn. 979, 980, 1904. 447 A. VENTURI, Taccuino 1904, cc. 37-38, nn. 979, 980, 1904.

347 delle figure […] È probabile che il quadro appartenga all’ultimo tempo del

Cavallini; e la bandiera gigliata tenuta dagli eletti fa pensare anche nel Giudizio

Universale a Santa Maria Donna Regina così sfilano gli Angioini tra gli eletti».448

Graf Vitzthum (1905), nel frattempo, aveva intessuto un parallelo con la scuola di Rimini, ripreso anche da Sirén (1906). Nel 1916 questi mise in relazione le tavole monacensi con il polittico di Urbino (1345) del Baronzio.

Anche Van Marle (1924), pur senza fare alcun nome preciso, indicò la scuola di

Rimini; mentre Venturi, negli Studi dal vero (1927), forse sotto l’influenza del Sirén, ripropose l’attribuzione a Giovanni Baronzio. Persino Brandi (1935) avallò tale ipotesi nel catalogo de la Mostra della pittura Riminese del Trecento, scorgendo in particolare proprio in queste tavole le prime attestazioni della scuola.

Tale argomentazione venne ridiscussa da Salmi (1935), Coletti (1947), Toesca

(1951) e Zeri (1958) senza però venir messa seriamente in dubbio.

Ferdinando Bologna, in un suo giudizio strettamente personale (1952),449 propose di datare le tavolette attorno al primo quarto del XIV secolo, in relazione agli affreschi del refettorio dell’Abbazia di Pomposa.

Martini (1959) e Volpe (1965) le rapportarono invece al Maestro del Coro di

Sant’Agostino in Rimini.

Infine, Boskovits (1988) ritiene che si tratti di Pietro da Rimini, giacché «gli improvvisi movimenti a scatto e la presenza di alcune delle tipiche formule

448 VENTURI 1907, p. 168. 449 Riportato da KULTZEN 1975, p. 98.

348 tipologiche denunciano invece i modi di Pietro, come un motivo a lui caro è pure quello dell’apostolo che si china in avanti per scalzarsi nell’episodio della Lavanda dei piedi: lo ritroveremo a Tolentino in forma simile».450 Anche Volpe (2002) si esprime a favore di Pietro da Rimini ed inoltre sostiene l’ipotesi che si tratti di «un dittico, già a Minneapolis, dove gli stessi ‘ceffi’ del coro agostiniano si affollano nelle scene della passione di Cristo. Forse in questo ciclo si potrà leggere il culmine espressivo del percorso avviato dal supposto Zangolo […] un rapporto tra gli affreschi, il Crocifisso e il Giudizio universale della stessa chiesa è stato molte volte sottolineato, come episodio della carriera di Giovanni, di un anonimo maestro, o di un collettivo di bottega all’interno del quale identificare anche

Giuliano, Pietro o Francesco».451

Nel catalogo attuale della Pinacoteca Syre (2007) ritiene a sua volta che le tavole facciano parte di un trittico, senza però specificarne una precisa appartenenza. Per quanto riguarda la paternità il parere, ancora una volta, è vago,

«im frühen 14. Jahrhundert entwickelte sich in Rimini eine Malerei, von deren hoher Qualität noch heute zahlreiche Monumente an der Adriaküste und in den

Museen der Welt zeugen. Ihre künstlerische Sprache unterscheidet sie grundlegend von der gleichzeitig auf blühenden Kunst in Florenz».452

450 BOSKOVITS 1988, pp. 48-49. 451 VOLPE 2002, p. 162. 452 SYRE 2007, p. 204.

349 Bibliografia:

B. BERENSON, Die Florentinischen Maler der Renaissance, Oppeln, Maske, 1898, p.

135. – R. FRY, Pictures in the Collection of Sir Hubert Parry, at Highnam Court, near

Gloucester, «Burlington Magazine», II, 1903, p. 118-119. - J. A. CROWE - G. B.

CAVALCASELLE, A history of painting, I, Londra, ed. Douglas, 1903, p. 97. – G.

GRAF VITZTHUM, Sitzungsberichte der Berliner Kunstgeschichte, Gesellschaft, III, 1905. -

A. VENTURI, Pietro Cavallini a Napoli, «L’Arte», IX, 1906, p. 123. - O. SIRÉN, Notizie critiche sui quadri sconosciuti nel Museo Cristiano Vaticano, «L’Arte», IX, 1906, p. 327. -

A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, V, Milano, Hoepli, 1907, p. 168. – R. VAN

MARLE, The development of the Italian Schools of Painting, IV, L’Aia, Nijhoff, 1924, p.

284. - A. VENTURI, Studi dal vero attraverso le gallerie d’Europa, Milano, Hoepli, 1927, p. 120. - M. SALMI, La scuola di Rimini, III, «Rivista del Reale Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte», V, 1935, p. 105. – C. BRANDI (a c. di), Mostra della pittura riminese del Trecento, Rimini, R. Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna per l’Emilia e la Romagna, 1935, p. 70. – L. COLETTI, I Primitivi, III, Novara, De Agostini,

1947, p. XVIII. – P. TOESCA, Il Trecento, Torino, UTET, 1951, p. 719. – A.

MARTINI, Appunti sulla Ravenna “Riminese”, «Arte Antica e Moderna», VII, 1959, p.

314. - C. VOLPE, La Pittura Riminese del Trecento, Milano, Spagnol, 1965, pp. 34, 78.

- M. BOSKOVITS, Da Giovanni a Pietro da Rimini, «Notizie da Palazzo Albani», XVII,

1, 1988, pp. 35-50. - A. VOLPE, Giotto e i Riminesi, il gotico el’antico nella pittura di primo

Trecento, Milano, Federico Motta Editore, 2002, p. 162.

350 LUCA SIGNORELLI

Madonna col Bambino

Tavola di tiglio, diametro 87 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 7931

Provenienza: acquistata tramite il mercante d’arte Bardini presso la Collezione Ginori di Firenze (1894)

1494/96 circa

La critica si è mostrata concorde nell’attribuire il tondo a Signorelli, se si eccettuano le posizioni di Venturi (1913) e di Olson (2000).

Nello specifico, il Nostro l’aveva interpretato come un ex-voto, commentando:

«Signorelli (Luca). Madonna col Bambino. L’uomo che si leva le scarpe per recarsi al nuoto. […] Carni livide, quelle dell’uomo che si denuda tutto, son cadaveriche!».453 Successivamente nel Taccuino pittorico aveva ribadito: «Tondo del

Signorelli ordinario, nel paese, nel modellato più fumeggiato (!) ma cadaverico.

Luci gialle nelle braccia materiale il paesaggio».454 Proprio per questi particolari, in un articolo su «L’Arte» (1911) aveva sentenziato che il tondo monacense fosse soltanto un “preteso Signorelli”; nella Storia, aveva decretato essere opera di bottega: «Uno dei più antichi aiuti del Signorelli può riconoscersi nel tondo Ginori della Galleria di Monaco di Baviera e nell’altro della Galleria degli Uffizi (n. 74)

[…] Il colore fumeggiato, che prende una tinta cadaverica nelle carni, ci avverte che i due quadri non appartengono a Luca. Anche il disegno senza la forte

453 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 43, n. 1026a, 1904. 454 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 829V, n. 1026a, ante 1910.

351 geometrizzazione del maestro, e la modellatura che qua e là si gonfia indicano il traduttore. Questi si servì di cartoni del Signorelli, anche nel disegnare, nel tondo di

Monaco, un uomo che si scalza, il quale si vede pure, ricavato dallo stesso cartone invertito, nel frammento del Battesimo della Collezione Cook, a Richmond».455

L’autografia della tavola è stata accertata definitivamente dagli studi di Henry

(2001) grazie anche ad un’analisi radiografica, che svela i diversi ripensamenti del

Signorelli.

Per quanto riguarda la datazione, escludendo Berenson (1897), il quale la considerava opera giovanile, e Mancini, che la collocava invece dopo il 1513, la maggior parte della critica la situa nell’ultimo decennio del Quattrocento.

Se Venturi (Taccuino 1904) l’aveva interpretata quale ex-voto, Delogu (2012)

«[considera] la scelta di tema e del formato […] come indicazioni preferite del collezionismo privato fiorentino, in particolare di quei committenti assimilabili alla cerchia medicea e all’elite culturale neoplatonica a essa legata».456

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, I, Lipsia,

Hirzel, 1871, p. 7. – E. JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren

Pinakothek zu München, «Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 430.

- B. BERENSON, The Central Italian Painters of the Renaissance, Londra-New York,

455 VENTURI 1913, pp. 409-410. 456 AA. VV. Signorelli 2012, p. 316.

352 Putman’s Sons, 1897. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 80. - G. FRIZZONI, Nuovi acquisti della Reale Pinacoteca di Monaco in Baviera,

«L’Arte», III, 1900, p. 80. - A. VENTURI, Luca Signorelli, il Perugino e Pier d’Antonio

Dei, «L’Arte», XIV, 1911, pp. 301-302. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, VII, 2,

Milano, Hoepli, 1913, p. 409. - A. VENTURI, Luca Signorelli, Firenze, 1921, p. 65. –

R. OERTEL, Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance, Monaco, Hirmer,

1960, pp. 28-29, 51. - R. J. M. OLSON, The Florentine Tondo, Oxford, Oxford

University Press, 2000. - M. HENRY, Signorelli’s Madonna and Child: a gift to his daughter, «Metropolitan Museum journal», 2001, pp. 192-193. - L. B. KANTER - G.

TESTA GRAUSO, Luca Signorelli, Milano, Rizzoli, 2001, n. 48. – G. L. DELOGU,

Luca Signorelli, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2012, p. 316.

353 GIOVANNI ANTONIO BAZZI

DETTO IL SODOMA

La Sacra Famiglia

Tavola di pioppo, 71 x 51 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 1025

Provenienza: acquistata da Re Ludovico I (1836), dal 1838 all’Alte Pinakothek

1510/1513 circa

Sin dai cataloghi del 1836, la tavola era stata attribuita al Sodoma; Lermolieff

(1891) la giudicò un “feines Bilchen aus der Frühzeit” del maestro, Frizzoni

(1891), per primo, la rapportò alla Sacra Conversazione della Galleria Sabauda di

Torino (inv. 56), felice intuizione questa avallata da tutta la critica successiva. Le analogie stilistiche delle due opere furono ribadite anche da Pope-Hennessy

(1950) e da Hayum (1976), il quale afferma perentoriamente trattarsi di una replica.

Alla luce di questa stretta corrispondenza con la tavola torinese, Jacobsen

(1897a,b), Priuli-Bon (1900), Faccio (1902) e Gielly (1911) datarono la Sacra

Famiglia di Monaco 1505. Divergenti le proposte avanzate da Zeri (s.a.), che la collocò nell’ampio intervallo 1510-1520 e nei cataloghi della Pinacoteca, nei quali si proponeva 1510-1513; anche Mayer (1933), Carli (1950) e Oertel (1960) si espressero favorevolmente in merito a quest’ultima datazione. Radini Tedeschi

(2010) la data perentoriamente nel 1513.

354

Per quanto concerne lo stato di conservazione, nei taccuini, Venturi si rallegrava giacché l’opera non aveva subito restauri dannosi: «L’hanno lasciato stare!»,457 poco oltre «bellissimo, dorato, sano».458 Forse proprio perché privo di ogni ritocco o ridipintura, Carli (1979) ipotizza: «La qualità della tavola torinese, forse non immune da qualche ridipintura, è talmente alta da non suscitare dubbi circa l’autografia del Sodoma, […] sì che si può supporre che la replica, questa volta, sia quella di Monaco, sulla cui autografia è lecito nutrire qualche perplessità e che inclinerei a giudicare di qualche buon Maestro fiorentino, di cui la presenza del Sodoma rende difficile stabilire l’identità».459

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 106. – G. FRIZZONI, Arte

Italiana del Rinascimento, Milano, Dumolard, 1891, p. 135. – E. JACOBSEN, La Regia

Pinacoteca di Torino, «Archivio Storico dell’Arte», III, 1897, p. 123. –C. PRIULI-BON,

Sodoma, Londra, George Bell&Sons, 1900, p. 107. – C. FACCIO, Giovan Antoni

Bazzi, (Il Sodoma), pittore vercellese del secolo XVI, Vercelli, Gallardi&Ugo, 1902, p.

356. – L. GIELLY, Giovan-Anton Bazzi dit Le Sodoma, Parigi, Plon-Nourrit, 1911, pp.

88, 173. – B. BERENSON, Pitture Italiane del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p.

461. – E. CARLI, Sodoma, Vercelli-Siena, SAVIT, 1950, p. 52. - R. OERTEL,

457 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 48, n. 1073, 1904. 458 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 55, n. 1073, 1904. 459 CARLI 1950, p. 52.

355 Italienische Malerei bis zum Ausgang der Renaissance, Monaco, Hirmer, 1960, pp. 36, 52.

- A. HAYUM, Giovanni Antonio Bazzi, Il Sodoma, New York-Londra, Garland, 1976, p. 146. – D. RADINI TEDESCHI, Sodoma, La vita, le opere e gli allievi di uno dei massimi artisti del Rinascimento, Subiaco, Edizioni Rosa del Vento, 2010, p. 191.

356 DOMENICO TINTORETTO

Ritratto di uno scultore

Tela, 73.4 x 62.5 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 965

Provenienza: dal 1719 alla Düsseldorfer Galerie, dal 1806 a Schleißheim, dal 1836 alla Alte Pinakothek, dal 1963 in deposito

1590 circa

Nei cataloghi della Düsseldorfer Galerie, l’autore dell’opera era stato identificato come Annibale Carracci, fin quando Nicolas de Pigage non propose Jacopo

Tintoretto (1778). Accettata dai cataloghi della pinacoteca, l’attribuzione venne messa in dubbio da Mündler (1865) e Bercken-Mayer (1916/18). Lermolieff

(1880, 1891) fu il primo a scorgervi la mano di Domenico Tintoretto. Tale ipotesi si era affacciata, seppur timidamente, anche nei taccuini del Nostro: «J. Tintoretto.

Ritratto d’uomo con compasso nella destra, con un frammento di Cristo nella sinistra. Paese di Domenico Tintoretto, neri accentuati, accentuati i bianchi. Vive luci a colpi di pennello nel paese!»;460 «Paese con quei grossi colpi di luce gialla.

Contorno del colletto fatto con colpi che sembran capricci di pennello. Pieghe un po’ cartacee dell’abito. Certo Domenico Tintoretto».461

Ancora nel Taccuino 1904 Venturi si era interrogato crica la paternità: «Jacopo

460A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 56V, n. 1481 1127, 1896/7. 461 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62V, n. 1520 1127, 1896/7.

357 Tintoretto. Domenico?»,462 «Jacopo Tintoretto. Domenico».463

Nella Storia (1929), libero da ogni dubbio, Venturi identifica il soggetto del quadro quale ritratto di Andreas Vesalius e lo descrive, rifacendosi alle carte: «Le sue carni hanno l’impasto cretaceo, scuro, proprio di Domenico; il paese, che si scorge dall’aperta finestra, ha foglie d’albero segnate a colpi di giallo, goccianti di giallo nei contorni; il monte, pure lineato di giallo, s’innalza sul cielo livido con nubi fosforiche. Il pallor verdognolo, flaccido, quasi mortuario, si rivede in molte pitture di Domenico».464

Bibliografia:

N. DE PIGAGE, Le Galerie Électorale de Dusseldorff ou Catalogue raisoinné et figuré de ses tableaux dans lequel on donne, Basilea, De Mechel, 1778. - O. MÜNDLER, Die

Apokryphen der Münchner Pinakothek und der neue Katalog, «Rezensionen und

Mitteilungen über bildenden Kunst», 1865, p. 370. – I. LERMOLIEFF, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von München, Dresden und Berlin, Lipsia, Seemann,

1880, p. 59. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2,

(Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 96. – E.

JACOBSEN, Über einige italienische Gemälde der älteren Pinakothek zu München,

«Repertorium für Kunstwissenschaft», XX, 6, 1897, p. 440. – K. VOLL, Führer durch die Alte Pinakothek, Monaco, 1908, p. 233 e ss. – E. VON DER BERCKEN- A. L.

MAYER, Beitrage zur Entwicklungsgeschichte Tintorettos, «Münchner Jahrbuch den

462 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 51, n. 1127, 1904. 463 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1127, 1904. 464 VENTURI 1929, pp. 663-664.

358 bildeden Kunst», X, 1917, p. 264. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 4,

Milano, Hoepli, 1929, pp. 663, 666, 689. – R. PALLUCCHINI, La pittura veneziana del seicento, I, Dispense universitarie, Padova, 1959-60, pp. 15 e ss. – L. OEHLER, Das

Tintoretto-Bildniss der Kasseer Galerie, «Festschrift für Harald Keller», Darmstadt,

1963, p. 259. – R. KULTZEN (a c. di), Katalog Alte Pinakothek, vol. 5 (Italienische

Malerei), Monaco, Brückmann, 1975, pp. 118-119.

359 JACOPO ROBUSTI

DETTO JACOPO TINTORETTO

Cristo in casa di Marta e Maria

Tela, 200 x 132 cm

Firmata in basso a sinistra: JACOBUS TINTORETUS.F

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 4788

Provenienza: Dominikanerkirche di Augsburg fino al 1803, quindi press la Filialgalerie di Augsburg, dal 1809 alla Alte Pinakothek

1580 circa

Commissionato da una famiglia patrizia per la chiesa dei Domenicani di Augusta, il dipinto passò alla Filialgalerie della cittadina, in seguito alla secolarizzazione del

1803, e venne acquisito dalla Alte Pinkothek nel 1809.

Se l’attribuzione non è mai stata messa in dubbio, minor consenso invece si è trovato circa la datazione dell’opera. Pittaluga (1925), Barbantini (1937), Coletti

(1940), e A. Pallucchini (1969) l’assegnarono al periodo tardo del Tintoretto;

Arslan (1937) proponeva invece di datarlo 1565-1570, in relazione all’Ultima Cena di San Trovaso; Pallucchini (1965) e De Vecchi (1970) lo ascrivono al 1567 circa.

Venturi, sia nei taccuini, sia nella Storia, si limita a fornire un commento stilistico, senza entrare nel merito della datazione. In particolare, il giudizio dei taccuini serve ancora una volta come punto di partenza per la redazione dell’opera edita. Nei taccuini riporta: «Cristo che parla a una donna, dolcemente, mentre

360 un’altra sembra interrogarla ansiosa; ed ella par che penda dalle labbra del Cristo tutta consolata e sorpresa. D’un bellissimo colorito! La cintura ornata d’oro e di gemme sul velluto d’un verde intenso secco scuro scuro465 è un effetto da

Rembrandt. Nel fondo a destra la cucina, nel mezzo, nel vano della porta gli apostoli luminosi, sul verde, come una visione».466Nella quarta parte della pittura del Cinquecento, di fatti, riporta: «Tra Marta che l’incita al lavoro e Cristo che sillogizza, Maria pende dalle labbra divine, schiude la bocca, sospeso il respiro, velati i grandi occhi febbrili. Di rado il Tintoretto ha dato così intensa vita spirituale a un volto umano. […] Non riesce a scuoter l’incanto Marta, alacre, faccendiera: Maria, dall’abbigliamento regale e il viso scarno e ardente di basilissa, non s’accorge di quella vita che intorno a lei si agita, di quella voce che l’invita al lavoro. Assorta, si abbandona al magico fiotto della parola divina. Lontano, la veduta s’apre sopra un’interno467 di cucina, tra i più belli scorci d’interno creati dall’arte veneziana […] i cinque Apostoli sul limitare della porta sopra un fondo verde leggiero di alberi, avvolti e penetrati di luce come parvenze nate da un tremulo riflesso di raggi, sono tra i brani più modernamente impressionistici che l’arte del Cinquecento abbia creati».468

Bibliografia:

H. WIEDENMANN, Die Dominikanerkirche in Augsburg, Augusta, Himmersche

Buchdr., 1917, p. 46. – M. PITTALUGA, Il Tintoretto, Bologna, Zanichelli, 1925, pp.

465 La ripetizione dell’aggettivo è presente nei taccuini. 466 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 53V, n. 1448 265, 1896/7. 467 Si riporta l’originale, p. 559. 468 VENTURI 1929, pp. 557, 559.

361 278 e ss. – N. BARBANTINI (a c. di), La mostra del Tintoretto, Catalogo delle opere,

Venezia, Ferrari, 1937, pp. 145-147. – E. ARSLAN, Argomenti per la cronologia del

Tintoretto, «Critica d’Arte», II, 1937, p. XXVIII. - L. COLETTI, Il Tintoretto,

Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1951, pp. 30-31. - R. PALLUCCHINI, sub voce Tintoretto, «Enciclopedia Universale dell’Arte», XIII, Venezia-Roma, 1965,

Sp. 948. – A. PALLUCCHINI, Tintoretto, Firenze, Sadea-Sansoni, 1969, p. 36. - P. DE

VECCHI 1970, in C. BERNARI, L’opera completa del Tintoretto, apparati critici e filologici di P. DE VECCHI, Milano, Rizzoli, 1970, p. 110. - R. PALLUCCHINI – P.

ROSSI, Tintoretto. Le opere sacre e profane, Milano, Electa, 1982, p. 79. – L. B. BROWN

– A. K. WHEELOCK (a c. di), Masterworks from Munich, Washington, D. C.,

Cincinnati, 1988/89, pp. 72-74.

362 TIZIANO VECELLIO

Ritratto di un giovane uomo

Tela su tavola di legno, 89.3 x 74.3 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 517

Provenienza: registrato dal 1719 negli inventari della galleria di Düsseldorf, dal 1806 al’Hofgartengalerie di Monaco, dal 1838 all’Alte Pinakothek

1520 circa

Il quadro veniva menzionato per la prima volta nel 1719 nel catalogo della galleria di Düsseldorf e l’effigiato identificato come Pietro Aretino. Tale interpretazione era stata accolta da Forster (1868) e da Crowe e Cavalcaselle (1877/78).

Nel catalogo del 1888 dell’Alte Pinakothek l’attribuzione oscillava tra

Giorgione e Tiziano, nello specifico, si era soliti rapportare l’opera al Cavaliere di

Malta degli Uffizi (inv. 622). Tale ipotesi, benché respinta da Lermolieff (1891), era stata ripresa da Venturi: «Lo spirito giorgionesco […] si trasfonde in un Ritratto della Galleria di Monaco dove è raffigurato un Gentiluomo con mano poggiata all’elsa della spada, in posa ad arco che ci richiama il Cavaliere di Malta nella

Galleria degli Uffizi. Ma il quadro di Monaco, legato da una comune impronta spirituale alla serie che s’aggruppa intorno all’Uomo dal guanto, è senza dubbio più tardo: la massa della figura tutta s’avvolge nell’ombra ambiente, e i contorni si riducono a una sfumatura di colore».469

469 VENTURI 1928, p. 215.

363 L’influenza di Giorgione fu interpretata quale indizio per una datazione giovanile dell’opera, Fischel (1906), di fatti, dopo averla collocata fra 1523-25

(1904), propose il 1515, ipotesi confermata anche da (1913) e da

Knackfuß (1928).

Con fermezza Hetzer (1920) riprese la proposta di Voll (1908), datandola 1520 e precisando nell’articolo del Thieme-Becker (1940) che la tela era sicuramente successiva a l’Homme au gant del Louvre (inv. 473). Quest’opinione è stata sostenuta dalla critica successiva: Venturi (1928), Suida (1933), Tiezte (1936),

Pallucchini (1944) e confermata anche dai cataloghi delle mostre di Londra (1949) e di Berna (1949-50).

Bibliografia:

G. FORSTER, Ansichten von Niederrhein; van Brabant, Flandern, Holland, England und

Frankreich im April, Mai, Junius 1790, a c. di G. STEINER, Berlino, Voss, 1958, p. 80.

– J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Tizian, Leben und Werke, I, Lipsia, Hirzel,

1877, p. 696. - J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Tiziano, I, Firenze, Le

Monnier, 1878, pp. 433-434. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die

Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 78. – G. GRONAU, Tizian, Berlino, Hofmann, 1900, pp. 44-

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HETZER, Die frühen Gemälde des Tizian. Eine stilkritische Untersuchung, Basilea,

Schwabe, 1920, pp. 66, 68. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano,

364 Hoepli, 1928, p. 215. – W. SUIDA, Tizian, Roma, Valori Plastici, 1933, p. 34. – H.

TIETZE, Titian, Vienna, Phaidon-Verlag, 1936, pp. 124-125. – T. HETZER, sub voce

Tiziano, in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, a c. di U. THIEME – F. BECKER, XXXIV, 1940, pp. 162-163. – R. PALLUCCHINI, La pittura veneziana del Cinquecento, I, Novara, De Agostini, 1944, p. XXI. – AA. VV.,

Masterpieces of the Alte Pinakothek at Munich, National Gallery Londra, Arts Council,

1949, p. 63, n. 119. – AA. VV., Kunstwerke der Münchner Museen, Berna, 1949/50, p.

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BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace, II, (Venetian school), Londra, Phaidon,

1957, p. 188. - H. E. WETHEY, The Paintings of Titian, I, Londra, Phaidon, 1975, p.

16, n. 45. – AA. VV., Le Siècle de Titien, Parigi, 1993, p. 422.

365 TIZIANO VECELLIO

Ritratto di un cavaliere di Santiago

Tela, 139.5 x 117.5 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. WAF 1085

Provenienza: Collezione Lebrun, Parigi (1809), acquistato per il Principe ereditario Ludovico (1815), a Schleißheim fino al 2009, attualmente in deposito

ANNUM AGENS XXXXI

1542 circa

La tela, oggi conservata nei depositi della Alte Pinakothek, era stata giudicata da

Crowe e Cavalcaselle (1877b) opera mal restaurata del Tintoretto. Più cautamente,

Lermolieff (1891) aveva affermato: «Auch in diesem ganz vorzuglich aufgefassten

Bildnisse finde ich weder die Zeichnung noch die Malweise des Cadoriners und ich muss bekennen, rathlos davor zu stehen. Das Bild hat grossen Schaden erlitten, die Lasuren auf demselben sind fast alle verschwunden».470

Nei cataloghi della Pinacoteca, dal 1895 al 1958, il ritratto era stato riportato sotto Tiziano, pur registrando un notevole dissenso da parte della critica; infatti,

Gronau (1904), Suida (1935), Tietze (1936), Valcanover (1960), nei rispettivi studi sul Cadorino, non fecero alcuna menzione dell’opera.

A suscitare tali e tante perplessità doveva essere lo stato di conservazione piuttosto degradato; anche il Nostro nei taccuini si era variamente interrogato, ipotizzando però un’attribuzione a Jacopo Bassano: «Tiziano. Ritratto d’uomo con

470 LERMOLIEFF 1891, p. 79.

366 la decorazione d’una croce rossa. È bassanesco. Bassano forse. Il colore arrossa e arancia!»;471 «Tiziano. Ritratto d’uomo con decorazione di una croce rossa spagnuola. Bassano?».472 Dal 1904 bandolo della matassa sono le mani: «Tiziano.

No, Giacomo Bassano. Brutte mani!»;473 «Sembra un Jacopo Bassano. Brutte le mani. Par che ci sia stata data una pomata!»474 Nel Taccuino pittorico, infine, riporta con fermezza l’opera a Jacopo Bassano, ribadendo: «Giacomo Bassano»,475

«Tiziano. No. Mi ricorda molto anche nel tono del colorito rosso il Bassano di

Londra e il Bassano di [D-ia]. Grandioso ritratto. La mano è grossa con le dita ripiegate».476

Al contrario Ricketts (1910) aveva affermato, senza alcun dubbio, trattarsi di uno dei migliori ritratti del Cadorino; anche Fischel (1924) e Morassi (1967) si erano pronunciati in favore di tale ipotesi. Pallucchini (1969) l’aveva assegnato, invece, con riserva ad un pittore tizianesco.

Wethey (1971) lo ascrive inizialmente fra le opere di Tiziano, precisando: «The breadth and the grandeur of spirit in the interpretation of a Spanish nobleman are impressive, yet doubt remains that Titian is involved here».477 Il critico avanza, inoltre, un’ipotesi di datazione al 1542, alla luce dell’iscrizione presente in alto a destra: ANNUM AGENS (?) XXXXII. Ciononostante, nel 1975 sulla scorta di

Kultzen-Eikemeier (1971), lo stesso Wethey lo assegna ad un seguace di Tiziano.

Nella più recente monografia su Tiziano, Humfrey (2007) la esclude addirittura dal

471 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 50V, n. 1435 1115, 1896/7. 472 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 57R, n. 1488 1115, 1896/7. 473 VENTURI, Taccuino 1904, c. 50, n. 1115, 1904. 474 VENTURI, Taccuino 1904, c. 57, n. 1115, 1904 475 VENTURI, Carte sciolte, c. 1R, n. 1115. 476 VENTURI, Carte sciolte, c. 4R, n. 1115. 477 WETHEY 1971, p. 113.

367 catalogo.

Per quanto riguarda lo stato di conservazione, Wethey (1971) scrive: «damages to the canvas have been crudely repaired, but none of them occurs in a critical position».478

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Titian: his life and times with some accounts of his family, II, Londra, 1877, p. 453. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die

Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 79. – F. VON REBER, Katalog der Gemäldegalerie, Monaco, 1895, p. 225. – G. GRONAU, Titian, Londra, Duckworth, 1904. – C. S. RICKETTS, Titian,

Londra, Methuen, 1910, pp. 120, 180. – O. FISCHEL, Tizian, Stoccarda, Deutsche

Verlag-Anstalt, 1924, p. 165. – W. SUIDA, Le Titien, Parigi, Weber, 1935. – Tietze,

1936. – B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace. Venetian School, I, Londra,

Phaidon, 1957, p. 188. – Kat. 1958, p. 103. – F. VALCANOVER, Tutta la pittura di

Tiziano, 2 voll., Milano, Rizzoli, 1960. – A. MORASSI, sub voce Titian, in

«Encyclopedia of Worls Art», XIV, New York, 1967, p. 143. – R. PALLUCCHINI,

Tiziano, II, Firenze, Sansoni, 1969, fig. 673. – H. E. WETHEY, The paintings of

Titians, II, (The Portraits), Londra, Phaidon, 1971, pp. 113-114. – P. HUMFREY,

Titian, Londra, Phaidon, 2007.

478 WETHEY 1971, p. 113.

368 TIZIANO VECELLIO

La vanità

Tavola di legno, 97 x 81.2 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 483

Provenienza: registrato fin dal 1618 negli inventari della Residenz di Monaco, dal 1748-1781 presso il Castello di Schleißheim, nel 1781 esposto all’Hofgartengalerie, dal 1836 alla Pinacoteca

1520 circa

La vicenda critico-attributiva dell’opera è stata alquanto travagliata.

Nei primi cataloghi e nella letteratura tizianesca l’opera figura come proveniente dalla collezione di Rodolfo II d’Asburgo, benché ciò non sia documentato.

L’iconografia della tavola è piuttosto controversa ed è stata a lungo dibattuta.

Negli inventari le attribuzioni furono molteplici: nel 1618 fu dato a Palma il

Vecchio, nel 1748/50 a Salviati, nel 1761/65/66 a Palma il Vecchio, nel 1770 a

Tiziano, nel 1788 a Palma il Vecchio, nel 1799 a Giorgione, nel 1884 a Tiziano.

Persino in merito all’autenticità dell’opera vi furono dubbi; Crowe e

Cavalcaselle (1876) vi scorsero il modello di Pordenone, Richter (1937), invece, di

Giorgione.

Lo stesso Venturi si dimostra scettico ed affida i propri dubbi ai taccuini: «In tutto il ‘500 non una cosa bianca così: scuola di Guido, copia della maniera di

369 Guido»;479 ed ancora: «Si sta incerti se sia cosa della scuola di Guido. Donna che fila nel fondo. Qua e là trapela la preparazione».480

«Tiziano. No. Mi pare una copia della Scuola di Guido. Parmi biancastro, intonaco che screpola per il molto gesso dell’imprimitura».481

Nella Storia non incluse l’opera nel catalogo generale di Tiziano, né ne fece menzione altrove.

Lermolieff (1891), Tietze (1936), Hetzer (1948), Pallucchini (1953/54) e

Berenson (1957), invece, vi riconobbero la mano di Tiziano. Per un’attribuzione definitiva al grande pittore veneto si dovette attendere l’articolo di Verheyen

(1966).

Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Geschichte der italienischen Malerei, VI, Lipsia,

Hirzel, 1876, pp. 192-341. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien uber die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, E. A. Seemann, 1891, p.

21. – G. GRONAU, Tizian, Berlino, Hofmann, 1900, p. 47. - F. HEINEMANN,

Tizian. Die ersten zwei Jahrzehnte seiner kunstlerischen Entwicklung, Monaco, 1928, pp.

53-54. – T. HETZER, Die frühen Gemälde des Tizian. Eine stilkritische Untersuchung,

Basilea, Schwabe, 1920, p. 58. – O. FISCHEL, Tizian. Klassicher der Kunst, Stoccarda,

Lipsia, Deutsche Vergal-Anstalt, 1924, pp. 37, 307. – W. SUIDA, Tizian, Roma,

479 VENTURI, Taccuino 1904, c. 49, n. 1110, 1904. 480 VENTURI, Taccuino 1904, c. 56, n. 1110, 1904. 481 VENTURI, Carte sciolte, c. 4R, n. 1110.

370 Valori Plastici, 1933, pp. 31, 153. – H. TIEZTE, Tizian, Vienna, Phaidon-Verlag,

1936, p. 89. – G. M. RICHTER, Giorgio da Castelfranco, Chicago, University of

Chicago Press, 1937, p. 236. – R. PALLUCCHINI, Tiziano, I, Bologna, Patròn, 1953-

54, p. 79-80. – B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace – The Venetian school -,

I, Londra, Phaidon, 1957, p. 188. – E. VERHEYEN, Tizian, Die Eitelkeit der Welt,

«Kunstwerke der Welt», VI, 1966, p. 233. - H. E. WETHEY, The Paintings of Titian,

III, (The Mythological and Historical Paintings), Londra, Phaidon, 1975, n. 37. –

B. L. BROWN - A. K. WHEELOCK (a c. di), Masterworks from Munich, Washington, D.

C., Cincinnati, 1988/89, pp. 75-78.

371 TIZIANO VECELLIO

Ritratto di Carlo V

Tela, 203.5 x 122 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 632

Provenienza: Schleißheim 1748-1775, dal 1787 all’Hofgartengalerie, dal 1836 all’Alte Pinakothek s.d.

Per quanto riguarda l’attribuzione, Crowe e Cavalcaselle (1878) riconobbero come originali solo la testa e le mani, mentre vedevano nel paesaggio e nel resto della tela la mano di un pittore successivo. Lermolieff (1891), oltre a riconoscerne il buon stato di conservazione, vi scorse, a buon diritto, un’anticipazione dei paesaggi di Rubens. Queste furono le ipotesi più rappresentative che guidarono lo sviluppo della critica successiva.

Mentre Philips (1898) metteva in dubbio l’originalità del contrasto fra il tono scuro delle vesti ed il rosso accesso dello sfondo, Ricketts (1920) si interrogava se la testa non fosse stata interamente ridipinta da Rubens. Altre ridipinture furono evidenziate da Salter (1912) e Waldmann (1922); Hetzer, dopo averne riconosciuto l’originalità, mise in questione il rosso cinabro del pavimento.

Nei taccuini, Venturi accettò l’attribuzione senza obiezioni e si limitò a riportare: «Tiziano, Carlo V».482 Quindi nella Storia lo datò 1548, rifacendosi al

Ridolfi e dandone un’intensa descrizione poetica.

482 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1112, 1904.

372 Pallucchini (1953-54) ribadì l’autenticità della tela e assegnò l’esecuzione del paesaggio a un pittore fiammingo. Tale argomentazione, in seguito, venne ripresa da Valcanover (1960).

Bibliografia:

J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Tizian, Leben und Werke, I, Lipsia, Hirzel,

1877, pp. 514 e ss. – J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE, Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, II, Firenze, Le Monnier, 1878, pp. 129-130. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische

Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia,

F. A. Brockhaus, 1891, p. 80. – G. GRONAU, Tizian, Berlino, Hofmann, 1900, pp.

144-145. - C. RICKETTS, Titian, Londra, Methuen, 1910, p. 118. – E. GURNEY

SALTER, Nature in Italian art, Londra, Black, 1912, p. 257. - C. RIDOLFI, Le

Maraviglie de l’arte, a c. di D. FREIHERRN VON HADELN, Berlino, G. Grote, 1914, p.

180. – E. WALDMANN, Tizian, Berlino, Propyläen Verlag, 1922, pp. 142. 229. - T.

HETZER, Studien uber Tizians Stil, «Jahrbuch für Kunstwissenschaft», 1923, p. 236.

– O. FISCHEL, Tizian. Klassicher der Kunst, Stoccarda-Lipsia, Deutsche Vergal-

Anstalt, 1924, pp. 153, 316. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano,

Hoepli, 1928, pp. 312-314. - W. SUIDA, Tizian, Roma, Valori Plastici, 1933, pp.

104-105, 165. – T. HETZER, Tizian, Die Geschichte seiner Farbe, Francoforte sul

Meno, Klostermann, 1935, p. 130. - H. TIEZTE, Tizian, Vienna, Phaidon-Verlag,

1936, I, p. 335; II, pp. 181-182. – R. PALLUCCHINI, Tiziano, I, Bologna, Patròn,

1953-54, pp. 36, 37, 181. – B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace, vol. 1,

(The Venetian school), Londra, Phaidon, 1957, p. 188. - F. VALCANOVER, Tiziano, I,

373 Milano, Rizzoli, 1960, p. 33. - H. E. WETHEY, The Paintings of Titian, II, (The

Portraits), Londra, Phaidon, 1971, p. 105 e ss.

374 TIZIANO VECELLIO

Madonna col Bambino in un paesaggio serale

Tavola di legno, 173.5 x 132.7 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 464 firmato TITIANUS FECIT sullo zoccolo di marmo

Provenienza: 1574 inviata all’Escorial, Generale Sebastiani (1809), acquistato da Johan Georg von Dillis a Parigi per il Principe Ludovico (1815), Alte Pinakothek (1836)

1560 circa

Francisco José de Siguenza descrisse l’opera nel 1605, al tempo in cui essa si trovava nella Sacrestia dell’Escorial. Ne fanno menzione anche Francisco de los

Santos (1698), A. Palomino de Castro y Velasco (1715, 1724), e A. Ponz (1733,

1777, 1788). Nel 1809 Giuseppe Bonaparte, probabilmente, la rimosse dalla sua collocazione originaria e, dopo la battaglia di Almonacid, la regalò al generale

Sebastiani. Di fatti, l’acquistò presso di lui von Dillis.

Crowe e Cavalcaselle (1877-78) ne riconobbero l’autenticità e la iscrissero al tempo tardo di Tiziano, scorgendovi delle parziali ripuliture e ridipinture;

Lermolieff (1891) imputò ad un cattivo restauro le condizioni del quadro, inoltre lo giudicò opera tarda di Tiziano, ritenendo, però, che la firma fosse falsa e che probabilmente fosse stata apposta dalla bottega. Di parere affine si mostrò Philips

375 (1898). Tali dubbi derivavano in parte dal rifacimento della firma e, secondo

Wethey (1969) «unquestionably authentic», dai «big physiques»483 delle due figure.

Marggraff, nei cataloghi della Pinacoteca dal 1872 al 1879, attribuì l’opera ad un seguace di Tiziano; Gronau (1900) ne mise in questione l’autenticità e la paragonò alla tavola delle Gallerie veneziane (inv. 314), al San Girolamo del Louvre (inv.

1585) ed a quello di Brera (inv. 182).

Nei taccuini Venturi, forse influenzato dal Lermolieff, giudicava: «Il paese una crosta, il cielo temporalesco, l’azzurro della [*Vergine nuovo] tutto una crosta!»,484 poco più innanzi: «Tutto ridipinto. La nebbia nel fondo!».485

Nella Storia, invece, pur senza datarla, scriveva: «Le oblunghe forme di Diana nei quadri di Bridgewater House riappaiono nella sorridente Madonna della

Pinacoteca di Monaco. L’alta figura è isolata dal paese per una cortina rosso cupa; il riflesso del tramonto che l’investe di sbieco, arde nel velo cangiante come l’aria, logora i tessuti delle vesti e intenerisce le carni monocrome, dorate».486

In merito alla datazione, la collocarono fra le opere tarde di Tiziano: Hetzer

(1935), Wulff (1941), Berenson (1958); Fischel (1924), invece, nell’intervallo 1550-

60, ipotesi ripresa successivamente da Knackfuß (1928), Suida (1933) ed infine anche da Hetzer (1940), il quale la ribadì nel catalogo della mostra londinese

(1949).

483 WETHEY 1969, pp. 100, 101. 484 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 51, n. 1113, 1904. 485 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1113, 1904. 486 VENTURI 1928, p. 353.

376 Una nuova proposta venne avanzata da Tiezte (1936), il quale la ascrisse al

1560 e ritenne autentica la firma. Pallucchini (1953-54, 1969) suggerì il 1561, alla luce di un lettera di Tiziano del 26 aprile 1562 a Filippo II, nella quale si parlava di una “Nostra Signora col Bambino in braccio”,487 identificata dal critico con la

Madonna di Monaco. L’ipotesi fu corroborata anche da Wethey (1969), il quale propende per una datazione fra il 1562 e il 1565.

Crowe e Cavalcaselle (1878), nella monografia su Tiziano, davano inoltre notizia dell’esistenza di una piccola versione del quadro presso la Galleria Sciarra

Colonna a Roma; Sirén (1902) invece informava dell’esistenza di una copia conservata presso la Raccolta Aspelin di Stoccolma. In realtà, Wethey (1969) presume che si tratti della medesima copia.

Bibliografia:

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Descripcion del Real Monasterio de San Lorenzo del Escorial unica maravilla del mundo,

Madrid, Juan Garcia, 1698, pp. 51-52. – H. KNACKFUß, Tizian, Bielefeld,

Velhagen&Klasing, 1928. - A. PALOMINO DE CASTRO Y VELASCO, El Museio pictorico escala optica, prologo di J. A. CEÀN Y BERMUDEZ, Madrid, 1947, p. 796. – A.

PONZ, Viaje de espana seguido de los dos tomos del Viaje fuera de espana, III, a c. di Casto

Maria del Rivero, Madrid 1947, p. 170. – J. A. CROWE – G. B. CAVALCASELLE,

487 Cfr. KULZTEN 1975, p. 125.

377 Tizian, Leben und Werke, I, Lipsia, Hirzel, 1877, pp. 696-697. – ID. Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, II, Firenze, Le Monnier, 1878, pp. 432-433. – I. LERMOLIEFF,

Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und

Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 81. – C. PHILIPS, The later works of Titian,

Londra, 1898, p. 95-96. – G. GRONAU, Tizian, Berlino, 1900, p. 160. – O. SIRÉN,

Dessin et tableaux de la Renaissance italienn dans les collections de Suède, Stoccolma, 1902, pp. 94, 142. – O. FISCHEL, Raphaels Zeichnungen, voll. 20, Berlino, Grote, 1913-72, p. 170. – O. FISCHEL, Tizian. Klassicher der Kunst, Stoccarda, Lipsia, Deutsche

Vergal-Anstalt, 1924, p. 183. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano,

Hoepli, 1928, p. 353. – W. SUIDA, Tizian, Zurigo-Lipsia, 1933, pp. 134, 176. – T.

HETZER, Tizian, Die Geschichte seiner Farbe, Francoforte sul Meno, Klostermann,

1935, p. 173. - H. TIETZE, Titian, Vienna, 1936, I, p. 241, II, pp. 334-335. – R.

PALLUCCHINI, Tiziano, I, Bologna, Patròn, 1953-54, pp. 112-113. – B. BERENSON,

Italian Pictures of the Renaissace, I, Londra, Phaidon, 1957, p. 188. - T. HETZER,

Aufsätze und Vorträge, I, Tizians Bildnisse, Lipsia, 1957, p. 63. – F. VALCANOVER,

Tiziano, Milano, Rizzoli, 1969, n. 436. – H. E. WETHEY, The paintings of Titian, I,

(The religious paintings), Londra, 1969, p. 38 100-101. – R. PALLUCCHINI, Tiziano,

Firenze, 1969, pp. 169, 314. - Gemäldekataloge, IX, pp. 179-182.

378 TIZIANO VECELLIO

Incoronazione di spine

Tela, 280 x 182 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 2272

Provenienza: dal 1748 documentato presso Schleißheim, 1800-1815 Parigi, successivamente Schleißheim, dal 1869 alla Alte Pinakothek

1570 circa

Le origini del dipinto rimangono a noi ignote.

Hadeln (1914), riprendendo Boschini (1674), sostiene che la tela fosse stata lasciata in eredità da Tiziano a Jacopo Tintoretto e da questi passata al figlio

Domenico. Il quadro, in seguito, fu venduto ad un «oltramontano»;488 dall’Olanda passò in Baviera (1748); tra il 1800 e il 1815 è documentata a Parigi; in seguito tornò a Schleißheim. Tale vicenda venne accolta da Crowe e Cavalcaselle (1878), i quali segnalarono l’esistenza di due versioni del medesimo quadro, conservate rispettivamente a Berlino e al Prado di Madrid. In merito a quest’ultima i due critici vi scorsero la mano di Rubens, interpretazione sostenuta successivamente da Waldmann (1922). Nella monografia dedicata a Tiziano, Crowe e Cavalcaselle

(1878) analizzarono in dettaglio anche le ombre e le ridipinture della tela e le attribuirono presumibilmente a Rubens o a Van Dyck. Anche il Lermolieff (1891) diceva di intravvedere dei ritocchi eseguiti sicuramente da un pittore olandese.

488 Espressione probabilmente riferibile al Boschini, cfr. KULTZEN 1975, p. 126.

379 Tuttavia, dopo il restauro dell’opera (1888), fu possibile affermare che lo stato originale del colore non era stato né modificato né compromesso da altre mani.

L’opera fu più volte rapportata al quadro del Louvre (inv. 463) raffigurante il medesimo soggetto, quadro realizzato nel 1540 per l’altar maggiore di Santa Maria delle Grazie a Milano. Difatti Venturi affermava: «L’Incoronazione di spine, a

Monaco, è quasi una replica dell’Incoronazione di Parigi, con le stesse figure, gli stessi atteggiamenti, gli stessi incroci di verge, la stessa collocazione sopra una scalinata a triplice grado: solo assottigliate e allungate le proporzioni delle immagini. Ma se la falsariga della composizione è la stessa, lo spirito è mutato».489

Per la materialità del colore, per la ponderatezza nel disporre le figure, la critica ritenne possibile collocare la tela nel periodo ultimo di Tiziano. Venturi nei taccuini aveva annotato: «Cosa strapotente del suo ultimo tempo».490 Sempre in merito alla datazione, Voll (1907) aveva commentato: «Wohl nach 1570»,491

Fischel (1924) l’aveva collocato tra 1570/71 e così anche Suida (1933) l’aveva rapportato agli ultimi anni del pittore.

Bibliografia:

C. RIDOLFI, Le Maraviglie de l’arte, a c. di D. FREIHERRN VON HADELN, Berlino, G.

Grote, 1924, p. 207. – J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Tizian, Leben und

Werke, Lipsia, 1877, pp. 580, 679, 689. – ID., Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, II,

489 VENTURI 1928, p. 373. 490 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 56, n. 1114, 1904. 491 VOLL 1907, p. 147.

380 Firenze, 1878, pp. 392-396. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die

Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A.

Brockhaus, 1891, p. 77-78. – C. PHILIPS, The later works of Titian, Londra, 1898, p.

104. – G. GRONAU, Tizian, Berlin, 1900, pp. 201-202. – M. HAMEL, Titien, Parigi,

Laurens, 1903, p. 119. – K. VOLL, Vergleichende Gemäldestudien, Monaco, Muller,

1907, pp. 144-148. - E. WALDMANN, Titian, Berlino, 1922, pp. 173, 192-194, 237.

– O. FISCHEL, Tizian. Klassicher der Kunst, Stoccarda, Lipsia, Deutsche Vergal-

Anstalt, 1924, pp. 239, 313. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano,

Hoepli, 1928, pp. 373-378. – W. SUIDA, Tizian, Zurigo-Lipsia, 1933, pp. 143-144. -

T. HETZER, Tizian. Die Geschichte seiner Farbe, Francoforte sul Meno, Klostermann,

1935, pp. 169-176. - R. PALLUCCHINI, La pittura veneziana del Cinquecento, I, Novara,

DeAgostini, 1944, p. 33. - R. PALLUCCHINI, Tiziano, I, Bologna, Patròn, 1953-54, pp. 146-147. – B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissace, I, Londra, Phaidon,

1957, p. 188. - H. E. WETHEY, The Paintings of Titian, I, (The religious paintings),

Londra, Phaidon, 1969, pp. 37, 39, 83. – Gemäldekataloge, IX, pp. 182-184. – G.

PASSAVANT, Tizians Darstellung der Dornenkrönung Christi, in Tiziano e Venezia,

Convegno internazionale di studi, (Venezia 1976), Vicenza, Neri Pozza, 1980, pp.

343-349. – H. OST, Tizian-Studien, Colonia, Böhlau, 1992, pp. 23-26, 164-166. – V.

VON ROSEN, Mimesis und Selbstbezuglichkeit in Werken Tizians, Emsdetten, Berlino,

Ed. Imorde, 2001, pp. 205-273.

381 TIZIANO VECELLIO (ATTRIBUITO)

L’iniziazione ai misteri bacchici

Tela, 115 x 132 cm

Landshut, Stadtresidenz, inv. 484

Provenienza: menzionato negli inventari dal 1618, a Schleißheim dal 1761 al 1775, dal 1805 presso la Hofgartengalerie di Monaco, dal 1838 al 1949 alla Alte Pinakothek, dal 1947 al 1957 presso la Staatsgalerie di Anbach, nei depositi della Alte Pinakothek fino al 1969, quindi a Landshut

1535/45 circa

Riportato nei cataloghi della Pinacoteca come opera della bottega, il dipinto era stato giudicato autentico da Crowe e Cavalcaselle (1877b). Di contro, Lermolieff

(1891) aveva affermato: «Ist nicht einmal ein Tizianisches Schuldbild, sondern scheint blos Copie zu sein».492

L’opera ha suscitato particolare attenzione in Venturi; di fatto nelle carte si ritrovano numerse annotazioni. Sin dal Taccuino 1896/7 aveva scorto una somiglianza con il dipinto della galleria romana: «Tiziano. Venere e una ninfa e

Cupido e fauni. Composizione simile a quella della Galleria Borghese, ma senza la forza, né la freschezza di quella»;493 legame ribadito anche nel Taccuino 1904: «È una copia da quello del Louvre e della Galleria Borghese»,494 precisando: «Forma

492 LERMOLIEFF 1891, p. 80. 493 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 62V, n. 1523 1116. 494 VENTURI, Taccuino 1904, c. 58, n. 1116, 1904.

382 debole della Venere di Tiziano nella Galleria Borghese»,495 «qui è freddo il colore, senza polpa, senza il vigore tizianesco. Copia del Padovanino».496

Anche Buchner (1936, 1957), perplesso, nel redigere i cataloghi della Alte

Pinakothek l’aveva nuovamente attribuito alla bottega. Kultzen-Eikemeier (1971), nei loro studi sulla pittura veneziana, sono incerti persino di tale dicitura.

Wethey (1975), a proposito delle varianti su Allegoria del Marchese del Vasto

(Louvre, inv. 1589), menziona la nostra tela, puntualizzando che «the iconographic elements have been recklessly pieced together by the early Baroque forger. […] Damiano Mazza also painted similar compositions that Ridolfi (1648 -

Hadeln, I, p. 233) described as “Deità, Amori, e Satiri con panieri di frutti”».497

Bibliografia:

J. A. CROWE - G. B. CAVALCASELLE, Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, Firenze, Le

Monnier, 1878, p. 486. – I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische

Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 80. – W. SUIDA, Tizian, Zurigo, Füssli, 1933, pp. 72, 170. – E. BUCHNER (a c. di), Illustrated Catalogue Alte Pinakothek, Monaco, Carl Gerber, 1938, p. 277. – R.

KULTZEN – P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15.

Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei Holzinger,

495 VENTURI, Carte sciolte, c. 1R, n. 1116. 496 VENTURI, Carte sciolte, c. 4V, n.1116 497 WETHEY 1975, p. 128.

383 1971, pp. 189-191. - H. E. WETHEY, The Paintings of Titian, III, (The Mythological and Historical Paintings), Londra, Phaidon, 1975, pp. 128, 207.

384 TIZIANO VECELLIO (ATTRIBUITO)

Ecce homo

Tela, 101.8 x 88.7 cm

Monaco di Baviera, depositi Alte Pinakothek, inv. 5189

Provenienza: registrato presso il Castello di Dusseldorf (1719), Schleißheim (1806), dal 1869 ad Augsburg, dal 1961 nei depositi della Alte Pinakothek s.d.

L’inventario della Pinacoteca di Dusseldorf la registrò come opera di Tiziano fino al 1855, quando venne assegnato a Palma il Vecchio. Rimase sotto tale voce sino al 1899 quando venne restituita a Tiziano. Tuttavia, nel 1912 si preferì ascriverla dubitativamente alla scuola.

La tela, oggetto di studio nei soli taccuini, venne così commentata da Venturi:

«Tiziano. Ecce Homo. Del suo tempo maturo. Eppure nel Cristo è ancora l’alta, nobilissima, severa espressione del Cristo della Moneta».498

Per affinità compositiva, insieme con il n. inv. 6252 sempre della Pinacoteca monacense, è stata rapportata alla tela di Saint Louis (inv. 10.36) da Wethey

(1969), Pallucchini (1969) e Kultzen (1971).

498 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 54V, n. 1453 345, 1896/7.

385 Bibliografia:

R. KULTZEN - P. EIKEMEIER (a c. di), Gemäldekataloge. Venezianische Gemälde des 15.

Und 16. Jahrhunderts. München Alte Pinakothek, I, Monaco, Druckerei Holzinger,

1971, pp. 193-194. – H. E. WETHEY, The Paintings of Titian: complete edition, I,

Londra, Phaidon, 1969, pp. 83-84. - R. PALLUCCHINI, Tiziano, I, Firenze, Sansoni,

1969, p. 326.

386 FRANCESCO TORBIDO

DETTO IL MORO

Ritratto di giovane

Tela, 62 x 51.8 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1013

Provenienza: acquistata dal Re Massimiliano I a Vienna (1834), dal 1820 al 1836 ad Augsburg, quindi alla Alte Pinakothek

Firmato Fr. Turbidus pinxit MCCCCCXVI

Iscrizione Quid stupeas specie: paphie rosa fragrat adempta manet: sed occasu flacet: oletque minus

1516

L’opera venne acquistata a Vienna come autoritratto del pittore.499

Venturi ne riconobbe da subito la qualità, segnalandola con due asterischi e commentando: «F. Torbido. Ritratto del giovane con la rosa. Quanto per fare è vicino al quadro di Budapest, assegnato da Morelli dubitativamente a Giorgione!

Anche quell’espressione pensosa, anche il particolare de’ cappelli, che bel ritratto!

Grana di colori chiara».500 Anche Lionello Venturi (1913) si soffermò sull’«espressione psicologica non […] determinata».501

Il dibattico critico si è soffermato non tanto sulla datazione dell’opera in sé, confermata dall’iscrizione, quanto rispetto all’incontro con Giorgione e il

499 ILL. CAT. ALTE PINAKOTHEK 1938, p. 279. 500 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 1125, n. 1479 1125, 1896/7. 501 VENTURI 1913b, p. 209.

387 giorgionismo. Viana (1933) affermava in proposito: «Il ritratto di Monaco, dove lo sforzo eccessivo per penetrare l’arte di Giorgione infiacchiva e impacciava l’artista, rappresenta quasi un atteggiamento d’eccezione nel giorgionismo del Torbido, o meglio il massimo di fedeltà cui arriva, abbandonandosi al maestro quasi ciecamente».502 Qualche anno prima, nella terza parte sulla pittura del

Cinquecento, Venturi (1928) aveva commentato: «Lo studio d’infondere grazia femminea alla posa e di graduar lentamente i passaggi di tono è certo il risultato dello sforzo compiuto dal piccolo provinciale per aderire alla moda giorgionesca.

Ma la velatura delicata delle superfici, che toglie consistenza alla forma, risente più dello sfumato pittorico veronese che del tono veneziano».503

Creighton (1949), espungendo l’opera dal catalogo del Savoldo, al quale era stato rapportato in precedenza, l’affiancò al Ritratto Bonaldi. A propostito del giorgionismo della tavola anch’egli scrive: «La posa vorrebbe essere giorgionesca, ma la gracilità dell’opera si risolve in frammenti autonomi e in elementi staccati».504

Repetto Contaldo (1982) sostiene che il giorgionismo conosciuto e praticato dal Torbido non derivi dal suo soggiorno veneziano, giacchè questi «si allontanò

[…] da Venezia intorno all’anno 1500, proprio nel momento al quale si fanno generalmente risalire gli esordi di Giorgione sulla laguna […] e se pure non si può escludere […] che egli ne avesse conosciuto a Venezia alcune opere già tipicamente ‘giorgionesche’, è molto difficile che da questo contatto, ipotetico e di

502 VIANA 1933, p. 33. 503 VENTURI 1928, pp. 913-914. 504 CREIGHTON 1949, p. 105.

388 brevissima durata, possa poi nascere nel 1516 e senza un’ulteriore conferma in tal senso, un omaggio tanto incondizionato alla tematica di Giorgione quanto inatteso per Verona qual è il “Ritratto di giovinetto” di Monaco. Per spiegare la genesi del suo momento giorgionesco, di cui appunto questo ritratto è la dimostrazione più evidente, è necessario perciò postulare un contatto con l’arte di

Giorgione successivo all’arrivo del Torbido a Verona e sicuramente avvenuto […] a Venezia, dove certo risiedeva ancora la sua famiglia […] tanto è immediata e appariscente la suggestione esercitata dalla pittura di Giorgione sul dipinto di

Monaco, altrettanto è evidente che tale suggestione rientra nei termini cronologici e formali di un fenomeno ormai generalizzato anche fuori dell’ambiente lagunare».505

L’opera è attualmente conservata nei depositi della Alte Pinakothek.

Bibliografia:

I. LERMOLIEFF, Kunstkritische Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu

München und Dresden), Lipsia, F. A. Brockhaus, 1891, p. 88. - L. VENTURI, Giorgione e il giorgionismo, Milano, Hoepli, 1913, pp. 209-210. – A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano, Hoepli, 1928, pp. 913-914. - D. VIANA, Francesco Torbido detto il Moro, Pittore veronese, Verona, La Tipografica Veronese, 1933, pp. 33, 71. - G.

CREIGHTON, Ritrattistica apocrifa savoldesca, «Arte Veneta», III, 1949, pp. 103-110. –

505 REPETTO CONTALDO 1982, pp. 66-67.

389 M. REPETTO CONTALDO, Francesco Torbido: da Giorgione alla ‘maniera’, «Arte

Veneta», XXXVI, 1949, pp. 66-67.

390 FRANCESCO TORBIDO

DETTO IL MORO

Trasfigurazione

Tavola in legno, 208 x 383 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 5164

Provenienza: dipinta per la Cappella Fontanelli di Santa Maria in Organo a Verona, comprata dal Re Massimiliano I (1819), ad Augsburg fino al 1929, quindi alla Alte Pinakothek ante 1526

La critica fu concorde nell’identificare la tavola con l’opera realizzata da Francesco

Torbido per la cappella Fontanelli in Santa Maria dell’Organo a Verona (Vasari

1885, Gerola 1913).

Venturi nei taccuini appuntò: «La Trasfigurazione di Francesco Torbido. Mi pare proprio del maestro che ha eseguito il ritratto di Monaco, per quella stessa grana di colore. Le figure sono un po’ tozze. Le nuvole sono formate da tante piccole nuvolette tonde. Il Cristo porta un manto turchino scolorito. Figure come raccorciate a causa dell’arco del lunettone. Mosè – Cristo sul monte – Elia –

Monte come una piattaforma. Nel Bas[s]o. Apostolo con la mano sulla fronte pensoso – Apostolo con la testa bassa: torbido il colore della sua testa – Apostolo ricciuto che col manto verde sembra difendere gli occhi dalla luce abbagliante.

391 Grandiosa la figura dell’apostolo a destra che stende il braccio destro innanzi a sé col manto verde. Mani larghe con nocche mediane tonde».506

La qualità dell’opera aveva impressionato a tal punto il Nostro che nella Storia la definì un «capolavoro», «animat[o] da intensissimi contrasti di luce. Singolare è il concetto della scena: Cristo in colloquio coi due profeti, ancor fisso alla terra e intento ad ammaestrar Mosè che tiene le tavole della legge; due apostoli dormienti attorno alla vetta del Tabor, il terso teso verso il Redentore, in atto di ripararsi col mantello il volto dalla luce divina. I secchi profili caprini, che si ristampano dall’uno all’altro degli Apostoli; la mano aggranchita di Mosè sulle tavole della

Legge, il ruvido atteggiamento del secondo profeta, richiamano altre pitture del

Torbido; ma l’effetto luministico, di magica intensità, trasfigura la scena, richiamandoci a un tempo Giovanni Caroto e il Savoldo nella incandescente veste dell’Apostolo a sinistra, addormentato, e nei risalti di luce e controluce violenti sulla figura dell’apostolo sveglio. Il paese fluido trae dall’alternativa d’ombre e riflessi una vita poetica, misteriosa, all’unisono con quella delle balenanti figure; nulla è definito a massa, venezianamente, in quel dilagar di luci tra l’ombra che tutto fa apparire più lieve e lontano, in un’atmosfera limpida e sottile. Il provinciale ritardo del Veronese di fronte ai Veneziani giorgioneschi si svela nel persistente linearismo, che trasforma le grandi nuvole frecciate di raggi dietro la vetta del Tabor in cumuli di scagliette madreperlacee e di argentei schisti, mirabile

506 VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 52R, n. 1441 271, 1896/7.

392 interpretazione lineare dell’etere mosso dai brividi dell’onda luminosa attorno a un centro di luce».507

La critica, concorde nel giudicarla opera del Torbido, si è quindi concentrata sulla datazione. Venturi (1928) la collocava entro il 1526; Viana (1933), a questo proposito, scriveva: «Dipinta dal Torbido nella piena maturità, è certo una delle sue cose migliori, e ci può dare un’idea di quanto avrebbe potuto produrre l’arte sua, non priva di originalità, se non si fosse lasciata troppo presto travolgere dall’enfasi di Giulio Romano. […] La nobiltà e l’equilibrio della composizione sono veramente insoliti, e forse il Torbido già sentiva l’ampio respiro di Roma».508

Infine, Repetto Contaldo (1982) interpreta le ricerche luministiche tradotte nella Trasfigurazione mediante un’«incandescente limpidezza», come indizio «dietro cui forse si celano più sottili, ma non per questo meno probabili, richiami al

Dosso e al Cariani».509

Bibliografia:

G. VASARI, Le vite, IX, Firenze, Sansoni, 1885. - I. LERMOLIEFF, Kunstkritische

Studien über die Italienische Malerei, vol. 2, (Die Galerie zu München und Dresden), Lipsia,

F. A. Brockhaus, 1891, p. 90. - G. GEROLA, Le antiche pale di S. Maria in Organo,

Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1913. - A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, IX, 3, Milano, Hoepli, 1928, pp. 916-918. - D. VIANA, Francesco Torbido

507 VENTURI 1928, pp. 916-918. 508 VIANA 1933, pp. 45-46. 509 REPETTO CONTALDO 1982, p. 70.

393 detto il Moro, Pittore veronese, Verona, La Tipografica Veronese, 1933, pp. 45-46,71. -

M. REPETTO CONTALDO, Francesco Torbido: da Giorgione alla ‘maniera’, «Arte

Veneta», XXXVI, 1949, pp. 69-70.

394 LORENZO DI PIETRO

DETTO IL VECCHIETTA

San Francesco sposa la povertà

Il voto dell’ubbidienza

Tavole di pioppo, 28 x 18 cm ciascuna

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 650, 651

Provenienza: acquistate da Johan Georg von Dillis a Roma (1808), dal 1810 a Schleißheim, dal 1836 presso la Alte Pinakothek

1460 circa

La vicenda attributiva delle opere si è rivelata oltremodo complessa e, ad oggi, non sembra aver trovato termine.

Nei cataloghi della Pinacoteca, fino al 1866, le tavolette erano state ascritte ad

Antonio Pollaiolo; dal 1869 più genericamente ad un maestro fiorentino; tra il

1911 ed il 1922 ad uno umbro, forse, sotto l’influenza di Berenson (1908).

Mündler (1865), invece, le aveva definite «so sienesisch wie nur möglich»,510 avanzando il nome di Giovanni di Paolo; Crowe e Cavalcaselle (1864-66) vi scorsero un intreccio di stili botticelliani e mantegneschi; successivamente (1870) le giudicarono opere deboli, ibride, di matrice umbra, nello specifico di Matteo da

Guado, o, di Lorenzo da Viterbo. Anche Lermolieff (1891) si era espresso favorevolmente per una provenienza umbra, mentre Thode (1904) aveva proposto uno scolaro di Filippo Lippi.

510 MÜNDLER 1865, p. 364.

395 Berenson (1908, 1936, 1968) le assegnò a Benedetto Bonfigli, ipotesi questa respinta da Van Marle (1933); Venturi (1904) e Gnoli (1923) le considerarono dei falsi.

Fin dai taccuini il Nostro, pur ravvisando la mano di un pittore senese, si era dimostrato dubbioso circa l’autenticità delle tavole. Riportandole entrambe sotto un medesimo numero, il n. 999, aveva inizialmente intravisto: «Lorenzo da San

Severino»;511 «Frate che mette il giogo della Pazienza a un altro. Sano di Pietro.

[*Certamente] senese, ma del giorno d’oggi, falso!».512

A breve distanza afferma: «La Povertà e la Pazienza. Mi parvero del

Sanseverino, anche di un Senese. Ora mi paiono moderne. Vedasi il piano come una [*nicchia]; i contorni delle tavolette fatti con tondetti e semitondetti. Il colore

è moderno, biaccoso».513 Ancora una volta, cattivi restauri e ridipinture potrebbero essere stati complici nel rendere difficoltosa la lettura (Wohl 1980, p. 164).

«Falso o ridipinto ad olio? È quello che a me parve. Sano di Pietro, e meglio prima Lorenzo da Sanseverino»,514 ribadendo da ultimo: «Oggi è tutto ridipinto; e par proprio falso, o è tutto falso».515 In un articolo sull’Arte (1904), inoltre, aveva ingiunto: «Falsificatore senese, facilmente riconoscibile per i contorni delle tavolette fatti con tondini e semitondini a punzone, per il colore ad olio, per il tutt’insieme senza rilievo, biaccoso, sordo».516

511 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55V, n. 1468 999, 1896/7. 512 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 26, n. 999, 1904. 513 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 39, n. 999, 1904. 514 A. VENTURI, Taccuino 1904, c. 60, n. 999, 1904. 515 A. VENTURI, Taccuino pittorico, c. 836R, n. 999, ante 1910. 516 VENTURI «L’Arte» 1904, p. 391.

396 Quasi contemporaneamente giunsero le due proposte attorno alle quali si è riunita buona parte della critica moderna. Da una parte l’attribuzione al Vecchietta di Popham e Pouncey (1950), sostenuta da Pope-Hennessy (1953), Degenhart e

Schmitt (1968), Kultzen (1975), Wohl (1980) e Syre (2007). Dall’altra quella a

Domenico Veneziano, proposta da Longhi (1928, 1952), accolta da Zeri (1961) e

Bacci (1965), ma rifiutata da Salmi (1954) e Hartt (1959).

Significativo il confronto con i Flagellanti inginocchiati del Musée Bonnat di

Bayonne e del Musée Condé di Chantilly. Si può presumere, infatti, che le quattro tavolette appartenessero ad uno stesso complesso, giacché presentano il medesimo pavimento marmorizzato, lo stesso fondo oro bordato con motivi a punzone ed identiche dimensioni. Berenson, di fatto, negli indici del 1932, 1936 e

1968, le aveva elencate sub voce Bonfigli.

A questo proposito, s’inserisce la proposta di attribuzione a Francesco di

Giorgio, sostenuta da Ragghianti (1940), Weller (1943), Berti (1958), Offner

(1988) e Bellosi (1993). In particolare, quest’ultimo le ascrive al periodo giovanile di Francesco, «quando lavorava ancora accanto al suo maestro, il Vecchietta».517

Rapportabili alle tavolette monacensi, per tecnica e stile, sono anche i disegni del British Museum (inv. 1895-9-15-446), del Kupferstichkabinett di Berlino (inv.

3143), e della collezione Charles Goldman di New York. Tali disegni, benché

Wohl (1980) li giudichi posteriori alle tempere, «costituiscono un importante indizio per l’individuazione del complesso di cui dovevano far parte le due

Allegorie francescane di Monaco, insieme ai Flagellanti di Bayonne e Chantilly. Poteva

517 BELLOSI 1993, p. 106.

397 trattarsi della predella di una pala d’altare francescana composta anche dal Miracolo della mula della Alte Pinakothek […], dalla Predica di San Bernardino della Walker Art

Gallery di Liverpool (inv. 2852) e dal Miracolo di San Ludovico da Tolosa della

Pinacoteca Vaticana (inv. 233)».518

Rifacendosi a Popham e Pouncey (1950), dal 1975 ad oggi i cataloghi della

Pinacoteca riportano le tavolette sotto il nome del Vecchietta.

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399 LORENZO DI PIETRO

DETTO IL VECCHIETTA E BOTTEGA

Miracolo della mula

Tavola di pioppo, 28 x 62 cm

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 1020

Provenienza: acquistato da F. Müller a Roma per il Principe ereditario Ludovico I (1808) come Masaccio, presso Schleißheim fino al 1810, poi ad Augsburg fino al 1836, quindi alla Alte Pinakothek

1460 circa

Acquistata come Masaccio, nel catalogo del 1865 la tavola venne denominata

“unbekannten Meister”; dal 1884 “Francesco di Giorgio Martini”, attribuzione che s’impose fino al 1957. Nello specifico, nei cataloghi 1920-1938 si presumeva che la tavola facesse parte della predella per l’altar maggiore di San Francesco a

Siena e che fosse stata realizzata da Francesco di Giorgio Martini insieme a

Neroccio.

Mündler (1865) vi scorse i tratti della maniera senese, Crowe e Cavalcaselle

(1869) inizialmente vi ravvisarono un seguace di Pesellino, mentre, in seguito

(1909), si orientarono attorno a Francesco di Giorgio Martini, Neroccio e la bottega del Vecchietta. Lermolieff (1891) credeva si trattasse di una copia moderna da Francesco di Giorgio.

Jacobsen (1897a) pensò che la tavola fosse opera di un collaboratore della bottega di Francesco di Giorgio, mentre Schubring (1907) dapprima propose di

400 attribuirla al Vecchietta, successivamente a Francesco di Giorgio e Neroccio, datandola fra il 1470-75. Di quest’avviso anche Venturi e Bode (1916), seppur con qualche riserva. Venturi si era limitato a menzionare l’opera nei taccuini, riportando presumibilmente le informazioni fornite dal catalogo: «Francesco di

Giorgio. Miracolo d’un santo».519

Berenson (1897), inizialmente, aveva proposto di attribuirla a Benvenuto di

Giovanni, ipotesi ripresa anche da Pope-Hennessy (1944, 1947) e Coor (1961); quindi, si era orientato verso Andrea di Niccolò, presumendo che questi avesse realizzato una copia su tavola di un affresco perduto del Vecchietta. Di contro,

Van Marle (1937) e Vigni (1937) ripresero l’attribuzione al Vecchietta, mentre

Degenhart e Schmitt (1968) si rifecero all’argomentazione berensoniana, specificando che in realtà si trattava d’una copia d’un disegno del Vecchietta realizzata da un maestro umbro-senese.

Os (1972), in un commento personale, si era pronunciato in favore d’una possibile attribuzione alla bottega del Vecchietta.

Da ultimo, Bellosi (1993) ritiene che la tavola «più che al Vecchietta stesso [sia] riferibile al giovane Benvenuto di Giovanni, come […] fanno notare Alessandro

Bagnoli e Roberto Bartalini e come avevano già proposto il Pope-Hennessy e altri.

Il Pope-Hennessy dice acutamente che siamo nella stessa congiuntura degli affreschi con Storie di Sant’Antonio da Padova nel Battistero di Siena, databili non al 1453, ma, secondo una precisazione di Cecilia Alessi, tra il 1456 e il 1461. Come in questi affreschi anche nel pannello di Monaco le affinità col Vecchietta sono

519 A. VENTURI, Taccuino 1896/7, c. 55R, n. 1460 1022, 1896/7.

401 ancora fortissime, molto di più […] che nel pannello di Liverpool. […] Bisogna dunque pensare che l’anziano Vecchietta e i suoi giovani allievi Benvenuto di

Giovanni e Francesco di Giorgio abbiano collaborato alla realizzazione della stessa pala d’altare. È una circostanza che trova ora una formidabile conferma in un documento scoperto recentemente dalla stessa Cecilia Alessi, secondo il quale

“Maestro Lorenzo di Pietro e Benvenuto e Francesco dipentori” risultano debitori verso l’Opera del Duomo di 18 lire “per uno moggio di grano”. È vero che mentre il Vecchietta vi appare sicuramente identificabile, gli altri due pittori sono nominati senza patronimico, ma che si tratti proprio di Benvenuto di Giovanni e

Francesco di Giorgio è, per tante ragioni, difficile da dubitare».520

Bellosi ribadisce, quindi, la relazione fra i disegni del British Museum (inv.

1895-9-15-446), le tavolette monacensi (invv. 650-651), e quelle di Bayonne e

Chantilly, prima di ipotizzare una ricostruzione d’una pala avente nella predella i

Flagellanti di Bayonne e Chantilly, le Allegorie di Monaco, come scene narrative il

Miracolo della Mula a sinistra, la Predica di San Bernardino al centro e il Miracolo di San

Ludovico da Tolosa a destra.

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403

Conclusioni

Collazionando le innumerevoli pubblicazioni venturiane e raffrontandole con quanto presente nei taccuini è stato possibile dimostrare come di frequente già l’appunto contenga in nuce il giudizio definitivo. Potremmo dire che le annotazioni non sono altro che veloci intuizioni abbozzate sulla carta, traduzione di quel pensiero rapido ed acuto che anche senza supporto alcuno è in grado di definire il valore di un’opera e la sua attribuzione. La fase iniziale dello studio venturiano si attesta proprio nel taccuino, dove si affollano disegni, schizzi, intuizioni. Impressi sulla pagina tutti questi dati divengono materia prima su cui lavorare; non si tratta dunque di mere annotazioni prive di sostanza, ma emerge soprattutto un giudizio acuto e originale, tant’è che talvolta questo stesso ricompare in più ricche vesti, talaltra viene soltanto smaltato, tanto negli articoli quanto nella Storia.

Ripercorrendo il lavoro svolto, risulta evidente quanto forti siano le rispondenze fra “scrittura privata” e “scrittura pubblica” finanche nella lingua: quel linguaggio permeato di dannunzianesimo non è soltanto prerogativa delle pagine edite, ma riscontrandolo anche nelle carte, possiamo dire essere il linguaggio personalissimo del Venturi. «Costante è in ogni caso, l’interesse al contenuto della narrazione artistica, alla “fabula” e come si direbbe con termine berensoniano, alla intenzione illustrativa»,521 sia nell’appunto che nella pagina a stampa Venturi cerca di condensare l’immagine che ha davanti agli occhi con la maggior chiarezza rappresentativa possibile, non a caso, laddove le parole

521 SAMEK LODOVICI 1946, pp. 361-362. vengono meno, s’inserisce il disegno. Infatti è proprio «nella descrittiva venturiana

(come in ogni altra descrittiva) [che] siede l’intenzione di dare dell’arte l’equivalente in termini letterari».522

Dall’analisi del rapporto con i conoscitori emerge chiaramente l’autorevolezza di cui gode la solida opinione venturiana. Al contempo si precisa il debito nei confronti della Kunstwissenschaft: rigore e sistematicità nell’uso delle fonti.

Attraverso l’identificazione delle opere è stato quindi possibile vedere come il giudizio venturiano ben s’inserisca nel panorama critico a lui contemporaneo e quali influenze abbiano agito prevalentemente su di esso; in particolare viene delineandosi con maggior chiarezza il peso esercitato da Morelli e da Cavalcaselle, e più in generale dai Kunstkenner. Nei taccuini, difatti, si ritrovano le opinioni tanto di Morelli, quanto di Schmarsow, Bayersdorfer e Berenson, sebbene sempre filtrate dalla forte personalità del Nostro.

«Sotto il profilo critico e storiografico – nonché da una più ampia prospettiva culturale – il magistero del Venturi rimane richiamo attualissimo al rigore filologico e alla considerazione storica di fondo, che deve sostenere e animare la nostra disciplina, al di là dell’importante e necessario dibattito sulle diverse possibilità di approccio metodologico e interpretativo».523

522 SAMEK LODOVICI 1946, pp. 361-362. 523 SCIOLLA 2008, p. 10.

405

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482

Appendice

Fig. 1 Itinerario di viaggio

484

Fig. 2 Itinerario di viaggio 1926

485

Fig. 3 Itinerario di viaggio 1926

486

Fig. 4 Itinerario di viaggio Taccuino Scultura

487

Fig. 5 Indice dei libretti

488

Fig. 6 Esempio di carta sciolta dedicata ad un singolo artista

489

Fig. 7 Taccuino 1896/7, c. 49R

490

Fig. 8 Taccuino 1896/7, cc. 49V-50R

491

Fig. 9 Taccuino 1896/7, c. 50V

492

Fig. 10 Taccuino 1896/7, c. 51R

493

Fig. 11 Taccuino 1896/7, c. 51V-52R

494

Fig. 12 Taccuino 1896/7, c. 52V

495

Fig. 13 Taccuino 1896/7, c. 53R

496

Fig. 14 Taccuino 1896/7 , particolare c. 53R

497

Fig. 15 Taccuino 1896/7, c. 53V

498

Fig. 16 Taccuino 1896/7, c.54R

499

Fig. 17 Taccuino 1896/7 , cc. 54V-55R

500

Fig. 18 Taccuino 1896/7 , cc. 55V-56R

501

Fig. 19 Taccuino 1896/7, cc. 56V-57R

502

Fig. 20 Taccuino 1896/7, cc. 57V-58R

503

Fig. 21Taccuino 1896/7, c. 58V

504

Fig. 22 Taccuino 1896/7, c. 59R

505

Fig. 23 Taccuino 1896/7, cc. 59V-60R

506

Fig. 24 Taccuino 1896/7, c. 60V

507

Fig. 25 Taccuino 1896/7, c. 61R

508

Fig. 26 Taccuino 1896/7, cc. 61V-62R

509

Fig. 27 Taccuino 1896/7, c. 62V

510

Fig. 28 Taccuino 1904

511

Fig. 29 Taccuino 1904, c. 26

512

Fig. 30 Taccuino 1904, c. 27

513

Fig. 31 Taccuino 1904, c. 28

514

Fig. 32 Taccuino 1904, c. 29

515

Fig. 33 Taccuino 1904, c. 30

516

Fig. 34 Taccuino 1904, c. 31

517

Fig. 35 Taccuino 1904, c. 32

518

Fig. 36 Taccuino 1904, c. 33

519

Fig. 37 Taccuino 1904, c. 34

520

Fig. 38 Taccuino 1904, c. 35

521

Fig. 39 Taccuino 1904, c. 36

522

Fig. 40 Taccuino 1904, c. 37

523

Fig. 41 Taccuino 1904, c. 38

524

Fig. 42 Taccuino 1904, c. 39

525

Fig. 43 Taccuino 1904, c. 40

526

Fig. 44 Taccuino 1904, c. 41

527

Fig. 45 Taccuino 1904, c. 42

528

Fig. 46 Taccuino 1904, c. 43

529

Fig. 47 Taccuino 1904, c. 44

530

Fig. 48 Taccuino 1904, c. 45

531

Fig. 49 Taccuino 1904, c. 46

532

Fig. 50 Taccuino 1904, c. 47

533

Fig. 51 Taccuino 1904, c. 48

534

Fig. 52 Taccuino 1904, c. 49

535

Fig. 53 Taccuino 1904, c. 50

536

Fig. 54 Taccuino 1904, c. 51

537

Fig. 55 Taccuino 1904, c. 52

538

Fig. 56 Taccuino 1904, c. 53

539

Fig. 57 Taccuino 1904, c. 54

540

Fig. 58 Taccuino 1904, c. 55

541

Fig. 59 Taccuino 1904, c. 56

542

Fig. 60 Taccuino 1904, c. 57

543

Fig. 61 Taccuino 1904, c. 58

544

Fig. 62 Taccuino 1904, c. 59

545

Fig. 63 Taccuino 1904, c. 60

546

Fig. 64 Taccuino 1904, c. 61

547

Fig. 65 Taccuino 1904, c. 62

548

Fig. 66 Taccuino 1904, c. 63

549

Fig. 67 Taccuino 1904, c. 64

550

Fig. 68 Taccuino 1904, c. 65

551

Fig. 69 Taccuino 1904, c. 66

552

Fig. 70 Taccuino 1904, c. 67

553

Fig. 71 Taccuino 1904, c. 68

554

Fig. 72 Taccuino 1904, c. 69

555

Fig. 73 Taccuino 1904, c. 70

556

Fig. 74 Taccuino 1904, c. 71

557

Fig. 75 Taccuino 1904, c. 72

558

Fig. 76 Taccuino 1904, c. 73

559

Fig. 77 Taccuino 1904, c. 74

560

Fig. 78 Taccuino 1904, c. 75

561

Fig. 79 Taccuino 1904, c. 76

562

Fig. 80 Taccuino 1904, c. 77

563

Fig. 81 Carte sciolte

564

Fig. 82 Carte sciolte, c. 1R

565

Fig. 83 Carte sciolte, c. 1V

566

Fig. 84 Carte sciolte, c. 2R

567

Fig.85 Carte sciolte, c. 2V

568

Fig. 86 Carte sciolte, c. 3R

569

Fig. 87 Carte sciolte, c. 3V

570

Fig. 88 Carte sciolte, c. 4R

571

Fig. 89 Carte sciolte, c. 4V

572

Fig. 90 Carte sciolte, c. 5R

573

Fig. 91 Carte sciolte, cC. 5V-6R

574

Fig. 92 Taccuino pittorico, c. 828R

575

Fig. 93 Taccuino pittorico, c. 829V

576

Fig. 94 Taccuino pittorico, c. 830R

577

Fig. 95 Taccuino pittorico, c. 831V

578

Fig. 96 Taccuino pittorico, c. 832R

579

Fig. 97 Taccuino pittorico, c. 833V

580

Fig. 98 Taccuino pittorico, c. 834R

581

Fig. 99 Taccuino pittorico, c. 835V

582

Fig. 100 Taccuino pittorico, c. 836R

583